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Past. TACCIA Albarto
10060 AKOROSHA
DELLE VALLI VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 99 - Nam. 23-24 ABBONAMENTI Í Eco: L. 2.500 per Tinterno Spedizione in abbonamento postale r I Gruppo bis i TORRE PELUCE - 13 Giugno 1969
Una copia Lire 60 L. 3.500 per l’estero Camfiìo di indirizzo Lire 50 Ammiri. CUndiana Torre PeUìoe - C.CJ*. 2-17557
Il papa a Ginevra: il Consiglio ecumenico subisce ormai l’iniziativa di Roma?
ecumeni^Tdiplomatico
Alla vigilia di un nuovo viaggio pontificio fuori d’Italia, il settimo, ci domandiamo se esso sarà una volta di
più oggetto di pubblicità chiassosa. È
probabile, cos"’: com’è difficile sottrarsi all’impressione che si tratti di una
visita tutta di facciata. In undici ore
sulle rive del Lemano, infatti. Paolo VI incontrerà le autorità ginevrine
e federali, visiterà la sede dell’Organizzazione internazionale del lavoro
(OIL) e vi pronuncerà un discorso,
nel quadro delle celebrazioni del cinquantenario di questa organizzazione;
avra un incontro con l’episcopato cattolico; visiterà quindi la sede del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEO,
celebrerà una messa all’aperto nel parco des Granges e in serata, prima di
ripartire, avrà ancora un incontro con
l’irr¡peratore d’Etiopia Hailé Selassié.
Il segretario del Segretariato vaticano
per l’unione dei cristiani, il domenicano Jérôme Hamer, ha notato in una
conferenza stampa che il papa pronuncerà diciotto discorsi, «e forse la
lista non è completa». Un po’ molto,
anche per un pontefice.
C- pare comunque che viaggi come
questo rispondano ai disegni di una
poe tica ecclesiastica, allo sviluppo di
un; diplomazia ecumenica che ci lasci' no profondamente scettici e spiritU8 mente indifferenti; e su quel piano canno valutati. Sarebbe anche interi sante sapere come nascono, questi iaggi, e quest’ultimo in particolare, iella sua sapiente orchestrazione,
ma forse la questione è troppo maliziosa. Contorno a parte — ci scusino i
cat olici elvetici, le autorità ginevrine
e federali e, sì, anche l’imperatore
d’E tiopia! — i due poli di questa visita
sono le sedi dell’OIL e del CEC (e lasciamo alla storia di indicare su quale
dei due si è maggiormente puntato).
Che la Chiesa di Roma condivida
cor; tutte le altre una ridesta attenzione per i problemi sociali, e in termii i sempre più aggiornati, è un fatto, mche se la vera ala marciante è
pur.' 1). una piccola minoranza, che
speso alla istituzione ecclesiastica
serse da alibi o da fiore all’occhiello,
dà .ener d’occhio se il profumo si fa
troi no inebriante. Non possiamo dire
di .s tendere grandi sorprese dal discorso di Paolo VI all’OIL; i suoi inters, nti, non ultimo quello a Bogotá,
e ir particolare la troppo famosa « Popul -, am progressio», echi della Costituzi >ne pastorale « Gaudium et spes »
del ñticano II, rappresentano in larga misura il discorso di una sedicente
Mater et Magistra che si fa bella delle
penne del pavone e che ripresenta come proprie, senza averle sofferte e annacquandole non poco, linee di sviluppo sociale che sono il frutto del travaglio di altri. Ci auguriamo quindi
che il discorso all’OIL sia, come oggettivamente si addice, umile e sobrio.
Quanto alla visita — non ufficiale (V) — alla sede del CEC, essa si
iscrive nella linea dello sviluppo delle
relazioni ecumeniche CEC-Vaticano e
ne sottolinea il carattere politico-istituzionale anziché profetico-spirituale.
Abbiamo molte volte espresso .il nostro aperto dissenso da questo aspetto
della involuzione dell’ecumenismo: voce apparentemente quasi isolata, che
grida al muro. È quindi evidente quel
che pensiamo del valore di questa visita; una specie di timbro — con le
chiavi decussate del sigillo pontificio — sulla malleabilità del movimento ecumenico all’integrazione cattolica. Come si vede, slamo abbastanza
lontani dal past. Albert van den Heuvel, direttore del Dipartimento di Comunicazione del CEC, il quale in un’intervista al quotidiano ginevrino « La
Suisse » (25-5-’69) ha detto che la venuta di Paolo VI non è soltanto un
gesto di cortesia, ma una visita di
fraternità cristiana : « Bisogna capire
questo viaggio come un pellegrinaggio
destinato a mostrare l’interesse con
cui la Chiesa cattolica romana segue il
rinnovamento ecumenico...! numerosi
viaggi del papa fuori del Vaticano tendono a relativizzare l’importanza di
Roma quale unico centro della Chiesa
cattolica romana... Desidero infine notale che la sua visita è fatta alla sede
del CEC e non al CEC stesso, il che
avverrebbe soltanto se si fosse recato
a una sessione dell’assemblea generale
delle Chiese membro ». A proposito del
cammino verso l’unità, il past. van den
Heuvel precisava ancora : « Le Chiese
sono ancora divise, ma il movimento
ecumenico è unico. Per noi il grande problema del futuro è di trovate strutture vive per questo movimento che è uno... I nuovi statuti devono
tener conto, ad esempio, di un’eventuale domanda della Chiesa cattolica
ternana di diventare membro del
CEC... Concludendo, se la Chiesa cattolica romana è già inserita nel movimento ecumenico ma non ancora
nel Consiglio ecumenico, crediamo che
la visita del papa darà un nuovo im
pulso al cammino dell’uno verso Tal
tro e non possiamo che rallegrarcene»
Speriamo soltanto che ci sia rispar
miato quel che il corrispondente vati
cano de « La Stampa », emozionato,
prevede : « È quasi certo che, sulla soglia del Palazzo di route de Ferney, il
segretario generale Carson Blake, che
ha avuto sinora tre udienze con Paolo
VI, abbraccerà il Papa». Questa figura pontificia, per molti versi patetica
al suo duro posto di responsabilità e
di sofferenza e per il cui travaglio
umano proviamo vivo rispetto e una
sfumatura di simpatia, resta però per
noi, oggettivamente, il rappresentante
di un sistema ecclesiastico che continua ad essere Tanti-Cristo, ^ nel senso
che avoca alla Chiesa, e per essa a un
uomo quella autorità che il credente
formato e riformato dalla Parola di
Dio non può riconoscere che al Signor Gesù Cristo soltanto. Troppi, che
pure condividono questa convinzione,
dànno però il fatto per scontato e ci
paissauo su; ma non è .un fatto che
possa essere mai dato per scontato e
sul quale si possa mai passar sopra.
Ci chiediamo quindi quale significato,
quale contenuto possa avere la ventilata preghiera comune (?) nella sede
del CEC.
Sicché, se speriamo che il facinoroso “pastore” nord-irlandese lan Paisley se ne stia quieto e non faccia di
nuovo fare una figuraccia a coloro che
non osanneranno alla visita papale,
comprendiamo intimamente quei protestanti di Ginevra che domenica 8
giugno, davanti al Muro dei Riformatori, hanno tenuto una manifestazione
per attestare serenamente, a due giorni dalla visita del pontefice romano,
la loro fedeltà all’eredità della Riforma.
Non abbiamo ancora notizia di questa manifestazione, nella quale a
nostro avviso — più che parlare si sarebbe dovuto ascoltare; ascoltare la
vigorosa, seria voce dei Riformatori,
saldi nel loro riferimento fondamen
tale alTEvangelo. Perché, come ci ricordava qui Sergio !^stagno un mese
fa, in un acuto articolo («R papa si
avvicina ») pubblicato sotto uno pseudonimo scherzoso, non siamo comunque Chiese che possono opporre con
tranquilla buona coscienza il loro
« no » alla Chiesa romana. Le Chiese
della Parola sono diventate in larga
misura Chiese sordomute, tutt’al più
tuffate nell’attivismo, ..illudendosi di
salvare, cosi, la propria vita: occorre
che riacquistino il gusto della Parola,
e a quale scuola migliore potrebbero
porsi che a quella dei Riformatori?
Gino Conte
regno di costui c>
gliosi e in bestemv:
trattarsi di tirannut
sui corpi, erta con
Cristo; in secondo
è tale da non abolì
il nome di Cristo, n
sotto Vombra di t
dell’apparenza dell
MimiiiiimniimiiiiiiimiiMiiiiii
iiilimiimriiMiiirii'iii
Ginevra (spp) • Attraversando Tatrio del
BIT, il 10 giugno, Paolo VI non si fermerà
davanti a una effigie commemorativa, quella
di Daniel Le Grand « precursore della legislazione internazionale del lavoro ». Altrimenti,
egli noterebbe una piccola lapide applicata dal
BIT medesimo, dono dei protestanti francesi.
Questo industriale protestante, del resto di
origine elvetica, chiamato nel secolo scorso
dal pastore Oberlin — uno degli ispiratori,
con Thommy Fallot, del movimento del cristianesimo sociale — in una valle delTAlsazia per contribuirvi allo sviluppo industriale,
osava lanciare allora la chimera delle convenzioni internazionali.
Quando questa lapide fu apposta, nel 1938,
uno dei discendenti di Daniel Le Grand, il
pastore Marc Boegner portava al BIT « con
uninfinita gratitudine e un’immensa speranza » il saluto della Federazione protestante di
Francia e del Consiglio ecumenico del cristianesimo pratico (Vita e Azione), uno dei
precursori del Consiglio ecumenico delle Chic
se. Egli sottolineava il desiderio di veder ere
scere di giorno in giorno i legami fra il prò
testantesimo c il BIT.
Harold Butler, il successore di Albert Tho
mas alla direzione del BIT, gli rispondeva in
questi termini i « Siamo fieri di considerare
Daniel Le Grand come uno dei maggiori precursori dell’opera che ci è affidata ». Bisogna
ricordare che, nato dalla guerra, nel 1919, il
3IX ____ la sola istituzione sopravvissuta alla
bufera del 1940 — fu all'origine quella maggiormente discussa, e nacque perfino contro il
parere dei governi.
Questa cerimonia rispondeva a una visita :
dieci anni prima, nel 1928, il creatore del
bit, Albert Thomas aveva tenuto .ad associarsi a una manifestazione simile, in Alsazia, nella casa del precursore della protezione operaia.
Evocando « le nobili lezioni che Daniel Le
Grand ci ha lasciate e che dobbiamo seguire
senza debolezze », ricordava al tempo stesso
che « l’opera del pastore Oberlin e il suo insegnamento, secondo cui qualsiasi riforma sociale non ha valore che come mezzo di civiltà superiore, devono animare instancabilmente la nostra opera internazionale ».
Non c’è quindi da stupirsi che fin dalTori
ioD o|oi “Caritas” è agape
La Chiesa ecumenica, se si annera
neiia stana, dnvrà fame a mene
' Nella Istituzione Cristiana, libro IV, capitolo 7, par. 25 Calvino scrive; « Alcuni ci considerano maldicenti e eccessivamente acidi,
quando diciamo che il Papa è l’Anticristo:
ma quelli che sono di quest’opinione non pensano che accusano della medesima colpa san
Paolo, secondo il quale parliamo, anzi per bocca del quale parliamo in questi termini. E
affinché nessuno replichi che distorciamo le
parole di san Paolo, applicandole al Papato,
mentre avrebbero un intento diverso, mostrerò
brevemente che noi. possono essere intese altrimenti che applicandole al Panato. San Paolo dice che l’AnticnPn sara seduto nel tempio
di Dio (2 Tess. 2 ■ i). E in un altro passo
(Dan. 7: 25) lo Si .. ito Santo attesta che il
itera in discorsi orgocòntro Dio. Ne desumo
Ile anime piuttosto che
il regno spirituale di
go, che questa tirannia
adatto dalla sua Chiesa
10 nascondersi piuttosto
i Cristo e mascherarsi
11 Chiesa... Poiché (san
Paolo) ci dà questo segno al quale riconoscere l’Anticristo: che rapiràfa, Dio il suo onore
appropriandoselo, ecco l’imido prineipode che
dobbiamo -seguire per individuare l’Anticristo,
soprattutto se vediamo che tale orgoglio giunge al punto di fare una pubblica dissipazione
nella Chiesa. Siccome è ormai notorio che il
Papa ha trasferito con impudenza alla propria
persona ciò che apparteneva in proprio all’unico Dio e a Gesù Cristo, non c’è da dubitare che sia lui il capo di questo regno
d’iniquità e di abominazione ».
Nel 1963 il nostro corredattore Paolo Ricca aveva curato per un certo tempo
sulle nostre colonne una rubrica originale e viva: « Breviario per l’unità ». Si
tiattava di un’antologia di bei testi dei Riformatori, su temi riproposti alla riflessione cristiana dai dibattiti conciliari e dallo sviluppo delle relazioni ecumeniche. Un appropriato commento ne metteva in luce la validità chiarificatrice e
robusta, proprio come apporto alla vera causa ecumenica che non è Tawicinamento delle Chiese fra loro — com’è diventato l’ecumenismo nella sua penosa
involuzione — ma la conversione delle Chiese a Cristo. Ci è parso opportuno, in
questi giorni, riportare uno di questi scritti, quello relativo all’istituzione papale.
Il cinquantenario dell’Organizzazione Internazionale de! Lavoro
Il mnvimento del cristianeslmn snciale
e II Bureau lutereatinual du Travail (BIT)
gine del BIT sì siano stretti vìncoli sempre
più serrati fra questa istituzione e le Chiese
protestanti, tramite la Federazione del cristianesimo sociale.
Nel 1931 Albert Thomas partecipava al
congresso di questo movimento, a Ginevra, e
si compiaceva di ricordare che un grande protestante del XIX secolo fosse all’origine di
tutta Torganizzazione.
Alla conferenza ecumenica di Stoccolma
per il cristianesimo pratico (1925) le eommissioni degli affari sociali, senza nominare Tistituzìone internazionale, chiamavano ad appoggiare le istituzioni che « in questo mondo di
guerra ricercano la giustizia e la pace »; e
segnalavano fra l’altro i problemi che erano
all’ordine del giorno delle conferenze del BIT ;
la protezione delTadolescente nell’industria,
la disoccupazione, la settimana di 40 ore.
Se dopo il 1945 i legami sono sembrati allentarsi, ciò è dovuto al fatto che i problemi
non si ponevano più negli stessi termini e
avevano un’incidenza politica sempre più marcata. Se i legami fra il BIT e il protestantesimo non sono stati spettacolari, sono però
stati costanti, efficaci e fecondi.
Jacques Mabtin
Per quanto si sia lungi dalla chiarezza sui
retroscena del dramma di Kwale 3 — responsabilità delTENI, confusione e debolezza almeno iniziale dell’azione diplomatica italiana — una cosa risulta chiara : vi è stata una
vera « gara », anche di prestigio, nel “salvataggio" dei 18 tecnici condannati e graziati
dal Biafra, e mons. Bayer, rappresentante di
« Caritas internatìonalis », ha accortamente
battuto tutti, concentrando l’attenzione e i rironoscimentì sulTatlività della sua organizzazione e del Vaticano, e cercando di mettere in
ombra la impegnata ed efficace opera di mediazione ben altrimenti significativa — africani
in favore di bianchi — dei gabonesi e degli
ivoriani. L’inno alla carità di 1 Corinzi 13
ricorda che « Tagàpe non cerca il proprio interesse » e prestigio. Forse non ogni Caritas c
agape.
Il combattimento nostro non è contro carne e sangue, ma contro i principati, contro le potestà” scrive l’Apostolo Paolo (Efesini 6: 12), per significare che egli non combatteva contro
singole persone, ma contro le forze
spirituali contrarie all’Evangelo. La
lotta dei Riformatori contro il papato
va intesa nello stesso senso: non era
cioè diretta contro questo o quel pontefice ma contro un sistema, “un regno” dice Calvino (Istituzione Cristiana, libro IV, cap. 2, par. 12). La
nostra odierna opposizione al papato
ha lo stesso significato. Ogni evangelico sa che c’è papa e papa: c’è Gregorio Magno, per molti tratti così
profondamente evangelico e c’è Alessandro VI Borgia, così scandalosamente indegno anche solo del nome
di cristiano; c’è Pio XII, autoritario,
aristocratico e intransigente, e c’è Giovanni XXIII, conciliante, popolare e
aperto. Come ogni storia, anche quella dei papi ha le sue luci e le sue ombre. Quando sorse la Riforma, era
tempo di tenebre; oggi molte di quelle tenebre sono scomparse. Eppure la
critica evangelica al papato rimane sostanzialmente identica, appunto perché
essa non concerne le persone che via
via occupano il trono papale, ma investe U sistema nel suo insieme e soprattutto nelle sue radici. Certo, è meglio non solo per la Chiesa di Ronta
ma per la Chiesa tutta che ci sia un
buon papa piuttosto che un papa in
degno. Ma il problema è un altro, ben
più profondo e più grave. Il problema è di vedere se U ministero di papa
(indipendentemente dcdla persona che
10 esercita) è un carisma dello Spirito
Santo oppure no, se cioè la figura del
papa è teologicamente legittima, in altri
termini se è ammissibile dal punto di
vista dell’Evangelo. Il problema è di
vedere se c’è posto, nella Chiesa di Colui che non aveva dove posare il capo,
per un trono permanente (per quanto
spoglio possa essere); il problema è di
stabilire come sfa possibile che la figura del papa lasci almeno lontanamente
intravvedere che il Signore della Chiesa (del quale il papa dovrebbe essere
11 vicario) è un Signore crocifisso; il
problema è di sapere come è ancora
possibile che il popolo, applaudendo il
papa e inginocchiandosi davanti a lui
come avviene ogni domenica in Piazza S. Pietro, comprenda che il Dio testimoniato da apostoli e profeti è un
Dio geloso. In realtà noi crediamo che
il sistema papale non solo è fuori, dell’Evangelo, ma ne contraddice lo spirito. La Chiesa ecumenica non potrà
perciò che fame a meno.
Il testo che segue è tratto dagli Articoli di Smalcalda, scritti da Luterò nel
1537 per essere presentati a un Concilio ecumenico che papa Paolo III aveva convocato a Mantova per il mese
'r.di maggio ddbLJS^sso;
P. R.
Il papa non è iure divino, cioè in virtù della Parola di Dio, il
capo deH’intera cristianità, titolo, questo, che conviene solo a Gesù
Cristo. Il papa è solo il vescovo o il pastore della Chiesa di Roma e
di coloro che, sia di propria volontà sia per obbedienza alle autorità
politiche, cioè umane, si sono uniti a lui, non per sottomettersi come
a un maestro, ma per essere al suo fianco, come dei fratelli, dei colleghi e degli amici cristiani. Questa è l’indicazione che ci viene dagli
antichi concili e qpiesta era la situazione ai tempi di Cipriano. Ma
oggi nessun vescovo osa chiamare il papa « fratello mio », come avveniva in quei tempi; al contrario bisogna che i vescovi e persino i
re e gli imperatori lo chiamino « nostro Signore » e « Sua Grazia ».
Questo non lo vogliamo, né dobbiamo, né possiamo, in coscienza,
approvare. Lo faccia chi vuole, ma non saremo noi.
Appare con evidenza che la santa Chiesa è stata senza papa per
più di 500 anni, e oggi ancora la Chiesa greca e molte Chiese che
parlano lingue diverse non sono mai state sottomesse al papa. Come
io si è detto spesso, il primato del papa è un’invenzione umana: non
si fonda su nessun comandamento divino. Non è né necessario né
IL PAPA
utile di riconoscerlo. La santa Chiesa cristiana può sussistere senza
quel capo e sarebbe per lei stato meglio se il diavolo non le avesse
mai aggiunto quel capo. Il papato è inutile alla Chiesa perché non
esercita nessuna funzione cristiana. Perciò la Chiesa deve restare sen
za papa.
Ma supponiamo che il papa rinunci ad affermare che il suo primato è iure divino, cioè fondato su un comandamento di Dio, e si limiti a dire che, per meglio mantenere l’unità della cristianità in presenza delle sètte e delle eresie, c’è bisogno di un capo sul quale gli
altri si appoggino; supponiamo che questo capo sia eletto dagli uomini e che costoro, col loro voto, abbiano il potere di sostituirlo con
un altro, di destituirlo, cos'i come ha agito, nei confronti dei papi,
il concilio di Costanza che ne Ira deposti tre ed ha eletto il quarto;
anche quando il papa e la sede di Roma fossero d’accordo su questo
(cosa impossibile, perché bisognerebbe che il papa lasciasse abbattere il suo dominio, annientare la sua supremazia, abolire tutti i suoi
diritti e distruggere tutti i suoi libri - e questo non può farlo), anche
allora non ne risulterebbe alcun bene per la cristianità e ci sarebbero
ancora più sètte di prima. Perché la sottomissione a un tale capo non
dipenderebbe da un ordine di Dio, ma solo dal beneplacito degli
uomini.
È per questo che la Chiesa non può essere meglio governata e
meglio mantenuta nella sua unità che se tutti riconosciamo come
capo unicamente Cristo e se i vescovi, tutti uguali quanto al ministero (benché ineguali quanto ai loro doni), si tengono fermamente
uniti in un accordo unanime sulla dottrina, sulla fede e sui sacramenti, per mezzo della preghiera e delle opere della carità.
Lutero
2
pag. 2
N. 23-24 — 13 giugno 1969
La religione: OPPiO DEi POPOli?*«»^* « sempre
Marx aveva ragione? Contro la cristianità, forse; contro l’Evangelo, no
Il titolo è un interrogativo, ma in
realtà si tratta di una ben nota affermazione attribuita a Karl Marx, per
quanto egli non abbia fatto altro che
riceverla dai suoi contemporanei e diffonderla nel mondo, come un elemento certamente non secondario della
dottrina «marxista» e della sua critica alla « religione ».
Il giudizio di Karl Marx sulla «religione » dev’essere situato nel suo tempo e nel suo contesto storico ; non proviene prima di tutto da una riflessione
teologica o filosofica sull’esistenza o
meno di Dio, ma dalla certezza che la
religione, in quanto fatto sociale, costituisce un ostacolo all’azione rivoluzionaria in vista della trasformazione
della società sul piano economico e
politico. La « lotta contro la religione
— dice Marx —è indirettamente una
lotta contro quel mondo di cui la religione è l’aroma spirituale » ; tuttavia
il termine « aroma » può essere frainteso, perciò è meglio sostituirlo con la
formula « oppio del popolo », certamente più adeguata e significativa.
Nella lotta rivoluzionaria che il proletariato deve condurre per la conquista del potere e la edificazione di una
società senza classi, la religione è
« l’oppio del popolo » ; un narcotico
che addormenta ed inebria, che sopprime ogni tentativo di resistenza e
attenua la sofferenza degli oppressi
con la speranza illusoria di una felicità celeste. Ai rivoluzionari, la « religione » non serve ; è legata al capitalismo
e alle forze reazionarie, perciò scomparirà con il loro decadimento e la loro
fine. Il mondo «reale» è quello terrestre con le sue lotte ed i suoi problemi ; « irreale » invece è l’al di là, di cui
la classe operaia ha bisogno, purtroppo, per dimenticare le ingiustizie di
quaggiù, ma di cui la borghesia si serve per mantenere il suo dominio e frenare l’azione rivoluzionaria. Come dirà
più tardi Lenin, fedele discepolo di
Karl Marx, « Dio è prima di tutto, storicamente, im complesso di idee prodotte dall’ ignoranza dell’ umanità
schiacciata dalle forze della natura e
dall’oppressione di una classe. La religione è ima specie di tossico spirituale che la perdere agli schiavi del capitale la loro umanità ed afiSevolisce
ogni desiderio di conoscere una esistenza umana decente ». Questo latto,
però, non giustifica la vera e propria
persecuzione contro la Chiesa ; anche
se, in attesa della società nuova realizzata dal comunismo, Lenin dirà che
è necessario mostrarsi intolleranti, entro certi limiti, nei riguardi delle Chiese, soprattutto delle Chiese di Stato,
solidali con il potere costituito e con
le classi dominanti, di cui la Chiesa
ortodossa del suo tempo costituiva un
esempio tristemente significativo.
«Aroma, tossico spirituale, narcotico, oppio del popolo » : ma di qua.le religione si tratta? Della religione in generale oppure del Cristianesimo o di
una Chiesa particolare, cattolica, ortodossa, protestante?
É molto probabile che Marx ed i
suoi amici pensassero alla religione in
generale, tuttavia non dobbiarno dimenticare che essi avevano dinanzi
agli occhi un Cristianesimo storico ed
una religione cristiana, con le loro
luci ma anche con le loro ombre oscure e pericolose ; la qual cosa deve farci
riflettere assai. Certamente la Bibbia
non è il « Capitale » di Karl Marx^ e
la società umana che il marxismo intendeva costruire sulle rovine della
borghesia dominante non è la Chiesa
di cui Cristo è il Signore. Ma, siccome
le vie' di Dio non passano sempre ed
esclusivamente attraverso la chiesa
cristiana, nulla impedisce a Dio di parlare alla cristianità anche per bocca
di un uomo come Karl Marx. Nessuno
si scandalizzi per questo, nessuno tema per la salvezza dell’anima mia!
Esiste difatti una netta linea di demarcazione fra la dottrina cristiana e
quella marzista; tuttavia dobbiamo lasciarci interpellare, se necessario, anche da Marx per giudicare in qual niisura la critica da lui rivolta alla religione cristiana del suo tempo rimane
valida oggi, nelle sue cause e nelle sue
conseguenze. Non sappiamo se Marx
rivolgerebbe la stessa accusa alla Cnstianità del nostro tempo; ad ogni
modo un serio ripensamento da parte
delle chiese cristiane sui loro compromessi e sulla loro fuga dal posto di
combattimento appare ancora giustificato.
A questo punto, però, dobbiamo
chiarire un fatto estremamente importante. Ho sentito pronunziare più
volte questa frase : « la religione è l’oppio del popolo » ; l’ho sentita ripetere
a ragione ed a torto, come se il giudizio sulla « religione » dovesse coinvolgere nella stessa condanna la religione, la chiesa, la fede e la pietà dei credenti, insomma tutto ciò che molti oggi contestano in nome dei loro
principi e delle loro scelte, non escluse
le loro scelte politiche.
Che cos’è la « religione »? Una istituzione ecclesiastica, una dottrina, un
insieme di atti e di riti sacri che si
compiono nel settore « religioso » della vita umana, una filosofia ed una riflessione sulla esistenza dell’uomo? In
questo caso anche il marxismo iiel suo
insieme potrebbe essere una religione,
la religione delle « realtà terrestri »
con la sua visione esclusivamente eco
nomica dell’uomo e della società; cioè
si potrebbe dire che anche il marxismo è « oppio per il popolo », con una
motivazione naturalmente diversa da
quella di Karl Marx nella sua critica
alla « religione ».
In realtà, tanto il termine « religione » quanto il concetto che esso esprime sono privi di un fondamento biblico. Può sembrare strano, ma è cosi;
mentre i cristiani non possono fare a
meno di parlare di religione e di uomini religiosi, la Sacra Scrittura parla invece di vocazione, di fede, di ubbidienza, di testimonianza, con un inconfondibile riferimento a Dio ed a
Colui che lo ha rivelato, cioè Gesù Cristo. La religione degli uomini della
Bibbia è in realtà una « vita » vissuta nella fede ogni giorno ed in qualsiasi luogo; si tratta di una sola e
stessa fede, tanto per « Tal di qua » come per «Tal di là». Il culto che i credenti offrono a Dio è un culto in
« spirito e verità » quaggiù sulla terra,
nell’attesa del giorno in cui Dio farà
veramente « ogni cosa nuova ». Non si
tratta di un culto formale, ma concreto e vero : « Con che verrò io davanti aH’Eterno e m’inchinerò davanti
all’Iddio eccelso? O uomo. Egli t’ha
fatto conoscere ciò che è bene; e che
altro richiede da te l’Eterno, se non
che tu pratichi ciò che è giusto, che
tu ami la misericordia, e cammini
umilmente con il tuo Dio?» (Michea 6: 6-8).
Il messaggio centrale del Nuovo Testamento non è l’annunzio di una religione nuova; è piuttosto l’annunzio
della salvezza e del Regno di Dio mediante l’opera compiuta da Gesù Cristo. La storia del Cristianesimo, purtroppo, è segnata da molte infedeltà a
Dio e da molte deformazioni del culto
che gli è dovuto; per constatarlo non
abbiamo bisogno di disturbare Karl
Marx, basta che ci confrontiamo con
il messaggio profetico e con l’insegnamento di Cristo, il quale è stato assai
poco « religioso » nel senso ordinario
di questo termine, ma ha messo in
luce una vita nuova che è esattamente l’opposto della « religione » che
Marx definiva come « l’oppio del popolo ». Per questa ragione la Chiesa
cristiana cioè anche la nostra Chiesa
dev’essere attenta alla voce del suo Signore : attenta e vigilante, nella -predicazione e nella testimonianza dei
suoi fedeli. Il credente e la comunità
sono liberati dall’oppio del popolo mediante l’Evangelo, ma in vista dell’Evangelo, non di qualche altra dottrina o di una religiosità superficiale
e ibrida, insensibile alle sofferenze dei
popoli, aperta verso il mondo, ma più
o meno priva di ciò che Gesù intendeva per « sale della terra ». Una tale
religione non crea degli uomini nuovi
ed una società nuova; l’uomo nuovo
lo crea Iddio quando Egli opera in noi
secondo la Sua promessa : « Terrò dalla vostra carne il cuore di pietra e vi
darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio spirito, e farò si che
camminerete secondo le mie legga... e
voi sarete mio popolo, e io sarò vostro
Dio» (Ezechiele 36: 26-28).
La « religione » è ovvero può diventare un narcotico che c’inebria e ci
sottrae al buon combattimento della
fede. L’Iddio della Bibbia, invece, è
l’Iddio vivente. Colui che « non sonnecchia né dorme ». La Sua parola
non è tranquillante, è piuttosto uno
squillo di tromba che ci sveglia dai
nostri facili sonni e ci raduna per il
Suo servizio. Per questa ragione oggi
non basta ripetere ad ogni pié sospinto, spesso in funzione demagogica,
che « la religione è l’oppio del popolo ». Bisogna al tempo stesso o prima
di tutto prestare ascolto alla Parola di
Dio, per operare in seguito secondo la
Sua volontà.
Ed è proprio ciò che molte volte,
purtroppo, non abbiamo voglia di
fare!
Ermanno Rostan
Ho letto con interesse, nel numero 22 deirEco-Luce, la noterella storica di Giorgio Tourn, e con etimologica simpatia il suo commento,
così pervaso da preoccupazioni di
ordine pastorale. Tutti quegli interrogativi mi hanno commosso; e mi
pare che valga la pena di cercare
una risposta a questi interrogativi
stessi, poiché ho l’impressione (forse perché sono un laico) che, tutto
sommato, il patetico commento si
sarebbe potuto e dovuto impostare
diversamente.
Vorrei quindi ricordare brevemente un’altra pagina di storia valdese, per certi aspetti non molto
dissimile da quella citata da Giorgio Tourn.
Coniincerò ricordando il nome
della parrocchia : Fenestrelle. Ho
sotto gli occhi una copia degli Atti
del Concistoro di Fenestrelle dall’anno 1628 al 1663.
Scritti in una lingua approssimativamente francese, essi ci danno un
quadro, vorrei dire quasi spietato,
della vita di quella comunità, sul
piano ecclesiastico e civile. Non bisogna infatti dimenticare che le attribuzioni di un concistoro, in quel
periodo, erano molto diverse, più
ampie ed impegnative di quelle di
un Concistoro, oggi e qui. Sovrintendeva, in pratica, a tutta la vita
della comunità, e la comunità era
comunità civile e religiosa.
Il periodo: 1628-1663: i decenni
dell’agonia valdese in Pragelato. Il
re di Francia entra in Piemonte; il
2 aprile 1629 il Commissario emana
un’ordinanza con la quale impone
la restituzione alla Chiesa Romana
di tutti i beni ecclesiastici; la peste
e la carestia fanno strage; il priore
■iiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiai
L’ottava Conferenza Metodista Italiana
La novità più rilevante è stata l’istituzione di un secondo ruolo pastorale:
i “pastori locali” non a pieno tempo - Vivo interesse per l’azione sociale
Abbiamo pubblicato, nel n® scorso,
una relazione del nostro « corrispondente metodista », il past. Giuseppe
Anziani, sulla Conferenza annua della
Chiesa sorella. Un membro della delegazione valdese ci invia ora questa
corrispondenza. red.
L’ottava conferenza della Chiesa
Evangelica Metodista d’Italia si è tenuta a Roma nei giorni 14 e 17 maggio
a cavallo del Primo Sinodo congiunto
valdo-metodista.
Frequenti ed incisivi sono stati i
richiami al documento redatto dalla
Conferenza di Savonà nel ’68 nei messaggi di apertura del Presidente, pastore Mario Sbaffi e del Vicepresidente Pietro Trotta. Detto documento impegnava la Chiesa, chiamata a predicare la Parola in un tempo di crisi e
di radicali trasformazioni della società, ad una ricerca di soluzioni nuove
ed adeguate che consentano modi di
servizio e di testimonianza consoni al
momento. Le comunità erano state
quindi invitate allo studio di alcune
realizzazioni pratiche ed alla rinuncia
di una pietà coltivata soltanto nel loro interno per dar luogo ad un più vigoroso annuncio dell’Evangelo, senza
compromessi, a tutto il Paese. Fra le
realizzazioni pratiche riproposte dalle
comunità alla Conferenza, con il consenso unanime dei suoi rappresentanti, è senza dubbio la più importante
quella relativa aH’istituzione di un secondo ruolo pastorale. La Conferenza,
applicando una regolamentazione per
ora ancora sperimentale, ha deliberato di accogliere e consacrare al ministero quei membri comunicanti che
abbiano già fatto parte degli organici
della Chiesa e che si sentono chiamati dalla loro vocazione pastorale a servire le comunità nell’ambito di un determinato circuito. Questi nuovi pastori, già impegnati in una propria attività lavorativa che li renderà economicamente autonomi, eserciteranno il
loro servizio gratuitamente ed il loro
riconoscimento costituisce una riaiTermazione pratica del principio del sacerdozio universale di tutti i credenti,
premessa indispensabile per avere delle comunità aperte e veramente testimoni della loro fede.
Il dibattito è proseguito nella prima
giornata dei lavori con l’esame dei
rapporti sull’attività dei predicatori
laici, della gioventù e della stampa.
In particolare la Conferenza ha posto
la sua attenzione sulla GEM e dopo
un sereno dibattito ha approvato l’impegno dei giovani a proseguire secondo le linee elaborate al congresso di
Ecumene e in vista del prossimo congresso GEL Dibattuto anche il tema
della stampa: « Voce Metodista » ha
raccolto larghi consensi non senra però che si sia chiaramente delineato
l’impegno di una valorizzazione sempre più ampia degli organi d’informazione della Federazione in modo da
fornire le Chiese di strumenti sempre
più idonei ad una divulgazione di massa del proprio pensiero e delle proprie linee.
Il secondo giorno dei lavori, ripresi
dopo la sessione congiunta del Sinodo, ha risentito notevolmente dell’influenza del lavoro in comune e della
volontà di colmare il ritardo con cui
detto lavoro è stato avviato.
Uditi i rimanenti rapporti delle varie attività l’attenzione è stata attratta
particolarmente dalla relazione della
Commissione di Azione Sociale. Mentre si è preso atto ancora una volta
delle iniziative portate avanti da alcune comunità nell’ambito del contesto sociale in cui esse vivono ed in
cui hanno sentito la necessità di affiancare all’evangelizzazione una testimonianza concreta e valida, si è constatato come sovente le varie opere
di penetrazione sociale rimangano
esperimenti locali gravanti sulle iniziative e sui doni di capacità e di dedizione di alcuni promotori. È stata
perciò richiesta, pur riconoscendo alle
situazioni locali ed alle comunità, la
ragion d’essere delle iniziative sociali,
una sempre più valida collaborazione
ed un incremento di contatti e di
scambi fra tutte le opere che agiscono nell’ambito della Chiesa. Si è auspicato infine un rapido evolversi del
dipartimento sociale della Federazione
per un coordinamento degli sforzi
compiuti, al fine di evitare dispersioni
e concentrare e caratterizzare le iniziative dell’evangelismo nel contesto
sociale italiano.
Al termine le votazioni: hanno confermato l’adesione della Conferenza alle linee tracciate ed alle iniziative intraprese, pochi i mutamenti e puramente dettati da esigenze esterne. Il
Comitato Permanente è risultato quindi così composto: laici: Sergio de Ambrosi, Giorgio Spini, Emidio Sfredda;
pastori: Aurelio Sbaffi, Massimo Tara,
Ivo Bellacchini; Presidente e 'Vicepresidente designati: pastore Mario Sbaffi e sig. Niso de Michelis; Segretario:
pastore Sergio Aquilante.
Un delegato valdese
Contro la fame degli altri
Dall’elenco che figura in calce, i
lettori vedranno che abbiamo nuovamente raggiunto e superato la cifra di L. 1 milione.
Diciamo « nuovamente » perché
in precedenza abbiamo già inviato
oltre L. 2 milioni per il Biafra e per
la scuola agricola di Linea Cuchilla
in Argentina, tramite l’Eper, che è
l’organo assistenziale delle chiese
svizzere.
Come già preannunciato, e grazie
al costante contributo dei sottoscrittori, provvediamo ora ad inviare la
somma di 8 mila franchi francesi
(pari a ca. L. 1.040.000) al Centre
Familial Evangélique del Gabon
(Africa) allo scopo di poter collaborare, sia pure in modesta misura, all’opera medico-sociale che
questa organizzazione sta colà svolgendo, specie a favore dell’infanzia
sottoalinientata. Si tratta di un
« bicchier d’acqua » che i lettori di
« Eco-Luce » vogliono inviare, ovviamente non con spirito di « beneficenza » ma nell’intento di affiancarsi a quelle persone (e ricordiamo in modo particolare la missionaria Anita Gay) che con fraterno spirito di carità e responsabilità cerca
no di responsabilizzare a loro volta
quei lontani fratelli sulla loro vita
familiare e sociale.
Con questo invio, naturalmente la
nostra iniziativa non si arresta ed
anzi cogliamo l’occasione per rinnovare il nostro caldo appello a tutti i
lettori affinché, con le loro costanti e
numerose sottoscrizioni, ci consentano quanto prima di effettuare nuovi versamenti a nome del nostro settimanale.
Ricordiamo che le offerte vanno
possibilmente inviate al conto corrente postale n. 2/39878 intestato a
Roberto Peyrot, corso Moncalieri,
n. 70, Torino. Grazie!
Da S. Germano Chìsone : la Chiesa valdese L. 2.000.
Da Torino: L. Rostan 1.000; fam. I. Botta 4.000; V. Negro in occasione della sua
confermazione 20.000.
Da Angrogna: E. e D. Malan 1.000.
Da Villar Pellice: D. Gay 1.000.
Da Roma: B. Subilla 60.000.
Da Venezia: A. Bogo 1.000; D. Ispodamia
2..500; G. Ispodamia 2.500.
Da Prati: La scuola domenicale 50.000.
Da S. Pietro Vernotico (BR): S. Santoliquido 3.000.
Da Torre Pellice: S. Longo 1.000.
Totale L. 149.000; tot. prec. 922.036; tot.
complessivo: L. 1.071.036.
ritorna a Mentoulles « ma durante
circa trenta anni è il solo prete e
il solo cattolico della valle ».
Nel 1645 l’oppressione si aggrava
e la lotta si acuisce; i valdesi difendono il loro diritto all’esistenza e
nei giorni della gloria e del marti
rio delle Pasque Piemontesi accol
gono fraternamente i fratelli brac
oati. Ma la revoca dell’Editto d
Nantes vibra il primo colpo spieta
to per il Pragelato; duemila abitan
ti lasciano il paese natio per stabi
lirsi in Isvizzera o in Germania.
Ma chi erano questi valdesi che
affrontavano quel tragico viaggio?
Come noi? Migliori di noi? Peggiori
di noi? Gli « Actes da Consistoire
de Fenestrelles » ci aiutano a conoscerli meglio, sul piano della storia.
Sono verbali sconcertanti che ci
presentano uomini e donne alle prese con tutti i problemi della vita
quotidiana, la quale fa sentire il suo
peso in un modo tale che potrebbe
spingere un pastore ad esclamare:
« ...Tutto è finito, non c’è più Chiesa cristiana in quel villaggio... ».
C’era, è vero, l’istituzione, il C(mcistoro !
E il Concistoro, la domenica 22
agosto 1628 convoca quattro membri di Chiesa, imputati di aver giocato a (c la paume » e a « la bah- »
la domenica. Il pastore David Jordan li ammonisce; i quattro chiedono perdono a Dio, ma dichiara lo
esplicitamente di non poter promettere di astenersi da quel peccalo,
quando si trovino in compagnia di
altri (fra loro il capitano Jehan Berrei e il mareschal Anthoyne Borrtl).
Abbiamo poi tutta una serie di
sedute consacrate alla soluzione di
vari casi, oggi li chiameremmo r ati: eredità contestate, furti denrjiziati e negati, tentativi di corruz one, denunzie di bestemmiatori, calunnie ed insulti reciproci (c’è tiitto un elenco di insulti che potrebbe
arricchire il vocabolario della [•■iù
disgraziata « passeggiatrice »).
C’è Samuel Revior che il 19 luglio
1629 rinunzia ai suoi tentativi ili
giustificazione, riconosce la sua colpa, « demande pardon a Dieu genous a terre », ma ci sono arHie
« Marie Clement et Jehanne et diarie, ses filles », che hanno sparl .io
del pastore e di sua moglie, le qirali
rifiutano recisamente di giustific.ìrsl davanti al Concistoro.
L’esclusione dalla partecipazione
alla Santa Cena è una pena che ritorna di frequente negli Atti; a1< lini sembrano temerla, altri no; la
esortazione al rispetto del giorno '¡el
riposo è pure frequente, e non iiuoica l’invito personale ad un padre di
occuparsi più seriamente dell’educazione di suo figlio.
...E potrei continuare, ma la vita
non cambia; e non si tratta qui dello scritto di « un uomo » o di « un
gruppo y>: sono verbali, aridi, precisi, sempre col nome e paternità
del peccatore.
I grandi problemi sembrano a.ssenti. Non si parla della predicazione; la politica del re di Francia o
di Casa Savoia sembra la politica
che si svolge su un altro pianeta.
Ma c’è ancora una Chiesa cristiana a Fenestrelle?
Perché qui si tratta di fatti, di
una forma di vita documentata da
cpiesti fatti, che hanno una conclusione, della quale gli Atti non parlano; duemila Valdesi lasciano il loro paese, partono dal Val Pragelato, uomini, donne, bambini con la
loro miseria e, vorremmo dire, con
la loro fede!
Ma non era un popolo senza fede,
il popolo Valdese di Fenestrelle?
Sarebbe interessante di sapere cosa ne pensasse il pastore David Jordan e qualche suo collega. Interessante forse, ma sul piano della sloria, perfettamente inutile: solo la
realtà dei fatti conta : e conta il fatto che, nonostante tutti gli Atti del
Concistoro, le Relazioni al Venerabile Sinodo, ecc., Dio .si è servito
di quel gruppo di poveri diavoli disperatamente attaccati alle loro
« brue », li ha ritenuti degni della
via dell’esilio, di marcire nelle carceri, di sognare l’aria pura dei monti nelle paludose terre del Nord, o
su qualche galera del re cristianissimo. L. A. Vaimai.
3
13 giugno 1969 — N. 23-24
Pig. o
La Federazione delle Chiese Evangeliche io Italia ha indetto per la domenica 8 giugno la “giornata deireiuigrante”
"Mia è la terra - elea l'Eterna e voi state da aie cene stranleii
in permesse di residenza e di saggiorna"
La lettura
bibli
ica
Le nostre chiese sono invitate dalla Federazione evangelica italiana a riflettere sul problema delle migrazioni, o meglio dei migranti. Problema antico, ma che certamente si pone oggi in termini
di particolare gravità, avendo assunto dimensioni
massiccie di una complessità impressionante. Non
possiamo evidentemente affrontarlo ora: ci vorrebbe un'intera biblioteca a raccogliere le inchieste, le statistiche, gli studi e i programmi dedicati
a questo problema.
Possiamo soltanto accennare alla distinzione
fondamentale fra migrazioni libere, volontarie, che
possono anche essere un fattore positivo di miglioramento sociale e culturale, di rottura del ghetto dell’angusto ambiente natale, di fecondo scambiti Ira i popoli — e migrazioni forzate dalla violenza di fattori politici e militari o dalla violenta
pressione del bisogno che spinge a cercare altrove,
all'interno della propria nazione, o oltre i suoi confini, anche lontanissimo, un qualche mezzo di sussistenza per sé e per la famiglia. E evidente che
abbiamo qui due modi profondamente diversi di
afirontare il trauma migratorio, con lo sradicamento che comporta e il nuovo ra'dicamento spesso così difficile: poiché sono ad esempio fenomeni ben diversi il venire fra noi di quelle fami,.die svizzere che da Torino a Trieste a Cata
Jmattina di domenica 8 giugno il
culto evangelico radiotrasmesso è
stato presieduto dal past. Franco Ronchi, inserito da anni nel lavoro delle comunità evangeliche di lingua italiana a
Zurigo e nella Svizzera settentrionale,
e in quello dell'équipe che cura il lavoro della scuola media serale «P. M. Vermigli » nella città sulla Limmat; egli ha
dato un buon messaggio suU’agàpe nella prima epistola di Giovanni, centrato
sul problema particolare dei migranti,
vissuto dal di dentro; forse il « notiziario » che segue il culto avrebbe potuto
essere dedicato a questo problema. Poiché abbiamo mancato nel non dare prima maggiore rilievo a questa riflessione
cristiana, speriamo di non far cosa inutile nel pubblicare questa predicazione
(il testo è quello del titolo) tenuta dal
past. G. Conte nella chiesa di Corso Vittorio a Torino, in questa occasione.
nia hanno costituito uno dei nuclei iniziali di tante nostre comunità evangeliche cittadine o delle
famiglie dei tecnici anglosassoni della nuova BP
ILEVmCO 25, 231
di Volpiano, e il partire del bracciante di Grotte
o di Rapolla o di S. Giovanni Lipioni, alla ventura
in un mondo ignoto, solo con la sua valigia di
corda.
Possiamo solo ricordare quel che c’è dietro i
baraccamenti di operai stranieri un po’ dovunque
nell’Europa e nel mondo, dietro i treni affollati
da e per il sud (e non solo il meridione italiano,
ma quello spagnolo, greco, jugoslavo, e soprattutto l’immensa fascia della mano d’opera di colore, che dall’emisfero della fame migra verso
quello ’sviluppato’); quello che c’è dietro il raddoppio delle nostre metropoli del nord e, perché no, dietro lo spopolamento delle nostre valli
alpine.
Sono tutte cose che non pochi di voi qui raccolti hanno vissuto o vivono nella propria carne,
nella propria famiglia, nel travaglio migratorio
contemporaneo; e agli altri non farebbe male ogni
tanto, magari al momento delle ferie natalizie o
estive, recarci a Porta Nuova per la partenza o
l’arrivo dei « treni del sole » e osservare non con
distacco ma con sguardo fraterno tutta questa
parte del nostro popolo — come di tanti altri popoli — assoggettata a questa dura costrizione; e
chiederci le cause di questa costrizione, e comunque in qual modo si possa alleviare questa pena.
I a nostra riflessione, oggi, può comin^ ciare dalla constatazione che il problema dei migranti è uno di quei problemi umani e sociali che, nel mutare
de Te condizioni di vita, trova più diremo riflesso nella rivelazione biblica.
e si eccettua la grande premessa
dea primi 11 capitoli della Genesi, la
ve a e propria storia biblica, la storia
de Patto antico e nuovo inizia con un
fc! omeno migratorio: «Abbandona la
tu, casa e il tuo parentado, il tuo ambiente sociale ed economico e parti alla , olta di una terra che Io ti darò »,
di e Jahvé ad Abramo e Abramo si
mi ove alla volta di Charan, poi di Canaan, con tutto il suo clan familiare,
po tribale. Per tre generazioni si prolui ga questo sradicamento, in una vita nomade e precaria, se non povera
(dr. Ebr. 11).
“oi la grande prova: questa volta
non è la pura voce di Dio in un cuore
d’uomo a spostare una popolazione, o
piuttosto questa volta Dio conduce il
suo popolo attraverso la carestia, la
farne; e le tribù migrano alla volta dei
granai d’Egitto, ma dopo un mornento di boom economico e sociale vengono presto assoggettate agli interessi
eg .liani: un magro pane viene assicuralo agli ebrei, ma saranno costretti
a vendere il proprio lavoro, la propria
La Gonfessiona
di peccato
Quando qualche fore.stiero soggiornerà con voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero che soggiorna
fra voi, lo tratterete come colui che
nato fra voi; tu Lamerai come te stesso; poiché anche voi foste forestieri nel
paese d’Egitto. Io sono Jahvé, il vostro
Dio.
(Levitico 19: 33-34)
esistenza intera e la loro stessa compagine familiare sarà minacciata. Fra
questo popolo di schiavi Jahvé, l’Iddio
delle liberazioni, manda il liberatore
Mosé ed è la terza, grande migrazione
verso « il paese ove scorre il latte e il
miele », passando però attraverso le
tappe fondamentali del Sinai e del deserto, questa impressionante scuola attiva nella quale Dio si fa conoscere
nella propria gloria onnipotente e nel
proprio amore geloso e pietoso, e forma il « suo popolo ». Si torna a Canaan, la patria degli avi nomadi, che
soltanto ora diventerà vera patria.
Nei secoli successivi Israele, continuamente pungolato dalla predicazione dei profeti, vivrà l’ardua dialettica
fra il gioioso fruire del dono di Dio e
il pericolo di cadere nel peccato di
considerare il dono come un possesso
assoluto e Jahvé soltanto più come
un patrono, non più come il Padrone.
Questo peccato le tribù non lo commetteranno mai impunemente, come
insegneranno loro i colpi avversi dei
quali la loro storia spesseggia, culminando nella grande migrazione forzata in Oriente: quella di Samaria prima, quella di Giuda poi; veramente
Israele ha sperimentato al vivo che la
terra non era sua, ma di Jahvé. Le leggi divine che reggevano la vita del popolo « santo » (si pensi solo all’anno
sabbatico, al giubileo, alle decime,
ecc.), la liturgia secondo la quale esso
viveva il culto comunitario e familiare
(si pensi ad es. al passo del Deuteronomio letto prima), la prospettiva nella quale veniva scritta e predicata, riletta e cantata (in quanti Salmi!) la
storia antica, questi e molti altri elementi ci mostrano chiaramente che la
spina dorsale della fede ebraica vissuta era costituita da questa affermazio
ne contenuta nel Levitico: « Mia è la
terra — dice Jahvé — e voi state da
me come forestieri e avventizi », cioè
come stranieri in permesso di soggiorno per lavoro.
Questa coscienza, poi, doveva pure
guidare i rapporti fra Israele e « il forestiero che sta entro le tue porte »,
via via che Israele si sistema a sua
volta nella nuova terra, che la situazione si inverte e che individui o gruppi di altre stirpi e di altre regioni vivono e lavorano in mezzo ad esso. Se
si scorre l’Antico Testamento, si resta
colpiti dall’insistenza su questa nota
(«e ti ricorderai che anche tu fosti
straniero e schiavo... », esule e migrante), tanto più rara e originale se la
confrontiamo con il modo in cui il
problema si poneva presso altri popoli, magari di civiltà ben superiore.
Anche nel Nuovo Testamento viva e
profonda è la coscienza di essere
«stranieri e pellegrini-» (Ebr. 11: 13;
I Pie. 2: 11). Non soltanto viene interpretata in questo senso la storia d’Israele (Ebrei 11), ma ora che è venuto
il momento in cui l’Evangelo fa saltare ogni particolarismo ebraico, il corpo di Cristo è chiamato a vivere ovunque nel mondo, in ogni situazione, come « straniero e pellegrino », nella coscienza di non potere e di non dover
avere, qui, « una città stabile » e di
essere più che mai in cammino, come
i padri antichi nella fede, verso « la
città dai fondamenti autentici, il cui
architetto e costruttore è Dio ». Si pensi alla « cittadinanza nei cieli » di cui
parla Paolo (Fil. 3: 20) e ai suoi riflessi nella situazione carica di tensioni
impressionanti che egli attesta — e
non a parole soltanto — nella prima
lettera ai Corinzi (7: 29 ss.): « Ma questo io dichiaro, fratelli: il tempo è ormai abbreviato; sicché d’ora innanzi
quelli che hanno moglie, siano come
se non l’avessero, e quelli che piangono, come se non piangessero, e quelli
che si rallegrano, come se non si rallegrassero, e quelli che comprano, come se non possedessero, e quelli che
usano di questo mondo, come se non
ne usassero, perché lo schema (oggi
diremmo: la struttura) di questo mondo passa ». Ed è antica e nota l’immagine secondo cui la comunità cristiana è come una « colonia » di un
altro mondo, che nel quadro di questo
mondo vive secondo altre leggi, quelle della madrepatria.
Alla luce di questi brevi cenni, vi
sono due ordini di pensieri che ci vengono ispirati dalla Parola di Dio, in
questa occasione nella quale ci soffermiamo a riflettere sul drammatico fenomeno migratorio odierno.
In primo luogo, il fatto migratorio in
sé appare e rimane, per i cristiani,
parabolico. Di fronte ad esso noi cristiani siamo richiamati a un altro fatto, che ci concerne tutti: insieme (non
come individui isolati! Dio ha dato e
dà una famiglia al solitario chiamato
a essere « in cammino » verso il Regno che viene) siamo — o dovremmo
essere — una gente particolare, senza
fissa dimora (Gesù diceva: « senza
avere dove posare il capo ») materialmente, socialmente, culturalmente e
spiritualmente parlando, cosciente di
vivere « sotto tenda » come ha fatto il
suo Signore, il quale un giorno « ha
piantato per un periodo la sua tenda
fra noi » (Giov. 1: 14): tutto, cioè, fuorché essere sistemata una volta per tutte e confortevolmente in una data situazione. Noi cristiani siamo — o dovremmo essere — una gente « santa »,
messa a parte, che accetta questa situazione in cui la chiamata del suo
Signore l’ha posta (il « parti, lascia il
tuo ambiente...» vale anche per noi!),
che accetta di vivere effettivamente in
essa, ricercando con la desta e inesau
ribile fantasia dell’amore quel « nuovo
stile di vita » che l’assemblea ecumenica diUppsala ha chiesto alle Chiese
di inventare, plaunare e vivere, affinché esso sia un segno di richiamo per
la nostra generazione, come nella sua
compagine di popolo « santo » lo è stato Israele prima, la comunità primitiva poi, e qua e là, a sprazzi, la chiesa
nella sua storia. Un segno estremamente umano, fallibile, ambiguo, ma
pur sempre un segno di questa situazione di « stranieri e pellegrini », di
gente in « permesso di soggiorno per
lavoro ».
In questa situe./.ione siamo, e dovremmo riconos' rei del tutto dipendenti da Dio, meiodopera della quale
egli non ha affai o bisogno ma di cui
pure egli vuole servirsi, per amore,
chiamandoci a lavorare a giornata nella sua vigna, in un rapporto di pura
grazia e gratuità nel quale è inconcepibile avanzare la benché minima rivendicazione sindacale.
A una chiesa, a una cristianità da
secoli sempre meglio sistemata nella
città terrena, il fenomeno migratorio
ricorda, come una parabola resa vivida dalla testimonianza biblica, quale
distanza diciamo pure abissale separa
la nostra effettiva vita cristiana, qui
in questo nostro paese occidentale,
dalla vocazione che ci è rivolta; ci ammonisce — fenomeno muto eppur par
I Iron
L’intercessione
per i migranti del nostro popolo e
degli altri;
per i pastori Carmen e Silvio Ceteroni, Elio Eynard, Liborio Naso, Sergio
Rostagno e tutti i loro collaboratori nel
servizio e nella testimonianza fra i lavoratori italiani nella Svizzera e nella
Germania;
per l’attività delle altre équipes evangeliche italiane o di lingua italiana all’opera in Europa e nel mondo in questo campo;
per l’impegno delle Chiese evangeliche sorelle nei paesi ove afltiiscono i
i migranti per lavoro;
per l’attività degli organismi e dei
gruppi di lavoro per i migranti, nell’ambito del Consiglio ecumenico delle
Chiese e della Federazione delle Chiese
evangeliche in Italia;
per l’attività degli organismi e dei
gruppi di lavoro in favore dei migranti,
in Italia e all’estero a livello delle Nazioni Unite;
affinché sia dato a tutte le nostre comunità di prendere coscienza
delle proprie responsabilità verso i migranti, a livello generale come sul piano locale, e di tradurre questa presa di
coscienza al Dio vivente a cui « appartiene la terra e tutto ciò che è in essa,
il mondo e lutti i suoi abitanti » (Salmo 24: 1), e di servizio al fratello: un
servizio mosso dall’inesauribile fantasia dell’amore, ma lucido nel ricercare
e individuare le vere dimensioni del
jjroblema migratorio odierno e nclTaffrontarne i punti più dolenti.
laute come il volo degli uccelli e lo
sbocciare del giglio di campo — contro la nostra paura del nuovo (così come, del resto, contro il rischio di subito risistemarci in un nuovo che tosto ridiventa vecchio); ci stimola a vivere, come individui e come chiese, più
come un migrante con la sua valigia
tenuta chiusa con la corda, che come
un beato possidente che ha nwlti beni
ma che non può con essi comprare la
vita. Se davvero « la nostra cittadinanza è nei cieli ».
E in secondo luogo, di fronte al fenomeno migratorio dobbiamo prendere sul serio, dopo Israele, l’affermazione del nostro Dio, Jahvé: « La terra è
mia ». Sua è la terra e sua l’energia,
suo il suolo e suo il sottosuolo, suoi
gli spazi terrestri, marini, aerei e cosmici, suo il petrolio e sua l’energia
nucleare, suo il capitale e sua la forzalavoro; e questo dovunque, nella Ruhr
o a Wolfsburg (patria delle Volkswagen) come a Avola, a Battipaglia come
a Cinisello o a Rivalta e soprattutto
a Detroit come nel nord-est brasiliano,
a Kwale 3 come a Metanopoli, a Johannesburg come a Londra, a Mosca come nel Bengala: dovunque, noi uomini siamo sulla terra di Dio come stranieri in permesso di soggiorno per lavoro, il che di fatto abolisce ogni reale distinzione fra noi: tutti ugualmente stranieri, i migranti e i residenti,
gli sradicati e i sistemati, tutti dipendenti alla lettera, di giorno in giorno,
dal permesso di residenza e di lavoro
che ogni mattina il nostro Signore ancora firma per noi, nella sua grazia;
tutti accomunati nello stesso debito di
gratitudine e di servizio a Lui, e per
Lui al prossimo; ma veramente tutti
alla pari in una terra, in una nazione,
in una città di cui l’Iddio vivente è Signore e in cui è quindi uno spaventoso
nonsenso, un assurdo crimine che il
migrante e il residente vivano in condizioni così terribilmente diverse, tali
da non corrispondere per nulla alla sostanziale parità del dono fatto a tutti.
E chiaro che non tutti gli uomini
sanno o accettano questa situazione:
sarebbe il Regno! Sembra invece regnare l’assurdo, al servizio degli egoismi e delle volontà di potere; e a milioni i migranti sono costretti a sradicarsi, in tutte le parti del mondo. Verso di loro deve andare la chiesa di
Cristo, senza l’illusione di « risolvere »,
ma con il duplice scopo di porgere un
servizio (è qualcosa di più e di diverso
che l’assistenza) fraterno e di levare
un segno che richiami tutti a quello
sconvolgente « Mia è la terra! » che
Dio pronuncia anche a proposito di
questo aspetto della società umana.
Concretamente, che dobbiamo, che
possiamo fare?
In primo luogo, renderci conto che
c’è già chi fa, fuori e entro le Chiese.
Vi è, da anni, un lavoro fra gli emigrati che tutte le Chiese compiono, anche se su basi diverse e partendo da
presupposti talvolta discutibili (paternalismo, proselitismo, clientelismo,
ecc.X Parallelamente a ciò che avviene
in altre Chiese, la nostra piccola Chiesa ha attualmente 3 uomini impegnati
parzialmente e 2 a pieno tempo in
questo campo, e se soltanto queste vocazioni si moltiplicassero, non faremmo che rispondere alla richiesta che
numerose Chiese evangeliche, specialmente in Germania, ci rivolgono in tal
senso. Il Consiglio ecumenico, e ora
anche la nostra Federazione evangelica italiana hanno commissioni di studio e lavoro, vi sono centri d’informazione, si progettano centri di formazione, per cercare di ovviare almeno
un poco alle partenze allo sbaraglio
dei migranti verso l’estero; si sono
compiuti qua e là, da S. Germano Chisone a Riesi, sforzi più o meno riusciti per frenare l’emigrazione lanciando
o rilanciando possibilità di lavoro in
loco. Il past. P. L. Jalla, del Comitato
europeo del CEC per le Migrazioni, ha
steso una serie di scritti su questi temi, per informare e coinvolgere le
chiese, e l’ultimo è stato curato dalla
Federazione evangelica appunto in occasione della « giornata dell’emigrante » indetta nelle nostre comunità per
oggi. Ma tutto questo, per la grande
maggioranza della chiesa, è lontano
quasi quanto la luna e comunque molto meno interessante. Occorre cominciare a occuparcene seriamente, finendola di affidare la questione a gruppi
Or quando sarai entrato nel paese che
Jahvé, il tuo Dio ti dà come eredità e lo
possederai e ti ci sarai stanziato, prenderai
delle primizie di tutti i frutti del suolo... e
andrai al luogo che Jahvé, l’Iddio tuo avrà
scelto come dimora del suo Nome. Ti presenterai al sacerdote in carica in quei
giorni e gli dirai : "Io dichiaro oggi a
Jahvé che sono entrato nel paese che egli
giurò ai nostri padri di darci". Il sacerdote
prenderà l’offerta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare di Jahvé, il tuo
Dio e tu pronunzierai queste parole davanti a Jahvé che è il tuo Dio: "Mio padra era un Arameo nomade (e "sul punto
di perire ); scese in Egitto e vi stette come straniero con poca gente, e vi diventò
una nazione grande, numerosa e potente.
L gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero un duro servaggio. 41lora gridammo Jahvé, all’Iddio dei nostri
padri e Jahvé udì la nostra voce, vide la
nostra umiliazione, il nostro travaglio la
nostra oppressione e ci trasse dall’Egitto
con potente mano, con prodigi e ci ha condotti in questo luogo e ci ha dato questo
paese ove scorre il latte e il miele. Ed ora
ecco 10 reco le primizie dei frutti del .'■uoJo che tu, Jahvé, mi hai dato!" E le deporrai davanti a Jahvé, il tuo Dio e ti pròstrerai davanti a Jahvé, il tuo Dio; e ti
rallegrerai, tu con il levita e lo straniero
che Sara in mezzo a te, di tutto il bene che
Jahvé il tuo Dio avrà dato a te e alla tua
casa.
(Deuteronomio 26: 1-11)
Per fede Abramo, essendo chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che doveva
ricevere in eredità; e partì senza sapere
dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende con Isacco e Giacobbe, credi con lui della stessa promessa, perché
aspettava la città che ha i veri fondame^nti e il cui architetto e costruttore è
^ Nella fede morirono tutti costoro senz avere ricevuto le cose promesse, ma avendole vedute e salutate da lontano e avendo confessato che erano stranieri e pellegrini sulla terra. Quelli che dicono tali cose dimostrano di cercare una patria...
Poiché noi non abbiamo qui una città
stabile, ma cerchiamo quella futura.
(Ebrei 11: 8-14; 13: 14)
di tecnici specializzati, trascurando
poi, di tatto, di esaminarne gli studi e
di impegnarci ad attuarne le proposte.
Dobbiamo acquistare coscienza attij*? come cristiani e come comunità
di Cristo in ogni città, in ogni nazione
e nel concerto (orribilmente stonato)
delle nazioni dobbiamo essere testimoni di Colui che si presenta come il difensore dello straniero’ che è entro le
nostre porte, di colui che non è integrato nel nostro sistema di vita, o vi
e integrato soltanto per quel che può
servire ai sistemati, trascurando la sua
individualità personale.
Dobbiamo prendere coscienza della
gravità del problema migratorio, delle sue dimensioni in aumento, delle
cause che lo determinano, lo prolungano, lo aggravano; seguendo in questo l’esempio di altre Chiese, come ultimamente le Chiese protestanti svizzere, che si sono apertamente e ferfnamente espresse contro la recente
iniziativa per un referendum elvetico
contro la troppa manodopera straniera: e non hanno solo dibattuto la questione, ma esercitano un’attiva pressione sulla comunità civile affinché affronti le questioni non in termini di
comodo e utilitaristici, ma di solidarietà umana.
Dobbiamo anche chiederci concretamente, qui nella nostra Torino, se proprio non abbiamo nulla da fare, nei
confronti delle centinaia di migliaia
di immigrati; se una chiesa relativamente numerosa e forte come Torino,
che sta per ricostruirsi un palazzone
(del resto utilissimo), veramente non
potrebbe impegnare un’assistente sociale che costituisca il nucleo di un
centro di servizio sociale anche largamente volontario (si pensi alTormai
decennale riuscito sforzo fiorentino);
se veramente non c’è alcuna presenza
fraterna da esercitare nella zona delle
Vallette, per fare un esempio; se l’annuncio in sé positivo — almeno per
molti — di un afflusso di alcune decine di migliaia di lavoratori meridionali, previsto prossimamente per un
estendersi della produzione FIAT, non
deve spingerci a porre a noi anzitutto, e alla città la domanda: come saranno accolti? dove alloggiati («non si
affitta a meridionali »)? come aiutati,
senza paternalismi, nel loro inserimento non certo facile? Una metropoli non
meravigliosamente organizzata come
la nostra, ha infrastrutture capaci di
assorbire armoniosamente questo massiccio afflusso? vi sono scuole, ospedali, alloggi? Se no grideremo all’aumento della delinquenza, specie minorile...
* * *
« La terra è mia » — dice Dio. « Torino è mia, e voi (tutti noi!) state da
me come stranieri con permesso temporaneo di residenza e di lavoro ». Vivere per grazia, mediante la fede, significa anche questo. Non è forse un
Evangelo stupendo? Sì, stupendo, perché annuncia un dato di fatto non dipendente da noi; e impegnativo, perché in esso ci coinvolge.
Amen
4
pag. 4
N. 23-24 — 13 giugno 1969
Il cristiano e io Staio
noi Alnovo Testameolo
Uno studio di Sergio Rostagno in preparazione di
un incontro di lavoro sui rapporti Chiesa-Stato indetta ad Agape dalla Federazione evangelica italiana
Il Servizio Studi della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia ha indetto ad
Agape, per il prossimo agosto (si veda in questa pagina il programma dettagliato) un
convegno di riflessione comunitaria e di dibattito su come si pone oggi, in particolare
per gli evangelici italiani, il problema dei rapporti fra Stato e Chiesa. A questo scopo
il medesimo Servizio ha diffuso due documenti: uno del past, Sergio Rostagno su
« Il cristiano e lo Stato nel Nuovo Testamento » e l’altro del prof. Giorgio Peyrot;
« Documenti per una indagine », preceduti da una nota illustrativa predisposta dal
responsabile del Servizio Studi, il past. Aldo Comba. Questi documenti possono essere
richiesti presso la presidenza della Federazione, ma ci è parso di particolare interesse
U saggio di S. Rostagno e contiamo pubblicavlo-iiì cdcuni numeri successivi; di G. Peyrot abbiamo pubblicato, lo scorso anno, una serie di articoli sul tema in oggetto, ora
rielaborati a fondo. Siamo grati a quanti ci forniscono questo materiale di riflessione
su un tema del quale non è il caso di sottolineare l’importanza.
1 - INTRODUZIONE: l’impero romano
Qual’è la situazione politica nel periodo del Nuovo Testamento? La realtà
politica dominante è l’impero romano. « L’imperatore Augusto era un eccellente organizzatore. Egli costituì gli stati soggetti in province dell’impero romano
governate da sovrani fantoccio o da funzionari romani chiamati ’procuratori’. Fu intrapresa la costruzione di una grande rete stradale ben lastricata.
Su quelle strade, i soldati romani potevano spostarsi facilmente dappertutto
per mantenere l’ordine » (S. Terrien, Les Pays Bibliques, p. 58).
Dai popoli sottomessi Roma pretende che paghino le tasse e se ne stiano
tranquilli. In cambio essi godono dei banefici imperiali: buone strade e sicure,
possibilità commerciali, rispetto delle autonomie locali. La politica la si fa a
Roma e la fanno cerehie molto ristrette. La giustizia funziona. Per i cittadini
romani essa è un poco migliore che per i popoli soggetti. Roma per ricompensare qualche suddito fedele lo promuove « cittadino romano ». Il padre del
l'apostolo Paolo è uno di questi. Il « jus italicum » (diritto vigente nella peni
sola) viene a volte esteso a dei popoli sottomessi: la città di Filippi viene ammessa a goderne dopo la fortunata battaglia di Ottaviano contro gli uccisori
di Giulio Cesare.
La Palestina negli anni che ci interessano passa attraverso diverse forme
di dominazione e diversi sovrani. Essa non è, politicamente, un territorio unitario, ma è frazionata in staterelli i cui confini sono in qualche caso assai difficili da riconoscere con esattezza. Tutto questo a noi interessa molto relativamente: la Palestina è sottoposta aH’impero romano, sia direttamente per mezzo
dei procuratori, sia indirettamente, in quanto Roma lascia a re locali il compito di governare per lei.
La popolazione ebraica assume grosso modo tre atteggiamenti: i sadducei
collaborano con Roma, i farisei e gli scribi si ritirano dalla vita politica e diventano religiosissimi, infine gli zelati vogliono fare la guerra ai romani, ma le
loro successive rivolte saranno tutte stroncate nel sangue.
Per i cristiani prirnitivi la posizione è diversa secondo che vivano in Palestina o nel resto dell'impero. Il problema politico si pone in fondo soltanto in
Palestina e particolarmente in Galilea popolata di zeloti. Gesù è galileo e tra i
suoi discepoli sono annoverati anche degli zeloti (Le. 6: 15). Nel resto del mondo mediterraneo, particolarmente in Grecia e in Asia Minore, il problema politico non si pone neppure. L’impero è la sola realtà politica e quel che agita il
mondo mediterraneo è assai di più la questione filosofico-religiosa del senso
del mondo che non la questione politica propriamente detta, che tutti giudicano
come cosa inferiore di cui non vale la pena di occuparsi.
È una domanda priva di senso chiedersi se i cristiani primitivi facessero
della politica. Prima di tutto essi appartengono a strati sociali estranei alla
vita politica del tempo. In secondo luogo non sembra che ad essi sia venuto in
mente di contestare come tale l’istituzione romana. Se ci fu contestazione, essa
non ebbe consapevolmente di mira lo stato, ma — a tutt’altro livello e direi
più profondamente — tutto ciò che si frapponesse tra l’uomo e la sua libera
fede in Cristo.
L’esempio degli zeloti non ha avuto molto peso, perché per i cristiani non
ha senso la ricostruzione di uno stato ebraico palestinese (che li avrebbe subito
perseguitati) come d’altra parte essi non hanno nessun motivo di rivolta contro l’impero. I cristiani non s’interrogano sul perché facciano parte dell’impero
romano: questo va da sé nel mondo mediterraneo e non solleva nessun particolare problema.
Il cristiano del primo secolo non appartiene alla classe di coloro che hanno la possibilità di fare la politica. Egli non è cittadino di uno stato nel senso
moderno e neppure lo vediamo agire nella sua «polis ».cioè nella politica locale; egli è piuttosto cittadino del mondo, cioè di quella vasta unità formata
geograficamente dal bacino mediterraneo e dalla rete delle strade imperiali.
Queste ultime, come si sa, sono ugualmente utili ai commerci e agli spostamenti delle grosse colonne dell’esercito romano, ad un tempo esercito con compiti di polizia e polizia formata come un esercito (la formula ha fatto scuola
fino ad oggi!). Ma in realtà cosa facciano le regioni romane è per il cristiano
primitivo una cosa indifferente. Egli appartiene ormai alla realtà cosmopolita
del mondo mediterraneo, ricca di scambi non solo culturali ed economici, ma
anche di popolazione e di costume. Aquila e Priscilla stanno ugualmente bene
a Corinto come a Roma.
Quel che interessa non è la realtà politica « stato », ma la ricca realtà culturale e religiosa « mondo » — Q ateniesi, io vi vedo esser in tutti i sensi estremamente religiosi (Atti 17: 22) — che è la realtà appassionante di un mondo
pieno di forze vecchie e nuove, culturali, spirituali, religiose, co.smiche, tutte intimamente mescolate, le quali non si sa se favoriscano o se minaccino l’uomo,
né se l’uomo sia abbandonato ad esse o possa in qualche modo dominarle. Questa percezione del « cosmo », di cui gli avvenimenti politici o culturali non
sono che una manifestazione, nella sua incertezza stessa dà adito a tutte le
paure e a tutti gli entusiasmi. Due scritti del Nuovo Testamento, che noi lasceremo da parte perché non direttamente connessi alla questione « stato », affrontano appunto il problema di queste paure cosmiche, parlo delle epistole « Ai Colossesi » e « Agli Efesini »,
Per questo troviamo che nel Nuovo Testamento si affronta di petto la realtà
« mondo » (ma la parola greca cosmo dice di più forse della nostra), cioè H problema della sorte dell’uomo nel bacino mediterraneo attraversato da ogni vento
di dottrina, mentre ci si disinteressa della realtà delle legioni romane. Del resto
Roma non è più Roma, l'impero, questa nuova realtà cosmica ha distrutto la
repubblica; e neppure la polis è più la polis, perché l’abitante è diventato
cosmopolita. Bruto e Cassio non hanno potuto arrestare il cammino della
storia.
Quando dunque nel Nuovo Testamento si parla delle « concupiscenze del
mondo » bisogna forse veder riassunti in questa parola tutti i richiami, tutti gli
entusiasmi, tutte le sollecitazioni di un mondo che offre improvvisamente molto in tutti i sensi ma non dà le risposte, e dove ognuno è spinto a cercare la
sua risposta finché non creda di averla trovata.
Perciò il pensiero del cristiano primitivo tende molto di più a considerare
gli eventi che si producono come rivolgimenti cosmici piuttosto che come fatti
politici. 'Tuttaria possiamo ancora chiederci cosa succeda praticamente quando
I cristiani che vivono nell’impero vengono alle prese con i poteri pubblici.
L’impero è assai tollerante in fatto di religione. Ciascuno crede quello che
vuole. Per lo stato i cristiani sono una specie di setta giudaica. I prirni casi di
conflitto sono collegati a semplici questioni di ordine pubblico: discussioni
troppo vivaci, proteste di avversari, tafferugli che vengono portati davanti all’autorità di polizia. I cristiani mostrano di essere innocenti; sperano, con ragionò, nella giustizia romana; anzi, in tutti i casi cristiani e romani finiscono
per intendersi e qualcuno si converte rapidamente. Questo è il quadro che danno gli autori cristiani, desiderosi di mantenere buoni rapporti e rintuzzare le
eventuali malevoli insinuazioni avversarie.
Questo quadro si guasterà a poco a poco. Dalle province si scriverà a Roma
per avere istruzioni sul comportamento da tenere nei processi contro gli indiziati di appartenere alla setta cristiana. Il potere politico sarà investito della
questione. I romani non danno credito alle dicerie secondo le quali i cristiani
compiono atti turpi durante i culti. Interessa loro assai di più un’altra faccenda: quello che essi chiameranno Vateismo dei cristiani. Non rispettare gli dei
significa non piegarsi a quelle norme universali di vita e di costume sulle quali
la società è fondata. Perché il cristiano non s’inchina agli ideali del mondo antico? Perché non vuol scorgere nel fatto imperiale una rivelazione divina? Perché non dice anche lui: Cesare è Dio? Questo lo fanno tutti. Perché il cristiano
si isola dalla massa? Questa è una questione politica, per i funzionari irnperiali.
Roma risponderà da principio che bisogna vedere caso per caso. Il diritto dell’impero è ancora applicabile ai cristiani. Poi la situazione andrà peggiorando
e qua e là scoppieranno le persecuzioni.
Cercheremo in seguito di riprendere tutta la questione a livello teologico.
Sergio Rostagno
A GENOVA, CONFERENZA DEL II DISTRETTO
Quieta attività, o sonno?
Nei giorni 1“ e 2 giugno si è svolta
a Genova la Conferenza del II Distretto che, come noto, comprende il
Piemonte (valli valdesi escluse) la
valle d’Aosta e la Liguria: era presente, come rappresentante della Tavola,
il pastore Pier Luigi dalla al quale,
coll’occasione, rinnoviamo fraterni auguri di un sollecito e completo ristabilimento. Desideriamo anche rinnovare il nostro ringraziamento al pastore Marauda ed all’ospedale evangelico di Genova per l’ottima accoglienza ed ospitalità.
Dobbiamo purtroppo dire che la
Conferenza non ha potuto dare un
suo parere determinante, ad es. sul
problema dell’istruzione secondaria,
adducendo il fatto che, stanti gli attuali disservizi postali, la grande maggioranza dei partecipanti non era ancora a conoscenza del Commento
della Tavola alla relazione della Commissione ad referendum, inserito in
uno degli ultimi numeri di questo periodico e malgrado il rappresentante
della Tavola ne abbia presentato un
sintetico ma chiaro estratto. Ma procediamo con ordine.
Il primo problema proposto dalla
Commissione Distrettuale (che è poi
stata rieletta al completo nelle persone del pastore Nisbet, presidente;
della sig.na Revelli vice presidente e
del pastore Conte segretario) è quello dei «predicatori laici» (ma è proprio necessario mantenere questo termine « laici »?). L’Assemblea ha proposto alcune iniziative per potenziare
questo ruolo così, importante, e questo
anche a seguito degli scarsi risultati
ottenuti in due convegni, svoltisi in
località forse troppo periferiche. La
Conferenza ha pertanto appoggiato la
richiesta di istituire a Torino dei veri
e propri corsi di preparazione, puntando sui giovani, avvalendosi di dispense
e di tutte quelle pubblicazioni atte allo scopo. La cura di questi corsi dovrà
essere particolarmente affidata ai 4
pastori di Torino.
Circa il capitolo « finanze », è stata
generale l’ammissione della eccessiva
tendenza, anzi « liberalità » dei delegati al Sinodo nel votare le più svariate
spese che mettono poi in difficoltà
l’Amministrazione. Si è convenuto che
le chiese devono essere avvisate col
massimo anticipo possibile dei vari
problemi finanziari in modo che possano venir ampiamente dibattuti nelle assemblee e nelle Conferenze distrettuali allo scopo di responsabilizzare al
massimo i delegati al Sinodo, che debbono essere dei « portavoce » senza
manifestare idee personali.
E veniamo al paragrafo «istruzione
secondaria » : la Conferenza si è soffermata a lungo sulla questione e sono emersi, come prevedibile, vari pareri concordi nella quasi totalità, peraltro, nell’ammettere che il Ginnasio/Li.
ceo di Torre Pellice, cosìi com’è, non
può andare avanti: il problema dell’istruzione va comunque discusso in
tutto il suo insieme, dato che ovviamente, se il problema finanziario che vi è insito è importante, non è
determinante ed è collegato alle reali
possibilità di un servizio di testimonianza e di evangelizzazione.
Come già accennato in apertura, la
Conferenza, di fronte a pareri contrastanti, relativi sia alla impostazione di
testimonianza evangelica da dare e sia
al problema finanziario, non ha potuto suggerire alcuna specifica indicazione.
Il problema della « vita delle comunità » è stato visto nel suo assieme e
poi sono state illustrate alcune situazioni locali.
Per quanto riguarda il problemi di
fondo, di impostazione, anche in questa sede si sono manifestate due tendenze (ma nell’arco di queste due tendenze quante sono le differenze!?): da
una parte si tende a concepire una
chfòsa sopra il mondo in cui il « rosso » ed il « nero » possono in santa pace fare la comunione a fianco a fianco
(ma poi che cosa capita quando escono dalla chiesa?); dall’altra parte viene posto l’accento sul fatto che il contrasto verte appunto su una diversa
concezione della Chiesa e che anche i
problemi quotidiani dell’uomo, come
quello, ad esempio, dei rapporti fra capitale e lavoro hanno e devono avere
una base spirituale e cristiana : è
quindi necessario che si creino fra i
singoli credenti dei rapporti che li
conducano a realizzare nella chiesa e
fuori della chiesa una vera unità in
Cristo.
Purtroppo la tirannia del tempo ha
impedito l’esame di altri argomenti, e
si è proposto che per il futuro ver "a
istituita anche una sessione autunnale
per esaminare più organicamente i
problemi di fondo posti sia da questa
Conferenza che dal prossimo Sino.io.
r. p
A RtMINI, CONFERENZA DEL IV DISTRETTO
Missione odierna della Chiesa
Il 1° e 2 Giugno la Conferenza del IV
distretto ha avuto luogo a Rimini
dove ha trovato un’ammirevole ospitalità. Un vivo ringraziamento a tutta
la comunità di Rimini ed in modo particolare alla sig.Ta D’Ari ed al pastore
Zotta per la perfetta organizzazione e
la calorosa accoglienza.
Il culto d’apertura della conferenza
è stato presieduto dal past. A. Ribet,
e la seduta del 2 giugno è iniziata con
uno studio biblico presentato dal prof.
Corsani su « la purificazione del tempio » come si trova nei quattro evangeli, studio biblicó'che ci ha fatto riflettere sulla fedeltà della chiesa d’oggi al suo Signore.
Prendendo la relazione annua della
Commissione distrettuale come schema, la discussione si è svolta sui vari
punti che si riferivano alla missione
della Chiesa nei suoi vari aspetti:
— come suscitare maggior impegno
da parte dei laici;
— come ricqnoscere i giovani quale
parte integrante delle comunità,
con i loro doni particolari;
— come adeguare la nostra testimonianza verso il Cattolicesimo, o la
parte di esso che chiede il nostro
aiuto per meglio comprendere la
Parola di Dio;
— come testimoniare ai 9/10 degli Italiani che non sentono nessun bisogno religioso.
Gli interventi più accesi si sono
avuti su questo argomento cosi, sentito ai nostri giorni.
Se a un certo momento c’era una
aspra divisione tra « noi » e « voi », con
la tendenza a scomuniche reciproche,
una « dichiarazione di fede » da ambo
le parti, assieme al riconoscimento da
parte degli uni che i metodi tradizionali di testimonianza non raggiungono più un largo settore di persone (anche se la Parola è effettivamente annunziata) e da parte degli altri che c è
sempre il rischio di perdere di vista il
messaggio evangelico in una testimonianza di tipo sociale, ha messo in
evidenza che siamo uniti nel desiderio
di servire efficacemente un unico Signore. Questo stesso fatto che, come
fratelli in una famiglia, possiamo parlarci chiaro e senza tanti complimenti, è segno della nostra sicurezza nell’amore che ci lega e che nessun divario può distruggere perché viene da
Cristo.
La questione delle unioni giovaiiili
quasi inesistenti è stata molto sentita
da tutti i presenti. Da una parte si cercava nelle comunità locali la ragione
per questa carenza, a causa della scar
sa ricerca biblica che può suscitare un
senso di vocazione nella comunità tutta. C’è stato anche chi ha sottolineato
« l’influenza disfattrice di Agape, ove
le chiese avevano pensato di trovare
un aiuto nella formazione evangelica
dei giovani, ed hanno invece trovato
— con loro sgomento — un’educazione
politica e scarsi criteri evangelici ».
Un messaggio è stato mandato alle
chiese del distretto, richiamando l’attenzione sulla situazione delle unioni
giovanili, con la speranza che ogni
chiesa faccia proprio il problema.
La situazione finanziaria non è fiorente, tutti i delegati riconoscono le
difficoltà di raggiungere quote sempre
rnaggiori. Un o.d.g. è stato votato per
richiamare la Chiesa tutta a una maggiore equità nel sostenere le opere di
istruzione e di assistenza. Un necessario richiamo a una maggiore serietà
nel momento di cominciare nuove opere e di evitare di impostare la discussione delle opere esistenti da un punto di vista prevalentemente finanziario è venuto da parte del past. Ribet.
Il desiderio d’attuare entro l’anno,
se possibile, la integrazione tra la Conferenza del rv distretto e i circuiti metodisti della stessa zona ha portato ad
accettare alla unanimità un o.dg. in
questo senso
L’attuale impostazione del culto radio è stata discussa a lungo. Si è lamentato un senso di fretta nel culto
stesso e un’impostazione non sempre
felice del notiziario : come dare notizie positive senza autogloriarsi? come
dare notizie delle comunità locali se
queste non vengono comunicate dai
responsabili? Pur riconoscendo la ; ecessità di adeguarsi ai tempi, me ti
trovano la musica elettronica tai to
ridicola da mettere in ridicolo tutta la
trasmissione.
La Commissione distrettuale è stata
riconfermata per acclamazione.
La Conferenza ha terminato i seoi
lavori con un canto di lode al Signr-e
seguito dalla benedizione. Non è st, to
lo Spirito Santo a unire i nostri .soiriti nel cantare « Celebriamo il Sig-;ore perché Egli è buono »?
Peggy Bertolino
il pastore
lustrascarpe
Saigon (spr) . Dopo aver trascorso olio -u.
ni alla facoltà teologica deH'Unionc. a T -kio
(Chiesa del Cristo nel Giappone), il p;) ;i»re
Yoshilaka Funate lavora a Sa’gon- conir lustrascarpe. La sua attrezzatura: una Ila
di legna, del lucido da scarpe, delle .spa/z ile.
I suoi compagni di lavoro sono gli oi’i'ani
lustrascarpe del sobborgo di Cholon. pr’-so
Saigon, giovani che lottano per la viti! in
una delle situazioni più difficili oggi esi-k'iiti nel mondo. Il past. Fonato vive c la\ ra
con loro, condivide i loro magri pasti ¡li e
spesso impegnalo e coinvolto nelle loro ¡olle
per le strade. Sta con loro ventiqualli ore
su ventiquattro, salvo un breve inlervailo,
al mattino, quando si un'sce agli altri membri dell'équipe del Servizio cristiano a.^ìaiico,
per il cullo.
Lerone Bennett
Martin Luther King
L’uomo di Atlanta
pp. 220 circa, illustrato, cop. a 4
colori - L. 1.700; edir. per regalo
rilegata • L. 2..500.
L’unica biografia autorizzata dal
compianto leader negro, scritta da un
compagno di studi c di lotte e completata fino alla morte.
EDITRICE CLAUDIANA
Via Principe Tommaso, 1
10125 TORINO
AGAPE (FRALI), 19-23 AGOSTO 1969
La posizione deiie Chiese evangeliche
di fronte aiio State
incontro di studio
organizzalo dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia
La situazione attuale, diversa da quelia di quindici o venti anni fa, ricliicde un
ripensamento e una chiarificazione della nostra posizione di fronte allo Stato. Un panorama biblico-teologico e storico porrà le basi su cui si innesterà un largo dibattito.
L'incontro è aperto a tulli i pastori e laici delle Chiese Evangeliche in Italia.
Gli oratori saranno:
Alfredo Sonei.li: l^a posizione teologicamente corretta della chiesa evangelica dì
fronte allo Slato.
Valdo Viinay: Significato e limiti della teologia del separatismo di A. Vinet.
Giorgio Spini : Come le chiese evangeliche italiane nel Risorgimento hanno vi.ssulo
i loro rapporti con lo Stato.
Sergio Bianconi : Esposizione e valutazione dell'azione svolta dalle chiese evangeliclie
italiane dinanzi allo Stato del 1948 ad oggi: problemi affrontati c soluzioni dalc.
Due dociimenti preparatori .sono stati predisposti a cura di Sergio Rostagno (Il cristiano e lo Stato nel Nuovo Testamento) e di Giorgio Peyrot (Orientamenti per mrindagine).
LMnconlro sarà diretto da Aldo Comba.
Il programma prevede:
— arrivo ad Agape il giorno 19 agosto nel lardo pomerìggio;
— le relazioni nei giorni 20 c 21;
— una giornata dì discussione dei problemi attuali il 22:
— la partenza ¡1 22 sera o il 23 mattina.
Iscrizioni: presso la Segreteria dì Agape, 10060 Frali (Torino). Quota L. 5.000;
iscrizione L. 800.
Documenti preparatori: richiederli a Mario Sbaffi, via Firenze 38, 00184 Roma.
5
13 giugno 1969 — N. 23-24
pag.. (f
LA CONFERENZA DEL I DISTRETTO, A S. SECONDO DI PINEROLO
La nostra paralisi e la Sua parola
entrò di nuovo in una sinagoga; e quivi era
un uomo che avea la mano secca. E l’osservavano per vedere se lo guarirebbe in giorno di sabato, per poterlo accusare. Ed egli disse all’uomo
che uvea la mano secca: Levati là nel mezzo! —
Poi disse loro: È lecito, in giorno di sabato, di
far del bene o di far del male? di salvare una
persona o di ucciderla? Ma quelli tacevano. Allora Gesù, guardatili tutt’intorno con indignazione, contristato per l’induramento del cuor loro,
disse all’uomo: Stendi la mano! Egli la stese e la
sua mano tornò sana. E i Farisei, Usciti ’tennero
subito consiglio con gli Erodiani contro di Lui,
con lo scopo di farlo morire”. (Marco 3: 1-6).
« Levati, là nel mezzo! », questa parola di Gesù
a^eva dovuto sollevare non poco scompiglio in quella
sinagoga, tra le pie persone venute come ogni sabato
per udire la lettura e la spiegazione della legge di Mosè: cosa vuole Gesù? Cos’è questa interruzione della
cerimonia? Perché turba il normale svolgimento del
culto, distraendo i fedeli dalla loro concentrazione spiriiuale?
E più di tutti doveva essere stupito l’interessato:
(lice proprio a me? Perché dovrei alzarmi in piedi?
Per via della mia mano paralizzata? Cosa c’entra la
m a mano con il culto della sinagoga? Chi si è mai fiut ra interessato di me, del mio problema, della mia
siiìiérenza? 11 brav’uomo era venuto alla sinagoga con
la 'ua mano paralizzata, come tante altre volte, senza
giiu-lainente pensare che il suo problema personale pote -e in qualche modo riguardare i farisei troppo impt :iiati a studiare e a interpretare i dettagli e le miniale imjrlicazioni della legge di Mose, piuttosto che
oc ìiparsi di uomini veri e di problemi concreti.
^leno stupiti erano i farisei: da tempo osservavano
G' il. sapevano che non si sarebbe trattenuto dal compi re ancora una volta un atto clamoroso, chiaramente
pi cocatorio, che avrebbe tuttavia soltanto ribadito la
su condanna agli occhi dei benpensanti.
t Levati, là nel mezzo »! L’uomo è in piedi, in evidi za. La sua tragedia di uomo paralizzato è sotto gli
OC'hi di tutti; non può più essere tenuta nascosta o
ii;i orata. Ma l’uomo posto così in evidenza diventa un
sii bolo: simbolo di una umanità moralmente, spiriti! mente, socialmente , economicamente paralizzata,
sili.bolo dell’uomo impossibilitato ad esprimere totalnif iìte se stesso, che non sa e non può ricuperare la piene /.a deirumanità e della libertà dei figli di Dio.
Davanti a quell’uomo in piedi, in (juella sinagoga,
tri, gli uomini religiosi e i farisei, Gesù pone la domanda fondamentale: « È lecito in giorno di sabato
salvare una persona o perderla? ». I farisei passano
la loro vita per sapere cosa è lecito e cosa non lo è.
Mi la domanda di Gesù è di natura diversa, si tratta
di -apere che cosa è più importante: l’uomo con la
rechtà della sua sofferenza e la sua tragedia senza so
luzione, o l’osservanza formale del comandamento, la
tutela dell’ordine del culto, il mantenimento della tradizione, della struttura o del prestigio ecclesiastico?
Ma la domanda di Gesù rimane senza risposta. Gesù si
guarda attorno indignato e contristato per la durezza
del loro cuore. Sì, contristato per il silenzio della sua
chiesa che non sa o non vuole prendere una posizione
precisa.
Per Gesù la scelta è fatta: « Non sono venuto a salvare istituzioni, tradizioni, strutture, cerimonie, feste
o riti, sono venuto a cercare e salvare uomini concreti, per dare loro la libertà e la dignità dei figli di Dio».
Scelta pericolosa che doveva condurlo alla croce. Ma
non importa : « non sono venuto per farmi servire, ma
per dare la mia vita quale prezzo di riscatto ».
« Stendi la mano! ». Ecco la parola della liberazione, la parola potente che rinnova la vita dell’uomo e
fa di un iparalitico disperato un uomo normale, la parola creatrice che libera l’uomo dalla sua schiavitù
morale, spirituale e fisica e lo rende disponibile per il
servizio e per la gloria di Dio.
Ecco quello che Gesù ha voluto nella sinagoga di
Galilea. Ecco quello che Gesù vuole nel nostro tempo,
in cui milioni di uomini vivono in una paralisi morale
e sociale, che degrada la loro umanità, in una situazione di schiavitù spirituale e fisica, che impedisce loro
l’espressione e lo sviluppo di una vita piena e serena.
Zone depresse, popoli sottosviluppati non solo economicamente, ma anche spiritualmente, gente che non
sa e non può dare uno scopo e un senso alla propria
vita, attendono la parola della liberazione.
Sono questi uomini paralizzati, che Dio ha amato e
pmr i quali Cristo è morto, in piedi nelle nostre chiese? La possibilità di annunziare loro concretamente la
parola potente della salvezza è al centro delle nostre
preoccupazioni, delle nostre discussioni e della nostra
ricerca? Davanti a loro Gesù pone a noi una domanda
precisa: risponderemo con il silenzio preoccupato o
interessato dei farisei, o prenderemo decisamente posizione a rischio di infrangere qualche comandamento
o tradizione ecclesiastica formale?
Ma per assumere questa decisione e questa responsabilità occorre che la sinagoga (eventi comunità di
credenti che confessano la parola ;beratrice di Cristo.
Ma perché la sinagoga diventi com eiità di credenti occorre che essa stessa sia a sua voi; guarita dalla propria sclerosi. Finché non ha veram ite ricevuto per se
stessa la parola della salvezza, fin» t é non è diventata
essa stessa « veramente libera » l’a ogni condizionamento sia di tradizioni e strutture lei passato, sia di
ideologie e conformismi del presente, non potrà a sua
volta proclamare con chiarezza la parola della vita che
chiama ogni uomo alla libertà e alla dignità dei figli
di Dio. Alberto Taccia
(dal sermone di apertura della Conferenza del Primo
Distretto ).
L’ascolto delia predicazione stenta
a tradursi in fede vissuta
Quando la conferenza stava per
giu uiere alla sua conclusione, al momeìito della votazione per i deputati
al P inodo, il Pastore Franco Giampiccoli ha denunciato il fatto che a diversi membri della conferenza era
stata consegnata in busta chiusa una
lista di persone da eleggere. Egli ha
ravvisato in questo fatto la volontà,
da parte di un gruppo, di forzare una
importante decisione della conferenza,
sorprendendo la buona fede di parecchi suoi membri, e ha quindi abbandonato l’assemblea in segno di protesta,
seguito da una parte dei presenti.
L'incidente (a parte le valutazioni
che non è possibile fare in sede di cronaca) rivela la tensione in cui si è
svolta la conferenza di quest’anno, una
conferenza che doveva affrontare, come ogni anno, un mucchio di problemi diversi, da quelli di ordinaria amministrazione a quelli di fondo, ma
che è stata evidentemente polarizzata
dal problema del Collegio, da molti ritenuto vitale per il I distretto.
La conferenza, svoltasi nel tempio di
San Secondo di Pinerolo, si è aperta
con un culto in cui il Pastore Taccia
ha presentato la guarigione dell’uomo
dalla mano secca (Marco 3: 1-6) come
l’annuncio dell’azione di Dio, di fronte
a cui è possibile che vi sia una risposta vitale da parte della Chiesa, ma è
anche possibile che vi sia l’ostilità più
cruda e il formalismo. Che la conferenza si sia conclusa senza la Santa
Cena, con una preghiera in cui si riconosceva la nostra incapacità di discutere a un livello che non sia quello del
crudo scontro di posizioni, è la conferma della situazione in cui ci stiamo
dibattendo, in cui l’ascolto della predicazione stenta a tradursi in fede
vissuta.
La questione della predicazione, che
è stata oggetto di dibattito nelle comunità e al Sinodo Valdese-Metodista,
è stata pure affrontata nella prima
Parte della conferenza. Alcuni hanno
Parlato di esperienze positive, come la
preparazione comune del sermone o la
sua discussione dopo il culto, la distribuzione di uno schema del sermone e
la sua diffusione nelle famiglie. In sostanza, però, non ci si è molto scostati
dal solito confronto tra coloro che mettono l’accento sulla necessità di una
predicazione concreta, riferita ai problemi del momento, e coloro che mettono l’accento sui problemi di questa
predicazione. Una convinzione quasi
generale è che la predicazione debba
tener conto dei cambiamenti di situazione, anche se il rischio da evitare è
che il predicatore, nel suo entusiasmo
per l’attualità, predichi per una situazione che non esiste ancora!
La comunità è responsabile della
predicazione, ha sostenuto il pastore
Taccia; ma per questo, ha aggiunto il
pastore Sonelli, e per dire una parola
chiara di fronte ai grossi problemi di
oggi, occorre una ricerca biblica che
neLe nostre comunità non si fa più.
Un ordine del giorno, al termine della discussione, ha ripreso questa costatazione invitando le comunità a un
approfondimento dello studio della
Bibbia.
Si passa quindi alla discussione sul
Collegio Valdese. Dopo un intervento
del Sig. Giovanni Ribet, favorevole al
mantenimento di tutte le scuole, il Signor Daniele Ghigo legge un « promemoria » preparato dagli amici delle
Valli e degli Istituti secondari di istruzione; quindi il Sig. Dante Gardiol
presenta un ordine del giorno appoggiato da una quarantina di firme, in
cui, dopo aver riaffermato il valore dei
nostri istituti di istruzione secondaria,
si chiede la nomina di una commissione che amministri i fondi dedicati all’istruzione, coordini ed estenda tutto
il campo dell’attività culturale della
Chiesa Valdese alle Valli.
Seguono gli interventi dei pastori
Sonelli, Bouchard, Davite, Taccia, dalla, Coisson, che esprimono varie perplessità sull’ordine del giorno: si possono riassumere nell’osservazione che
esso presenta un programma talmente
vasto da richiedere un impiego di mezzi e di tempo enormemente superiore
Avevamo chiesto ai pastori Gustavo Bouchanl e Bruno Rostagno, nostri usuali corrispondenti dalle due valli, di curare la cronaca
della Conferenza, come hanno fatto. Altri fratelli ci hanno fatto pure avere una cronaca :
poiché Tassemblea è stata, purtroppo, delle
più controverse, è forse utile pubblicare pure
quest’altro scritto (v. a pag. 6), notando con
piacere la relativa pacatezza dei diversi contributi. red.
alle effettive possibilità della nostra
Chiesa; sarebbe meglio trattare separatamente il problema delle scuole medie e quello del ginnasio-liceo.
A queste obiezioni i sostenitori dell’ordine del giorno rispondono affermando che la copertura finanziaria è
praticamente assicurata, calcolando il
contributo delle chiese e l’impegno
finanziario degli amici degli Istituti
secondari di istruzione. Questa dichiarazione suscita altre obiezioni : è giusto usare il contributo di tutte le chiese soltanto per il I distretto? Quale garanzia si può avere che l’impegno finanziario degli amici continuerà anche
nel futuro? Impressione negativa suscita poi il fatto che i sei milioni promessi per quest’anno dagli amici del
Collegio non siano stati versati, e che
lo saranno soltanto se il Collegio sarà
mantenuto in attività.
Queste obiezioni e perplessità sono
pure espresse dal pastore Achille Deodato, il quale lanienta che negli anni
scorsi la commissione per gli istituti di
istruzione secondaria si sia trovata
praticamente isolata nel proprio lavoro, e che soltanto ora si rnanifesti nei
confronti di questi istituti un tardivo
risveglio di interesse.
Dopo la lettura degli ordini del giorno delle Chiese di San Giovanni, ViL
lasecca, e Villar Perosa, tutti contrari
alla chiusura degli istituti, l’ordine del
giorno viene messo ai voti e approvato
con 44 voti favorevoli, 10 contrari, 12
astenuti.
La discussione sulla celebrazione del
17 febbraio e il problema della relativa
vacanza nelle scuole è stata rinviata
alla prossima conferenza straordinaria che sarà convocata in autunno.
Sarà discusso anche il problema del
colportaggio, che viene comunque riproposto all’attenzione di tutte le comunità.
La commissione distrettuale (Franco Davite, Giovanni Pontet, Marco
Ayassot) viene riconfermata. Il seggio della conferenza (Arnaldo Gerire,
presidente: Giovanni Ribet, vicepresidente, Sergio Gay e Bruno Bellion, segretari) designa come sede della prossima conferenza ordinaria San Germano ; predicatore, il pastore Cipriano
Tourn.
Bruno Rostagno
Le decisioni
della Conferenza
Predicazione e testimonianza
La Conferenza del I Distretto, riflettendo sul problema della predicazione e della testimonianza che la Chiesa deve rendere all’Evangelo,
a) si rallegra della ricerca che si sta sviluppando in seno alle
Comunità,
b) constata tuttavia una grave mancanza di riflessione biblica nelle nostre Comunità, proprio nel momento in cui un nuovo interesse per
la Parola di Dio si manifesta all’esterno delle nostre Chiese, sia nel
Cattolicesimo che nel mondo laico,
c) richiama ie Comunità ad un serio approfondimento dello studio
della Bibbia, ricercando in spirito dì preghiera, con umiltà e fiducia, singolarmente e comunitariamente ciò che lo Spirito dice alla Chiesa nel
nostro tempo, senza accontentarsi della edificazione interna, ma tenendo
presente che la sua ragion d’essere è ia testimonianza dell’amore di Dio.
Gli istituti assistenziaii
La Conferenza del I Distretto, che fra le altre rappresenta le popolazioni valdesi della Val Germanasca e della Val Chisone,
preso atto dell’impegno con il quale l’Istituto di Geriatria e Gerontologia dell’Università di Torino porge la propria collaborazione all’Ospedaie di Pomaretto,
ringrazia il Prof. F. Feruglio, Direttore della Cattedra di Geriatria e
Gerontologia dell’Università di Torino, ed i Proff. C. Gagna, F. Fabiìs ed
i Dott. L. Orecchia, L. Robino e G. Marchioni per la preziosa opera
prestata.
La Conferenza del I Distretto, esaminata l’opera compiuta nei vari
Istituti dipendenti dalla C.I.O.V. esprime la vìva riconoscenza deUa
Chiesa ed in particolare delle comunità delle Valli a tutte le persone
che nei vari servizi ed a tutti i livelli hanno dato una testimonianza
d’amore per il prossimo a nome di tutta la Chiesa.
La Conferenza del I Distretto approva l’operato della C.I.O.V. e ringrazia i membri della Commissione per l’impegno e la fedeltà con cui
hanno assolto il mandato loro affidato.
...e quelli di istruzione
La Conferenza del I Distretto Valli Vaidesi riunita i giorni 4 e 5 Giugno in S. Secondo di Pinerolo
riafferma la validità degli Istituti di Istruzione Secondaria alle
Valli, sia per quanto riguarda l’opera della Chiesa alla quale collaborano
in testimonianza e servìsdo, sia per quanto riguarda la vita sodale e culturale della popolazione, sia ancora per quanto riguarda la funzione pedagog;ica protestante che li distingue tanto dal confesirionalismo cattolico che dal laicismo statale;
invita di conseguenza tutta la Chiesa a ponderare molto seriamente la gravità dei problemi connessi con la ventilata chiusura di
detti Istituti,
chiede che il Sinodo 1969 nomini nell’ambito del I Distretto una
Commissione Permanente delegata ad amministrare i fondi destinati,
secondo il riparto fissato nel Sinodo 1968, agii Istituti di Istruzione ed
incarieata di:
a) assicurare la continuità degli Istituti stessi;
b) provvedere al reperimento dei fondi atti a coprire le deflcenze della cassa istruzione;
c) dare la sicurezza di lavoro al corpo insegnante;
d) alimentare ed assicurare l’incremento della popolazione scolastica degli Istituti;
e) formulare proposte concrete relative all’adeguamento ed alla
eventuale trasformazione dei nostri Istituti (Scuole e Convitti di Torre
Penice e Pomaretto), in relazione alle attuali e prevedibili esigenze della
cultura e dell’istruzione, onde offrire la possibilità di frequenza e di studio a tutti gli strati della popolazione, istituendo per esempio corsi serali, corsi estivi, corsi di orientamento a richiesta, centri culturali;
f) promuovere il riordinamento di musei e biblioteche, l’erogazione di borse di studio, e quanto altro possa essere di interesse per la
cultura e l’istruzione nelle Valli.
La Conferenza del I Distretto, constatato che la situazione scolastica
in cui sono state costituite le borse delle Valli è profondamente mutata
con la scuola dell’obbligo estesa alla Media, decide di distribuire le 600.000
lire raccolte ogni anno nel Distretto come segue ; la costituzione di n. 5
borse da concedere per merito a giovani residenti del Distrette di disagiate
condizioni familiari che proseguono gli studi oltre la scuola media. Dette borse saranno attribuite per tutto il periodo degli studi se non intervengono fatti nuovi; la costituzione di n. 1 borsa di studio per un ragazzo che frequenti qualsiasi tipo di scuola e la cui famiglia si trovi in
condizioni particolarmente gravi.
Rilancio del colportaggio
La Conferenza del I Distretto invita i Concistori e le Comunità ad
affrontare per il prossimo autunno il problema del colportaggio neiràmbito delle comunità ed all’esterno di esse in riferimento al turismo domenicale quale testimonianza della nostra fede.
Rifiessione uiterìore sul “17 Febbraio”
La Conferenza demanda l’esame del problema relativo al 17 Febbraio
e suoi riflessi nell’attività scolastica alla Conferenza Distrettuale straordinaria di cui si chiede la convocazione entro l’autunno 1969 in base alle
risultanze di una precedente consultazione con il corpo insegnante delle
Valli.
Decisioni finali
La Conferenza procede alla elezione della Commissione Distrettuale
che risulta così composta;
Past. Franco Davite, presidente; Sig. Giovanni Pontet, vice-presidente; Past. Marco Ayassot, segretario.
La Conferenza procede alla nomina dei suoi deputati al Sinodo
nelle persone dei Signori:
Catalin Margherita (Bobbio Pelliee), Chiavia Cesare (Villar Pellice),
Sappé Franco (Torre Pellice), Malan Aldo (Luserna S. Giovanni),’P^'
scal Edmondo (Perrero), Gay Virgilio ( Prarostino ), Gay Guido (S. Sé-"
condo), GalUan Bruno (Villar Perosa), Jahier Vitale (Pomaretto), Ghigo Daniele (Pinerolo), Pontet Giovanni (Torre Pellice), Mourglia Giovanni (Torre Pellice), Turinetto Renzo (Prali), Massel Valdo (Villaseeca), Girardon Ferdinando (San Giovanni), Coisson Franca (Angrogna
Serre), Bounous Clara (S. Germano Chisone), Tourn Aldo (Rorà), Coisson Guido (Angrogna Capoluogo).
Supplenti: Rizzi Pietro (Pomaretto), Costantino Germana (Villar
Perosa), Ribet Giovanni (Torre Pellice), Negrin Anna (Bobbio Pellice),
Cairus Ada (Villar Pellice), Hugon Italo (Torre Pellice).
La Conferenza designa quale sede della prossima Conferenza Ordinaria San Germano Chisone.
La Conferenza designa quale predicatore della prossima Conferenza
Distrettuale il pastore Cipriano Tourn e quale supplente il pastore Teofilo Pons.
6
pag. 6
N. 23-24 — 13 giugno 1969
ECHI DELLA CONFERENZA D|EL PRIMO DISTRETTO
Vita
degli
e problemi
Istituti assistenziali
Uno specialista. — Ecco i punti di
maggior rilievo discussi alla Conferenza sull’operato della C.I.O.V. In riferimento all’Ufficio si rileva ancora un
certo disordine, creatosi nel passato e
che stenta a sparire del tutto; si richiede perciò da parte della Commissione « una radicale ristrutturazione
di tutto l’apparato burocratico sia per
quanto riguarda le competenze e le
responsabilità degli impiegati sia per
quanto riguarda i rapporti amministrativi con gli Istituti dipendenti ». Si
richiede perciò la collaborazione d’uno
specialista in organizzazione aziendale
che possa proporre una nuova struttura nell’amministrazione della C.I.O.V.
Distribuzione dei doni nella Commissione. — La Commissione ritiene che
i! lavoro complesso della C.I.O.V. sia
distribuito, a seconda dei doni e delle
competenze, a tutti i componenti della Commissione in riferimento al controllo, alla guida, alle responsabilità
varie, diversamente la Commissione si
riduce a pochi impegnati fino all’osso,
mentre altri rimangono elementi figurativi.
Manca il personale: perché? — Il lamento ormai decennale della carenza
del personale ritorna ancora quest'anno: eppure gli stipendi sono stati aggiornati, ricordando che in alcuni Istituti, con l’orario di lavoro di 8 ore il
personale non è « a catena » come in
altri Ospedali ad es. di grossi centri
dove non c’è un minuto di tempo da
scialare perché la massa di lavoro incombe. Il problema si pone per quelle
opere come il Rifugio dove il personale non si trova affatto; da cosa dipende? La C.I.O.V. non dà una risposta esauriente al riguardo: il quadro
di lavoro, i metodi, le linee sono mutate in questi anni e forse si è rimasti
arroccati a sistemi vecchi dove il personale più giovane stenta a inquadrarsi e non può espandere tutta la sua
personalità nel contesto dell’ambiente
in cui lavora. In altri termini occorre
vedere se la carenza è segno di assenza di vocazione per un certo tipo di
lavoro oppure di un difficile inserimento per chi vorrebbe spendere non
solo un anno o sei mesi come le col
iiiiiiiililiimiiiiiiiiiiiMiiimiiiiiMiiiii
libri
Un
commento
alla Genesi
Gerhard von Rad — La Genèse. Labor
et Fides, Ginevra 1969.
Gerhard von Rad è ormai noto anche negli ambienti meno teologici per i suoi due
volumi su « théologie de l’Ancien Testament », laddove l’autore compie un’analisi
approfondita dei libri dell’A.T. con un metodo nuovo, nell’esame delle dichiarazioni di
Israele e del suo retaggio letterario.
Il Commentario su « La Genesi » che noi
presentiamo si richiama naturalmente aUe
conoscenze deüe fonti, con la preoccupazione di presentare al lettore una chiara conoscenza del genere letterario, per poter cogliere meglio ed in modo più approfondito U
valore intimo delle cose scritte.
Ne consegue che i racconti tanto noti della Genesi offrono un interesse insospettato,
sia perché sono collocati nell’ambiente in cui
sono sorti, sia perché col richiamo aUe fonti
possiamo meglio intendere il rapporto tra
Dio ed il suo popolo, con il valore spirituale
che ne scaturisce per noi oggi.
Il credente che gioisce neU’approfondire il
messaggio di Dio trova in questo libro una
guida preziosa per la sua ricerca.
laboratrici straniere, ma un congruo
numero di anni. I giovani possono anche rispondere su questo punto e su
questo settimanale.
Certo è mancata, dice la controrelazione, una preparazione d’un corpo
responsabile specialmente nel campo
direttivo, per cui la carenza è soprattutto in quel settore.
Gli ospedali. — La relazione fa la
storia degli ultimi sviluppi della legislazione in riferimento ai nostri ospedali e ricorda i contatti con il medico
provinciale in riferimento alla programmazione regionale. Per Pomaretto si delineano sul piano generale prospettive positive, sia come presenze,
sia come interessamento da parte dei
vari organi mutualistici ecc., sia jOprattutto dell’Università per il reparto geriatrico, grazie all’impegno ed al
lavoro indefesso di alcuni membri della Commissione. Per Torre Pellic.e si
augura la definizione del problema
della Direzione passata, ci si rallegra
per le buone prospettive del Reparto
maternità e per il progetto di trasformazione del padiglione sanatoriale in
casa di soggiorno per dimessi da Istituti psichiatrici.
Ringraziamenti - Gruppi familiari alle Direzioni - Convitti misti - Liquidazione dei termini lugubri di Orfanotrofi, Asili per vecchi, Rifugi. — La
Conferenza in riferimento all'Orfanotrofio femminile di Torre ha ricordato
con riconoscenza l'opera più che quarantennale della Sig.na Lidia Fini,
compiuta con grande amore, con senso vivo, scrupoloso del servizio, a beneficio di centinaia di bambine. La nostra chiesa ricorderà con gioia l’opera
di questa nostra sorella svolta nel silenzio e nello spirito della fede.
La Conferenza ha chiesto per l’Orfanotrofio come per gli Istituti in generale che la Direzione sia affidata possibilmente ad una famiglia, fermi restando la vocazione, l’amore profondo per i bambini unitamente ad una
esperienza in campo psicopedagogico.
Ha pure auspicato, nel riordino dei
nostri Istituti, la creazione di Convitti misti, previa indagine attenta su
questo problema. Si è pure chiesta la
eliminazione dei termini ormai poco
consoni allo spirito del nostro tempo
di « Orfanotrofio », « Rifugio », « Asilo
per vecchi », ecc.
Per San Germano continua l'opera
di trasformazione, cioè l’eliminazione
totale delle corsie; si vorrebbe anche
trasformare in verande riscaldate i
passaggi coperti, sempreché le persone siano più generose verso le nostre
opere, anziché approfittarne soltanto.
Il clima familiare, lo spirito che vi
regna sono di ottimo auspicio per rendere la casa sempre più una famiglia
per tutti gli ospiti.
In chiusura si è espresso un ringraziamento a tutto il personale degli Istituti, specialmente a quelli che non conoscono orario, come le suore superstiti, alla Commissione che si è assimta delle responsabilità enormi, specialmente in questi anni, ai sanitari, e in
particolare a quelli dell’Università di
Torino.
Gustavo Bouchard
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
IL GOLLISMO É MORTO?
Risponde affermativamente, a questa
domanda, Roger Mehl, nota personalità del
protestantesimo francese, sul settimanale « Réforme ».
« Il gollismo è morto: non vi sarà un *‘se~
condo gollismo”. Non vi potrà essere, per la
semplice ragione che il gollismo altro non era
che il generale De Gaulle in persona. Tutti
10 sanno, ma non tutti lo confessano. Certamente la Francia dovrà continuare a portare
11 marchio del regno del generale (...). Ma la
Francia ha oggi molte cose da imparare, e
da riimparare a fare.
La principale di queste cose consiste nel
ritrovare il senso della democrazia. Per una
durata di undici anni, noi abbiamo fatto
Vesperienza del potere personale. Le grandi
opzioni venivano prese, in nome nostro, da un
uomo solo al quale noi ogni tanto rinnovavamo un assegno in bianco.
D'altro canto, e ora che la Francia la smetta d'essere uno Stato che paralizza l’Europa,
che impedisce all’Europa di svilupparsi, d’essere una realtà politica, che mantiene l’Europa a un tal livello economico da non essere
altro che **trusts e dei tecnocrati” (...) ».
Il Mehl scende poi ad una vera e propria
propaganda politica, sulla correttezza della
quale (in un organo come « Reforme ») non
possiamo non fare ampie riserve. Dice infatti il Mehl;
c( In tali condizioni, i democratici di Francia non hanno altra possibilità di scelta che
quella d’un presidente centrista. Molti lo sentono, ed è per questo che la candidatura del
signor Alain Poher ha suscitato tanto interesse (...) ».
(Riportato e sunteggiato da <c Le
Monde » del 25-26 maggio 1969)
iiiiiiiiimiMiiMNiiimi
iinimiiiimmmimiiii
Contestazione e tradizione
Mondo in fiamme di Billt Graham - Edizione centro biblico, Napoli, L. 1.400.
Non occorre presentarvi l’autore, sono noti i suoi libri : « Pace con Dio ». « Il segreto deUa* felicità » ecc. Nel volume che vi
presentiamo il noto predicatore americano
offre una panoramica di tutti i guai del mondo; tensioni, devizaioni morali, irreligiosità
ecc. e ne ricerca la causa: precisa che la
causa non sta soltanto nel fattore economico,
cioè nell’ingiusta distribuzione dei beni, neppure nella insufficiente conoscenza, nelle infelici condizioni umane ma soprattutto nelLinterno deU’uomo. costituzionalmente ma
. • r- t.
Conosciamo il pensiero di Billy Graham
e certe sue posizioni, molto contestate, in riferimento a situazioni sociali e politiche del
suo paese; d’altra parte dalla sua predica
zione e dai suoi messaggi scritti uomini e
donne sono stati condotti a Gesù Cristo, con
conseguente test monianza nel mondo dell'amore che hanno ricevuto dal Signore.
Forse questo elemento della nuova nascita. con le debite riserve che si possono fare
nel modo di impostarla, è molto accantonato
nei nostri ambienti evangelici con rischio di
voler risolvere determinati problemi sociali
senza il collegamento con Colui che meglio
di noi e più radicalmente li ha risolti nella
sua vita, morte e risurrezione.
La lettura del libro è quindi benefica per
di gioia, di certezza che si ha nel
la nota
Cristo Vincitore.
G. B.
L’annuale conferenza del primo distretto si è svolta quest’aruTO in un clima abbastanza vivace, nonostante i
suoi inizi un pò incerti; il fatto è che
erano sul tappeto alcuni problemi già
a lungo discussi nelle comunità, e fatalmente destinati a provocare o ad
approfondire divisioni ed amarezze.
Apertasi con la predicazione Taccia,
la conferenza iniziava i suoi lavori
sotto la presidenza del pastore Genre,
proposto e votato presidente come pastore ospitante: al suo fianco il vicepresidente Giovanni Ribet e il segretario Sergio Gay. Alla verifica dei mandati, una richiesta di chiarimenti del
prof. A. Armand-Hugon porta l’assemblea a riconoscere che in sede di conferenza hanno diritto al voto deliberativo anche i presidi degli istituti di
istruzione tanto più che essi sono
membri di diritto del sinodo, e anche
se gli attuali regolamenti non lo prevedono. Tra proposte e controproposte se ne va un’ora, e poi si vota per
questa conferenza la legalità della presenza dei presidi, e si invita chi di dovere a modificare di conseguenza i regolamenti.
La discussione serale verte sul problema della predicazione: in realtà essa è un po’ vaga e fiacca e qualcuno
osserva che non sarà certo la conferenza a ridimensionare le opinioni, già
tanto vagliate e discusse ad ogni livello.
Al mattino del giovedì, l’argomento
affrontato è quello degli istituti di
istruzione: gli animi sono un po’ agitati, e c’è una certa tensione anche
perché circola tra i presenti un quotidiano di Torino che annuncia, non si
sa da quale fonte, che i giovani valdesi contestatori « avrebbero in animo
di presentare un violento ordine del
giorno col quale chiederebbero la soppressione del Collegio Valdese di Torre Pellice, comprendente la Scuola Media, il Ginnasio e Liceo Classico, e della Scuola Latina di Pomaretto ».
Viene invece presentato dal rag.
Dante Gardiol un ordine del giorno
tutt’altro che contestatore, che raccoglie le firme di 38 dei delegati, e che
propone la nomina di una commissione permanente per l’Istruzione con
compiti amministrativi e Tincarico di
sollevare la Tavola da una parte dei
suoi oneri (una specie di CIOV). Sotto
la vivace direzione Genre, l’O.d.g. diventa subito il centro di un altrettanto
vivace dibattito, che dura fino alle 10
e verrà ripreso alla riapertura del pomeriggio. I patetici appelli del pastore Geymet si intercalano alle fiere
prese di posizione di alcuni suoi colleghi ed agli interventi chiarificatori
dei delegati di varie parrocchie: non
c’è una vera e propria linea di discussione, ma si ravvisa comunque l’orientamento pro o contro le proposte dell’O.d.g. Qualcuno tenta invano di scindere il problema del Liceo da quello
delle Scuole Medie.
Alla votazione, l’ordine del giorno
Gardiol viene approvato con due terzi
dei suffragi (44 favorevoli, 10 contrari,
12 astenuti). Tale risultato è notevole: i voti pro Collegio sono numerosi;
rappresentano il pensiero dei Valdesi
delle Valli; sono stati espressi in piena democraticità; esprimono un desiderio di cui la Chiesa non potrà non
tenere conto! .
Il lavoro della CIOV è stato esaminato con simpatia dalla conferenza:
vi sono difficoltà, naturalmente, ma la
vitalità degli istituti e della sua Commissione amministrativa è sempre
pronta a lottare con fede e con impegno.
La vacanza del XVII febbraio nelle
scuole (vacanza o assenza giustificata?) suscita un vivace scambio di idee
tra Giorgio Tourn e Augusto Armand
Hugon, i quali poi concordano un ordine del giorno destinato al fallimento: la conferenza ha delle forti riserve e preferisce rinviare il problema
dei rapporti con le autorità scolastiche alla prossima conferenza autunnale.
Si discutono vari problemi di minore importanza, si odono le relazioni
delle varie commissioni: nemmeno
una riga di rapporto e neppure un
rappresentante della gioventù valdese.
Sembra che la FU.V delle Valli sia definitivamente motta, dopo che la relazione dell’anno scorso parlava di un
esercito in disfatta e di pochi ufficiali
senza truppa. Nessuno però si commuove in sede di conferenza: il problema dei giovani è superato o è troppo scottante?
Si arriva così al paragrafo elezioni:
il capo distretto Davite, dopo aver annunciato le sue dimissioni, le ritira, e
viene quindi riconfermato con i due
colleghi di Commissione, Marco Ayassot e ing. G. Pontet.
Assai complicata l’elezione dei delegati della conferenza al sinodo: viene
proposto di procedere alla nomina a
scrutinio segreto, contrariamente alla
prassi solita della designazione da
parte di ogni pastore; viene rivelata
altresì l’esistenza di una lista di no
mi, fatta circolare tra i membri della
conferenza. Nonostante l’energia del
presidente, la conferenza si agita fortemente: alcuni pastori (Luciano Deodato. Franco GiampiccoÙ) lamentano
con molta amarezza e con parole assai pesanti una cospirazione e dichiarano di non poter rimanere oltre in
assemblea. La discussione si sposta
negli ambulacri del tempio, e il tono
assume dei caratteri che ricordano
Montecitorio. I sostenitori della lista
di candidati affermano la piena democraticità della loro azione, e l’assoluta libertà dei singoli di votare chi si
vuole: visto che non si sono avute
pressioni contestatorie dai balconi, tipo sinodo 1968, tutto il resto rientra
negli schemi tradizionali della nostra
vita ecclesiastica. Niente da fare: una
volta tanto la contestazione vuole
mantenere le tradizioni e così finalmente la conferenza vota i candidati
al sinodo come proposti dai singoli
pastori.
Ma gli animi sono esacerbati, c’è naturalmente una tensione assai forte:
logico che in un clima del genere non
si parli più di S. Cena...
(¿i stiamo del resto abituando a cose del genere: quanti incontri pastorali, o riunioni, non finiscono ormai con
un semplice addio, o arrivederci, e la
impossibilità di riunirsi in una comune preghiera?
Carlo Venturi
Un proinemoria sugli Istituti secondari distruzione
Il testo che segue è il promemoria votato
nell’ultima assemblea degli “Amici delle Valli”, a S. Secondo.
1. - La validità dei nostri Istituti secondari di istruzione alle Valli si manifesta in tre
campì :
a) nella vita della Chiesa
— come opera di testimonianza e di
servizio evangelico a favore dei Valdesi delle
Valli e degli Evangelici italiani che vogliono
approfìttarne;
— come opera di testimonianza evangelica nei riguardi del mondo esterno e in particolare degli alunni non evangelici, i quali
per la massima parte hanno sempre « sentito »
la presenza protestante;
b) nella vita sociale
— prestando un servizio notevole e a
volte insostituibile ad una popolazione di proletari e di contadini, e fornendo nel clima
evangelico un punto dì incontro ad elementi
di diversa estrazione sociale;
— concretizzando materialmente la
presenza valdese nel campo dell’istruzione ed
impedendo in tal senso l’istituzione di scuole
confessionali cattoliche nelle Valli;
— polarizzando l’interesse della popolazione locale verso un tipo di istruzione che
non sìa a medio termine e fornendo i responsabili nella vita delle comunità;
— sottolineando la partecipazione della chiesa ad un’attività sociale, proprio oggi
che sì reclama dalla chiesa la sua presenza
fuori dei muri del tempio;
c) nel campo pedagogico
— come si può e si deve esplicare una
« pedagogia » protestante nelle scuole materne, negli orfanotrofi, nei convitti, ecc. per i
quali la chiesa è impegnata, altrettanto si
deve pensare per i nostri istituti, nei quali oltre al resto si verifica anche l’impegno di un
gruppo di insegnanti, che accompagnano alla
vocazione della cattedra anche queUa di servire e di testimoniare nella chiesa : proprio
oggi che viene decantato il lavoro di « équipe », è chiaro che la « pedagogia protestante »
può essere molto più efficace in un gruppo
affiatato che non quella esplicata da insegnanti isolati nella pletorica scuola italiana. Tale
pedagogia protestante non ha nulla da vedere con il « confessionalismo », e ne è anzi la negazione.
2. - Il problema finanziario degli istituti è
superato dalla disposizione del sinodo 1968
che attribuisce alla cassa istruzione una percentuale di fondi sufficiente al loro funzionamento.
Del resto, le proposte della Commissione
sinodale 1968 per l’istruzione prevedono grosse spese destinate ad iniziative infinitamente
meno importanti che il mantenimento dei nostri istituti.
3. • La ventilata chiusura del Liceo Ginnasio significa creare il vuoto nelle Valli e
declassarle al rango di qualsiasi vallata alpina depressa : non si può pensare che le alternative di « centro culturale » di Torre, o
altre consimili possano essere sostitutive della
metodica, quotidiana e costante opera e della
presenza di una scuola superiore qualificata,
sia esso il Liceo Classico o di diverso orientamento.
Il già scarso interesse dei Valdesi per l’istruzione superiore deve essere alimentato con il
potenziamento delle opere esistenti, e non definitivamente frustrato con la loro soppressione. In particolare è da tenere presente che
la non lontana istituzione governativa del
« biennio polivalente » accoglierà tutti gli studenti che al termine della Media intendano
proseguire gli studi, accomunandone al massimo i programmi e gli orari, in vista del successivo triennio di preparazione specifica: inutile rilevare l’importanza enorme che tale tipo di scuola avrà per la Chiesa, se di essa si
vorrà approfittare per svolgervi un’efficacissima opera pedagogica nell’età tìpica della formazione culturale e spirituale.
4. - Il problema della cultura di massa
(doposcuola, borse di studio, iniziative culturali varie, ecc.) che oggi seduce molti — potrà e dovrà essere affrontato a livello di comunità interessate o di altri enti, e sarà sempre un completamento di quanto la « scuola »
sola può dare: non potrà assolutamente sostituirsi ad essa.
LO SCIENZIATO
E LA LIBERTÀ DI PENSIERO
Il fisico sovietico Pietro Kapitza, uno
dei più grandi scienziati del mondo, <x ha fatto un intervento importante durante una discussione al presidium dell’Accademia delle
Scienze dell’URSS, nel febbraio scorso. Il testo dell’intervento è pubblicato nell’ultimo
numero della rivista “Problemi di filosofia”.
Lo riassumiamo per sommi capi.
“Nei principali campi dello sviluppo materiale e culturale, limitatamente alla scienza
ed alla capacità di difesa, gli USA e VURSS
hanno raggiunto lo stesso livello. Il solo campo in cui noi ci troviamo in ritardo è quellodello sviluppo tecnico-industriale, e la ragione
principale ne è che non abbiamo raggiunto il
livello di produttività del lavoro che esiste
negli USA”.
Il Kapitza ha lavorato per tredici anni in
un laboratorio d’Inghilterra, e dirige attualmente PIstituto di Fisica e Matematica dell’Accademia delle Scienze dell’URSS. Egli ha
analogamente fatto rilevare un ritardo nel
campo filosofico. “I filosofi sovietici — ha
detto — hanno trascurato di studiare e d analizzare i fondamenti ideologici della rivolta
degli studenti nei paesi capitalisti”.
“Dobbiamo riconoscere che i nostri teorici
perdono un’importante occasione: quella che
discende dal privilegio, loro concesso, di non
dover combattere dei punti di vista opposti ai
loro”. Partendo dall’idea che la rivolta degli
studenti nei paesi capitalistici, non è campata
da privazioni materiali, “ma dal desiderio di
cambiare le condizioni ideologiche dell’esistenza dell’uomo, nella società capitalista”, il Kapitza deplora che l’impegno di spiegare filosoficamente il movimento studentesco, sia ’tato lasciato in esclusiva a uomini come Herbert
Marcuse, o a dei trotskysti.
“Noi non dobbiamo temere di dover nronoscere (continua il Kapitza) che i nostri filosofi sono isolati da questo processo rivoluzionario. e che la loro influenza non si fa qv.asi sentire. Se non vogliamo essere dei rimorchiati, dobbiamo guardare a quello che suocede nel mondo, nella rivoluzione tecu-roscientifica, ed elevare il livello delle no>.^re
scienze sociali”.
Lo scienziato si augura che i filosofi ovietici diano battaglia ai filosofi stranieri e
che si faccia del posto “alla discussione *'ei
problemi filosofici concernenti i fondami’-ti
ideologici della società socialista: argome ito
che non è quasi mai toccato nei rapporti -el
presidium dell’Accademia” ».
(Da « Le Monde » del 31-5-lQv, ))?
L’UNIVERSITÀ «PRO DEO »
^ « Questo prete porta in sé la fede. I ardore, lo spirito d’organizzazione dei cnftolici
belgi. Mi raccomando: che non cada in mano a professionisti senza ideali o persone chenon comprendano il significato della in'fi ria
alleata e del vero nuovo ordine sociale ».
Con queste parole, affidate ad una ]eli -ra
di presentazione per Alcide De Gasperi, i'on
Sturzo accompagnava la calata in Italia :lel
Padre Felix Andrew Morlion. nell autunno1944. Questo domenicano belga, già fondai .re,
nel lontano 1932, del C.I.P. (Comitato internazionale Pro Deo). veniva tra noi a fondare rUniversità «Pro Deo», tuttora viv< utema coinvolta in affari tutt’altro che limi uU,.
f( sui quali il senatore Luigi Anderlini ilelìa
sinistra indipendente, ha presentato recc.itemenie al Senato un’interrogazione. L’Aiylerlini ha ricevuto risposte, in merito, insufficienti, tali da convincerlo a riproporre un interpellanza 0 una mozione »
In un articolo pubblicato su « L’Astrolabio » deirS giugno, Alessandro Comes entra
nella questione con interessanti particolari, i
più salienti dei quali vogliamo qui riportare
non già per amore di pettegolezzi, ma jier
Lampio risvolto politico che la questione
stessa presenta.
« La Pro Deo è nata come movimento internazionale per la penetrazione d idee politicosociali d’ispirazione cristiana nella vita pubblica contro il materialismo marxista (si legge su un opuscolo che illustra i fini e le atiività del Movimento) (...). La Pro Deo, convinta che la dinamica del conflitto fra i due
blocchi porti ad un processo di polarizzazione
per un conflitto ideologico, e fatalmente ad un
conflitto religioso, ispira tutta la sua azione
alla formula “mistica più tecnica . La Pro
Deo opera attraverso tre branche: servizio informazioni” (che pubblica una serte di bollettini e di agenzie, più o meno riservati), servizio “pubblicazioni” (che pubblicò nel dopoguerra diversi settimanali popolari, ma si trova ormai in disarmo) e servizio “Università
(Facoltà di scienze aziendali. Facoltà di scienze politiche, istituto superiore di lingue, scuola superiore di giornalismo).
II Comes afferma di possedere “alcune delle veline confidenziali spedite dal Morlion ».
Si tratta di « notizie riservate sugli enti di
Stato (datate ottobre 1964), di notizie riservate sul PCI e sul PSI » o di « semplici confidenziali” sulle forze politiche e sui gruppi
economici più importanti del paese. Al fondo
di questi bollettini (notizie spesso non prive
di fondamento, ma cucite da un livido spirito di parte) traspare evidente l’odio verso
alcuni uomini politici: Fanfani, Lombardi, lo
“stalinista filocinese” Ingrao, il presidente
delle AGLI Lahor. (...) A chi sono dirette
queste informazioni? Ci soccorre lo stesso
Morlion che, ad una lettera datala Roma
29-12-62, e indirizzata ai membri del consiglio di Presidenza della Pro Deo, aggiunge
la seguente postilla: “Per il lavoro finanziario
in America prego mandarmi con urgenza: a)
descrizione o disegno delle nuove aule, con
previsione del costo totale e dei costi particolari; b) mandare il massimo d’informazioni
politiche e religiose riservate. Le informazioni di L. vengano mandate in una copia direttamente a me in America e l’altra copia
solo per D. Ferrerò e Presidenza, e in parte
eventualmente in Venezuela e Spagna ».
Il Comes conclude parafrasando un nolo
precetto : « Ora Pro Deo, labora prò USA »•
7
13 giugno 1969 — N. 23-24
pag. T
la Croce Rossa Italiana
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
ringrazia le Chiese
emefeta PO' raM j liianj si è discusso sul pastorato (^i
ai terremotati
Il Presidente della Federazione delle
■Chiese evangeliche in Italia ha ricevalo questa lettera dalla presidenza della Croce Rossa Italiana:
Sono lieto di comunicare che, in riconoscimento del generoso contributo
che, con alto spirito di umana solidarietà, è stato devoluto all’azione di
soccorso della C.R.I. in favore delle
famiglie sinistrate dal terremoto di Sicilia, è stata conferita a codesta Federazione la Medaglia d'Argento commemorativa, appositamente coniata per
questa indimenticabile circostanza.
Pregando di voler accogliere questo
umile segno di gratitudine della Croce Rossa Italiana e mio personale,
porgo le espressioni della mia più alta
stima.
Dr. Giuseppe Potenza
FRALI
— Dopo il Doti. Quattrini, un altro fratello non abitante a Frali ha scelto il tranquillo cimitero della nostra Comunità per il
suo ultimo riposo. Si tratta di un altro medico, il Dott. Emilio Gay della Comunità di
Mìì-no, che è stato inumato il 21 aprile a
■Ghi'/J.
— La domenica di Pentecoste abbiamo
avuio un culto particolare di Santa Cena con
un numeroso gruppo di fratelli provenienti
dall.; Svizzera francese. Dopo il culto si è svolta i'assemblea di chiesa che ha approvato la
relazione del Concistoro ed eletto i delegati
.alla Conferenza Distrettuale ed al Sinodo.
Sop.j rispettivamente i fratelli G. Luigi Rostai: e Edoardo Grill per rincontro di S. Seconuo e Alessio Luigi Grill per il Sinodo.
— Sabato 24 maggio si sono uniti in matriiG »aio nel tempio di Ghigo: Sergio Benech
■(S. ' ìovanni) e Silvana Fortis (Armeno). Agli
spo; i che lavorano in un albergo di Frali,
giu :rano ancora i nostri affettuosi auguri.
Giovedì 15, giorno dell’Ascensione, si è
-svo: • il bazar annuo, favorito dal tempo buono. .ncora una volta abbiamo notato la granale pidità con cui i Pralini realizzano questa
mai Gestazione che, iniziata alle 14, è complei.miente terminata in meno di due ore.
Ott IO il risultato sia per la collaborazione di
•chi ha confezionato e preparato ogni cosa,
sia quel quella dei compratori. La banda rausìtale di Frali ha voluto collaborare in questo
giorno con numerose ed apprezzate esecuzioni
sul «agrato antistante la sala. Ci rallegriamo
■di questo intervento che ha sottolineato il
toni: gioioso deirincontro.
Quest’anno la nostra Comunità ha scelto
con ‘ meta per la gita di Chiesa che ha avuto
luofo il 1° Giugno, due zone storiche valdesi:
Roi. e Pra del Torno. Lo scopo della gita era
di ' impiotare la conoscenza delle Valli; infali' (jucste zone non erano più state visitate
da I irecchio tempo. La visita al museo di Rorà. ia Gianavella. il tempio di Pra del Torno,
il ( <!1egio dei Barbi ed il ricordo dei fatti avveniiiì in questi luoghi hanno destato molto
inti \sse ed hanno permesso di rinfrescare il
ric(; !o di fatti fondamentali della storia della r.QStra gente.
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Domenica 13 aprile — dopo un’agape al termine del culto — abbiamo
avuto una Assemblea di Chiesa che è
durata per ben 4 ore. L’argomento discusso è stato quello del « pastorato ».
Questa Assemblea è stata la conclusione di un lungo lavoro preparatorio:
gruppo di studio, « tavola rotonda »,
cui hanno partecipato i pastori Alberto Ribet, Franco Giampiccoli e il diacono Gianni Rostan, assemblea di chiesa per dibattere un documento preparatorio. L’Assemblea del 13 aprile è
stata presie.duta dal Prof. Giorgio Peyronel e ha approvato questo documento:
« L’Assemblea della Comunità Valdese di Milano, riunita il 134-1969, preso atto del lavoro eseguito dai gruppi
di studio, esaminata l’attività e il significato del ministerio pastorale,
RITIENE che il problema del pastorato vada valutato nel quadro complessivo della struttura della chiesa di
oggi;
RITIENE che a tutti, pastori e laici,
sia rivolta la vocazione alla testimonianza ed al servizio nella Chiesa e nel
mondo. Ognuno a seconda dei doni ricevuti e scoperti, risponde a questa
chiamata del Signore e si impegna a
far sì che la Chiesa sia nel nostro tempo un chiaro segno del Regno di Dio;
RICONOSCE che il servizio a pieno
tempo del pastore alTopera della Comunità sia un elemento importante di
fatto ma non indispensabile in linea
di principio, nel quadro del sacerdozio
universale;
RITIENE che, nella situazione storica di oggi, indubbiamente diversa da
quella della Riforma, sia necessario,
ogni volta che la vita associata presenta dei fatti di particolare importanza, riscoprire il senso profetico che
la Chiesa deve avere nel confronto costante con TEvangelo;
RICONOSCE che la tensione « Chiesa-multitudinaria » e « Chiesa dei professanti » sia un elernento positivo per
il ripensamento dell’invito rivolto dal
Cristo a portare la Buona Novella a
tutti i popoli della terra;
DECIDE di alleggerire progressivamente i pastori dalle attività extrapastorali, in modo da permettere loro
di concentrarsi interamente sulla predicazione, sulla cura pastorale e sulla
formazione teologica dei gruppi di testimonianza e di servizio ».
Alcuni culti hanno avuto un carattere
particolare in questi ultimi mesi. La domenica 23 marzo il prof. Giorgio Peyrot ha recato alla comunità un messaggio sul tema :
« Le chiese evangeliche e la loro posizione
nello Stato ». Dopo il culto ha avuto luogo
una discussione sul tema esposto, presieduta
dal Prof. Mario Rollier.
La domenica 20 aprile — domenica della
Gioventù — è stato presentato alla comunità, durante il culto, un documento preparato
da un gruppo di giovani. E’ seguita una discussione nella quale sono state presentate
altre linee d’impegno.
La domenica 11 maggio —- domenica della Facoltà Valdese di Teologia — il culto è
stato presieduto dal Prof. Alberto Soggin.
Durante tutto ranno abbiamo spiegato ai
catecumeni del IV anno il senso della confermazione, insistendo ‘iil loro libero impegno
di entrare a far parte della comunità. Abbiamo avuto colloqui con i singoli catecumeni. Nell’incontro dei confermandl col Consiglio di Chiesa il dialogo si è sviluppato su
questi tre temi : le motivazioni della loro decisione; la loro disponibilità nella vita della
comunità; quello che si attendono dalla chiesa, oggi. La domenica di Pentecoste la Comunità ha accolto coti gioia i catecumeni
che Dio ha chiamato a testimoniare della
loro fede: Tiziana Colmano, Daniela Ferraro, Cristina Fichtner, Micaela Romano, Angiolo Rosselli.
Il Consiglio, in una sua riunione, ha ricevuto un gruppo di giovani e ha potuto
prendere atto che attualmente neUa nostra
Unione Giovanile si manifestano due orientamenti ben distinti. Sono stati presi accordi per la « domenica deUa gioventù ».
Il 24 e ¡1 25 aprile ha avuto luogo a Torre Pellice un incontro dei Consigli di Chiesa di Torino e Milano. Abbiamo discusso il
tema : « La predicazione oggi ».
Il prof. Giorgio Peyrot ha tenuto una pubblica conferenza nella nostra sala valdese sul
tema : <c Regime concordatario e rapporti ecumenici ». Ne è seguita una interessante discussione cui hanno partecipato alcuni sacerdoti.
Il prof. Alberto Soggin — deUa nostra Facoltà di Teologia — ha parlato il 9 maggio
sul tema: «L’Antico Testamento neUa Chiesa cristiana oggi ».
Il problema degli Istituti Valdesi di istruzione secondaria è stato discusso dalla Comunità in una Tavola Rotonda di cui si è
già parlato su queste colonne.
Domenica 4 maggio abbiamo avuto il consueto incontro della Comunità per raccogliere fondi per gli Istituti Vgldesi di assistenza. Le sorelle della Lega Femminile hanno
preparato una cena fredda ed hanno raccolto
i molti doni ricevuti per la lotteria.
Nel corso biblico del sabato pomeriggio
abbiamo iniziato lo studio del libro degli Atti
degli Apostoli. E’ sorto nella nostra Comunità un « Gruppo del Vangelo » che si riunisce settimanalmente, al giovedì sera. Il
gruppo sta studiando l’Evangelo di Marco.
Nonostante le difficoltà sorte per il rifacimento del marciapiede di fronte al nostro negozio, è continuata una notevole affluenza di
visitatori alla nostra libreria.
Le Case Editrici italiane continuano a pubblicare varie opere di teologi protestanti ed
una notevole documentazione sugli orientamenti del « nuovo cattolicesimo ».
Attendiamo che si esprima da parte di
tutti i Membri di Chiesa la solidarietà con
questa cosi importante opera deUa nostra Común tà.
... e a Torino sulla confermazione
Nella serata del 19 maggio un’assemblea di chiesa discretamente numerosa ha esaminato e discusso il problema della confermazione. Gino Conte
ha tracciato un breve panorama storico di come si è posto e sviluppato, attraverso i secoli, il problema della confermazione, seguendo la traccia di La
confirmation au cours des siècles di
Lukas Vischer e di La confirmation,
consécration des laïcs di Max Thurian; invece Andrea Ribet, uno dei
membri della Commissione sinodale di studio su questo tema, ha presentato la relazione della medesima:
la linea della commissione è decisamente battista, pur senza farne una
legge; chiede un ripensamento e una
ristrutturazione radicale del piano di
insegnamento religioso (7-13 anni:
scuola domenicale; 13-17 cadetti: scuola attiva, servizi; 17-20: seminari teologici su questioni di attualità); chiede
che l’ammissione al battesimo (o alla
santa cena per coloro che fossero stati battezzati da bimbi) possa avvenire
in qualsiasi momento della vita, dopo
un incontro con il consiglio di chiesa.
Nella discussione — in qualche modo guidata da una bozza, di ordine del
giorno — molti sono stati gli interventi. Vi è stato chi si è rallegrato della
rinascita della tendenza al battesimo
degli adulti (un fatto però pieno di
equivoci); chi ha insistito sul fattore
"comunità”: come può il giovane impegnarsi in essa, così com’è in genere? e come si potrà, senza una ristrutturazione comunitaria, avere un effettivo inserimento che liberi il catechismo dal suo carattere essenzialmente
intellettualistico? A questo punto viene posta una questione pregiudiziale:
poiché è chiaro che nello sviluppo storico la ’confermazione’ è sorta come
conseguenza del battesimo dei fanciulli, non si può affrontare il problema
della confermazione se prima non si
è al chiaro sul secondo. È stato risposto che se si parla di ’professione di
fede’ è possibile, anzi necessario distinguerla nettamente dal battesimo, i
due problemi sono certo connessi ma
nettamente distinti; altri si sono comunque dichiarati contrari a che si
prenda una decisione univoca: dato
che il fondamento biblico-teologico è
controverso, occorre lasciare ai credenti la più ampia libertà, senza creare una disciplina che non potrebbe essere liberamente accettata in coscienza da lutti: meglio tener desta la problematica, nel reciproco agire e reagire delle posizioni.
Veniva quindi votato punto per punto il seguente ordine del giorno:
L’assemblea della Chiesa valdese di
Torino, riunita il 19 maggio 1969,
esaminati il parere e le proposte
della Commissione sinodale sul problema della confermazione e tenuto
conto del dibattito relativo, in corso
nelle nostre comunità e sulla nostra
stampa,
chiede in via preliminare che il termine ’confermazione’ (s’intende: del
battesimo) venga abbandonato, privo
com’è di giustificazione neotestamentaria e tale da costituire di fatto una
svalutazione del b.rttesimo stesso, il
quale ha in sé il ;i:o pieno significato
— lasciando qui impregiudicato il problema dell’età — c non lo riceve da
una ’conferma’ umana posteriore, ecclesiastica o individuale: il segno della grazia di Cristo, del morire nella
sua morte e risorgere nella sua risurrezione, non ha da' essere confermato
o convalidato, ma creduto o respinto;
si parli quindi di ’professione di fede’
e di impegno nella testimonianza e nel
servizio, e in tal senso s’imposti più
chiaramente la foijnazione catechetica
e la celebrazione liturgica. Su questa
linea
ribadisce l’esigenza della decisione
personale e dell’impegno di chi è e va
posto di fronte alla crisi di una scelta,
dinanzi all’Evangelo;
riafferma di essere debitrice dell’Evangelo alle nuove generazioni che sorgono nel suo seno ' e che a questo debito non può venir meno per il timore
di violare la libertà dei giovani e di
creare degli ipocriti o dei ribelli, nella
coscienza che una scelta autentica può
avvenire solo là dove TEvangelo è stato veramente annunciato. Perciò
chiede che
1) chiesa e famiglia facciano tutto
ciò che è in loro potere per assicurare
(o ridare) a questa prolessione di fede
il suo carattere di libera scelta, ponendo i giovani nella effettiva piena libertà, anche psicologica, di accettare
o rifiutare TEvangelo, senza presupporre come naturale e inevitabile un’adesione, con trepida fiducia nella fedeltà
di Dio e nell’opera del suo Spirito, attendendo con, speranza e ricevendo
con gioiosa gratitudine il miracolo della fede;
2) venga affrontato più decisamente il problema della formazione catechetica — anche a livello locale, come
comincia ad avvenire nella riflessione
generale della chiesa — riconoscendo,
con volontà di rinnovamento, che ci
troviamo attualmente in un circolo vizioso, per cui la crisi attuale della
chiesa ha la sua radice nella crisi dell’insegnamento catechetico e viceversa;
a questo scopo venga costituito nella
comunità un gruppo di ricerca e di
sperimentazione, con la partecipazione di catechisti, monitori, genitori, gio;
vani, tenendo conto dell’esigenza di
COMITTO MASClllll MDESE
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l’anno scolastico 1969-70 per ragazzi dai 6 ai 16 anni.
fornire pure ai catecumeni concrete e
opportune possibilità d’inserimento attivo nel contesto comunitario locale e
generale, tenendo presenti le indicazioni date dalla Commissione sinodale e
da altri tentativi consimili nelle Chiese evangeliche nel mondo;
3) venga ripensata e riformulata
secondo queste prospettive la liturgia
della professione di fede, insistendo
affinché si guadagni in sobrietà, concretezza e profondità tutto ciò che va
sfrondato in superficie;
4) vengano esaminate la possibilità, la fondatezza teologica e le modalità dell’ammissione alla santa cena di
giovani i quali, nel corso della loro formazione catechistica, esprimano il desiderio di parteciparvi;
chiede infine che a livello comunitario come a quello di tutta la Chiesa
valdese sia proseguito (o ripreso) e
approfondito lo studio del problema
battesimale, tenendo conto delle risultanze più recenti della ricerca teologica, di fronte alle quali prendere posù
zione, pure nel quadro dei problemi
posti dalla più stretta convivenza e
coopcrazione delle Chiese evangeliche
in Italia, ’federate’ e non, impegnate
in una comune vocazione.
Come si vede, si tratta di un. documento interlocutorio, ma destinato a
tener vivo il problema e a spingere a
una riflessione più approfondita e
quindi a un’azione più convinta e decisa. È risultato assai vivo fra monitori, catechisti, genitori e giovani, il
problema della preparazione biblica,
vivo ma tuttora aperto; è stata avanzata la proposta interessante di valersi, nel corso del catechismo, di consulenze specifiche su temi particolari.
Circa l’eventualità e l’opportunità di
ammettere alla santa cena giovanetti
che lo richiedano al Consiglio, anche
prima di avere uUiniato il loro corso
catechetico (come già avviene in forma sperimentale in altre Chiese, ad
esempio a Ginevra) alcuni hanno manifestato il loro accordo, altri dissenso; alcuni consensi si sono manifestati per la via seguita dalla comunità di
Genova: la professione di fede (e conseguente partecipazione alla santa cena) può avvenire in qualsiasi domenica dell’anno, previo colloquio con il
Consiglio. Nell’insieme, una buona serata; speriamo altrettanto buono il seguito.
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47045 Miramare di Rimini
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Mathieu (Roma) 10.000; Comune di Massello 50.000; Amedeo e Laura Massel (ChiottiRìclaretto) 5.000; Lina e Mario Miegge (Urbino) 10.000; Micol Elisa (Massello) 5.000;
Giraud Silvio (id.) 5.000; Fam. Micol Edwin
(id.) 5.000; Giovanni Tron (Maniglia-Perrero) 5.000; Nino e Nelda Rostagno (Torino)
10.000; Partecipanti all’Àgape del 17 Febbraio (Perrero-Maniglia) 27.000; Famiglie
A. M col e A. Poet (Ferrerò) 10.000.
Per l’Ospedale di Pomaretto:
Fiori in mem. della mia cara cugina Viola Baret-Pastre, Letizia Bonnet (Luserna S.
Giovanni) L. 5.000.
VILLAR PERORA
Dipartita. I nostri giovani frateUi Gioffredo
e Elbana Notta, hanno avuto il grande dolore
di perdere il loro figlioletto Fabrizio a soU 20
giorni di vita. Il servizio funebre ha avuto
luogo il 17 maggio alla Vignassa, in mezzo ad
una profusione di fiori e alla presenza di una
gran folla commossa. Poi si è proseguito per
S. Germano ove la piccola salma è stata deposta nella tomba di famìglia. Il Pastore Genre, amico della famiglia, ha concluso il servizio con la preghiera. Vogliamo dire ancora
una volta la nostra profonda simpatia ai cari
genitori, alle sorelline, ai nonni e chiediamo
al Signore di aiutarU a santificare il loro dolore.
Assemblea di chiesa. Il 1° giugno abbiamo
letto e commentato la relazione annua, poi il
nostro delegato Carlo Venturi ci ha informati
sul Sinodo congiunto di Roma, infine, si sono
eletti i deputati alla conferenza nelle persone
di Carlo Venturi e Germana Costantin nonché il delegato al Sinodo in persona di Gallian
Bruno.
Gite. Il 18 maggio un gruppo di sorelle
ha partecipato alla giornata delle Madri ad
Agape. Il 2 giugno abbiamo avuto la gita
della comunità a Varigotti. Giornata serena
e riposante, trascorsa in gran parte sulla
spiaggia. Un vivo grazie al nostro fratello
Guido Costantino, che ci ha accolti fraternamente nel suo Hôtel Plaza.
Battesimo. Abbiamo amministrato il battesimo cristiano aUa piccola Katia di Silvano e IIda Roccione. Il Signore benedica questa bimba
che abbiamo accolto nella sua greggia e la
faccia crescere aU’ombra del suo amore.
Un’altra dipartita. Mentre scrivevamo queste note ci è giunta improvvisa la notizia della dipartita di un altro bimbo. Il piccolo Sandro era nato solo due giorni fa, primogenito
degU sposi Vito e Ida Costantino e avevamo
preso tutti viva parte alla grande gioia dei
genitori e dei familiari. Tutto si era svolto
normalmente e poi, come un fulmine a ciel
sereno, ecco giungere la triste notizia che
ci ha costernati. Il servizio funebre ha avuto
luogo il 7 giugno alle ore 15 a Piano Maurino
proseguendo poi per le Chenevieres. Chiediamo al Signore di consolare ì cari genitori e
di aiutarli a riprendere con fiducia il loro
cammino e diciamo pure una parola d’affetto
ai congiunti, in particolare al nonno il nostro anziano di Piano Maurino ed alla sua
valorosa compagna che hanno scelto loro stessi il testo biblico per la cerimonia funebre.
RINGRAZIAMENTO
I familiari del compianto
Paolo Charbonnier
ex cantoniere provinciale
riconoscenti per la dimostrazione di
stima tributata al loro Caro, sentitamente ringraziano quanti hanno preso
parte al loro dolore.
Un grazie particolare ai Dottori Gardiol e Coucourde, al personale dell’Ospedale Valdese, ai Pastori Signori
Micol e Rostagno, alle maestranze Cmmière e alla Amministrazione Provinciale di ’Torino.
Villar Pellice, 6 giugno 1969.
Il giorno 25 maggio il Signore ha richiamato a Sè
Enrico Jahier
di anni 77
I familiari ringraziano sentitamente
tutti coloro che hanno preso parte al
loro dolore.
Un ringraziamento particolare al
medico dr. Bertolino, al Pastore T.
Pons, agli amici di San Germano, ai
vicini di casa e all’Associazione Combattenti.
Bosi di Pramollo
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8
T)ag. 8
N. 23-24 — 13 giugno 1969
ISotiziario
ecumen ico
a cura di Roberto Peyrot
I SUCCESSORI DI E. MONDLANE
ALLA TESTA DEL « FRELIMO »
Dar-es-Salam (epd) - Al pisto del dr. Eduardo Mondlane, assassinato a Dar-es-Salam, è
stata insediata una direzione collegiale di tre
membri del FRELIMO (Fronte di liberazione
del Mozambico): il pastore metodista Uria Simango, sinora presidente ad interim, Marcelino dos Santos, un noto poeta, segretario politico del FRELIMO, e Samova Moses Michel,
ministro della difesa e comandante in capo
dell’armata di liberazione, i quali hanno continuato in modo più deciso che mai la lotta
contro il giogo portoghese, malgrado la recente caduta di un capo della loro stirpe.
PRESENZA PROTESTANTE
A BADALONA
Madrid (bip) - La chiesa di S. Pahlo a
BarceUona, la più antica deUa città, è stata
chiamata ad estendere la sua azione di evangelizzazione nella regione di Badalona.
In questa città operaia di 150.000 abitanti, che dista 7 km. da Barcellona, risiedono
alcuni membri della chiesa di S. Pahlo, il
che forma il primo nucleo di questa comunità. Inizialmente si tenevano riunioni
settimanali o bisettimanali nelle case dei
suddetti membri di chiesa, con una sempre
maggior partecipazione di persone, la qual
cosa ha determinato la chiesa di S. Pahlo ad
aprire una cappeUa. È stato affittato e adattato a sala di riunione contenente un’ottantina di persone un laboratorio di falegnameria, sotto la direzione di un membro di chiesa. Un seminterrato consente ai bimbi ed ai
giovani di avere le loro riunioni.
L’autorizzazione di aprire questa cappella
è stata richiesta dai membri eomunicanti di
Badalona, onde poter celebrare il culto. (Essi appartengono alla Chiesa Evangehca, che
non è iscritta nel registro deUe « associazioni confessionaR »). Essi non l’hanno ancora
avuta ma hanno cominciato a riunirsi nella
cappella sin daUa fine d^o scorso settembre. ,
L’ARCIVESCOVO DI ATENE
RISPONDE AL
METROPOLITA DI LENINGRADO
Atene (soepi) - Mons. Hieronymos, arcivescovo d’Atene e primate di Grecia ha risposto
al metropolita di Leningrado, mons. Nikodim
il quale, in una recente intervista concessa
alla « Gazzetta letteraria », asseriva che i colonnelli greci esercitano delle pressioni sulla
Chiesa ortodossa greca ed intervengono nei
suoi affari interni. (La cosa è anche stata
documentata da noi su queste colonne nei
numeri scorsi).
« Augurerei con tutto il cuore a mons.
Nikodim personalmente ed a tutta la chiesa
russa, come pure a qualunque altra chiesa
ortodossa che la sottomissione imposta dallo
Stato alla Chiesa si avvicini, anche solo vagamente, a quella che i colonnelli" avrebbero imposto alla chiesa greca », dice in modo particolare Hieronymos. (Egli però “stranamente" non accenna all’appoggio ed alla
collaborazione della sua chiesa verso i “co. lonnelli").
« Desidererei — egli aggiunge — porre a
, mons. Nikodim la seguente domanda: La
chiesa russa ha già risolto tutti i problemi
concernenti le proprie relazioni con lo stato,
tanto da sentirsi in grado di occuparsi dei
problemi deUe altre chiese? ».
Mons. Hieronymos si trova a Sofia per
partecipare aUe cerimonie dell’undicesimo
centenario della morte di s. Cirillo.
TROPPE CHIACCHIERE
NELL’ ECUMENE
Zurigo (epd). - Secondo il teologo cattolico
svizzero Hans Kiing, nel movimento ecumenico si parla troppo e si fa troppo poco. Nell’ultimo numero di « Concilium » egli ha posto a un forte numero di speciaRsti questa domanda ; « Con quale gesto coraggioso il papa,
i vescovi e i teologi possono realmente stimolare l’ecumene? ».
Un sacerdote e teologo anglicano quarantanovenne, Hugh Montefiore, che opera nella
città universitaria di Cambridge, insiste sul
fatto che la concezione deH’autorità che ha il
pontefice attuale ha scosso la fiducia nel movimento ecumenico. Il Montefiore troverebbe
coraggioso se il papa riconoscesse che la direzione deUo Spirito Santo è operante pure
in altre Chiese cristiane. Egli dovrebbe riconoscere apertamente che pure la Chiesa romana ha commesso degli errori. Un benefico influsso suH’avvicinamento delle varie Chiese si
avrebbe se il papa annunciasse ex cathedra
che molte decisioni e affermazioni ecclesiastiche precedenti non possono più essere vincolanti oggi. L’affermazione che tutte le definizioni della fede non possono, per natura,
essere altro che « espressioni imperfette, insufficienti e poco chiare » darebbe un impulso
eccezionale non soltanto al movimento ecumenico, ma anche al desiderio di aggiornamento stesso della Chiesa cattolica romana.
Il Montefiore propone pure al papa di trascorrere ogni anno un po di tempo in questa
o in quella diocesi a turno e di prendere
parte, esattamente come il vescovo, alla vita
quotidiana della diocesi, venendo cosi in contatto con molti sacerdoti e laici e con i loro
semplici problemi.
Nel medesimo numero di « Concilium » il
belga card. Suenens, vescovo di Bruxelles/Malines, scrive a proposito del gesto coraggioso
che da parte dei vescovi gioverebbe all’avvicinamento delle Chiese : « La corresponsabilità
dei vescovi per l’ecumene pub essere attuata
nel modo più naturale in un sinodo dei vescovi che lavori veramente ». Secondo lui gli
organi sinodali devono istituire rapporti con
le Chiese orientali nelle loro forme molteplici,
grazie pure all’aiuto di speciaRsti,
Scrive il direttore del settimanale riformato ginevrino “La Vie protestante,, PpQ33 ||j pOSÌZÌOilG
Lettera aperta a Paolo VI m dirìgenti ritorniati
Paolo VI a Ginevra, « nella roccaforte del calvinismo », come si esprimeva
un quotidiano nostrano. In questa occasione il pastore Jean-Marc Chappuis, direttore de « La Vie protestante » — il settimanale evangelico della
Svizzera romanda, con sede a Ginevra — ha pubblicato sul suo periodico
una “lettera aperta" al pontefice romano, succosa e dignitosa. Ci pare interessante riportarla, anche se è forse un po’ troppo ottimista, in particolare per ciò che concerne il problema dei matrimoni misti e se in generale riflette una valutazione dell’ecumenismo attuale abbastanza diversa
dalla nostra; anzi, proprio per questo la pubblichiamo volentieri. E qui a
fianco riportiamo pure la presa di posizione di un gruppo di personalità
direttive della Chiesa riformata di Ginevra.
ginevrini
Ospite della Svizzera e di Ginevra,
dell’Organizzazione internazionale del
lavoro e del Consiglio ecumenico delle
Chiese, Lei si dispone a soggiornare
fra noi per una giornata. Il nostro
giornale Le dà il benvenuto.
La città di Calvino, oggi sede di numerose organizzazioni internazionali
che attestano il perdurare della sua
vocazione universale. L’accoglierà con
gli onori che il regime della Chiesa
romana e il cerimoniale del presente
secolo L’obbligano, pare, a gradire. Il
popolo di Ginevra, come quello di
Roma, è abituato ai grandi di questo
mondo ma, a differenza da quello di
Roma, non è affatto abituato al fasto.
Il presidente della Confederazione elvetica, quando viene da Berna, non è
sicuro in anticipo di trovar posto nella carrozza-ristorante.
Siamo fatti così da molto tempo. A
partire dal 23 maggio 1387, giorno in
cui il vescovo di Ginevra Adhémar Fabri pubblicò le « Franchises et coutumes » della città, abbiamo dimenticato, qui, gli usi monarchici, sebbene il
nostro stemma porti ancora, accanto
alla chiave del capitolo episcopale e
sotto il monogramma del nostro Signore Gesù Cristo, l’aquila del sacro
romano germanico impero.
A partire poi dal 15 maggio 1536 siamo divenuti una Repubblica, adottati
a mano alzata gli editti della Riforma.
Cioè è ben radicata fra noi l’abitudine,
sia nella comunità civile che in quella
cristiana, di onorare in modo sobrio
pastori e magistrati.
Tuttavia l’entusiasmo si manifesterà
senza dubbio, alla Sua venuta. I nostri concittadini e i nostri ospiti cattolici saranno felici di accoglierLa, e
ne daranno testimonianza massiccia.
Comprendiamo la loro gioia. In questo
tempo di crisi, nel quale le dottrine e
gli usi cristiani in genere, le dottrine
e gli usi cattolici in particolare sono
pubblicamente discussi da tanti chierici e fedeli, è certamente molto incoraggiante per loro stringere le fila attorno a Lei, cui incombe il compito
immensamente temibile di incarnare,
ai loro occhi, quelTinfallibilità della
Chiesa che, per parte nostra, crediamo
che non possa essere garantita da nessun uomo, ma unicamente dallo Spirito Santo e dalla parola di Dio. Essi
L’accoglieranno dunque con fervore.
Da parte sua, la popolazione protestante s’interroga sul significato profondo della Sua visita. Le parole che
dirà, sia all’O.I.L. sia al C.E.C., saranno quindi accolte con molta curiosità
e vivo interesse. Gli uni, risolutamente ecumenici, sperano che con la Sua
presenza contribuirà allo sviluppo delle relazioni fra il Consiglio ecumenico
e il Vaticano; questi seguiraimo con
attenzione particolarmente desta quel
che dirà. Altri, meno sensibili alla causa dell’unità che a quella della fedeltà
che tutti dobbiamo ai nostri padri nella fede, veglieranno con un’attenzione
volentieri severa a che dalla Sua venuta non risulti alcun malinteso; questi presteranno maggiore attenzione a
quello che Le sarà detto e che sarà
detto di Lei. Un vescovo svizzero si è
già espresso a proposito del Suo viaggio in termini che come protestanti
abbiamo difficoltà non solo ad approvare — e questo non sarebbe evidentemente necessario — ma neppure a
semplicemente capire — e questo sarebbe senz’altro auspicabile. Il Suo
viaggio, secondo questo vescovo, sarebbe « la continuazione del grande
gesto, unico e inaudito, dell’incamazione ». Una interpretazione simile non
trova posto nell’universo mentale del
protestantesimo, sì che per noi non vi
è misura comune fra il viaggio di un
capo di Chiesa a Ginevra e la nascita
di Gesù a Bethlehem. Quando il pre;
sidente Boegner o l’arcivescovo di
Canterbury vengono fra le nostre mura, interpretiamo la loro presenza non
nella dimensione verticale dell’incarnazione del Figlio di Dio, ma, più semplicemente, nella dimensione orizzontale dei viaggi apostolici di Pietro e
di Paolo, di Timoteo e di Tito.
UN SUGGERIMENTO
RELATIVO
AI MATRIMONI MISTI
Mi permetta di avanzare qui un suggerimento. E in Suo potere evitare
ogni malinteso e ogni irrigidimento
confessionale. Il nostro paese, come
Le è noto, conta all’incirca altrettanti
cattolici e protestanti. Questa situazione offre molti vantaggi, a qualche
inconveniente. Ad esempio si pone continuamente, fra noi, il problema cosi
delicato dei matrimoni misti. Basterebbe dunque che in poche parole desse ai Suoi ospiti del Consiglio ecumenico l’assicurazione delle Sue buone
disposizioni a questo riguardo, perché
il Suo viaggio fosse interpretato da
tutti in modo francamente positivo.
Dopo il Concilio gli usi della Chiesa
romana si sono ammorbiditi un poco.
Ai fidanzati cattolici si possono accordare certe dispense. Ma tali dispense
sono concesse con calore molto variabile a seconda delle diocesi. Inoltre
questa soluzione non è soddisfacente
in linea di principio. Ciò di cui abbiamo tutti bisogno è il pieno riconoscimento scambievole delle benedizioni
nuziali celebrate da una parte come
dall’altra, e il diritto riconosciuto agli
sposi di scegliere liberamente la confessione dei loro figli. Mi prendo dunque la libertà di suggerirLe che colga
l’occasione del Suo viaggio a Ginevra
per affrettare il momento in cui quella
soluzione, la sola davvero benefica per
tutti i cristiani, la sola autenticamente ecumenica, prevarrà in tutte le
Chiese.
Saranno così verificati in modo pratico ed evidente a tutti le parole dette
da Karl Barth al suo ritorno da Roma,
tre anni or sono: « Ho scoperto da vicino una teologia e una chiesa che
hanno avviato un movimento le cui
conseguenze supereranno ogni nostra
previsione; sia pure lento, questo movimento non è per questo meno reale
e nulla potrà fermarlo; questo spettacolo è di tale natura da ispirarci l’augurio che vi sia qualcosa di simile da
noi ».
Questo auspicio mi spinge a esprimere la gioia che abbiamo provata
quando Lei ha promulgato la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa,
che comincia a portare frutti in molti
paesi; e a dirLe pure ohe in Svizzera
innumerevoli protestanti considerano
venuto il momento di sopprimere, nella nostra Costituzione federale, gli ’articoli d’eccezione’ che limitano la libertà della confessione cattolica.
Mi sia pure permesso attirare la
Sua attenzione su un altro problema.
Mi auguro che quando visiterà l’Ufficio intemazionale del lavoro. Le sia
dato di vedere il medaglione che in
quell’edificio ricorda il precursore di
Albert Thomas, l’industriale protestante Daniel Le Grand. Bisavolo di Marc
Boegner, Daniel Le Grand era figlio di
un teologo di Basilea al quale capitò,
in tempi agitati per il nostro paese,
di accedere alla massima rhagistratura svizzera di quell’epoca, la presidenza del Direttorio elvetico. Daniel Le
Grand, stabilito in Alsazia, fu uno dei
rari cristiani che nel XIX secolo lottarono contro la disumanizzazione del
lavoro, che Marx e Engels denunciarono, contro le Chiese costituite.
Abbiamo agio di rallegrarci al pensiero che, con la Sua visita all’Organizzazione internazionale del lavoro,
contribuirà a riparare gli errori commessi in questo campo da tutte le
confessioni cristiane. L’enciclica « Populorum progressio » — accolta meglio della « Humanae vitae », fra i pro;testanti, come Le è noto — è per noi
di buon auspicio circa il discorso che
pronuncerà. Tuttavia, bisogria dirlo,
un certo numero di problerni si pongono, in molti, nel momento in cui sta
per recarsi in quell’organizzazione internazionale del lavoro che si vota a
« migliorare le condizioni di lavoro e
di vita in tutti i paesi »; questo, in particolare: come mai lo sviluppo armonioso delle nazioni e delle categorie
sociali che le compongono si attua
così faticosamente nei paesi a forte
predominanza cattolica?
NeH’America del Sud, ad esempio,
dove Lei si è recato, la situazione è
tale che in numerosi paesi la rivoluzione violenta è tutt’altro che esclusa,
malgrado la Sua condanna. In Italia
coloro che non parteciparlo in modo
equo allo sviluppo economico provano
un sentimento di frustrazione così profondo e diffuso da costituire il maggiore partito comunista dell’Occidente.
Questo problema non se lo pongono
soltanto i protestanti. Senza parlare
degli agnostici, se la pongono con franchezza anche molti cattolici, e non degli ultimi. Secondo Jean d’Hospital
BUiiiimliiiiiiiiiiiiumi'i'iiiKiimtiiiiii
(«Rome en confidence », p. 165), aveva talmente colpito Wladimir d'Ormesson quando era ambasciatore di
Francia presso di Lei, che egli dichiarava di non avere « mai avuto risposta soddisfacente » quando domandava negli ambienti romani: « Come
spiegate che non vi siano comunisti
nel Parlamento di un vecchio paese
industrializzato e dove le rivendicazioni operaie sono costanti, come la Gran
Bretagna, e che ve ne siano cento (allora!) alla Camera francese e centocinquanta a quella italiana? »
Un amico cattolico dichiarava di recente in un gruppo ecumenico al quale partecipavo, che ci si trova qui di
fronte a un vero problema di coscienza. Certamente, i paesi a forte predominanza protestante hanno anch’essi
le loro difficoltà particolari che giustificano in molti casi (negli Stati Uniti,,
in Svezia, in certune città svizzere) la
diagnosi pessimista che si può dare di
questa « società di consumi » che tende a inglobare progressivamente le nazioni più sviluppate. Malgrado la lotta impegnata da tanti protestanti contro queste difficoltà specifiche, malgrado l’azione dei segretari generali
del C.E.C. W. A. Visser’t Hooft e E. C.
Blake, abbiamo ancora molto da fare
a casa nostra. Resta ugualmente il
fatto che le nazioni a forte predominanza cattolica non sembrano, in genere, essere state un terreno particolarmente propizio allo sviluppo armonioso delle càtegorie sociali che lo
compongono. Tale è comunque l’opinione diffusa in larghi ambienti, fra
molti uomini di buona volontà.
ESSERE STIMOLATI
GLI UNI DAGLI ALTRI
Se mi prendo la libertà di rilevarlo
in questo momento, lo faccio perché
mi pare che convenga a tutti, in occasione della visita che si dispone a fare
all’Organizzazione internazionale del
lavoro, esprimere con franchezza i
pensieri sinceri, quand’anche critici,
che suscitano in questo campo specifico le nostre diverse forme cristiane
di presenza al mondo. E anche perché,
pure a questo proposito, Lei dispone
dell’autorità necessaria per provocare
i mutamenti d’atteggiamento che annullerebbero questa opinione critica e
ci farebbero progredire tutti insieme
nella fedeltà agli insegnamenti dell’Evangelo. Ne saremmo, per parte nostra, stimolati a combattere con più
perspicacia e maggiore zelo le difficoltà proprie ai paesi di tradizione protestante.
Queste sono le riflessioni e i voti che
a titolo personale, ma in comunione
di spirito con innumerevoli abitanti di
questo paese, mi permetto di sottoporLe in occasione della Sua venuta fra
noi. Sono certo che vorrà accoglierli
con comprensione.
Jean-Marc Chapputs
L’annuncio della prossima venuta del papa
Paolo VI nella nostra città ha suscitato moti
diversi. Pensiamo di dovere esprimere in proposito il nostro sentire e le nostre convinzioni.
Il papa viene a Ginevra invitato dall'Organizzazione internazionale del lavoro, la quale
festeggia il suo cinquantenario. Le prese di
posizione di Paolo VI non hanno certo a\ uto
sempre la nostra adesione, ma pensiamo che
quando esprimerà a questa conferenza del BIT
il punto di vista della sua Chiesa, si associerà
ad alcune delle nostre preoecupazioni.
11 Consiglio ecumenico delle Chiese ha preso anch’esso posizione sui problemi del lavoro — ad esempio nella Conferenza Chiesa e
Società — e il suo segretario generale parlerà
anch’egli all’assemblea del BIT in questa medesima sessione che sta per aprirsi. Speriamo
che la stampa, la radio, la televisione, molto
sollecitate dalla visita papale, accorderanno .ai.
trettanta attenzione e importanza a ciò che il
pastore Blake a nome delle altre Chiese, fra
le quali siamo.
Il papa visiterà, nella medesima occasione,
la sede del Consiglio ecumenico delle Chiese.
Questa venuta — impensabile pochi anni fa —
e soprattutto il fatto che comporterà una preghiera in comune con il segretario generale,
sono avvenimenti importanti, perché mostrano
che il capo della Chiesa romana e i rapjtrrsentanti delle altre Chiese cristiane possono incontrarsi come fratelli in Cristo.
Alla vigilia di questa visita, ci pare essenziale affermare la nostra preoccupazione di essere fedeli aR’Evangelo, nella linea tra ciatai
dai Riformatori. Non possiamo ignorar ' che'
all’interno delia Chiesa cattolica si affro itano'
tendenze diverse, come del resto in tutte leChiese cristiane. Purtuttavia, come nei XVI
secolo, non possiamo accettare la dottrin- ufficiale della Chiesa romana sulla messa, il ■ultO'
della Vergine, dei santi, delle reliquie, i meriti
e le indulgenze, il papato e un equivoci politico che fa di Paolo VI un capo di Staso oltre che un capo di Chiesa. Salutiamo tu; avia;
nella confessione cattolica romana una grande confessione cristiana a causa dei te.=! ri di:
piéià, di carità, di umile fedeltà, di testimonianza autentica e di servizio, che s’i'icontrano in questa Chiesa. Ci rallegriam:, dei
segni di rinnovamento che in essa si n: nifestano.
Parecchi protestanti sono stati sorpresi dall’annuncio di una messa nel parco de la 5 cange. Dimenticano forse che alcuni anni fa il
parco delle Eaux-Vives è stato pure me so a
nostra disposizione? Dobbiamo comprendere
ebe per i nostri fratelli cattolici rom.uii la
visita del papa doveva pure comp, lare
un’espressione di vita spirituale e and ? se
non possiamo condividere le loro idee relativamente all’eucaristia, rispettiamo la loro
preoccupazione di esprimere a modo loro la
loro fede.
Pensiamo alla visita del 10 giugno '...’i un
sentimento di ricomoscenza per ciò che /io ci
ha dato mediante la Riforma e per ì ; ■ che
ci dà mediante i contatti che abbiam' con
fratelli di altre Chie.se. Non abbiaim
che, dopo questa visita, il papa fai eia
è in suo potere perché sia dovunque /r
la libertà religiosa a tutte le Chiese e
Chiediamo a Dio di raccogliere il
polo su tutta la terra e di sp e
il suo Spirito di verità, di pace c di
Chiesa. Jean-Pierrf. Jorivoi.
moderatore della Compagnie
pasteurs, Edmond Sai'ty
'tiMiimiDiiiiimiiimii
iiMiiiiiimmmiii
iniliiiiiMiiiiiiiimiiiiliiiiiiiiii>i"’D
llllllll■lllmlllll■llDllll
DlllllllllllllllmllUIMIII II
mmiiniiiiiiiiiMtimmiiiimimitiiiiiDiiiiiiKi'it
lilllllDIIIIItlDIDllltOmilDIIIIIIKIDIIIIIIDIMIIIII
hm aotidimostrazioDe
di lan Paisley, a fiioevra?
Zurigo (epd). - Secondo un dispaccio della
agenzia stampa cattolica KNA, il predicatore
nordirlandese lan Pai.sley progetta di protestare a Ginevra, il 10 giugno, contro la visita
del papa. Egli avrebbe fatto questa affermazione il 10 maggio, in Ahgohill, di fronte a
un migliaio di .suoi sostenitori. Egli sottolineava di essere pronto, in qualsiasi dimostrazione, a comportarsi secondo le indicazioni della
polizia; e assictirava il suo appoggio al nuovo premier nordirlandese. Chichester Clark,
finché questi non facesse tentativi per avvicinarsi alla Repubblica d’Irlanda.
Direttore responsabile: Gino Conte
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muta
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Il vicepresidente del Consigue
cativo, Pierre Haiì.sser - l.u presidente del Consistoire. Tilk ' Prince - Il segretario generali della
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Reg. al Tribunale di Pinerolo
n. 175, 8-7-1960 ______
Tip. Subalpina s.p.a - Torre Pellice (To)
Nell’antro della piovra
Dedichiamo questa illustrazione al fausto evento che si
consuma in questi giorni nella città di Calvino. Non è il
frutto di nostre furie malsane. I lettori meno immemori
ricorderanno che l’abbiamo
pubblicata alcuni anni or sono. Si era nell’autunno 1964,
la primavera conciliare volgeva al meriggio anche se i
mille fiori — evidentemente
— non erano ancora tutti
sbocciati. E sulla copertina
di « Famiglia Cristiana », il
più diffuso settimanale illustrato cattolico italiano, edito dalla Pia Società S. Paolo,
compariva questo cupo-rutilante capolavoro. La didascalia suonava « Il protestantesimo avanza come una piovra », ma la figura rimandava a un articolo interno pieno di consolazione: « Il protestantesimo in Italia non fece breccia ». A quei tempi il
nostro MARCO ci fece su uno
dei suoi 'pezzi’ scintillanti e
carichi di umanità: « Noi, figli della piovra ».
Ci dispiace, ma questa illustrazione ci è tornata alla ^ i j
mente, al pensiero del viaggio di Paolo VI a Ginevra, e m particolare della su
visita al Consiglio ecumenico. E siamo andati a rispolverarla, ed eccola h davanti a noi, più truculenta che mai. Perbacco, papa Montini nell’antro della piovra! Ma forse è ormai ridotta a un calamaro. Le chiavi, invece, sono sempre
quelle, e il triregno pure.
Fra il serio e il faceto, a mo’ di congedo, amico lettore.
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