1
LA BUONA NOVELLA
GIORNALE DELLA EVANGELIZZAZIONE ITALIANA
/
Seguendo la verità nella carità. — EfBs. VI. 15.
PREZZO DI ASSOCIAZIONE ; LE ASSOCIAZIONI SI RICEVONO
Per lo Stato [franco a destinazione]____ £. 3 00 < In Toeiso alVCffizio del Giornale, via del Princip«
Per la Svizzera e Francia, id........... „ 4 25 j Tommaao dietro il Tempio Valdese.
Per l’Inghilterra, ìd................... „ 5 50 ' Nelle Provixcib per mezzo di franco-bolli p>j
Per la Qermanla id................... „ 6 50 ^ stali, che dovranno essere inviati franco al Di- • *
Non si ricevono associazioni per meno di un anno. ' rettore della Bcosa Novella.
AU’estero, a’ seguenti indirizzi ; Parigi, dalla libreria C. Meyrueis, rue Rivoli; "f ^ .
Ginevra, dal signor E. Beroud libraio ; Inghilterra per mezzo di franco-bolli '
inglesi spediti franco al Direttore della Buona Novella.
SOMMARIO l
La recente scomunica giudicata dalla stampa italiana — Brevi riflessioni sul movimento ilaliano —
Polemica, la Messa — Cronaca della quindicina — Annunzii.
LA RECENTE SCOMUNICA
GIUDICATA DALLA STAMPA ITALIANA
Varj sono fra gli stessi cattolici i giudizj intorno alla scomunica
che il Papa ha recentemente denunciata, a tenore del capitolo undécimo, sessione ventiduesima del Concilio Tridentino, contro tutti
coloro che attentarono alla sua sovranità temporale ; ma nessuno di
questi giudizj saprebbe essere per avventura favorevole in alcuna
guisa al romano pontefice.
Gli uni fra codesti scrittori dichiarano recisamente nulla siffatta
scomunica, perchè basata sovra un titolo che non ha alcuna identità di rapporto. L’invocato capitolo del Tridentino, dicono essi al
Papa, non fa certamente al caso vostro, perchè non accenna in alcun
modo alla vostra sovranità temporale, ma solamente ad ecclesiastici
beneficj , a quei beni cioè, che sono da impiegarsi per i bisogni dei
sacri ministri o da distribuirsi ai poveri di qualche chiesa Oro
2
voi beatissimo Padre, non potevate dichiarare sul serio scomunicati
coloro che attentarono al vostro dominio temporale, a meno che non
vi compiaciate iu questa emergenza, di risguardare voi stesso siccome
un beneficiato, e gli Stati romani nulla più di uu vostro beneficio.
Ma in tal caso vi converrà di stabilire iu pien secolo decimonono,
che gli uomini sieno cose, e gli stati sieno feudi, onde e popoli e stati
si possano considerare siccome ecclesiastici beneficj, e vi converrà
pure di essere rassegnato, se un così singolare criterio destasse per
avventura un riso omerico fra tutti coloro che lo trovassero destituito
di ragione e di buon senso, non che avverso ad ogni nozione di giurisprudenza.
Gli altri poi in quest altra guisa discorrono: Voi dunque, beatissimo Padre, giusta l’allegato capitolo del Tridentino, studiate di
stabilire che gli Stati romani debbonsi considerare siccome un beneficio accordato per il sacro ministero della Chiesa, e del quale voi
siete solo il beneficiato pro tempore? Le censure e gli ecclesiastici
anatemi colpiscono dunque ipso facto coloro, tanto laici che ecclesiastici, i quali contribuiscono ad alienare o menomare codesto patrimonio della Chiesa o dei poveri ? Sia pure coma voi dite, ma in allora vi sovvenga di un precedente che vi risguarda assai da vicino.
Volgeva Fanno di grazia 1848, e la Santità Vostra, sentito l’unanirne parere dei cardinali, decretava lo Statuto del 13 marzo, ed accordando i coìisigli deliberanti, alienava una porzione di sua sovranità temporale. Se gli Stati romani sono dunque un beneficio ecclesiastico, voi, beatissimo Padre, e gli eminentissimi cardinali che vi
consigliarono, incorreste tutti ipso fax:to le censure comminate dalla
sessione ventiduesima, capitolo undécimo. del Tridentino, perchè
alienaste e menomaste questo singolare beneficio, che è pure il patrimonio di S. Pietro, quantunqxie veramente il santo apostolo sia
vissuto e morto povero, siccome il suo divin Maestro. Ma v’ha di
peggio ancora, beatissimo Padre: se colui che incorre sifTatte censure
è il beneficiato stesso, in allora si dichiara in quel capitolo, notatelo
bene, decaduto ipso facto dal beneficio; laonde V. beatitudine sarebbe
nulla meno che decaduta, fino dal 1848, dalla sua beata sovranità
temporale, a tenore di quel sacro canone medesimo, che tanto si è
compiaciuta di allegare contro coloro che, usando di un imprescrittibile diritto, si dichiararono stanchi di un governo incidile, barbaro,
inumano, nemico di Dio e degli uomini, quale si è appunto quello
della beatitudine Vostra.
L’una dunque delle due, o beatissimo Padre: o il vostro dominio
3
temporale non è un beneficio ecclesiastico, ed in allora che mai si
dovrà dire di voi, che nello spiegarci un canone di un concilio, considerate quella sovranità come un ecclesiastico beneficio? ov\-ero è
ciò che voi dite, ed in allora come potrete voi declinare quelle censure che tanto vi afi’rettate di comminare agli altri ? 0 sv'enturato
timoniere di mal costrutta nave! Volendo evitar Cariddi è pur giuoco
forza che percuotiate iu Scilla.
E tale è però l’umiliante condizione in cui vien posto il romano
pontefice dal bugiardo e sofistico sistema che informa quella Chiesa
di cui egli è il capo ed il l'appresentante. Il [>erchè, caratteristico
sistema del romanesimo quello si fu mai sempre di far convergere
le armi santissime della religione al procaccio ed alla tutela di secolare possanza e mondana ricchezza, e di adoprare umani mezzi, la
forza e la violenza, per proteggere ed assicurare i pretesi interessi
della religione.
Duplice errore, che uel primo caso prostituisce e degrada la religione, e nel secondo disconosce e rinnega i più sacrosanti diritti
dell’umanità. Duplice errore, che ha riempito il mondo di disordine
e guerre fratricide, di roghi e di patiboli; duplice errore segnato a
caratteri indelebili di sangue e dalla data della notte di S. Bartolomeo, e da quella degli orribili massacri di Peruggia: e bastano queste
due date per far conoscere al mondo intero qual religione sia veramente il romanesimo, che nel papato civile e spiiituale s’incarna.
Odo pertanto molte v^oci che d’ogn’ intorno e d’ogni parte s’innalzano contro siffatte enormczze c cotanta immanità: solo, in mezzo a
così giusti clamori, l’episcopato romano si tace; dunque è connivente;
dunque approva; dunque è risponsabile; ed io non so die si debba
dire di quella Chiesa, che pur osa cldamarsi la vera Chiesa di Cristo.
0 fatale delirio che ha fatto scambiare Cristo in Belial!
Sarà dunque il Vangelo che autorizza negli umili e miti suoi ministri, il fasto dei Sardanapali e 1 efieratezza dei Tiberii? Sarà dunque il Vangelo che autorizza i mansueti guardiani della Chiesa di
Cristo a lanciar scomuniche ed anatemi contro popoli che, stanclii
di diuturna tirannide, scuotono il giogo d’illegittimo potere, iu nome
della giustizia derisa, dell’umanità conculcata e della religione vilipesa? 0 sarà dunque il Vangelo che consiglia e comanda ai suoi
pacifici banditori d’imporre ai popoli la religione colla forza e colla
violenza? E qual religione, o buon Dio?...... No, il Vangelo non
santifica l’umano orgoglio, nè la terrena cupidigia, nè la sete dell’oro
nè la libidine del potere, nè la superbia del secolo. No, il Vangelo
4
non impone colla gogna o col rogo la religione di Cristo, e tanto
meno quella dei papi. No, il Vangelo non ci permette assolutamente
di riconoscere a tali distintivi la vera Chiesa di Gesiì Cristo. Per
verità che tale non fu quella degli apostolici tempi, nè quella dei
primiti\i secoli del cristianesimo, quando Roma non avea ancora
postergati gl’insegnamenti divini, e non era ancora ritornata al culto
dei numi ed ai riti dei flamini.
Se pertanto la Chiesa di Roiua non è pivi quella di Cristo, a qual
titolo o a qual diritto si potrà ancora appartenerle? Noi divieta forse
il A^angelo? Noi divieta la coscienza?
0 voi popoli delle Eomagne, delle Marche e dell’Umbria, e voi
popoli tutti dello Stato romano, mi udite. Il capo della vostra Chiesa
vi ha dunque scomunicati, perchè, per l’onore e l’indipendenza della
patria vostra, avete disconosciuta la sua sovranità temporale, eterna
nemica d’ogni vostra gloria e d’ogni vostra grandezza ?
Ebbene, lungi dal levarne corruccio e lamento, ringraziate invece
la divina Provvidenza per tanta ventura. Il vostro papa dichiarò
dunque che voi non fate piii parte della sua Chiesa? Oh! voi beati,
se farete che sia veramente così, ridivenendo pm’e e sante membra
della vera Chiesa di Cristo, la quale non innalza patiboli, non appresta
mannaie, non arma sicarj, non comanda carnefici, non strazia e non
uccide i corpi dei liberi figliuoli di Dio, nè tiranneggia i loro spiriti,
ma si fa conoscere dalla purezza della fede, dalla santità delle sue
dottrine, dalla spiritualità del suo culto, dall’integrità della sua morale e dalla bontà delle sue opere ; ond’essa non avversa la civiltà
cristiana, ma la nutrisce e la feconda; non condanna il sociale progresso, ma lo sviluppa e lo difi'onde; non si oppone alla libertà dei
popoli, ma la propugna e la santifica. Popoli delle Eomagne, popoli
di tutta Italia, l’ora della vostra religiosa redenzione è forse già suonata nei divini consigli della Provvidenza, dappoiché l’oscura notte
dell’errore sta varcando, e si avanza lo splendido giorno della verini.
0 splendido giorno di verità, tu dunque avanzi? Avanza, e confondi tanta ipocrisia e tanta menzogna ! Giorno di verità avanza, e
l’eterna giustizia prevalga sulla perversità del secolo ! Giorno di verità avanza, e cada l’informe colosso di Nabucco ! Giorno di verità
avanza, e sia redenta nel Signore l’italica famiglia ! Giorno di verità
avanza, ed i liberi popoli si uniscano in patto di fraterno amore !
Giorno di verità avanza, e gli uomini tutti della terra si prostrino
dinnanzi a Dio solo, e Lui solo adorino in ispirito e verità ! Giorno
5
di verità tu avanzi?... Rigettiamo adunque coraggiosumeute le opere
delle tenebre, e rivestiamoci dellarmi risplendenti della luce.
BREVI RIFLESSIONI
SUL MOVIMENTO ITALI ANO
Firenze addì 22 agoato 1859
11 movimento nazionale italiano è stato pur troppo travisato dai
meschini calcoli della politica egoistica, e da ingiuste prevenzioni.
A scagliarli la pietra addosso, ci duole il confessarlo, non ultimi sono
organi autorevoli della opinione pubblica in paesi protestanti; onde
a dilucidarne il vero carattere non saranno inopportuni alcuni schiarimenti.
Il risorgimento è religioso e politico in un tempo: due elementi
che non possono, in Italia, andare disgiunti. In questo doppio aspetto
egli ò meritevole di speciale attenzione.
Nell’ordine politico, non occorre addimostrarlo, ei nulla ha che
fare col tumulto dei partiti, l’urto di gare ambiziose. Egli è il destarsi
dignitoso, risoluto, d’un intero popolo, che, con slancio ordinato ma
irresistibile, anela alla sua nazionalità, o vogliam dire alla propria
esistenza, ed a costo di qualunque sacrifizio, combatte la santa causa
che immortalò i nomi d’un Guglielmo Teli — d’un Washington. —
Se già dal lato pohtico dobbiamo fare plauso a così alta e legittima
impresa, crescerà maggiormente la simpatìa nostra, quando considereremo gl’importanti risultamenti che sono per derivarne a vantaggio
della religione.
Il Vangelo, che al vento burrascoso delle persecuzioni si svolge
come all’aura benefica della libertà, brillò già iu Italia di vivo splendore alla fiamma dei roghi. — La secolare oppressione gli riuscì fatale, e pare ch’ei debba all’alito benefico della libertà novellamente
ridestarsi.
Qualunque forma rivesta poi in Italia il pensiero cristiano, egli è
* Senza che sappiamo spiegarci come, sono sfuggiti nella stampa di quest ’articolo,
già pubblicato nel numero antecedente, tanti e così gravi errori, che abbiamo stimato
opportuno, atteso speciatmcnte l'importanza deU’argomento in es.?o trattato, di
stamparlo di nuovo. Red.
6
incontrastabile, che, anche sotto le apparenze del dubbio e dell’incredulità, il bisogno di fede travaglia le anime.
Gli Italiani non saranno mai la preda del desolante scetticismo.
Le nobili aspirazioni del cuore, le maraviglie del creato non meno
che le salutari lezioni dei patiti dolori parlano loro di fede e di amore.
Così legittimi bisogni Eoma non li saprebbe appagare. Ella di propria
rnano scavò l’abisso che la divide dalla parte eletta della nazione. I
suoi vieti dommi, le vane pompe, che nulla dicono all’anima nè alla
coscienza, piii non parlano neppure alla fantasia. L’ignoranza, la
corruzione somma dei preti (salve sempre le debite eccezioni) destano
universale ripugnanza o disprezzo. — Il tenace sistematico osteggiar
ogni progresso, ogni sociale migliorìa, togliendo loro la pubblica fiducia, consuma il divorzio. Quale fu infatti, in mezzo all’entusiasmo
generale, la parte di Roma all’opera del nostro riscatto ? — La perfida diserzione dalla causa nazionale nel 49 e la recente gratuita
strage dei proprj figli in Peruggia !
Non è quindi maraviglia che nella loro ardente brama di verità,
gli animi sinceri ripugnino di ricorrere alle cisterne screpolate, alle
acque stagnanti di Roma, abbisognino della pura sorgente del Vangelo. Ma, per arrivare alla limpida fonte e pacatamente dissetanùsi,
abbisognano pure di libertà.
Quindi l’alta importanza, nell'aspetto religioso, del movimento nazionale di cui siamo testimonj. — Quindi i suoi più legittimi titoli
alla simpatìa nostra. — Chè è giustizia il dichiararlo, e vorrei che la
debole voce fosse intesa dai cristiani di fuori “ Il movimento nazio“ naie e liberale italiano onora e rispetta i sacrosanti diritti della
“ coscienza. ”
Il Piemonte fece le sue prove in questi dieci anni. Il governo toscano, dal canto suo, ci offre mirabile spettacolo. Appena il Granduca
lasciava il paese, che in questa eletta parte d’Italia spariva ogni
vestigio, non che di violenta persecuzione, anche della minima molestia. Uno dei primi atti del nuovo governo fu di richiamare in vigore l’art. della Costituzione del 1848 sulla libertà di coscienza. Il
ministro dei culti, sig. V. Salvagnoli, valente patrocinatore della
libertà religiosa nella causa de Madiai, fa risaltare un punto importantissimo della legislazione toscana, dimostrando ch’essa non contiene penalità contro i così detti reati d’eresia; ed un decreto speciale
dovrà svolgere ed attuare cotali principj. Ne possiamo intanto ravvisare lo spirito nel rapporto che il Ministero presentava alla consulta
di Stato, addì 6 luglio decorso.
7
Ei così si eHprime in un R. sugli affari ecclesiastici.
“ Il ministro degli affari ecclesiastici avea un’opera più vasta
“ sebbene meno appariscente (di quella del ministro di giustizia). Il
“ regno della coscienza è il più importante; non dirò le preparazioni
“ necessarie ad assicurarne la libertà, ed insieme la libertà de’ culti,
“in modo sempre conservativo dell’ordine; fare lo stato laico, senza
“ che cessi di esser religioso, anzi diventando veramente religioso,
“ facendosi tollerante, non è opera da compiersi in un mese; masará
“ compita con tutta la fermezza che si ricliiede nella cosa più im
portante aU’uomo, perchè si estende oltre questa terra.”—Seguono
giustissime considerazioni sui rapporti del governo col clero.
Tali princiiy religiosa libertà, ci è grato dichiararlo, sono dal
governo toscano lealmente applicati. — Gli evangelici, colpiti dalla
cessata polizia di multe, dell’esiglio, del carcere, privi fin’anche della
consolazione di tumulare i loro cari, godono ora ampia, intiera libert4i. Un pastore della chiesa Valdese, espulso nel 1851, per avere,
così diceva il precetto, eretto una cattedra di eresia, annunzia ogni
domenica il Vangelo in lingua italiana a Firenze; e da circa tre mesi
egli ha la dolcezza di vederci una discreta udienza riimirsi nella cappella svizzera intorno alla parola di Verità.
Questi pochi fatti cui molti altri se ne potrebbero aggiungere ci
dispensano da ogni commento.
Governi così sapienti e civili, mentre si conciliano la simpatìa del
popolo, hanno diritto alla fiducia degli Stati maggiori. Speriamo che
non verrà loro meno così valevole appoggio, e che, al momento della
prova decisiva, i Potentati rammenteranno che non la forza ma la
qiustizia innalza le nazioni.
B. M.
POLEMICA
LA ¡U1SSSA
La seguente corrispondenza .versa intorno alla messa; sono le medesime persone, delle quali abbiamo altra volta parlato, che seguitano
a fare tra loro amichevole polemica: lasciamo che parlino elleno
stesse, riportando i loro discorsi.
L’evangelico (di convinzione) avea scritto all’altro: “Essere enormità che i preti credano d’aver la potenza di offerire Gesù Cristo
8
medesimo in sacrificio a Dio, ” entrando naturalmente in alcuni particolari, e gli veniva data risposta, di cui non riferiamo che la parte
seguente, per ora:
Non v'ha dubbio che tutto qucUo che viene riferito dagli evangelisti,
quando pur lo fosse da un solo, tutto deve essere creduto. Dessi erano
egualmente isj>irati, e la verità nou può avere che un solo linguaggio inalterabilmente degno di fede.
Queglino fra gli evangeKsti che riferirono nella sacra Cena la distribuzione fatta dal Redentore agli Apostoli del pane e del vino, concordemente
affermarono ch’egli, nell’atto di porger il pane, proferiva le precise parole :
Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, e neU’offerire il vino; — Prendete e bevete, questo è il mio sangue, il sangue del Nuovo Testamento, il quale
aarà sparso per malti. (Mat. xxvi; Marc. xiv). — aggiungendo san Luca,
dopo l'esibizione del vino e del pane.— Fate questo in memoria di me. (xxii).
<’’he il pane quindi non sia più pane dopo la consacrazione, ma il vero corpo
di Cristo, e che il vino nel calice non sia più vino, ma il vero di lui sangue,
rimaste però le sole specie del pane e del vino, e quindi avveratasi nel
pane stesso e nel vino una transustanziazione di sostanza, di essenza, che
con un solo vocabolo (transustanziazione), lo si chiami pur barbaro, adeguatamente però viene rappresentato intero il concetto di questo medesimo
trasmutamento, ciò chiaro rilevasi dallo stesso san Paolo, appunto nella
sua prima lettera ai Corinti, xr, 23-25; ed in essa lettera medesima egli
spiega le parole fate questo in memoria di me specialmente ai vers. 26, 27,
cioè per rammemorare e misteriosamente raffigurare la morte del Signore
coUa rinnovazione di quel medesimo mistero della predetta trasmutazione,
alle mentovate parole, nel che propriamente consiste il vero sacrificio che
si celebra nella messa.
Or ecco in qual modo l’avversario ha creduto bene di combattere
le poche idee colle quali il papista comincia a difendere l’istituzione
romana della messa.
Per rispondere adeguatamente alla vostra lettera distinguerò in principio
tre punti principali nelle vostre parole.
Circa al primo, esso è come la base della questione e per me e per voi ;
si tratta della fede che si deve prestare a quanto ci vien riferito dagli evangelisti, egualmente inspirati, la verità non avente che un solo linguaggio.
Infatti, in ogni cosa bisogna partire da principj sicuri, assoluti; e credo
che per qualunque scienza tali principj non si trovino che nella Bibbia, per
la ragione ohe l’uomo non può trovarli da se, ma deve riceverli da Dio medesimo, mediante l’inspiraaione. Chi è per esempio che ci fa conoscere le
origini vere del mondo fisico, dell'umaiiità, della legge morale? Chc è la filosofia stessa se non si appoggia sull’idea di creazione? Che è la religione
9
infine se nou se ne cerca la fonte nelle rivelazioni fatte agli uomini? In
esse troviamo la verità, e questa non può avere che un solo linguaggio, inaiterahihnente degno di fede; c tanto più degno in quanto che, senza venire
alterata, ci è concesso di considerare la verità sotto i molteplici aspetti nei
<]uali a noi si presenta.
Per secondo punto voglio marcare nella vostra lettera il passo che comincia colle parole: — Queglino fra gli evangelisti che riferirono nella
Sacra Cena ecc. e termina coUe altre: aggiungendo S. Luca, dopo l’esibizione del vino e del pane, fate questo in memoria di me.
I tre evangelisti (Matt. xxvi, — Marc, xiv, — Lue. xxii), citati da voi,
testimoniano anzi tutto che Gesù ha dato del pane ai discepoli; così dicesi
di Paolo al capo xi ver. 23, 24, della 1 ai Corinti; ed egli stesso nei versetti seguenti 2t5-28 e nel 16 del capo x, conferma che, nella eucaristìa, rompiamo e mangiamo del pane; aggiungete a ciò che, al capo xx degli Atti,
ver. T, è detto che i discepoli erano raunati per rompere il pano. In quanto
al vino, ecco le parole degli evangelisti; — Preso il calice e vendute le grazie
lo diede loro, dicendo : Bevetene tutti;—■ ed a toglimento d'ogni dubbio,
Cristo medesimo ha chiamato ciò ch’era nel calice — frutto della vigna —
Notato infine l'espressione assoluta, su cui non può cadere contrasto; Bevetene tutti. Gesù dunque ordina ai comunicanti di prendere ognuno la sua
parte del calice.
Metto per terzo punto quella parte d'interpretazione contenuta in queste
vostre parole ; — Che il pane quindi non sia più. pane dopio la consecrazione ecc. — fino a — nel che jìropriamente consiste il vero sacrifizio che si
celebra nella messa. Voi dunque concludete che dopo la consecrazione il
pane non è più pane, il vino non è più vino. Ma, di grazia, dov’è la consecrazione? Le parole chiamate consecranti dai papisti sono;— Questo è il
mio corpo. — Questo è il mio sangue. — inflettete però che, prima di proferirle, Gesù Cristo ha preso il pane, facendo la benedizione, com’cra solito,
lo ha rotto e lo ha dato ai discepoli; quindi ne segue ch’egli ruppe del pane
non consacrato e non transustanziato; il prete, invece, spezza l'ostia dopo
le parole così dette consecranti, allo scopo che il popolo creda che rompe e
sacrifica il vero corpo di Cristo, ofi'erendolo a Dio in sacrificio propiziatorio
pei vivi e pei morti.
Io spero, amico mio, che da questa semplicissima osservazione dedurrete
che, nella messa, voi rompete tutt’altra co.<ia di quello che Gesù Cristo ha
spezzato. Quando non si voglia dipartirsi dalla vera celebrazione dell’eucaristia, quando non si voglia parlare e fare diversamente da quanto disse e
fece Gesù Cristo, non si può sostenere ch’egli parlasse di sagrificare il proprio corpo e di offerire alcun che a Dio Padre.
Premíete e mangiate, disse Gesù ai suoi apostoli; dunque è assurdo, per
lo meno, cantare tutti i giorni delle messe private in gran numero, secondo
10
l’intenzione di coloro ohe le pagano, senza la presenza di uditori e comunicanti, nelle quali il prete dice, 'prendete e mangiate.
Dovete sapere che Gesù Cristo, ogni volta che sedeva a mensa coi discepoli, rendeva grazie a Dio Padre, prima di rompere il pane e cibarsi. Ma,
volete che la parola henedizione abbia il senso di comecrazione? Ebbene,
anche dopo la supposta consecrazione, egli avrebbe dato del pane; ovvero,
se sostenete che per essa la sostanza del pane sia stata distrutta, allora non
è vero che Gesù abbia benedetto il pane ; perchè distruggere non è benedire.
Andiamo più oltre, se così vi piace. Dando il pane, Gesù disse; Questo,
ossia il pane, è il mio corpo. Ma non è così che l’intendete; voi, per ordine
espresso dei superiori, insegnate che il pane non è più pane, e si è transustanziato nel corpo di Cristo. Egli stesso poi ci ammaestra in qual modo
il pane possa essere il di lui corpo, aggiungendo che ne è la sua commemorazione, non altrimenti che parlando del calice dice ch’è il nuovo patto, essendone il segno e la commemorazione; ciò è conforme allo stile delle Sacre Carte, di dare al segno il nome della cosa significata; ed ecco uno degli
errori, in genere, del romanesimo, di accordare ai simboli il valore delle
cose simboleggiate. H termine cui si giunge, stando alla vostra teoria
della messa, sapete qual’è? Si è che Gesù Cristo ha mangiato se stesso.
In fin dei conti, che cosa credete di rompere nella messa? Il pane? No ;
perchè dite che dopo la consecrazione il pane non è più pane. Il corpo di
Cristo? Ma, il corpo di Cristo non può esser rotto, tanto è vero che asserite esistere intero in ogni piccola molecola dell’ostia. Rompete forse gli
accidenti del pane, cioè, le specie come le chiamate voi, ossia, il gusto, il
colore, la figura? Impossibile ; i corpi soli possono essere spezzati.
E veramente singolare che alla semplice interpretazione data dall’apostolo alle parole : — Questo è il mio corpo voi, o preti, ne diate una stravagantissima. Paolo scrive ai Corinti : — Il pane che noi rompiamo (rompevano del pane, rimarcatelo bene) non è egli la comunione del corpo di
Cristo? (1 Cor. X, 16); e voi dite;— Ciò che è sotto queste specie è transustanziato nel corpo di Cristo. Notate eziandio il vers. 21 dello stesso capo.
Che cosa indica quell’antagonismo posto da Paolo? Indica che, siccome il
partecipare alla tavola dei demoni non è certo mangiare i demoni stessi,
così partecipare alla tavola di Gesù Cristo non è mangiare Gesù, ma partecipare alle vivande consacrate da lui, in commemorazione delle sue sofferenze e deUa sua morte.
A voi non piace che io chiami barbaro il vocabolo transustanziazione,
con cui intendete significare l'atto potenziale dei clericali, nella messa, di
far Gesù Cristo e di sacrificarlo; eppure, è il meno che poteva dire. Infatti
io dovrei appellare l’idea espressa e rinchiusa nel suddetto vocabolo col
nome di sacrilega oltrecchè assurda. Ed è veramente assurdo il pretendere
11
di sacrificare Cristo in memoria di Cristo : la memoria si riferisce sempre
alle cose assenti o passate, come dice sant’Agostino. — Nemo recordatur,
nisi quod in 'praesentia non est posiium. — E conforme a tale sentenza è la
spiegazione che fa Paolo al ver. 26 del c. xi, epist. I Cor. delle parole ; —
Fate questo in rammemorazione di me.
Amico mio, voi citate male a proposito i versetti di Paolo, a sostegno
della scuola romana; non ritorno per ora sopra di essi; intanto, il già detto
può bastare, se siete disposto a considerare in tutta semplicità la questione.
Ora voglio attirare la vostra attenzione sovra un’altro punto, in cui non
si tratta d’interpretazioni, ma della madre di Gesiì e dei santi introdotti
nell’eucaristia, per cui Gesù Cristo medesimo, in sostanza, viene posposto a
Maria. Voi dite nel canone della messa, che celebrate, in primo luogo, la
memoria della vergine Maria. — Comunicantes et memoriam venerantes
in primis gloriosce semper Virginis Marice etc. e nel confiteor pregate l’arcangelo Michele, Gian Battista e tutti i santi di orare per voi. Osservate
che non si tratta d’interpretare in un modo anziché in un altro; si tratta di
trovare dove Gesù abbia detto : — Fate questo in memoria di mia madre,
in primo luogo, e in secondo luogo di me. — Circa alle confessioni, molte
ne troviamo nella S. Scrittura; ma fatte a Dio, non mai ai santi trapassati,
nè agli angeli, perchè Iddio solo è il giudice nostro. Egli solo conosce i
cuori, com'è detto al secondo libro delle Croniche, vr, 30: in conseguenza
Iddio solo conosce se la nostra confessione è vera e sincera. Davide dice :
Io farò la confessione dei miei peccati all’Eterno. (Sai. xxxii, 5). — Egli
non confessa punto i suoi peccati a Noè, ad Abramo o ad altri. Sopratutto
fa meraviglia scorgere che il prete confessi i proprj peccati a G. Battista,
all’arcangelo Michele, a Pietro, a Paolo, e li preghi d’intercedere per lui
dinanzi a Dio, senza fare alcuna menzione di Gesù Cristo e senza pregar
lui d’intercedere: eppure è di lui solo che parla la Scrittura quando dice.
Ch’è seduto alla destra di Dio ecc. (Kom. vili, 33). — Ch'è il solo nostro
avvocato. Il solo mediatore fra Dio e gli uomini. — (I Giov. ii, 1 ; I Timoteo II, 5).
E qui noi tronchiamo la nostra corrispondenza intorno alla messa
per non istancare i nostri lettori, ma coll’intenzione di ripigliarla in
seguito; il tema è della massima importanza; la messa è il fondamento principale della romana clerocrazia; la negazione assoluta
dell’ojiera di redenzione di Gesù Cristo.
12
CRONACA DELLA QUINDICINA
La Deputazione Toscana. — Eifonne Austriache. — Movimento religioso
in Italia. — Monsignor Vescovo cU Bergamo.
La Deputazione Toscan.ì venuta ad offrire l’annessione di quello Stato
al Regno Italico, sotto Io scettro glorioso del prode e lealissimo Vittorio
Emanuele II, giunse in Torino il 3 settembre, e s’ebbe dal popolo Torinese
le pili spontanee dimostrazioni d’affetto, d'ammirazione e di gioja. Non si
può essere certamente indifferenti a simili avvenimenti che la Provvidenza
affretta, onde rendere all ltalia quella piena ed intiera libertà di pensiero,
che la dovrà innalzare al livello deUe pii! grandi e più avventurose nazioni
d’Europa, e ridonarle quella vera gloria e vera prosperità, di cui è apportatrice la libera e divina parola del Vangelo.
Per questa ragione, quantunque i preliminari di Villafranca abbiano
sospeso per qualche tempo ancora il pieno e totale affrancamento italico
daUa dominazione straniera, noi non cessiamo dal ringraziare la Provvidenza per quei prineipii veramente liberali che vi furono sanzionati, perchè
si è in virtù di questi prineipii che noi possiamo ora costituirci in libera e
più compatta famiglia.
L’Apsteia slessa, inspirandosi ad essi, può ripromettersi un’avvenire più
sicuro e più glorioso; e le riforme politiche, che già accenna e si propone
di attuare, la conduranno certamente a così felice risultato. Noi cì affrettiamo pertanto di segnalare sin d’ora, quali benefici effetti deUa sua nuova
poUtica, l’autonomia e la libertà di culto assicurate alle comunità non cattoliche ivi legalmente costituite. La Gazzetta di Vienna del 22 Agosto,
neUa sua parte non officiale, fra i diversi punti che furono discussi in un
consiglio di stato presieduto dallo stesso imperatore, annovera i seguenti :
“ Assicurare l’autonomia ed il libero esercizio di loro religione alle comunità accattoliohe riconosciute dalla legge; regolare la posizione degl’israeliti,
in modo consentaneo allo spirito dei tempi, avuto però riguardo allo stato
delle località e dello provincie. ” Sembra pertanto che si possa presagire
13
con qualche fondamento che le reiterate lagnanze dei protestanti austriaci
debbano finalmente cessare. EgUno riclamavano già da gran tempo il diritto
di governarsi ecclesiasticamente da loro stessi per mezzo di sinodi, ma il
governo lasciava inesauditi i loro voti, e pretendeva anzi di loro imporre
un’organizzazione non sinodale, cui eglino a buon dritto avversavano. Eiclamavano altresì una libertà di culto più estesa, ma anche questa domanda
non sortiva alcun effetto, e vedevansi al contrario esposti a continue vessazioni che dalla malefica influenza del concordato romano erano occasionate.
Finalmente il governo austriaco sembra voler battere una miglior via,
dacché riconosce che vi sono delle lagnanze cui è debito soddisfare, e promette per r avvenire a’ protestanti quell’ autonomia e libertà religiosa
ch'essi non hanno attualmente. Anche gl’israeliti sono confortati da lusinghiere promesse di riforme, e giova sperare ch’esse saranno quandochessia
tradotte in atto, ad onta di tutte le mene contrario del partito romano. —
Ecco qual fu il prodigioso effetto della battaglia di Solferino! È pur troppo
vero che la sventura illumina spesso lo spirito umano, e che la giustizia, disconosciuta oggi e conculcata, si rialza domani a governare i popoli ed a
dirigere i destini doU’umanità.
I risultati però delle vittorie riportate dall’armi alleate di Francia ed
Italia meglio si manifestano nella penisola nostra, eziandio nel campo religioso.
Tutti i popoli che si stringono in patto di fraterno amore intorno alla
fenice dei re, vanno a gara nel proclamare la libertà di coscienza e religiosa.
Si direbbe che questa sia stata una parola d’ordine nella Lombardia, nei
Ducati, nella Toscana e nelle Legazioni; si direbbe che questi popoli intendessero a mettere così in rilievo il loro spirito liberale, e caratterizzare
il loro movimento politico.
A Milano tra la Chiesa Evangelica di colà e la Tavola Valdese si aprirono pratiche acciò vi sia inviato un ministro: a Firenze, tosto che fu possibile ed opportuno, ritornò sollecito il rev. sig. Malan, il quale ebbe il dolce
conforto di ritrovarsi fra gli ansiosi fratelli che convenivano ad ascoltarlo
nella cappella degli Svizzeri. Se non che le cure del suo ovile lo richiamarono a Torre di Luserna, d’onde la Tavola Valdese mandò evangelico banditore ai nuovi fratelli di Toscana il rev. sig. Coucourda.
E questo movimento religioso che si opera nella calma e tranquilUtà la
più perfetta, risponde eloquentemente a coloro fra i nostri politici che si
14
ostinano ad affermare, che la questione religiosa possa fuorviare la politica,
e riuscir pregiudizievole alla causa nazionale.
Se qualche perturbazione può avvenire, non sarà certamente occasionata
da coloro che, protestando contro le prevaricazioni e la tirannide della
Chiesa romana, intendono unicamente a diffondere la libera e benefica parola del Signore e il cristiano culto di Dio in ispirito e verità. No, non è fra
gli umili e miti banditori del Vangelo che i patrioti italiani troveranno
degli awersarj. Vorremmo sapere, a cagion d’esempio, se il vescovo di
Bergamo appartenga al novero di costoro?
I periodici politici dello Stato hanno narrato il fatto che risguarda questo
prelato in un modo puramente istorico; noi ci permettiamo alcune considerazioni, nell’interesse della giustizia e della verità.
H vescovo di Bergamo, dietro iniziativa di quel municipio, celebrava, la
mattina del 3 settembre, nella chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, un solenne servizio funereo per i cadati nelle battaglie di nostra indipendenza.
Si voleva altresi onorare la memoria dei valorosi estinti con funebre orazione ; ma il vescovo non aveva voluto aderire alla domanda. Ciò non pertanto, nel compiersi della mestissima cerimonia, sorse un laico a dire le lodi
dei trapassati eroi, e ad invocar su loro la pace del sepolcro. D vescovo,
abbandonandosi a sentimento d’intolleranza, cosa per verità non insolita
nel clero cattolico, pronunziava immediatamente l’interdetto contro quella
chiesa, ch’egli considerava profanata e polluta dall’intervento delle parole
d’un laico, quantunque veramente in cosa estranea al culto divino. Un tal
fatto provocò, per parte del popolo, una severa rappresaglia, che rese necessario l’intervento dell’autorità governativa.
Noi non sappiamo certamente approvare che il vescovo di Bergamo si
rifiutasse a permettere che i prodi di Palestre e Solferino fossero onorati
nel modo con cui l’intendeva il generoso popolo di quella città. NeUe chiese
cattoliche si odono troppo spesso, non che orazioni funebri ad onore persino
di qualche monachetta, panegirici «d apoteosi di persone che Roma innalza
agli onori dell’altare con un diritto che, per certo, non saprebbe legittimare.
Non si comprende dunque, con qual giustizia si potesse vietare che si tributassero encomj a coloro ch’erano caduti per la salvezza e l’indipendenza
della loro patria. Se questo non è eroismo degno di altissimo onore, dove
vorrà mai monsignor vescovo di Bergamo rinvenirne il maggiore? Forse
nel vivere da sibariti e nel morir da epuloni come sogliono tanti prelati?
15
Forse nell'osteggiare sistematicamente e con tanto cinismo il sentimento patriótico dei loro concittadini? Forse nel postergare gl’interessi spirituali
dell’ovile di Cristo, per arrabbattarsi nelle cure profane del secolo e collo
spirito del più ributtante egoismo?
Se però noi disapproviamo la condotta del vescovo, non possiamo parimenti approvare l’operato dal popolo di Bergamo, e ciò per una ragione
che ad altri sembrerà per avventura poco rilevante ma che noi riputiamo di
grandissima importanza:
I patrioti e liberali italiani, tanto bistrattati per l’addietro daH’autorità
ecclesiastica, mal possono far tacere in loro un giusto risentimento e naturale istinto di rappresaglia contro il clero; ond’è che, malgrado la nobile
moderazione della grande maggioranza, pure si manifesta qualche fatto che
giustifica lo nostre premesse, e sembrerebbe legittimare l'accusa che si fa
ad alcuni liberali di volersi ingerire nelle cose del santuario o per lo meno
d'essere redarguibili d una tale tendenza. Ma qual diritto, ci domandiamo
noi, hanno essi d'ingerirsi nelle cose della loro chiesa? Hanno forse dimenticato che, secondo le istituzioni cattolico-romane, il laico è nulla nella chiesa,
e tutto il chierico? Dacché pertanto si accetta un tal sistema è pur giuoco
forza subirlo. Secondo questo sistema, in cui s’ identifica il romanesimo, il
laico non appartiene alla sua chiosa che in modo puramente passivo ; epperò
quando varca la soglia del santuario egli deve contentarsi d'entrarvi per
farvi le sue preghiere, quasi sempre in una lingua che non conosce ; per assistere a religiose cerimonie che trovano un riscontro troppo fedele nei riti
pagani; per confessarvile sue colpe ad un uomo peccatore come lui, se
non peggio; per presenziare i misteri dell’altare, su cui un chierico, spesso
zotico, ha la pretesa di far scendere dal seggio di sua gloria la Divinità
incarnata; per ricevervi per tutto pascolo spirituale gl’insegnamenti escogitati dagli uomini, formolati da’ suoi papi, promulgati dai suoi vescovi
ed esplicati da' suoi curati con una dose sempre crescente di umana fatuità..
Ecco a quali condizioni il laico fa parte della chiesa romana. — Del rima
nente, spostando alquanto la questione, per collocarla sopra un terreno
analogo e di tutta attualità, diremo qui francamente che lo Stato dovrebb’essere afifatto indipendente dalla Chiesa, come questa da quello; sarebbero
così assai meglio garantiti i diritti civili, e le ecclesiastiche giurisdizioni,
la vera e ben intesa libertà di coscienza e quella di religione. Sappiamo
che la Chiesa romana, la quale vuol tutto invadere ed arrogarsi, non è punto
16
... 272 ...
disposta ad accettare quest’alternativa; ma sappiamo altresì che un governò
veramente liberale ed illuminato deve porre in non cale le ingiustificabili
pretese di Roma.
Domenico Grosso gerente.
ANNUNZI
Al DEPOSITO DI LIBRI EELiQiosi, via Principe Tommaso, sono vendibili
le seguenti opere :
Recueil de Psaumes et Caktiques, à l’usage de l’Eglise Evangélique Vaudoise, avec musique, (1 vol. de 270 p. brocbé)... 1, 20
Le même, relié en toile............................................. 1, 60
Le même, (les paroles seulement), 1 vol. de 204 p. broché... 0, 40
Le même, cartonné, avec couverture imprimée.................. 0, 60
CATECHISME DE l’EgLISE EvANGELIQUE VaUDOISE, OU lUilnuel d’instruction chrétienne à l’usage des cathécumènes
de cette Eglise. 1 vol. cartonné, avec couverture imprimée. 0, 30
Studii elementaej DELLA Paeola di Dio, per Burnier-.
Ll Pentateuco. 1 vol. in-8° piccolo, di circa 500 p.......... 1, 50
GU Evangelii. 2 vol. in-8° picc., di circa 300 pag. caduno. 2, 00
TORINO — Tipografia CLAUDIANA, diretta <la K. Trombelta.