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BILYCHNI5 )
RIVISTA DI STvDI RELIGIOSI
. E DITA DALLA FACOLTÀ DELLA SCVO= LA TEOLOGICA BATTISTA DI ROMA j
GENNAIO-FEBBRAIO J912
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BILYCHNIS
RIVISTA ILLUSTRATA DI STUDI RELIGIOSI
VOL. I. - ANNO 1912
SCUOLA TEOLOGICA BATTISTA
ROMA
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INDICE
Adami G., p. 95, 193, 502.
Agostino (Sant’), p. 383.
Allier Raoul, p. 337.
Anime (Lo stato delle) dopo la morte secondo il libro XI dell’odissea, p. 536.
Anticlericalismo: L’on. Murri e l’a., p, 190. Antico Testamento: L’espressione «Il Signore degli eserciti» nell’A. T., p. 91, e p. 293 ; Il passo Isaia XXIX, p. 18; Il documento P. nell’Esateuco, p. 100; Mosè e i libri mosaici, p. 100; Amos, p. 100; Tracce di babilonese nell’A. T., p. 101 ; Il salmo 68, p. 194 ; L’A. T. e l’Ebreo moderno, p. 506.
Apologisti greci del II secolo, p. 549.
Apostolo (L’) di P. H. Loyson, p. 93.
Arbitrio (Libero), p. 596.
Arte : Arte religiosa domestica, p. 282 ; San Francesco e Savonarola ispiratori dell’arte italiana, p. 516.
Aurigemma S., p. 116.
Avoli© G. p. 62.
Bahaismo, p. 3S7, 544.
Baneth B., p. 392.
Baratone A., p. 297.
Barbagallo C., p. 200.
Batifibl P., p. 101.
Battaini D., p. 66.
Battesimo, p. 117, 205, 388.
Battistero, p. 486, 511.'
Beaupin (Abbé), p. 109.
Behaismo (vedi Bahaismo).
Bergson E., p. 594.
| Bibbia: La B. e la scienza, p. ir; Il posto della B., p. 19; L’insegnamento della B., p. 22 ; Il libro più umano e più divino, p. 23 ; Che cosa dev’essere per noi la B., p. 24; La B. e il protestantesimo, p. 208; La B. e le scienze naturali, p. 301 ; La B. in tedesco, p. 387.
| Billia Michelangelo, p. 293.
Biondolillo F., p. 326.
Bolero R., p. 59S.
Bonaccorsi G., p. 102.
Booth (Il generale), p. 377, 432.
Bost Charles., p. 384.
Breitenstein J., p. 452.
Bricout J., p. 306.
Buddismo e Cristianesimo, p. 380.
Buonaiuti E., p. 107.
Calderone I-, p. 596.
Cappelletti Licurgo, p. 13S. 344.
Carter I. B., p. 254.
Catellàni E., p. 23.
Caterina (Santa) da Siena: Il misticismo di, p. 152.
Caterina (S.) al Sinai, p. 514.
Cattolicismo (Vitalità e vita nel), p. 569. Cervesato A., p. 480.
Chavan A-, p. 113.
Chiesa: vedi Cipriano di Cartagine; L’autocefalia della chiesa di Salona, p. 260; « Edificherò la mia chiesa », p. 351 ; Le chiese cristiane, p. 384.
Chiminelli P., p. 58, 200, 292,383, 518,594,599-
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IV
BILYCHNIS
Cipriano di Cartagine e il suo concetto di chiesa, p. 170 e p. 274.
Cocorda O., p. 120, 208, 296, 391.
Conversione : Profili di anime convertite, p. 53, 289.
Credi (A proposito di), p. 566.
Cremazione, p. 248.
Crespi Angelo, p. 431, 535.
Creta madre, p. 292.
Crisi religiosa contemporanea, p. 1x3,115, 160, 232, 364, 378- Vedi: Modernismo.
Cristianesimo (II) giudicato da O. Pfleiderer, p. 71 ; Cristianesimo e libertà religiosa, p. 106; Gesù e il mito di Cristo, p. 106; Cristianesimo e questione sociale, p. in; C. e critica, p. 301 ; C. e Buddismo, p. 380. Vedi : Storia del C.
Critica del Nuovo T., p. 439.
Croce : Il sacrificio della croce, p. 114 ; La filosofia della croce, p. 116; La croce, p. 518.
Cronache, p. 569.
Cultura (Per la) dell’anima, p. 559.
Cumont Franz, p. 3S7.
Cuore (Alla porta del), p. 559.
D'Annunzio Gabriele, p. 359.
De Gruneisen W., p. 513.
De Gubernatis A., p. 23.
Della Seta U., p. 188.
Democrazia e spirito, p. 427.
De Sarlo F., p. 26.
Determinismo, p. 596.
Dogma (Storia del), p. 308; Dogmatica, p.392;
L’evoluzione del d. cattolico, p. 509.
Duchesne: D. demolitore, p. 44.
Ebrei : La legge religiosa ebraica, p. 392 ; L’Antico Testamento e l’Ebreo moderno, p. 506.
Educazione (Il problema della) religiosa, p. 525.
Elisabetta d’Inghilterra, p. 591.
Eloquenza sacra, p. 382.
Espiazione: Dottrina dell’E., p. 33, 116.
Eucken R., p. 594.
Evoluzione (L*) e la Bibbia, p. 15.
; Falchi M., p. 93, 109, in, 198» 199. 205, 439! Fasulo A., p. 116, 210, 304, 598Fasulo G., p. 90.
| Ferrière A., p. 515Filosofia e religione: Il credente moderno, p. 113; La religione d’oggi, p. 115.
Flournoy Th., p. 197, >99Fogazzaro A., p. 368.
Folengo (Teofilo), p. 31S.
Fornari F., p. 253.
Francesco (S.), p. 516.
Franque V., p. 208.
Fulliquet G., p. 392.
: Fuschini F., p. 5S9.
I Gambaro A., p. 164.
Garriguet L-, p. rii.
; Genio (II) religioso, p. 199.
: Gerolamo da Praga, p. 126.
Gioventù : I sofismi della G., p. 10S.
Giuliano l’apostata, p. 200.
Goblet D’Alviella, p. 509,
Goguel M., p. 103.
Gonnelle E., p. 29S.
Graziadei A., p. 189.
Guerra, p. 91.
. Hermann E., p. 594.
। Houck Albert, p. 384.
Huss Giovanni, p. 126.
■ India antica, p. 307
Inumazione e cremazione, p. 24S.
Iscrizioni antiche, p. 513, 514.
Islam : La propaganda islamica, p. 139 ; Mussulmani ortodossi, mussulmani scismatici e mussulmani eretici, p. 142; Il culto dei santi, p. 338; Bahaismo, p. 387; Ordini e confraternite, p. 456; Babismo e Behaismo, p. 544I James W., p. 197.
| Janni U., p. 117, 205, 388.
1 Jenks Geremia W., p. 304.
! Jordan L. H., p. 204.
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INDICE
V
Kautzsch p. 387.
Kietì F. X., p. 481.
Labanca B., p. 22, 203, 509.
Lagrange (Il caso), p. 493.
Lenzi F., p. 273, 308.
Libertà religiosa, p. 106, 112.
Lo Bue F. G., p. 308; 596.
Lover Joh., p. 455, 559, 589.
Loyson G., p. 95.
Loyson P. H., p. 93.
Lutero, p. 107, 418.
Luzzatti L., p. 112, 381.
Luzzatto L., p. 366. 590.
buzzi G., p. 151.
Manaresi A., p. 513.
Maria (S.) Antiqua, p. 513.
Mantechi O., p. 512, 513, 514.
Massigli R., p. 511.
Mastrogiovanni S., p. 192.
Materialismo (II): Il materialismo storico e la nuova storiografia, p. 195 ; Il tramonto del m., p. 232.
Mazzini G., p. 185, 516.
Meille G. E„ p. 145, 288, 343, 462, 548.
Merlin Cocai (vedi Folengo).
Metodismo (li), p. 507.
Meyer A. O., p. 591.
Meynier E., p. 106, 112, 115, 197, 305, 309, 350Minocchi S-, p. 100.
Miracolo (II), p. 8.
Mishnà Pirké Abboth, p. 589.
Missioni cristiane (L’ora decisiva delle), p. 200. Misticismo: Il m. di S. Caterina da Siena, p. 152; psicologia del m., p. 515, ¡tra, p. 387, 463.
Modernismo: Modernismo cristiano, p. 59; Il mio modernismo, p. 62 ; « Quando non morremo», p. 2x1; Il Papa e il m., p. 478; Il giuramento antimodernista, p. 481 ; vedi pag. 160.
Molmenti P., p. 371.
Molteni G., p. 195.
Montet Ed., p. 139, 456.
Morale : M. e religione, p. 69, 205; I sofismi della gioventù, p. 108; Per essere apostolo, p. 109.
Mott J., p. 200.
Müller Alphons V., p. 419.
Mullins E. Y., p. 566, 568.
Murri R., p. 190, 366.
Natali G., pi 32, 259, 553.
Neotomismo, p. 593.
Nesi G., p. 100, 102, X07, xo8, 197, 199. Notizie, p. 213, 310, 396.
Nuovo Testamento : Il concetto della vita nel
N. T., p. 27; Un nuovo commentario del N. T., p. xox ; Grammatica del greco del N. T., p. 102; Gesù male accolto a Nazaret, p. 103; «Tu es Petrus», p. 178 6351; Lo scopo della venuta di Cristo, p. 195 ; «Chi non è con me è controdi me», p. 299; Gli elenchi degli Apostoli, p. 301 ; Lo stato attuale delia critica del N. T., p. 439; Fatti Apost. IV. 19 - V. 29, p. 453: Apocalisse, HI, 20, p. 559.
Odissea, p. 536.
Orano P., p. 240, 364, 417.
«Orpheus», p. xox, 107, 241, 329.
Orr James, p. 17Ostia : il culto di Vulcano ad O., p. 74; 309, 463Ostiario, p. 512.
Ottolenghi R., p. 364.
Paimarini M., p. 211.
Pappacena E-, p. 307.
Parabole di Gesù : Il prossimo, p. 124 ; Le vergini savie, p. 490.
Paschetto L., p. 19, 85, 98, 100, 106, 309, 477. 488, 514.
Pascoli G., p. 125, 189; Fu il P. poeta cristiano? p. 221.
Pasqua : Il sogno di Venerdì santo e il sogno di P-, p. 165.
Peccato: Sentimento del P., p. 33.
Pestalozza U., p. 503.
Pettazzoni R., p. 503.
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VI
BILYCHN1S
Peyron-Roussel B., p, 438.
Pfleiderer Otto, p. 67.
Piggott H. P., p. 203.
Poincaré E., p. 374Prete (II): suo passato e il suo avvenire, P- 5*7Puech A-, p. 549.
Puglisi M., p. 106.
Rapisardi M., p. 86.
Reinach S., p. 101, 107, 241, 329.
Religione (La) di M. Rapisardi, p. 86; di Gabriele Rossetti, p. 97 ; di G. Mazzini, p. 185, 516; di G. Pascoli, 221 ; di Teofilo Folengo, p. 318; di J.-J. Rousseau, p. 335, 372; di G. D’Annunzio, p. 359; di A. Fogazzaro, p. 36S; di E. Poincaré, p. 374.
Religione (La) d’oggi, p. 115.
Religione e questione sociale: Il valore sociale dell’Evangelo, p. in; Le chiese eia questione sociale, p. 112 ; Socialismo cristiano, p, 297 ; Il significato sociale della vita e dell’insegnamento di Gesti, p. 304.
Renzi L., p. 363,
Riforma (La), p. 309, 344, 384. 418.
Rinascita (La) dell’anima, p. 232, 405.
R incarnazione, p. 596.
Robertson A. T., p. 102.
Roemer Hermann, p. 3S7.
Roma, p. 254.
Romanzi, p. 211.
Rosazza M., p. 247, 334, 426.
Rossetti Gabriele, p. 97.
Rostan C., p. 543.
Rousseau J.-J., p. 335, 372.
Rutili E., p. 177, 190, 280, 359, 485, 511, 516, 5i7. 5’8, 583, 593Sacrificio: S. espiatorio, p. 39 ; I! s. della croce, p. 114 ; La filosofia della croce, p. 116.
Saitta G., p. 593.
Salatiello Giosuè, p. 159.
Salona, p. 260.
Savonarola G., p. 220; 516.
Scalerà D., p. 43, 116, 212, 307.
Scienza (La) e la Fede cristiana, p. 6; Scienza
e Religione, p. 70; La fede e il pensiero moderno, p. 197 ; vedi « La rinascita dell’anima» ; L’illusione scientifica, p. 405; Scienza e fede, p. 515.
Semeria, p. 356, 496.
Shaw N. H., p. 73, 3S2.
| Sighele S-, p. 377, 379Sindacati cristiani della Germania e Vaticano, P- 584.
Socialismo e Religione: I due socialismi alle prese, p. 297 ; Un buon socialista dev’essere ateo? p. 500.
Sorel G., p. 115.
Spencer: L’opera spenceriana, p. 146-Stapfer P., p. 378.
Storia del Cristianesimo (vedi anche Nuovo Testamento) : C. e libertà religiosa, p. 106 ; Gesù e il mito di Cristo, p. 106 ; Le origini cristiane della Tripolitania. p. 107; Cipriano di Cartagine, p. 170 e 274; Giuliano l’apostata, p. 200; Saggi storici del Labanca, p. 203 ; L’autocefalia della Chiesa di Salona, p. 260; Storia del dogma crisi., p. 308; I grandi santi, p. 308; I padri della Chiesa, p. 309; La Riforma, p. 309, 344; San-t’Agostino, p. 383; Storia della chiesa in Germania, p. 3S4 ; La Riforma in Francia, p. 384 ; La leggenda cristiana di S. Simeone stilila e le sue origini pagane, p. 385; Lutero e la critica moderna, p. 418; II Meto-dismo, p. 507 ; I cristiani di Roma nominati da Paolo, p. 513; Gli apologisti greci del 11 secolo, p. 549; La chiesa cattolica sotto Elisabetta e gli Stuardi, p. 591.
j Storia delle Religioni : Religione e Religioni di Otto Pfleiderer, p. 67 ; VOrpheus di S. Reinach, p. 107 ; Del metodo nello studio della S. d. R., p. 241 ; La vita religiosa di Roma antica, p. 254 ; Il manuale del Bri-cout, p. 306 ; Il congresso internazionale di Leida, p. 503.
Tagliatatela A., p. 169, 231, 565.
Tempie W., p. 197.
Teubel R., p. 301, 507.
Toutain J., p. 387.
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INDICE vn
Towianski A., p. 554.
Trebio Giusto (Ipogeo di), p. 512.
Tripolitania: Le origini cristiane della T., p. 107 ; Necropoli cristiana ad Ain Zara, p. ri6.
« Tu es Petrus », p. 178, 351.
Turchi N., p. 241.
Upton Sinclair, p. 192.
Vaccari A., p. 107.
Villari L. A., p. 384.
Vinet A., (L’evoluzione religiosa di A. V.), p. 114.
Vita : Il concetto della V. nel Nuovo Testam., p. 27.
Vuillermet F. A., p. 108.
Vulcano: Il culto di V. ad Ostia, p. 74.
Wagner Carlo, p. 374.
Whittinghill D. G., p. 52, 101, 103, 184, 355,
566.
ROva-tu?. ku' umo.s»- ìoitkkì
11
1
REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo
•fi Via Crescenzio 2, Roma.
D. G. Whittinghili, 77L2X, Redattore per l'Estero. .fi Via Delfini 16, ‘Roma.
Si pubblica alla fine di ogni mese pari in fascicoli di almeno 64 pagine & &
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SOMMARIO.
Introduzione. — La Redazione.
La Scienza e la Fede cristiana. — J. Orr, prof, a Glasgow. Scozia.
INTORNO ALLA BIBBIA:
Ricordi studenteschi. — L. P.
Il posto della Bibbia. — B. Labanca, Prof, nell’università di Roma.
L’insegnamento della Bibbia. — E. Cateìlanl, Prof, nell’ Università di Padova.
Il libro più untano e più divino. — A. De Gubernatis, Prof, nell’ Università di Roma.
Che cosa dev’essere la Bibbia per noi. F. De Sarto, prof, nell’ Istituto Superiore di Firenze.
Il Concetto della Vita nel Nuovo Testamento. — Giacomo Natali.
La Dottrina dell’ Espiazione. — D. Scalerà.
Duchesne demolitore. — D. G. Whittin-ghill, Tb. D.
Profili di anime con vertite. — P. Chi «lineili.
MODERNISMO E MODERNISMO:
Modernismo,'cristiano. — Avv. G. A-volio, Direttore di « Battaglie d’Oggi ».
Il mio Modernismo. — D. Battami,
Direttore di « Cultura Moderna ». Religione e Religioni di Otto Pfieiderer.
— N. H. Shaw.
Il culto di Vulcano e V antichità di Ostia.
Prof. L. Paschetto.
NOTE E COMMENTI:
La Religione di Mario Rapisardi. — G. Fasulo.
ZI Signore « degli Eserciti ». — Prof. M. Falchi.
L’Apostolo. — G. Adami.
N. B. Degli articoli firmati
Padre Giacinto Loyson — L. P.
L’Anima religiosa di G. Rossetti. — L. P.
TRA LIBRI E RIVISTE:
Un libro in regalo.
Antico Testamento : Isaia XXIX, 18 (L. P.). — Il documento P nell’ Esaleuco (p. c.) — Mosè e i Libri mosaici (L. P.). - Amos (L. P.). — Tracce di babilonese nell’A. T. (P. G.)
Nuovo Testamento : Un nuovo commentario del N. T. (D. G. W). — « Orpheus» e VEvangelo (Prof. G. Nesi) — Grammatica del N. T. Greco (D. G. W.). — Gesù male accolto a Nazareth (P. C.).
Storia del Cristianesimo; Il Cristianesimo e la Libertà religiosa (L. P.). — Gesù e il Mito di Cristo (Prof. G. Nesi). — Re origini Cristiane della Tripolitania. (L. P.) — Intorno a Lutero (P. C.)
Storia delle Religioni: L’ « Orpheus » di S. Reinach (prof. G. Nesi).
Morale: I sofismi della gioventù (Prof. M. Falchi) — Per essere apostolo (Prof. M. Falchi). . •
Religione e questioni sociali: II valore sociale dell’Evangelo (E. M.). — Per la libertà religiosa. — Le Chiese e la questione sociale (A. M.)
Filosofia e Religione: II credente moderno (E. M..) — La Religione d’oggi (A. Fasulo). — La filosofia della croce (D. Scalerà).
Archeologia: Necropoli cristiana, ad Ain-Zara.
Polemica: Intorno al battesimo (0. Cocorda).
Illustrazioni : Ritratti di Mono. L. Duchesne — Mario Rapisardi — P. Giacinto loyson — Gabriele Rossetti — Il tempio di Vulcano ad Ostia, disegno.
Copertina, disegni e fregi di Paolo Paschetto.
sono responsabili i singoli autori.
Per abbonamenti, corrispondenze, ecc. vedi pag. 120
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RM51A DI SlVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA 5CVOLA TEOLOGICA BATTISTA - DI ROMAI^T^OVUZIO^E.
Bilychnis !
Nome strano, non è vero ?
E suonò strano anche a noi la prima volta che ci si presentò alla mente, tanto che fummo lì lì per relegarlo nel museo delle nostre invenzioni tramontate... Ma quando si trattò di deciderci, ci accorgemmo che aveva perduto alquanto della sua stranezza: attendemmo.. ed oggi ci è tanto famigliare da farci sentire
che se non fosse esistito, avremmo dovuto crea) lo appositamente.
Troviamo infatti che la modesta antica lucerna che alimentò un tempo le due fiammelle destinale a rischiarare gl' intricati meandri delle catacombe romane, si presta assai bene a simboleggiale ciò che vuol essere questa rivista, la quale — lo sappiano i nostri lettori — non ha grandi pretese, ma intende valersi di tutte le opportunità e di tulli i mezzi che sono o saranno messi a sua disposizione per alimentare le due fiamme della scienza e della fede.
Scriviamo scienza e fede senza maiuscole: un po' di modestia in chi vuol contribuire allo studio di queste due grandi realtà, è cosa molto desiderabile. Noi non pretenderemo di esaurire nè l' una nè tanto meno /' altra ; ma ci contenteremo di portare il nostro piccolo contributo. Non faremo sfoggio di obbiettivismo ; ma, pur preoccupandoci di non mai offendere coscienziosamente la realtà, ci presenteremo sempre — come facciamo oggi — nei nostri veri abiti, non nascondendo mai chi noi siamo, quali sonò le nostre idee, i nostri sentimenti e mirando so-
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BILVGHNIS
praltutlo che il nostro ideale, che giustifica tutta la nostra attività, apparisca chiaro, esplicito ai nostri lettori.
Il nostro ideale?
È V ideale cristiano della redenzione e rigenerazione dell' uomo e dell' umanità. L' ideale genuino dell' Evangelo : il risveglio della coscienza e la sua riforma nel! esercizio libero di tulle le sane sue facoltà e nella disciplina della lolla per la vita superiore. Per noi l' Evangelo è come la mano di Dio, che si stende al-! uomo per rialzarlo dalle sue miserie, guidarlo ed introdurlo nella vita. Leggetelo attenlamence e, se v* è possibile, obbiettivamente ! Evangelo, e, qualunque siano le vostre condizioni filosofiche, dite se è veto o no che attraverso le sue pagine si sente echeggiare insistentemente ! appello : Risvegliati, tu che dormi! insieme col grido : avanti !
La psicologia, la storia delle religioni, la storia delle nazioni, le letterature dei popoli dimostrano che l' uomo ha dei bisogni spirituali, e secondo noi, non vi è nulla che possa soddisfarli come V Evangelo.
*
Ci chiamiamo per questo Evangelici, e la conoscenza dell' Evangelo ci sforziamo di diffondere ovunque con tutti i mezzi di cui possiamo disporre; Irà questi è la Scuola Teologica Battista, che ha per iscopo appunto di preparare dei giovani consacrali interamente alla gloriosa missione dell' annunzio e della diffusione del! Evangelo nella nostra patria, nonché di contribuire all' incremento degli studi religiosi che per tanto tempo sono sfati qui in Italia, così deplorevolmente trascurati. Gli è per meglio raggiungere questo secondo scopo che la Facoltà Teologica Battista ha deliberalo la pubblicazione di Bilychnis.
E poiché il nome Battista può riuscire oscuro a qualcuno dei nostri lettori, ci si permetta di riferire qui alcune notizie che varranno a chiarirlo.
I Battisti costituiscono uno dei maggiori rami del cristianesimo evangelico. Se ite trovano in ogni paese del mondo, e appartengono ad ogni classe di persone, dalle più umili alle più elevate» così dal punto di vista intellettuale come da quello sociale. Formano tuli' insieme, comprendendo le famiglie e le persone che in un modo o nell' altro si trovano nella sfera della loro influenza, una popolazione di circa 20 milioni. Essi, di regola, acce llano il Credo Apostolico come l'espressione generale delle loro dottrine. Ma insistono specialmente sull' assoluta supremazia della Bibbia come la sola autorità nel campo della fede e della pratica ; osservano il rito apostolico dell' immersione, battezzando i soli credenti ; propugnano la libertà di coscienza, e quindi la separazione della chiesa dallo stalo e dichiarano
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INTRODUZIONE 5
che Cristo è V unico capo della Chiesa e che solo per mezzo della fede in Lui vi è salvezza pel genere umano. La storia dei cristiani Battisti risale a qualche secolo prima della Riforma, ed è una storia piena di lotte per la fede primitiva : lotte cui parteciparono rappresentanti d'ogni, paese, — non esclusa la nostra Italia — lotte coronale spesso di villorie sugli errori e sulla tirannia della chiesa ufficiale.
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Non vorremmo però che, da lutto quel che abbiamo scrillo per far sapere chi noi siamo e da quale punto di vista studieremo i fatti, i nostri lettori fossero indotti a credere che noi vogliamo limitare il campo degli studi a quella parte della realtà eh' è abbracciata dal nostro orizzonte, o che vogliamo escludere gli studi di ricercatori che osservano i fatti da punti di vista diversi dal nostro. Desideriamo che i lettori sappiano che se abbiamo detto francamente quel che noi siamo e qual è il nostro punto di vista, l' abbiavi fallo, oltre che per dovere di lealtà, anche per offrire una base senza equivoci ad una collaborazione sincera fra quanti s' interessano di studi religiosi. Noi non abbiamo rizzato alcun recinto. Il campo della realtà si estende a perdita d'occhio dinanzi a noi : per conio nostro vi scendiamo così come siamo, con le nostre idee soggettive e coi nostri occhi. Facciano altrettanto gli. altri. Noi crediamo poco alla possibilità dell' obbiettivismo assoluto... Ci sembra più scientifico di scendere nel campo come siamo, senza pretese, e di scambiarci le nostre conclusioni. Diciamo un? eresia ? E chi è quell ammiratore del metodo scientifico che possa osare di scomunicarci in nome dell' infallibilità della Scienza ? Siamo orgogliosi ? No, rivendichiamo semplicemente i diritti della libertà del nostro, pensiero e della nòstra Coscienza e c' inchiniamo riverenti a quelli degli altri.
Non temano adunque di collaborare con noi e agnostici e credenti, e cattolici e protestanti; ciascuno non porterà che la responsabilità delle proprie idee e convinzioni.
Roma, febbraio 1912.
LA REDAZIONE.
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i loro interessi siano
molti ambienti viene attivamente propagata la credenza che il progresso della « scienza », — intendendo con ciò massimamente le scienze fisiche, come 1’ astronomia, la geologia, la biologia e simili, — sia riuscito a danneggiare, se non a distruggere le pretese della Bibbia e le verità del Cristianesimo. La Scienza ed il Cristianesimo vengono contrapposti l’una all’ altro, e si ritiene che
in antagonismo tra loro. Si scrivono dei libri, come «
Conflitto tra la religione e la scienza » del Draper, « Lotta fra la Scienza e la Teologia nella Cristianità » del Withe, e « La Finalità della Religione Cristiana » del Foster, per dimostrare che questo conflitto tra la scienza e la religione ha sempre esistito, e che nella natura stessa delle cose non può cessare .finché non sia distrutta la teologia, e la scienza sia divenuta sovrana assoluta nelle menti
degli uomini.
Questo non fu 1’ atteggiamento dei più antichi investigatori della scienza. La maggior parte di essi furono uomini pii e cristiani. Il Naville nel suo libro « La Fisica Moderna », ha dimostrato che i grandi inventori del passato sono stati quasi tutti uomini pii. Ricordiamo per esempio il Galilei, Keplero, Bacone ed il Newton ; ricordiamo uomini come il Faraday, il Brewster, il Kelvin e tanti e tanti altri in tempi più recenti. Il compianto professor Tait di Edimburgo, scrivendo sull’ « International Review », disse : « La pretesa incompatibilità fra la religione e la scienza in questi tempi è stata così spesso e con tanta disinvoltura affermata che.... scrittori di vaglia hanno preso a considerarla come cosa ornai riconosciuta, ecc...., e ad imbandirla, naturalmente, ad ogni pasto ai loro lettori troppo facili a prestar fede.
Ma tutto questo è un errore ed un errore così grave, che nessun vero scienziato....., almeno in Inghilterra, corre il più piccolo pericolo di commetterlo...... Salvo poche, e singolarissime eccezioni, i veri scienziati ed i veri teologi odierni non si sono trovati nella necessità di bisticciarsi. Il compianto Professor G. J. Romanes ha lasciato nei suoi « Pensieri sulla Religione », questa testimonianza : che ciò che lo ha fortemente spinto a ritornare alla fede è stato il fatto che nella sua università di Cambridge quasi tutti gli uomini più eminenti nelle scienze erano cristiani dichiarati. « La cosa curiosa », dice egli, « è che tutti i nomi più illustri erano schierati dalla parte dell’ ortodossia. Sir W. Manson, Sir George
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Stokes, i professori Tait, Adams, Clerk, Maxwell e Bayley, per non fare i nomi dei meno in vista, come Routte, Todhunter, Ferrers, ecc., erano tutti cristiani professanti » (pag. 137). Può darsi che le cose siano ora cambiate, e fino ad un certo punto ciò è forse vero, ma chiunque conosce le opinioni dei più eminenti fra i nostri scienziati sa bene che 1’ accusare la maggior parte d’ essi di essere non cristiani o miscredenti, gli è come compiere una volgare operandi libellista contro di loro.
Se quando si parla di conflitto fra la religione e là scienza si vuole alludere al fatto che si sono spesso commessi tristi errori e sono sorti malintesi gravi da una parte e dall’ altra, nel corso del progresso della scienza, che nuove teorie e scoperte, come in astronomia ed in geologia, sono state considerate con sospetto da coloro che pensavano che la verità della Bibbia fosse compromessa da esse, — che in alcuni casi la chiesa dominante cercò di soffocare il progresso della verità colla persecuzione — tutto questo non si può negare. È una triste illustrazione del come sia possibile anche ai migliori degli uomini di errare qualche volta in cose che non capiscono perfettamente, o quando sono toccati nei loro pregiudizi nelle loro idee tradizionali. Ma in ciò non è la minima prova contro il valore di quelle scoperte stesse, oppure contro quella più profonda penetrazione nelle vie di Dio Che si nota negli uomini che le fecero, nè vi è nulla che provi 1’ esistenza d’una vera contradizione tra la nuova verità scoperta e l’insegnamento essenziale delle S. Scritture. Al contrario come alcuni pochi poterono vedere fin dal princìpio, la supposta disarmonia colle verità della Bibbia era puramente imaginaria, e scomparve tosto che da ambo le parti s’ ebbe una più chiara comprensione del problema, aprendo finalmente nuovi orizzonti nella contemplazione della potenza, della sapienza e della maestà del Creatore. Non devesi altresì mai dimenticare che raramente l’ errore stava tutto da una parte; che anche la scienza in tanti casi presentò teorie avventate e non giustificabili, ed ha spesso dovuto restringere perfino i più veri tra i risultati delle sue ricerche entro limiti che hanno rimesso quelli in più perfetta armonia con la verità rivelata. Se la teologia ha resistito talvolta alle novità della scienza, ha spesso avuto una buona ragione per farlo.
É bene in ogni caso che questo preteso conflitto del cristianesimo con la scienza sia accuratamente esaminato e che si veda qual sia precisamente la verità in proposito.
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I. La Scienza e La Legge — Il Miracolo.
Coloro i quali affermano che la scienza è in conflitto con la Bibbia e con il Cristianesimo hanno forse in mente il modo con cui essa considera in generale il mondo, piuttostochè i risultati specifici da essa raggiunti. La Bibbia è come una memoria della Rivelazione. Il Cristianesimo è un sistema soprannaturale. Di questo sistema fa parte essenziale il miracolo, inteso come l’intervento diretto di Dio, sia con la parola, sia con 1’ azione, nella storia umana, per fini misericordiosi. D' altra parte il progresso della scienza è valso molto a radicare profondamente l'idea dell’ impero universale della legge naturale, con questo risultato : di condurre una moltitudine di persone, la cui fede non è fondata sopra una chiara esperienza spirituale, a considerare con sospetto tutta l’idea del soprannaturale. Iddio ha il suo modo di operare — si afferma — cioè per mezzo di agenti secondari, operanti in modi assolutamente uniformi, e quindi non si possono assolutamente ammettere i miracoli.
E poiché i miracoli si trovano nelle S. Scritture, — poiché tutto il libro riposa sull' idea di un sistema soprannaturale di grazia, non rimane che da gettar vìa il tutto come incompatibile col pensiero moderno. Il professor G. B. Foster arriva persino a dichiarare che difficilmente può essere intellettualmente onesto colui che ai nostri giorni professa di credere ancora ai miracoli della Bibbia.
È un' esagerazione il parlare di questa ripugnanza al miracolo, e del rigetto di tutto ciò che c’ è di miracoloso nel contenuto delia Bibbia, come se si trattasse di cose veramente nuove. Son cose vecchie quanto il razionalismo stesso. Le si trovano nello Spinoza, nel Reimarus, nello Strauss e in tanti altri. 11 De \ Vette ed il Vàtke, che furono tra i primi critici dell’ Antico Testamento, manifestarono quella ripugnanza altrettanto fortemente quanto i loro odierni seguaci facendone il perno della loro critica. Fu essa che diresse gli assalti rivolti contro il Cristianesimo all’ epoca dei deisti. Davide Hume scrisse una tesi contro i miracoli e credette di averli spacciati definitivamente.
Ma questa ostilità contro il concetto del miracolo, derivata dall’ esperienza nostra circa l'uniformità delle leggi della natura, può ella essere giustificata anché dopo uña seria riflessione ? Non contiene in se stessa una enorme pretesa, e non contrasta essa coll' esperienza e col buon senso ? Vale la pena di domandarselo.
In primo luogo che cosa è un miraggio ? Potremmo darne varie definizioni ; ma basterà qui definirlo come un effetto qualsiasi nella natura, 0 anche una deviazione qualsiasi di questa dal suo corso ordinario, effetto o deviazione, dovuti all’ intervento di una causa soprannaturale. Il concetto biblico del miracolo — lo si noti — nQn_escl_u.de affatto che gli agenti naturali possano essere adoperati in tutta la loro possibile esplicazione. Per esempio : se Jl prosciugamento del
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Mar Rosso, ^pel passaggio degli Israeliti, fu dovuto in parte ad un agente naturale, cioè al soffio d’ un impetuoso vento, questo avvenne nondimeno per la disposizione di Dio, e sussiste così il carattere soprannaturale dell’avvenimento nel suo insieme. Fu al comando di Dio che le acque si divisero e che una via s’ aprì precisamente in quel tempo ed in quel luogo per il passaggio del popolo. Questo è uno di quei miracoli che i teologi chiamano « miracoli provvidenziali », nei quali, per quel che è possibile vedere gli agenti naturali, sotto la divina direzione, bastano a produrre il risultato. Vi sono però altri miracoli, più notevoli, come, per esempio, la guarigione istantanea del lebbroso, oppure la resurrezione dei morti in cui gli agenti naturali sono evidentemente, del tutto superati. È intorno a questa categoria di miracoli che si accentua principalmente la discussione. Sono miracoli in un senso più stretto, inquantochè trascendono assolutamente le leggi naturali.
E in secondo luogo, che cosa s’intende coll’ uniformità della natura ? La natura ha le sue leggi, nessuno lo nega.
E un errore il supporre che la Bibbia, benché non scritta nel ventesimo secolo, non sappia nulla dell’ ordine regolare e del sistema della natura. Il mondo è il mondo di Dio ; è stabilito per suo decreto ; Egli ha dato ad ogni creatura la sua natura, i suoi limiti ; tutte le cose si susseguono secondo i suoi ordinamenti (Salmo li9, 91). Ma c’è questo: che la legge nella Bibbia non vien mai considerata come avente un’ esistenza indipendente. È sempre riguardata come un’ espressione della potènza e della sapienza di Dio. Qui abbiamo il giusto punto di vista per considerare la relazione Che corre fra la legge ed il miracolo. E per cominciare, che cosa intendiamo noi per una « legge » della natura ? Essa non è, come la scienza ammetterà, se non la nostra osservazione dell’ordine in cui troviamo connessi, nella nostra esperienza, le cause e gli effetti. Che siano così connessi, nessuno lo nega. Se non lo fossero, il nostro sarebbe un mondo in cui nessuno potrebbe vivere. E in secondo luogo, che cosa intendiamo coll’ « uniformità » in questa connessione ? Non intendiamo altro che questo che, date certe cause, operanti in certe condizioni, si debbono avere certi dati effetti. Quest’è verissimo e non c’ è nessuno che lo neghi.
Ma va osservato inoltre, come J. S. Mili nella sua Logica indicò molto tempo fa, che il miracolo in senso stretto non è la negazione di nessuna di queste verità. Il miracolo non è 1’ asserzione che, date le stesse cause, si abbia un diverso risultato. È, al contrario, 1’ asserzione dell’ intervento d’ una nuova causa e precisamente una causa che i teisti non possono non riconoscere come una vera causa cioè: il volere ed il potere di Dio. Precisamente come quando alzo il braccio o gitto un sasso in alto, io non abolisco la legge della gravità ma vi agisco contro 0 domino la sua azione puramente naturale coll' introdurre
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una nuova forza spirituale ; così, ma in un modo infinitamente più elevato il miracolo è dovuto all’ intervento della Prima Causa d’ ogni cosa, Dio Stesso. Ciò che lo scienziato deve riuscire a dimostrare, per dare una base alla sua obbiezione al miracolo, è, non soltanto che le cause naturali operino uniforme-mente, ma che soltanto le cause naturali esistano ; che cioè le cause naturali e-sauriscano tutta la causalità nell’ universo. Il che, secondo noi, egli non potrà mai dimostrare.
È evidente da qual eh’ è stato ora detto, che la vera quistione da decidersi riguardo il miracolo non è la legge naturale, ma il 'Teismo. Si deve riconoscere senza esitare che la quistione del miracolo può con profitto discutersi soltanto sulla base di un concetto teistico dell’ universo. Non neghiamo che esistano concetti dell’ universo che escludono il miracolo. L’ ateo non può ammettere il miracolo, appunto perchè non crede all’ esistenza di un Dio. Il panteista non può ammettere il miracolo, perchè per lui Iddio e la natura sono una stessa cosa. Il deista non può ammettere il miracolo, perchè egli ha separato Dio e l'universo così radicalmente che non può più ormai ricongiungerli di nuovo. La quistione non è, se il miracolo sia possibile in un concetto ateistico, materialistico o panteistico del mondo, ma se sia possibile in un concetto teista...., nel concetto di un Dio che è immanente nel Suo mondo e che allo stesso tempo lo trascende in infiniti modi. Io non parlo di « onestà » intellettuale, ma mi maraviglio, come ho spesso detto, del coraggio di chi osa affermare che, per i fini più santi e più elevati nelle sue relazioni personali colle Sue creature, Iddio non possa agire se non entro i limiti che la natura impone ; che egli non possa agire, se così gli aggradi, senza 1’ ordine della natura e al disopra di esso. I miracoli reggono o cadono a seconda delle loro prove interne, ed il tentativo di atterrarli per mezzo di una qualche asserzione aprioristica circa 1’ uniformità della legge naturale riuscirà sempre vano. Lo stesso si dica delle affermazioni di coloro, i quali, basandosi sul terreno dell’ uniformità della legge naturale, negano la provvidenza o la possibilità dell'esaudimento della preghiera. Non si afferma qui una violazione dell’ ordine della natura, ma solo un governo, una direzione dèlia natura, di cui ci offre esempi quotidiani l’uso che 1’ uomo, per scopi speciali, fa delle leggi naturali, senza violarle.
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IL La Scrittura e le Scienze Speciali.
Ma guardando più da vieino 1’ asserito conflitto della Bibbia o del Cristianesimo colle scienze speciali, la prima domanda importante che ci sentiamo rivòlgere è: Qual è la relazione generale della Bibbia con la scienza? Come pretende essa di collegarsi ai progressi della conoscenza naturale ? Quìi c’ è da temerlo, si commettono spesso sbagli da ambedue le parti — da parte della scienza, quando essa afferma 1' esistenza di contradizioni fra la Bibbia, ed i resultati scientifici, là dove in realtà non esistono ; da parte dei credenti, quando essi domandano che la Bibbia venga presa come libro di testo delle scoperte scientifiche più modèrne, e fanno ogni sfòrzo per trovarcele. La verità su questo punto sta veramente alla superficie. È chiaro che la Bibbia non afferma di anticipare le Scoperte scientifiche del decimonono e del ventesimo secolo. Il suo scopo è molto diverso : di rivelare cioè Dio e la Sua volontà ed i suoi propositi di grazia per gli uomini, e, implicitaménte, la sua relazione generale col mondo creativo, la dipendenza di questo mondo, in tutte le sue parti, da Lui, ed il Suo ordinato governo del mondo stesso, nella Provvidenza, per i Suoi fini savi e buoni. Nella Bibbia le cose naturali vengono prese come sono date e vengono trattate in linguaggio semplice e popolare, proprio come oggi noi stessi ne ragioniamo quotidianamente. Il mondo che la Bibbia descrive è il mondo che gli uomini abitano e conoscono, ed essa ce lo descrive quale ci appare e non quale la scienza, nelle sue recondite ricerche, ce lo rivela nella sua costituzione interna. Savi commentatori delle Scritture, fra i più vecchi e fra i più giovani, hanno sempre riconosciuto questo e non hanno cercato di far loro dire più di quel eh’ esse dicono. Per limitarci ad un esempio, Giovanni .Calvino che scrisse prima che il sistema Copernicano di astronomia venisse generalmente accolto, nel suo commentario sul primo capitolo della Genesi scrisse queste savie parole: « Chi vuole imparare l’astronomia ed altre arti recondite, si rivolga altrove. Mosè scrisse in uno stile popolare cose che ogni persona ordinaria, priva d’istruzione, ma dotata di buon senso, può benissimo comprendere.... Egli
non c’ invita a salire fino al cielo, ma si limita a presentarci cose che cadono direttamente sotto i nostri occhi ». Ancor oggi, sebbene circondati da tutta la luce della scienza moderna, noi parliamo del sorgere e del tramontare del sole, della luna e delle stelle, e nessuno ci fraintende o ci accusa d’ essere in contradizione colla scienza. Ma d’ altra parte è altrettanto vero che nel descrivere le cose naturali, la Bibbia, per lo spirito di rivelazione che 1’ anima, coglie gli oggetti in una luce così giusta, sempre in relazione ai propri propositi, che la mente di chi légge viene impedita dall’ essere distolta dalle grandi verità che il libro intende far accettare.
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Per illustrare questi atteggiamenti di fronte alla relazione tra la Bibbia e la scienza, basterà che li osserviamo nella loro applicazione alle due scienze del-l’astronomia e della geologia, con le quali appunto si è spesso affermato essere la Bibbia in conflitto.
i. Nel campo dell.*, astronomia, il cambiamento dal sistema Tolemaico a quello Copernicano — dal concetto che considerava la terra come il centro del-1’ universo a quello moderno, e indubbiamente vero, della terra girante, insieme con altri pianeti, intorno al sole, il quale non è che uno degli innumerevoli globi dei cieli stellati — destò di necessità gravi preoccupazioni tra coloro che credevano che il linguaggio della Bibbia li costringesse ad attenersi al sistema più antico. Per un certo tempo si ebbe una viva opposizione non solo da parte di molti teologi, ma altresì da parte di molti che si occupavano di scienza, contro le nuove scoperte dovute al telescopio.
Galileo fu imprigionato dalla chiesa. Ma la verità prevalse, e si vide presto che la Bibbia, adoperando il linguaggio delle apparenze, accennando cioè al, giro del sole intorno alla terra non era più colpevole dei nostri almanacchi moderni che si servono delle medesime espressioni. Bisogna viaggiare e andar molto lontano per trovare oggi un cristiano il quale creda che la sua fede sia minimamente compromessa dalla scoperta della vera teoria del sistema solare. Il cristiano si rallegra perchè oggi comprende meglio la natura, e legge la sua Bibbia senza il minimo senso di contradizione. Eppure lo Strauss era sicuro che;il sistema Copernicano avesse dato il colpo di grazia al Cristianesimo, come il Voltaire prima di lui aveva affermato che il Cristianesimo sarebbe stato abbattuto dalla scoperta della legge di gravitazione e che sarebbe morto prima della fine del secolo. Il Newton, 1’ umile cristiano che scoperse la legge di gravitazione, non ebbe affatto tale paura, ed il tempo ha dimostrato che lui e non il Voltaire*aveva ragione. Questi sono esempi di « conflitti » tra Cristianesimo e scienza.
La’così detta « obbiezione astronomica » al Cristianesimo si allarga, insistendo^ più specialmente sul contrasto fra la non limilabilità dell* universo, dimostrata dalla scienza e /’ interessamento peculiare di Dio agli affari dell’ uomo, dimostrato*nel\Vangelo Cristiano. » Che cosa è 1’ uomo, che tu ne abbia memoria? » (Salmo 8, 4). È mai credibile che tra un’ infinità di mondi sia stato scelto questo piccolissimo atomo per essere la scena di una manifestazione così ineffabile dell’amóre e della grazia di Dio quale è implicata nell’ incarnazione del Figlio di Dio. nel Sacrificio della Croce, nella Redenzione dell’ uomo ? E quasi trascorso ormai il tempo in cui questa obbiezione pareva aver gran peso. Lasciando da parte il fatto singolare che fino ad oggi sembra non s’ abbia alcuna prova dell’ esistenza di altri mondi abitati da esseri razio-
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nati come 1’ uomo — nessun pianeta, nessun sistema conosciuto (si può consultare in proposito: « L’ uomo e 1’ universo » di A. R. Wallace) — coloro che pensano sono giunti a comprendere che la grandezza quantitativa non è una misura dell’ amore e delle cure di Dio ; che la stima del valore di un’ anima non può farsi a base di stelle è di pianeti ; che qualora si dimostrasse che questo nostro mondo sia 1’ unico posto nell’ universo in cui il peccato sia mai comparso, non per questo esso diverrebbe una realtà meno tremenda. Gli è proprio per 1’ essenza dèlia sua infinita, che Dio ha cura del piccolo come del grande; non uno filo d* erba potrebbe agitarsi al vento, o l’insetto effimero compiere la sua breve vita alata, se Iddio non fosse realmente presente, non s’interessasse minutamente di tutto questo. La posizione dell’uomo nell’universo rimane, per consenso o piuttosto per dimostrazione della Scienza, una posizione del tutto singolare.
Anello di connessione tra il materiale e lo spirituale, egli è 1’ unico essere che pare adatto per essere, come le Scritture affermano che egli sia, il legame di unità nel creato (Ebrei, 2, 6-9). Questa è la speranza presentataci in Cristo (Efesi, 1, io). Si dovrebbe pure riflettere che, mentre l’ estensione fisica dell’ universo è un concetto moderno, non vi è stato mai un tempo nella chiesa cristiana in cui non si pensasse a Dio — l’Iddio infinito —- come adorato e servito da schiere innumerevoli di spiriti ministranti.
Non si ritenne inai che 1’ uomo fosse 1’ unico essere intelligente del creato. Il mistero dell’ amore divino verso il nostro mondo in realtà è stato altrettanto grande prima, quanto dopo che furono scoperte le estensioni stellari. Il senso di « conflitto » perciò, — se non il senso di maraviglia, destato dalle « ricchezze innumerevoli » della grazia di Dio verso 1’ uomo in Cristo Gesù — svanisce quando cresca la comprensione delle profondità e delle alture dell’amore di Dio, Che « oltrepassa ogni intendimento » (Efesi, 3, 19). La splendida dimostrazione che 1’ astronomia fa della maestà della sapienza e del potere di Dio non è menomata da nessun senso di disannonia col Vangelo.
2. Quel eh’ è avvenuto per 1’ astronomia, s’ è verificato anche per le rivelazioni della, ¿wZqgig riguardo 1’ età e la formazione graduale della terra. Anche qui. si destarono —- abbastanza naturalmente, date le circostanze — il dubbio ed il sospetto ; ed ecco il buon Cowper che nel suo « Task » — Il compito — s’intrattiene a parlare di coloro
«...... che forano e bucano
la terra solida e quivi dagli strati
estraggono un registro, per mezzo del quale apprendiamo
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che colui che lo fece, e ne rivelò la data a Mose, si sbagliò riguardo !' elà ». (/)
Se il primo capitolo della Genesi avesse veramente l’intenzione di darei la « data » della creazione della terra e dei cieli, all’ obbiezione non sarebbe possibile rispondere. Ma intorno a questa quistione riguardante il campo della geologia, come è avvenuto nel caso dell’ astronomia, si è fatta maggior luce e sono pochi oggi coloro che rimangono sconcertati nel leggere la loro Bibbia, perchè è ormai assodato che il mondo è immensamente più vecchio dei 6000 anni attribuitigli dalla vecchia cronologia. Si sente che la geologia non ha fatto che allargare le nostre idee intorno alla vastità e al carattere meraviglioso dell’ opera compiuta dal Creatore attraverso lunghissime epoche, durante le quali colle sue feconde popolazioni di pesci, di uccelli, dì rettili, di mammiferi andò preparando un’ abitazione per 1’ uomo — quando sorgevano montagne, s’ abbassavano vallate, e venature di preziosi metalli s’ incastravano nella crosta della terra.
È proprio vero dunque che il primo capitolo della Genesi è contradetto dalla scienza ? Risponderemo sicuramente di no, sé ricorderemo quanto s’ è detto sopra circa il carattere essenzialmente popolare delle allusioni bibliche a cose naturali.
Il primo capitolo della Genesi certamente non ci descrive ne’ suoi particolari il processo della formazione della terra, in termini che anticipassero la scienza moderna -- termini che sarebbero stati incomprensibili ai primi lettori — ma ci olire un quadro fedele all’ ordine della natura, come anche ai fatti salienti della successione geologica. La. Bibbia racconta come Iddio chiamò all’ esistenza i cieli e la terra, separò la luce dalle tenebre, il mare dalla terra, rivestì il mondo di vegetazione, diede al sole ed alla luna il loro dominio sul giorno e sulla notte, fece volare il volatile, e solcare le profondità dai mostri del mare, creò gli animali e le fiere della terra, e finalmente fece 1’ uomo, maschio e femmina, secondo la Sua immagine e lo stabilì come signore sopra tutto il creato di Dio; questo sorgere ordinato di forme create, col coronamento finale dell’ uomo, queste idee profonde della narrazione, che mettono il mondo fin dal principio nella sua giusta relazione con Dio, e posano i fondamenti d’ una filosofia duratura della religione, sono verità Che la
(1) «....... who drill and bore
The solid earth and from the strata there Extract a register, by which we learn Thal he who made it, and revealed its date To Moses, was mistaken in its age. »
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scienza non fa nulla per sovvertire, e che invece in mille e mille modi conferma.
1 - * sei giorni » possono essere ancora una difficoltà per molti ; ma anche se non si tratta d’ un’ espressione simbolica in relazione col quadro simbolico di una gran « settimana » divina di lavoro...., si può ben domandare, come fece Agostino molti anni prima che si pensasse alla geologia, che specie di « giorni » furono mai questi che compirono il loro giro prima che al sole fosse affidato il compito di misurare i giorni di ventiquattr’ ore.
Non si fa violenza alla narrazione dando il significato di epoche, di estesi periodi cosmici alla parola « giorno ».
Ed allora sparisce 1 ultima traccia dell’ apparente « conflitto ».
III. L9 Evoluzione e P Uomo.
In questi ultimi anni il punto intorno al quale più spesso si pretende vedere accentuarsi il « conflitto » tra la Scrittura e la Scienza è l’apparente centra-dizione fra la teoria dell’evoluzione e la narrazione biblica^deUa creazione diretta degli animali e dell'uomo. Si potrebbe senz’altro rispondere, come si fa spesso, e come è accaduto nei casi già notati, col negare la realtà di qualunque processo d’evoluzione nella natura. Anche a questo riguardo, mentre si deve riconoscere che l’evoluzione non è ancora provata, sembra però ehe si”ma-mfesti una tendenza sempre più marcata a riconoscere l’evidenza’del fatto" che esistono forme che si spiegano col concetto dell’ evoluzione delle" specie - si Batta cioè di qualche relazione genetica tra le forme inferiori a quelle superiori. Insieme con questo, allo stesso tempo, si manifesta una crescente disposizione a limitare lo scopo dell’ evoluzione, ed a modificare la teoria in punti molto essenziali — e precisamente in quei punti nei quali si credette di vedere un conflitto colla Scrittura.
In gran parte la difficoltà che circonda questo soggetto è dovuta all’ imperdonabile confusione o identificazione dell’evoluzione col Darwinismo Il Darwinismo non è che una teoria del processo di evoluzione, e deve il prestigio straordinario ottenuto all’abilità con la quale venne presentata, nonché al
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valore del suo propugnatore. In questi ultimi tempi, come si può vedere consultando, per esempio, un libro come « Il naturalismo e la religione » di R. Otto pubblicato in « The Crown Library », quel prestigio è grandemente scemato. È sorta una nuova teoria dell’ evoluzione, che differisce da quella Darwiniana in tre punti essenzialissimi: i. Il carattere fortuito delle 'variazioni su cui agisce la « selezione naturale ». Si sente oggi che le variazioni si compiono lungo date linee definite, verso dati scopi. 2. L’ insufficienza della « selezione naturale » (sulla quale Darwin si basava quasi completamente) a soddisfare i compiti che Darwin le assegnava. 3. La lentezza e V insensibilità con cui si sarebbero succeduti i cambiamenti per mezzo dei quali si supponeva che le specie nuove fossero prodotte. La nuova tendenza, all'* opposto, è di cercare 1’ 0-rigine delle nuove specie in cambiamenti rapidi e subitanei, le cui cause risiedono dentro 1’ organismo, — « in mutazioni » come oggi si dice — dimodoché il processo può essere altrettanto breve quanto prima si supponeva essere lungo. In breve, si comincia a riconoscere che « evoluzione » non è che un nuovo nome per « creazione », con questa differenza che la potenza creatrice secondo il nuovo concetto opererebbe dall’ interno, invece di operare, come nel vecchio concetto, in un modo esterno e plastico. Si tratta sempre però di creazione.
In verità non è possibile formarci alcun concetto di evoluzione, che sia compatibile con tutti i fatti della scienza, che non tenga conto, almeno in certi punti critici importantissimi, dell’ intervento di nuovi fattori nel processo che noi chiamiamo creazione. 1. Uno di tali punti è la transizione dall’esistenza inorganica a quella organica — l’intervento della nuova potenza di vita. È vano cercar di spiegare la vita per mezzo di agenti, puramente meccanici e chimici e la scienza ha quasi rinunziato a questo tentativo. 2. Uh secondo punto sta nella transizione dallo sviluppo puramente organico alla coscienza di sè. Una sensazione è un fatto mentale di genere differente da qualunque cambiamento meramente organico ed inesplicabile per mezzo di questo. Abbiamo qui adunque un’ altra ascensione che rivela potenze spirituali prima sconosciute. 3. Il terzo punto sta nella transizione alla razionalità, alla personalità ed alla vita morale nel-l’uomo. Tutto ciò come viene dimostrato dalla capacità dell’uomo ad una vita conscia di sè, diretta dà sè e progressiva è qualche cosa di diverso dalla coscienza puramente animale, e segna il principio di un nuovo regno. Qui, di nuovo si sente che la Bibbia e la Scienza sono in armonia. L’ uomo è 1’ ultima delle opere create da Dio — il coronamento e la spiegazione del tutto, — ed egli è fatto all’immagine di Dio.
Per spiegarcelo, dobbiamo supporre che un atto speciale del Creatore lo abbia costituito quello che egli è. Questo atto creativo non ha relazione soltan-
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to coll’ anima, perchè sarebbe possibile collocare doti spirituali più elevate in un cervello meramente animale. Vi dev’essere un’ascensione anche dal lato fisico, corrispondente al progresso mentale. Per il corpo come per lo spirito l’uomo viene dalla mano del suo creatore. Se si accetta questo nuovo modo di concepire l’evoluzione, la maggior parte delle difficoltà che circondano la teoria Darwiniana si dileguano, i. È un fatto che l’uomo non deve più essere considerato come un lento sviluppo dal livello animale — un’ ascensione da una forma scimmiesca attraverso la bestialità e la selvatichezza. La sua origine può essere subitanea quanto la rappresenta la Genesi. 2. Il bisogno di attribuire un’ enorme antichità all’ uomo, per dar tempo a quel lento sviluppo di attuarsi, non vien più sentito. E (3) la necessità di credere che la condizione originale sia stata una condizione in cui avrebbero dominato passioni brutali e in cui 1 uomo sarebbe stato soggetto all’ impulso, naturale, svanisce aneli’ essa. L’ uomo può essere venuto dalla mano del Creatore in uno stato cosi moralmente puro e tanto capace di uno sviluppo senza peccato, quanto lo affermano la Genesi e Paolo.
> E questo è anche il più degno concetto che si possa avere dell’ origine dell’uomo. E una veduta che si può giustificare col fatto che non esistono delle prove credibili per quelle forme scimmiesche intermediarie, le quali secondo l’altra ipotesi, devono essersi succedute tra i progenitori animali e l’essere limano compito. E un concetto che non è contradetto dalle pretese prove spesso addotte in favore della grande antichità dell’ uomo - 100.000, 200.000, e 500.000 anni. — Infatti la maggior parte di queste prove e le stravaganti misure del tempo con quelle connesse, sono estremamente ipotetiche. Si consulti al riguardo 1’ autore del libro « L’imagine di Dio nell’ uomo ed il suo sfregio ».
La conclusione è che fino a quest’ ora, la scienza ed i concetti biblici di Dio, dell’ uomo, e del mondo non si trovano in nessuna vera relazione di conflitto. Ogni libro della Scrittura di Dio riflette luce sulle pagine dell’altro, ma nessuno contradice l’essenziale testimonianza dell’altro. La scienza stessa pare ora disposta ad avere vedute meno materialistiche circa 1’ origine e la natura delle cose di quelle che ha seguito dieci o venti anni fa; e ad interpretare piuttosto il creato alla luce dello spirituale. L’ esperienza del credente cristiano, insieme con 1’ opera delle missioni in paesi pagani, fornisce una testimonianza che non può essere trascurata per la realtà di questo mondo spirituale, e delle forze rigeneratoci e trasformatrici che da esso procedono. A Dio sia tutta la gloria!
, PROF. JAMES ORR, D. D.
(Col consenso dell' Autore).
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Ricordi Studenteschi.
« più grave lacuna nell’ insegnamento universitario è quella verificatasi dopo la soppressione delle Facoltà Teologiche annesse alle vaine Università. Sino .al maggio del 1872 se ne contavano dieci. La proposta della loro soppressione venne portata dinanzi, al parlamento da Cesare Correnti, e ricevette 148 voti in favore e 67 contro: la ragione più forte addotta a giustificazione della radicale proposta era, che non valeva la pena che lo Stalo spen
desse ogni anno 35,000 lire per gli onorari di 26 insegnanti che impartivano lezioni a..... 4 studenti! E la forza di un simile ragionamento non potè esser vinta neppure dalle argomentazioni d’un Ruggero Bonghi, per non parlare di quelle del Buoncom-pagni e del Massari, eh’ ebbe il coraggio di definire il progetto di soppressione come « un insulto alla scienza e alla libertà ».
Se la discussione dell- importante questione si fosse fatta in tempi a nói più vicini, il risultato sarebbe stato, molto probabilmente, diverso. Oggi infatti v* è una disposizione più generale a riconoscere che il fenomeno religióso, sia dal punto di vista della psicologia, sia da quello della storia e dell’arte non dev' essere sottratto all’indagine scientifica; non soltanto perchè esso è parte della realtà, ma altresi pel fatto eh' esso è stato attraverso i secoli un fattore sociale diprim’ ordine. — E se anche oggi si giungesse a sopprimere delle facoltà teologiche — dato che esistessero ancora — non si esiterebbe però a sostituir loro dei gruppi'di cattedre per V insegnamento di discipline storico — religiose. Dobbiamo sperare che in un non lontano avvenire abbia a ripetersi la discussione che quaranti anni fa fu destata dalla proposta soppressione, e che ora potrebbe venir suggerita.... da parecchie constatazioni dolorosissime, come per esempio quella rfelf ignoranza supina di cui danno prova la nostra gioventù studiosa e non di rado anche certi rappresentanti del corpo insegnante in fatto di Cristianesimo, di Storia del Cristianesimo, di religione e di storia delle religioni.
Afcwni anni or sono, quanti'era studente all'Università di Roma, ebbi campo di fare alcune esperienze in proposito. Per circostanze di famiglia e d’ambiente io mie-ra sempre occupato della quistione religiósa e fin da ragazzo aveva avuto fra ¡emani la Bibbia. Di essa, allora, aveva idee forse alquanto diverse da quelle che sono giunto a formarmi oggi ; ma è certo che quello che di essa allora sapeva, era quello che tutti gli intellettuali, o per lo meno tutti i cultori delle lettere e delle letterature, della morale, della filosofìa e della storia della filosofìa, dovrebbero sapere! — Ebbene, io non saprei quali espressioni adoperare per esprimere, lo stupore, la vergogna mia nel constatare l’ enormità dell' ignoranza di cui davan prova i miei colleghi ri-
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guardo la Bibbia. Sapevano mille pedanterie intorno ad un' operetta antica di di-scuiibilissimó~v(ilore morale 0 letterario; ma dinanzi alla Bibbia sembrava che fosse loro permessa qualunque abdicazione, e magari la rivendicazione del diritto.... all’ i-gnoranza.
Io non pretendeva che i miei colleghi avessero per la Bibbia quella venerazione religiosa ch’io per essa nutriva, ma avrei voluto che per lo meno si disponessero a trattarla con una maggiore giustizia, cercando di sapere intorno ad essa un- po’ di quelle notizie che generalmente non sì permettevano d‘ ignorare riguardo cento altri libri assai meno importanti.
Che fare? Pensai di rivolgermi ad alcuni^professeri e scrittori e chieder loro che scrivessero quel che pensavano jlellq Bibbia ; io avrei raccolto i loro giudizi in un volumetto Che avrei poi distribuito largamente tra gli studenti.
Mi misi all- opera con fede ed entusiasmo; scrissi molte lettere, ed.... attesi,
Alcuni risposero subito inviando scritti da pubblicarsi; altri si scusarono, come il Prof. Ruffìni, ! autore del volume sulla Libertà religiosa, che adduceva troppo umilmente la propria incompetenza, e il compianto PrpBJk'£]Ì£C. che si diceva « soverchiato » dagli impegni già assunti; altri fecero obbiezioni, come Ppinpep Mplmen-,li il quale scriveva: « Pur troppo, col vento che spira, i giovani delle Università sarebbero sordi all- appello e ! eccitamento sarebbe peggio che vano ». In simili termini si esprimeva Alessandro Chiappoli!: « Ella ha molto ragione: e da tempo si lamenta questa grave lacuna nélìó ^ìrtio italiano. Non sono gli studenti soltanto, ma tutto il pubblico che non ne sa e non vuol saperne. Io provai nella Nuova Antologia fino dal ISltl a ridestare Vattenzione a questi studi; ma fu voce nel deserto; e così accadrà agli Studi Religiosi che si van pubblicando in Firenze... »
I più non risposero affatto, e, dato il numero troppo esiguo dei giudizi pervenutimi, dovetti a malincuore rinunziare all’ impresa. — Dietro richiesta degli autori, restituii alcuni dei manoscritti ; altri pochi mi rimasero, e li ho conservati sino ad oggi religiosamente come prezioso ricòrdo di un caro episodio della mia vita Studentesca; ed Oggi trovandomi ad inaugurare la pubblicazione di questa rivista dedicata agli Studi Religiosi, ho creduto di poter prendermi la libertà di pubblicare i pensieri che con tanta cortesia vollero allora favorirmi i professori De^ Sarto di Firenze, l)e Gubernatis e Babanca di Roma e Calellani di Padova.
L. P.
Il posto della. Bibbia.
Roma, ecc......
Egregio Studente,
Rispondo con alquanto ritardo alla vostra lettera, essendo stato molto occupato nei giorni precedenti per miei lavori particolari, per la lettura di tesi di Laurea, e per gli esami, non ancora chiusi in quest’ anno scolastico.
Voi mi scrivete d’ essere un sincero ammiratore della Bibbia.
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Ciò mi è riuscito assai grato, per più e più ragioni. Io pure sono un sincero ammiratore della Bibbia. Ma devo subito confessarvi, Che tra gli ammiratori e gli oppositori c’ è da stare molto a disagio, eccedendo nell’ammirazione e nella opposizione. Necessita anzitutto e soprattutto persuadersi, che la Bibbia — dal greco xà pipXia che vuol dire Libro dei libri, — è Libro dei libri sacri, o religiosi, non già Libro dei libri storici, scientifici e politici.
Per mala ventura e per lungo tempo molti ammiratori eccessivi della Bibbia vollero scoprire in essa non solo un prezioso contenuto religioso, ma eziandio un contenuto storico, scientifico e politico, quasi che dessa abbracciasse tutta la vera storia, tutta la vera scienza, tutta la vera politica del genere umano, dei secoli preteriti, presenti e futuri. Si sono fatti, invano, innumerevoli tentativi di trovare nella Bibbia la intera storia, scienza e politica, o, per lo meno, di..conciliarlacon la storia, con la scienza e con la politica de’ popoli di tutti i tempi. Che l’A. T. sia servito appo gli Ebrei, di storia, di scienza e di politica, s’intende perfettamente. Ancora s’intende, fino a un certo punto, che 1’ A. ed il N. T. siansi adoperati quali documenti storici, e fondamenti scientifici o politici nel primo evo, e a tutto il medio evo cristiano. Però, venuta 1’ epoca moderna, dopo il XIV secolo, i tentativi di trovare nella Bibbia tutto il sapere storico, scientifico, e politico, o di conciliarlo con la Bibbia, non hanno approdato: e non potevano approdare, ponendo a calcolo i progrediti studii storici, scientifici e politici, e la progredita esegesi biblica, iniziatasi, per opera della Riforma, dal secolo XVI.
Con tutto ciò si vuole da alcuni ammiratori della Bibbia, continuare in vani tentativi di conciliazione, in Italia e fuori. Arreco, ad essere breve, pochi esempli italiani. Giambattista Vico stimò, nel secolo XVIII, di fondare la sua Scienza nuova, per la storia antica, nella Bibbia. Per riuscirvi, ne interpretò male, anzi ne alterò molti punti importantissimi: alterazione dimostratagli con evidenza esegetica da G. F. Finetti, valente giurista teologo del secolo XVIII. Questi ed altri fatti interessanti ho ricostruito nel mio volume, Giambattista Vico e i suoi critici cattolici (Napoli, L. Pieno, 1898). Il simigliante deve affermarsi degli sforzi, adoperati dallo Stoppani, dal Fogazzaro e da altri italiani, per accordare la Bibbia con la scienza odierna dell’ ultimo quarto del secolo XIX. I principali sforzi sonosi applicati ai primi capitoli della Genesi,
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tornati vani ed assurdi, perchè contrarii assolutamente ai nuovi trovati della geologia, della zoologia, della paleontologia.
Gli oppositori della Bibbia, convinti a ragione degli inconcludenti tentativi di ammiratori eccessivi, sono corsi all’ estremo ingiustissimo di non rispettare la Bibbia, neppure come il libro per eccellenza della fede cristiana, tuttora efficace e feconda nelle sue supreme idealità morali e sociali. Gli oppositori, quasi irritati del lavoro degli ammiratori illimitati, hanno annunziato nelle loro scuole e pubblicazioni il tramonto dei libri biblici, composti tutti, secondo il loro giudizio, a miti e leggende, non più accettabili, sino da persone mezzanamente istruite. Ad evitare coleste asserzioni estreme e funeste, gli ammiratori assennati e temperati devono richiamare la Bibbia verso il suo primitivo scopo, eh’ è senza dubbio religioso, e confessare che tale essendo il suo scopo essenziale, non può contenere tutta la storia, tutta la scienza e tutta la politica del passato e dell’ avvenire; in modo che non sia da disprezzarla mai quale documento dei documenti religiosi, anche rinvenendo in essa degli errori storici, scientifici e politici. La Bibbia, letta da milioni d’individui — così poco letta fra noi, ed ostacolatane, quel eh’ è più, la lettura e la critica dalla chiesa cattolica — è necessario che venga letta con lo spirito religioso, come bene sentenzia il celebre volumetto de imitatione Christi, al quale è stata indirizzata, e con il quale è stata scritta. Nell’universo si succedono e s’intercedono diverse rivelazioni: quelle della Natura e della Coscienza, le une e le altre partecipate a tutti gli uomini, a loro molteplice beneficio materiale e morale (Rom., I, 20; II, 14, 15). Oltre a coleste due rivelazioni generali, che illuminano ogni uomo che viene in questo mondo, v’ ha altre due rivelazioni particolari, compiute da uomini straordinariamente dotti o santi. I dotti geniali sono i rivelatori di nuove scoperte negli ordini della storia, della scienza, della politica, dell’ arte, delle industrie, ecc. I santi geniali, devoti e innamorati di Dio e del suo Cristo, sono i gran rivelatori delle varie forme e varie riforme religiose, destinate a rendere, ogni dì più, gli uomini buoni, pii, giusti, santi e perfetti, appo Dio e appo i prossimi (Alti, XIV, 15 16; XVII, 22-26; I. Cor. II. io, 11).
Le rivelazioni varie accennate mostrano quale sia il posto e-minente che tocca alla Bibbia, rivelazione appunto di uomini santi dotati e guidati da spirito di Dio, intenti con virtù da eroi a fare
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santi gli altri uomini, e a creare nel loro cuore e nelle loro azioni una religione pura e immacolata (Giac.t I, 27). Tenuta l’ammirazione della Bibbia entro siffatti limiti, è giusto, è desiderabile, è largamente benefica. Trasandandoli, si porge occasione agli oppositori di vilipenderla e deriderla, a danno delle genti che non possono soddisfare i loro imperiosi bisogni con la sola scienza, a danno in ¡specie de’ giovani, che debbono assuefarsi d’ aver viva fede non solo alle rivelazioni de’ dotti geniali, per la loro gagliarda istruzione, ma ancora alle rivelazioni de’ santi geniali, contenute nella Bibbia, per la loro perfetta educazione, così come osservasi in altre nazioni più civili d’ Italia. I versetti d’ Isaia (XL, 30, 31), messi a capo della vostra lettera, mio caro P. acconciamente scelti da voi, riconfermano le ultime paróle delle pochissime osservazioni intorno alla Bibbia, da me scritte per ottemperare ad un vostro giusto e lodevole desiderio, comunicatomi con tanta cortesia nella vostra lettera.
Scusate la fretta, e tenete da indi in poi per
V. affino.
B. LABANCA
V insegnamento della Bibbia»
Padova, ecc...
Chiarissimo Signore,
Non posso che plaudire alla di Lei vocazione con tanto entusiasmo seguita, tanto più eh’ è mia profonda convinzione dipendere tutta la vitalità di un paese dal vigore del suo sentimento religioso.
Meglio che colle mìe~ parole crederei di esprimere i vantaggi che derivano dallo studio della Bibbia colle parole di G. Monod nell’ ultimo fascicolo della Renne Hislorique : La Bibbia letta con sentimento religioso e non con pedanteria di filologo insegna « a riflettere e ragionare prima di credere, a mettere l’autorità e la coscienza individuale sopra le autorità esteriori, a cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia e poi 1’ approvazione degli uomini, ad adorare Dio non in un particolare santuario, ma in ¡spirito e verità, a riassumere come il Vecchio Testamento e come Cristo, tutto il Cristianesimo nei due precetti : Tu
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amerai Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutto il tuo pensièro ed il prossimo come te stesso ». Insegna ad essere individualista critico e ragionatore; a considerare come primo dovere la fede, come secondo 1’ amore e la verità. Se tutto un popolo potesse con questo spirito leggere assiduamente la Bibbia e tali insegnamenti attingerne ed osservarne, quel popolo purificherebbe il proprio spirito e preparerebbe nel tempo stesso la sua grandezza.
Con tanti distinti saluti
Di Lei dev.mo
E. CATELLANI.
Il libro più umano e più divino,
Roma, ecc....
Genitissimo e caro Signore,
Ella mi invita a significarle che cosa penso della Bibbia.
Non posso appagarla; dico soltanto che bisogna leggerla: e che un uomo che non 1’ abbia lètta è quasi un infelice, perché si è privato di una delle maggiori consolazioni, e delle più larghe fonti d’ispirazione.
Dal libro delle Genesi, al libro dei Re, dal libro di Ruth al libro di Giobbe, dall’Ecclesiaste al Cantico de’ Cantici, dalle Profezie ai quattro Evangeli, l’umanità nelle sue relazioni con Dio s’è rivelata co' suoi accenti più vivi e più eloquenti. La Bibbia è forse il libro più umano e più divino che esista : manda mille voci, ed è oracolo infinito. Uno de’ motivi della grandezza poeticadella Divina Commedia può essere la frequente inspirazione biblica, e quel carattere di universalità che ha fatto della Bibbia il libro di tutti. Il Vangelo ne è la corona luminosa, il Paradiso, i Profeti, il libro di Giobbe, i Salmi, i Proverbi, il Cantico de’ Cantici ci fanno spirare un’aura di Purgatorio. Altre parti del Vecchio Testamento ci danno figura d’Inferno. La Bibbia è un mondo.
Non mi meraviglio dunque che Ella preferisca le Sacre Scritture ad ogni altro libro, e che voglia invitare i suoi compagni a studiarlo meglio, pur che non si nasconda nella sua singolare ed esclusiva predicazione un fine settario qualsiasi, nel quale non potrei in nessun modo consentire e seguirla.
Il suo dev. mo
ANGELO DEGUBERNATIS
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Che cosa deve essere la Bibbia per noi.
Làs Bibbia rappresenta per me il migliore mezzo di educazione morale e religiosa di cui disponiamo/Se come opera d’arte-pur facendoci penetrare nell’anima di un popolo che presenta carratte-ristiche tanto spiccate, pur contenendo bellezze incomparabili, non si può dire che abbia un valore assoluto, come mezzo atto a svegliare e a mantener vivo il senso del bene e del divino è addirittura insuperabile. Non è leggendo o sentendo leggere di tanto in tanto dei brani della Bibbia che se ne possono aspettare effetti utili, ma occorre rivolgervi metodicamente l’animo tutti i giorni senza però trasformare ciò che è per sua natura condimenti in pasto esclusivo. Bisogna avere quel libro sempre vicino a noi, oltre che meditarlo, farne parte essenziale della nostra vita.
Il Dio d’Israele cogli attributi che gli vengono dati nel Vecchio Testamento finisce per essere qualcosa di irrappresentabile, il che vuol dire che perde le qualità antropomorfiche che conservano gli dei degli altri popoli. Il divino non è purificato finché si rimane chiusi nel sensibile, nella forma umana. Perchè il nostro animo assuma un atteggiamento sinceramente e profondamente religioso occorre che arriviamo alla concezione di Dio come spirito, vale a dire cóme qualcosa che non si rivela se non nella e per l’attività del pensiero. La forma sensibile e aggiungo la coscienza individuale nelle sue percezioni immediate, non ci dà che gli effetti o i prodotti di ciò che è la vita e l’attività vera che non è un dato immediatamente apprensibile. Ora è solo la Bibbia che presentandoci l’azióne di Dio come qualcosa che non si rivela ai sensi, presentandoci Dio come posto al di fuori dello spazio e del tempo, come non comparabile a nessuna creatura, come un Essere di tutt’ altra specie delle divinità degli altri popoli, è solo la Bibbia che può abituare l’animo anche di colui che non può o non ha tempo di riflettere sulle cose, ad elevarsi allo spirito e ad assumere l’atteggiamento di adorazione verso ciò che oltrepassa il sensibile.
E chi non vede che l’efficacia educativa del Nuovo Testamen-è ancora superiore? Chi secondo il N. T. giunge a conoscere Dio? Chi dimentica sè stesso nell’amore del Prossimo. Dio non è solamente spirito trascendente, ma è spirito che vive dovunque si fa il bene. Il volere buono, ecco la più genuina espressione di Dio,
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Dio non è più dispensatore di godimenti materiali ma di felicità che s’identifica con la perfezione morale. Il cielo promesso da Cristo non offre il modo di far paghi i nostri desiderii di quaggiù, ma è la. vita in Dio: ciò che viene promesso per tanto è quasi direi, la capacità di veder meglio dove sta il bene. La felicità da tal punto di vista non è un compenso estraneo alla virtù, ma è la virtù stessa che giunge ad avere coscienza di sè stessa e quindi del suo inestimabile pregio.
Il sacrificio spesso ci riesce doloroso su questa terra : e perchè? Perchè noi non giungiamo a vedere le cose come realmente sono, lasciandoci turbare dal pensiero di noi stessi. Il sacrificio, la virtù potrà diventare piacevole (di qui la felicità paradisiaca) solo quando la luce della verità ci avrà illuminati. Dio così ci compensa del bene che facciamo, rendendoci capaci di apprezzare sempre meglio la virtù e quindi rendendoci sèmpre migliori.
E per colui che sa penetrare nel fondo della morale evangelica la domanda se sia Dio fondamento della morale, o viceversa la vita morale fondamento della credenza in Dio, non ha valore. La legge morale è la manifestazione di Dio alla coscienza umana: chi crede al bene crede per ciò stesso in Dio. Quando si dice che fondamento della vita morale è la credenza in Dio si vuol significare che attribuire valore al bene implica credere che lo spirito vale più del corpo, che vi è qualcosa di superiore e di più elevato della soddisfazione degli appetiti sensoriali, che infine la verità e il criterio della realtà non è nella sensazione quale fatto immediatamente provato della coscienza individuale. Credere in tutto questo è credere in Dio.
Lo studio della Bibbia adunque non può che fortificarci moralmente ed elevarci all’ adorazione dello spirito. Leggendo la Bibbia, impariamo che la vita e la salvezza è nell’azione buona, è nella fede che Dio è il Bene.
Chi si avvicina alla Bibbia coll’intento e la speranza di trovarvi dei modelli da imitare, degli esempi da proporre, o delle verità storiche, scientifiche da apprendere è vittima di un’inganno. L’efficacia dello studio della Bibbia, è di natura formativa e non informativa. Io mi son sempre meravigliato dei tentativi fatti per trovare un accordo tra i risultati della scienza e i ra'cconti biblici. La Bibbia, è bene persuadersene una volta per sempre, non è nè un libro di storia, nè un libro di scienza : è un libro in cui si tro-
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vano raccolte delle verità morali e religiose che hanno formato il sostrato della civiltà più progredita che conosciamo.
E siffatte verità morali e religiose vengono a trasfondersi nel nostro animo dalla lettura del libro non per via di dimostrazioni scientifiche e di prove logiche, ma perchè nói in esse abbiamo come a dire la rivelazione di noi stessi, con esse ci apparisce chiaro innanzi alla mente ciò di cui avevamo soltanto un presentimento confuso. Noi facciamo sangue nostro le verità morali e religiose della Bibbia, perchè vi troviamo quello che l’anima nostra per lo innanzi invano aveva cercato. E le dette verità non si stampano nel nostro cervello a guisa di formule morte, ma vengono come a ingenerarsi e a svilupparsi nella nostra mente in seguito all’azione efficace esercitata dallo studio continuato del libro santo. La lettura della Bibbia può riuscire veramente proficua solo alle anime che si sentono all’unisono con ehi proclamava la prima volta quelle verità.
Ciò che nella Bibbia vi ha di narrazione storica e di enunciazione apparentemente scientifica non rappresenta che il veicolo dei veri morali e religiosi: chi scambia l’una cosa per l’altra rischia di abbassare il valore della Bibbia, o almeno rischia di comprometterne l’equo apprezzamento. Insino a tanto che il tramite non è distinto da ciò che è trasmesso si seguiterà ad imbrattare inutilmente carta per dimostrare che le concezioni scientifiche moderne possono o no essere messe d’accordo con i racconti biblici. E’ questa una delle ragioni per cui lo studio della Bibbia in alcuni paesi non ha efficacia nè diffusione.
F. DESARLO
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Il concetto della vita
nel Nuovo Testamento.
HE il Nuovo Testamento non sia un testo di filosofìa, una fonte di teorie metafisiche, è stato sempre detto, nè oggi, meno che mai, si troverebbe chi volesse affermare il contrario. Anzi tra i critici che meritano questo nome è presentemente accettata alia unanimità anche la conclusione che esso non è nè pure opera di pura storia, quale almeno la storia è oggi intesa, relazione spassionata e og
gettiva di fatti. In realtà, pure le parti così dette storiche del Nuovo Testamento, Vangeli cioè e Atti degli Apostoli, risentono nella loro compilazione degli intenti speciali di proselitismo e di edificazione cui i loro autori badarono nella evocazione delle gesta di Gesù e dei suoi primi seguaci. Ma poiché, come ha detto un filosofo contemporaneo, la vita vissuta è della metafisica in atto, il racconto di ogni forte esperienza religiosa, ogni espressione di elevate realtà spirituali, ogni celebrazione di eletti valori morali, personificati in una spiccata individualità o in una esaltata comunità di fratelli, racchiuderà necessariamente in germe tutta una squisita filosofia della vita. Per questo può applicarsi genericamente a tutto il Nuovo Testamento quel che il Gardner ha detto recentemente, in un suo saggio, di San Paolo : « Sembra annunciare ad ogni epoca le verità di cui più abbisogna, sopravvivendo, permanente, attraverso i più vari cambiamenti dell’ atmosfera intellettuale (i) ». Ciò sarà specialmente vero se noi andremo a rintracciare nel Nuòvo Testamento non già 1’ embrione di teorie filosofiche astruse ed aprioristiche, scisse dagli ammaestramenti umili ma sicuri e luminosi dell’ esperienza quotidiana, bensì di teorie filosofiche rispecchianti coscienziosamente 1’ osservazione del senso comune e il risultato dell’ induzione. Così, per quanto riguarda 1’ argomento specifico di queste brevi note, non sarà agevole trovare nel Nuovo Tetsamento un suggerimento o una riprova della definizione spinoziana della vita : « vis, per quam res in suo esse perse-verant : » (2) nè dell’ altra definizione del Rothe, per cui la vita è il punto di
(i) The religious experience of saint Paul. London, Williams and Norgate. 1911: p. 228.
(2) Cogitat. metaph., II. 6. § 3.
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inserzione dell’essere eoi divenire (i). Il volume ehe recava la buona novella agli umili di cuore e ai poveri di spirito, non poteva davvero permettersi il lusso di dissertare in antecedenza, per esempio, sulle categorie hegeliane ! Ma ben diversi e ben più significativi saranno i risultati della nostra analisi se cercheremo nel Nuovo Testamento 1’ applicazione pratica e spontanea, certamente inconsapevole di tale sua rispondenza, di quel concetto empirico della vita che, formulato già da Aristotele, trovò in Tommaso d’Aquino il suo più insigne teorico : « Primo dicimus animai vivere, quando incipit ex se motum habere. Illa proprie sunt viventia, quae se ipsa, secundum aliquam speciem mo-tus, movent. Vivere aliqua dicuntur secundum quod operantur ex se ipsis, et non quasi ab aliis mota : quanto perfectius cOnipetit hoc alicui, tanto perfectius in eo invenitur vita » (2). Vediamolo, segnalando successivamente i riscontri che simile identità filosoficamente formulata tra vita e semovenza, simile nozione dinamica del vivere, trova negli accenni neotestamentari così ai fenomeni della vita naturale come a quelli della vita soprannaturale e divina.
Non saranno fuori di luogo alcune osservazioni linguistiche preliminari.
Per esprimere la nozione della vita il Nuovo Testamento adopera altri termini, oltre t/oq : e cioè, pio;, yévetFtg tpu/»). Ma una pur superficiale analisi dei passi dove questi vocaboli ricorrono mostra a sufficienza come non si tratti di termini strettamente sinonimi, come del resto non sono dati per sinonimi da grammatici, quali Ammonio (De differentia vocabidorum) ed Eranio Filone (De differentia significaiionis). Ponendo tali passi (cf. I Pet. IV, 2 ; Le. Vili, 14 ; I Tim. II, 2 ; II Tim. II, 4) a raffronto tra loro, si scorge agevolmente come sta agli altri termini come il genere alle specie singole e come, mentre ùoi] esprime la vita nel suo valore più universale di forza animante tutti gli esseri che ne partecipano, gli altri vocaboli esprimono qualche manifestazione sua peculiare in speciali gruppi di viventi (0iog èuri. XoyM aveva appunto già detto Aristotile) o suoi caratteri e momenti singolari. Simile specificazione di significati, mentre risponde alla tradizione filosofica greca, corrisponde del pari compiutamente all’ uso idiomatico popolare nell’ età neotestamentaria, a quel greco usato familiarmente che ha recentemente rivelato, attra(1) Theol Ethik, I. p. 55: « das Leben ist die absolute Einheit des Seins und des Werdens ».
(2) Sum. Theol., P. I. 9. XVIII, arlt. 1 e 3.
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verso i papiri e le epigrafi, così eloquenti riscontri con le così dette caratteristiche del greco biblico. Un esempio basterà a dimostrarlo. La famosa iscrizione 105 di Priene (1), contenente i documenti relativi all’ introduzione di un nuovo calendario augustale nell’Asia verso il 9 av. Cr., così preziosa per i confronti che suggerisce fra il primitivo linguaggio cristiano e il linguaggio del culto imperiale, dice fra l’altro che ciascuno può a ragione considerare il giorno della nascita di Augusto come il principio della sua vita, anzi della stessa sua esistenza : 81’ o àv rtg 8ixaie>g ùitoÀttfoi rovro cròton dpxnv tofc piov xal njg ^O)Tjg.
L’ aver posto vicino i due vocaboli significa chiaramente che il decreto annette a ciascuno di essi una speciale sfumatura di significato, che a me pare, a preferenza di altre traduzioni date (2), doversi riprodurre in italiano assegnando al primo un significato specifico di vita razionale, al secondo un significato più ampio di esistenza.
Data questa indicazione preliminare, entriamo nell’ analisi che propriamente ci siamo proposti. Per i fini particolari della nostra ricerca, è inutile tener conto dell’'ordine cronologico di redazione dei vari libri del Nuovo Testamento o delle differenze di coltura e di ambiente dei vari redattori. Questi rivelano tutti infatti, concordemente, un senso eminente della sostanziale caratteristica della vita, che risiede nella energia libera, spontanea, promanante dall’ intimo essere del vivente, necessariamente in esercizio, in tante molteplici forme quante appunto sono le espressioni concrete della vita. Come diversa l’ attività, e quindi la vita, di chi obbedisce alle libidini della carne (Ef. Il, 3); di chi reca vegeta in sè la potenza del peccato (Rem. VII, 9); o lascia che essa concepisca e generi la colpa (Giac. I, 15); di fronte all’attività e quindi alla vita di chi opera nello spirito di Dio (Rom. Vili, 14); porta vivente in sè il Cristo (Gal. Il, io), la speranza cristiana (I Pet. I, 3), il verbo di Dio (jbid. 23).
Sicché la vita stessa va specificata nella sua durata, perenne o temporanea, nella sua intensità, maggiore o minore, dalle facoltà di cui è fornita e che svolge nella realtà. C’ è così la vita che perdura in sempiterno, atóviog (Mt. XIX, 16, 19; Giov. V, 39), pévovaa (I Giov. Ili, 15), àcpOapro; (I Pet. I. 4) e la vita
(1) È il numero di serie nella raccolta berlinese dell’ Killer von Gaertringen.
(2) V. l’ottimo commento del testo in J. ROUFFIAC, Recherches sur les caractères du grec dans le Nouveau Testament d’après les inscriptions de Priène. Parigi, Leroux, >9”» P- 67 e segg. Ivi è anche indicata la copiosa letteratura sull’-argomento.
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transitoria scaturita da seme corruttibile (I Pet. I, 23), simile all’ erba del prato e al suo fragile fiore (I Pet. I, 24).
La vita vera pero è incessante e imperitura, poggiata sull’ esemplare della vita di Dio, 'C(oi) zar’ è£o/qv. Per questo la vita conferita da Dio mediante il suo Cristo è acqua che si trasforma in polla costante e inesauribile (Giov. IV, 14) e si riversa al di fuori inondando F ambiente circostante. Poiché, per legge generale, non si dà vita sprovvista di svépYeia pronta ad effondersi all’esterno. Il Verbo di Dio, vivente, è anche operante : £<6v ó Xóyog tov Oeov zal èvspy^ (Ebr. IV, 12). La fede viva opera nella carità (Gal. V, 6). Il Dio vivente opera tutto in tutti (I Cor. XII, 6), costantemente (Giov. V, 17). Nella uniformità alla propria fonte, la vita è generatrice di vita : ‘Ccoq è sempre ^(ooyóvog. Sicché quel che è nato dalla vita carnale è carne, quel che è nato dalla vita spirituale è spirito (Giov. Ili, 6).
Cosi si dilata la cerchia della vita, tendendo il generato a ricongiungersi col generante, in una infrangibile solidarietà che si prolunga e coinvolge tutti i viventi, distribuiti nelle categorie contrassegnate dalle affinità di gruppo. Cristo parla di un misterioso regno popolato dalla progenie di Satana (Mt. XII, 26) e Paolo accenna al nuovo genere umano, figliolanza spirituale del Cristo vivificante (I Cor. XV, 45).
Sono così spianate nella circolazione della vita le barriere tra il mondo umano e il mondo divino, tra il mondo naturale e il mondo soprannaturale, trovandosi in Dio eminentemente le realtà che la natura riveste per partecipazione. In maniera pregna di significato, il Nuovo Testamento chiama ripetute volte Dio, il vivente (Mt. XVI, 16; Atti, XIV, 15 ; I Tess. I, 9 ; I Tim. VI, 17 ecc.), il Vívenle, senz’ altro (Ap. X, 6), la stessa vita eterna (I Giov. V, 20). Anzi la vita contraddistingue il Dio vero dagli idoli bugiardi (I Tess. I, 9) : quella vita di cui noi tutti viviamo (Atti, XVII, 28).
Per questa intima solidarietà che lega i viventi nel mondo visibile e invisibile, anche la natura (xrtoig perchè creata, zoopo? perchè fornita di ordine), è descritta come sede di realtà vive (I Tini. VI, 7 ; Giov. VI, 14 ; XVI, 28), immagine della vita (le stelle e il loro vario splendore, simbolo della luminosità dei risorti, I Cor. XV, 40-41), poema di speranza e di desiderio dell’integrale riscatto dalla corruzione, partecipe dell’ aspettativa generale per la manifestazione dei figli di Dio (Rom. Vili, 19 e segg.).
Fuori di simbolo, la natura presenta una dùplice forma di vita. La vita vegetativa e sensibile nelle piante e negli animali, innanzi tutto. « Il seme gettato nel solco non rivivrà geoosto istallai), se non morrà » (I Cor. XV, 36). E secondo 1’ Apocalissi, la fiala vuotata dall’ angelo sul mare vi uccide tutti i viventi (jtfiua ipu/i] áaedaasv, Apoc. XVI, 3). Ma tra le vite create la più
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IL CONCETTO DELLA VITA NEL NUOVO TESTAMENTO 3>
piena quaggiù è la vita umana, ricca di consapevolezza e di libertà, che muove autonoma verso il raggiungimento dei suoi fini. Questa la vita (£<oq) dell’ uomo che si esplica sulla terra (feti tifc 'fife Atti, Vili. 33; XII, 12); di cui è centro il cuore, sede la carne (i| xapSia, i] Fil. I» 22 ; Gal. Il, 20) ; il cui ciclo temporale è questo secolo (ó atòv ovto;, cf. Gal. Il, 20); il cui esito è la morte (^¿ovreg xai vexpoi, Rom. XIV, 9) ; questa la vita ricordata per rimprovero al ricco Epulone da Abramo (Le. XVI, 25); indicata come « questa » vita in contrapposizione alla futura (I Cor. XV, 19), e descritta come fragile e caduca (cf. Giac. IV, 14) che può essere amata (I Pet. Ili, io) odiata (Le. XIV, 26) conservata o perduta (Me. III. 4), posta a terribile repentaglio ogni giorno (xaO’ ijpspav ànoOvqcrxa)).
Ma la rivelazione cristiana ha insegnato che la vita effimera del mondo è un nulla di fronte alla pienezza della vita religiosa nella partecipazione all’essere divino e nella santa speranza cristiana. Gli uomini perciò remoti dalla vita di Dio (Ef. IV, 18). allontanatisi dal Dio vivente (Ebr. Ili, 12), inetti al saggio ordinamento della vita e destituiti dello Spirito divino (Giud. 19), corrono fatalmente alla morte, che si inizia quando le capacità del peccato Si scatenano in loro. Vivere nella caritè e nella colpa è un morire (Rom. Vili, 13 e s. ; Col. Il, 13 ; Ef. II, 51). Mentre chi vive nello spirito di Dio trova nella morte l’ingresso alla vita piena e imperitura, fuori di ogni costrizione di tempo e di spazio (Rom. VI, 2, 4, 11; Col. Il, 20 ; III, 3). Intermediario della vita eterna, il Cristo : egli stesso vita e datore di vita con la parola e con 1’ esempio (Giov. V, 68 ; XIV, 6). Il Cristo anzi è detto non già scvevpa £<ov, bensì jtvsvua ';®O5toiovv : non già spirilo vivente, bensì spirito vivificante. Tutto il capo VI di san Giovanni è un sublime panegirico della virtù che ravviva che c conferita da Cristo. Chi vi attinge, è trasumanato, si sente irrorato da una nuova indefinita letizia (Gal. II, 20; Fil. I, 21 ; I Cor. V, 14; Giov. XV, 11 ; XVI, 24), raggiunge e assapora la vera pace (Giov. XIV, 27), sfida, fiducioso nella glorificazione, le sofferenze (Rom. Vili, 17; I Pet. IV, 13), divenuto membro di un corpo simbolico (I Cor. VI, 13). La Stessa carne è così trasfigurata in una carne sottile, spiritualizzata (jtvgvparizòv <ia>pa I Cor. V, 44).
Questa la nuova vita in cui cammina il cristiano (Rom. V, 14).
É
La rassegna che noi abbiamo istituito di alcuni tra gli innumerevoli passi neotestamentari che intessono ed esaltano il poema della vita nell’ universo, è ben povera e fredda cosa, di fronte alla ricchezza, alla penetrazione, alla nobiltà
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della concezione della vita circolante nel Nuovo Testamento. Sembra che gli scrittori di questo, prescindendo dalle particolari vedute intorno alla persona e all’ opera del Messia, partecipino nella stessa misura allo stesso senso vivacissimo dei valori della vita e della nobilitazione che questi valori hanno ricevuto nel fatto nuovo della rivelazione del Cristo.
GIACOMO NATALI.
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LA DOTTRINA DE L'ESPIAZIONE
n questo studio su la dottrina basilare del Cristianesimo, che fo senza pretesa alcuna, anzi con un profondo sentimento di umiltà e di rispetto per l’augusto argomento, cercherò di essere in continuo contatto con la coscienza umana, che sente tutto il peso del suo male morale, e col Divino Maestro che solo può consolare e redimere. Qualche volta mi sono arrischiato sul mare de le speculazioni,
come diceva il D.r Lyman Beecher, mai però senza prima essermi ormeggiato con sicurezza al porto delle Divine Scritture. E se mi son trovato in aito mare in balìa de le onde in tempesta, l’ormeggio mi è stato sempre provvidenziale e ho ritrovato facilmente la riva. Posso non essere d’accordo con alcuni amici su i dettagli, su ie sfumature, ciò non deve preoccuparci ; l’essenziale per la scienza e per la pietà a me sembra che sia l’azione vivente de l’espiazione, i suoi effetti e la sua storia ne 1’ animo umano. Che importano le differenze su la determinazione del processo de la salvezza, su la spiegazione filosofica del fatto, se si è di accor dosul fatto stesso? Atteniamoci al fatto che ci unisce, non a i commenti che ci dividono. E nocivo a noi e a l’opera nostra dar corpo a le ombre. Che un uomo veda per propria esperienza la figura di Gesù, che contempli l’amore di quest’essere che ha dato se stesso per l'umanità, che questo amore straordinario, benefico, vittorioso s’impadronisca di lui, lo faccia vergognare del suo peccato, lo spinga a darsi a sua volta, cambi il suo cuore e la sua vita, ecco, secondo me, 1’ essenziale su cui 1’ accordo dovrebbe essere completo ed assoluto.
Ne la coscienza sacrificio espiatorio.
umana il sentimento
del
peccato è strettamente legato al
Sentimento del peccato
L’ uomo, anche in uno stato morale molto basso, ha sempre sentito e sente fortemente il peso del proprio peccato. Le letterature più antiche sono piene di salmi penitenziali e di tragedie intime, che sono come le angosce de 1’ animo umano schiacciato sotto il peso del male morale.
Sarebbe troppo, e andrebbe di là da i confini di un articolo di rivista, se
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volessi minutamente esaminare il patrimonio letterario di tutti i popoli. Mi limiterò ad alcuni sufficienti accenni spigolati nel campo de le lettere che più e meglio hanno contribuito a la formazione del carattere.
il popolo assiro, accanto a le iscrizioni che ricordano le guerre e celebrano Assur, il protettore, ha parecchi di questi salmi di penitenza, che sono veri gioielli.
Eccone uno :
Signore, la violenta collera del Ino cuore, che si plachi !
L'Iddio che non conosco, che si plachi!
IP Iddio che conosce Pignolo, che Si plachi!
La Dea madre che conosce P ignoto, che si plachi !
Io mangio cibi di collera,
Io bevo acque di angoscia.
Signore, i miei falli soìio grandissimi, Grandissimi i miei peccati !
Dio che conosci il nemico, grandissimi sono i miei falli !
Io giido e nessuno mi ascolta.
Io sono affranto e languente c nessuno mi libera.
Fino a quando, o mio Dio?
Fino a quandi!, a Dea madre ?
Fino a quando, 0 Dio che conosci l'ignoto ? (l).
In questi accenti ci è rivelato un lato de l’anima assira, che sarebbe rimasto sconosciuto, se ci fossero pervenuti soltanto i ricòrdi de 1’ ardore brutale e guerriero. Il carattere assiro ha dunque sentito 1’ azione de la coscienza ; ha avuto l’idea non solo de la collera divina, ma de la colpevolezza umana. Le intenzioni morali, nate dal bisogno di perdono non mancano. Certo non è ancora chiara la nozione de 1’ espiazione, cioè la nozione di una riparazione che si opera per mezzo de la sofferenza e rendè omaggio a là giustizia divina, vi sono però gli elementi donde uscirà : la coscienza del proprio peccato e il bisogno di una riconciliazione.
(i) E. De Pressensé. L’Ancien Monde et te Christianisme.
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La dóttíuna de i? espiazione
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L' Egitto è vissuto ne! pensiero de la sopravvivenza e de la rimunerazione de lo spirito. Il suo più importante documento, il Libro dei morti, definitivamente redatto verso il secolo Vili avanti l’era volgare, ha alcune parti rimontanti a l’origine de là civiltà egiziana. Sappiamo che accanto a le mummie, nel sepolcro, si metteva una copia di questo rituale insieme con altri papiri. Dal rituale apprendiamo che i morti debbono difendere la loro causa davanti ad un tribunale supremo. Un papiro mortuario, che si conserva a Berlino, ci dà, in un disegno, un’ idea abbastanza chiara di questa comparizione descritta nel Libro dei morti. Osiris, l’iddio supremo, è sul trono in fondo a la sala, in alto, a le sue spalle, sono i suoi due ministri, in basso, davanti a la divinità, v’ è un’ immensa bilancia su cui è pesato il cuore del morto. Entrando ne la sala, il defunto è ricevuto da la dea de la verità. Orus e Anubi prendono il cuore del morto e lo pongono su un piatto de la bilancia : si vuol sapere se il cuore è più leggiero de la verità. Thot, lo scrivano de gli dei, nota su di una tavoletta il risultato del peso e lo comunica a Osiris. In questa comparizione il morto, secondo il rituale, deve poter dire : « Io non ho affamalo alcuno, non ho fatto piangere, non ho ucciso.... Io sono puro, puro, puro ». L’idea morale, l’idea del dovere penetra tutta questa religione. Il sentimento del peccato non è molto accentuato, di tanto in tanto però vi troviamo belle invocazioni chiedenti con insistenza là purificazione del peccato.
« Allontanate da me ogni sozzura, riscattatemi da ogni iniquità, affinchè non conservi alcun peccato ».
Sembra che chi parla così abbia la coscienza di una macchia inveterata, di una colpa originale. Egli dice ancora :
« I peccati che io guardo son quelli che io ho commessi.fin da la mia nascita ».
Alcuni inni de l’epoca de la grande potenza egiziana, che comincia circa sedici secoli avanti l’era nostra, non sono meno espressivi. Uno di questi canti innalza a Dio questa preghiera :
« Non punirmi a causa de i miei numerosi peccali ».
Uno studioso tedesco che si è occupato de 1’ Egitto, Adolfo Erman, scrive al riguardo : « Anche 1’ egiziano del tempo antico non si illudeva intorno a lo Stato peccaminoso de gli uomini; ma, quantunque non ne facesse confessione a i suoi dei, non mancava di assicurarli de la sua perfezione » (2).
(2) A. Erman, La religione egiziana. Berlino.
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L'antica religione vedica è pièna di inni che esprimono con forza il sentii mento del peccato.
« Siaci benigno, dice ad Agni il suo adoratore, benigno come un padre verso il suo figliuolo ».
« O Dei, dice un altro inno, io mi confesso colpevole al vostro cospetto e voi mi avete punito come un padre punisce i suoi figliuoli ».
In queste richieste sono chiare le seguenti nozioni : la necessità di una retribuzione, l'offesa a la divinità che merita il castigo, il bisogno del perdono. Sotto questi vaghi contorni si delinea l’idea de 1’ espiazione.
Nel periodo più bello de la letteratura vedica, Varuna, l’antico Dio solare, assume un carattere morale, si eleva fino a la santità. Ne gl’inni a questo Dio il sentimento del peccato assume proporzioni meravigliose : sono gemiti e singhiozzi invocanti il perdono.
« Io ho commessi tutti i peccati per i quali mi castigate, come un padre castiga il suo figliuolo giuocatore ». w
« Allontana da me il mio peccato, liberami dal male, come si libera il vitello da la corda ». ..v
« Come posso io giungere fino a Varuna? Accetterà la mia offerta con piacere? Quando il mio spirilo si sarà calmato, vedrò la sua collera placata? ».
« Io mi volto da ogni lato, o Varuna, desidero di conoscere il mio peccalo. Interrogo i saggi. I saggi mi dicono tàlli là stessa cosa : Varuna è irritato contro le. Per un peccalo passato, Varuna, vuoi tu distruggere il tuo amico che celebra sempre le tue lodi? . e
« Dimmelo, o Signore invincibile, ed io tornerò subito a te con inni di lode, liberato dal peccato.
« Assolvimi da i peccati de i miei padri e da quelli che io stesso ho commessi! Affinchè liberato da ogni peccato io dia lode a Dio, come uno schiavo a un padrone generoso».
Ne 1’ antichità greca, Omero ed Esiodo sospirano verso un’ ideale di santità e di giustizia. Omero parla del re de gli dei come di un essere amorevole, il cuore del quale è aperto a la pietà. Le preghiere arrivano fino al suo trono e portano i pianti de i derelitti (i). Esiodo parla di un’ età de 1’ oro distrutta da i peccati de gli uomini. Il poeta vive in un’età di tormenti e di miserie, man(i) Omero, Odissea.
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dati da gli dei per castigare 1’ umanità (i). La nozione di una giustizia retributrice è chiara in questi antichissimi documenti de la letteratura greca. Ne lo stesso Esiodo il mito di Prometeo, che cerca ingannare gli dei ed è punito in modo così crudele, prova che il peccato era detestato e condannato. Accanto a la figura di Prometeo un’ altra è degna di nota, allegorica da principio, divenuta più tardi divinità, quella di Nemesi. Uno Studioso, il Bunsen, in questa personificazione vede il centro di tutte le idee de la Grecia durante questo periodo (2). Nemesi, o vendetta divina, è in fondo l’idea de la punizione del male commesso, de la giustizia che punisce i trasgressori de la legge morale. Nemesi è Stata anche chiamata la Musa de la Giustizia, e il Bunsen pensa che, senza la fede in questa potenza morale, la Grecia non avrebbe forse mai avuto nè 1’ epopea, nè il dramma. Infatti, il periodo classico de le lettere greche registra i nomi immortali di Eschilo, Sofocle, Euripide, le opere dei quali sono tutte compenetrate da un profondo sentimento del peccato.
Ne l’Agamennone ('Ayapépvov), prima tragedia de la trilogia intitolata Orestiade (’Opécnreia), Eschilo fa gridare al coro :
« L'assassinio è punito con ¿'assassinio, il sangue col sangue; il sangue sparso non si fredda mai » .
Ne le Coefore (Xoi)<pópoi), seconda de la trilogia, il coro pronunzia la seguente invocazione :
« O grandi Parche, faccia Giove che la legge d'equità trionfi ! Che r oltraggio sia punito con l'oltraggio ».
Ne la terza finalmente, le Eumenidi (EùpsviSec:), Oreste perseguitato orribilmente da le furie, trova scampo nel tempio de la Dea Minerva, che lo assolve dal delitto e lo libera de le persecuzioni.
In tal modo il poeta ci mette dinanzi una serie di terribili e tragici avvenimenti, che termina con l’espiazione religiosa e divina, la quale riconduce la calma ne 1’ animo e la tranquillità ne la coscienza.
In Sofocle il grido del cuore è ancora pili straziante. Ne le sue tre tragedie. Edipo re (OiSíaovc riioavvoc), Antigone (’Avtiyóvq), Edipo a Colono (OiSwtovg Koàwvg»), trattanti argomenti attinti a un medesimo ciclo di tradizioni e che si direbbero costituire una trilogia, ove non si sapesse che furono composte in tempi diversi e senza reciprogo legame, narra la storia luttuosa e tragicamente fatale di Edipo re di Tebe, il quale uccide, senza saperlo, suo padre Lai© e sposa la propria madre. Ma conosciuto 1’ orribile delitto si punisce terribilmente da se accecandosi e gridando :
(1) Esiodo. Le opere e i giorni.
(2) Bunsen, Dio ne la storia.
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« Ahimè ! Ahimè ! Ahimè ! La verità mi si è rivelata. O luce del giorno, io li vedo per l'ultima volta! ». Indi scompare miracolosamente nel bosco di Colono, sacro a le Eumenidi, a le quali veniva a chiedere pace e sollievo a le sue sventure.
Sono questi argomenti commoventissimi', trattati con maestria straordinaria e con un’analisi, psicologica fine e delicata.
Prèsso il popolo d’Israele, per la natura stessa de la religione giudàica, il sentimento del peccato raggiunge espressioni e accenti che commuovono. Il passaggio dal paganesimo al giudaismo ci dà la stessa sensanzione del viaggiatore che lascia là nebbia de la pianura e sale su i monti. Non respira ancora 1’ aria pura de le vette, ma sente di essere più vicino al cielo, dove il sole inonda di luce le vergini cime.
Da la prima confessione, balbettata fra il rossore e la vergogna da Adamo (1), fino al grido incitante al pentimento che esce da la bocca di Giovanni Battista (2) è un coro .di pianti, di lamentazioni, di singhiozzi. Chi non ha stampato nel cuore le commoventi parole de i Salmi penitenziali (3), specialmente quelle del Salmo LI ?
« Abbi pietà di me, 0 Dio, secondo la tua benignità ; secondo la moltitudine « de le tue compassioni, cancella i miei misfatti.
« Lavami mollo e molto de la mia iniquità e nettami del mio peccate.
« Perciocché io conosco i miei misfatti e il mio peccato è del continuo davanti a me ».
Chi potrà cancellare da la nostra mente la scena grandiosa del cap. VI. di Isaia, dove il profeta, contemplando la gloria di Geova nel suo Tempio e vedendo i Serafini coprirsi la faccia dinanzi a là maestà divina e gridare : < Santo, Santo, Santo è il Signore », esclama :
« Ahi ’ lasso me! pei che io son deserto; io sono un uomo immondo di lab-« bra c abito in mezzo di un popolo immóndo di labbra »?
I Profeti furono per il popolo ebreo come gli occhi de la coscienza morale. E con quale energia mettono in evidenza i peccati! Il loro ufficio tende a lo
(1) Genesi, c. Ili, io.
(2) Matteo, c. HI, 2; Marco. I. 4; Luca. Ili, 7; Giov. I. 23.
(3) 1 salmi stréttamente penitenziali (psalniipoenitentiae) sono : VI, XXXII, XXXVIII, LI, GII, CXXX, CXLIII.
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stesso scopo de la legge, a un pentimento sincero e positivo. Essi implorano costantemente la misericordia divina su Israele (i). Che cosa di più bello de le intercessioni riportate in Esdra, in Neemia, in Daniele? (2) E ne le loro preghiere, più di un semplice atto d’intercessione, vi è un atto cosciente di solidarietà. Pregando, essi confessano i peccati di tutto il popolò.
Quando la coscienza si troverà ne la luce meridiana, allora avremo il grido classi -o, che comprenderà tutti i precedenti e che esprimerà tutto il sentimento di ripugnanza per la corruzione umana.
« Oh misero che io mi sono ! chi mi libererà da questo corpo di. morte ? » (3)
È errore credere che la religione sia un semplice bisogno di adorazione. Questo esiste profondo e vivo. L’ anima sente ancora di aver cercato il suo Dio e di non averlo trovato. Gli splendori del mondo visibile hanno parlato di lui, ma essa non 1’ ha mai incontrato. L’ angoscia de l’isolamento la tormenta. La memoria de i falli si sveglia. Il sospiro del perdono nasce e si accentua. Il sacrifizio interviene come un mezzo di riscatto offerto a la giustizia offesa.
Sacrificio espiatorio
Ho detto che il sentimento del peccato è in noi strettamente legato al sacrificio che libera espiando. Infatti, rifacendo il cammino fatto, potremmo vedere accanto al dolore per il peccato, tentativi continuati per placare la giustizia offesa. E 1’ accordo meraviglioso notato sul primo sentimento, lo noteremo anche sul secondo (4).
Presso quasi tutti i popoli 1’ offerta del sacrificio rappresenta il dono di sè stesso. Così l’ offerta per il peccato sostituirà il peccatore. Ogni simbolo è una rappresentazione risultante da una affinità tra il segno e 1’ oggetto rappresentato. La sintesi de i sacrifici con spargimento di sangue è : vita per vita.
A. Sabatier, ne la suà opera postuma — La Dottrine de l'Expiation et son Évolution historique (5) — non ammette una penalità ne i sacrifizi de l’An(?) Ezechiele, XIII, 5 ; XX, 1; XLVI, 11, 14.
(2) Esdra, IX, 6-15; Neemia. IX, 6-37; Daniele IX, 5-19.
(3) Epistola di Paolo a i Romani, VII, 24.
(4) A. Reville, Histoire des Religions. Les religions du Mexique, del‘ Amérique centrale et du Pérou. — Maspero, Histoire ancienne des peuples de l'Orient, 1. III. — A.-O. SiBi-RiAKOEF, Les lamas et les couvents bouddhiques, Bibliotèque universelle, n. 142. — Maury, Histoire des religions de la. Grèce, c. VII, XII. — J. Girard, Le sentiment religieux de la Grèce, d’Homère à Eschyle, p. 162. — Tacito, De moribus Germaniae, c. IX, X.
(5) A. Sabatiêr, La Doctrine de P Expiation et son Évolution historique.
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tic© Testamento. Egli ricorda che quando due individui volevano allearsi, presso alcuni popoli de l’antichità, mescolavano il loro sangue. Ognuno si faceva un’ incisione e si succhiavano scambievolmente il sangue. Così diventavano consanguinei. Di qui F idea che il sangue suggelli i patti, e stabilisca una specie di parentela tra 1’ uomo e Dio. Tutto ciò è vero ; ma non è men vero che l’idea di solidarietà, di penalità, di espiazione trovasi ne i sacrifizi del popolo ebreo, specialmente ne 1’ agnello pasquale (i). Tutte queste vittime, per noi è chiaro, sono imperfette immagini de la grande vittima, che doveva purificare e riconciliare 1’ umanità. A poco a poco il simbolo scompare per dar posto a la realtà, sospirata da i profeti, salutata da i Cristiani. Si insiste, e con ragione sul cap. LUI di Isaia, chiamato giustamente Passio Secundum Isaiani, dove nel Servitore di lahvè, sofferente e morente per il suo popolo, è impossibile non vedere Gesù che soffre e muore per i peccati dell’ umanità. Questa vittima propiziatoria ci è preparata da Dio stesso, il quale dà per amore il suo Unigenito. In questo senso Cristo per noi è la suprema manifestazione de F amore e de la giustizia del Padre. E Dio, nel suo Figliuolo, ci mostra che la sua vita è a noi accessibile.
In Cristo F Altissimo discende fino a noi non per schiacciarci, ma per avvicinarci a Lui per mezzo de lo stesso Cristo. Incatenati come siamo dal peccato, come possiamo rispondere a 1’ appello de la misericordia divina ? L’ Evangelo ci dice che quello che non possiamo fare con le nostre forze. Cristo F ha fatto perchè ne acquistassimo la capacità. Se dà una parte Egli è il Rivelatore in cui Dio si manifesta a gli uomini, è anche, in virtù di questa vita che ha volontariamente realizzata, il Salvatore che riconduce F umanità peccatrice al suo Dio (2).
L’ opera liberatrice del Cristo è ne le Scritture indicata con immagini diverse, de le quali colpisce di più quella indicata da la parola riscatto (3). Secondo il senso ordinario del termine, riscatto è il prezzo pagato per la liberazione di imo schiavo. Cristo ci ha liberati da la schiavitù morale e spirituale. Nessuna meraviglia dunque se Cristo crocifisso e risuscitato è il centro, più ancora, la sorgente unica e il principio dominante de la teologia del N. T., (4) e la prima
(1) Smknd, Altcstanienlliche Religionsgeschichte, 2. ed. 1S99, p. 326-332. — Holtz-mann, Ai 7*. Théologie, I, p. 68.
(2) P. Lobstein. La Christologie traditionnelle et la foi protestante, in Revue de theol. cl de phil., 1894, p. 141-145.
(3) Aoùvat ti)v ipvzùv avtov Zvtoov dvti aoZtôv, Matteo XX, 28.
(4) Harnack, Dogtncngeschichfe. I, p. 89.
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predicazione essenzialmente costituita da la^/ww de la Croce del figlio di Dio (i). La Scrittura Sacra c’ ingegna che, giunta la pienezza de i tempi, il Padre fa conoscere al inondo il piano, concepito da la sua libera volontà, di restaurare tutto in Cristo (Efesini I, 9, io). « Tulio vien da Dio che ci ha riconciliati seco mediante Gesù Cristo ed ha affidato a noi il ministerio de la riconciliazione. Poiché Dio riconciliava con se il mondo in Cristo, non imputando a gli uomini i loro falli * (Il Corinzi V, 18, 19. Cf. Efesini II, 4-8). Ma l’ atto vero de la riconciliazione è la morte di Gesù su la croce: « Mentre eravamo nemici siamo siali riconciliali con Dio mediante la marie del suo figliuolo » (Romani, V, io). Paolo ricorda a gli Efesini la loro triste condizione mentre erano nel paganesimo. « Voi, dice, eravate allora senza Cristo, alieni da la repubblica d'Israele, estranei a le alleanze de la promessa, non avendo nè speranza, nè Dio nel mondo. Ora invece, per V unione vostra con Cristo Gesù, voi, che già eravate lontani, vi siete avvicinati per mezzo del sangue di Cristo. Poiché è lui che è la nostra pace ; lui, elle ha riunito i due, ha abbattuto il muro di separazione, la loro inimicizia, annientando per mezzo de la sua morte la legge con i suoi comandamenti, con i suoi precetti, affiti di formare in sè-stesso, de i due, un sol uomo nuovo, stabilendo la pace ; e affin di riconciliarli ambedue, riuniti in un corpo solo, con Dio mediante la croce, sulla quale, ne la sua persona, fé* morire la loro inimicizia » (xaì djtoxata?àa^].... reo Os<o Sia rov oravQoC, àrcoxreivag t»)v e/Opav èv avup, Efesini II, 11-16). Ne lo stesso senso Paolo scrive ai Colossesi : « Poiché in lui si compiacque Dio di far abitare tutta la pienezza de la divinità, e di riconciliare con sè tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue de la croce di esso ; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono in terra quanto quelle che sono ne i cieli. E voi, che un tempo eravate allontanati da Dio e suoi nemici nel pensiero e ne le opere malvage, ora, Dio vi ha riconciliati nej corpo de la carne di lui, per mezzo de la morte di esso, per farvi comparire dinanzi a sè santi, e immacolati, e irreprensibili se pur dimorate né la fede fondali e saldi » (Colossesi I, 19-23). La stessa idea è espressa da 1' Apostolo nel capitolo seguente con una metafora molto espressiva : « Voi, che eravate morii ne i falli e ne la incirconcisione de la vostra carne. Egli ha insieme con lui richiamati in vita, avendoci condonati tutti i falli, avendo cancellato T atto scritto contro di noi che con i suoi precetti ci era nemico, l'atto eh ' Egli ha tolto di mezzo inchiodandolo su la croce » (rò xad’ i)|W)v xsipÓYpacpov rote SÓYpaoiv o rjv ùnevavtiov Colossesi II, 13-14). Il chirographum decreti, di cui pària Paolo, e che riguarda tutta 1’ umanità, è la condannazione de i peccatori, sottoscritta
(r) Holtzmann, N. T Theologie, II, p. 97.
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da Adamo e che noi sottoscriviamo con i nostri peccati personali. Questo chirografo Cristo ha cancellato con la sua morte e ne ha dato la prova pubblica, attaccandolo a la croce.
Così 1' opera de la nostra riconciliazione resta sempre un atto gratuito de 1’ amore di Dio ; ma nel piano divino suppone, come condizione, la morte di Gesù Cristo. La giustizia di Dio non ha creduto di darci la sua grazia col perdono puro e semplice : nel suo amore ha deciso di manifestarsi, subordinando la nostra riconciliazione ad una vera espiazione. È la dottrina che vien fuori dal passo classico ai Romani : « Tulli sono gratuitamente giustificali per la grazia di Dio, mediante la. redenzione che è in Cristo Gesù, il quale Iddio ha prestabilito come vittima propiziatoria (8v jcposOsto ó Osò? Uatmjpiov) mediante la fede nel sangue di. lei per dimostrare la propria giustizia » (Romani III, 24-25). La maggior parte de gli esegeti è d’accordo che, con la parola Uaon'ipiov, Paolo ha voluto indicare non, come pretende il Ritschl, la propiziazione de l’antica Legge, ma un sacrificio destinato a rendere Dio favorevole a i peccatori.
Si è voluto mettere in dubbio tutta questa dottrina, attribuendola a Paolo e non a Cristo. Per me non e’ è contradizione nel N. T. Gesù stesso ne l’istituzione de la Cena, e questo dovrebbe bastare, afferma chiaramente il valore espiatorio de la sua morte. Cristo aveva davanti a i suoi occhi una fine dolorosa, da la quale sarebbe uscita la vita del inondo. Ne i momenti estremi Egli aveva 1’ animo pieno de le reminiscenze del cap. LUI d’Isaia. Là il Servitore di Geova è rappresentato ne 1’ atto di offrire se stesso in sacrificio per il peccato. Liberi di non credere al valore espiatorio de la morte di Gesù ; è molto difficile far credere che Cristo e gli Evangelisti non vi abbiano creduto.
Come conclusione di queste mie brevi considerazioni non so trovare parole più belle e più proprie di quelle scritte da un uomo di mente e di cuore, Fattoi, in un suo libro — La Religion de la solidarité — che dovrebbe essere 1’ ornamento di ogni biblioteca religiosa.
« Oggi gli uomini non possono più dire, a meno che non vogliano osti-« narsi nel loro accecamento, che il peccato è una infermità senza conseguenza, « una bagattella di cui non bisogna fare una montagna. Per poco che siano « seri, basterà mostrar loro la Croce che non cessa di profilarsi su 1’ orizzonte « de 1’ umanità, e comprenderanno il loro errore, e confesseranno che il peccato « è veramente diabolico.
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LA DOTTRINA DE I.’ ESPIAZIONE
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« La Croce non è solo la rivelazione del peccato ; essa è anche la condanna « decisiva pronunziata da Dio stesso, ne è il castigo terribile.
« Il castigo che, ne la persona del Cristo, colpisce il peccato, mette fine « a» malintesi:. Il velo, dietro il quale si nascondeva la santità divina, è rotto. « La Croce afferma, grida, proclama il pensiero di Dio sul peccato.
« Comprendete ora perchè era necessario che Cristo soffrisse?
« Era necessario, sì era necessario che Cristo soffrisse, affinchè il peccato « gittasse la sua maschera. Era necessario, sì era necessario che il Cristo sofie frisse, perchè il peccato fosse giudicato, condannato, punito. Era necessario, « sì era necessario che il Cristo soffrisse al nostro posto, per sopportare il caie stigo da noi meritato e che ci avrebbe schiacciati *.
Raccogliamoci a i piedi de la Croce e noi vi gusteremo non solo le sofferenze umane, ma la speranza e le consolazioni divine.
Ave crux, spes unica!
D. SCALERÀ.
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DUCHESNE DEMOLITORE
■ ONSIGNOR Luigi Duchesne, direttore della Scuola Francese di Roma, è uno dei più dotti storici della Chiesa Romana. Per i mèriti della sua opeTa principale, la « Storia della Chiesa Antica », egli è stato eletto recentemente membro dell’Accademia di Francia, essendo perciò annoverato fra gl’immortali.
Quest’ illustre prelato quando era ancora giovane studente scandalizzò’qualche professore con una sua tesi sul Liber Pontificali*. Più tardi entrò nell’ Istituto Cattolico di Parigi dove insegnò per molti anni Storia Ecclesiastica. Quivi al principio le sue lezioni furono litografate per soddisfare il vivo desiderio dei sacerdoti di Parigi e della provincia ai quali non era possibile di assistere alle lezioni. Poi, crescendo la popolarità del professore, si dovette estendere maggiormente quest’uso delle dispense litografate per rispondere alle richieste provenienti da altri seminari della Francia. Egli ben presto fu compreso dai suoi connazionali nella schiera dei Cattolici liberali. La sua fama non tardò a varcare i confini della sua patria e 1' università di Cambridge, riconoscendo i meriti della sua opera di storico, gli conferì il dottorato. Dal governo del suo paese nei 1895 gli venne affidata la direzione della Scuoia Francese in Roma. Fu qui in Roma stessa che nell’ anno 1905, il Duchesne diede finalmente alla stampa la sua « Hi-stoire Ancienne de 1’ Église ». Però volle prima assicurarsi della benevola accoglienza da parte dei più influenti ed autorévoli tra i membri della sua Chiesa. Tanto il rettore dell’ Istituto di Parigi quanto 1’ arcivescovo Richard si mostrarono soddisfatti della lettura, limitandosi ad alcune lievi modificazioni. Di più 1’ opera fu sottoposta al giudizio delle autorità competenti, cioè al Padre Lepidi della congregazione dell’indice, il quale suggerì qualche cambiamento, tendente a migliorare 1’ opera. Il suggerimento fu accettato di buona volontà. Ma di questa approvazione 1’ autore non era ancora del tutto contento. Si noti ciò che egli scrisse nella sua Lettre à un ami riprodotta sulla Cultura Contemporanea, del novembre scorso.
« Terminato il primo volume ebbi 1’ onore di offrirlo al Santo Padre, che ne aveva già sentito parlare dal revisore. S. S. me ne fece grandi complimenti e mi promise di leggerlo. Gli altri due volumi gli furono pure presentati, l’uno dopo 1’ altro e ogni volta ne ricevetti felicitazioni che, allora, Si fondavano non sull’apprezzamento altrui, ma su una conoscenza personale dell’opera. L'appro-
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vazione del Capo della Chiesa era evidentemente la più alta ricompensa che io potessi desiderare e ne ringraziai il Santo Padre. Alla fine della terza udienza (aprile 1910) io pregai Sua Santità di volersi degnare di benedire quest’opera stòrica, affinchè essa rimanesse fino alla fine degna della sua approvazione. « Di questo non ne dubitiamo » mi fu risposto.
Io ho conservato « ce bouquet spiritucl ».
Dopo aver presentato al Papa il mio terzo volume, partii per Parigi, dove dovevo occuparmi della mia candidatura all’ Accademia ».
Nel mese di maggio l’illustre storico fu eletto membro dell’ Accademia Francese, la quale rarissimamente ha conferito un tal onore ad un prelato della Chiesa romana. Questo lieto avvenimento segna il triste principio delle persecuzioni mossegli contro dai suoi correligionari. Nel settembre dell’ anno scorso la sua Storia della Chiesa Antica fu bandita dai Seminari e dalle case religiose e come libro di testo e come libro di consultazione, essendo considerata « pericolosa e fìnanco esiziale ». Questo fu il risultato della nefasta campagna condotta dalla stampa gesuitica, ed in special modo dall’ Unità Cattolica. Ma ciò non bastò per calmare i nemici dello storico, e, poche settimane or sono, è apparso un decreto della Congregazione dell’ Indice, approvato da Pio X, in data del 22 gennaio, col quale vengono condannate otto opere in capo a cui figura la Storia della Chiesa Antica di Monsignor Duchesne.
E la guerra continua ancora oggi accanita contro questo povero scienziato che viene chiamato « il .moderno Voltaire della Storia ecclesiastica », « seguace dell’Harnack », « amico del Loisy », « razionalista », « denigratore della Chiesa », « modernista » e via dicendo. Che ha egli fatto per meritare questi epiteti? Può darsi che la risposta si trovi precisamente nel contenuto della sua Storia, in cui ha esposto il resultato logico dei criteri scientifici ai quali si è rigorosamente attenuto. Così egli stesso si esprime in proposito :
« Il mio libro presenta le cose tali e quali si vedono dall’esterno, aiutandosi solamente con l’investigazione critica, e non sempre tali e quali appariscono alla riflessione religiosa, illuminata dalla fede. È 1’ opera di un uomo di fede che intende lavorare per la Chiesa e la verità religiosa di cui la Chiesa è l’or gano, ma che, nel suo lavoro, si serve solo dei processi di investigazione propria della disciplina storica ».
È evidente che egli non ha tenuto nessun conto della tradizione orale, come fanno di solito gli storici della sua Chiesa, schivando così le leggende, le favole e Simili cose che non possono per nulla giovare ad uno storico coscenzioso. Si è basato per lo più sugli scritti e sui documenti raccolti da Eusebio di Cesarea, senza però trascurare le opere di Socrate, Sozomeno, Rufino ed altri. Il Monsignore annovera se stesso fra gli storici posati e sani i quali rappresentano
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una « opinione media ». « Preferisco però, per mio uso personale », dice lui », i i terreni più solidi ; amo meglio giungere meno lontano, camminando però con maggiore sicurezza, non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrie-latem ».
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La scelta del titolo di questo nostro scritto si giustificherà in quel che diciamo appresso, nonché nella citazione della seguènte profezia che, riguardo il Duchesne, fu fatta nel 1894 da un canonico francese: « Il y aurait nécessité d' arrêter M. l’abbé Duchesne dans son oeuvre de démolition (1) religieuse ; si on le laisse faire-rien ne sera bientôt plus debout de notre histoire ecclésiastique, de notre hagio, graphie, de nos origines Chrétiennes, il aura fait le vide le plus complet » (2).
L’ opera demolitrice del Duchesne si manifesta oltre che nel campo della dottrina anche in quello della disciplina. Non si può dire che l’abbia fatto appositamente, ma non si può neanche negare che il nostro autore abbia reso un brutto servizio a chi in Vaticano ha la missione di conservare rigidamente, pel rispetto dell’autorità, la disciplina o perlomeno le sue apparenze.
In primo luogo c’ è la quistione dell’ Imprimatur, apposto dal Padre Lepidi all' opera dello storico, che equivale ad una solenne dichiarazione Che essa non contiene « errori contro la fede ». Ma ecco che la stampa reazionaria, capitanata abilmente dai nemici dell’ autore, insorge e pretende dimostrare con gran disinvoltura che tale opera è « dannosa alla fede del popolo cristiano e merita di essere proibita ». Si perviene così ad uno stato di cose che certo non torna a lòde dei responsabili. C’ è infatti una terribile contradizione che non si può spiegare se non in due maniere. O il Padre Lepidi non ha letto la storia con quella attenzione che conveniva, o, fidandosi troppo della fama dell’ autore, non 1’ ha lètta affatto, trascurando il suo dovere. Ci sarebbe una terza spiegazione, la più onorevole per lui, cioè che egli, infetto di « modernismo », abbia scritto l’Imprimatur con piena coscienza, dopo un’ accurata lettura dell’ opera.
Ma rimane sempre qualchecosa di inesplicabile e confessiamo che c’è in noi la tentazione di credere che molto probabilmente questa poco bella figura, gliel’ hanno fatta fare. Sarebbe desiderabile che si sapesse chi è la vera autorità
(x) Sottolineamo noi. D. G. W.
(2) Vedi Lettre à un ami nella Cultura Contemporanea di nov. 1911.
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competente. E il Padre Lepidi o i Gesuiti o Pio X ? A chi dovrebbe un povero autore rivolgersi per aver l’approvazione dell’opera sua? Il caso attuale ci avverte che non vale proprio la péna di ottenere 1’ approvazione dell’ autorità costituita.
E che dire di « ce bouquet spirituel », cioè dell’ approvazione e della benedizione dell’opera da parte del Papa? Si suppone ch’egli abbia letto la Storia secondo la promessa fatta all’ autore. Altrimenti non si capirebbe come egli abbia potuto benedire un libro senza conoscerne il contenuto. Ad ogni modo l’opera fu benedetta, e, dopo pochi mesi, fu coll’ approvazione dello stesso papa, dichiarata nociva alla fede dei fedeli ! Che cosa è successo ? Probabilmente il papa ha cambiato parere. Può darsi che abbia sbagliato, giacche non benedisse la Storia ex-cathedra, ma in privato; Vorremmo sapere se il Papa ha cambiato parere di buona volontà, o se invece sia stato costretto dalle circostanze a condannare l’opera del Duchesne, tornando a battere la strada che conduce a Canossa, come ha fatto altre volte durante il suo non facile regno. Una volta di più o di meno non importa. V’ è conflitto d’ opinioni fra la congregazione dell’ indice ed il Papa o fra lui ed i Gesuiti?O fra questi e quella? Chi è in realtà il Papa ? I Gesuiti, il collegio dei cardinali o Pio X ? Ma v’ è un’altro mistero da risolvere, cioè se o no l’approvazione o la benedizione del Papa sono state neutralizzate dal decreto di condanna della congregazione del-1* Indice che dipende da lui. Quali dei due atti emanati dalla stessa autorità ha avuto maggior efficacia, la benedizione impartita nel maggio 19n o la condanna pronunziata nel gennaio 1912?
In materia di dottrina il Duchesne viene criticato per i suoi molti e gravi errori esposti nella sua mirabile Storia, specialmente per il suo insegnamento riguardo il fondatore della prima chiesa cristiana in Roma, riguardo il primato della Sede romana, i « Sacramenti », la chiesa primitiva, il culto di Maria Vergine ed altri dogmi vitali per la esistenza della Chiesa Cattolica.
La fondazione della Chiesa Romana viene così descritta nel voi. I, p. 34 : « Quando d’ altra parte S. Paolo scriveva ai Romani, nel 58, al più tardi, erano già passati anni che la loro chiesa esisteva e che egli bramava di visitarla ».
« Da quali mani la divina semenza fu gettata su questa terra, nella quale doveva dare frutti così prodigiosi ? Noi forse l’ignoreremo sempre. Calcoli troppo
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poco fondati (3) per raccogliere il suffragio della storia, conducono a Roma l’apostolo Pietro fin dai primi anni di Claudio (D. C. 42) o sotto Caligola (39). « Lasciando dunque che il mistero ravvolga queste prime origini, limitiamoci a constatare che la chiesa Romana quando San Paolo le scrisse (58) erano, il solo uscita dalla crisi a cui aveva dato luogo la sua nascita, ma organizzata, conosciuta, celebre perfino, a causa della sua fede e delle sue opere ».
Egli scrive pure (pag. 36) come segue : « Verso il tempo (cioè circa il 63) in cui S. Paolo ricuperava la sua libertà, S. Pietro si recava a Roma. Forse vi era già venuto tempo prima : è possibile ma non rigorosamente dimostrabile. Della sua attività apostolica in quest’ ambiente nulla si sa. Gli scritti, canonici o no, che ci sono giunti col suo nome, non contengono in proposito alcuna notizia ».
Della tradizionale dimora di San Pietro quale vescovo a Roma per 25 anni, il Duchesne ha questo da dire :
« Mi si opporrà a questo punto la tradizione dei 25 anni. Ebbene la tradizione dei 25 anni non ha dei testimoni anteriori al quarto secolo. I due più antichi sono Eusebio e 1’ autore Romano del catalogo liberiano contemporanei di Costantino ».
« Eusebio conta i 25 anni a ritroso, a partire dall’ anno 67 eh’ egli considera come quello nel quale morì 1’ apostolo e giunge così all’ anno 42, qual data della sua venuta in Roma. Il cronologista romano prende per punto di partenza dei venticinque anni 1’ ascensione del Nostro Signore fissata all’anno 30 e fa morire S. Pietro nel 55. Così 1’ un degli autori conta i suoi anni dal 30 al 55 F altro dal 42 al 67 ». Poi più in là aggiunge : « Io non intendo per nulla negare che S. Pietro sia stato il primo missionario di Roma, il primo cristiano di Roma. Io non lo nego, ma io non ne ho la prova, e m’ astengo dallo affermarlo. E mi sembra del resto, che una simile affermazione non è richiesta nè dal lato teologico, nè dal lato storico della questione e che insomma essa importa assai poco ».
Il lettore che conosce quel che insegna la Chiesa romana in proposito non ha che da tirare le proprie conclusioni dalle parole del Duchesne. Certo non fa d’ uopo che aggiungiamo commenti o argomenti tratti da altre sorgenti.
Segue naturalmente la dottrina del Primato del Vescovo di Roma. Nel Voi. II, p. 363 eseg., dove si tratta del conflitto fra Atanasio e gli Ariani in Oriente, si legge : « quando le polemiche non oltrepassavano 1’ ambito della chiesa locale, era ancora possibile domarle mediante l’intervento di autorità ecclesiàstiche superiori a cui, ai caso, il governo prestava man forte. Ma se 1’ episcopato era
(3) Avvertiamo che il corsivo in queste citazioni è nostro. D. G. W.
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discorde, come metterlo d’ accordo e come orizzontarsi ? Se vi fosse stata nella chiesa nel IV secolo una autorità centrale, essa avrebbe naturalmente offerto un mezzo di soluzione, ma non era così. Antiochia ed Alessandria sono in lotta : l’episcopato egiziano appoggia ' Atanasio, quello orientale lo combatte. Come rappaciarli ? Seguire 1’ esempio di Aureliano [imperatore] e schierarsi con la parte in cui si trova la chiesa romana ? A ciò sarebbe stata necessaria una tradizione in proposito, una consuetudine ; che si fosse abituati all’ intervento della chiesa in questi affari. In realtà da molto tempo non si sentiva parlare della chiesa romana in Oriente ». A p. 364 poi 1’ egregio Monsignore parlando del conflitto dei Donatisti in Africa, aggiunge : « Non e’ era quivi [a Roma] un potere dirigente, una espressione efficace dell’Unità Cristiana. Il papato, nel pieno esercizio del suo diritto, quale l' Occidente lo conobbe più tardi, doveva ancora [nel IV secolo] attuarsi, e il posto ancora non occupato fu invaso, senza esitazione, dallo stato. La religione cristiana divenne così la religione dell’ imperatore, non solamente in quanto. era professata da lui, ma in quanto anche ne era governata. Non è questo il diritto, non è la teoria : ma è il fatto ». Alle surriferite citazioni risponde il P. Tito Bottagisio (1) in questa maniera : « Horribile dictu ! Questa proposizione puzza di eresia a cento miglia da lungi. Poiché toglie alla Chiesa una delle sue Note principali, che è l’Unità, togliendole il suo principio formale, Z’ autorità dirigente ed efficace. E con ciò si viene a negare, per legittima conseguenza, alla S. Sede Romana ed al Papa (almeno storicamente) il Primato non solo d’ onore, ma anco di giurisdizione, dicendo subito dopo nel testo originale francese : La papauté telle que 1’ Occident la connut plus tard, était encore à naìtre ».
Intorno ai due sacramenti il Duchesne si esprime così nel Voi. I, p. 13 : « La sua organizzazione [quella della Chiesa primitiva] interna non sembra essere stata complicatissima. Vi si entrava col battesimo, simbolo dell' adesione a Gesù in nome del quale esso era conferito, e nello stesso tempo della conversione e della riforma morale che il fedele imponeva a se stesso. Un pasto comune e quotidiano costituiva il segno ed il vincolo della vita corporativa. Vi si celebrava 1’ Eucaristia, memoriale sensibile e misterioso del Maestro invisibile ». Qui non c’è il minimo accenno alla dottrina della transustanziazione e neppure al-l’opera rigeneratrice del battesimo. La Chiesa primitiva viene definita come « l’insieme degli esseri ai quali è applicata l’opera della salvezza. Tale applicazione è fatta da Dio agli uomini di qualsiasi origine, Greci, Giudei, Barbari, Sciti, schiavi, liberi, con un dono completamente gratuito. La Chiesa così reelu(1) « Appunti Sereni », p, 240.
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tata deve tutto a Gesù Cristo il quale ne è la ragione d’essere, il principio vitale, la testa, il capo ». Un certo padre Giuseppe Chiandano si lagna di queste parole del Duchesne e cita la definizione dèi Card. Bellarmino come cosa più desiderabile « la professione di una sola e vera fede, la comunione degli stessi sacramenti [cioè sette] e la soggezione al Romano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo in terra ». Osserviamo soltanto che dei fatti non possono cedere posto a delle teorie. Giacché il cullo di Maria Vergine occupa un posto così importante nella Chiesa Romana, vale la pena di sentire ciò che ne dice l’autore. Nel II Voi, p. 344 egli scrive : « Nel tempo in cui Apollinare commuoveva 1' O-riente, 1’ Arabia assisteva al pullulare di singolari novità che non sortirono forse ripercussioni locali notevoli, ma che pure meritano attenzione per il fatto che illuminano un’ intima elaborazione degli spiriti. Per la prima volta sentiamo parlare di un culto prestato a Maria, madre del Salvatore. Naturalmente fu inaugurato da donne, che lo avevano importato dalla Tracia e dalia Scizia. Il culto consisteva in una festa annuale, celebrata intorno a una specie di trono, inalzato su ruote, durante la quale si offrivano alla Vergine Maria dolci di speciale preparazione, chiamati Colliridi. Esisteva tutta una liturgia che le donne sole potevano celebrare. Epifanio, così bene informato in questa materia, ne dedusse 1’ eresia dei Colliridiani e la confutò accuratamente, e Con lettera apposita diretta in Arabia e nei suo ampio trattato contro tutte le eresie ». I commenti qua sarebbe superflui ! Non meno interessante è l’informazione che il Duchesne ci dà sul cullo dei santi, delle relìquie e delle immagini. Parlando della chiesa al tempo dei Teodosi, dice (Voi. Ili, p. 15): « Nel IV secolo le feste dei martiri raggiunsero una singolare popolarità e .con esse comincia il culto dei santi. Nulla più naturale che 1’ onore tributato alla memoria degli eroi della fede...... In molti luoghi le leste dei martiri erano accompagnate da agapi degenerate presto in gozzoviglie scandalose ». A p. 18 prosegue: « Nella religione cristiana il culto dei santi, delle reliquie, delle immagini è un frullo della pietà popolare : è naturale che la religione subisca la reazione di coloro che la praticano ». E altrove, p. 16: « Il culto dei santi però era in fondo un culto di santuario.... Le pagenerie implicavano processioni e banchetti, donde una spiccata rassomiglianza con le feste pagane di cui non si allarmavano gli ecclesiastici giudiziosi, persuasi che ih tale modo il popolo era meno turbato nelle sue consuetudini ».
Trattando del culto delle immagini, dice (p. 17): « Il culto delle immagini stentò di piu ad imporsi, troppo rassomigliando al culto degli idoli. Altra cosa infatti è 1’ uso della pittura e della scoltura nella decorazione delle chiese, dei cimiteri, delle case private, altra cosa la venerazione più tardi nutrita verso alcune immagini considerate miracolose, o verso I’ effigie del Cristo e dei santi, esposte in alcuni luoghi e con un certo metodo. Quest’ultima forma di
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culto era praticata nel IV e nel V secolo, rivolta però non già alle immagini del Cristo e dei santi, bensì ai ritratti degli imperatori : da questo modello trasse ispirazione la religione delle sacre immagini quando penetrò nella chiesa. Delle immagini miracolose poi, più tardi venute in fama, nessuna sembra risalire al di là del IV secolo : fino ad ora non ci sono che immagini decorative e nè pur esse ben viste da tutti ».
Da queste poche citazioni che abbiamo scelte e che potremmo moltiplicare all* infinito, risulta evidente che con la sua storia il Duchesne compie in gran parte un’opera di demolizione. Non ci maravigliamo adunque se i suoi avversari lo accusano perchè egli si trova in conflitto col papa riguardo l’enciclica « Pascendi » e il decreto « Lamentabili » ; per la sua tesi circa 1’ origine del-l’episcopato, secondo loro sbagliata; perchè egli dimostra di tener poco conto dei concili della chiesa, e di aver poco rispetto per alcuni dei più grandi santi, che tratta con nessun riguardo, come i papi Marcellino, Liberio e Damaso, mentre loda troppo S. Ambrogio, a dispetto dei papi di Lui contemporanei ; non ci maravigliamo neppure se lo accusano di i ilevare troppo facilmente i difetti e le mancanze della chiesa primitiva, di calunniare i martiri e i monaci dell’ Oriente, di aver affermato che la chiesa ed i concilii per molto tempo dipendevano dagli imperatori, e che i dogmi si sono « evoluti »; non ci maravigliamo se lo accusano di dimostrare poca venerazione per la Vergine Maria, e finalmente di essere evoluzionista ed amico dei protestanti. Può darsi che alcune di queste accuse siano ben fondate. Ma gli è per questo che si deve condannare 1’ autore ? Il Duchesne non ha creato i fatti, ma si è limitato a narrarli. Egli, per essere storico verace, non poteva tener conto di sentimenti e desideri personali. È bene che si conosca la storia della chiesa quale fu, e non quale a-vrebbe dovuto essere, secondo la mente di qualcuno. Dobbiamo volere che ad ogni costo venga alla luce la verità storica. Una storia fedelmente narrata, secondo i fatti, e non secondo teorie confessionali, contribuirà non poco alla conoscenza più intima e più profonda di quel Cristo, che solo può salvare 1’ u-manità dal peccato.
I molti amici di Monsignor Duchesne d’ ogni nazione e d’ ogni confessione religiosa ammirano il suo coraggio, la sua franchezza ed i molti suoi doni intellettuali e morali. Gli sono sommamente riconoscenti pel grande servizio da lui reso alla Chiesa universale, e fanno voti perchè voglia conservare la sua co-
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scienza intatta e il suo ainor proprio davanti al mondo intiero contro i decreti e le minacce degli uomini ! E fanno voti perchè non voglia annullare, con un atto che potrebbe apparire di debolezza, tutti quei meriti giustamente riconosciutigli, pei quali il suo nome è divenuto illustre, tanto da essere considerato degno di figurare tra quelli dei celebrati « Immortali » (i).
D. G. Whittinghill
(i) Nei giornali del 6 febbraio, cioè pochi giorni dopo che avevamo scritto questi pensieri, compariva la seguente letterina diretta dal Duchesne al Card. Della Volpe :
Eminenza,
Figlio fedele della Chiesa, io devo sottomettermi alle sue decisioni. Dichiaro dunque a K E. che io ni’inchino rispettosamente al decreto della S. C. dell’ Indice relativo al mio. libro;.
Gradile, Eminenza, l'omaggio del mio profondo rispetto.
LUIGI DUCHESNE
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PROFILI DI ANIME CONVERTITE
mirabile colloquio di Gesù col sinedrita Nicodemo traccia nitidamente le linee di quella conversione cristiana, che nella sua essenza altro non è se non una misteriosa biogenesi, operata nell’individuo cooperante dal potere invisibile dello Spirito. Meditando quel dialogo divino, io riflettei al contrasto che spesso corre tra la conversione come l’intende Gesù e come spesso l’intendono gli
uomini. Spesso ci accade di leggere di conversioni. Tutto sta nel vedere se esse
sieno veraci, se rispondano, nei loro dati spirituali e psicologici alle linee tracciate da Gesù a Nicodemo. Questo studio è importante, perchè, su uno sfondo di ombre e di luci, si rivela saturo di commossa umanità e di fremiti d’ anime in pena, le quali, fra contrasti dolorosi, giungono ad una agognata liberazione.
Fermiamoci questa volta ad esaminare solamente le conversioni dal protestantesimo al romanesimo, che spesso con gran lusso di particolari, noi sentiamo decantare. Quante statistiche in proposito noi troviamo sulle colonne di giornali tendenzaiuoli !! Va bene che altre statistiche hanno replicato esaurientemente che, tutto all’ opposto, il Cattolicismo subisce sensibilissime diminuzioni numeriche, precisamente là dov’esso mena maggior vanto di conquiste ottenute, ma queste repliche possono parere troppo generiche, e perciò a rendere la vera idea del valore reale di queste conversioni, il meglio si è di studiarle partitamente.
Chi durerà questa fatica, dovrà subito costatare che il cattolicismo à smarrita 1’ esatta nozione della conversione cristiana. Esso, nel più dei casi, s’ appaga dell’ adesione all’ autorità vaticana, alla formula rigida, al rito esterno, poco badando alla vera novità della vita, al coefficiente spirituale, e 1’ evangelico che si rivolge alla confessione romana, nel novantanove per cento dei casi, lo fa, abbagliato unicamente dalla sua pompa davvéro regale e dall’ organizzazione ferrea delle sue forze.
Tipico fra tutti fu il moto inglese verso Roma. Un cinquant’ anni fa, i cattolici aprirono 1’ animo alla speranza della conversione dell’ Inghilterra, « l’ antica terra dei Santi », come la chiamavano. Era l’epoca in cui qualche illuso arrivava al punto da far incidere, nell' abbazia di Montecassino, il motto : « Pregate per la conversione dell’Inghilterra ».
Domandandoci subito a che fu dovuto quel moto, definito « la febbre ro-
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mana », il lettore non sorrida se lo diciamo dovuto ad una passeggierà follia ritualista. Moto strano eh’ ora s’ è ormai fermato senz’ aver maturato alcun risultato collettivo di conversione, ma soltanto un rammollimento della religiosità inglese che, da severa e puritana qual era, oggi spinse l’anglicanesimo ad u-guagliare, in parte, lo sfarzoso rito cattolico.
Il sogno più vagheggiato da un neo - cattolico di allora, era di poter fantasticare all’ ombra d’un tempio gotico, circonfuso dall’ iridescenza diffusa dàlie lunghe bifore istoriate di bei santi, , fra spire opaline di incensi arabici, con in mano un breviarium o una Stimma latina filettata d’ oro, mentre i sandali di qualche monaco vi ridestava gli echi medioevali. E Oxford, la vetusta cittadina universitaria, fu quella che dette il nome a questo strano movimento, irradiandolo per riflesso negli altri centri di cultura inglese.
Al solo nominare Oxford, ci si spiega quel quarto d’ora di medioevalismo del quale, per un ricorso storico, rifremette 1’ anima di quella cittadina che, u-nica in Inghilterra, rispecchia ancora tutta la sua fisonomía antica, contesta di silenzi affascinanti , di ricordi medioevali e di collegi rivestiti d’edera e di musco. Oxford, per uno strano fenomeno di mimetismo, non è del presente ma del passato : ora il suo passato rivive tutto nel medioevo cattolico.
E, caso strano, quelle conversioni suppergiù riproducono tutte lo stesso tipo, con poche varianti. Si sintetizzerebbero così: Giovani dall’ anima romantica vanno all’ Università applicandosi più alla metrica e alla poesia che non agli studii serii. Colà s’imbevono dello spirito puseista, e ritualista, tanto intonato con quell’ ambiente e in questo spirito, per affinità elettiva, stringono relazioni con cattolicizzanti e con anglicani puseisti i quali, con arte squisita, accarezzando in loro l’istinto imperialista di cui è tanto tenera 1’ anima inglese, suadono in quei giovani clergyman il sogno d’ un paralleli© imperialismo religioso, possibile sotto 1’ egida cattolica. Viene poi l’immancabile viaggio a Roma, la visita al papa, affettante con essi affabilità massima, 1’ alloggio in qualche collegio di frati inglesi, e, come finale, l’abiura seguita da qualche autobiografia che ridica al mondo l’importante e-vento.
Leggete la « Vita » del I*. Fabei* ; la « Città della pace » del Brown ; « I' Apologia prò vita sua » di G. E. Newman e le « Ragioni della mia fede » del Manning e troverete sempre le stesso cliché, ricalcato con poche varianti. Mai una volta si risveglia in loro il senso del peccato, nè la preoccupazione della unione personale col Cristo o la gioia per maggiori esperienze spirituali : unico leitmotiv è il ritualismo romano, unico sogno è 1’ abbandono sotto le ali della grande chiesa. Questo relativamente al movimento inglese.
Nè diverse sono le conversioni al Cattolicismo che di quando in quando si verificano in altri centri evangelici, conversioni di anime psicologicamente pre-
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disposte al romanesimo. Ricordo fra tutte, la conversione del ginevrino Teodoro De La Rive, avvenuta nel 1880. Nella sua Autobiografia (1) ci porge egli stesso la chiave per aprire il segreto del suo animo. Citarne qualche solo brano e-quivale a convincere il lettore che la sua conversione fu cosa puramente di sentimento. In un punto dice: « Se mi accadeva da giovane di poter assistere alla messa, io dicevo a me Stesso che nel fondo della Chiesa, sull’ altare, fra la luce dei ceri e le nubi d’incenso, dovea operarsi qualcosa di sublime e di misterioso ; la pompa degli uffici, lo splendore dei paramenti sacerdotali, 1’ armonia della musica e dei canti, tutto ciò era per me un bello spettacolo a cui assistevo avidamente ». E a pag. 102, si confessa dicendo : « Tutti i sentimenti d’ amore e d’ammirazione che m’ispirava il cattolicismo dal suo lato esteriore, possono ben essere considerati come una predisposizione... certamente sono molto debitore a questa predisposizione, ad essa debbo particolarmente 1' essermi sentito come in casa mia nella chiesa cattolica ».
E come identiche sono le motivazioni religiose dei convertiti di Oxford e del De La Rive, del pari identico n’ è il processo formale : 1’ ¡stessa andata a Roma, 1’ anticamera ai palazzi vaticani, il bacio della santa pantofola e 1’ accettazione nel Cattolicismo.
Molto interessante in queste conversioni è una confessione che spesso questi nuovi adepti di Roma, si lasciano sfuggire, della continuità cioè delle credenze evangeliche in loro, anche dopo la loro dedizione a Roma.
Il celebre convertito Newman, confessa di sè (2) : « Continuo a professare gli articoli del mio Simbolo che fin dal protestantesimo credevo con una fede divina ». E come lui, il De La Rive, nell’ atto che leggeva la sua abiura, combatteva le riluttanze interne rispondendo mentalmente a se stesso : « Abbandono forse qualcuna delle verità religiose che fin’ ora ò creduto e che un tempo professai? Nessuna, coni’ è evidente ». Questi transfughi dalla loro confessione religiosa, nell’ atto di decidersi per il cattolicismo, pare sentano le deboli motivazioni d’ un simile passo. Ora questo pianto intimo di anime, per ironia di cose, è la rivincita piu bella del protestantesimo.
Diversa da queste conversioni nelle motivazioni e nella ricerca apologetica è la conversione di Alberto von Ruville, professore di storia moderna nell’ U-niversità di Halle. Dico diversa, perchè l’ambiente tedesco dove si svolse la crisi d’anima del Ruville, differisce dall’ ambiente di Oxford. Però l’attento lettore della sua opera : « Il mio ritorno » (3), vi scorgerà, fra le righe, il
(1) « Da Ginevra a Roma » Ricordi —• Siena 1896.
(2) Newman — Histoire de mes opinions religieuses — pag. 86.
(3) Libreria editrice fiorentina — 1911 — Firenze.
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grande posto che nella sua conversione occuparono il ritualismo e la liturgia romana. Oggi, a distanza d’ alcuni anni, si ritorna a parlare della conversione dèi Ruville, specialmente da noi, dopo la conferenza apposita che vi dedicò in Roma il p. Pavissich e dopo la traduzione italiana della sua autobiografia. Quando, per esempio, parla della sua sete di preghiera in comune, « Con forme belle e solenni » del suo considerare la liturgia « come la cosa principale » e dell’ invidia che portava ai cattolici « per il loro culto assai sviluppato » ecc. egli tradisce sempre 1’ atavismo risorgente della sua anima latina perchè francese e la sua tendenza cattolica, secondo la quale anche per la parentela con cattolici, 1’ affinità elettiva del proprio spirito, lo volgeva a Roma.
Cosi pure, quando si lamenta che i templi evangelici sono sempre chiusi fuori del culto, è la nostalgia degli avi cattolici che si risveglia in lui,
« O stazioni dell- errante vita, chiese del mondo ! ovunque e sempre io venni col dolore e V amor, con la pentita colpa, alle vostre buone ombre solenni, venni, e mi parve che di voi qua lcosa fosse pure per me, che un pio bisbiglio mi confortasse V anima, pensosa di non so quale esigilo » (1).
Ecco come avvenne il ritorno alla fede e poi la conversione al cattolicismo del Ruville. Giunto in quel periodo critico della giovinezza in cui ogni giovane attraversa una forte crisi religiosa, egli rasentò l’incredulità. S’imbattè un giorno, casualmente, a leggere : « L’ essenza del cristianesimo » del prof. Harnack, e, strano a dirsi, la lettura attenta e riflessiva di quell’ opera operò in lui due effetti antitetici. Il concetto altissimo nel quale 1’ Harnack tiene il Cristo, ebbero forza di ricondurlo alla fede in Lui, come a maestro. Questo il primo passo : ma il Ruville doveva darne anche un secondo, poiché il troppo semplicismo dommatico harnackiano ed il radicalismo del modernismo evangelico, lo spinsero ad abbracciare la fede positiva della Chiesa. Fin qui noi saremmo Stati d’ accordo con lui, poiché neppure noi saremmo stati paghi della teologia liberale del neo protestantesimo, ma una cosa è il Cristianesimo positivo, un’ altra il cattolicismo. Questo non capì il Ruville che da allora cominciò i suoi malumori contro il protestantesimo tedesco, specialmente dopo che la sua . idea d’un distacco assoluto dei cristiani positivi dai liberali, si mostrò inattuabile, data spe(1) G. Bertacchi — « A fior di silenzio » — Milano 1912.
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cialmente 1’ unione malaugurata della chiesa con lo stato. Così passò al cattolicismo.
In questo punto controverso della sua autobiografia, c’ è uno spiraglio di luce che illumina il peccato d’ origine della sua conversione al cattolicismo. Egli dice : « La cosa essenziale per me era Cristo : quello che conduceva vicino a Lui aveva la mia approvazione in qualunque chiesa si trovasse. Ma nella chiesa cattolica mi parve onorato meglio Gesù perchè in essa si dava anche onore a quanti gli sono stati cari e si venera persino tutto ciò eh’ era stato in speciale rapporto con lui ».
Arrivato a questo punto, io sento di dover sottoscrivere F opinione d’ un critico dell’ opera di Ruville, e cioè eh’ egli è giunto al cattolicesimo in grazia di considerazioni che generalmente servono ad allontanare dal cattolicismo. Peccato che quanto era stata bella ed incondizionata la sua fede cristiana, altrettanto inconsulta ci pare la sua fede cattolica. Ed invero, su che è basata questa dedizione al cattolicismo? Semplicemente « sulla venerazione che questo tributa a tutto ciò che fu in ¡speciale rapporto con Gesù? » Ma se è appunto tale culto estèrno, quello che finì per materializzare il cristianesimo, tanto che oggi gl’ ¡stessi gesuiti, — il che è tutto dire ! — come il dotto p. Grisar (i), chiamano « fortemente sospette » quelle reliquie venerate come aventi avuto rapporto con Gesù, ed il chiaro sac. Ugo Mioni (2) le chiama addirittura « assolutamente false ».
È proprio il caso di domandarsi se sia mai possibile che il Ruville, professore di storia in una università tedesca, sia più realista del re e se sia mai vero che in tempi come i nostri di tanta critica storica e di tanta interiorità religiosa, egli convalidi il suo passaggio al Cattolicismo, con la prova di quelle stesse reliquie, molte delle quali, persino il conservatore Pio X, nella sua continuata opera di riforma religiosa, confina in quella famosa soffitta di cose arcaiche nella quale Giolitti à relegato C. Marx ? Non solo è possibile, ma è un fatto reale, e se nell’ autobiografia del Ruville vi si ricerchi lo studio del protagonista fatto sulle fonti del cristianesimo non vi si troverà nemmeno nominato, come fónte d’indagine; il vangelo, mentre invece la « divina commedia » vi tiene posto principalissimo, sino a diventarne anzi, durante la crisi, il suo vade mecum spirituale. « Rilessi ancora per intero F immenso poema e questa volta con un godimento molto maggiore ». Che dire di questo? Con buona pace e senza nessun’ ombra di rancore verso il Ruville, che io sento d’ amare con tutta
(1) P. Grisar — « Sanata Sanctorum » — Vedi Civiltà Cattolica,panilo 57.
(2) Ugo Mioni — « Del culto delle reliquie » — Capo 8 — pag. 190.
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1’anima mia, io mi sono spesso domandato s’egli abbia mai sperimentata la vera conversione cristiana. Tutto mi porta a credere di no, specialmente il fatto che in tutta la sua Autobiografia non vi traspare mai un filò di luce dalla sua coscienza convinta di peccato, nè alcun fremito scuote mai quell’ anima, orientandola verso nuove aspirazioni morali.
Per me io sono d’ avviso eh’ egli avrebbe potuto appagare benissimo il suo bisogno di fede senza esulare dalle schiere di quell’evangelismo cattolico che gliel’ aveva pur ridata, e questo lo dico con tanta maggior convinzione anche perchè volontà del Maestro non fu la divisione ma 1’ unione delle anime nel-1’ attesa del suo regno. Ora nè il Ruville nè alcun altro si sentirà più di sostenere in buona fede che gli Evangelici sieno fuori della grande anima della cristianità od estranei all’urgente problema del trionfo cristiano....
Al lettore cattolico, dedico, nel chiudere l’articolo, una mia costatazione di fatto. Di solito le conversioni di pochi evangelici al cattolicismo sono state conquiste maggiormente deleterie che vantaggiose al romanesimo. Quei convertiti non riescirono mai a spogliarsi completamente dello spirito della riforma di cui erano impregnati, anzi questo spirito nel terreno del Cattolicismo fece germogliare tutta una primavera d’idee che a Roma parve una rivoluzione modernista. Newmann, Tyrrel ed Haecher ne attestano qualche cosa....
P. Chiminelli.
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cModerntsmo e ¿Modernismo.
Se dedichiamo alcune pagine al modernismo gli è non già perchè è un tema di grande e permanente attualità, ma perchè è il fenomeno contemporaneo che, specialmente nei paesi latini, si manifesta con maggiore vivacità nel campo dell’esperienza religiosa, campo dal quale non può rimanersene fuori chi degli studi religiosi afferma di volersi occupare in modo speciale.
Chi pretendesse di dare una definizione del modernismo, o anche una de-scrizione mirante a comprenderlo in ben determinate linee, si accingerebbe ad una assai diffidi opera. Non abbiamo tale pretesa, nè di esso vogliamo fare la filosofia o tracciare la storia, sapendo quanto sia facile in tale argomento cadere in giudizi errati per esagerazioni, generalizzazioni, per impazienze e per influsso di personali simpatie. Ci occuperemo di Modernismo, non scrivendone noi, ma lasciando che ne parlino i modernisti stessi. E per cominciare, ecco due voci: quella dell’ A vv. GENNARO AVOLIO di Napoli, direttore di « Battaglie d’ Oggi » e quella del Prof DOMENICO BATT AI NI, di Mendrisio, direttore di « Cultura Moderna. »
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Modernismo cristiano.
I giudizi falsi, avventati, spesso contradditori intorno al modernismo, specie intorno al modernismo cattolico — adopero questo termine nel senso ‘ più alto e più vero della parola — mi fan sentire il dovere d’ uscir da ogni riserbo e di parlare apertamente dell’ opera che da quasi un decennio va compiendo in Italia un gruppo ormai numeroso di sacerdoti e laici consapevoli, per la riforma della Chièsa, cioè per la riforma della coscienza cristiana — intendendo per Chiesa, più che un organismo chiesastico, 1’ unione di spirito di quanti credon nel Cristo e, nel nome di Lui, operano il bene, al disopra d’ ogni divisione confessionale. — Organo di questo movimento, cioè legame tra migliaia d’ anime anelanti ai nuovi tempi, è la rivista « Battaglie d’ Oggi », sulla cui copertina è riportato — sintesi del suo programma — il celebre acquafòrte del Rembrandt rappresentante Cristo, che scaccia dal tempio i mercanti, a furia di santissime funate, e le parole di Luca : « La mia casa è casa di preghiera, ma ne avete fatta una spelonca dì ladri! »
Il modernismo, difatti, di quanti fan capo alla rivista, si basa principalmente sul Cristo genuino, sul Vangelo, su la tradizione apostolica, cioè su la tradizione spoglia del tradizionalismo, come spoglia da ogni arbitraria aggiunta o alterazione o mistificazione. Cotesto modernismo, che apparve sin dal primo deviar della chiesa di Roma, e fu il modernismo dei Santi, pur rispettando e pro-
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pugnando la più ampia libertà d’indagine in tutte le scienze, per i cattolici come per i non cattolici, pensa che, per il suo lavoro di penetrazione e di elevazione della coscienza moderna, della coscienza popolare, più che le aride discussioni teologiche, più che le polemiche, giovi il lavoro positivo della conoscenza della verità, deli’ educazione del cuore e della volontà, soprattutto 1’ esempio di una costante bontà, d’ una carità, spinta sino al grado eroico, da scuotere, da guadagnare i cuori, come li scossero e guadagnarono i primi seguaci del divino Maestro. ,
Però, sin dall’ inizio del suo lavoro, « Battaglie d' Oggi » cercò di '.diffondere largamente, ma con grande oculatezza, il Vangelo; da prima F edizione della Società di S. Girolamo, ora quella della « Fides et Amor » (società che accoglie nel suo seno evangelici e cattolici, e non pochi colti ecclesiastici): ciò anche ih segno di cristiana fraternità e della comune aspirazione ad un’ unica chiesa, sotto un unico Maestro e Capo, il Cristo. E diffuse pure largamente un prezioso libriccino, edito anch’ esso dalla Società di S. Girolamo: « La dottrina degli Apostoli ».
E, più concretamente, la rivista « Battaglie d' Oggi », con la sua propaganda in tutte le classi, e segnatamente nei popolo, mercè la diffusione di decine di migliaia di estratti, di foglietti, di opuscoli, di numeri unici, aiutata da attivi, disinteressati propagandisti in tutti i principali centri, mira ad infrenare 1’ ecclesiasticismo, liberando la mentalità cattolica dalla superstizione e da quel formalismo religioso, privo di contenuto spirituale, in cui così spesso s’ a-dagiano comodamente e indisturbati i peggiori vizi ed i peggiori abusi, soprattutto 1’ assenza di carità, 1’ usura, aperta o palliata, la durezza col povero, lo sfruttamento dell’ operaio, il costume corrotto-, coperto spesso da finissima ipocrisia ... Mira cioè a fare acquistare ai cattolici, con la spirituale libertà, il senso della responsabilità; ed infrenando F invadenza dell’ ecclesiastica autorità, sia nel campo delle coscienze, sia nella vita politica e sociale, mira a rivendicare i diritti della coscienza cristiana; a liberarla dall’ eccessiva, interessata, soffocante tutela del prete.
A far che il prete cessi d’ essere uno spensierato appaltatore di feste, un addormentatore di coscienze, e, richiamato il culto alla sua antica semplicità e purezza, torni ad essere risvegliatore di anime, educatore del popolo. Che riprenda bensì tutti i suoi diritti civili, ma che adempia pure, ed esemplarmente, a tutti i suoi sociali doveri. Che invece d’ alimentar nel popolo la superstizione, per trarne profitto, sia, come Paolo ed i primi Apostoli, orgoglioso di vivere del suo lavoro, anche manuale, se occorra, che non disonora, dopo che gli A-postoli e Cristo stesso, con il proprio esempio, lo elevarono alla sua véra id-gnità, ma soprattutto con l’insegnamento, che accresce prestigio al ministero, avvalora la parola, e permette d’adempiere con fierezza il precetto di Cristo: di dare gratuitamente quel che gratuitamente ha ricevuto. In breve: che il prete torni a rappresentare nella società il sale per la purezza, la luce per la scienza. Per questo appunto « Battaglie d' Oggi » ha iniziato una campa* gna per la libertà nel celibato, persuaso di toccare ad un problema centrale, non solo per la purezza della chiesa, ma per la stessa educazione, moralità del popolo, per la gloria dello stesso celibato, il quale nella libertà risplenderà meglio e si tradurrà in potenza spirituale a vantaggio «Iella scienza e della urna-
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nità. Mentre il matrimonio tornerà in onore, nel clero come nei tempi apostolici, e nel laicato, che trarrà frutto dai buon esempio di numerose famiglie modello sacerdotali : esso tornerà ad essere per tutti una palestra di virtù, un letto di purezza e d’onore; e il prete, coniugato o celibe, si distinguerà allora dagli altri cittadini, non più per il forzato celibato, spesso ipocrita maschera, non più per un vestito speciale, spesso antiestetico e goffo, e per la cherca; ma per la dottrina, per la purezza, per il disinteresse, per la carità.
E propugna pure la rivendicazione dei diritti del laicato nella Chiesa, non solo nell’ amministrazione, ma, e soprattutto, nella nomina dei pastori; affinchè nella Chiesa di Cristo trionfi ancora la scienza, la bontà, la santità, e non il favoritismo, il nepotismo, l’intrigo: e, al comandare a guisa di dominatori, succeda il senso di paternità negli anziani, e il farsi tutto a tutti e servi a tutti, per riguadagnar tutti a Cristo.
Ecco qualche linea essenziale del modernismo cattolico, che, meglio, può dirsi cristiano. Esso mira pure a penetrare la democrazia e lo stesso socialismo per ristabilirli sopra i valori etici del cristianesimo, affinchè ogni conquista, nel campo economico, non sia frustrata dai disordini morali e 1’ elevazione progressiva delle classi lavoratrici sia integrale, cioè abbracciarne a un modo gl’ interessi materiale e quelli spirituali, e sia durevole, per la formazione della coscienza. Per questo esso aiuta, come può, il proletariato a liberarsi dell’attuale tirannia del capitale; a uscire da quello stato di precarietà e di miseria, eh’è occasione prossima di colpa. E ciò fa, memore dell’esempio del Maestro, il quale, preoccupandosi dello spirito, non trascurava i corpi, alleviandone la sofferenza; mentre la'sua forte propaganda contro l’abuso della ricchezza, con un linguaggio che non ha avuto 1' uguale traverso i secoli; con la sua propaganda di giustizia, che, nel suo più alto significato, comprende la carità, doveva preparare 1’ emancipazione del popolo da ogni sorta di tirannia, da quella economica alla politica, alla religiosa. Pur troppo il disegno di Dio è stato attraversato dal mal volere, dall’egoismo degli uomini. Milioni di creature umane, redente col sangue di Cristo, vivono tuttora in tale stato d’ignoranza, di miseria, di schiavitù brutale, che grida vendetta in Cielo. Ora io mi domando, si doman-ogni anima cristiana, di fronte all’oppressione, alla miseria di milioni di uomini, dii'donne,'di fanciulli, che farebbe Gesù?
Vi risponde egregiamente un libro che dovrebbe avere la più larga diffusione, che dovrebbe esser letto e meditato da quanti hanno un potere, una forza, uri’ influenza qualsiasi sociale e che ha per titolo appunto : « Che farebbe Gesìc » (i)
In limiti modesti, questo è Stato ed è tuttora il programma di « Battaglie d’ Oggi »: una propaganda costante de’ principi di giustizia e d’amore, di moralità e di sincerità, e 1’ attuazione pratica quotidiana del bene nelle forme più svariate che le diverse circostanze esigono. Ora, appunto per questo, non è mancata, e non poteva mancare, la persecuzione. Da prima le Curie, con uno zelo non mostrato mai con le più immorali pubblicazioni, vietarono ai fedeli la lettura della rivista, sotto pena di peccato grave; di poi la stampa clericale, e
(x) Carlo M. Scheldon. Trad. Ed. Tagliatatela. Casa Editrice « La Speranza » Roma
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specie gli organi dei gesuiti, con attacchi frequenti, insidiosi, volgari cercarono e cercano di soffocarne la libera voce. Ma essa non tacerà, perchè ha fede che ad un movimento sorto spontaneo dalla profonda coscienza di anime rette e pie, con il più gran disinteresse personale, non potrà mancare la benedizione di Dio e 1’ appoggio morale dei buoni.
Napoli.
- GENNARO AVOLI© •
Il mio modernismo.
[In vinculo veritatis et charitatis]
Cari Giovani e Venerandi Professori! (i)
Mi dichiaro lieto d’ aver aderito all’ invito del caro Prof. Paschetto, di rivolgervi due parole. Voi vedete in me uno che porta ancora l’abito talare di prete romano, eppure da parecchi anni combatte a viso aperto il romanismo. Sarete, certo, curiosi di sapere per quali vicende storiche, e per quali evoluzioni di spirito io sia arrivato a questo punto, che se ha del tragico per 1’ anima mia, può ad altri apparir comico. Ma il tempo non mi permette di parlarne a lungo : vi accennerò solo ad alcuni punti salienti.
Di due specie sono le esperienze, da me fatte in questi ultimi otto anni, quanti ne sono passati dalle prime decisioni mie verso lo spirito moderno : di ordine pratico e di ordine speculativo.
Vi accennerò brevemente ad ambedue, e prima a quelle d’ordine pratico. All’ atto della mia ordinazione io sognava ; aveva studiato il vangelo, aveva studiato quelli che ritenevo fossero i principii più puri del cristianesimo ; sognava, quindi, una vita di lotta e di sacrifizio per la conquista delle anime così dette erranti, sì, ma anche una vita di pace e di amore fra i miei confratelli, una vita con alla base la sincerità, la reciproca tolleranza e correzione nei difetti, una vita in cui il più ricco in intelligenza od in beni materiali od in qualità morali, spezzasse il suo pane col più povero. Io concepivo la chiesa romana come una comunità di fratelli, come una comunità di santi, com’erano le pri(x) Queste parole, scritte in tutta fretta, vennero dette dal Prof. Domenico Battaini la mattina del 28 dello scorso dicembre nella Scuola Teologica Battista di Roma. Il Prof. Paschetto che l’invitò avrebbe desiderato che parlasse dell’ opera sua personale, e ne espose il desiderio ; ma il Prof. Battaini, pur essendo conscio d’aver fatto e di fare continuamente qualche cosa, specialmente per la cultura religiosa italiana, non crede d’aver fatto ancor tanto che meriti di parlarne. Questo a giustificazione del tono vago e, qua e là, saltuario della fraseologia e del pensiero.
Ecco quanto, rivedendo la bozza, ha creduto di aggiungere.
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mitiye comunità cristiane, di cui io ni’ ero tracciato un ritratto indagando le origini prime del cristianesimo.
Ahimè ! altro non era che un sogno, il mio. Fin dal mio primo entrare nella pratica del sacerdozio, mi accòrsi che ben diversa era la realtà. Invidiuzze, piccoli tradimenti, piccole maldicenze, finzioncelle accolsero il novellino al suo primo apparire sulla soglia del ministero. Passai oltre. Io non dovevo giudicare una istituzione dai difetti di alcuni suoi uomini ; compatii e continuai. Ed è così che dopo due anni di vita a Roma, 1900- 1902, io tornai ai miei paesi più ortodosso, più fisso che mai nell’ idea di fedeltà alla mia chiesa.
Ma il tempo non doveva tardare a darmi torto. Le guerre ricominciarono appena ritornato in patria. Non posso descriverle perchè mi porterebbero troppo lontano. Vi basti il sapere che, stabilitomi in Svizzera, quivi incrudirono più che mai; non mancarono le calunnie più deprimenti, non mancarono i tentativi di affamare, non mancarono, in fine, tre tentativi di omicidio. La carità mancava assolutamente : io l’avevo sperimentato su vasta scala ; le illusioni fuggivano rapide rapide di fronte alla cruda realtà dei fatti. Lo spirito di Cristo era morto nei preti, nella maggioranza dei preti : io ne ero ormai ben sicuro : non mi restava che riconoscere con tristezza il passato e studiare 1’ avvenire. Ciò che feci nel silenzio di ormai cinque anni, solo interrotto da qualche scatto. Le esperienze d’ ordine pratico, più direttamente personali, avevano fatto svanire il sogno della mia gioventù. Io ero vinto.
Mi diedi allora allo studio. E con ciò passo alle esperienze di ordine speculando. Lessi con avidità febbrile un cumulo di scrittori, specialmente stranieri; mi consacrai sopra tutto alla storia del cristianesimo e della chiesa; lessi e gustai immensamente tutte le opere del Newman, specialmente lo sviluppo del Dogma ; ad esso vado debitore della mia evoluzione prima ; lessi Loisy, poi Tyrrell, poi Harnack ; la conoscenza che avevo del tedesco, del francese e dell' inglese mi facilitò di molto l’indagine della letteratura religiosa straniera contemporanea. Lessi anche Batiffol, Tixeront, Holtzmann, Dobsehutz, Pfleiderer, Bigg, Hort-; assaggiai, poi approfondii la storia del'Dogma, leggendo autori sì protestanti che cattolici, e studiai a fondo lo spirito dei vari tempi in cui maturarono le varie istituzioni della chiesa. Finalmente lessi le opere dell' Americano D.r Lea. Queste diedero il tracollo all’ evoluzione di spirito che già da tempo rapidamente maturava. Due fatti gravissimi mi rivelava la storia a danno della Roma papale : a) una teocrazia assolutista che aveva del pagano, ma non del cristiano ; era questa teocrazia che aveva fondato il celibato obbligatorio, la confessione auricolare obbligatoria, l’inquisizione, il sistema sacramentale, il dogmatismo in luogo del dogma 1’ autoritarismo in luogo dell’autorità, b) Un conflitto stridente tra la chiesa, e quindi tra il cristianesimo predicato dalla chiesa e la civiltà del tèmpo nostro, alla quale io non mi sentiva di rinunziare.
Di fronte a questi due fatti F azione s’imponeva, un' azione distruttiva e ricostruttiva; e con ciò entro nei limiti del mio modernismo. Dico, mio, perchè non sono ancora riuscito, sebbene 1’ abbia studiato, a comprendere il modernismo di parecchi altri gruppi, dal mio differenti o divergenti. In non nego la chiesa, ma la faccio consistere nella comunione di tutti coloro che credono in Cristo e nella vita imperitura dell’ umanità per la vita di Cristo. Io non nego 1 autorità nella chiesa, ina rifiutò recisamente ogni genere di autoritarismo,
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chiunque sia colui che lo personifica. Ed al di sopra dell’ autorità esterna di un superiore qualunque io colloco sempre 1’ autorità della coscienza individuale, tempio mistico in cui il Dio vivente conversa faccia a faccia coll’ uomo. Re o regina, imperatore, papa o vescovo, nessuno ha il diritto di comprimere i diritti della mia coscienza, e se qualcuno vuole comprimerli li spezzo.
Io non nego nemmeno l’infallibilità della chiesa ; nego solo l’infallibilità dell’ individuo.... Ciò che è sempre stato patrimonio comune di tutti i cristiani, di tutta la chiesa, e quindi di tutte le denominazioni religiose cristiane è per me infallibile. Ma l’infallibilità non esiste nei punti di divergenza. Lo spirito di Cristo è nel complesso della chiesa, ma non è racchiuso esclusivamente in questo o in quell’ individuo. Tutti gl’ individui ne possiedono una particella, ed il complesso di queste particelle forma lo spirito generale di Cristo che veglia sulla chiesa. Non nego la tradizione, patrimonio sacro, lasciatoci dai secoli scorsi, ma nego il tradizionismo, nego, una tradizione fittizia, fatta di testi separati, spesso corrotti dall’ incuranza o dalla mala fede di scrittori ecclesiastici posteriori. S. Agostino non è meno eretico nè più santo di Origene, o di Clemente^Alessandrino, il cui nome da Benedetto XIV venne cassato dal catalogo dei santi, come se un uomo morto santo, potesse per volontà di papa esser, secoli dopo la sua morte, precipitato nell’ inferno come eretico. E Lutero non fu più eretico di S. Agostino nella storia del peccato originale, come i fautori moderni della separazione della chiesa dallo stato non sono più eretici di S. Optato che tale separazione proclamava contro i Donatisti, Che sostenevano la dipendenza dello stato dalla chiesa.
Non nego il dogma, ma il dogmatismo. Qui avrei bisogno di spiegare il mio concetto, perchè si tratta di una questione, anzi di una serie di questioni delicatissime. Il Dogma, per me, è necessario e non posso concepire una religione senza dogmi. Ma il Dogma non è la verità religiosa, sibbene 1’ espressione umana della stessa. Come espressione umana, poi, il dogma non è nè può esser assoluto : esso non deve mai esser allo stato di fossile. Ogni secolo ha e-spressioni sue proprie per esprimere il patrimonio ideale ereditato dal passato, e gli elementi nuovi di cui 1’ ha arricchito. Ogni nuovo arricchimento porta ad una mutazione del linguaggio, ossia della formola. I secoli precedenti ebbero forinole adattate alla quantità ed alla qualità del patrimonio conquistato. Ogni secolo nuovo aumenta il vecchio patrimonio e muta lentamente, quasi insensibilmente la formola. Ecco lo sviluppo del dogma. La verità divina è immutabile e completa in sè, ma solo poco a poco si rivela all’intelletto umano, il quale gradatamente si crea le forinole che debbono esprimere le parziali e continue rivelazioni. Siccome, poi, la verità divina è inesauribile, appunto perchè divina, e solo poco a poco si rivela all’ uomo, appunto perchè uomo, così la formola dogmatica non potrà mai essere assoluta. La chiesa di Roma proclama 1’ assolutezza delle sue forinole dogmatiche ? Benissimo, essa contravviene alla regola di progrèsso, regola assolutamente provvidenziale, che sta alla base di tutta la storia. Ma, come dico, sono dolente di non potermi diffondere di più su quésto concetto che esigerebbe un trattato. Però io sarei anche disposto ad ammettere tutti i dogmi della chiesa vaticana, purché si riconoscesse la mia interpretazione. Per esempio, mi avvicino, io suppongo, ad un altare cattolico per ricevere 1’ eucarestia. Io non credo alla presenza reale di Cristo nel senso in cui
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la predicano i teologi di sua santità o meglio, non credo nella transustanziazione. A sostegno di questo mio concetto potrei portare testimonianze di Padri della chiesa, che interpretano misticamente e non realisticamente la cena. Ma'passo oltre. Io posso ammettere che l’eucaristia sia un mezzo salvifico alla pari di un altro, ma ciò che occorre è la fede. S’io penso che Dio è in me e fuori di me, che di Lui ed in Lui io vivo, mi muovo e sono, allora anche quel pezzo di pane, il pane ed il vino della messa contengono Dio, e, perchè Cristo per la lede è Dio, contengono Cristo. La mia fede supplisce all* errore dei teologi, ed io ricevo Dio. La spiegazione salva la forinola ed il dogma, ma il dogma, ma la forinola senza la spiegazione cade.
Una cosa mi ha colpito studiando la storia della chiesa cattolica apostolica romana, il suo spirito d’intolleranza verso i discredenti. Non riesco a trovarne giustificazione possibile. L’eresia di ieri fu sempre nella chiesa 1’ ordossia d’oggi. I Donatisti d’ un tempo sarebbero oggi ortodossi per aver predicato la supremazia della chiesa sullo stato, ed al concilio di Trento, Agostino fu battuto dai Pelagiani, e le vecchie e condannate teorie di Origene risorgono oggi vestite a nuovo. Eppure i Donatisti sono ancor oggi eretici ed Optato un santo, ed e-retici sono i Pelagiani ed Agostino un santo; mentre Origene è un eretico ed i teologi di sua santità sono.... i teologi di sua santità.
E con ciò posso dire d’ aver dato un cenno, sebbene pallidissimo e monco, di quello che chiamerò il mio modernismo, dal lato inlelleluale. Del mio modernismo pratico, giacché ce 1’ ho, non ho tempo di parlare. Esso è frutto di esperienze pratiche personali e di studio, e le esperienze pratiche mi hanno aperta la via alle intellettuali. Non dirò che sia condiviso da tutti i modernisti, ma non credo che il gruppo che rappresento sia disprezzabile. Di esso fan parte quasi 500 sacerdoti. Vi parrà strano, eppure è così. I sacerdoti romani in. pubblico tremano, perchè un pane non è facile oggi trovarlo, e la vita nateriale ha pure essa le sue esigenze. Ma vorrei che vi trovaste voi, come mi trovo io, a diuturno contatto con questi poveri paria di una società che li deride perchè stanno nell’ovile, e li disprezza come buoni a nulla se ne escono, senza pensare ai tesori di energia e di fecondità che nascondono nelle loro povere anime. La chiesa romana è implacabile con chi 1’ abbandona, ed essa è ancora abbastanza potente per ridurli alla disperazione.
Ho letto in qualche rivista protestante parole di disprezzo per questi fratelli che non hanno il coraggio di buttare una veste che disprezzano, per timore del pane quotidiano, e quelle parole mi hanno fatto male e, debbo dirlo con tutta sincerità? mi hanno mosso a sdegno, perchè posso vantarmi, non solo di conoscere il clero romano, ma anche di avere un poco di esperienza della vita. Allorquando or son sei anni compiuti, mi piombò improvvisa tra capo e collo quella sospensione che durerà per tutta la vita, perchè mai più tornerò sotto i padiglioni dell’ ortodossia, facendo di me un reprobo ed un ilota, io aveva in tasca la bella somma di fr. 32,35. Parole buone, per me ce ne furono molte; ne ebbi da liberi pensatori a iosa ; ma chi venne in aiuto al misero che gemeva ? Chi gli offerse un cuore ed un pane, ed un aiuto morale e materiale nell’ ardua lotta che stava per intraprendere? Una donna, una santa, un essere debole, che perciò, ha diritto al mio sangue se venisse il giorno in cui fosse necessario versarlo.
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una donna eh’ io venero e venererò senza curarmi delle chiacchiere o delle malignità degli imbecilli e dei senza cuore.
Il clero romano geme; il clero romano morde il freno, ma è costretto a tacere. Finché non saremo in grado di sovvenire ai primi bisogni di migliaia d’ uomini, finché lo stato si conservi neghittoso ai cospetto di migliaia di suoi cittadini torturati in nome di una formula, è vano sperare che questi poveri preti alzino la testa alla luce del sole, scuotano il giogo di una durissima schiavitù e si rivendichino alla libertà d’ uomini. Ultimo suo rifugio, la schiavitù dei tempi pagani, sebbene sotto altra forma, s’è rifugiata nel ceto dei preti cattolici romani. Ed è per questo che io vorrei dire a tutti i protestanti di tutte le denominazioni : fratelli cristiani, non disprezzate questi poveri preti modernisti, quantunque non abbiano il coraggio di proclamare apertamente il loro modo di sentire. Non disprezzateli, ma porgete loro la mano quando vi si presentano. Il modernismo è il più grande movimento religioso dei tempi moderni. Creazione anonima e spontanea, esso é la reazione naturale, per forza di cose, contro una condizione religiosa resasi intollerabile.
Quando Lutero, nel 1512 oppure 1515, non ricordo bene la data, ma conta poco, nella piazza di Wittenberg bruciava la bolla papale, iniziava la protesta contro i soprusi, che Roma da secoli consumava in Germania, avida dell’ oro ma incurante delle anime dei tedeschi, ed iniziava il maggiore movimento di ribellione contro Roma che rammenti la storia. L’atto del riformatore di Wittenberg lo compiono oggi i modernisti più arditi, coadiuvati da una forte schiera di umili e nascosti gregarii. I fratelli protestanti si ricordino di ciò che furono allora e comprenderanno ciò che siamo noi oggi. E rammentino pure che 1’ u-nità assoluta è mezzo ma non fine. Lo dice anche il Duchesne, nell’ introduzione al volumetto Eglises separèe*. La chiesa vaticana ha attribuito all’ unità la ragione di fine e non di mezzo.
Dieci anni or sono io partiva da Roma ortodosso convinto. Chi avrebbe detto che, dieci anni dopo, vi sarei ritornato eretico, ed avrei parlato qui a voi di confessionalità diversa dalla mia di allora ? a membri di una confessionalità ai quali, secondo il diritto canonico di papa Pio X e dei suoi predecessori non si dovrebbe nemmeno rendere il saluto ? Eppure così è 1’ evoluzione della vita, ed io sono fiero che così sia di me, poiché nulla io temo all’ infuori dei rimproveri della mia coscienza. Termino con un’ esperienza storica di cui protestanti e modernisti dovrebbero trarre profitto e che dovrebbero tenere sempre presente per non peccare contro la logica della storia : 1’ eresia di oggi è sempre stata 1’ ortodossia di domani.
D. BATTAINI.
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“ Religione e Religioni,, di Otto Pfleiderer
egli ultimi cinquantanni si è sperimentato un gran cambia mento nel modo di giudicare intorno alia religione. Vi fu un tempo in cui si soleva parlare senza alcuna qualificazione della vera e delle false religioni. La vera era il. cristianesimo e tutte le altre erano emanazioni del maligno, eccettuata quella degli Ebrei alla quale si riconosceva un’origine divina, ma cui si negava
ornai il diritto di esistere. Il quadro delie religioni mancava di sfumature. Ma oggi è universalmente ammesso che, mentre da molti il cristianesimo è mal concepito, vi sono, anche nelle religioni più imperfètte e degradanti, sprazzi della vera luce e che Iddio non ha lasciato neppure i luoghi più tenebrosi della terra privi di qualche raggio della verità, di qualche scintilla di « quella luce vera la quale illumina ogni uomo che viene nel mondo ».
Questo nuovo modo di giudicare non è se non un ritorno al punto di vista dèlie Scritture, per es., a quello del grande missionario S. Paolo, come si nota nel suo discorso ai filosofi di Atene, e nel suo ragionamento nell’ Epistola ai Romani (Gap. I, 18-21 e II, 14-16 e 26, 27).
Questo libro del Pfleiderer è una illustrazione di questo mutato modo di giudicare intórno alle religioni. È un voi. di 279 pagine, tradotto dal tedesco da Giuliano Balbini e pubblicato dai fratelli Bocca. S'apre co a brevi prefazioni dell’ autore e del traduttore, e la sostanza del libro è distribuita in quindici capitoli, che corrispondono ad altrettante lezioni pronunziate dinanzi ad un numeroso uditorio nell’ Università di Berlino. Nella prefazione l’A. dice che delle varie religioni non ha potuto mettere in rilievo se non quello che è veramente essenziale. Il suo punto di vista egli spiega nelle tre prime conferenze che costituiscono l’introduzione all’opera, e rivolgendosi a quei lettori « che fossero troppo inferiori alle riflessioni filosofiche », li consiglia di saltarle in principio, per poi rivolger loro uno sguardo alla fine. Il traduttore dice che « le conferenze sull’Ebraismo e sul Cristianesimo sono le migliori del libro». Mi dispiace di non potei1 condividere quest'opinione. Quella sul Cristianesimo mi pare assai difettosa, e avrò da dirne qualcosa più in là
Le tre prime conferenze trattano dell’ Essenza della Religione, dì Religione e Morale, e di Religione e Scienza. La quarta si occupa dei principi! della
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religione, e nelle altre l’A. s’intrattiene sulle religioni cinese, egiziana, babilonese, di Zarathustra e cullo di Mitra, sul Brahminismo e Buddismo, sulla religione greca e quella d’Israele, sul Cristianesimo e finalmente sull’ Islamismo.
È vero che le tre prime conferenze vogliono esser lètte con attenzione, e mi pare che la prima sull’ Essenza della Religione avrebbe potuto essere più esplicita. In essa F Autore approva la definizione data da Lattanzio : « La religione è F unione con Dio per mezzo dei vincoli della devozione * ; ma, per renderla applicabile anche ai politeisti^ egli sostituirebbe a « Dio », F espressione: « Una potenza soprannaturale dominatrice del inondo ». L’autore nega che la religione sia stata creata dalla pania come alcuni pretendono, perchè nei primi concetti eh’ ebbero gli uomini di Dio si trovano oltre la paura anche la fiducia e la riconoscenza. Egli obbietta giustamente al Feuerbach e ad altri che non si deve cercare l’essenza di una religione nelle sue fórme inferiori, bensì in quelle più sviluppate.
« La natura della quercia non si scopre dalla ghianda, ma solo studiando F albero cresciuto ; nè la natura dell’ uomo ci sarà rivelata dal neonato, bensì dall’ uomo maturo. Gosì pure non si può esprimere un giudizio sull’ essenza della religione ricavandolo dai suoi inizi più bassi ».
Il Feuerbach dal fatto che nei gradi più bassi della coscienza religiosa si hanno preghiere e sacrifici che implorano il compimento dei desideri sensuali ed egoistici, ha concluso che la religione è « il prodotto del cuore egoista e della fantasia visionaria ». Ma il nostro Autore domanda con ragione :
« Come ci spiegheremo che una tale creazióne irragionevole del cuore malato ed egoista si sia rivelata come il mezzo più efficace appunto per vincere il naturale egoismo umano? »...... Anche qui varrà il detto: « Dai loro frutti voi li riconoscerete »..... Non nell’ irragionevolezza del cuore egoista bisogna cercare la sua origine, ma nella ragione.
« Tutti i pensatori più grandi, a cominciare da Platone e da Aristotele, convengono che il pensiero divino si comunichi necessariamente alla nostra ragione ».
L’A. esamina F apparente implacabile discordia fra F idea della verità e F idea del bene, fra ciò ehe è e ciò che dev’ essere, e discute le teorie dello Spinoza, del Goethe, del Kant, dello Schiller ed altri, e nel corso del suo ragionamento ci dà una definizione della fede.
« La fede in Dio è precisamente la rivelazione dell’intima essenza della ragione, della sua divina necessità superiore ad ogni arbitrio, è in altre parole la rivelazione di Dio nello spirito umano ».
La conclusione del Pfleiderer sembra sia questa: che F Essenza della Religione consiste nella conoscenza di Dio. Egli termina la prima conferenza con le parole del Goethe: « Riconoscere Dio dove e come egli si ma/nifestay questa è veramente la beatitudine sulla terra » ; parole che richiamano alla mente quelle che si leggono in Giov., XVJI, 3: « Questa è la vita eterna, Che
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conoscano le, che sei il solo vero Iddio, e Gesti Cristo, che tu hai mandalo ».
La conferenza sul tema : Religione e morale mi sembra chiara e semplice, benché il soggetto sia, come osserva Fautore, « irlo di contrasti e di discussioni ». È un piacere leggere una dichiarazione come questa :
« Su un punto non può cader dubbio: che fin da principio religione e morale fossero completamente separate è un errore inconcepibile. Tutti i più seri studiosi dell’ antichità riconoscono che ogni buon costume dell’ umanità trasse la sua prima origine dalla fede religiosa e dal culto ».
Quest’ asserto viene illustrato dalla storia della famiglia, dell’ amministrazione della giustizia, dell’arte e degli affari e di tutti i momenti più importanti nella vita degli individui e delle comunità. Taluni obbietlano che la religione eserciti una influenza nociva sulla morale, ma dalle prove addotte apparisce chiaro che non è la religione stessa che fa ciò, ma soltanto qualche sua forma corrotta. È ben possibile, e ben spesso avviene, che il servizio divino del culto e gli scopi morali della Società si trovino fra loro in contrasto. Allora la religione invece di essere il più forte motivo della moralità, diventa per essa il più grave ostacolo. Ma questo stalo di cose è il risultato di una idea erronea di Dio. Si attribuisce a Dio una volontà egoistica invece di riconoscere nella sua volontà il perfetto Bene la cui finalità coincide col supremo bene universale ».
È un fatto che « anche fra coloro che vivono fuori di ogni religione positiva, vi sono dei caratteri degni della maggior stima, che si distinguono per coscienza e per fedeltà ai loro doveri, e per zelo verso il bene comune. Ma tali persone traggono i loro principii e sentimenti dalla religione. Essi hanno ricevuto la loro educazione dalla comunità morale, la cui coscienza etica poggia sulla concezione religiosa del mondo ». Questo mi richiama alla mente quel eh’ è stato detto da qualcuno : che vi sono fra gli atei uomini saturi delle influenze che provengono da una lunga linea di antenati cristiani.
L’Autore dichiara : « È indiscutibilmente vero, che la coscienza elica generale delle società umane s’informa alle varie fedi religiose, e con esse sorge e cade. L’esperienza storica ci mostra luminosamente, che nelle epoche di decadenza religiosa, d’incredulità, di scetticismo, anche la coscienza morale tende a contusione e dissolvimento... Solo la coscienza di un obbligo verso la Volontà divina che è ragione, legge, scopo comune di tulle le vite, può generare negli uomini il sentimento di un vincolo indissolubile che impone loro reciproci obblighi ».
Questo è ben detto, ed è degno di essere ponderato da molli che ammirano i fiori tagliati dal giardino del cristianesimo, mentre disprezzano le loro radici, e si rifiutano di coltivare o di entrare nel giardino stesso, che colgono i fruiti e maledicono o trascurano l’albero che li porla.
L’autore risponde efficacemente a coloro che dicono che la fede nella Provvidenza rende gli uomini pigri, e che la speranza nell’al di tó, la stanchezza
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del mondo e l’aspirazione verso il cielo debbono esercitare un’influenza para-lizzatrice sul lavoro mentale. Egli ammette che non riusciamo mai ad una mèta definitiva. « L’uomo erra fino a che aspira». «L’ideale sempre si allontana, vanisce sempre più in alto, sempre più lungi dai nostri sguardi. Ciononostante esiste un posto di rifugio dove possiamo partecipare all’derno come ad uno stalo presente ». « Conviene innalzarsi al punto di vista di Dio, e guardare le cose del mondo sotto l’aspetto dell’eternità ». L’autore termina questa eccellente conferenza dicendo :
« Cosi la religione non è solo la radice del vigore morale, e-s i è anche il suo coronamento e la sua perfezione, essa sintetizza in un lutto il lavoro imperfetto della terra, dal dolore e dalla battaglia del tempo ci innalza alla eternità ».
La conferenza su Religione e Scienza è tuli’altro che soddisfacente. È vero che l’Autore dimostra chiaramente che la scienza non esclude la fede in Dio, ma la richiede. 11 suo ragionamento su questo punto è stringente ed irrefragabile. Ma egli riduce la religione ad « una determinazione psichica», getta via il miracoloso, e tratta come miti non soltanto il sacrificio di Isacco e la storia di Mosè, ma anche la divinità di Gesù. Ci vorrebbe troppo spazio per rispondere alle sue pretese — ragionamenti non vi sono — espresse in questo articolo. Basti dire che scienziati come Lord Kelvin e Sir Oliver Lodge parlano in una maniera ben diversa.
La conferenza sui Principii della Religione comincia con queste parole : « Che cosa sappiamo dei principii della religione? A rigore di termini Scippiamo proprio niente ». Questo ci fa pensare al famoso racconto dei serpenti d’Irlanda, il quale cominciava colla dichiarazione: « Non vi sono serpenti in Irlanda ». E, dopo una simile affermazione, l’autore scriveva più di venti pagine intorno a ciò di cui, secondo lui, non si sapeva niente. Ci si può quindi scusare, se accettiamo le sue elucubrazioni con beneficio d’inventario. Noi, come lui, crediamo che vi sia stata una evoluzione nella religione, ma abbiamo anche ragione di credere che vi è stalo il particolare intervento di Dio. V’è una dichiarazione dell’A. la quale ha un grande valore per coloro che non accettano le sue vedute; eccola: « Non si può trascurare la possibilità di un regresso, di una degenerazione da più alti principii, tanto più che appaiono oggi parecchi indizi positivi di un tal processo ».
Egli nega che il feticismo sia stala la primitiva religione, e dice che quella primitiva religione potrebbe chiamarsi invece : « Ingenuo-patriarcale enoleismo ».
Devo rimandare i miei lettori al libro stesso se vogliono sapere quel che F Autore dice delle varie religioni del mondo. M’interessa specialmente quel ch'egli espone intorno alla religione d’Israele e più particolarmente quello che afferma del Cristianesimo. Pel Pfleidercr la storia dei patriarchi — Abra-hamo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe — è una saga, un mito. Egli pensa che Mosè « sia stala una figura storica di spiccata importanza », ma il racconto
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Che la Bibbia fa delie sue gesta, della schiavitù d’Israele, della sua liberazione e del suo soggiorno nel deserto — tutto questo è un mito, e i profeti d’Israele ài principio erano de’ « fanatici stravaganti simili ai Koribandi e ai Dervisci ».
Ora dove sono le prove di tutto questo? Quali sono i sani ragionamenti che inducono ad emettere un tale giudicio? Mancano assolutamente, e invece di essi si usano espressioni di questo genere : « Tutto questo è così inverosimile » ; « SE... ne seguirebbe », eie. Il popolo d’Israele non deve essere uscito dall’ Egitto nel modo raccontato dalla Bibbia, perchè non vi è menzione di una tal fuga in alcuna iscrizione monumentale d’Egitto, mentre esiste una iscrizione che fa menzione degl’ Israeliti e dice che il loro paese era stato devastato. Ma crede il nostro Autore che i superbi monarchi dell’antichità fossero avvezzi a far scrivere sui monumenti e tramandare ai posteri la storia delle loro disfatte? È molto possibile, se non probabile, che nella storia narrata nella Bibbia entri qua e là la leggenda, ma questa teoria del Pfleiderer mi sembra incredibile. Una spiegazione di caratteri come quelli di Abrahamo, Mosè, Isaia e Geremia che si avvicini almeno a quella eh’ è accettata dai più, fra i cristiani, mi pare molto più ragionevole. L’alta moralità e la cospicua intelligenza di uomini come Isaia e Geremia, nei quali non scorgo alcuna traccia di fanatismo ed i quali accettavano la storia delle origini della loro nazione, li rendono più degni di essere creduti, che uno scrittore moderno, il quale accetta o rigetta i racconti della Bibbia a seconda che gli sembrano verosimili o inverosimili.
Ma è quando il Pfleiderer tratta del Cristianesimo che noi ci sentiamo più lontani da lui. È vero che egli lo tiene alto nella sua stima. « È la religione superiore a tutte le altre ». « Esso sta al di sopra di ogni contrasto ». < Il cristianesimo tende a congiungere in sè stesso e ridurre ad una superiore unità le forme più opposte delle religioni anteriori ». « La fede cristiana nella redenzione concepisce l’accordo del divino e dell’ umano come un fatto compiuto nella incarnazione del Figliuolo di Dio ». « Il cristianesimo fu come il grande bacino collettore, fu il mare in cui confluiscono tutti i fiumi ». Fin qui sta bene; ma dice altre cose che mi sembrano lontane dalla verità. Infatti, egli prepara i suoi lettori, al principio di cotesta conferenza, alla eliminazione ch’ egli crede di dover fare del soprannaturale. Dopo avere dato un consiglio buonissimo, che farebbe bene egli stesso di tenere al cuore, in queste parole:
« Bisogna ben guardarci dall’ errore oggi così diffuso ’ di leggere nei documenti biblici ciò che in realtà non c’è, e di scartare al contrario le cose che vi sono realmente contenute, perchè non sono più accette al nostro modo di vedere »....
Dico che dopo avere dato questo eccellentissimo consiglio, egli procede : « È appunto cosi che nascono come funghi dalla terra quei molti fantfr
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siici romanzi su Gesù, che noi possiamo ben concedere ai poeti, ina non debbono pretendere di essere considerati quali racconti di verità storiche ».
Suppongo che « i fantastici romanzi su Gesù siano le vedute che ha, e che ha avuto sempre, la maggioranza dei cristiani riguardo la persona e l’o-pera redentrice del Salvatore. L’Autore dichiara che « fino da principio il Cristianesimo è stato una religione di redenzione»; eppure nella medesima pagina egli dice : « Non è possibile che Cristo abbia creduto in una redenzione per mezzo di sè stesso ». Chi scrive, a questa dichiarazione dell’ Autore, preferisce quella di Gesti stesso, riferita da Matteo e da Marco : « II Figlino! dell' uomo non è venuto per essere servito, anzi pei- servire e per dare F anima sua per prezzo di riscatto (Xvtpov prezzo di redenzione) per molti ». Ci maravigliamo che F Autore, conoscendo bene l’orrore che i Giudei ed i primi cristiani avevano per F idolatria, possa credere che la fede nella risurrezione di Cristo, non fosse che un adattamento di quella che i pagani avevano nella morte e nella risurrezione annuale di Adonis, e che abbia potuto scrivere :
« Poiché i riti religiosi non si formano dal nulla, converrà ammettere che i cristiani di Antiochia conservassero i loro antichi costumi pagani coi quali avevano celebrala la risurrezione del loro Signore Adonis, li abbiano semplicemente trasportati nel culto del nuovo Signore, cioè del Cristo ».
Ed è pili maraviglioso ancora, se ciò è possibile, che uno che sa qualche cosa della vita e dello spirito di Paolo, possa credere ch’egli, insieme con Barnaba, seguisse quei d’Antiochia nell’ adozione di quella leggenda pagana, e, applicandola a Cristo, se ne servisse per ingannare gli altri e forse sè stesso.
Il Pfieiderer dice: « Era naturalissimo che Paolo accettasse le usanze e le idee trovate nella comunità pagana » ’. ! Come uno che conosce la vita e l’indole dell’Apostolo Paolo, quali ci sono rivelate negli Atti degli Apostoli e nelle sue epistole, possa parlare di lui in cotesto modo, io veramente non riesco a comprendere. Quello che il nostro Autore presenta come « naturalissimo », a me sembra assolutamente incredibile. Egli inoltre non tiene conto della gelosia della chiesa di Gerusalemme, gelosia ch’era stata con difficoltà acquetata dai discorsi di Pietro e Giacomo, e la quale non avrebbe mancato di suscitare contro ad un tale costume una tempesta assai più tremenda di quella che sorse circa la questione della circoncisione. I nemici di Paolo fra i Giudaizzanti avrebbero adoperato contro di lui e con gran zelo l’accusa di complici là col paganesimo; ma nonostante il loro odio contro di lui, nessuna accusa di tal genere venne mai formulata.
Fortunatamente, la maggior parte dei cristiani intelligenti non si sente di sottoscrivere alle parole :
« L’elemento mistico e soprannaturale ha perso ogni valore per noi ».
L’Autore cerca di dare una spiegazione filosofica delle cose più centrali dell’Evangelo, e delle dottrine di Paolo ; spiegazione filosofica che quell’ Apo-
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slolo avrebbe trattato con disdegno, e per la cui propagazione egli non avrebbe di certo fatto sacrifizio della propria vita. Le dottrine che per i cristiani che vogliono attenersi all’Evangelo costituiscono il midollo della religione di Cristo, sono pel Pfleiderer, soltanto l’involucro simbolico di una verità, difficile a comprendersi dagli uomini semplici. Egli stesso ha evidentemente un po di paura dell’influenza che può esercitare-il proprio insegnamento; egli dice infatti: « E badiamo bene di non aver troppa furia di buttar via questi involucri simbolici, prima di averne conosciuto il profondo significato, perchè potremmo facilmente perderne di vista l’essenza ideale o almeno sminuirla o sformarla trivialmente ». Mentre leggo questa trasformazione dell’ Evangelo, operata dal Pfleiderer, mi pare di sentir l’Apostolo Paolo dire ai Colossesi : « Guardate che non vi sia alcuno che vi tragga in preda per la filosofia e vano inganno ».
Ma ho il piacere di poter chiudere queste osservazioni con 1’ ultimo brano della Conferenza sul Cristianesimo, al quale posso sottoscrivere. 11 Cristianesimo contiene in sè tutto quello che c’è di buono nelle altre religioni. « Del Buddismo aveva lo spirito di abnegazione e di rinunzia, il sentimento di pace e di rassegnazione, e come la religione di Zarathustra predicava la lotta coraggiosa contro le essenze antidivine, e la lieta speranza della vittoria della causa divina nel mondo. Ha comune Coll’Ebraismo la fede in un unico Dio sublime e santo, giudice degl’individui e dei popoli, nella venuta del suo regno sulla terra. Perfino con Platone ha comune la lède in un Dio, che è supremo Bene e fonte pura di ogni cosa vera e buona, la fede nel divin mediatore Eros, nella sacra forza vivente nel nostro Io, che ci sprona verso l’ideale fulgido dall’ alto. Come lo Stoicismo infine insegna la libertà interna vincitrice del mondo, la calma serena e pacata del carattere, la forza autonoma della volontà, l’ampiezza del concetto di umanità, che comprende tifitele nazioni a tutti gli Stati. Ma il Cristianesimo ravvivò questa fredda ed orgogliosa virtù degli Stoici colla fede che il mondo è di Dio, coll’ amore, che serve giocondamente i fratelli, colla speranza che ogni dolore del tempo si scioglierà Un giorno nella pace dell’ Eternità ».
« Così il Cristianesimo diventò la religione delle religioni, ha superato il mondo antico ed ha segnalo 1* inizio di un mondo nuovo ».
NATII. H. SHAW.
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Il culto di Vulcano e Iantichità di Ostia.(,)
LTRE ai praelorcs ed agli aediles sacris Vulkani (o Volcani) | faciundist le iscrizioni di Ostia ci ricordano il pontifex
Volcani et aedium sacrarum, al quale spettava la giurisdizione sacra nella colonia, giacché occorreva il suo permesso per fare qualsiasi innovazione nei luoghi del culto, perchè vi si potesser collocare, per esempio, iscrizioni e statue ; e ' quando una nuova piccola città si formò intorno ai porti di Claudio e di Traiano, la sacra giurisdizione del pontifex Volkani ostiense si estese pure colà. Il che ci prova l’alta importanza di quel sacerdozio per la colonia ; infatti a questa carica venivano chiamati personaggi che erano saliti in Roma all’ onore del Senato. Sembra che in epoca antica quello fosse non solo il sommo sacerdozio, ma 1’ unico, oltre quello dei praetores e degli aediles di Vulcano, giacché sino ad ora non si è trovato nelle iscrizioni ostiensi alcun cenno ad àuguri, e tutti gli altri sacerdozi che hanno lasciato traccia di sé sono evidentemente di origine recente o straniera.
Non • c’ intratteniamo a parlare di questo sacerdozio e di questo culto essendo quest’argomento materia del capitolò su Ostia religiosa; ci preme soltanto di rilevare qui il fatto assai caratteristico ed unico di una colonia romana, che nel suo Pantheon dà a Vulcano il posto che Roma e le altre sue colonie più recenti riserbano a Giove Ottimo Massimo e alla Triade capitolina (2).
(1) Dal volume: Ostia — colonia romana, di imminente pubblicazione — Opera premiata ed edita dalla Pontificia Accademia Romana di Archeologia — 1 Voi. in 8., di oltre 550 pagg. con 160 illustrazioni ed una tavoli*.
(2) Ecco alcuni dati riguardanti la diffusione del culto di Vulcano: da Tarquinii proviene una patera recante la seguente arcaica iscrizione Volcani pocolom (CIL., 1,50). Traccia del culto di Vulcano - Summano troviamo nei nome della località Monsummano in quel di Lucca. A Perugia la divinità associata a Giunone era Vulcano (App. B. C.t V. 49; Cass. Dio., XLVIII, 14, 5). 11 tempio di Vulcano in quella città era nel luogo oggi occupato dalla cattedrale dedicata a S. Lorenzo, il quale santo in molte città toscane succedette a Vulcano ; notisi che presso alla cattedrale è la porta detta Sole — Recano l’effigie di Vulcano le monete delle colonie di Ariminum e di Aesernia, e quelle di quest’ ultima hanno qualche volta impressa la leggenda aisernim volcanom (CIL., I, 20) ; sorge però la domanda se si tratti in questi casi del Vulcano originario o di quel-
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IL CULTO DI VULCANO E L’ ANTICHITÀ DI OSTIA
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Non crediamo di errare dicendo che fosse una norma generale, o per lo meno un’ usanza tradizionale quasi generalmente seguita dai municipi e dalle colonie romane, quella di erigere, imitando la madre patria, dei capitolia in o-nore di Giove O. M. e della Triade. Infatti con le notizie incidentali dateci da storici antichi, da epigrafi e, in taluni casi, da fortunate scoperte archeologiche possiamo giungere a compilare un elenco d’ una quarantina circa di municipi o colonie, che siamo certi fossero provvisti di un capilolium (i). Questo fatto sorprende pel suo carattere di generalità: poiché siamo certi che esistevano capiiolia o che per lo meno si rendeva il culto alla Triade capitolina non solo nelle più lontane regioni d’Italia, ma fin sui limiti delle provincie estere più remote ; tanto che qualcuno è stato indotto a credere da questa constatazione, che Roma doveva avere emanato qualche legge in proposito (2). Ma senza ricorrere a quest’ ipotesi, che richiederebbe in sostegno qualche passo d’ autore, crediamo di poter spiegare il fatto con la semplice considerazione eh’ era perfettamente naturale che dei cittadini romani, recandosi in lontane regioni per fondare colo posteriore. Almeno il dubbio sorge più insistente per le colonie di Rimini e di Iser-nià : non potrebbe darsi che il Vulcano effigiato sulle loro monete non fosse altro che il dio che presiedeva alla fabbricazione delle monete? e quest’osservazione ci è suggerita dal fatto che nei denari di T. Carisio (Babelon, I, p. 314) da un lato si vede la protome di Inno Moneta dall' altro il berretto di Vulcano e gli arnesi per batter moneta ; non sarebbe qui il dio primario, bensì 1’ Efesto greco che lavora nelle fucine. — E-saminata buona parte del CIL. abbiamo trovato bensì traccia del culto di Vulcano nelle provincie, ma non vi abbiamo veduto nulla che abbia da fare col carattere eh’esso aveva assunto ad Ostia. Nella provincia narbonensis abbiamo il ricordo di un’ ara a lui rizzata (CIL., I, 1488). La Spagna, mentre dà abbondanti ricordi del culto a Giove O. M., non ha il minimo accenno a quello di Vulcano (CIL., II). Le provincie Moesia sup., Raetia, Pannonia inf. e sup. ricordano quel dio in varie iscrizioni (CIL., Ili, 1661, 3505, 3646, 4447 ; III, 5799) — così è ricordato sempre come uno degli dei secondari, in un’ iscrizione di Aquileia (V, 83S) e in tré di Brixia (V, 4293, 4294. 4295)- Pochissime volte è ricordato nella Britannia (VII, 80, 86, 398) ove invece sono numerosissime le iscrizioni che menzionano Giove O. M. — Per 1’ Africa latina, di contro a numerosi accenni a questa divinità, non ve n’ è uno a Vulcano (Vili). — Gli stessi risultati si hanno all’ incirca dall’ esame del resto del Corpus. Ci siamo imbattuti, durante la nostra esplorazione epigrafica, in un sol caso di sacerdote addetto al culto di Vulcano fuori di Roma e di Ostia: è un flamen l'olcani a Volcei (CIL., X, 414) • >na là genuinità dell’ iscrizione che lo nomina è messa in dubbio.
(1) Vedi Oscarus Kuhfeldt, De Capitoliis imperii romani, Berol. 1882; A. Castan Les capiloles provinciaux du monde rom., Besançon, 1886. — De Ruggiero, Dizionario epigrafico, articolo su Capitoliunr, Roscher, Mylhol. Lex. all’ articolo (Jupiter capitolinus),
(2) A. Kuhfeldt, op. cit. p. 78.
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Ionie romane, in mezzo a popoli stranieri, vi portassero anche il culto principale della madre patria, il culto, per così dire, ufficiale dello stato romano: esso laggiù, per loro lontani da Roma, era un ricordo vivente della patria, e per gli stranieri un’ affermazione della grandezza, della gloria e della potenza romana (i).
Aggiungiamo che v’era nelle colonie, e nelle città che ricevevano l’ambito diritto della cittadinanza romana una tendenza ad imitare Roma stessa, non solamente nelle organizzazioni della propria repubblica, ma eziandio spesso nel-1’ aspetto esterno della città: e così molti capìtolia sorsero forse — e special-mente nelle colonie (2) — solo per seguire l’esempio della metropoli. È eloquente il caso di Capua che pare fosse dominata da una vera ambizione di rivaleggiare con Roma, di apparire come una seconda Roma, attirandosi perciò qualche puntata ironica dell’eloquenza di Cicerone, che la chiama illa altera Roma (3). E Capua aveva il suo bel capilolium (4).
Ci aspetteremmo dunque di trovare anche nella colonia di Ostia, di cui tanto materiale epigrafico e tante vestigia ci son pervenute, qualche tràccia o notizia di capilolium o per lo meno del culto capitolino; ma troviamo invece al posto di questo e di quello, come abbiamo già osservato, il culto di Vulcano ed il di lui tempio (5). Come spiegarci tale fatto così caratteristico ? Crediamo
(1) Le colonie nella niente degli antichi romani dovevano essere come una insegna, un monito di Roma presso gli stranieri, in mezzo ai quali si stabilivano. GiC., De leg. agr. Il, 27, 73: Est operae prelium diligentiam maiorum recordari, qui colonias sic ido-neis in locis conira suspicione»» pericoli collocarunt, ut esse non oppida Ilaliae, sed propu-gnacula imperii viderentur. Cic., Pro Font., I, 3: colonia (Narbo) noslrorum civium, spe-ctila popoli romani ac propugnaculum, illis ipsis nalionibus oppositum et obiectum.
(p) Questa tendenza era più marcata nelle colonie di cui si disse (Gell., N. Alt. XV, 13, 8): Ulae (coloniae) urbcm Romani, cuius quasi ejjìgics paruae simulacraque esse quaedam videntur. Castan.. op. cit., fra una quarantina di capitolia ne conta ben 27 in città coloniali.
(3) Cic., De leg. agr.. Il, 32: lune conira hanc Romani, commtinem palriam omnium nostrum, illa attera Roma quaeretur...; — Philipp, orai. XII, 3, 7: quem ad modum nostrum hoc consilium Capila probabit, quae temporibus his Roma altera est...; cf. anche De leg. agr., II, 34.
(4) Soprastava tutti gli altri edifici della città: vedi Sil. Ital., Punte. XI, 264-267.
(5) L’ unica notizia dell’ esistenza del culto di Giove (quale Giove ?) ad Ostia ci é data da Livio (XXXII, 1) il quale riferisce che nel 575 di Roma 1’ aedes lovis d’Ostia fu colpita dal fulmine. Il fatto che nonostante la presenza ad Ostia del culto di Giove e di un tempio a lui dedicato, il culto di Vulcano rimase il principale, è tutto in favóre dell’ antichità e fors’ anche unicità di questo culto nei tempi antichissimi della colonia. Da alcuni si è creduto di poter affermare - basandosi sull’ iscrizione CIL., XIV,
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che potremo renderci ragione dell’ importanza straordinaria di quel culto ad O-stìa, ammettendo una delle due ipotesi seguenti: o esso era il culto locale trovato dai primi romani che fondarono la colonia, e fu da essi rispettato perchè sperimentato propizio nell’ impresa della loro occupazione (i), oppure era il culto principale a Roma in quell’ epoca, il culto patrio, e naturalmente i coloni lo portarono seco nella loro nuova residenza.
Quantunque la prima ipotesi sembra avere qualche base nella considerazione ch’era possibile che in una località occupata probabilmente dagli etruschi, si venerasse Vulcano, divinità a loro ben nota, pure ci sembra più vicina alla realtà la seconda. Difatti è evidente che i coloni fossero più disposi a rimaner fedeli al culto patrio, che ad un culto locale di gente straniera, e siamo indotti a credere che i coloni dell' epoca monarchica, come fecero quelli della repubblicana ed imperiale, abbiano trapiantato nelle nuove residenze i culti patrii, o per lo meno il culto principale o uno dei culti principali dello Stato. Se quindi potessimo dimostrare che appunto verso l’epoca della fondazione di Ostia, il culto di Vulcano a Roma teneva il primo posto, o per lo meno era uno dei culti principali, avremmo in «questo un’ interessante e soddisfacente risposta alla nostra domanda.
Non possiano ingolfarci qui nel labirinto della mitologia romana dei primordi di Roma, nell’ intento di afferrare il filo del suo pensiero religioso, rintracciando le origini dei culti alle varie divinità e le relazioni esistenti fra di loro, onde far risaltare la posizione occupata dal culto di Vulcano (2). Ci limitiamo semplicemente a raccogliere quei dati sicuri che valgono a convincerci che quel culto nell’ epoca anteriore all’ innalzamento del capitolium e allo stabilimento del culto di Giove O. M. doveva godere di una venerazione di gran lunga superiore a quella che ebbe poi, quando con l’invasione dell’ ellenismo
32 — l’esistenza di un capitolium ad Ostia e l’hanno voluto riconoscere negli avanzi imponenti di un tempio; esaminiamo quest’ipotesi in altra parte del volume.
(1) Marquakdt, Cult., I, p. 25. Egli dice: « Era per Roma un articolo • di fede che una città non potesse essere presa se non si riusciva a decidere il dio che la proteggeva ad abbandonarla ».
(2) Vedi E. Pajs, St. d. li. I, 1, p. 371. Chi volesse semplicemente vagliare e coordinare il materiale smosso dal Pais intorno a Vulcano e a G. O. M. (Vedi spedalo). I, ni p. 178 e seg.) e vedere quanto di verosimile e di dimostrabile è nelle sue conclusion. che ci conducono ad affermazioni straordinarie (Vulcano = Orazio Coelite — I, 1, p, 472 e seg. — Giove = Camillo == Sole ; Vulcano = Sole e quindi Vulcano = Giove — I» i>» P- 191) chi volesse riesaminare con calma tutto ciò, avrebbe materiale di studio e di ricerca per un altro lavoro.
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nel campo religioso, il Vulcano italico - etrusco - latino fu identificato con 1’ Efai-stos dell' Olimpo.
L’ antichissimo Feriale romano, che là tradizione attribuisce a Numa, conserva il ricordo di Vulcano (i), mentre non fa menzione della Triade, nè di una delle tre divinità che la costituivano (2). Dell’ antichità del culto di Vulcano a Roma, rende inoltre testimonianza l’esistenza dell’antichissima ara di Vulcano, molto vicina a quello eh’ è riconosciuto come il più antico luogo per le riunioni dei cittadini all' esterno della città quando questa era ancora limitata al Palatino (3). L’ ara che fu rimessa in luce nel 1901 si presenta in un aspetto che testimonia della sua alta antichità : anzi 1’ essere dessa tagliata nel tufo stesso del pendio capitolino ed il taglio ricoperto d’intonaco dipinto in rosso di ferro ci fa pensare ad una esistenza preistorica (4). Ci attesta poi l’importanza di quel culto la tradizione che mette in relazione 1’ origine dell’ ara con un fatto storico eh’ ebbe grandi conseguenze nello svolgimento della vita antichissima di Roma : quell’ ara fu dedicata a Vulcano, come suggello all’ alleanza conchiusa tra romani e sabini, per soddisfare ai voti contratti da Romolo e da Tazio durante la guerra. Quivi Romolo collocò i ricordi delle sue vittòrie (5), qui presso sorgeva un albero di loto antico quanto la città. Il fatto che il culto nazionale di Roma sorse sul Campidoglio, prova che dei ricordi religiosi patrii erano collegati ad esso. Ora sul glorioso colle troviamo accanto al Giove O. M. resti
(1) CIL., I, p. 400, al giorno X kal. Sept. (23 Agosto). Cf. CIL., VI, 1, p. 625 e p. 627, 631, 632.
(2) La Triade capitolina è dunque d’ istituzione relativamente recente. Il titolo fali-sco (CIL., XI, 3078) in cui si fa menzione di Giove, Giunone e Minerva, non può risalire ad una età molto remota : « Nella migliore delle ipotesi, dice il Pàis, non è anteriore al secolo IH ». Nè deve impressionarci il passo di Varrone, D. I. I. V, 15S, dove afferma che nel capilolium velus era il sacellum lovìs, lunonis, Minervas ; chi ci dice che le divinità del capilolium velus non avessero subito un rimaneggiamento per l’influenza del novum salito a tanta gloria ?
(3) Varrò (apud Plut., Q. R., 47) osserva che non è ricordata P aedes di Vulcano nel feriale romano, perchè essa trovavasi fuori della città quando esso venne compilato. Dunque quando l’ara di Vulcano era in fiore, Roma era ancor molto piccina !
(4) Vedi : D. Vaglieri, Nuove scoperte nel Foro Rom. in Bull. Com., 1902, p. 25 ; Cf. Ch. Huelsen, Mit. d. Röm Inst., 1902, p. io.
(5) Plut., Q. R., 47 ; Plin., XVI, 86 ; Dionys., 50. Il tempio della Concordia dedicato da Camillo nel 366 a. C. dopo il ristabilimento della concordia fra i patrizi ed i plebei, sorse presso l’ara di Vulcano quasi a conferma dell’ antica tradizióne secondo là quale ivi erasi già compiuta una conciliazione molto importante per Roma, la fusione di elementi nemici.
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di altre divinità Che prima di venire spodestate dovevano aver goduto d’una maggiore considerazione. Il nome stesso di capitolium fu sostituito a quello più antico di Monte Tarpeo (i); però la denominazione antica non fu oscurata del tutto dalla gloria della nuova, ma rimase a denotare una parte del colle. Questo nome gli era venuto dalla divinità più antica che vi era Stata venerata, Tarpeia. Accanto ad essa era onorato il dio del fuoco con il duplice nome di Summano e Vulcano (2). Quando il Culto di Giove O. M. sorse e si Stabilì su quel colle, sussistettero accanto ad esso i culti originari ; così troviamo quello di Tarpeia (3) la cui immagine conservavasi nel tempio di Giove capitolino (4) ; così anche la statua di Summano, adornando per molto tempo la fronte di quel tempio, ricordava 1’ età in cui godeva di una maggiore venerazione (5).
Se ricordiamo la posizione che occupava nel calendario romano 1’ antica festa di Vulcano, possiamo farci Un’ idea del concetto primitivo in cui era tenuta quella divinità dai romani nei tempi antichissimi. Vulcano ci si presenta non tanto come dio del fuoco, quanto come dio del calore estivo o del fuoco celeste che ci dà il raccolto. Nel mese d’agosto abbiamo, il 21, i consualia, il 23 i volcanalia, il 25 gli opi consivia, nel mese di dicembre, il 15 di nuovo i consualia, il 17 i satumalia, il 19 gli opalia. Nel tempo della seminagione Saturno sta tra Conso e Ops, ed in quello del raccolto vi sta Vulcano, la cui essenza è indicata da Maia (6), la dea del crescere delle piante, la quale dà il nome al mese di Maius (7). Questo ci spiega l’immediata vicinanza del Volcanalc al tempio di Saturno, sorto in tempi molto remoti al posto di un’ antichissima ara. Abbiamo accennato di fuggita alla relazione di Vulcano con Maia ; mette conto però rilevarla accuratamente. È in questa relazione che noi possiamo cogliere uno dei caratteri di Vulcano pei quali esso ci apparisce in un aspetto di puro arcaismo. Maia è la dea eh’ ebbe 1’ onore di dare il nome al profumato maggio (8) ; è la dea, com’ è espresso dal suo stesso nome, della moltiplicazione,
(1) Liv., I, 55; secondo il Pais (luoghi citati) Tarpeio, padre di Tarpeia, non era altri se non Vulcano.
(2) Anche nei nuovo tempio di Vulcano al circo Flaminio il culto di questa divinità era unito con quello di Summano. Cf. Liv., XXXII, 29, 1.
(3) Casp. Pis., apd. Dionys., Il, 40; Cf. Mommsen, CIL. I’. p. 309, Id.Febr.
(4) Fest., p. 363, M.
(5) Cic., De divinai. I, io, 16; Cf. Ovux, Fasi. VI, 731 ; Liv., Ep. XIV ; Plin., H. n. XXIX, 57 ; II, 13S.
(6) Gell., 13, 12.
(7) Vedi Domaszewski, Festschrifl su Olio Hirschfeld, p. 247. — Cf. Stole nel Dizionario Mitologico del Roseiier.
(S) Cf. Zeitschr. f. vergi. Sprachforsch. I. (1852) p. 231 ; Preller, I, p. 39$-
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dell’ accrescimento della natura. Ebbene è con questa primitiva, antichissima divinità del Lazio che Vulcano è accoppiato in antiche formule di preghiera, contenute nei libri sacerdolum populi romani (i) ; anzi, secondo MACROBIO (2), ClNClUS aveva chiamata Maia la moglie di Vulcano, riferendosi al fatto Che il flamen volcanalis a Roma sacrificava a quella dea nelle calende di maggio (3). Per questo accoppiamento con Maia, Vulcano appare come un dio fertilizzatore della natura, dal quale provengono il calore e la vita della terra. All’ antichità del culto di quel dio, ci fanno pensare anche alcune vecchie massime agricole, come : feci, cum Vulcanalibus tonuit, cadimi.... ; circa volcanalia seritur rapha-nus....; posi volcanalia serenda rapa et panicum (4). E ricordiamo in proposito anche i inenologia rustica, calendari composti allo scopo di regolare i lavori a-gricoli, nei quali troviamo riferito il nome di Vulcano in relazione con opere campestri da compiersi in date epoche ; per es., al mese di settembre, dopo le indicazióni del giorno e delle ore di giorno e di notte, segue tra il resto : tutela vulcani - dolea picantur - poma legunttxxc) ; arborum oblaquealio (5). E nominata quindi la divinità cui debbono farsi sacrifici nel mese ; e per 1' agosto troviamo indicato Vulcano (6). Evidentemente questi calendari sono di redazione recente ; ma riteniamo che, nella loro formazione, si tenne conto delle massime agricolo - religiose conservate da una lunga tradizione. Ci parla ancora dell’ antichità del culto di Vulcano e del conto in cui dovette esser tenuto un tempo, il carattere dei sacrifici che si offrivano ogni anno, il 23 agosto in occasione delle feste dette Volcanalia. In quel giorno la famiglia, raccolta intorno alla mensa, sacrificava a quel dio degli animali, gettandoli nel focolare (7). Qualcosa di simile si ripeteva in occasione dei ludi piscatorii, che cadevano nel mese di giugno. Si gettavano allora nel focolare, in sacrificio a quel dio dei pesciolini vivi, che si comperavano non al macello, ma all’ ara di Vulcano (8). Vulcano
(1) Loc. cit.
(2) X, 12, l8.
(3) Probabilmente sopra il Vclcanale, ai piedi del Capitolino, presso il comitium : cf. O. Gilbert, Gesch. und Topogr. d. Stadi Rom ini Alteri. I, Leipzig, 1883, P- 1 2 3 4 5 6 * 849- 255
(4) Plin., H. n. XVII, 260; XIX, 83; XVIII, 3x4.
(5) CIL., I, p. 358 e 359 = CIL., VI, 2305 : Menologium rusticum colotianum.
(6) CIL., I, p. 358 e 359 = CIL., VI, 2306: Menologium rusticum vallense.
(f) Varrò, D. I. I, 6, 20 : Vulcanalia a Volcano quod ei tum feriae et quod eo die populus prò se in ignem ammalia millil.
(8) Fest., p. 238, M. ....piscatori ludi vocanlur qui quodannis... mense iunio trans Tiberini fieri solent a pr(aelore) urbano prò piscaloribus Tiberinis, quorum quaestus non in macellum pervenit, sed fere in dream Volcano... quod id genus pisciculorum vivorum data ei deo prò animis umanis.
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IL CULTO 1>I VULCANO E L* ANTICHITÀ !>1 OSTIA 83
inoltre, come dio del fuoco, ha tutta la caratteristica di una divinità primaria pei romani. Era la divinità cui si rifugiava il popolo invocando protezione dagli incendi : sulle pareti delle case si dipingevano varie forme di esorcismo, con le quali si sperava di raggiungere quell’ intento. A questa superstizione contribuirono probabilmente gli etruschi con le loro formule comuni arse verse - averle ignem. In origine la protezione contro gl’ incendi doveva essere invocata presso il solo Vulcano (i); ma più tardi si ricorse a quella della Stala Maier che segnava un limite al divampare delle fiamme (2).
Finalmente ricorderemo che la tradizionale pianta di loto — esistente ancora al tempo di Plinio — ritenuta antica quanto la città, è associata al vol-canale in modo da fare intendere che i romani ne facessero risalire 1’ esistenza all’origine stessa della città (3); tanto che da taluni si è espressa 1’ ipotesi che 1’ ara di Vulcano fosse stata eretta sul luogo del mundus riempito.
Raccogliendo adunque insieme i ricordi storici, le leggende, le tradizioni, le usanze romane che riguardano il dio Vulcano ed il suo culto, vediamo che tutto ci parla della sua antichità e della sua importanza : ci troviamo di fronte ad una divinità quale dovea rispondere assolutamente al pensiero ed alla coscienza del popolo latino, durante il periodo, diremo così, dell’ infanzia. Vulcano, pel rozzo abitatore dei colli emergenti dalle paludi tiberine, fu la divinizzazione (Iella forza più visibile della natura, il fuoco nella sua azione benefica e nella sua violenza distruggitrice. Si comprende quindi di leggieri come questo culto nei primordi di Roma, potesse essere considerato in pratica come quello della nazione ; le altre divinità speciali, come Giove faretrio o Giove statore, non erano se non manifestazioni specialissime della forza invisibile in circostanze speciali.
Come spiegare perchè Vulcano fosse tanto venerato nei primordi di Roma da esser considerato quasi come il dio nazionale? Forse potremmo avere qualche luce in proposito dalla considerazione che le primitive popolazioni del Lazio per molto tempo dovettero essere spettatrici dei fenomeni misteriosi ed impressionanti dei numerosi vulcani della regione. Questa infatti dagli scienziati è ritenuta come la zona classica del vulcanismo italico e comprende 5 poderosi gruppi vulcanici, cioè quello dei Vulsini, dei Cimini, dei Sabatini, dei Laziali e degli
(1) Vitr., i, 7, ci dà lo scopo per cui fu costruita V aedes Volcani (in circo FI a-minio) (ut) Volcani vi e moenibus rcligionibus et sacrificiis evocata ab timore incendiorum aedificia videanlur liberari (Cf. Plut., Q. r., 47).
(2) Vedi Preller, Rbm. mylhol p. 531, n. 1. 1 vicorum magislri erigevano santuari a Stata Mater ; Augusto eresse statue a quella ed a Vulcano.
(3) Plin., XVI, 236 : altera lotus in Vulcanali, quod Romulus constituit de decumis aeqùaeva urbis intelligifur.
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Ernici, in tutto 225 bocche eruttive. Ma il gruppo che più ci interessa, perchè più degli altri può avere agito sulla fantasia e la coscienza dei primi latini, è quello laziale. Sembra accertato che 1’ attività sua si sia estesa fino ai tempi storici, perchè nella necropoli di Albalonga si sono scoperte tombe seppellite sotto uno strato di tufi vulcanici, e si crede che dalle bocche di questo gruppo derivassero le piogge di pietre ricordate negli antichissimi annali romani (1). Si riconoscono ancora in quésto gruppo vulcanico ben 52 bocche eruttive, di cui la più ampia, la valle Molara, ha in media 10 kil. di diametro ; da tutte queste bocche fu lanciata un’ enorme quantità di cenere e lapilli che formano gl’ inesauribili depositi di tufo e di pozzolana, mentre lungo i loro fianchi si riversarono numerose colate di lava, una delle quali, quella su cui corre la via Appia antica, arriva sino al sepolcro di Cecilia Metella.
Possiamo quindi immaginarci come debba esser sorto il culto di Vulcano tra i Latini e perchè essi lo abbiano fatto oggetto di tanta venerazione. Ma un’ altra domanda ci sórge nella mente : come fu possibile allora 1’ abbandono, a Roma, del culto di quel dio, come culto principale ? Possiamo ritenere di’ esso avvenne a grado a grado : il Pantheon di Roma andò a poco a poco affollandosi per l’influenza greca che si fece specialmente sentire nel campo religioso. Di fronte alla fertilità mitologica dei Greci, i Romani che non avevano per divinità se non le manifestazioni più visibili e sensibili della natura, si sentirono piccini ed accettarono facilmente quanto poteva arricchire il loro scarso patrimonio religioso ; sparì la religione semplice e si ebbe la mitologia complicata. Così il Vulcano, identificato con l’Efaistos greco, perdette a poco a poco il suo primitivo carattere essenziale : si sdoppiò una o due volte in altri tipi di Vulcano, specialmente dopo l’introduzione a Roma del culto di Vesta, nuovo focolare dello stato : e intanto lupiter, identificato collo Zeus dell’ Olimpo, era destinato a divenire 1’ Ottimo Massimo del Campidoglio.
La deduzione della colonia romana alla foce del Tevere sarebbe dunque avvenuta prima che il Vulcano si fosse trasformato nell’ Efaistos greco, e prima che il culto di Giove capitolino si fosse stabilmente fissato a Roma come culto dello Stato. Così avremmo nel sorgere della Triade sul Capitolino il terminus ante quem dell’ origine della prima colonia romana. Ora la tradizione attribuisce ai Tar-quini il primo pensiero della costruzione del famoso tempio (2), cosicché viene
(1) Sulla « necropoli sepolta dal Vulcano laziale » vedi M. De Rossi, Rapporto sugli studi e sulle scoperte paleoetnologiche nel bacino della campagna romana, in Ann. d. Inst. 1867, pag. 36.
(2) Liv., I, 55 : Inde ad negotia urbana animum convertii (Tarquinius) ; quorum crai primum, ut Ioide templum in monte Tarpeio monumentum regni sui nominisque relinqueret;
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a confermare indirettamente l’epoca in cui essa stessa pone la fondazione di Ostia.
Ma taluno potrebbe osservare che l’importanza del culto di Vulcano ad Ostia fosse dovuta alla necessità di pensare a proteggere dagli incendi i numerosi magazzini che vi esistevano. Rispondiamo notando che quest’osservazione non può spiegarci il fatto che quello era il culto principale della colonia e che a capo di esso era il Ponlifex stesso della colonia: assistito da Edili e da Pretori speciali ; che a quel Ponlifex Volkani era deferita l’intera giurisdizione sacra della colonia. Questo fatto unico e caratteristico non può spiegarsi, — come abbiamo detto — se non in due modi : o ammettendo che Vulcano fosse la divinità locale trovata dai primi coloni occupatori della regione della foce tiberina o, — e questa seconda ipotesi crediamo assai più accettabile — che il culto di Vulcano vi fosse portato da Roma, quando vi godeva altissima reputazione.
Ammettiamo che col tempo il significato primitivo di questo dio dovette subire alquanto l’influenza dell’ Efaistos greco, e che la sua conservazione ad Ostia fosse dovuta forse in molta parte alla sua semplice qualità di protettore «degli incendi ; ma crediamo che nella coscienza dei coloni dovette rimanere vivo il sentimento o perlomeno il ricordo dell’ origine di quel culto simbolizzante la patria ; ed a questo proposito ricorderemo l’iscrizione ostiense dedicata al Deus palrius, (i) il quale, se non è Vulcano, non sapremmo davvero ehi avesse potuto meritarsi quel titolo fra tutti gli dei venerati ad Ostia.
LODOVICO PASCHETTO
Tarquinios reges ambos, patroni vovisse, filium perfecisse. — L’influenza greca nella religione romana risaie appunto all’ epoca dei Tarquini (Cf. Gic., De Rep., i, 19, 34). Fu Tarquinio che prese da Guma gli oracoli Sibillini: Dionys., 4, 62. Cf. Schwegler, RO-mische Geschichte, 1867-76, I, p. 801).
(1) CIL., XIV, 3.
ass
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La Religione di Mario Rapisardi.
E potessimo pienamente fidarci di ciò che scrive il collega G. Banchetti su La Lticeàd 18 Gennaio u. s., non avremmo forse ragione alcuna di buttar giù queste poche parole intorno alla religione del grande poeta catenese. Secondo il Banchetti infatti nell’anno 1895 U Rapisardi, dinanzi a lui, abbandonò completamente tutta la sua opera passala, si sforzò solo di trovare attenuanti» e gli confessò che in lui era successa una grande evoluzione ! ! È questa evoluzione
sarebbe stata nel senso della Fede!.... Io temo molto che al caro collega Banchetti il cuore abbia parlato più che la memoria nel dettar simili parole: altrimenti (ed è incredibile, dato il carattere del poeta) bisognerebbe ammettere che il Rapisardi nelle sue opere posteriori abbia smentito la confessione fatta al ministro evangelico nel 1895!
Reco, io apro il volumetto del Rapisardi, intitolato /' « Asceta » e pubblicalo nel 1902, e vi leggo a pag. 34 :
Impero d' inferni c di cieli
Speri indarno che /’ offra : io l’ho distrutto ;
La Scienza son io, sorgi e mi segui!
E peggio ancora, con una chiarezza che non ammette dubbi, a pag. 112 :
0 lusinghiera illusion di cielo. Gran tempo è già che dal mio core in bando
Cacciata io £ ho come una sposa infida : Nè per vezzi che sfoggi, arti che adopri,
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NOTE E COMMENTI
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All’ amorosa comunanza io torno.
Nel tuo fascino attorto aneli' io più tempo Vissi, intento così nei tuoi miraggi, Che me stesso obliato, e le severe Cime smarrite, ove tra ghiacci e fiamme Regna, sol nume a' generosi, il Vero, Bamboleggiai dietro al tuo voi. Ma poi Che col niveo martello al petto mio Picchiò più volle la fatai gorgóne Del disinganno, e del tuo viireo nappo Vidi, 'nell' ora dello strazio, il fondo, Liberai dal tuo spettro il regno austero Dell' intelletto mio....
E lo stesso egli ripete dovunque, qua e là, in questa che è 1’ ultima sua pubblicazione. Cito ancora soltanto (per non prolungarmi) il seguente sonetto (pag. 146).
Non della Fede giovanti, che tanti
Fiori a me porse, e indarno anco mi chiama, Su l' ara rialzar gl' idoli infranti, Gli aurei sogni rifar t' anima brama. Poi che mi ebbe svelato Iside i santi Suoi riti e dell' immenso esser la trama, Vergognoso il pensier de' vecchi incanii, Altro che il Vero, altro che lei non ama.
E volete sapere che ne pensa, nel 1902, (vale a dire sette anni dopo 1* intervista del Banchetti) di Gesù Cristo il poeta? Ecco, lo leggiamo a pag. 173:
Io de la pia Vittima il puro sagrificio ammiro. Ma seguir ! orme de la sua dottrina E in lui fidar più non mi è dato : il cielo Sia suo ; campo degli uomini è la terra ; Ne la ba ttaglia scartar Natura Una sola arma, la ragion, ci diede ;
E la ragion ci saivera.
Dunque, è indubitato (giudicando il poeta dai suoi stessi scritti) che egli non subì quella « evoluzione seria, e profonda nel senso della Fede » che avrebbe manifestata al Banchetti.
E allora quale fu la religione di M. Rapisardi? Poiché uno dei suoi volumi di poesie, e dei più pregiati, si intitola appunto : Poesie Religiose ! La signora Amelia Sabernich Poniatowski, che fu libera e fedele compagna del poeta per circa un quarto di secolo, e che quindi più di qualsiasi altro può parlarcene con cognizione, ci fa sapere che i Santi Padri del Rapisardi furono Darwin, M0I9-
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schott, Lubbock, Spencer, Ardigò ed Haeckel ; il che basterebbe già a darci una idea del suo creilo filosofico. Ma, mentre 1’ Haeckel lo chiamava : « Eccelso Cantore del Positivismo » la signora lessie White Mario gli diceva : « Voi siete troppo idealista : voi vivete fra le nuvole ! » Chi aveva ragione dei due ? Realista o idealista il Rapisardi ? A me pare che cogliesse più nel vero la seconda anziché il primo. Se positivismo è la rigorosa limitazione del pensiero e della vita al positivo, cioè al mondo dell’ osservazione e dell’ esperienza immediata, il Rapisardi non fu positivista, ma idealista : infatti, se egli canta la natura colle sue leggi eterne, però la sua è una natura ideale; egli non la descrive quale è, ma quale la sogna lui, purificata, redenta dalla giustizia, dall’amore, dalla pace, dalla virtù, dal Vero. Egli ha fede nell’ideale del Vero; del vero, che si conquista con la meditazione e con la Scienza, senza sussidio di religione, senza aspirazioni di vita oltretomba ; quindi per lui non c’ è più Dio, essere infinito ed assoluto, estramondano ed estraumano, indipendente dall’ atto e dal fatto creativo ; ma ogni cosa, Dio, assoluto, verità, idea, spirito, tutto è storia e divenire : tutto si fa momento per momento : tutto vien dal di dentro e solo dal di dentro di noi. La misura dell’ universo è nell’ uomo, nell’ individuo, nel suo intelletto, nella sua ragione. Quindi tocca all’ uomo, con le sue sole forze naturali e specialmente ¡x?r mezzo dell' intelletto e della virtù, di condurre a perfezione il mondo e la società umana ; e il poeta ha fede che 1’ uomo un giorno vi arriverà :
Ecco, rivivon ne la mente ad uno Ad uno i Sogni eh ' io sognai nel mondo. Amor, Giustizia, Libertà! Vivete, Sogni divini, su la ¡erra, e tulle Consolale le meste anime! Il giorno Della vostra vittoria, ancor lontano. Verrà, ne ho fede.
E bellamente sogna la nuova umanità redenta :
Così redenti, in sodalizio santo, Sorgcan gli umani ad un miglior pianeta, Ov' estranea la colpa e ignoto c il pianto.
Oh giocondi lavori, oh messe lieta
CIP ivi Amore apparecchia a 1' innocente Cor che di pace e di giustizia asseta !
Qui non Dei, non eroi, non còste infide: Tutti eguaglia il lavoro ; invida siepe Dall' altrui bene il tuo qui non divide ; • • ■ • ■ •••••>•*•
Scevro d' ira, d'orgoglio e di livore L' uomo qui regna : unica legge a lui La libertà ; solo dover T amore.
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NOTE E COMMENTI
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Fu sogno ? 0 generosa anima, in bui Secoli nata, eh' auspicando agogni Fra' tuoi propri tormenti il bene altrui,
A le, s'altro non puoi, giovino i sogni!
E il poeta che, modestia a parte, si ritiene uno dei più grandi apostoli (Apostolo mi feci — D' un' Idea santa) che conducano con la loro parola e col loro esempio 1’ umanità verso i suoi più alti destini, si adira contro chiunque non la pensa come lui, e li odia, e li fustiga a sangue con invettive, che purtroppo talora scendono molto in basso, malgrado il suo decantato idealismo.
Ed or là terra è mia, libero $' alza L'animo al cielo ; splendida la fronte Sta conir' a' numi e contro al fato eretta.
Sì? E a che ti serve, o poeta, codesta tua superba posizione di sfida contro Dio, contro la religione, contro la credenza nella vita oltretomba? Tu vài in cerca di pace, di felicità, di giustizia, d*amore ; e ti esalti dinanzi a codeste belle e nobili idee, tanto da apparire allora poeta veramente ispirato e profondo; ma poi, ostinandoti a limitare 1’ universo al microcosmo umano, ti penetra il dubbio nell’ animo, ti assale lo sconforto, sei pervaso da una vena gelida di pessimismo !
Ma poi che inaridì come giacinto
Morso dal gel, la giovinezza mia ;
E come frana minacciosa pende
Sul mio capo la rigida vecchiezza, Ha smarrito il suo fil la mia ragione ;
II suo faro d' amore ha il cor perduto :
Per tenebrose ambagi erro ; in ricordi
Vani mi attardo ; e a me voraci intorno Bollono i flutti ; e il polo oscuro è presso.
Ed ecco che dubita anche che i suoi sogni utopistici possano mai avverarsi:
Alle cose tentai; sperai che squilla
Fosse a' dormenti il detto mio ; che sgombro Di numi il cielo e d'oppressori il mondo, Sorridesse la pace alle benigne Confederate opere umane. Audaci Speranze, il so; ma qual poter maligno Vi dilunga da noi, speranze alate?
Ahi, non una finor de le felici.
Immagini invocate a noi discese ;
Non una ancor de le sue rosee bende Fasciò le piaghe dei mortali, ancora Siccome labbra sitibonde aperte !
E rivolto alla Felicità, che egli immaginava:
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BII.YCHNIS
In cima a un granitico scoglio, Cui balle V eterna marea, 'Ironeggia su nitido soglio La bianca, impassibile dea
esclama :
Se vano miraggio tu sei, Se vuoto fantasma di sogno. Perchè più del ver tu mi bèi? Perchè più di tutto io ti agogno ? 0 Sfinge indomabile, o Idea Che tacita splendi lassù, 0 bianca, impassibile dea. Non forse la Motte sei tu ?
Ed è a questo, a cui doveva condurre tutto l’idealismo del Rapisardi ? Al dubbio, al pessimismo e a trovare la felicità nella morte?
O grande, sublime Gesù di Nazareth, quanto più grande immensamente tu mi apparisci, quando ti confronto a questi nani sui trampoli !... Il loro idealismo, da un lato non fa che ritornare al positivismo materialistico, che pur pretenderebbe combattere (e coinè spesso il Rapisardi vi cozza contro duramente !) e dall’ altro lato si dimostra una vacua astrazione utopistica, senza alcun fondo di verità ideale, nè di realtà, sostanziale. La Giustizia, senza Dio, è un’astrazione che non riscontra realtà nel mondo ; ma che anzi viene contraddetta ogni giorno dalla stessa natura, e spesso dalla morte. Il poeta, che pur tanto desidera giustizia, invano la spera fuori di Dio : se non vi è Dio, e se la nostra vita non si prolunga oltre tomba, le aspirazioni dell’ animo umano verso un’ ideale di pace, di giustizia, di amore e di felicità, sono chimere, utopie, vaneggiamenti !... D’ altro lato, perchè, avendo un ideale così grande di, pace, d’ amore, di giustizia e di felicità, volersi così opporre al cristianesimo che è la più alta, sintetica e nobile aspirazione verso quel medesimo ideale ; non limitato al breve giro della vita terrena, ma protratto oltre tomba nell’ eterno evolversi delio spirito in Dio ?... Si comprende di leggieri : il Rapisardi è stato da fanciullo educato da preti, ed egli continua a nutrire nell’ animo l’idea clericale di Dio. Dio quasi è invidioso della umana felicità : è severo giudice e quasi tiranno : i fedeli ciecamente gli devono sottostare c ubbidire.... E Rapisardi si ribella contro codesto Dio, come contro tutti i tiranni, che limitino la libertà e il pieno sviluppo dell’ uomo !.... Ma, noi lo sappiamo, codesto non è l’Iddio di Gesù Cristo : e, pur essendo cristiani fin nel fondo dell’ animo nostro, anzi appunto perchè siamo cristiani, noi condividiamo pienamente 1’ alto ideale del Rapisardi, ideale di progresso, di civiltà, di pace, di giustizia e d’ amore ; ma non perdiamo però mai di vista il Giusto, il Santo, il Principe di Pace, l’Iddio che è Amore, il quale solo può fare sì che il nostro ideale non sia vana chimera, che debba un giorno o 1’ altro farci ripiombare nel pessimismo e nello sconforto ; ma sia anzi realtà che sempre più andremo sperimentando nella vita terrena, e perfetta nei cieli.
Catania, 26 Gennaio 1912,
GIUSEPPE FASULO.
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NOTE E COMMENTI
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Il Signore “ degli eserciti „
È noto che questa espressione ritorna di frequente nella storia scritta del popolo d’ Israele ; e 1’ Antico Testamento parla di Jehova specificandolo, in determinate circostanze, col nome di « Jehova degli eserciti » (Jehova Se-baoth).
Quello però che è meno noto è questo, che la qualifica stia ora tornando di « attualità », e l’impresa coloniale di Tripoli stia rinverdendo un concetto che appartiene ad un passato ben passato e bene irrevocabile.
Ci sono a riguardo della qualifica di « Signore degli esèrciti » degli strani pensamenti fra i cristiani ; strane concezioni dell’ idea e strane attitudini di fronte ad essa.
Persuadetevene.
E anzi tutto parlo dei pastori, dei professori, degli studiosi, cioè della gente che, in materia di religione cristiana, ha, od a buon diritto è presunta avere, maggiori conoscenze dottrinali.
Fra queste persone c’ è ;
i .) anzi tutto chi non parla affatto dei concetto di Dio come è dato dalla espressione « Signore degli eserciti » ; e non ne parla per un sentimento di pudore mentale. Sente che non può attribuire a Dio, quale ce l’ha rivelato Cristo, la qualifica usata nei libri dei Giudici, di Samuele, dei Salmi ed altri ; e però non ne parla. Tuttavia non protesta contro 1’ uso che altri fra noi fa di questo nome di Dio; forse perchè non s’ è molto fermato sulla questione, o non l’ha più riveduta da quando sui
banchi della scuola accoglieva senza controllo tutto quello che gli era porto, o perchè trova tedioso lo sforzo di cacciare dalle menti idee erronee, e attende dal tempo che maturino le nespole e le nozioni esatte su quella che fu la progressiva rivelazione di Dio all’ uomo pel tramite del popolo d’Israele.
2 .) C’è invece chi ne parla con una indifferenza incosciente che rende stupiti e fa fremere, alternando l’idea di Dio del sermone sul monte colla idea del « Signore degli eserciti ». Ci è chi magari, incominciata una preghiera col dolce e sublime appellativo di, « Padre Nostro celeste », finisce poi col chiedere a Lui, poiché è Lui il signore degli eserciti, e quegli che li guida, qualche cosa che... che riguarda la conquista di Tripoli !
3 .) C’ è Chi ha presente, e non dimentica mai, il concetto di Dio padre di tutti gli uomini, costituiti cosi tulli fratelli, senza limitazione o gradazione di fraternità dovuta a diverso colore, od a diversa lingua parlata, od a diverso paese abitato ; e però mai richiama, per lumeggiare questo concetto di Dio, il concetto limitato e deforme che il Padre celeste permetteva di avere di lui ad un popolo semipagano, migliaia di anni fa, accettando quasi, come fu detto dal Fallot, di presentarsi mascherato, pur d: trovare la via del cuore di una umanità ribelle e depravata.
Quelli però che così fanno non sono finora purtroppo la maggioranza della classe più religiosamente colta delle nostre chiese.
— Ed ora ecco per contro, tra il pubblico dei fedeli, qual’ è l’idea che ci si fa udendo parlare di « Signore degli eserciti ».
Anche qui sono varie categorie di persone.
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i.) Ci sono pochissimi i quali sanno come le cose stanno in realtà e che, per essere venuti a contatto di pastori che, nei sermoni, nelle conversazioni, nelle allocuzioni, li rischiararono al riguardo ; o per avere letto con attenzione la Bibbia, spogliandosi di preconcetti quasi altrettanto funesti quanto quelli che a proposito di essa nutre la chiesa romana o l’incredulità, per una di tali ragioni, dico, o per altro, sanno che la preghiera insegnataci dal Cristo non potremmo rivolgerla, ad un Dio che fosse davvero quello che Israele si figurava quando lo chiamava « 1’ eterno degli eserciti ».
2 .) Altri poi istintivamente sentono esserci nel nome di « Signore degli e-serciti » qualche cosa che stona colla nostra coscienza religiosa formata cogli elementi tolti dai Vangeli e dalle lettere apostoliche ; e, sentendo questo, non capisce perchè ciò avvenga ; suppone che una spiegazione debba pure esserci, e desidererebbe averla da chi dovrebbe darla e non osa chiederla; e soffre quando, leggendo o conversando con dei liberi pensatori, sente fare cenno, talvolta con accento di amaro sarcasmo, della strana identificazione di un Dio che è Padre di tutti gli uomini ed è amore, con un Dio che è « il Signore degli eserciti ! ».
3 .) Infine c' è un numero di fedeli, la maggioranza, diciamolo subito senza tema di essere contraddetti, la quale crede che il concetto di Dio datoci dal Cristo sia quello stesso, che gli Israeliti intendevano quando parlavano del « Signore degli eserciti » ; che Iddio possa essere al tempo stesso tale quale ci è noto pei Vangeli, e tale quale lo vedevano i capitani, i giudici e i profeti d’Israele.
Costoro, sia che intendano quel « Signore degli eserciti » còme un, Signore degli eserciti celesti ; sia che l’intendano come un padrone, dei de
stini degli eserciti terrestri, che Egli muove sulla scacchiera della terra a sua posta, facendoli prevalere o venir meno secondo un suo disegno strategico e storico, ben più elevato del disegno strategico degli stati maggiori umani, costoro, dico, dopo avere unito il loro pensiero alla preghiera del Cristo, dopo avere consentito col cuore alle parole sue, pregheranno Iddio perchè dia la vittoria alle armi nostre, lui, che è il Signore degli eserciti ! e guidi lui le schiere armate e sapientemente organizzate per 1’ omicidio e per la distruzione !
Chi, di quanti hanno il cuore e la coscienza nutriti del sentimento che nutriva il cuore e la coscienza del Cristo, chi non sente la dolorosa, angosciosa, situazione creata da questo equivoco sostanziale e dalla confusione di concetti, che non sono uno « conglobale » dell’altro, ma uno diverso affatto dal-1’ altro ?
Per conto mio sperimento profonde l’afflizione e 1’ umiliazione in presenza di scritti e di discorsi fatti da cristiani, anche da pastori, nei quali la proclamazione del concetto di « Signore degli eserciti », parlando di Dio, torna viva dopo migliaia d’ anni, ad attestare la vigoria del sentimento nazionalista, ma la gracilità e la tenuità del sentimento cristiano evangelico.
Ho letto su giornali evangelici espressioni e frasi e svolgimenti di pensieri i quali dimostrano che il concetto del dio nazionale, quale era presso gli Israeliti antichi, rivive potente nell’ a-nimo di molti dei moderni seguaci del Cristo.
Per molti 1’ evangelismo, col concetto della paternità di Dio e della fraternità degli uomini, col pensiero centrale che « Dio è amore », è concetto reggenlesi fino a che, di sopra alle frontiere dello Stato, si giudicano e si cri
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NOTI
COMMENTI
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ticano i conflitti armati degli altri popoli; ma dal momento che la guerra è scoppiata tra noi, e la vertigine di conquista e di sangue (l’antica vertigine di Caino !) passò come turbine sul popolo, 1’ evangelismo fu travolto, e tornò a regnare il concetto del Dio nazionale; del Dio che, non lo si sa di certo ma lo si spera fermamente, andrà davanti alle truppe, o per fare la pace, (onorevole e gloriosa pace s’intende, se no, no !), o per condurle alla vittoria ; e per questo muoverà le potenze celesti affine di provocare circostanze favorevoli al trionfo
Ora gli eserciti di qualsiasi Stato, in quanto sono strumenti di morte e di violenza, hanno un Dio, ma non è quello cui il Cristo ci ha insegnato a rivolgerei dicendo, « Padre nostro! »; è quello che a un certo punto credevano di avere scorto i discepoli Giacomo e Giovanni e pel quale il Maestro dice loro « Voi non sapete di quale spirito siate animati ».
Cessiamo di conturbare le coscienze e di deviare gli spiriti, quanti siamo che vediamo il danno e la vergogna; protestiamolo che quella di « Signore degli eserciti » è una concezione rudimentale di Dio, una concezione grossolana che Iddio ha subito, non voluto ; la nozione che di Dio si formava (e non poteva essere altrimenti) un popolo che usciva dalle brume del paganesimo, e che, vivendo fra popoli i quali tutti avevano il loro dio nazionale, da cui credevano essere condotti alla guerra, aveva abbassato a quel livello il « Vivente », il quale aveva cercato di essere capito dal loro spirito rozzo; ma che quella di « Signore degli eserciti » è qualifica inapplicabile al Dio d’ amore, al Dio che è padre di tutti gli uomini e fa levare il suo sole sui buoni e sui malvagi ed ha permesso che il Cristo fosse fatto maledizione per tutti!
MARIO FALCHI.
L'Apostolo.
E uscita in questi giorni la traduzione dell’ Apostolo di Paul Hyacinthe Loyson (i) che ha già fatto felicemente il giro dei principali teatri d’Italia.
« Tragedia moderna » è il sottotitolo; e il motto: « Quanto ho distrutto con la ragione ho ricostruito colla coscienza ». Tragedia moderna, tragedia a tesi, tragedia d’ideali, ma svolta con mirabile semplicità e realtà.
Nella prefazione il traduttore Renato Simoni ci presenta con brevi tocchi 1’ autore e ci parla della sua arte definendolo un idealista realista perchè egli sa « tradurre le passioni più generose in discussione, ma in discussione che ha tutta la serrata energia della logica e serba intatto tutto 1’ ardore passionale che la generò ».
L’Apostolo appunto è una bella illustrazione di quest’ arte peculiare, poiché le lotte più ardenti di princìpi si svolgono nell’ ambiente oscuro, direi quasi polveroso, del parlamentarismo, fra la più monotona e borghese realtà.
L’intreccio è noto : il senatore Baudouin, gran nemico della chiesa e che si dice e si crede ateo, ha fatto sua la parola di Kant: quanto egli ha distrutto con la ragione ha ricostruito colla coscienza: 1’ onore, il dovere, 1’ abnegazione, il bene insomma. Ma è egli davvero un materialista ateo? No. E il figlio gli getta in faccia la sua inconseguenza.
(i) Milano — Treves, 1912.
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« Parole, parole, parole. Io voglio gettare la mia infamia su un morto e tu lo difendi! Il diritto d’un morto! Ma che sono tutte queste parole da prete che s’appiattano ancora nel tuo frasario di miscredente ? Si direbbe che tu credi all’ anima immortale, al decalogo e a tutte le fandonie che t’ affanni a demolire e che son morte con la morte di Dio ! ».
« Taci, briccone, » esclama il padre. E ciò rivela quanto mai idealismo quanto spiritualismo sia rimasto nella sua vita. Del resto anche la nuora che — mossa da complicati sentimenti — abbraccia Baudouin per fargli coraggio sembra voler esprimere la suprema illogicità della vita onesta accoppiata coll’ ateismo, sospirando : « Senza che un Dio ci veda ! »
Ma qui non è proprio la tesi del-1* autore. La tesi invece è questa : Anche se un materialista è illogica vivendo secondo i princìpi della più pura morale idealista, difficilmente potrà e-ducarc all' onestà, sulla base dell' ateismo, i propri figliuoli.
L’ ateo Enrico Baudouin è « papà coscienza, » è 1’ onestà, l’integrità, la rettitudine in persona. S’ egli esita (e chi non avrebbe momenti d’esitazione al suo posto ?) non indietreggia, non crolla. Avanti, avanti quand’ anche il cuore si spezzi, quand’ anche si trovi solo, fra i traditori della patria, a denunziare il colpevole, quand’ anche questo colpevole sia il proprio figlio, la gioia, la speranza, I’ orgoglio, la giustificazione, la ragion d’ essere di tutta una vita di lotte e di sacrifici. Avanti !
Soltanto questo figlio farabutto è egli proprio il frutto diretto dell’ educazione laica dell’ illogico suo padre, il galantuomo miscredente Baudouin ?
Non si direbbe, a giudicare da
certe parole della madre; ed è qui, secondo a me pare, il punto debole del forte dramma del Loyson. Dice la madre: « Che educazione abbiamo dato a quel figliuolo ? Tu non avevi tempo d'occuparli di lui, ti contentavi di rileggere i suoi lavori di scuola. Eri così sicuro che t’ avrebbe rassomigliato ! E io ?... Oh la mia tenerezza è stata cieca! Non gli ho mostrate che cose belle, piacevoli, non ho fatto che obbedire ai suoi capricci... L’ho allevato senza una fede viva, senza una regola serrata, senza armarlo prima contro sè stesso....»
Dunque : il padre non s’ è occupato di lui, la madre è stata debole'e cieca.... Può Ottavio dirsi davvero l’ esponente di una educazione svolta di proposito sulle basi dell’ ateismo ? Non mi pare. E allora, dove se ne va la tesi ?
Ma non voglio discutere più oltre.
Ci Sono in questa tragedia pur così semplice, senza voli immaginosi, senza fronzoli rettorie!, senza eloquenza ricercata, dei momenti che fanno venire i brividi : la cinica risata d’Ottavio ai diritti d’ un morto, la selvaggia dichiarazione del suo ardente desiderio di godersi più che può la vita caduca, la tragica sua discolpa per parte della madre che accusa sè, sè sola della caduta del figlio:
« Ho soffocato la preghiera sulle sue labbra di bambino ! Me lo ricordo ancora.... in ginocchio sul letto colle manine giunte e la bocca socchiusa !... Ho avuto il coraggio... l’a-troce coraggio di fermarlo, di dirgli : « No caro, lascia stare queste parole ! »... Io l’ho gettato in braccio al male... perchè 1’ ho strappato a Dio ».
Ma il padre, di rimando :
— « E sei tu che parli così ? !...
Ma l’onore? il dovere? il sacrificio?...
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NOTI
COMMENTI
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Questa è la religione viva che da tren-tacinque anni mi sforzo d’inculcare col mio esempio a Ottavio !... che cos’ è di fronte a questo il tuo catechismo ? » é
Il Catechismo > ecco !
Questa mi par la menda più grave del bel lavoro, quello che — almeno qui in Italia — può rendere alquanto dubbia la sua efficacia.
// catechismo ! Questa è la religione !
Anche nell’ Apostolo non ci sono in presenza che i soliti due estremi: Ateismo da un lato, Clericalismo dal-l’altro. Dato dunque che l’Ateismo abbia torto, dice certamente il pubblico superficiale, sarebbe il Clericalismo che ha ragione. E intanto il pubblico rimane quello che è : scettico e indifferente.
Si accenna a Dio ? È il Dio del giornale La Croce, il Dio dei Reveren-disti, il Dio del catechismo.
La preghiera eh’è stata soffocata sulle labbra d’Ottavio bambino sarà forse quella della « viva fede che può Corazzar gli uomini contro loro stessi ? » Certo questa preghiera il figlio non degenere del Padre Giacinto la cono$ sce. Ma il pubblico, il pubblico nostro italiano, intenderà Pater, Ave e Gloria... in latino per sovrappiù !....
E allora... allora il brivido che corre fra gli spettatori alla violenta auto-accusa della madre si Cambia ben presto (l’ho visto coi miei occhi) in sorriso ironico, in sorriso soddisfatto, in scniso doloroso; doloroso per noi, ironico per la maggior parte degli spettatori, soddisfatto per le poche beghine e i pochi sagrestani che di solito mettono i piedi in teatro.
Tutta la tragedia, mi duole il dirlo, perpetua qui in Italia 1’ errore funesto che ci sono due vie soltanto : ateismo
o clericalismo, e la disfatta'della morale laica pare il trionfo della morale dei Gesuiti.
Tra le due... il popolo continua a sorridere incerto e malizioso. Sorride perchè non conosce ancora la terza Idea :
l’Idea religiosa, ma non clericale ;
l’Idea libera-pensatrice, ma non atea ;
l’Idea democratica, ma non rivoluzionaria ;
l’Idea cristiana genuina, l’Idea evangelica.
G. ADAMI.
Padre Giacinto Loyson.
È morto a Parigi il 9 febbraio nella bella età di 85 anni.
Ecco alcune notizie biografiche date dal Corriere della Sera.
Era nato ad Orléans nel 1S27, ed era entrato giovanissimo nella Chiesa prendendo il nome di padre Giacinto. Predicatore eloquente e teologo profondo, cominciò nel 1865 a Nòtre Dame di Parigi quella serie di conferenze famose con cui cercò di conciliare il cat-tolicismo colle idee moderne, e provocò per 1’ arditezza delle sue concezioni vivi attacchi. Nel 1868 fu chiamato a Roma e vi ricevette 1’ ordine di non scegliere i soggetti delle sue prediche che in argomenti non controversi.
Ma ecco che nel 1869 insorge contro il modo e la forma con cui viene Convocato il Concilio ecumenico. Invitato a ritrattarsi, si rifiuta in una lettera resa pubblica, e, scomunicato, esce dalla Chiesa riprendendo il proprio nome.
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Nel 1871, dopo un viaggio a Roma, aderisce alla dichiarazione dei vecchi cattolici di Monaco, enei 1872 sposa a Londra Emilia Butterfield, vedova Meriman, che egli aveva cinque anni prima convertita al cattolicismo.
Anche dòpo il matrimonio continuò a celebrar messa e ad affermare la sua fede di cattolico. Fu questo del matrimonio 1’ episodio culminante della sua vita, quello che gli procurò i più fieri attacchi e le inimicizie più feroci.
Riparò in ¡svizzera, ove fu nominato curato di Ginevra dai cattolici liberali e in tale qualità cercò di introdurre riforme nel culto. Ma ben presto per le ostilità incontrate, fu costretto ad abbandonare la carica; e nel 1876 si reca a Londra, ove tiene varie conferenze; poi a Parigi ove nel 1879 prende il titolo di rettore della Chiesa Cattolica Gallicana, ufficialmente riconosciuta quattro anni dopo, e ne celebra il culto.
Dopo di allora celebrò il culto gallicano a Neuilly, continuando sempre le sue conferenze e la sua propaganda di riforma cattolica a Parigi e all’ estero.
Si hanno di lui vari scritti importanti, tra cui La società civile nei suoi rapporti col cristianesimo, del 1867 ; La famiglia, dello stesso anno ; Il mio testamento, la mia protesta, del 1893, il documento più eloquente della sua fede: Cristianesimo e Islamismo, del 1895Nel dicembre del 1909 ebbe il grave dolore di perdere la compagna fedele nelle lotte di pensiero e di azione eh’ egli aveva sostenute, colei che per 37 anni era stata il suo conforto e il grande suo affetto.
Il Loyson volle portare sempre 1’ abito ecclesiastico ed era partigiano di un accordo fra le varie religioni. Al suo letto di morte fu assistito da mi
nistri di vari culti che per testamento parteciparono anche ai suoi funerali. Il testamento dice :
« Desidero che i rappresentanti dei vari Culti, a cominciare dai miei cari colleghi della Chiesa cattolica nazionale, prendano parte in paramenti ecclesiastici alla cerimonia funebre. Chiedo particolarmente questo favore al Gran Rabbino. Voglio vivere e morire, per quanto dipende da me, nella comunione di tutti i cristiani, dirò anzi in comunione profonda con la Chiesa universale ».
Trent’ anni or sono aveva detto;
« Verrà giorno, ed il mio cuore mi detta che questo giorno non è lontano, in cui non vi saranno più cattolici-romani, nè cattolici-greci, nè protestanti-luterani, né protestanti-riformati, ma solo veri cattolici, e per di più veri cristiani ». Così l’unione che egli non potè vedere nel mondo — osserva il Marzocco (18 febbraio 1912: « Un modernista all’ antica ») — volle almeno farla dintorno a sè, intorno 3.1 suo feretro e al suo sepolcro ; persuaso che nelle tombe non si possono seppellire « i disegni di Dio».
Le ultime sue parole furono: « Posso comparire davànfi“a' Dio. Sono in jjace con la coscienza e con la ragione ».
A Roma nel 1872 egli aveva détto:
« Io non sono qui per fare questioni politiche; ma le grandi questioni sociali si toccano colle grandi questioni religiose. Io esultavo or ©ranella mente e nel cuore ed applaudivo ai nobili rappresentanti dell’ Inghilterra e dell’ America quando essi dicevano che la grandezza di queste nazioni è opera della Bibbia. Ed invero nelle fondamenta dell’ Inghilterra v' è qualche cosa di più solido che la Magna Carta, v’ è la Bibbia. Per formare un’ Italia
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NOTE E COMMENTI
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durevole voi dovete servirvi delle medesime fondamenta. Io sono amico dcl-l’Italia, ma non adulatore. In grazia di Dio e un po’ in grazia della mia natura, non sono adulatore di alcuno.
Ancor giovine cominciai ad amare l’Italia su i libri del Balbo, del Rosmini, e del Gioberti. Allora, secondo le parole d’ un diplomatico dispregiatore, l'Italia non era che un' espressione geografica : oggi è sicuramente un’espressione diplomatica ; ma essa non ha ancora ciò che forma una nazione : la fusione in un medesimo spirito del sentimento patriottico e del sentimento religioso. Se l’Italia non portasse a Roma un gran pensiero religioso, se essa vi venisse colla dottrina dello scetticismo e la politica degli espedienti, essa vì troverebbe la sua tomba e la tomba che è la peggiore di tutte, quella del ridicolo, poiché sulla base dei giganti edificherebbe un edificio di nani! »
Siamo lieti di poter riprodurre in queste pagine il ritratto dell’ illustre defunto. — Ci è stato cortesemente favorito dal Sig. Ugo Janni di S. Remo, che fu grande amico e « compagno d’ arme » del P. Giacinto, e che di lui parlerà, certo con molta competenza ed in modo interessante, nel fascicolo di Marzo della Rivista Cristiana di Firenze.
I/anima religiosa
di Gabriele Rossetti
---—irai । ■■TT----Sul monte Pincio, a Roma, ò stato inaugurato or non è molto il busto marmoreo del Poeta Vástese. Parecchi giornali, naturalmente, si sono affrettati a pubblicare una noticina od un articolo d' attualità. Hanno parlato del suo profondo amore per la Patria e delle lotte da lui sostenute pel trionfo delle sue generose idee ed hanno reso omaggio al valore della sua opera letteraria. Ma nessuno ha messo in luce un lato molto importante della sua vita. Egli fu un sincero credente : fu uomo di profonde convinzioni cristiane, che osò esprimere francamente con la sua penna, or grave or poeticamente alata. Crediamo non inutile, ricordare oggi, sia pur di sfuggita, questa caratteristica della bell’anima rossettiana, rimandando i lettori, per maggiori particolari al bello studio del nostro amico prof. G. LUZZI : Le idee religiose di Gabriele Rossetti, Firenze, Claudiana Ed., 1903.
Anch’ egli fu uno di quelli che giudicano e sprezzano il Vangelo senza conoscerlo; ma, una volta conosciutolo non fu di quelli che se ne vergognano.
Legge dì Cristo, anch' io talor li morsi fra insulsa società disordinata ;
ma quando poi li lessi, io chiaro scorsi che tu da papi c re sci conculcata ; non tuoi fedeli son, ma tuoi nemici e spesso ti fan dir quel che non dici.
Da questi versi taluno forse potrebbe ricever l’impressione che il suo sentimento religioso si riducesse ad un puro e semplice anticlericalismo.
Anticlericale ei lo fu ; anzi fu addirittura, in princìpi, anti - cattolico - romano, e molto e vibratamente scrisse in prosa e poesia per combattere organizzazione e dogmi della Chiesa di Roma.
Sempre di Cristo parlano costoro :
ma Dio ci scampi da quel Cristo loro!...
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BILYCHNIS
É spionaggio del pietismo scaltro
1* au ricolar confession, non altro....
Resta col tuo fallito Purgatorio
(che bella InvenzYon per far danari) ;
resta con le indulgenze e gli agnusdei, t ma non e* inganni più. sappiati! chi sci.
Il celibato
È un' ingiuria abominanda fatta a Dio che ci creò.
E altri suoi versi ben più roventi lanciati contro Roma e chi vi sedeva, tralasciamo di ricordare, per raccogliere invece — sempre dallo scritto del Luzzi — quelli che esprimono il lato positivo della sua fede.
« La divinità del Cristo, la corruzione dell’uomo e l’espiazione, il teologo canta in molti luoghi ; e tutte coleste verità sono in questi sei versi indirizzati a Gesù, direi quasi sintetizzate :
I falli mici son tuoi, i merli tuoi son mici ! Degli uomini t peccati un Dio raccoglie in sé; e per vassalli amati s’immola il Re dei re.
La croce è
...... l’ara ov* Ei s' offerse sacerdote ed ostia a Dio ;
il pentimento canta con accento commosso :
Signor, se al piè ti gemo contrito e desolato, il tuo furor non temo, aborro il mio peccato.
La fede un « bacio alla croce » e uno
« spirar su lei ». Nè si creda per questo eh’ egli abbia della fede un concetto mistico o poeticamente transcendentale ; tutt’ altro :
Chi sterilmente crede non ha verace fede ; uom, la tua fede è morta se frutto alcun non dà.
Il giustificato per la fede entra poi, esultante, nella via della santificazione :
Oh di qual veste candida a rivestirci andiamo ! Deposto il vecchio Adamo, assumcrcm Gesù !
Ed ecco la vita del redento, trasformata in un inno di gioia :
Oh se qual tromba angelica suonasse la mia voce; oh se potesse scorrere come un baici« veloce! Ovunque è moto c spazio, ovunque è terra c fluito, io sciamerei per tutto : Sia gloria al Redentori
Nè la morte fa al redento più paura :
Caduca dimora di fragile argilla, . è pronta a lasciarti quest' alma tranquilla ; ah in career si stretto languendo avvilita il termi n sospira del lungo suo duol ! Deh il volo spiccando quell' aquila ardita ricerchi col guardò l’eterno suo sol !
E si capisce che la morte non gli faccia più paura; egli è certo che,
..... giunto al termine, varca del del l'ingresso a prender possesso d'immensa eredità.
Gabriele Rossetti è dunque puro ed essenzialmente evangelico nella sua teologia. »
L. P.
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Dei libri che verranno inviati alla Redazione di BII/YCHNIS in doppio e-semplare saranno pubblicate in questa rubrica accurate ed e-stese recensioni.
Un libro in regalo.
È in corso di stampa un volume contenente i seguenti scritti :
I. Gli errori dell' Ipercritica, del Dr. Franklin Johnson dell' Università di Chicago.
II. La nascita verginale di Cristo, del Dr. James Orr, del Collegio della Chiesa Libera di Glasgo'to.
III. La testimonianza dell' esperienza cristiana, del Dr. E. Y. ¿Mullins, Presidente del Seminario Teol. Bali. di Louisville.
IV. Certezza ed importanza della risurrezione corporea di Cristo, del Dr.
A. Torrey di Pennsylvania.
V. Osservazioni sulla conversione
di San Paolo, di Lord Lyttelion (adattato dal Dr. J. L. Campbell).
Chiunque fra i lettori di « Bilychnis» desidera ricevere GRATIS una copia di questo 'Volume, non ha che da inviare prontamente il proprio nome e indirizzo - scritto chiaramente - all' editore Sig. D. G. Whittinghill, Via dei Delfini 16 Pfima.
Isaia XXIX, 18,
Sembra strana dal nostro punto dì vista l’espressione : « i sordi odano le parole delle lettere ». Ciò però si può spiegare, se teniamo conto che presso i popoli greci e romani si usava di leggere ad alta voce. Forse anche tale era il caso presso gii ebrei (mentre in generale i semiti leggevano a bassa voce). Di fatti in ebraico si ha la medesima parola per « leggere » e « gridare », chiamare. Gesenius, T/res,/!/, 1232, traduce questo verbo con « recitavi/, aita voce /egit.... deinde generaliter legit (così nel 1842). Nei
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N. T., in Alti S, 30, abbiamo le parole : ■ijzovoev ciùrofi dvayivox»xovio$ clic possono mettersi in raffronto col passo di Isaia, 29. 18, e che è dai commentatori quali Bernhard Weiss, Wcndt, Johannes Weiss, Kuopf, interpretato nel senso dell’abitudine di leggere ad alta voce.
Cosi A. Tache nella Zeitschr. fiir Alte-stanientl. Wissenscha/t, Heft 4. I911P. C.
II documento P nell* esateuco.
La medesima rivista contiene un poderoso articolo di Oscar Fìsher, sul Codice P e le modificazioni subite, con 8 tavole. Il codice P. è la fonte più recente dell’ esateuco (nome che comprende il Pentateuco cioè i 5 libri di Mosè, e il libro di Giosuè) ; è una collezione di leggi, il cui nucleo centrale di origine sacerdotale, risale al tempo del-l’esilio o dopo 1’ esilio (cattività babilonese: 586-538 a C.). Nel 444 a C. all’incirca, questa collezione venne in luce per mezzo di Esdra. Lo scopo di questo codice è di descrivere l’origine dello Stato divino israelitico (Genesi 12.4); si estende sul tempo compreso dai 5 libri di Mosè e dal libro di Giosuè, e ne dà la struttura cronologica — mentre le altre fonti dell’ Esateuco, hanno appena accenni cronologici.
P. C.
Mosè e i Libri mosaici.
SALVATORE PINOCCHI, Mosè e i libri mosaici ; voi. in 16., di p. XVI — 79, C rezzo L. 1.25. A F. Fonnìggini, Ed. odena. 1911.
Il materiale smosso da questo volumetto è tale che il vagliarlo coscienziosamente esigerebbe spazio e tempo che 0-ra ci mancano. Lo faremo in uno dei pios-simi fascicoli, limitandoci j)er adesso a consigliarne la lettura a chi desideri a-vere un’ idea dell’ immane sforzo compiuto dai critici più o meno radicali per spogliare di tutto il soprannaturale le o-rigini e la storia primitiva del popolo d’Israele, riducendola alle proporzioni della storia di qualunque altro popolo.
Infatti tutto il lavoro di critica storica e letteraria che si è andato compiendo in questi ultimi anni intorno alla figura di Mosè ed ai libri che la tradizione a lui attribuiva, costituisce una vera biblioteca internazionale, nella quale soltanto agli specialisti di critica dell’ A. T. è dato di potersi orientare. Il volumetto del Minocchi. che è un’ esposizione riassuntiva. in forni • ordinata e chiara, dei risultati nei quali in generale convengono i critici della scuola radicale •— può quindi essere un’ utile guida per chi voglia a-vere un’ idea di lutto il lavoro della critica intorno all'argomento. —
Un’osservazione generale ci permettiamo di fare alt’A. fin d'ora. Egli —ci sembra — accetta troppo facilmente delle affermazioni radicali, che possono aver solo il valore di me e ipotesi, e spesso i-potesi assai poco verosimili. Forse una maggiore indipendenza di critica avrebbe condotto l’A. a conclusioni differenti 0 per lo meno lo avrebbe trattenuto nella via d’un metodo più scentifico. Ma ne riparleremo.
L. P.
Amos.
G. NESI, Il Libro di Amos, novamente Iradotto con brevi note: in 16.. pag. 11-51, prezzo L. 1,00. — Venezia 1911. — Presso i’ A. in Roma, Via Villafranca. —
Tra le più interessanti figure dell’ A. T. quella del profeta Amos è certo una delle più simpatiche. Amos è il profeta più laico dell’ A. T. — Di lui sappiamo poco ed il libro che lo ricorda e ci fa riudire la sua voce e in essa la sua coscienza, è di poche pagine. Poche, ma belle. Rileggetele nella accurata traduzione del N. : le gusterete e le sentirete specialmente se non avrete omesso di scorrere quanto P A. dice nell’ inlrodmione circa la persona e i tempi del profeta. —
Vorremmo che l’A. si sentis e inco raggiato a riprendere la ¡cima, rivolgendosi ad un altro profeta della gloriosa serie de’ « minori » —- seguendo il piano ed il metodo ai quali si è attenuto in questo primo saggio.
L. P.
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Tracce di babilonese nell*A. T.
La scrittura dei babilonesi e la loro lingua sono desse state adoperate dagli scrittori dell’Antico Testamento? Pare di sì. quando si legge nel Theologische Qua-rtalschrift (4. Quarlalheft) l'articolo del prof. Dr. Paul Jìiessler Sull’Antico Testamento e la scrittura cuneiforme babilonese. Molte traccio si rinvengono, specialmente chiare nei capitoli 2-11 de! libro della Genesi.
P. C.
Un nuovo Commentario del Nuovo Testamento.
Il Muovo, -Testarnealo Commentato teù P.
MARCO M. SALES, O. P-, Professore di^acrà~Sriitufa'nel Collegio Angelico di Roma. Tipografia Pontificia, Via Legnano 23, Torino. Prezzo del primo volume L. 6. Pagine 607. in 8. — Con numerose illusi azioni.
Il primo volume di questo commentario ha visto la luce in questi giorni, e può forse considerarsi come un risultato del nuovo impulso dato allo studio biblico dal decreto di Pio X.
Contiene i quattro Vangeli e gli Atti apostolici. L’A. segue due testi, cioè la versione « Vulgata » e quella di Mons. Martini, riveduta e corretta. Nella prefazione l’autore si dichiara pronto a seguire scrupolosamente le dottrine tradizionali e le norme sancite dall’ autorità della Chiesa. E questo, mentre sta bene dal punto di vista della sua fedeltà alia propria chiesa, non è egli un grosso impedimento alla sua opera di fedele interprete del testo biblico? Pare che il lavoro sia stato fatto per gli studenti, e non per i dotti e gli specialisti, perchè « non abbonda di citazioni di autori eterodossi ».
La parte introduttiva accenna brevemente al contenuto dei cinque libri commentati:. L* epistola agli Ebrei viene considerata opera di Paolo. Riguardo all’ ordine cronologico dei vari libri, l’autore scrive essere « cosa indubitata che S. Matteo fu
il primo a scrivere il Vangelo, e fu seguito da S. Marco e ultimo venne S. Luca ». Ci maravigliamo come l’autore abbia potuto sapere con certezza una cosa così dubbia !
Trattando della quistione sinottica egli accenna di sfuggita alle diverse teorie: osa citare scrittori eretici, come per esempio Dalman. Abbot, Weiss, Loisy, Harnack, Reuss ed altri quando essi gii servono nella trattazione di qualsiasi ipotesi riguardo la composizione del libro, l’autore, la data ecc. ; ma, cosa strana, non se ne serve nel-1’ esposizione del testo ! Non è questa una incoerenza? Veramente un commentario critico non può privarsi di questi due elementi tanto essenziali alla sua utilità, giacché 1’ esegesi e 1’ opera dell’ ipercritica s’ aiutano a vicenda.
Nell’ esposizione del testo ritroviamo, naturalmente, P interpretazione tradizionale dei passi che trattano di Maria Vergine, di Pietro, della Chiesa e via dicendo. In questi passi I’ autore ha completamente sprecato il suo tempo giacché non ha potuto fare altro che ripetere ciò che la Chiesa afferma.
In Matteo, 3, 1 il padre Sales, parlando del significato dell’ espressione « Fate penitenza » (ueravoslrs), dice : « Queste parole indicano un’ intima trasformazione del-1' anima, che importa un vero cambiamento di vita ». Questo è verissimo, ma come si può conciliare questo significato di « penitenza » con quello inteso e praticato dalla Chiesa Romana ? Altri simili passi potrebbero citarsi per dimostrare che il commentatore non segue sempre le norme sancite dalla Chiesa.
Per coloro che conoscono bene le dottrine della Chiesa Romana questo Commentario sarà utile. Tenendo conto di qualche difetto quà e là e delle vedute speciali dell’ A, il libro può riuscire utile anche ai Protestanti.
E in ogni modo il pubblico cristiano dovrebbe ringraziare I’ A. per quest’ opera che può anche illuminare non poco chi se ne serva con la dovuta prudenza.
D. G. WHITTINGHILL
« Orpheus » e 1* Evangelo
PIERRE BATIFFOL. Orpheus et V Evan-Cile. Voi. in 16. di pag. XV-284, prezzo
. 3.50; Paris, Editore Lecoffre. Rue Bonaparte, 90. 1910.
Monsignor Batiffol è ben conosciuto fra gli studiosi come autorevole storico
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de! cattolicismo primitivo. Egli'cerca di legittimare con metodo scientifico non solo la nozion<soprannaturale del sorgere'del Cristianesimo, ma anche l’evoluzione che ilCristianesimo primitivo .ridusse nei limiti "gerarchici della Chiosa Cattolica. Egli è considerato non solo come storico ma come un apologeta nel campo del moderno cattolicismo ortodosso (vedi: L'Eglise naissante et le catholicisme).
Il libro che ci sta dinanzi è forse il più simpatico ch’egli abbia scritto. Sono otto conferenze date a Versaglia dinanzi ad un pubblico scelto per un corso superiore d’istruzione religiosa.
Le più importanti questioni sono esaminate con spirito imparziale cercando di lumeggiarle — in contrasto alla critica radicale e demolitrice — secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa, pur seguendo un criterio strettamente storico e scientifico. Egli non cita direttamente l’Orpheus, se non qua e là e alla sfuggila. ma si capisce facilmente che egli ne segue la trama contrapponendo la sua interpretazione e il suo apprezzamento dei falli alle affermazioni del Reinach.
Nella prima conferenza esamina il valore e la portala del silenzio reale o supposto di Giuseppe Flavio intorno a G. Cristo. Studia l’ipotesi dell’ interpolazione dei suoi passaggi, e dal contegno di lui verso il Cristianesimo trae argomento per spiegare il suo probabile silenzio.
Nella seconda Conferenza egli, dall’ c-same delle testimonianze dei rabbini (es. (■'¡usto di Tiberiade eie.), del supposto rapporto di Pilato, le lettere di Plinio, i passi di Svetonio e di Tacito, dimostra F esistenza, nell’ età primitiva di una precisa fede nella messianilà di Gesù.
Nei « canone cattolico » (3. conferenza) sostiene che i metodi praticati dalla Chiesa nella cernita degli scritti del nuovo Testamento, sono tali da giustificare pienamente la nostra fiducia in essi.
Le altre conferenze : — San Paolo,
L’autore degli A Ut. Gli Evangeli, — trattano con sobrietà ed efficàcia le varie questioni di critica letteraria e storica che sórgono, quando ci facciamo a considera-re^ tali libri come fonti fededegne della storia delle origini del Cristianesimo.
Speciale valore apologetico e scientifico ci sembrano avere gli ultimi capitoli che trattano dell’autenticità dei discorsi di Gesù e della storicità del racconto e-vangelico. Varràja pena, in'un prossimo numero, esaminar più da presso il contenuto di essi.
Non si può dira che il BatifTol abbia voluto dimostrar troppo, sospinto dal suo scopo apologetico o polemico, chè anzi e-gli conferisce autorità a ciò ch’egli dice riferendosi continuamente ad affermazioni di studiosi quali l'Harnack, il Wernle, Johannes Weiss, e in generale ai resultati acquisiti dalla scienza e dalla critica liberale del protestantesimo' tedesco.
Il Batiffol appartiene a quel gruppo di studiosi cattolici che si riuniscono intorno alla « lievuc Biblique » diretta dal Padre Lagrange e che con opere di savia prudenza e profonda doti rina, hanno rinnovato I* ambiente degli studi religiosi nel campo cattolico francese.
G. NESI.
Grammatica del N. T. greco.
A. T. ROBERTSON E G. BONACCORSI :
Testamento Greco — i voi. in 16. di pag. 311.— Prezzo L. 3,50. Firenze 1910 — Libreria Fiorentina Editrice.
Il decreto pontificio che rese obbligatorio lo studio del greco biblico nelle scuole teologiche ha spinto il Buonaccorsi a cercare un libro di testo adatto per i bisogni del giovane studente. Gli capitò fra le mani la grammatica del Robertson, che sembra meglio rispondente alle esigenze esegetiche. l.a letteratura italiana cosi ricca in tanti altri rami dell’attività intellettuale, presenta una grave lacuna in questa materia, lacuna che non è sufficiente a colmare la Grammatica del Boatti.
I^a comparsa delia grammatica del Ro-
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bertson in veste italiana è stato un nuovo bel complimento all’ autore, il quale aveva già visto assicurata all’ opera sua una larga diflusionejnediante le traduzioni in francese, olandese, spagnnolo e tedesco. Certo nessun altro libro di questo genere ha avuto di recente un’ accoglienza così generalmente benevola. Specialmente la Germania, il paese del Winer, del Blass e dello Shmie-del, non è tanto facile ad accettare un’ o* pera forestiera, se non possiede dei veri meriti.
« Questa Grammatica è breve, succosa, completa nel suo genere, punto pesante, frutto di lunghi studii e d* amorose cure e sopratutto pienamente al corrente dei lavori più recenti in fatto di filologia neo-testamentaria ».
Sono queste le parole del traduttore, e noi che abbiamo avuto il privilegio di essere fra gli allievi del Robertson'in Louis* ville (Stati Uniti d’America), crediamo in coscienza di poterle far nostre e di poter dire che non esiste un’altra breve grammàtica che abbia più meriti e meno’difetti di questa. I frequenti raffronti di glottologia storica e comparata non sono privi di utilità ài giovine Studente, specialmente per coloro che desiderano approfondirsi in questo interessante studio. Ditatti si suppone una conoscenza abbastanza profonda del greco classico per potere intender bene tutti gli esempi tratti dal N. T. L’opera ha inoltre il pregio grandissimo di essere stata scritta non soltanto per i dotti, ma anche per coloro che hanno una mediocre conoscenza del greco attico. Il testo adoperato è quello di cui andiamo debitori al West* cott e all* Hort, confrontato spesso con quelli del Tischendorf e del Nestle. Fatta eccezione del Moulton, non c’è nessun altro grammàtico tra quelli a noi noti, che abbia fatto tanto uso delle iscrizioni e dei papiri di recente venuti alla luce. In questo senso l’opera è modernissima. Si può dire lo stesso del suo modo di trattare certi soggetti della sintassi.
L’ autore non crede che il greco dei N. T. sia un dialetto del greco classico, come credevano molti dei vecchi grammatici. « Esso, secondo lui, è il greco di un detto gruppo di libri scritti dà uomini di varia cultura i quali erano mossi dallo spirito di Cristo e avevano famigliarità con la LXX e la maggior parte coll’ aramaico del tempo ». Il greco del N. T. non è altro che la zOLvi] - lingua popolare - dei primo secolo di Cristo.
A questi e agli altri pregi del volume, c’ è da aggiungere quello d’una piccola bibliografia di iot volumi, un elenco delle 25 principali edizioni di papiri e d’iscrizioni e l’indice di alcuni vocaboli greci più notevoli.
Le modificazioni e le aggiunte fatte dal Bonaccorsi, rendono specialmente utile allo studente italiano, quest’opera, che desideriamo raccomandare caldamente, fiduciosi che anche essa contribuirà validamente a raggiungere una conoscenza più ampia e più profonda di quel Cristo, che dappiù è cosi poco conosciuto.
D. G. WHITTINGHILL.
Gesù male accolto a Nazareth
M. GOGUEL, nella Zeitschrift für die neu-testamentliche Wissenschaft and die'tende des Urchristentums — Anno XII, Heft 4. 19« «•
L’episodio del rigetto di Gesù a Nazareth ci è riferito dai due primi evangeli sotto due forme molto simili (Mt. XIII, 53 - 58 e Me. VI, 1-6); Luca, il quale verosimilmente ha conosciuto i racconti dei suoi predecessori, mette 1’ episodio più presto, al principio proprio del ministero di Gesù, e fa uso, pel suo racconto, di una fonte che gli è particolare (Luca IV, 16-30).
Il paragone fra i racconti di Matteo e di Marco è istruttivo. Nelle sue grandi linee, quello di Marco sembra il più antico. Sembra che Matteo (v. 54) voglia far sapere che Gesù viene a Nazareth per insegnare, perchè la sua frase mette in rapporto diretto la sua venuta con l’insegnamento (¿ÀOròv... ¿Siòaoxev), mentre presso Marco è solo in occasione del culto del sabato che Gesù prende la parola. Matteo non riproduce testualmente la conclusione di Marco (v. 5): « Non potè fare quivi alcun miracolo » ; ma attenua e fa scomparire quel che poteva sembrare atto a scandalizzare e inconciliabile con l’idea dell’ onnipotenza di Gesù. Egli scrive (v. 58): « Non fece quivi molti miracoli ».
Il testo di Marco permette, esso pure, di riconoscere l’intervento del redattore dc|
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Vangelo. Al prinojversetto questo redattore à aggiunto le parole : xai dxoXovOovaiv aòtqf oi paOipai aùrov che Matteo non avrebbe avuto alcuna ragione di omettere, se le avesse rinvenute nelle fonti di cui si serviva. Sembra eh’ egli abbia anche rimaneggiato alquanto la fine dell’ episodio. Nella sua forma attuale il v. 5 di Marco contiene una contraddizione assoluta. Il narratore afferma prima che Gesù non potè fare là alcun miracolo, poi racconta che egli guari alcuni ammalati imponendo loro le mani. Dal punto di vista dello stile, la seconda parte del versetto si riannoda male alla prima (.-ton'|aau..éOe(>d.*rev<rev). Questa seconda parte deve dunque essere considerata come una correzione della prima. Il redattore di Marco è diretto dalla medesima preoccupazione che ha condotto quello di Matteo a dire che Gesù compì pochi miracoli, invece di parlare dell’ impossibilità in cui si trovò di farne alcuno.
11 v. 6 di Marco attrae pure l’attenzione. « Si stupiva, dice 1’ evangelista, della loro incredulità ». Come mai Gesù può stupirsi di questo, lui che ha testò dichiarato che un profeta è male accetto nella propria patria ? Anche Matteo accenna al-l’incredulità, ma per motivare il piccolo numero dei miracoli compiuti. Una tale relazione sembra organica. Il testo primitivo di Marco, potrebbe benissimo essere stato x.aì ovx èÒvvato ¿xeì rtoi>ì<Jd ovÓejtiav innari v 8uz njv àaioriav avviòv. Il redattore , avendo isolato le parole 8ià tìjv «buotiav aàtòv coll’ aggiunta della frase, sulle guarigioni con imposizione di mani, dovette quindi introdurre qualcosa per spiegarle.
L’analisi permette di risalire più su ancora di quanto sia stato fatto finora, vale a dire al di là della fonte comune dei racconti di Matteo e di Marco.
Un primo fatto ci colpisce. Il verbo a-doperato al v. 2 di Marco per spiegare l’effetto prodotto sui presenti dall’insegnamento di Gesù (8^e-iZi]ooovro), è quello
medesimo che esprime in Marco 1, 22 l’impressione fatta nella sinagoga di Ca-pernaum dall’ insegnamento pieno di autorità di Gesù, vale a dire un’ impressione del tutto favorevole. È strano invero che la medesima parola serva ad esprimere sentimenti così diversi.
Secondo il racconto di Marco lo stupore che T insegnamento di Gesù produce sulla folla, è motivato da due cose. Da una parte la saviezza di cui Gesù dà prova, dall’altra i miracoli che vengono compiuti dalle sue mani. La folla potè giudicare diretta-mente di questa saviezza dall’ insegnamento cui prestò attenzione, ma I’ evangelista, dicendo espressamente che Gesù non fece quivi alcun miracolo, è solo per sentito dire che si può parlare di quelli compiti dalle sue mani. Non vi è egli qualcosa di strano nel fatto che le due ragioni dello stupore dei Nazareni, sieno motivate nel medesimo modo, e che non si dica che la fama di Gesù era pervenuta fin nel suo villaggio natio?
Fra i v. 2 e 3 di Marco non si scorge alcun légaine necessario. Al v. 2 i Nazareni riconoscono che Gesù possiede una saviezza divina e il potere di far miracoli ; la conclusione 3 cui ci dovrebbe condurre questa doppia costatazione sarebbe questa : « Egli ha ricevuta una missione divina ». Invece il v. 3 dice: « Non è egli il figlio del falegname e di Maria, il fratello di Giacomo, di Jose, di Giuda e di Simone, e le sue sorelle non sono esse qui vicino a noi ? » E rifiutano di credere in lui. li riconoscimento del disaccordo esistente fra 1’ origine di Gesù e la sua autorità avrebbe dovuto condurre i nazzareni a concludere che il loro compatriota doveva avere ricevuta una missione divina.
Il testo attuale dunque non è coerente. Come riconoscerne gli elementi primitivi ? La conclusione dell’ episodio mostra che la quistione dei miracoli dovette avere una parte importante. Così nel racconto di Luca, dove Gesù dice : « Vói mi direte : Tutto
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ciò che abbiamo sentito ' dire che tu hai fatto a Capernaum, fallo ancor qui » (Luca IV, 23). Non si può egli congetturare che nel racconto di Marco esistesse qualcosa di simile, e che se i Nazareni non accolgono Gesù, gli è perchè egli rifiuta di compiere in mezzo a loro i miracoli di cui hanno udito parlare ?
Invece del v. 2. in cui è quistione del-l'insegnamento di Gesù nella Sinagoga, doveva primitivamente esserci una domanda di miracolo per parte dei Nazareni. Il v. 2. per intero^sarebbe dunque stato aggiunto al racconto primitivo ; solo la menzione dei miracoli alla fine di questo versetto potrebbe provenire dalla fonte antica. Se si ammette questa ipotesi bisogna forse considerare l’aggiunta dèi discepoli al v. 1. non come un semplice ampliamento letterario, ma come un particolare aggiunto per dare un carattere più intenzionalmente didattico alla venuta di Gesù a Nazareth.
In origine il racconto sarebbe dunque stato questo : Gesù viene a Nazareth — forse solo — ; là si dice : Non è egli il figlio del falegname e di Maria, il fratello del tale e tale ? s' ei vuole che gli si riconosca qualche autorità, faccia miracoli come quelli di cui abbiamo sentito parlare. Ma Gesù dichiara che un profeta è male accolto nella sua patria e a causa dell’ incredulità dei suoi compatrioti, non può fare quivi alcun miracolo.
Forse si rimarrà meno colpiti dal carattere ipotetico della ricostruzione che precede se la si pone in raffronto col frammento Giov. IV, 43 - 45, 48. « Dopo due giórni, è egli detto in tale frammento, Gesù parti di là ed andò in Galilea, e Gesù stesso testimoniò che un profeta non è in onore nella propria patria. Allorquando a-dunque venne in Galilea, i Galilei io accolsero, perchè avevano veduto tutto quello che egli aveva fatto in Gerusalemme alla festa. Essi stessi vi erano venuti ». A questo frammento si riannoda ancora il v. 48: « Gesù gli disse : se voi non vedete segni
e miracoli, voi non credete ». Questo versetto che si trova nel racconto della guarigione del figlio del funzionario reale, non sta bene nel suo contesto, perchè se il padre invoca Gesù, non è per assistere ad un miracolo, ma per ottenere la guarigione de! suo figlio.
Tra il frammento Giov. IV. 43-45, 48, e i testi di Matteo e di Marco che stiamo esaminando, più che una analogia generale di situazione, vi è una relazione letteraria, come Io provano le parole seguenti del racconto sinottico che si ritrovano nel IV e-vangelo : tì,v !ra/.:?.aiav]...nQO<pì)¿v t[| lòia stargfòi [njiqv ovz
Il testo joannico nella sua concisione non è perfettamente chiaro. Allude a una scena conosciuta dai suoi lettori più che non la racconti con particolari. L’episodio pertanto può esser facilmente ricostituito. I Galilei ricevono Gesù con gioia perchè sanno eh’ egli ha fatto dei miracoli a Gerusalemme, e perchè si aspettano di vederne fatti alcuni in loro presenza. Ma Gesù li rimprovera perchè credono soltanto se vedono miracoli, e dichiara loro che un profeta è male accolto nel suo paese.
Cosi il racconto joannico suppone esattamente gli eventi che sono narrati nella fonte sinottica quale abbiamo tentato di ricostruire. I Galilei non credono perchè Gesù li ha delusi nel loro desiderio di assistere a miracoli. Questo accordo non fornisce egli un argomento in appoggio alia nostra ipo esi, mentre stabilisce un fatto capitale per lo studio della composizione del Vangelo di Giovanni, cioè che il redattore di questo evangelo à conosciuto non solo i racconti sinottici ma anche le loro
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Cristianesimo e libertà religiosa.
ENRICO MEYNIER, Il Cristianesimo e la libertà religiosa ; voi. in 8. di pag. 143, prezzo L. 1,70 — Firenze, Tip. e Libreria Claudiana, Via Serragli 51. 1912.
« In breve sintesi » con questo studio l’A. intende lumeggiare il concetto di libertà quale dal vangelo risulta, e quale si svolge attraverso i tempi.
Nel primo capitolo dimostra come il concetto di liberta faccia parte dell’essenza del Cristianesimo, dimostra false certe interpretazioni di alcune parole di Gesti e degli apostoli e contrario allo spirito dell’Evangelo l'autoritarismo in fatto di fede e di domini. Quindi l'A. entra nel campo storico degli attentati sanguinosi alla libertà religiosa e delle lotte per essa, distinguendo le varie fasi del lunghissimo periodo in cui essa passò per intenso travaglio: le persecuzioni contro il cristianesimo primitivo(c. Il) — le persecuzioni sotto l’impero fatto cristiano (c. Ili) — le persecuzioni contro i dissidenti dal Romane-simo nel Medio evo (c. IV). Con la informa protestante s’apre una nuova èra con la rivendicazione da essa strenuamente sostenuta del diritto al libero esame e alla libertà religiosa: e qui I’ A. non si limita a mettere in evidenza il grande merito del movimento protestante, ma passa in esame l’accusa d’intolleranza — non del tutto infondala - mossa contro la Riforma stessa (c. V.). Due capitoli (c. VI e VII) sono dedicali alla storia delle vivaci lotte religiose succedute alla movimento riformatore, ed alimentate special-mente dalla intolleranza romana eretta ad Istituzione ufficiale. — Con questa sintesi chiara, sobria, con questa esposizione rapida di fatti l'A. ottiene il nonile risultalo di eccitare vivo in noi il sentimento di profondo, religioso rispetto pel sacrosanto principio della libertà religiosa
mentre, senza averne la minima pretesa ci porge l’ammonimento solenne di badare di non lasciarci Ir scinare dal demone dell' intolleranza, alle cui tentazioni an-c'oggi, purtroppo — nell’incontro dei partiti e delle tendenze — siamo cosi frequentemente esposti.
Il volume si chiude con un capitolo (Vili) in cui l’A. ordinatamente e con chiarezza s’intrattiene sui problemi odierni di politica ecclesiastica.
L. P.
Gesù e il mito di Cristo.
MARIO PUGLISI. Gesù e il mito di Cristo (saggio di critica metodologica).
Voi. in 16. di pag. XI-279. prezzo L. 4. — Bari, Editore Laterza. 1912.
Fa veramente piacere il vedere un autore italiano pubblicare un volume cosi seriamente misurato e scientificamente e-laborato per provare l'esistenza storica di Cristo.
Lo scopo che Si prefigge è di mostrare come, un metodo storicamente rigoroso nell’esame delle fonti e dei documénti ci conduca a conclusioni diametralmente op-S>ste a quelle avventate recentemente in ermania contro la realtà storica di Cristo.
L’attacco mosso dal Drews«Die Chri-stusmilhe » sollevò in quel paese non solo la protesta delle menti più elettamente religiose, ma le repliche e le confutazioni delle più competenti autorità in fatto di storia evangelica. Basterà citare i nomi di JUlicher, von Soden fra numerosi altri. Il nostro autore non si è riferito alla polemica sui Christusm ithe che in modo molto limitato. Egli ha fallo opera personale e si è posto ad un punto di vista particolare distinguendo le superfetazioni mitologiche che hanno foggialo il Cristo della teologia, dalla figura del Cristo storico, del quale egli si limila ad affermare l’esistenza senza cercare, di tratteggiarne il carattere.
Come saggio di metodo critico il libro ha un grande valore e può recare grandi servigi. Dopo aver fatta la storia della i-Estesi mitologica dall’epoca del Dupuis no al libro del Drews. l’A. passa ad e-saminare la credibilità dei testimoni, ap-Ìilicando il proprio metodo di ricerca al amoso passo degli Annali di Tacito, e sommariamente, ai passi di Svetonio. Giuseppe, eie. Nella terza parie si ricerca il
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valore degli scritti del N. T. come docu-ÌB menti della realtà storica. $5?
Il libro, copie saggiò di metodo di ricerca, può costituire uno studio utilissimo anche a chi s'interessi particolarmente della storia evangelica.
G. NESI
^^DETOGIONI
Le origini cristiane
della Tripolitania.
ERNESTO BUON AIUTI pubblica nella Nuova Antologia del 16 gennaio 1912 un interessantissimo studio su Le origini cristiane della Tripolitania e della Cirenaica. In poche pagine, dense di notizie, frutto di accuratissime ricerche, raccoglie tutto quello che le fonti ci hanno tramandato intorno a quest’ argomento divenuto oggi di vivissima attualità.
Intorno a Lutero.
Il prof. Otto Scheel nella Zeitschrift fur Kirchengeschichte XXXII band. 3 Ileft, pubblica notizie sulla vita di Lutero giovane, tenendo d’occhio le esagerazioni del fu Padre Deni Ile, e la nuova biografia cattolica di Lutero del P. Grisar.
La grande aspettativa per quest' opera — di recente venuta alla luce. — è rimasta alquanto delusa.
A questo articolo fa seguito uno studio del prof. Karkoff di Breslavia, sul processo di Lutero a Roma, vi sono descritti i preparativi per l’arresto — e si dimostra come il monaco Lutero venisse considerato come incapace ed eretico.
P. C.
La Rivista Cristiana.
(Firenze. Via Serragli, 51) — Sommario del fascicolo di Febbraio 19x2. —
E. COMBA, Breve corso inedito di Gastone From-mel. — V. P. TROBIA, Religione e Psicoterapia. — È. MEYN1ER, — Le idee religiose di Gian Giacomo Rousseau. — T. LONGO, A proposito di alcune dottrine del Tyrrei. — A. JALLA, L* ora dell’apostolato. — L. A. VIL1.AR1, Una autobiografia spirituale? — Il LOYSON, Lettre sur mon mariagc. — D. WALZ, Lo stato della Chiesa in Germania nel 1911. — U. JANNI. Cronaca del Movimento religioso. — G. E. M. Dalle Riviste e dai Giornali. — G. R., Note bibliografiche.
L* Orpheus di S. Reinach.
ALBERTO VACCARI, S. J. - L’Orpheus di Salomone Reinach. — Estratto della « Civiltà Cattolica », Roma 1911. L’apparizione dell’Orpheus di S. Reinach, voleva essere, come si dice, un avvenimento. L’autore già noto è stimato nel mondo scientifico per la sua vasta erudizione, specialmente in archeologia classica, aveva folto rumorose escursioni coll’ardore di un neofita — come dice egli stesso — nel campo della storia delle religioni. « Orpheus » doveva raccogliere le prove e pronunciar la sentenza in nome della scienza novella contro tutte le religioni e specialmente, c’c.? da aspettai-selo. contro il C i't’e resi ino. Preparato con gran cura tirato a trentamila copie in una prima edizione, doveva essere in breve seguito da traduzioni in tedesco, in italiano, in spaglinolo e in russo. II libro fu quale doveva essere: opera di propaganda. destinato al gran pubblico, e più ansioso di lettrici che di competenti lettori. Ma per la scienza esso poteva dirsi nato-morto. Le critiche, anche acerbe, non furono risparmiate all’autore. Gabriel Mo-nod, dal punto di vista del protestantesimo liberale, il Loisy da una posizione più avanzata, ne parlarono con competenza nella « Revue Historique ».
In Italia l’opera è poco conosciuta, tuttavia. « in vista dei danni che essa può recare alle anime dei cattolici », il Vac-cari ha intrapreso nella Civiltà Cattolica la critica delle affermazioni del Reinach. Egli lo fa con competenza, con misura e con queirabilità di cui non saprebbe mancare un dotto gesuita.
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Giustamente egli rileva la superficialità del Reinach. il quale con informazioni di seconda mano si è lasciato spesse volle trascinare ad affermazioni non provabili, a ravvicinamenti e paragoni fantastici. E-sauriente la demolizione che, sulle traccie del Monod, il Vaccari fa della definizione di religione data dal Reinach. Troppe pagine però sono spese per polemizzare sul-l’importanza attribuita dal R. al totemismo. forse perchè ciò lo conduceva a quelle proteste ch’egli amaramente muove per aver quegli identificato il sacrificio della messa con la manducazione del totem e averlo qualificato per teofagia!
Le osservazioni del V. sono efficaci là dove egli tratta della questione del metodo nella storia della religione e scrive linee che possono illuminare qualsiasi lettore anche non esperto, (pag. ,32).
Due sono i metodi della stona delle religioni ; il metodo storico e il metodo comparativo. Il metodo storico ricostituisce il più integralmente che può. con tutti i soccorsi dell’archeologia, un culto, un mito, un rito delle società passate : ne segue il sorgere, lo svolgimento, il declinare. Il metodo comparativo chiama a suo soccorso l’etnografia, che studia le società viventi; paragona tra loro i miti o i riti per indagarne le mutue relazioni ; mette a raffronto tra loro le varie società religiose e ne cava, se vi ha luogo, le leggi che guidano l'umano pensiero in questa regione così importante della sua attività. Il metodo comparativo può fornire un prezioso soccorso allo storico, ma il torto più evidente del Reinach è quello di aver dimostrato completa incuria del metodo storico e un intemperante abuso del comparativo.
E. salvo i pregi che (pur non confessandoli) riconoscerà certo il Vaccari nell’opera del Reinach. noi siamo su questo ultimo punto, d'accordo con lui.
G. NESI.
I sofismi della gioventù.
F. A. VUILLERMET, Les sop/ìismes de la Jeunesse. Voi in 16. di pagg. 3S8, prezzo L. 3. - Paris, P. Lethielleux, - Libraire -éd., io Rue cassette -1911 -(4. edizione).
Il volume è composto di due parti, una intitolata, « la vita morale », P altra, « la vita cristiana ». Ho detto, è composto, e non, è diviso, perchè in fondo si potrebbe pensare a due libri, separabili P uno dal-P altro in modo da potere costituire ciascuno una trattazione a parte. Ciascuna delle due parti poi è suddivisa in vari argomenti (dieci per la prima e sette per la seconda), e in ognuno è esaminato uno dei sofismi correnti a riguardo della vita morale e religiosa dei giovani. Perchè il libro, come del resto lo dice il titolo, si occupa della gioventù maschile, ed è diretto specialmente ai giovani, quantunque esso possa riuscire per lutti una seria e giovevole lettura.
Detto così qual’ è il piano dell’ opera, eccone P orditura, o almeno quella che pare desumersi da molte espressioni dell’ autore; per dare valore alla vita di un giovane, per formare di esso una personalità, e far sì che le energie che sono in lui si volgano al bene e rappresentino un coefficiente di miglioramento della umanità, tanti e tanti sofismi correnti, riguardanti la pratica della virtù, la sanità morale, la purezza in modo speciale, debbono essere svalutati, rimettendo in luce e in vigore, come ideale pratico, praticabile, degno e generatore di felicità, P ideale morale del Cristo.
La via per giungere al risultato anzidetto è quella tracciata dalla chiesa cattolica romana, e il tipo del giovine bene armato per la vita completa, fisica, m orale e rei
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giosa è quello del giovane che, dopo una istruzione e un’ educazione compiuta sotto lo sguardo della chiesa, esce dalla adolescenza ed entra nella età matura coi sussidi delle pratiche religiose date dalla tradizione cattolica e sotto la guida dei consiglieri appartenenti al clero.
L’esposizione dell’ orditura del libro basta da sola a giustificare perchè, come osservavo da principiò, si può spezzare il volume in due libri distinti e come, mentre approvi senz’altro la prima parte, senta di dover fare delle esplicite riserve sulla seconda.
La prima parte è buona, assolutamente buona. L* autore si dimostra osservatore acuto, psicologo profondo; e ad una esperienza grande della gioventù unisce una evidente vasta conoscenza di quanto riguarda l’educazione, la morale, e la morale evangelica in ¡specie. Alcuni dei capitoli sono dei veri gioielli, cosi quelli intitolati, « la serietà della vita », « la malattia della paura »; e sopra tutto il capitolo, « la responsabilità », che mi pare in materia cosa perfetta.
Dico di più, se in questa prima parte si volesse procedere ad una scelta, si troverebbe che bisogna stabilire una gradazione nel buono, perchè nessuno dei vari studi per refutare i sofismi correnti si potrebbe dire non buono o anche solo mediocremente riuscito.
Lo svolgimento procede naturale a conchiudere questa prima parte col trattare della libertà morale e col dire con poche forti pennellate, della scuola di essa, e conchiudere con queste belle parole : « Aderite con tutte le vostre forze al Cristo liberatore. Più voi vivrete di questa vita che vi trascinerà verso le vette, più voi sarete liberi da tutto quello che incatena degradando ».
Quanto ho detto già sulla seconda parte chiarisce abbastanza il mio pensiero, cioè che essa non è legata alla prima parte ¿a un vincolo di necessità consequenziale.
Quantunque vi siano anche qui delle pagine notevoli, altre beile ed altre bellissime, essa in fonilo rappresenta una conseguenza forzata , se la si vuol collegare alla prima parte, e mostra un po’ la tesi preconcetta; ed allora accanto a capitoli ammirevoli, come quello intitolato, « la pietà », se ne hanno altri, come quelli intitolati « le divozioni », « la meditazióne », « la mortificazione », dove il sugo essenziale del ragionamento è questo, comunicarsi, se possibile tutti i giorni, confessarsi sovente, dire il rosario, avere degli scapolari, il crocifisso, e non erigersi a critici della chiesa ; e questo, per dire tutto il mio pensiero, è troppo sproporzionato alla elevatezza dell’ ideale cristiano cosi bene abbozzato nella prima parte del libro.
Ma tale deduzione non dei tutto necessaria si spiega pel fatto che 1’ autore è sacerdote cattolico, ed è allarmato dello stato delia gioventù di un paese cattolico che si va staccando da Roma; e però, fatte le riserve per quello che è tesi confessionale, rimane la maggior parte del volume, la quale è davvero eccellente, e si legge con piacere pel sano sentimento che la riempie e per la ricchezza e la giustezza delle osservazioni fatte e per la efficacia loro.
Quale maggior pregio, per libri dal genere di questo, che essere moralmente efficaci ?
M. FALCHI.
Per essei’e apostolo.
ABBÈ BEAUPIN, Pour ¿tre Apólre, Voi.
in 16. di pag. 314, prezzo L. 2,50 — Paris, P. Lethielleux, libraire ed., io, Rue Cassette — 1911 (xi. edizione).
Il libro è scritto in modo speciale per la gioventù; in modo pili speciale per la gioventù cattolica; in modo specialissimo per la gioventù cattolica « sillonista», cioè per la gioventù cattolica che è nella corrente della democrazia cristiana. L’autore ha trovato che questa gioventù cattolica, for-
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mata di ottima materia prima, ossia di cuori'sinceri ed ardenti, è poco preparata moralmente e religiosamente; e l’opera, scritta per colmare la lacuna lamentata, è una % serie di meditazioni morali e spirituali.
Non voglio con questo dire che si tratti di un lavoro prettamente ascetico e di un ascetismo poco accetto a chi non è almeno « abate » come lo è l’autore; ma pure voglio osservare che c’è qualche cosa in generale che non risponde, se non in parte, al gusto ed alla mentalità del cristianesimo evangelico.
Dato che la meta da raggiungere è u-na vita di apostolato, il Beaupin tratta anzi tutto delle basi di questo apostolato, e della vita intima di chi deve essere apostolo; e però il libro si divide in tre sezioni, le basi dell’ azione, la vita intima, 1’ apostolato. La sezione riguardante le basi dell’ azione apostolica si apre con tre meditazioni, sulla vita presente, sulla vita futura e sulla morte; ad esse tengono dietro tre buoni studi sulla educazione della volontà, sull’ ufficio e l’educazione della coscienza e sulle necessità dell’ ora presente della storia, in Francia ed altrove; come conseguenza delle quali si delinea 1’ a-postolato democratico — cristiano.
Ma a questa azione esteriore, deve corrispondere un’ azione interiore che quella alimenta, impedendo gli sviamenti, lo scoramento, 1’ esaltazione e 1’ orgoglio; ed ecco la necessità di una vita intima religiosa, perchè per essere uomo d’azione bisogna essere uomo di meditazione.
Questa sezione, riguardante la vita intima, mi è parsa la più debole. Accanto a un capitolo bello senza riserve, come quello in cui è trattato del sentimento del peccato, ne sono altri mediocri, ed altri, come quelli sulla chiesa cattolica e sulla pietà liturgica, coi quali non posso consentire. Così non basta la considerazione che chi scrive è abate per ¡spiegare parole come queste (ved. a pag. 140) «.... Non debbo dimenticare che questo regime democrati
co non è realizzabile se non fioriscono nel-f anima dei cittadini le virtù di cui la Chiesa Cattolica è la guardiana. È'essa'(la chiesa papale) che è la depositaria di questo spirito di abnegazione e di sacrifìcio, di questa forza di volontà perseverante e coraggiosa, senza la quale I’ uomo, incapace di dimenticare sè stesso, non lavora che per sè, e non vuol mettersi al servizio degli altri ».
Per scrivere questo bisogna di proposito disconoscere tutta una estesa 'attività di apostolato di sacrifìcio che si è compiuta e si compie affatto fuori dei confini della Chiesa Romana. Così quando il Beaupin tratta dei conforti divini, méntre lascia da parte quello che, secondo l’Evangelo, è il primo e il più saldo, la preghiera, spende molte pagine invece per parlare dell’eucaristia. E passi ancora la spiegabile insistenza, ma non si possono però lasciar passare espressioni come questa, (pag. 168) « Per vivere, bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue.
Nella sua bocca (di Cristo), queste parole non sono punto una metafora.
Egli si indigna contro i Giudei che le interpretano così e la loro attitudine scandalizzata. lungi dal farlo tornare sulla sua parola, lo conduce ad insistervi di più »; non si possono lasciare passare, dico, perchè chi rilegge in Giovanni VI, fino al vers. 63 le parole di Gesù vede che le cose stanno appunto al contrario di quello che il Beaupin afferma.
Il l ibro si rialza nella terza parte dove prospetta il dovere dell’apostolato. Qui sono alcuni buoni capitoli, così quelli intitolati, 1* affogamento, il dare sè stessi, la carità intellettuale, e 1’ ultimo, il nostro dovere verso gli incrudeli. Come nota di carattere generale. in questi libri di sacerdoti cattolici di mente colta e di cuore ardente d’ amore pel prossimo, si può rilevare che c’è quasi sempre in essi, anche nei più ricchi di evangelismo, troppa preoccupazione chiesastica; e il proposito, più o meno chiara-
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mente espresso, di identificare Cristo e la chiesa cui essi appartengono. Sforzo questo sempre vano e sempre nocivo a chi lo compie.
M. FALCHI.
Il Valore sociale delFEvangelo
L. GARRIGUET, La valcur sociale de Tfi-vangile, voi. di pag. 314 in 16 — Prezzo L. 3,50 — 2. édition, 1911 — Paris, Bloud & C.ie.
Raramente abbiamo letto opere scritte da cattolici romani che più di questa siano animate da profondo spirito religioso evangelico. E se non fosse della parola imprimatur che si legge nell' ultima pagina del volume, e di qualche allusione fatta qua e là alla Chiesa, alle encicliche sociali di Leone XIII, e al cattolicismo sociale, si potrebbe quasi dire che questo libro è stato scritto da un cristiano evangelico, il quale nella disamina della formidabile quistione sociale unicamente alla dottrina del Vangelo siasi ispirato. Egli è che, senza dubbio !’ A. ha subito P influenza di alcuni dei più eminenti scrittori della scuola del Cristianesimo sociale (protestante), che dimostra anche di conoscere, poiché sono citate opinioni e sentenze di illustri investigatori del valore sociale dell’ Evangelo, quali il Peabody e P Hamack.
L’A. si è proposto in questo suo Studio di esaminare dapprima le diverse scuole che si occupano del problema sociale dal punto di vista dell’ Evangelo ; e di poi la parte che spetta ai cattolici negli studi intesi a sceverare dall’ Evangelo i principi! di una sociologia superiore che esso contiene ; di dimostrare che l’Evangelo ha esercitato un’ influenza enorme sui destini anche materiali dell’ Umanità — influenza che tuttora continua — ; e finalmente di riassumere gli insegnamenti evangelici sui beni di questo mondo.
Tutti questi argomenti, quanto mai importanti, sono trattati dal nostro .A- con
sufficiènte ampiezza, e con adeguata competenza, ove si facciano qua e là le debite riserve.
Ad esempio il G. non ci pare del tutto esatto, quando nella critica delle varie scuole, che nell’ ambito dèi Cristianesimo si occupano della questione sociale, mette fra quelli che affermano la preminenza dell’ insegnamento riformatore e sociale nella dottrina di Cristo rispetto alla parte religiosa, uomini come il Wilfred Monod e lo stesso Stöcker. Si, è vero, il Monod ha messo in luce nella Find’un C/irislianisme l’aspetto sociale e umanitario dell’insegnamento del Vangelo, ma ciò non a scapito del suo a-spetto religioso e spirituale, che, anzi, nel-1’apostolato e nell’opera dei « cristiani sociali » viene ad assumere un nuovo e più profondo significato. Egli è che il nostro A. si ispira qui all’insegnamento della sua Chiesa che attribuisce al Cristo i « domini » che vennero elaborati di poi dalla coscienza cattolica. Ora siccome i « cristiani sociali » protestanti di più in più lasciano da parte tutto quello che sa di donimi e di gerarchia e di istituzioni ecclesiastiche, ecco che tutto ciò per i cattolici costituisce un abbandono del terreno religioso del Cristianesimo, mentre si tratta solo di mettere in maggiore evidenza le dottrine sociali dell’ Evangelo, il che non è, in fondo, in contrasto con 1’ aspetto suo leligioso da non confondersi coi donimi e con le istituzioni della Chiesa.
Neppure si può condividere l’opinione dell’ A. che attribuisce alla religione protestante un carattere essenzialmente individualista, il quale è inconciliabile con la concezione sociale del Crisianesimo. È il solito pregiudizio sulla nozione dell’ individualismo che vien confuso con l’anarchismo sociale. Invece noi poniamo a base del Cristianesimo sociale l’individualismo rettamente inteso e quale risulta dal Vangelo.
In questa maniera si rinnovano e si riaffermano gl’ individui costituenti 1’ ambiente sociale. Cotesti individui non rimangono isolati e abbandonati a sé stessi, ma invece insieme si riuniscono e costituiscono altrettanti gruppi e organizzazioni sociali. E tutto questo è proprio della scuola sociale protestante, mentre nel cattolicismo più facilmente si ravvisa un carattere uniforme, per il che l’individualità umana rimane indebolita o annientata. Qui la Chiesa, ossia la collettività religiosa è tutto, e l’individuo è pressoché nulla.
Fatte queste riserve e alcune altre di minore importanza, non si può non lodare
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l’interpretazione che I’ A. dà del Vangelo considerato dal punto di vista sociale. Egli dà prova di molto buon senso, e rivendica al Vangelo quello che gli appartiene e gli spetta nella grande opera di redenzione sociale degli individui e dell’ umanità.
E. M.
Per la liberti religiosa
LUIGI LUZZATTI. Le controversie politiche e giuridiche sulla libertà reli-S'osa con speciale riguardo all' Italia.
ella Nuora Antologia del I. febbraio 1912 — pag. 591. Da questo importante studio, spigoliamo:
«... Proclamato il principio costituzionale della libertà religiosa, come si e-splica tecnicamente ?
Due metodi principali si nolano nella concezione e nell’esercizio della libertà politica; l’uno è veramente il costituzionale, che aveva la sua più limpida espressione nelle consuetudini anglosassoni....
L’altro metodo ha le sue radici nel giacobinismo. vizio di tanti popoli. Il primo chiede la libertà per poter esporre le proprie idee coraggiosamente e senza ostacoli frapposti agli assidui apostolati, pur rispettando e quasi invocando la franca risposta dei contradittori. L’altro metodo afferra la libertà come un’arma insidiosa intesa a combattere, a sopprimere con la violenza le idee degli altri.... Questo metodo giacobino ha una delle sue manifestazioni piti funeste nel clericalismo e nell'anticlericalismo dei paesi latini, nei loro urti continui e violenti. Clericali e anticlericali si credono divisi da barriere insormontabili. mentre nell’ordine costituzionale. in Francia, dove nacque questo mal seme di Adamo, in Spagna, in Portogallo, in Italia, nelle Americhe latine, vi appaiono quali tristi gemelli, in odio fraterno generati, dalla stessa madre iniqua: la intolleranza....
Ma come si ordina la libertà confessionale?
L'incompetenza dello Stato, o meglio la sua assoluta neutralità in materia religiosa e filosofica, è ormai posta fuori di ogni possibile contrasto. Quindi non una Chiesa, ma tutte le Chiese dovono essere egualmente libere. Nel Parlamento italia
no e in parecchi libri spesso si è messa innanzi la comoda dottrina delle parallele: Stato e Chiesa (neppure si dice Chiese) sono due linee, che non s’incontrano mai. Il che potrebbe avvenire soltanto se Stato e Chiesa abitassero in due pianeti diversi e se. per necessità di cose, fra le due parallele non si inframmettessero altre linee, che ne deviano il corso. Le Chiese non sono idee astratte, e invisibili, oltre che di celesti, si nutrono anch’esse, spesso avidamente, di terrestri cibi.
Piti alte le guglie alate elevano al cielo le preghiere dei fedeli e più vasta la loro base si profonda nella terra. La fede si esplica in culti esteriori, in gerarchie, in beni materiali, in diritti e in obblighi contrattuali, in riunioni, in associazioni, in statuti clie penetrano, si addentrano, >er tutti i lati, nelle leggi di diritto publico e di diritto privato. La parallela ce-este gravila, per intima attrazione, verso o Stato.
E qui sorge la formula classica del più grande statista del secolo decimonono, di Camillo Cavour: Libera Chiesa in libero Stalo. A questa formula non ho contrapposto, come fu detto per errore quella di Libere chiese nello Stato sovrano, ho voluto soltanto dare una espressione scientifica alla formula politica di Camillo Cavour. »
Le Chiese e la
questione sociale.
La rivista « Le Christianisnie social » di febbraio 1912 riproduce in esteso un discorso tenuto dall’eminente statista inglese Lloyd George sui rapporti delle Chiese colla questione sociale. Credo non inutile spigolarne i punti essenziali.
« Non sto per la difesa degli interessi di un partito.... ma per la creazione d’uno spirito che obbligherà tutti i partiti ad occuparsi delle miserie sociali, e mi pare che la sfera d’influenza delle chiese non sia di sostenere partiti e proporre riforme sociali, ma di creare una atmosfera tale per cui sia impossibile a chiunque di far parte di un governo di questo regno senza occuparsi di quei problemi.
II nostro primo dovere è di creare una mentalità, una disposizione dello spirilo che obbligherà gli uomini di tutti i parliti a preoccuparsi di questi problemi.
La povertà non è colpa della Provvi-
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«lenza che fornisce abbondantemente tutto ciò di cui abbisognai««. ma è colpa dell’uomo e deli’ambiente....
Ma quale è la responsabilità delle chiese? Le chiese di Cristo di questo paese (!’Inghilterra) controllano, ispirano la coscienza della comunità, stabiliscono il livello morate che deve fissare l’ideale del popolo, esse conducono gli affari non solamente in Senato e nella Càmera del Consiglio ma anche nella bottéga, nell’ officina e in tutto il traffico della vita...
Io non sono di coloro che pensano che la chiesa debba unicamente occuparsi di questioni spirituali. Coloro che sostengono questo modo di vedere screditano la dottrina del maestro. Essi ripudiano i precetti e gli atti del più grande degli apostoli. il cui primo allo fu di stabilire un fondo per prendere cura dei poveri.
.... Abbiamo oggi la miseria e la schiavitù economica... e quale è il compito e il dovere delle chiese? non di scendere nell’arena dei partiti, ma di creare un’atmosfera tale per cui il governo non solo possa portar rimedio ai mali, ma altresì gli sia impossibile di non farlo. Bisogna che esse risveglino il sentimento delle sue responsabilità per arrivare a sopprimerli. Poi esse devono inculcare a tutti uno spirito di personale sacrifizio, senza il quale è impossibile la soluzione di problemi di una importanza così considerevole.
Le chiese hanno raddolcito l’atmosfera in cui viviamo, ma debbono fare di più. Le chiese debbono occuparsi della questione sociale, attirale l’attenzione della coscienza nazionale su quelle questioni, specie su quella delle responsabilità. Certo le chiese non hanno a presentare leggi sulle abitazioni, ma debbono denunziare le abitazioni insalubri.
La povertà non risulta dalla mancanza di abbondanza... Il dovere di coloro che sono stati dalla Provvidenza benedetti è di fare sacrifizi a favore di altri.
È compito delle chiese di insistere per far cessare quei fatti affinchè ogni uomo senta la propria lesponsabilita e senta che deve sacrificarsi prestando il suo concorso. Aiutate gli uomini che combattono..
Nessun discepolo di Gesù Cristo ha il diritto di lasciare solo il proprio simile nell’opera di soccorso all’ umanità. II compito è grande e colossale e solo le chiese possono adempiere questo dovere : questo altresì fu il compilo del Maestro: « rilevare il piccolo dalla polvere e il povero dal fango ». A. M.
rilPJOFIAE RELIGIONE
Il credente moderno.
A. CHAVAN, Le croyant moderne, Voi. in j6. di pag. 300, prezzo L. 3,50. — Lausanne, Leon Martinct èd. 3 Rue de Bourg. — 1911.
La critica moderna applicata agli studi religiosi, non ostante alcune manifeste esagerazioni, è un giusto vanto del protestantesimo, vanto che non può essere in niun modo contestato o diminuito. Ora i risultati di coteste investigazioni — alcuni dei quali ormai sono definitivamente accertati, mentre altri sono tuttora sub judice — hanno dato luogo alla cosi detta « teologia moderna ». Che cosa sia questa nuova orientazione dellefmenti negli studi religiosi e teologici, quali i suoi risultati, ecco lo scopo di questo volume del pastore Chavan, il quale è pure docente nella Facoltà teologica dell’università di Losanna.
Nella breve introduzione 1’ A. ragiona con chiarezza della preparazione storica e filosofica che diede poi origine alla « teologia moderna ».
Egli vuole contribuire con questo volume alla elaborazione di questa teologia. E quantunque qui si tratti di alcuni discorsi e studi quasi indipendenti gli uni dagli altri, l’unità che insieme li collega è evidente e organica. Egli vuole dimostrare che il messaggio eterno non è punto incompatibile con la coltura e la mentalità moderna. Non si tratta però di abbassare la dottrina dell’Evangelo al livello dell’anima moderna, ma di « tradurre in un linguaggio protestante e attuale » le profonde esperienze della fede. Generosa preoccupazione propria degli spiriti eletti che vedono nella espressione tradizionale ortodossa delle verità della fede una causa dell’ indifferenza e dell’ incredulità di una parte della generazione con temporanea.
Diciamo qui brevemente di due capitoli del libro —- i più importanti — rispettivamente intitolati : La Croce di Gesù Cristo : L’evoluzione di Alessandro Vi net e la crisi religiosa contemporanea.
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Nel primo I’ A. si occupa del « sacrifizio della Croce », centro della storia spirituale del credente, come è il centro, la vetta, il coronamento della storia dell’ umanità. Questo fatto non è per nulla negato ma sono nuove affermazioni che riescono a far brillare di luce più viva il sacrifizio di Cristo, e a radicare più profondamente ancora come dice l’A. la Cróce in alcune anime.
Brevemente, in primo luogo, sono riassunte e discusse le varie teorie che a traverso i tempi hanno cercato di spiegare « il sacrifizio della Croce » da Paolo fino ai riformatori. Ma tutte queste teorie, sebbene abbiano del vero, non possono più bastare alla mentalità e alia coscienza moderna, ed ecco allora la teologia dei nostri tempi presentare alcuni elementi che prima erano trascurati ; elementi giudicati necessari! per dimostrare come il sacrifizio di Cristo sia suscettibile di nuove interpretazioni, pur essendone affermata la realtà e la efficienza religiosa e spirituale.
In breve, 1’ A. non crede più sostenibile la teoria della sostituzione poiché « la coscienza non ha più bisogno d’ un sostituto » ma reclama un salvatore, non più per ricevere un colpo mortale al nostro posto, ma per creare in noi la vita perduta, riparare la breccia fatta da) peccato e risuscitare quelli che camminano verso la morte.
L’ A. non vuole pertanto cercare una nuova formula della redenzione : gli basta dire : « Cristo ha dato la Sua vita per me; Egli è morto per me ; il Suo sangue fu versato per me ; la Sua morte è il sacrificio supremo ; Egli è più che mai la santa vittima del Calvario, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo ». Infine alla concezione puramente giuridica della salvezza per mezzo della Croce, il nostro A. sostituisce una concezione dinamica del medesimo fenomeno.
II.
Assai ¡importali te è pure lo studio su Alessandro Vinet, il grande pensatore che occupa un posto tuttora così eminente nella storia della teologia protestante. 11 Vinet che il Dorner (i) non esita a chiamare « lo Schleiermacher » della Chiesa riformata di lingua francese è partito dall'ortodossia senza però giungere ad elaborare un nuovo sistema. Egli non era uno spirito sisteina(i) Storia della teologia protestante, pag. 783.
tico, nè un organizzatore, nè un architetto. Egli è stato e rimane un creatore. Tutto questo dimostra molto bene 1’ A. nell’ analisi minuta che egli fa dei Discours sur quclques si jets religieux nelle loro varie e successive edizioni. Se però il Vinet non ebbe il tempo di rivedere la nostra teologia, della cui necessità era però compenetrato, tuttavia in lui si rinvengono gli elementi che possono contribuire alla elaborazione della « teologia moderna ».
Come lo Schleiermacher, egli riconobbe l’insufficienza dell' antica apologetica, fon-datafsulle prove esterne, l’impossibilità per I’ uomo di diventare cristiano, finché la sua coscienza ed il suo cuore, non sono guadagnati dall’ essenza stessa del Cristianesimo....
1 miracoli, diceva, non convertono ; così si può pur dire delle profezie.... La divinità del Vangelo si dimostra con la sua potenza, cioè con le aspirazioni ed i bisogni più elevati dell’ uomo...... Cristo è centro
del Vangelo ; essere cristiano, vuol dire appartenergli.... noi abbiamo bisogno non del cristianesimo, ma di Gesù Cristo....
Il Vinet riconobbe alla Riforma il grande inerito di avere restituito all’individuo tutta la sua responsabilità, di averlo sottratto a) regime comodo della fede di autorità e di avergli imposta la più severa delle leggi, quella della libertà. « Il principio caratteristico del protestantesimo è fuori del domina » cioè l’indipendenza assoluta della coscienza.
Il Vinet ha ancora messo in luce la realtà de) dovere, della coscienza morale.
La dottrina non è punto separata dalla morale, la quale non è una semplice appendice del domina, ma ne è parte integrante. « Tutto nella religione cristiana è morale, la divinità del Cristo, la redenzione, tutti i misteri sono in fondo della morale. 11 loro scopo è la salvezza e la rigenerazione dell’ uomo. Sì, 1’ Evangelo è da un capo all’ altro della morale ».
Interessante è l’evoluzione della sua nozione della fede ; questa è dapprima una adesione intellettuale, diventa poi un atto del cuore, un desiderio, quasi un amore. Così dicasi dell’ espiazione di Gesù Cristo. Se in sulle prime l’espiazione consisteva per lui ne! fatto che Gesù, nostra giustizia era morto al nostro posto, in seguito egli crederà necessaria l’assimilazione per parte del credente del sacrifizio di Cristo. Egli crederà pure che questo comprende tutta la vita del Salvatore. Non è con le sole sofferenze comprese tra il Getsemane ed il
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Calvario, o con la passione propriamente detta, che Gesù ci salva, ma con tutte le sofferenze della sua vita, anzi con la sua vita.
Cosi, dice il nostro A., si elaborava lentamente sotto la teologia ortodossa quel-l’insieme di nozioni che oggidì si denomina la teologia della coscienza.
L’ evoluzione per la quale passò il grande pensatore svizzero dà modo al Chavan di dedurne alcuni insegnamenti che si riferiscono allo sviluppo delle nostre convinzioni individuali e alle condizioni necessarie alla formazione e alla preparazione di una nuova teologia nel seno della Chiesa.
Eccola conclusione del nostro A. « L’opera della teologia moderna sarà tanto più profonda e i suoi progressi tanto più rapidi quanto più i suoi teologi saranno uomini di pietà. Non l’intelligenza deve ispirare la fede, bensì la fede 1’ intelligenza. Non c’ è altro progresso che I’ espansione della vita interna ; una dottrina nuova non è legittima se non la promuove. Essa, e qui citiamo le stesse parole originali, « vaudra dans la mesure où elle sera créée par le flot qui s’élance, toujours le même, dans les canaux que les générations ne cessent de lui ouvrir ».
E. M.
La Religione cF oggi.
GIORGIO SOREL, La Religione d’oggi. Collezione « Cultura dell’anima » pagg.
125. — L. t.oo— Edit. R. Carabba. Lanciano.
Un libro di Giorgio Sorel, anche se modesto di mole e di pretese, presenta sempre un grande interesse allo studioso. E questo interesse deriva da! fatto che Giorgio Sorel unisce alla sua svariata e vasta erudizione una onestà di giudizi ed una sincerità calda che subito conquistano il lettore serio, che ama codeste non troppo comuni qualità. Il Sorel è un iconoclasta : le tradizionali figure di moralisti indiscussi non ottengono la sua simpatia. L’ ebreo Filone e l’imperatore Marco Aurelio sono stati da lui trattati con una severità ragionata, alla quale non eravamo abituati e che pur riconosciamo giusta. La medesima indipendenza di giudizio egli rivela in tutti i suoi scritti.
Per naturale connessione e progressione d'idee di cui qui non è il caso di parlare, il Sorel si è occupato, oltre che di studi.
sociali, anche di studii religiosi ; ed il volumetto « La Religione d’ Oggi » tradotto da Agostino Lanzillo — il quale già qualche anno fa pubblicò una succinta e pregevole biografia del Sorel - è un risultato di questi studii. Lo abbiamo letto tutto di un fiato. Non che in esso 1’ autore ci dia idee originali sull’ argomento, chè anzi in questo volumetto si rivela più un compilatore che un creatore ; ma l’interesse deriva dall’ argomento stesso e dalla personalità dell’ autore che, come è risaputo, è il più autorevole teorico de! sindacalismo.
Nello studio « La Religione d’oggi » l’A. non fa, come si potrebbe credere, un nuovo tentativo di costruzione teologica, ma si limita a fare delle osservazioni sulla questione religiosa che, specialmente in questi ultimi anni, ha assunto un’ importanza riconosciuta da tutti. Egli segue in modo particolare le tracce di Emilio Boutroux e di William James, ed il suo studio potrebbe definirsi un saggio di pragmatismo.
Ma quel che più piace in lui è l’arditezza con la quale tratta argomenti scabrosi e difficili a presentarsi al pubblico, a causa dei pregiudizi negativi diffusi intorno ad essi. Per esempio, egli parla del soprannaturale, del miracolo come potrebbe parlarne un credente.
Nel cap. II, a proposito de! soprannaturale di cui ci parlano tutti i documenti religiosi, il Sorel sostiene, sulla scorta di W. James, che non vi è ragione alcuna per trattare questo fenomeno religioso come se fosse sempre il risultato di sogni di menti malate. Egli con ragione ci assicura che il disdegno col quale in generale è stato accolto qualsiasi racconto di fenomeni o di rivelazioni che esorbitano dalla linea dei fenomeni normali, deriva esclusivamente dalle esagerazioni assurde a cui in generale si sono abbandonati gli scrittori ecclesiastici, narrando la vita dei grandi mistici. Ed a questo proposito il nostro autore fa sue le seguenti parole scritte da W. James contro i fisiologi, i quali in tutti i fenomeni del misticismo vogliono trovare un fondo patologico e perciò degno solo di commiserazione : « Nel temperamento del nevro-patico noi troviamo la facilità alle emozioni, che è condizione necessaria alla percezione morale ; noi troviamo l’intensità del sentimento e la tendenza a prendere tutto seriamente, che Sono I’ essenza stessa della energia morale c dell’ attività pratica ; troviamo infine 1’ amore delle idee metafisiche e delle intuizioni mistiche, che trascina l’a-
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BILYCHNIS
mina ben lontano dal mondo sensibile e dagl’ interessi volgari. Non è naturale che grazie a questo temperamento noi possiamo penetrare nei recessi misteriosi dell’ universo, in quelle regioni di verità religiosa dove non perverrà giammai il grasso borghese dal sistema nervoso robusto, che fa tastare il suo polso e gonfiando fieramente il suo petto si gloria di avere una salute a tutta prova ? » (i).
Circa il miracolo il nostro autore fa suo un argomento di James, dandogli una portata ancor più ampia di quella che gli dava il filosofo americano : « Ammettere che 1’ esistenza di Dio non possa in niente cangiare il più piccolo frammento dell’ e-sperienza umana, non è forse affermare l’inverosimile ? » (2).
Importantissima, a proposito della efficacia della preghiera, ci sembra la dichiarazione del Sorci. Egli, contro il parere dello stesso James — il quale non ammette che la preghiera sia efficace per ciò che riguarda i fenomeni meteorologici — scrive: « Io non credo che W. James abbia ragione di supporre che il determinismo scientifico esiste in meteorologia ; io credo che il termine scientifica regna in quest’ ordine di fenomeni almeno cosi come in terapeutica: delle cause soprannaturali possono nei due casi produrre gli effetti domandati nella preghiera. (3) »
Di queste brevi e succose riflessioni il volumetto La Religione d’oggi è pieno.
Anche molto interessanti sono i due capitoli nei quali 1’ autore fa un rapido e-same del protestantesimo e del cattolici-smo dei nostri giorni. Egli nutre poca simpatia per i modernisti dell’ uno e dell’altro campo, i quali, secondo egli dice, vorrebbero sviluppare l’intelletto a danno del sentimento e quindi dell’ esperienza religiosa.
Tra le varie Chiese cristiane il Sorci trova che la Chiesa cattolica è la più adatta a far vivere l’esperienza religiosa. Qui forse ci potremmo fermare a discutere I' asserzione del nostro autore — la quale non ci persuade troppo e ci sembra 1’ effetto di ricordi ed emozioni subliminali affacciantisi alla sua coscienza normale — specialmente per quel ch’egli dice intorno all’efficacia del « sacramento eucaristico » circa l’esperienza religiosa; ma non sarebbe possibile nei limiti del nostro scrìtto.
(1) W. James. L' Espericncc religieuse, pag. 27.
(») Idem. pag. 430 — «a
(3) G. Sorci. « La religione d'oggi », pag. 48.
In conclusione crediamo di poter dire che la bella collana dei volumetti della « Cultura dell’ anima » con la pubblicazione di questo studio del Sorci, continua a sostenere bene il suo compito di educazione delle anime. A. FASULO
La filosofia della Croce.
J. GIN DR AUX. La philosophie de la croix., L* autore di Harmonies de l’âme et de l'Evangile e di Les Espérances messianiques d’Israël ha arricchito la letteratura reilgiosa di un’ altra opera, che farà tanto bene a le anime angosciate sotto il peso del male morale. È una pubblicazione che può dirsi di attualità spirituale, perchè risponde ai bisogni morali e spirituali de l’animo nostro. La visione d’amore ineffabile, che domina io spirito de la società presente, ha guidato 1’ A. nello svolgimento de 1’ opera sua. L’ esame de la coscienza morale de i popoli de l’antichità è fatto con grande delicatezza ; e forma un quadro commovente de la umanità peccatrice e pentita, la quale prepara I’ avvento de la grande vittima e-spiatoria, che possiamo considerare come la più alta manifestazione di tale amore.
Di fronte a le esagerazioni sociniane e ritschliane, che riducono la Croce ad una semplice impressione subiettiva, questa pubblicazione prova ancora una volta la superficialità del razionalismo teologico e il valore e 1’ efficacia de 1’ opera di Gesù.
A la fine del libro il peccatore si sente sollevato e sente più forte il bisogno di u-nirsi a Cristo Crocifisso, il quale se anche oggi è scandalo a i nostri giudei e pazzia e i nostri greci, è sempre Potenza e Sapienza di Dio. D. SCALERÀ
ARCHEOLOGIA
Necropoli cristiana ad Ain Zara
Nei pressi di Ain Zara (Tripoli) là Missione Archeologica Italiana - non molto prima che scoppiasse la guerra — scoprì un’ « area » sepolcrale cristiana. Così ne scriveva il doti. Salvatore Ami-gemma nel Marzocco dei 17 die. 1911:
...«Sono povere tombe di struttura assai
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TRA LIBRI E RIVISTE
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labile, modesti conglomerati di ciottoli informi legati da calce., elevantisi dal suolo su una pianta a forma rettangolare, e con le faccie verticali più 0 meno leggermente con vergenti verso l’alto. La costolatura longitudinale superiore è anzi, per alcune delle tombe, quasi ad angolo acuto, per modo che il doppio spiovente scenda, dai due lati, come i lati isosceli di un triangolo; e per altre invece è più larga e più piatta. Verso terra, i piani inclinati si slargano in un breve ripiano orizzontale, che scende poi verticalmente sul terreno.
Sulle facce esterne è spalmato, con maggiore 0 minore cura, uno spesso strato di calce, che rende naturalmente liscia la superficie, e la fa adatta a ricevere F i-scrizione. La quale è sempre latina, ed è stata incisa sulla calce ancora molle, sulla fàccia sud della tomba, mentre sull’ alto lato lungo, a nord, sono graffito linee ornamentali 0 simboli cristiani, quali > pesci. i pavoni, il canillaros, e sui due lati corti, ugualmente incise, sono delle croci, e delle acclamazioni cristiane. Le lettere, i segni, i simboli sono rubricati e tra linea e linea, nelle iscrizioni, corre per lo più uña doppia riga di disgiunzione quasi sempre, essa pure, rubricata. Le tombe sono tutte orientali, col lato iscritto rivolto a sud, e la testa del defunto sita dal lato d’occidente »....
....« Abbiamo molti elementi per riportare le tombe ad epoca assai bassa. Le croci all’ inizio dèlie iscrizioni-. le formule : « in hoc tumulo iacet », « bonae memo-riae », « plus minus » sono caratteristiche dèli’epoca tarda ; e in ogni modo ad un’ età posteriore al 451 d. C. fa, ci sembra, indubbiamente riferirsi il ricorrere del noto trisagion; « sanctus deus, sanctus fortis, sanctus immortali*, miserere mei », che fu. come è noto, stabilito dal Concilio di Calcedonia nel 451, e consacrò, in forma definitiva, alcune fra le acclamazioni pili fiequenti dei fedeli dell’epoca.
Come è poi frequente nelle iscrizioni cristiane d’Africa, le tombe recano anche delle formule liturgiche, di grande interesse per la storia della liturgia cristiana locale. In una delle epigrafi ricorre per e-sempio l'augurio: « Suscipiat te Ckri-stus qui vocavit te, et in sinum Abraham angeli deducant te » : e non v’ ha nessuno che non sappia essere una delle formule liturgiche più antiche, ricorrenti anche oggi nelle liturgie dei morii, e registrate già dàlia liturgia romana e dalle altre.
Grandemente interessanti son poi, sempre per lo studio dello sviluppo della chiesa cristiana in Africa, i simboli e le croci che sono largamente usati nelle tombe. Nei lati corti le croci sono frequentissime e di vari generi ; e frequenti soprattutto sono le croci inscritte in un cerchio, o con intrecciature svolgenlisi nell’ampiezza dei bracci, 0 con gli angoli dei lati desinenti in riccioli. E interessanti riscontri con la simbolica delle chiese cristiane di Europa offrono anche i pesci, i pavoni e gli altri simboli che si riscontrano qua e là nelle povere tombe di Ain Zara.
«...Le quali tombe è veramente maravi-glioso come ci sian notule pervenire intatte attraverso tanti secoli. Intanto, è forse probabile che il nostro cimitero di Ain Zara sia. almeno per una parte, posteriore a quelle feroci persecuzioni vandaliche che sotto Genserico, e specie sotto U nerico travagliarono F Africa nel secolo quinto dopo Cristo, quando, condotte specialmente dai vescovi e dai fedeli a-riani, esse insevi rono, a quel che ci dice Vittore Vitense, oltre'che nelle chiese e nelle'basiliche'e'.nci monasteri, anche nei cimiteri cattolici ».
Intorno al Battesimo.
UGO JANNI, La Chiesa e la Questione Battista — (Saggio dottrinale - polemico) Pag- 58. Prezzo 60 cent. — Presso r A. a S. Perno. — igu.
Nella prefazione è detto che questo saggio è la risposta al desiderio di due Sessioni della Conferenza distrettuale delle chiese Valdesi di Piemonte e Liguria (1910 e 1911), e che ha per iscopo di difendere, contro le critiche e gli attacchi della dissidenza, la legittimità del pedobattismo di detta chiesa ed il carattere profondamente cristiano e spirituale eh’ esso riveste. — Nella breve introduzióne si aggiunge che il movente e lo scopo del lavoro non sono offensivi ma difensivi, perchè è frequente il caso che i seguaci delle dottrine battiste perturbino le congregazioni Valdesi a scopo di proselitismo.
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I! saggio è diviso in parti, sezioni e paragrafi così numerosi che per dare u’indea del suo contenuto sono costretto a seguirne 1’ elenco.
Le parti sono quattro: I.- Gli argomenti bìblici dei Baltìsli contro il battesimo dei pargoli. — li. - Il carotiere biblico del battesimo dei pargoli nati da genitori cristiani. — III.- La riprova storica della tradizione. — IV. -Le due filosofie.
PARTE PRIMA : Gli argomenti biblici dei Battisti* — Questa parte contiene tre sezioni : x. Il silenzio della Bibbia (sul battesimo dei pargoli). 2. Gli esempli biblici (di battesimi). 3. La Fede codinzione « sine qua non ». —
IL autore considera quegli argomenti come sostanziali. Ma ve ne sono degli altri che non sono meno importanti ed hanno pure il loro valore, e che I’ A. avrebbe fatto bene di non tacere; ne parleremo a tempo debito. Naturalmente, per lui i tre argomenti ch'egli combatte non provano nulla ; la fede stessa non è necessaria per essere battezzati e Marco (XVI, 16) non ne dimostra la necessità.
PARTE SECONDA : Il carattere biblico del battesimo dei pargoli nati da genitori cristiani. Questa consta di quattro sezioni.
La prima sezione è intitolata : Che cosa è il battesimo cristiano, e dividesi in cinque paragrafi : 1. IL essenza del batIcsimo cristiano. 2. Rapporto tra il battesimo ed il riio battesimale. 3. La grazia battesimale e « l" opus operatum ». 4. La rigenerazione battesimale e deplorevoli malintesi a riguardo di essa. 5. Il battesimo e la vita.
Secondo 1’ A. il battesimo cristiano non è battesimo d’ acqua, ma di Spirito Santo. Il battesimo, fatto spirituale ed interiore, è espresso esteriormente nel fatto materiale e visibile del rito. L’autore rigetta del pari « 1’ opus operatum » e la teoria del mero simbolo. La grazia del battesimo consiste nel dono dello Spirito Santo : è dunque la Rigenerazione ; ma questa va distinta, dietro Tito (III, 5,) dalla trasformazione del cuore o dal rinnovamento della vita personale. La dottrina delia rigenerazione battesimale, insegnata secondo la Bibbia dàlia chiesa ecumenica e specialmente dalla chiesa anglicana, non è il fallo personale del rinnovamento, ma bensì il fatto obbiettivo e virtuale, il dono delle energie provenienti dall'alto, l'assicurata presenza ed azione del Rinnovatore.
La seconda sezione s’intitola : La re
cettività dei pargoli in generale, e novera due paragrafi: 1. Possibilità che Fazione -^redentrice si eserciti nei pargoli. 2. Il rapporto che corre Ira la fede e il battesimo.
Nel primo l’A, tenta di dimostrare la possibilità dell’ azione redentrice nei pargoli col fatto della benedizione di Gesù ai piccoli fanciulli, e col distinguere tra il dono obiettivo e 1’ appropriazione personale di esso. — Nel secondo il rapporto tra la fede ed il battesino è formolato come segue: « Il pentimento e la fede sono indispensabili affinchè la rigenerazione — germe, virtù, potenza — trapassi nell’ atto esplicato del rinnovamento personale. Ecco tutto. Ma ciò non implica allatto la necessità assoluta della presenza della fede per potersi battezzare.
La terza sezione, intitolata : La posizione dei figli dei credenti nella chiesa, ha quattro paragrafi : 1. IL idea della legittimità creile in relazione con I Cor. VII -14.- 2. L’idea di una santità educativa. 3. L’idea di una santità federale. 4. L ’ esame obbiettivo del lesto I Cor. VII, 14.
In questa sezione 1’ A. ripudia le due idee di santità civile e di santità educativa, apprezza quella di una santità federale, da me esposta nel mio lavoro sul passo in discorso (pubblicato nel «Testimonio» ed in o-pascolo), ma la respinge perchè, secondo lui, è incompleta ed esagera la distinzione tra i due Patti. Nel 4. l’esame del testo, egli distingue tra 1’ espressione applicata ai genitori (santificati) e quella applicata ai figli (sono santi) e dice che questa è più forte di quella. Ritornando poi alla santità federale, dice che il vero concetto di essa è quello di una santità di vocazione, e ne deduce che per la Chiesa come per Israele i figli dei credenti appartengono al popolo di Dio, cioè alla Chiesa visibile di Cristo.
La (piarla sezione ha per titolo : La posizione dei figli dei credenti nella chiesa e suoi rapporti col battesimo, e consta pure di quattro paragrafi : 1. La circoncisione e il battesimo. 2. La. pretesa di un nuovo comando è assurda. 3. Il nuovo Palio a la nuova Nascita. 4. La santità dei pargoli battezzali è di natura spirituale.
Nel primo paragrafo l’A. sostiene che 1' Antico Patto è stato mantenuto ed allargato in Cristo relativamente alle promesse spirituali, — che come mantenuto è lo stesso. e come allargato è nuovo, — e che il battesimo (non P acqua) è il sostituto delia circoncisione, secondo S. Paolo che lo chiama « la circoncisione cristiana » (Col. II-
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io, il). Il battesimo è dunque i! sacramento, il suggello del N. Patto, e siccome i figli dei crisiani appartengono alla chiesa visibile cornei figli degli Israeliti appartenevano all’ antica, ne risulta che ad essi spetta il battesimo. — Del resto l’A. riassume la sua dimostrazione dei quattro paragrafi nei tre punti seguenti : « E biblicamente certo : i. Che i figli dei credenti « sono santi ». 2. Che solo la rigenerazione può, secondo la natura del N. Patto introdurre nei privilegi di questo. 3. Che il battesimo cristiano è essenzialmente il dono della rigenerazione congiunto al suo segno esterno.
PARTE TERZA : La riprova storica delia Tradizione. — Essa contiene due sezioni : La prima è intitolata: La mirabolante tesi di alcuni scrittori battisti e confutazione della medesima ed ha tre paragrafi : 1. La lesi. 2. L‘ equivoco su cut poggia la tesi. 3. La falsità della tesi.
La tesi qui combattuta è che il battesimo dei pargoli fosse implicitamente escluso dalla chiesa primitiva fino al quinto secolo. L* autore la dichiara falsa.
La seconda sezione ha per titolo : La più modesta tesi dei più colli srifiori ballisti e il sofisma che ne inquina le conclusioni; — e dividesi pure in tre paragrafi : 1. La lesi. 2. La confutazione della lesi. 3. La riprova dell' argomento negativo.
La tesi dei battisti piti colti è che non vi sono prove dell’ esistenza del battesimo dei pargoli prima della metà del secondo secolo, di questo parere è P Harnack il quale dice : « Che qui debba valere il detto: ab inilio sic non crai mi sembra fuor di dubbio ». L’A. lo confuta ma non distrugge la sua tesi. La riprova dell’ argomento negativo consiste nel dire : « Se il battesimo de’ pargoli è necessariamente anteriore ai primi documenti della tradizione che ne parlano, e se d’ altra parte si neghi che esso risalga agli apostoli, deh ! ci si dica, per grazia, quando è mai surto... A questa domanda i battisti non possono'dar risposta, poiché non esiste alcun documento che possa considerarsi come P atto di nascita del battesimo dei pargoli... La mancanza di un tale documento costituisce la riprova solenne dell’ esistenza del pedobattismo fin dall’ età apostolica ».
PARTE QUARTA : Le due filosofie. Essa dividesi in tre sezioni.
La prima intitolata : Il rispetto della libertà, comprende due paragrafi : 1. La filosofia ballista della libertà. 2. Im risposta.
La seconda sezione col titolo: L'individualismo religioso e sua fallacia, ha pure
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due paragrafi : 1. La tesi battista. 2. Critica della lesi.
I battisti praticano il battesimo dei credenti e combattono il pedobattismo in nome dell’ individualismo religioso, perché P E-vangelo, la redenzione, la fede hanno un carattere individuale, L’ A. riconosce in quella tesi una parte di verità, ma dice che s’innesta sur un equivoco a fianco di una lacuna ; P equivoco è di confondere P individualismo e P individualità, che Vinet chiama nemici inconciliabili ; la lacuna è di dimenticare la collettività. L’ A. vuol riuniti i due principi e scrive: « Nè individualista, nè anti - individualista, la vera filosofia della vita è solidar isla ed unisce la socialità all’ individualità. Tuttavia egli propende per la collettività specialmente nelle questioni chiesastiche e conclude : « La nozione battista mutila la complessa realtà del fatto spirituale e cristiano, contrapponendo artificialmente P individualità alla ereditarietà, e con soverchia disinvoltura escludendo quest’ ultima da ogni funzione nei reclutamento dei popolo di Dio. Viceversa, la nozione che del battesimo pos siede la chiesa, ha bensì di mira la personalità, ma supera quel concetto mutilato ed abbraccia tutto il mistero della vita ».
La terza ed ultima sezione é intitolata: ZZ sacramento della educazione, e non ha paragrafi. Quel sacramento è il battesimo.
L’ opuscolo si chiude con una Conclusione ed un Post-Scriptum. Nella prima P A. esamina la questione della « possibilità di unire Battisti e Pedobattisti in una specie di intercomunione. e a quali condizioni ».
Nel poscritto in fine, dice che non ha toccato alla forma dei battesimo, sia perchè P immersione e P aspersione sono due forme di battesimo egualmente legittime, e sia perchè questo argomento è già stato trattato dal prof. Bosio.
ALCUNE OSSERVAZIONI GENERALI
A questo scheletro aggiungo alcune osservazioni generali che mi han colpito a prima lettura :
— L’ A. dice che la fede è considerata dai Battisti come condizione « sine qua non ». del Battesimo. È vero, ma non è la sola ; vi sono altre condizioni « sine qua non » La parte degli argomenti biblici attribuita ai Battisti è dunque incompleta.
— Non sono definiti i termini più importanti della discussione, e specialmente le parole Battesimo e Chiesa, il che lascia
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in una mezza oscurità certi punti essenziali dell’ argomento.
— Relativamente ai bambini, l’A. si serve per lo più della frase « il battesimo dei pargoli nati da genitori cristiani», — ma ado-pra pure spesso 1’ espressione generale : « battesino dei pargoli » che implicherebbe i « nati da genitori non cristiani », onde risulta un gravissimo equivoco.
— Il « Saggio » tocca ai rapporti dei due patti, massime in quanto concerne la circoncisione ed il battesimo, — ma li confonde e non ne indica le differenze.
— L’ A. distingue tra il battesimo propriamente detto ed il rito, chiama il primo « il battesimo dello Spirito » e lo confonde colla Rigenerazione. Pare dunque eh’ egli ignori sia « la dottrina dei battesimi » (Ebr. VI. 2) sia la natura del battesimo dello Spirito, fatto questo che spiega la poca chiarezza e la confusione di quella parte dell’ opuscolo.
In appoggio alla sua tesi, l’A. mette innanzi certi passi che non alludono ai piccoli fanciulli (paidia), ma ai figli in genere ai discendenti (tekna), (come Atti II, 39 e I Cor. VII, 14). Siffatta persistenza non raccomanda la causa ch’egli difende, ma la condanna.
— L’insieme dell’ opuscolo è troppo suddiviso in sezioni e paragrafi e di più troppo scolastico per essere compreso da tutti i fratelli, la maggior parte dei quali non è avvezza alle discussioni teologiche. Evidentemente ciò va all’ incontro delle intenzioni deli’ A. e dei suoi committenti.
— In un prossimo articolo entrerò in materia, esaminando il valore della dottrina svolta nei trattato e gli asserti dell’ autore, confrontandoli coll’ insegnamento del N. Testamento.
O. COCORDA.
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