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Anno 125 - n. 32
11 agosto 1989
L. 900
Sped. abbonamento postale
Gruppo 11/70
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a : casella postale - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
VERSO IL SINODO: INTERVISTA AL MODERATORE FRANCO GIAMPICCOLI
Rinnovare la spinta evangelizzatrice
Nell anno del Tricentenario la riflessione sull’identità si deve affiancare ad un ulteriore impegno nel campo delI evangelizzazione - I rapporti tra la diaconia e la formazione, e la novità del sistema contributivo proporzionale
Tra un incontro e l’altro di
questo intenso calendario di agosto in cui scoccano importanti
appuntamenti per le nostre chiese, incontriamo il Moderatore
della Tavola valdese, Franco
Giampiccoli, nel suo ufficio di
Torre Pellice. Ho sul mio taccuino poche domande. Altre se
ne aggiungeranno via via nel corso di questa densa conversazione,
aperta ed immediata, all’insegna
di un spontaneo scambio di pa
XV agosto
a Balziglia
L’incontro del 15 agosto avrà luogo quest’anno, tricentenario del Rimpatrio, alla
Balziglia ( Massello ).
PROGRAMMA
L
ore 9.30: Arrivo dei partecipanti;
ore 10: Culto, presieduto dal
pastore Lucilla Peyrot, con
predicazione del prof. Daniele Garrone;
ore 11: Saluto del moderatore Franco Giampiccoli e del
moderador Hugo Malan,
della Chiesa valdese del Rio
de la Piata;
Conversazione storica
del pastore Giorgio Tourn,
presidente della Società di
studi valdesi;
ore 12-14.30: Intervallo per il
pranzo. Possibilità di visitare il Museo della Balziglia;
ore 14.30: Testimonianze sull'impegno cristiano nel mondo di oggi: interviste a cura di Giuseppe Platone.
Interventi musicali con le
Corali valdesi e i Trombettieri del Badén;
ore 16: Messaggi conclusivi:
Claudio Martelli (presidente dell’OPCEMI),
Massimo Romeo ( pastore
battista),
Ermanno Genre (docente
alla Facoltà valdese di
teologia).
La colletta andrà a favore
della Chiesa presbiteriana
del Mozambico.
vivamente che anche noi, che
stiamo attraversando l’anno del
Centenario pur con alcune perplessità e, a volte, con opinioni
diverse, riusciremo ad evitare il
rischio dell’autoglorificazione e
quello di una svalutazione della
storia, e giungere cosi ad una
riscoperta della nostra identità ».
Cominciamo subito dal Glorioso Rimpatrio. Nella relazione della Tavola al Sinodo si parla di
due rischi incombenti: orgoglio e
pregiudizio. Al di là dei rischi,
che cosa ci si aspetta dai prossimi avvenimenti?
« Celebrare il passato presenta
sempre dei rischi. Faccio l’esempio della Chiesa riformata di
Francia che, nel 1985. insieme all’assemblea della Federazione delle chiese evangeliche celebrò il
III centenario della revoca dell'editto di Nantes. Pur tra critiche, opposizioni e timori i protestanti francesi riuscirono a giungere ad un approfondimento della loro identità riformata. Spero
In queste celebrazioni non
corriamo forse il rischio di confondere o sostituire l’Evangelo
con la storia?
« Credo che occorra vedere il
Centenario alla luce del compito
di evangelizzazione perché se abbiamo ricevuto una vocazione e
il Signore ce l’ha riservata sino
ad oggi, pur attraverso difficoltà enormi come quelle di 300 anni fa, tutto ciò è in vista dell’annuncio dell'Evangelo. La testimonianza non avviene al di fuori di un contesto storico. Guai
se noi ponessimo in alternativa
la storia e l’Evangelo. Occorre
piuttosto vedere la nostra evangelizzazione arricchita dalla nostra identità protestante che deriva, anche, dalla storia di ieri ».
Per il 3 settembre a Torre Pellice, nel quadro delle nostre manifestazioni, è prevista la visita
del presidente Cossiga. Si tratta di una visita ufficiale. Qual è
il senso di questo nostro invito?
« Noi abbiamo voluto dare alle celebrazioni del Centenario un
aspetto non soltanto interno al
nostro mondo evangelico, ma offrire anche un’apertura all’esterno nel tentativo di vivere questo
Centenario del Rimpatrio in dialogo con il nostro paese. Ci è
cosi sembrato opportuno invitare il rappresentante principale
del popolo italiano, che è il presidente della Repubblica. Il fatto che il Quirinale abbia deciso
di dare una configurazione ufficiale a questa visita (ricordo che
ne] 1986 il presidente Cossiga visitò la Facoltà valdese in forma
privata) costituisce per noi un
impegno ancora maggiore nel rispondere a questa possibilità di
apertura verso l’esterno ».
Il nuovo Centro culturale valdese di Torre Pellice è un’impresa che ha assorbito molte
energie durante l’anno. Adesso a
che punto siamo?
Il pubblico segue dalla galleria i lavori dell’assemblea sinodale.
« Dal punto di vista dei lavori abbiamo realizzato una grossa parte del progetto, ma non
certo la totalità. Esso si proietta, per il suo compimento, negli anni futuri. Abbiamo inoltre
lavorato parecchio sulla configurazione giuridica del Centro che
nasce, in modo unico, dal concorso di due iniziatori: la Tavo
la valdese (TV) e la Società di
studi valdesi (SSV). L’una è un
ente ecclesiastico, l’altra un ente
autonomo di carattere civile, al
di fuori dell’ordinamento valdese. Stiamo lavorando all’ipotesi
di una fondazione. C’è inoltre il
grosso problema della gestione
di questo nuovo Centro, il personale, le mansioni... e certamen
te anche il programma di lavoro. Nella mente della TV e della
SSV è chiaro che questo Centro
dovrà essere un centro propulsore della formazione e della
cultura protestante, non solo alle valli, ma in tutto il paese».
LE TENTAZIONI DI GESÙ’ - 4
Il dubbio su Dio. il dubbio dv Dio
« Abba, Padre! Ogn,i cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Ma pure, non quello
che io voglio, ma quello che tu vuoi»
(Marco 14: 36)
Nel Getsemani. Gesù vive un momento terribile: più terribile, forse, del momento della croce.
E' giunta la sua ora, non nel senso banale che diamo quotidianamente a questa frase, ma nel senso
che è maturata l'ora in cui il piano di Dio giunge
al culmine. E in questa ora, nella quale è esposto
e debole, Gesù rimane solo: ha chiesto il sostegno
dei discepoli, ed essi dormono; chiede l’intervento
di Dio, e Dio non dà segno di rispondere; chiede
la fede della chiesa, e la chiesa non sa che argomentare: se era Dio, era inutile angosciarsi perché
sapeva come sarebbe andata a finire; e se era uomo. poteva essere un po’ più coraggioso...
Per capire, o tentare di capire, bisogna uscire
da queste gabbie; e lasciarne uscire Gesù.
Anche se Gesù, nella sua j orinazione e nella
sua pietà di ebreo, guarda alla morte non come
a una liberazione dalla materia ma come a un avvenimento tragico e definitivo, la sua preghiera
che il calice possa passare oltre non è dettata dalla vigliaccheria. Per Gesù, il quale sa di essere,
dal giorno del suo battesimo, l’unto del Signore,
la morte c la tentazione di dubitare di Dio. Dio lo
ha mandalo per compiere il suo disegno di salvezza. Lui ha accettato. E se muore, come si compirà il disegno? Dio si è rimangialo la sua parola?
Gesù teme anche che la sua morte sia una possibile tentazione per i discepoli: « Voi sarete scandalizzali, perché é scritto: io percuoterò il pasteare, e le pecore saranno disper.se» (14: 27). Com’è
possibile ai discepoli pensare (e accettare) che il
Signore lasci colpire suo figlio e non lo difenda?
Come avere fiducia in un Padre dal cuore co.s't
duro?
E la morte di Gc.sù può, infine, essere una ten
tazione anche per Dio stesso. Davanti all’angoscia e
alla preghiera di suo figlio, « allontana da me questo calice! », perché dovrebbe rimanere sordo? Perché non potrebbe realizzare altrimenti il suo progetto? Certo, se lo facesse, nessuno gli negherebbe
la propria comprensione... Ma chi crederebbe in
un Dio che riserva a suo figlio un trattamento di
favore?
Nell’ora della, sofferenza di Gesù, in quest’ora
di tentazione « cosmica », c’è in gioco una posta
altissima: la fedeltà di Dio a se stesso, alla sua
parola e al suo progetto. Perciò Gesù prega: « Padre, poiché ogni cosa ti è possibile, non adoperare questo potere in mio favore, ma adoperalo per
fare quel che tu credi bene debba esser fatto».
La chiesa primitiva, sorta dalla fede nella risurrezione, avrebbe potuto anche fare a meno di
ricordare il dramma del Getsemani, .superato appunto dalla risurrezione. Lo ha ricordato, invece;
e ricordandolo ha resistito alla tentazione di rapportarsi soltanto al Cristo glorioso, accantonando
come «scandalo e pazzia» il Cristo sofferente. Una
fede che gira intorno all’ostacolo della croce sarebbe una. fede carnale, non creata e sorretta dallo Spirito Santo, nel quale è vinta la nostra debolezza.
Gesù ha combattuto da solo la sua lotta. Co.s)
la nostra salvezza viene da lui soltanto, senza la
compartecipazione di nessuno: i discepoli dormivano. Ora che ha vinto, si può smettere di dormire. Si può, e quindi si deve, stare svegli, tenere
gli occhi aperti, valutare la vita e le cose con il
metro della risurrezione, impegnare la nostra esistenza perché porti il segno della vita eterna.
« Alzatevi, andiamo! »: è la parola conclusiva di
Gesù ai discepoli. Non: « Andate! », ma: « Andiamo! ». Egli è vivente e sta al nostro fianco, condivide il nostro cammino. Tutti i giorni, fino alla
fine dell’« età presente ».
, Salvatore Ricciardi
Formazione ed evangelizzazione, due temi di fondo che ricorrono spesso nella vostra relazione: sono entrambi in crisi?
« Gli ultimi Sinodi hanno parlato di un necessario equilibrio
tra la diaconia e la formazione,
e tutto lo sforzo che stiamo facendo per il Centro culturale va
in questa linea: potenziare la
formazione. Ma non basta. A livello di chiese locali i temi della formazione e deli’evangelizzazicne devono diventare prioritari in un programma di sviluppo »,
Nel quadro dei rapporti con
lo Stato cosa si pensa di fare
sulla questione dell’insegnamento religioso cattolico (IRC), dopo
Giuseppe Platone
(continua a pag. 2)
SINODO DELLE
CHIESE VALDESI
E METODISTE
Il Sinodo, secondo quanto
disposto dall’atto n. ,36 della
sessione sinodale europea
1988, è convocato per
DOMENICA 27 AGOSTO ’89
I membri del Sinodo sono
invitati a trovarsi nell’Aula
sinodale della Gasa valdese
di Torre Pellice, alle ore 15.
Il culto di apertura avrà
inizio alle ore 15.30 nel tempio di Torre Pedice e sarà
presieduto dai past. Aldo
Comba.
Il moderatore
della Tavola valdese
Franco Giampiccoli
2
commenti e dibattiti
Il agosto 1989
DIBATTITO
Lettera aperta a
Pantaleo
Ai lettori
Caro Nicola,
quando combatto per una causa — ho imparato negli anni —
occorre sapere bene chi sono i
nemici di quella e gli amici che
lottano dalla mia stessa parte
con le armi sbagliate. Infatti,
ambedue nuocciono al buon combattimento e concorrono alla
sconfitta della causa stessa: ciò
deve essere evitato. Il tuo articolo « Si può essere evangelici e
craxiani? » ti colloca, secondo me,
tra gli amici che usano armi sbagliate. La buona causa che, mi
pare, ti sta a cuore è da una parte l’ideale socialista « ...di egualitarismo, democrazia, laicità... il
retaggio di lotta al fascismo... la
resistenza alFintolleranza e all’arroganza democristiana... sentimenti e ideali di coraggiosa testimonianza e amore per la verità...
[la] causa dei lavoratori » e, dall’altra, la necessità di una coerenza coraggiosa tra fede evangelica
e scelte etiche.
Permettimi di chiarire perché
ritengo che il tuo articolo usi le
armi sbagliate per conseguire i
risultati che i tuoi ideali prefigurano. Non c’è bisogno, forse, di
affermare qui che quegli ideali,
sia pure descritti in modo diverso, sono anche i miei.
Il giudizio che noi possiamo
formulare sull’attuale direzione
del PSI va motivato con argomentazioni che devono tenere
conto sia delle motivazioni politiche ideali, sia degli scontri di
forza che sono in atto. Se ci muoviamo in queste coordinate, possiamo anche pervenire a giudizi
e valutazioni critiche e dissenzienti rispetto alle posizioni
espresse dalla maggioranza del
gruppo parlamentare socialista
nei confronti dell’IRC. Il fratello
Valdo Spini e altri noti socialisti
lo hanno fatto e, dal mio punto
di vista, ciò va a loro merito e a
sostegno della lotta contro « l’arroganza democristiana ». Ma essi
hanno preso tali posizioni, e altri
hanno deciso di votare PSI nelle
recenti votazioni europee, non
perché evangelici, ma in quanto
hanno ritenuto che ciò fosse politicamente giusto. Se tu dissenti dalla politica ecclesiastica del
PSI, dovresti produrre argomentazioni politiche ideali e di convenienza politica tali da contribuire ad una vera svolta del gruppo dirigente socialista. Fare politica, infatti, vuol dire adoperarsi
a realizzare ciò che si ritiene giusto che accada.
A questo punto, tutta la parte
del tuo articolo che si colloca in
questa chiara prospettiva di cri
tica politica potrebbe essere condivisa. La vicenda deU’IRC infatti non offende la nostra fede, ma
minaccia i diritti di libertà di
tutti i cittadini italiani, anche dei
cattolici! Questo livello del dibattito è corretto e la tua protesta è
condivisibile.
Ma quando, verso la fine, tu fai
discendere il « non possono » votare PSI gli evangelici che quell'analisi abbiano fatto, le carte si
ingarbugliano pericolosamente.
Chi non vota PSI e chi critica la
politica ecclesiastica di questo
partito lo fa per tutti i motivi,
gli accostamenti e le interpretazioni dei fatti politici come fai
tu, non perché evangelico. Per ragioni di valenza simile, anche se
di contenuto diverso, altri votano
o militano in altri partiti, oppure
li criticano e non li votano. Perché te la prendi tanto con il PSI?
La tua prosa rivela un amore eccessivo e tradito per quel partito, amore che non può essere
motivato dalla fede evangelica.
L’integrismo che sottende la tua
protesta, nonostante le tue battute iniziali, è evidente e ti riporta
addirittura dietro le posizioni
prese da alcuni membri della
FGEI negli anni Settanta, quando
chiarirono l’accusa di ingiustificato integrisnio tra fede e marxismo con lo slogan « ci diciamo
marxisti e ci confessiamo cristiani ».
La fede e le scelte politiche
vanno ben distinte, anche se non
possono essere separate. La fede
è la risposta che lo Spirito suscita in noi di fronte alla sfida
della grazia di Dio in Cristo; le
scelte politiche particolari sono
certamente ispirate da quella fede, ma non certo da essa determinate. Come non vedere che i
credenti sinceri, che si espongono nella militanza politica in vari
partiti, oggi nel nostro paese lo
fanno perché pensano di dare un
contributo alla causa della giustizia, della libertà e della pace?
Si potrà discutere se il modo migliore (giudizio politico, questo)
per proseguire quella causa sia
il loro. Ma non si può giudicare
la loro fede e snaturarla ad opportunismo politico ( « Parigi vai
bene una messa »). Nessuna delle
persone da te citate ha barattato
la propria fede evangelica — a
mia conoscenza — per un tornaconto politico. Anzi, essi combattono duramente, nel posto in cui
sono, per mantenere integra la testimonianza di credenti in Cristo.
Noto quindi, nel tuo scritto, una
pericolosa inversione di valori
(fede e militanza politica) che è
frutto di un’errata impostazione
del rapporto fede e politica e che
giunge all’offesa ingiustificata di
fratelli e sorelle sinceri discepoli
di Gesù Cristo. Su queste cose,
caro Nicola, non si può essere
« distratti », perché la distrazione è doppiamente colpevole sia
come omissione, sia come strumento di detrazione dei singoli.
Nelle diverse battaglie contro
l’imposizione deU’IRC nella scuola pubblica — molte delle quali
condotte sia sulla stampa, sia nei
tribunali, sia nei pubblici dibattiti —• sono state accanto a noi proprio le persone (e molte a loro
simili) che tu critichi e che accusi con scandalo.
A questo punto, in nome della
fede evangelica e della sua capacità autocritica, sarebbe molto
bello se tu potessi modificare il
tuo giudizio sul comportamento
delle persone e se potessi
chiarire a beneficio di tutti
come si possano far discende
re le scelte politiche particolari (che riguardano i vari partiti e che afferiscono ai diversi
contesti politici di cui si parla)
dalla propria fede evangelica. Se
tale impresa dovesse risultare
impossibile o tortuosa, allora è
meglio continuare le nostre militanze politiche sapendo che dovunque le attuiamo il nostro combattimento sarà comunque e in
fondo « non contro carne e sangue ma contro i principati... che
sono nei luoghi celesti » (Ef.
6: 12).
Fraternamente.
Paolo Spanu
Non calpestare la coscienza
Dopo aver affermato che non
PHÒ esprimere una valutazione
positiva sull'articolo e sull’iniziativa del giornale, anche perché
l’articolo non reca nulla di nuovo, Eliseo Longo così conclude:
« 4) Dispiace ancora rilevare
la disinformazione in buona fede (?) da parte dell’autore quando chiama in causa i fratelli Giorgio e Valdo Spini. Proprio di quest’ultimo è stato pubblicato uno
scritto sulla questione dell’ora di religione su « L’Avanti »,
in data 11.5.’89, ripreso poi da
« La Luce » in data 26.5.’89 e dalla
N.E.V. in data 29.5.’89. In quell’articolo Valdo Spini spiegava le
motivazioni della sua non partecipazione al voto alla Camera. E’
doveroso anche ricordare il progetto di legge n. 1995, da lui presentato alla Camera nel 1984, in
cui venivano fatte proposte per
una maggiore moralizzpzione dei
partiti con un significativo richia
mo alla trasparenza dei finanziamenti e degli atti amministrativi. Egli stesso poi ha condotto la
campagna elettorale del 1987 all’insegna della trasparenza, istituendo un comitato di garanti
con il compito di certificare i
contributi ricevuti durante lo
svolgimento della stessa, in modo
da poter renderne conto pubblicamente. Tale comportamento di
rigore morale non può non avere
le sue radici in una vivida professione di fede cristiana, rilevata
del resto da molti quotidiani e
settimanali.
In quanto al prof. Giorgio Spini, tra l’altro mai stato membro
della direzione del PSI, sarebbe
superfluo aggiungere espressioni
di stima, tant’è la sua statura spirituale di credente pieno di fede
e di zelo per il Signore. Da studente Tho grandemente apprezzato come professore negli anni
tristi del dopoguerra e come cre
denti abbiamo poi vissuto insieme in diverse occasioni l’ansia
della testimonianza evangelica
per la gloria del Signore.
Quanto poi a Liliano Frattini,
non risulterebbe egli militare nelle file del PSI (...).
6) Fermo restando il principio
che non potremo mai, come testimoni di Gesù, identificare il
Vangelo con alcuna ideologia o
partito, resta da chiedersi chi
possa arrogarsi la facoltà di dare
indicazioni sul partito da votare o
cui appartenere, calpestando così
il diritto fondamentale e sacrosanto della libertà di coscienza.
7) Infine la mia amarezza nel
riscontrare un’accentuazione polemica con l’impronta del giudizio (non a noi, ma a Dio), mentre l’Eterno ci chiama invece a
rispettarci, a pregiare altri niù
di se stessi e ad amarci nel Cristo vivente, quale nostro Salvatore e Signore ».
Il potere di disinformare
Come evangelico e come presidente delTOPCEMI intendo esprimere il mio più radicale dissenso
per il modo con il quale l’articolo
è stato pubblicato e per i titoli e
sottotitoli che lo evidenziano
(frutto della redazione, non di
Pantaleo!). Come giornalista —
sono iscritto all’ordine da 30 anni — posso dimostrare in ogni
momento come sia possibile, partendo dal medesimo articolo, impostare in modo del tutto diverso un dibattito sul comportamento dei partiti sulla vicenda delriRC, sulla lunga storia che la
precede, a partire dal voto alla
Costituente, sulle prospettive future. E’ ovvio che chi ha il potere lo usa come sa e vuole (anche
la direzione di un giornale è, in
qualche misura, potere: di informare o disinformare, distoreere,
evidenziare, minimizzare, enfatizzare, alludere, accusare, ecc.)
ma, almeno nel nostro caso, avevo creduto che — trattandosi dell’organo ufficiale delle Chiese vaidesi e metodiste — la decisione,
non tanto di pubblicare le analisi
e le opinioni più o meno sballate
di Pantaleo, ma sul modo con il
quale affrontare l’argomento, richiedesse consultazione un momento più allargata tra i membri della redazione che non è formata, come sembra voler affermare Gardiol, solo dal ristretto
gruppo di lavoro piemontese ma
da altre persone tra te quali il
sottoscritto, che non è stato contattato in alcun modo, forse perché socialista... pardon, craxiano.
Intendo esprimere anche la
mia piena solidarietà con i fratelli chiamati in causa per nome
(Giorgio e Valdo Spini, Fulvio
Rocco, Liliano Frattini) e con i
molti altri ancora, tra i quali anche il sottoscritto, che militano o
sono vicini al PSI. T nostri sì e i
nostri no, credo di poterlo affermare con chiarezza, dati in sede
politica come in quella ecclesiastica, sono Sempre stati e continueranno ad essere frutto di una
scelta libera e responsabile che
abbiamo del resto riconosciuto
ad altri, militanti o vicini ad altre
forze politiche, anche quando era
no in aperto dissenso con le nostre prese di posizione, dentro e
fuori la Chiesa.
Ancora un’osservaziorie: il linguaggio, la disinformazione, le
omissioni dell’articolo del Pantaleo qualificano lo scritto per
quello che è: un attacco di bassa
lega a forze politiche e a persone
con i toni di un integralismo, intolleranza, mancanza di abitudine al pluralismo che non dovrebbero trovare posto nelle nostre
Chiese. E, mi dispiace dirlo, non
mi rassicura e aiuta a capire la
risposta di Gardiol secondo la
quale « non saremmo pronti a discutere o... la questione è stata
mal posta». Caro Giorgio, noi
siamo pronti a discutere di tutto,
ma non con queste premesse, poiché non c’è discussione obiettiva
e seria che possa farsi Quando un
giudizio, pesante e perentorio, è
già stato emesso da chi, come il
giornale, dovrebbe limitarsi solo
a ospitare il dibattito.
Fraternamente.
Claudio H. Martelli
Ultimissime
Al momento di chiudere II dibattito
su queste pagine, abbiamo ancora ricevuto alcune lettere, delle quali siamo costretti a sintetizzare i contenuti, scusandocene con gli autori e con
I lettori.
Bruno Loraschi, militante PSI,
vive nella sua militanza contraddizioni, ma non ritiene che queste siano incompatibili con la
sua coscienza cristiana.
Marcella Sabbadini pensa che
le cose scritte da Pantaleo dovevano essere dette sul giornale,
altrimenti si coltiverebbe l’ipocrisia.
Paolo Cerrato ritiene che si
può « militare dove ci sembra
più utile e giusto, ma sapendo
di non appartenere totalmente a
nessun gruppo o partito, perché
apparteniamo già a Cristo ».
Marco Tui.i.io Florio si dichiara in disaccordo con Tourn e
Giampiccoli e ritiene utile discutere, sia pure con altri toni, la
« coerenza del credente »; ricorda che il giornale non è « l'organo » delle chiese e manifesta
apprezzamento per il giornale.
Con la pubblicazione di queste
due pagine chiudiamo il dibattito che si è aperto con la pubblicazione della lettera di N. Pantaleo. Pubblichiamo qui per esteso
o in forma ridotta o come semplice segnalazione tutti i contributi
giunti in redazione entro il 2 agosto. Non ce ne vogliano quanti si
vedono "tagliati”, ma lo spazio è
quello che è.
A conclusione di questo dibattito desideriamo rassicurare i lettori che accettiamo sinceramente
la riprensione fraterna fattaci
per l’errore di valutazione f involontario, credeteci) che abbiamo commesso nell’aprire il dibattito. Non credevamo sinceramente che la pubblicazione di un contributo spontaneo, in una pagina
tradizionalmente dedicata ai dibattiti, suonasse a "scomunica"
dei fratelli chiamati in causa.
Così non è stato nella percezione di molti di coloro che sono intervenuti e siamo dispiaciuti se
abbiamo ferito qualcuno.
Siamo però contenti per la sincerità del dibattito, che ci ha fatto sperimentare il significato della comunione fraterna. Ad alcuni
segni di questa comunione vogliamo richiamarci: la Bibbia, come
ascolto, criterio e magistero, memoria e annuncio; la comunione
in Gesù Cristo nella quale troviamo la grazia che ci spinge a testimoniare la nostra fede; la disciplina e la riprensione fraterna
che ci spinge a ricercare la coerenza tra la fede e gli atti di ogni
giorno.
Questi segni che sono i segni
della chiesa di Gesù Cristo sono
stati richiamati nel dibattito e,
crediamo, dobbiamo tutti essere
grati al Signore perché questo è
successo, pur nei contrasti anche severi.
Molti sono intervenuti sul problema del pluralismo e della tolleranza.
Siamo consapevoli che senza il
rispetto reciproco delle convinzioni, non c’è libertà e senza la
libertà la fede non è fede, ma obbligo. E’ questa tra l’altro la ragione della nostra opposizione alla soluzione governativa all’IRC.
Ma è anche la libertà che vogliamo assicurare a tutti, nel servizio
informativo che — sicuramente
con lacune e errori — siamo stati chiamati a svolgere per le chiese, non nella prospettiva di condannare chicchessia, ma di chiarificare le nostre e le altrui convinzioni.
Ci avviciniamo infatti alla verità nel confronto e nell’ascolto
reciproco.
Circa il problema della « militanza politica », siamo convinti
che non esista una cultura politica specificatamente protestante
(e tanto meno cristiana) e che invano perciò — come molti hanno
osservato — si può dire dove si
può o non si può militare politicamente.
Rimane comunque un’esigenza
per chi milita: introdurre la dimensione elica nel dibattito politico. Questo giornale vede la politica sotto questo profilo e di
questo testimoniano gli articoli
che abbiamo pubblicato (e, ci sia
concesso, abbiamo anche scritto
dell’impegno di Valdo Spini in
questo senso).
Perciò, concludendo, ci sembra
di dover dire che non vogliamo
sacralizzare nessuno, nessun partito, nessuna forma di potere.
Non è una via facile, ma è quella
che cerchiamo di percorrere.
Alberto Corsanl, Luciano
Deodato, Giorgio Gardiol,
Adriano Longo, Giuseppe
Platone, Piervaldo Rostan
3
U agosto 1989
commenti e dibattiti
DIBATTITO
Divisi in politica
Attenzione ai vicoli ci
uniti nella fede
L’articolo di Nicola Pantaleo,
dal titolo « Si può essere evangelici e craxiani? », mi ha colpito
in certi sentimenti profondi, e
soprattutto — come dire? —
in uno di quei « principi forti »
a cui continuamente ho cercato
di rendere testimonianza nel lavoro.
Questo mio intervento, però,
non vuole essere né la riproposizione del discorso « fede - politica » ad addetti ai lavori, ormai attempati (una sorta di patetico, melanconico amarcord,
in un incontro notturno tra vecchi amici che, il mattino dopo,
approfittano del giornale per
continuare a parlarsi addosso),
e nemmeno una provocazione rivolta a quei membri di chiesa
che nel passato si sono tenuti
ai margini di questo discorso,
e non lo sentono cosa propria
nel presente. Molto semplicemente, questo mio intervento vuole
tentare di essere una breve riflessione su un problema di
fondo che comunque è stato posto.
Dico subito che milito nel
PCI, e mi piace essere contato
nel numero di quelli nei quali il nome « comunista » (per taluni suoi contenuti) ancora suscita nostalgie che stringono fino alle lacrime (« avevano ogni
cosa in comune; e vendevano le
possessioni e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno », Atti 2), e una
speranza che apre il cuore a battiti nuovi, gli occhi a terre inesplorate, e per queste già chiama all’azione.
Ma devo subito specificare che
he sempre guardato al Nuovo
Testamento come ad una « scuola di pluralismo », ed ho sempre pensato, anche nella stagione delle risposte acerbe, che la
comunità cristiana debba tendere àd essere da una parte un
«recinto» dove possano confrontarsi, magari scontrarsi, in un
processo di crescita comune,
posizioni dissimili sia sul versante teologico, sia su quello politico; dall’altra, uno spazio in cui
segmenti diversi della realtà, nel
rispetto e nell’accettazione delle
rispettive alterità, possano incontrarsi e progettare, per l’oggi
e il domani, per il singolo e la
collettività.
Nel mio cuore ci sarà grande
allegrezza il giorno in cui, in
una nostra comunità, potrò dare la mano di associazione alTon. Bettino Craxi (la cui « politica » non condivido in tanti e
tanti punti), ed accoglierlo nel
nostro combattimento, che è innanzitutto contro i dominatori
di questo mondo di tenebre,
contro le forze spirituali della
malvagità (Efesini 6), essendosi
egli volto gioiosamente all’Evangelo, avendo egli riconosciuto
non esserci altro salvatore e mediatore tra Dio e gli uomini alTinfuori di Cristo Gesù, ed avendo egli aderito, nella profondità del suo essere, alla vera
adorazione del Padre, quella in
ispirito e verità (Giovanni 4).
Parecohi anni fa, ho avuto un
contatto, purtroppo molto breve, con Libano Frattini: poi l’ho
perso praticamente di vista.
Viceversa ho condiviso, per lunghi periodi, con Giorgio Spini e
Fulvio Rocco, lotte, ansie, aspettative, nel Comitato permanente metodista e nel Consiglio della Federazione (quando questa
muoveva i suoi primi passi); con
Rocco, inoltre, nel Segretariato
della Gioventù evangelica metodista, nel Consiglio della Gioventù evangelica italiana, nel periodico Gioventù Evangelica, in
Ecumene e nei campi studio della GEM; ed infine, con Valdo
Spini, nel tratto iniziale del Servizio sociale della FCEI, ed in
altre significative occasioni.
Le nostre scelte « partitiche »
sono diverse oggi, spesso in dialettica marcata, e tali erano allora, con spigoli forse più acuti.
Ma sempre ho avvertito con questi fratelli una profonda comunanza, oltre che di fede (può
sembrare scontata), anche (e
questa è meno scontata) nella
definizione dei compiti della chiesa, nell’impatto con la società e
le sue varie componenti, nella
individuazione degli obiettivi con
i quali tessere un progetto di
rinnovamento a tutti i livelli. La
diversità delle scelte mai è stata causa di divisione nella fede,
e mai ci ha impedito di pensare, analizzare, elaborare, lavorare insieme.
Certo, resta la parola sconvolgente di Gesù sulla necessità
di « nascere di nuovo » (Giovanni 3). Ma questa parola non ci
autorizza al « giudizio ». Devo
confessare perciò che, a mio avviso, la domanda se si possa
essere ad un tempo evangelici e
craxiani non sussiste. Essa tuttavia coinvolge orizzonti molto
più vasti, chiama in causa una
questione molto più ampia: quella della Sinistra e degli evangelici che si dichiarano di sinistra.
Avrei preferito che un dibattito, il nostro settimanale, lo
avesse aperto su questa questione (tutte le comunità vi sono, in pratica, interessate): un
dibattito franco e leale sul modo in cui gli evangelici « a sinistra » si pongono aH’interno
della Sinistra, nella ricerca di
una rideflnizione della sua identità, del suo ruolo; e contemporaneamente, sul modo in cui essi (su questo terreno specifico e
dentro i suoi tanti nodi concreti) vivono l’esigenza del costante misurarsi con l’appello alla
« nuova nascita ».
Sergio Aquilante
(...) Intanto Pantaleo accosta
— per porli in alternativa —
1’« essere evangelici » e 1’« essere craxiani », affermando che sono incompatibili ma implicando
che sono comparabili. Lo sono
veramente? Il verbo « essere »,
è vero, ricorre nei due casi, ma
non ha, nelle due espressioni,
10 stesso peso, lo stesso valore,
la stessa portata. « Essere evangelici » indica un rapporto di
fede in Gesù Cristo; « essere
craxiani » indica una posizione
politica, oggi predominante all’interno del partito socialista:
la differenza è talmente grande
da rendere queste due realtà tra
loro incomparabili. Certo, tra
fede e politica c’è un rapporto,
ma non è così ovvio, facile e immediato da poterlo rinchiudere
— ad esempio — nell’alternativa
istituita da Pantaleo: o sei cristiano o sei craxiano (o lamalflano, pannelliano, demitiano, e
via enumerando). Alternative di
questo genere non sono francamente né proponibili né accettabili, proprio in un’ottica evangelica. La fede ispira e orienta
— speriamo! — le scelte politiche dei cristiani, ma solo in modo relativo e certamente non in
modo univoco. E i criteri per
valutare la compatibibtà o meno
di una linea o posizione o corrente politica (per non parlare
dei partiti) con la fede evangelica o cristiana sono molto difficili da stabilire. E’ invece facilissimo in questo campo prendere delle scorciatoie che poi si
rivelano vicoli ciechi.
Ora è legittimo, persino doveroso, richiamare tutti (compresi eventuali « craxiani » evangelici) alla necessaria coerenza tra
le proprie convinzioni di fede e
11 proprio agire politico quotidiano; ma è altrettanto importante evitare atteggiamenti di
scomunica teologico-poUtica, lasciando ad ognuno la responsabilità delle proprie scelte concrete (in particolare di quelle
che non condividiamo), « non
giudicando » come ha detto e
ripetuto Gesù (Matteo 7: 1), pur
esprimendo i nostri punti di vista, dato che ciascuno di noi sarà chiamato a rispondere delle
sue opere soltanto, « secondo
che avrà operato, o bene o male » (2 Corinzi 5: 10), e non di
quelle altrui. E comunque, ci
penserei due volte prima di sacrificare 1’« essere evangelici »
di nostri fratelli e sorelle socialisti sull’altare di un nostro eventuale « essere anticraxiani ».
Suggerirei ìnsomma un uso più
meditato e responsabile dell’espressione « essere evangelici »
o « essere cristiani ». Sono espressioni di grande valore; riguardano le realtà più importanti e preziose della nostra vita; hanno un peso di eternità.
Il nostro essere o non essere
craxiani o anticraxiani — per
quanto serio e importante possa essere — non ha neppure
lontanamente lo stesso peso, e
in questo senso non è comparabile — neppure per antitesi —
al nostro essere (o, come diceva Kierkegaard, aspirare ad essere) evangelici.
(...) La seconda osservazione
riguarda il rapporto tra « coscienza evangelica » e « militanza partitica ». Pantaleo sostiene
che gli evangelici non possono
(la sottolineatura è sua) militare nel partito di Craxi senza
far violenza alla propria coscienza. Si può condividere o meno
questo giudizio, ma chi lo condivide dovrà poter rispondere
alla inevitabile domanda che ad
esso consegue: esiste nel nostro
paese (o in altri) un partito
nel quale un evangelico o im
cristiano possa militare (o per
cui possa votare) senza entrare
in qualche conflitto o contraddizione con la propria coscienza?
Se Pantaleo ne conosce uno, farà un piacere a molti se ne svelerà il nome. In realtà questo
partito nel quale un evangelico
Altri
Abbiamo ricevuto molti altri
scritti; ci limitiamo per ragioni
di spazio ad una segnalazione.
Ignazio Barbuscia, direttore
del Dipartimento affari pubblici
delle Chiese awentiste, ritiene
« che sarebbe più saggio non pubblicare articoli di questo tenore,
perché in questo modo si getta
fango sull’evangelismo italiano
che sempre si è distinto per la
difesa del pluralismo, della libertà e della laicità » ed esprime
apprezzamento per la « coerenza » manifestata da Giorgio e
Valdo Spini « che sono stati capaci (cosa molto rara nel nostro
paese) di andare controcorrente
e di avere, a più riprese, sia sull'IRC, sia sul problema delle minoranze religiose, dato un esempio unico di cui l'evangelismo
italiano può andare fiero ».
l Pastori nni, X Circuito, dopo
aver definito « incauta » la decisione della redazione di aprire
un dibattito, esprimono solidarietà a Giorgio Spini ricordando
che « chi è chiamato dal Signore ad annunciare l'Evangelo della vita, anche se può rimanere
turbato da giudizi chiaramente
infondati e incauti, da essi non
può essere in alcun modo condizionato ».
Anche Valdo Bi;nrcchi esprime
la sua solidarietà a Giorgio Spini osservando che ci dovrebbero essere criteri («la corretta
informazione, il rispetto delle
persone, la testimonianza evangelica al paese, l’edificazione delle chiese ») che la stampa evangelica dovrebbe seguire e che in
questo caso non ha seguito.
Paolo Spano accompagna la
sua lettera aperta a Pantaleo con
uno scritto in cui definisce «infortunio giornalistico » la pubblicazione della lettera.
Giuseppe Cirino, invece, ritiene che il problema fondamentale che gli evangelici dovrebbero
dibattere sia quello « dell’evangelizzazione e non questioni particolari della sfera religiosa ».
Luciano Rivoira ha « trovato
di cattivo gusto individuare con
nome e cognome gli evangelici
militanti nel PSI e che, per ciò
stesso, sarebbero inconciliabili
con la loro appartenenza alle nostre chiese: sembra un linciaggio », ma osserva che « l’indignazione di gran parte degli interventi mi è parsa sproporzionata ai contenuti della lettera » e
conclude: « Se Pantaleo avesse
fatto emergere la necessità di riflettere sulla pari dignità della
militanza politica, tutta la discussione non sarebbe davvero
inutile ».
può vivere e operare in perfetta
sintonia con la propria coscienza non c’è. Se Pantaleo applicasse a tutti i partiti, con uguale
rigore e coerenza, il principio
del non far violenza alla propria
coscienza, la conseguenza sarebbe che un evangelico non può
militare, e forse neppure votare, per nessun partito, non perché sono tutti uguali (questo
sarebbe qualunquismo) ma perché in tutti (certo in misura e
modi diversi, e questa differenza
è molto importante) ci sono
fatti, decisioni, scelte, comportamenti incompatibili con ima
coscienza evangelica. Questo implicherebbe per gli evangelici
consapevoli e coerenti la rimmcia a « militare » nei partiti oggi esistenti, forse la rinuncia a
votare e a far politica servendosi degli strumenti a ciò deputati (i partiti, appunto), malgrado lo scarso credito di cui
godono, eppure potrebbe comportare una fuoriuscita dalla
politica tout court, dato che
nessun evangelico pensa seriamente alla possibilità di creare
un partito « cristiano » — ce
n’è già uno, ed è di troppo. Come si vede, l’alternativa tra l’essere evangelici e l’essere crasaa^
ni, portata con coerenza alle sue
ultime conseguenze, sfocia in
un’alternativa ben più radicale,
di tipo « anabattista », che francamente non convince.
In conclusione, la critica politica del craxismo è o può essere motivata e merita comunque considerazione e discussione; le implicazioni teologiche
che se ne vogliono trarre per
gli « evangelici socialisti » sono
invece fuori misura e immettono direttamente in un vicolo
cieco.
Paolo Ricca
Dimissioni
mente presente e attivo nella
battaglia contro l’IRC ».
Paolo Angeleri pensa che nella lettera di Pantaleo non si possa leggere la scomunica perché
neppure il Sinodo « è autorizzato a stabilire dogmatiche appartenenze ed esclusioni che ciascuno deve ricercare prima di
tutto in se stesso, alla presenza
di Dio ».
John Hobbins ritiene che il dibattito non dovrebbe essere centrato sul tema della disciplina
e ricordando il dibattito tra Thomas e Niebuhr (1944) auspica
una discussione sulla politica,
« delle sue possibilità e prospettive nell’economia della storia
umana ».
G. G.
(...) Ma per quella « comunione operativa » che sussiste tra
le chiese rappresentate dalla Tavola valdese e la Chiesa apostolica italiana di Firenze/Prato
permettimi solo una parola fraterna. Si sa, « errare humanum
est (perseverare diabolicum)! »
e poiché i tre punti, i tre argomenti con i quali, dall’alto di
una presunta superiorità professionale, vieni a giustificare la tua
scelta ed il tuo errore, sembrano vedere negli altri un non esser pronti a discutere, perché
non pensare alle ...dimissioni?
D’altra parte, poiché scrivi che
« in ogni caso, così, il dibattito
non può proseguire », le « dimissioni » sono la cosa più corretta,
più semplice e più immediata
che questa circostanza può richiedere. In Italia la pratica delle « dimissioni » non è molto conosciuta, ma per noi protestanti
può essere un momento di lucidità e di grazia.
Mario Affuso
No alle demonizzazioni
Mario Goletti ritiene noioso
« il problema della politica nelle chiese » e pensa che sarebbe
più opportuno indagare sulla
« crescita zero delle nostre chiese », ricordando che la vera cultura è quella degli « insegnamenti di Cristo »,
Nino Gullotta condivide nella
sostanza le critiche di Pantaleo
al craxismo c pensa che « Valdo Spini non ha percepito il malumore che esiste all’interno della sinistra impegnata contro la
linea socialista emergente ».
Daniele Rochat ritiene che
nessuno sia intervenuto nel merito dell’articolo di Pantaleo e
ritiene utile il richiamo « all'evangelismo perché sia maggior
(...) Esiste poi il pericolo delle demonizzazioni; oggi il demone è Craxi, domani può essere un altro e il demone di oggi può essere il santo di domani.
La nostra cultura protestante
e cristiana è aliena da demonizzazioni e santificazioni; il Vangelo è vissuto da peccatori perdonati che hanno coscienza dei
limiti loro e di quelli collettivi
e presentano, ad un mondo incerto e per sua natura corrotto, non altro che una speranza
di libertà e di verità. Se il Cristo
vi farà liberi sarete veramente
liberi. (...)
Spero che questo articolo sia
solo un infortunio e non un
passo nella direzione di indicare scomuniche individuali e collettive, aprendo pericolosi collateralismi.
In quanto a porre sul giornale nomi di fratelli da tutti riconosciuti per il loro contributo
cristiano in un contesto di critica e condanna, mi pare una
prassi da inquisizione. Esiste
forse anche da noi il Santo Uffizio?
Certo, per noi, Parigi vale meno di una messa, ma una astiosa e faziosa presa di posizione politica è grave quando
colpisce la credibilità e l’onorabilità dei fratelli.
Domenico Maselll
L
4
fede e cultura
Il agosto 1989
UNA VOCE EBRAICA
STORIA E IMMAGINI
Dio, dopo Auschwitz
La conoscibilità, elemento centrale della rivelazione - La creazione come rinuncia e il silenzio di Dio - Dall’inquietudine alla fede
Hans Joñas, pensatore ebreo
— allievo di Heidegger, Husserl
e Bultmann — noto studioso dei
movimenti gnostici dei primi secoli del cristianesimo, affronta
in questo saggio alcuni problemi relativi al Dio della Bibbia
nella sua doppia espressione di
faraone del cielo e misericordioso padre dell’uomo.
L'attribuzione a Dio deH’onnipotenza — e quindi della forza — si fonda su una tradizionale lettura delle Scritture: fra
tre possibili maniere d'essere di
Dio — onnipotenza, bontà e conoscibilità — di norma si privilegiano le prime due, con l’esclusione della terza: il carattere preminente di Dio viene ricercato
nella sua onnipotenza e bontà,
non già nella conoscibilità. Si
crede così di aver risolto ogni
problema: se Dio è mistero, ogni
cosa si spiega; o meglio, non si
spiega affatto, ma diviene possibile imp>edire di complicar le cose con continue domande impertinenti.
Eppure — sostiene Hans Joñas — l'elemento centrale del
rnessaggio biblico è proprio la
rivelazione, cioè la conoscibilità
(sia pur limitata) di Dio. Il Dio
della Bibbia desidera farsi conoscere all’uomo.
C’è qualcosa che non convince, secondo Hans Joñas, nella
lettura in chiave forte dei testi
sacri: a suo parere, essa è —
ed è stata — sempre fuorviante,
dal momento che ha costretto
l’uomo a sacrificare la conoscibilità di Dio a favore dell’onnipctenza. Dei tre attributi principali di Dio, soltanto due sono
veramente irrinunciahili (bontà
e comprensibilità), mentre il terzo (l’onnipotenza) può venir posto tra parentesi senza difficoltà,
alcuna. Un esame attento dei
problemi relativi alla creazione
del mondo dovrebbe convincerci della validità di questa ipotesi.
Secondo Hans Joñas — che
continua così la linea tracciata
da un indirizzo della qabbalah
medioevale — lo En Sof originario, l’infinito — Dio — per lasciare spazio al mondo « dovette contrarsi in se stesso e in questo modo lasciar sorgere al di
fuori di sé il vuoto, il Nulla, nel
quale e dal quale gli fu possibile creare il mondo» (p. 37).
L’atto della creazione, quindi,
non fu atto di potenza, ma al
contrario di rinuncia, abdicazione. Dio, creando, si è contratto
per con.sentire uno sviluppo autonomo e originale del mondo:
se avesse dispiegato la sua onnipotenza, l’avrebbe reso perfetto, ma anche l’avrebbe schiacciato, annullato sotto il peso della sua perfezione, finendo con
l’identificarlo in sé. Il suo ritrarsi, il suo abdicare alla potenza,
è stato un supremo atto d’amore/dedizione per le sue creature.
Gli fu possibile dare in questo modo all’uomo la responsa
PROTESTANTESIMO
IN TV
DOMENICA 20 AGOSTO
ore 23.30 - RAI 2
Replica :
LUNEDI’ 28 AGOSTO
ore 11.30 - RAI 2
In questo numero viene presentato uno spaccato del protestantesimo italiano, dal dopoguerra ad oggi, attraverso
la testimonianza di un protagonista, il past. Tullio Vinay
che recentemente ha compiuto 80 anni.
bilità come impegno verso l’autoliberazione.
Posto il problema in questi
termini, diverrà credibile una diversa lettura degli attributi di
Dio. Forza, violenza, giustizia
crudele potranno venir messe tra
parentesi, i>er lasciare il posto
alla bontà, alla vicinanza, al « divenire » e, in conseguenza, alla
partecipazione alle sofferenze del
mondo.
Un Dio diveniente e sofferente
— appunto come spesso nella
Bibbia — che ha rinunciato alla preveggenza per poter seguire il cammino dell’uomo e del
mondo nel suo svolgimento imprevedibile e quindi libero, sottoponendosi all’angoscia ed alla
trepidazione degli eventi. Egli si
inquieta, si adira, si pente, si
preoccupa; ciò che l’uomo fa,
10 coinvolge e lo tormenta. Vorrebbe che la sua creatura si comportasse responsabilmente e sapesse autodeterminarsi. E per
questo si prende cura di lui con
atti di amore, non di potenza.
Data l’iniziale abdicazione al
potere, Dio si è preclusa la strada dell’intervento diretto: può
solo entrare nel mondo su richiesta, a patto, cioè, che sia
l’uomo ad autorizzarlo. Il suo
intervento, in ogni caso, non si
tradurrà mai in qualcosa di
taumaturgico. Il Dio-che-si-prende-cura non è mago che realizzi
immediatamente lo scopo della
sua sollecitudine: fa sempre « intervenire altri attori » e in questo modo fa « dipendere da loro la sua preoccupazione. Egli
è perciò un Dio in costante situazione di pericolo, un Dio che
rischia in proprio» (p. 31).
In un contesto del genere, inutile e stolto addossare a Dio la
responsabilità dei suoi silenzi,
anche dei tremendi silenzi di
Auschwitz.
Per certo egli ha taciuto infinite volte: a Lisbona, per esempio, quando ne! 1755 un terremoto distrusse ben trentamila
vite umane («e ciò », come scrive Adorno, «fu sufficiente per
guarire Voltaire dalla teodicea
leibnitziana », p. 42, n. 6); o in
altri luoghi del mondo dove le
calamità naturali hanno impietosamente cancellato dalla faccia della terra empi e giusti, innocenti e colpevoli, fanciulli e
anziani.
Peggio ancora: egli ha taciuto ad Auschwitz, dove l’ebreo veniva eliminato non dalle forze
scatenate della natura o perché
colpevole di qualcosa, ma solo
in quanto ebreo. E c’era da aspettarsi « che il Dio somma bontà » venisse « meno alla regola...
di trattenere in sé la propria potenza » per inteiwenire, invece,
« con un miracolo di salvezza »
(p. 35).
Di questo silenzio, di questa
as.senza c’è una ragione: Dio non
intervenne non perché non volle, ma perché non fu in condizioni di farlo, avendo rinunciato con la creazione alla sua potenza.
Questa la tesi di Hans Jonas.
Ed ecco, conseguentemente, la
proposta di una lettura di Dio
nuova, anche se non in contrasto con ciò che dice la Bibbia:
« Per ragioni che in modo decisivo derivano dall'esperienza contemporanea, propongo quindi
l'idea di un Dio che per un’epoca
determinata — l’epoca del processo cosmico — ha abdicato ad
ogni potere di intervento nel corso fisico del mondo; un Dio che,
nell’urto con gli eventi mondani rivolti contro di lui, non ha
reagito "con la mano forte e con
11 braccio teso” — come noi ehrei recitiamo ogni anno ricordando l’esodo dall’Egitto — bens) continuando con muta perseveranza la realizzazione del suo
HANS JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz - Una voce ebraica. Il
melangolo, Genova, 1989, pp. 43, L.
10.000,
I valdesi
e le loro
valli
fine incompiuto » (pp. 35-36).
Dunque, una lettura « debole »,
che tende a sottolineare quei passaggi biblici, spesso incompresi
o trascurati, in cui si parla di
un Dio chino a contemplare la
propria opera e a giudicarla
(Gen. 1: 31), adirandosi, pentendosi o crucciandosi (Es. 32: 912): come se per l’appunto l’universo creato e l’uomo fossero
per lui una sorpresa, non l’inevitabile conseguenza del suo potere sovrano.
L’abbandono della lettura « forte », insomma, consente di rovesciare l’impostazione tradizionale: anziché sottacere la presunta debolezza di Dio, se ne sottolinea la validità in un contesto di amore, mettendo tra parentesi, invece, le manifestazioni potenti, le qualifiche di signore
degli eserciti, di distruttore dei
nemici e di tremendo faraone
de! cielo.
Questo il punto di vista di un
credente ebreo: e non è certo il
caso di forzarne i significati, suggerendo interpretazioni criptocristiane e sommessi recuperi di
tematiche evangeliche.
Resta il fatto piuttosto singolare di una lettura ebraica non
violenta del Dio d’Israele.
Ma ancor più avvincente — e
convincente — è la chiusa di
questa meditazione. E’ vero, conclude l’autore, la mia posizione
è « diametralmente opposta » a
quella del libro di Giobbe. Mentre là c’è un richiamo alla pienezza di potenza del Dio creatore, io insisto sulla rinuncia alla
onnipotenza divina.
Per quanto possa sembrare
strano, in un caso e nell’altro deve apparire chiaro che lo scopo
di ogni riflessione resta la lode
e la gloria di Dio.
Come dice Goethe: « E la lode
che a Dio si balbetta / lassù in
cerchi su cerchi sta riunita » (p.
39).
.Meditazione stimolante e viva,
questa di Jonas, se è vero che
riesce a infondere nel lettore
quella inquietudine di Dio di cui
si nutre l’autentica fede. Visione aperta di un Dio sofferente,
che sacrifica la sua onnipotenza
alla creatura e che sa prendersi
cura deH’uomo in nome dell’amore; ma soprattutto, di un Dio
che, anziché farsi esempio di
forza indiscussa e indiscutibile
ai faraoni della terra, si mostra
debole fra i deboli; potente senza potere; onnipotente che sa
rinunciare alla forza della violenza in nome deH’autentica, vera forza: quella deH'amore.
Paolo Angeleri
La realtà valdese sotto diversi
ria, ambiente, vita religiosa
profili: stoe tradizioni
Abbiamo cominciato a leggere il libro di Augusto Comba « I
valdesi e le loro valli» (1) sotto
la negativa impressione della polemica sorta, tempo fa, intorno
alla distribuzione gratuita e a
tappeto tra i valdesi della vai
Germanasca di questo volume da
parte dell’assessore Emilio Trovati, della Provincia di Torino.
Al di là della polemica e della curiosa prefazione che lo
stesso Trovati ha voluto dedicare al volume, in cui tra
l’altro, stravolgendo la storiografia ufficiale sulle origini del valdismo, afferma: « ...alla fine del
1200, un gruppo di eretici in fuga
dalla Francia ostile, guidati da
Pierre Valdo, trova rifugio sulle
montagne dell’alto pinerolese »,
il libro colpisce per due pregi essenziali: bellissime foto ed un’ottima sintesi della traiettoria valdese.
Se proprio volessimo fare le
pulci potremmo anche dire che ci
sono, in questo volume, alcune
foto un po' troppo "studiate”, e
per tutte valga quella in cui compare la croce ugonotta appesa
ad un ramo con lo sfondo di un
falò sulla neve (pag. 78). Si potrebbe anche osservare che in
una sintesi che vuole abbracciare
800 anni di storia è assolutamente secondario sapere che per
l’apertura del Sinodo « chi rimane fuori può comunque seguire il
culto, grazie agli altoparlanti sistemati sul sagrato » (pag. 129).
E non pecca certamente d’umiltà
l'autore quando conclude il capitoletto sulla presenza valdese nella cultura dell’Italia unita dicendo che « ... la presenza del Valdismo come oggetto e soggetto di
cultura in ambito italiano e internazionale si è largamente affermata, sicché, se volessimo qui
menzionare gli studiosi viventi,
italiani e stranieri, che si occupano di teologia, di storia, di filologia, di musicologia, di etnografia
valdese, dovremmo fare una cinquantina di nomi, quasi tutti docenti universitari, per metà circa di appartenenza confessionale
valdese, e in vari casi di larga
notorietà anche fuori dall’ambiente accademico » (pag. 173).
Ma lasciando stare le osservazioni marginali (il Bagnòn di Angrogna in realtà è il Bagnòou,
(pag. 69), la sostanza del libro ci
pare buona e occorre riconoscere
che condensare in tre capitoli
(1 - l’ambiente, II - la storia,
III - la vita religiosa, costumi e
tradizioni) la realtà del mondo
valdese valligiano non deve essere stata impresa facile, conside
«Protestantesimo»
Sommario del n. 3 1989
In apertura abbiamo un articolo
di M. Cristina Laurenzi che rivisita il
conflitto tra Brunner e Barth con i
loro due scritti, « Natur und Gnade » e
" Nein! ». Quest’ultimo ci è particolarmente vicino, anche geograficamente, perché fu composto da Barth a
Roma. Segue un'attenta analisi di
Renzo Bertalot delle risposte delle varie chiese al documento di Lima su
battesimo, eucarestia e ministero
(BEM), raccolte in sei volumi a cura
del Consiglio ecumenico delle chiese.
Infine Paolo Naso ci dà una fotografia
della situazione dei migranti e del
problema estremamente complesso che
essi costituiscono oggi sul piano sociale. e quindi implicitamente anche per
i credenti e per le chiese.
Sono in questo numero gli indici degli articoli, studi, rassegne, note e
documenti apparsi su « Protestantesimo » dal 1946 al 1988, cioè nelle annate I - XLIII della rivista. Questa
pubblicazione, dopo un numero di anni che non è cifra tonda, vuol essere
l’omaggio della rivista e del suo
Comitato di redazione a Vittorio Subilla. Il periodo indicizzato corrisponde
infatti quasi esattamente a quello
della sua direzione (1948-1988).
rando soprattutto l’enorme quantità d’informazioni qui contenute.
In poco meno di duecento pagine, possiamo così avere un primo
sguardo d’insieme sulla presenza
del valdismo, arricchito da belle
immagini di Benna e Bertone che
hanno saputo cogliere, con occhio
attento, Thabitat e le tradizioni
più note. Il libro intreccia felicemente geografia, storia e cultura
valdese anche nella sua valenza
ecclesiastica. Ma il lettore saprà
distinguere tra fede e folclore,
tra identità evangelica e tradizioni locali? 11 valdismo non si
esaurisce nella realtà valligiana e
nei suoi vari musei, ancorché per
molti ne rappresenti la patria
storica e spirituale. Solo il prezzo
del volume non fa onore a quella
tradizione di povertà evangelica
di cui si parla in queste pagine.
Giuseppe Platone
SEGNALAZIONE
(1) / valdesi e le loro valli. Testi di
Augusto Comba, immagini di Mario
Benna ed Enrico Bertone. Daniela
Piazza Editore, Torino. 1989. pp. 177.
L. 85.000.
GRUPPO ABELE
La pena
di morte
Fra le varie attività delle Edizioni Gruppo Abele segnaliamo
ai lettori la collana « Progetto
educazione alla pace », entro la
quale si colloca anche un settore dedicato ai diritti umani.
E’ questo il caso delTultima
pubblicazione, dedicata alla « Pena di morte » (pagg. 91, L. 14
mila), che tratta in modo organico e ben articolato tutti i temi legati al problema della pena
capitale, a partire dalla morte di
Socrate fino ai nostri giorni. Si
esamina la pena di morte nella
storia e nella cultura del passa»
to, la sua situazione geografica,
la questione se essa è valida come ’’deterrenza”, la sua regolamentazione internazionale, per
concludere su che cosa si possa
fare, sia come società che come
individui, contro quella che è la
violazione più grande dei diritti
umani.
Questo fascicolo è già stato
preceduto, nella stessa collana,
da altri dedicati rispettivamente alla « Tortura », agli « Scomparsi », alla « Corsa agli arniamenti », all’« Aggressività e violenza », alla « Matematica della
guerra », a « I bambini e la guerra », a « I giovani e la pace », alle « Minoranze », al « Diritto nell’era nucleare ».
Questi fascicoli (corredati di
opportune bibliografie per chi
voglia approfondire i singoli argomenti) si rivolgono — oltre
che al lettore — ai gruppi giovanili ed alle scuole superiori, infatti sono già stati ampiamente
sperimentati in ambito didattico.
Per maggiori informazioni e
per eventuali acquisti di singoli
fascicoli o della collezione fin qui
pubblicata, a prezzo speciale, ci
si può rivolgere direttamente
alle Ediz. Gruppo Abele, via Giolitti 21, 10123 Torino, o alle librerie collegate, come la Claudiana.
R. P-
5
11 agosto 1989
vita delle chiese
CANDIDATI AL PASTORATO: PROFILI
Come ogni anno abbiamo chiesto ai candidati al dere di servire il Signore, quali pastori, nelle Chiese gerà presso l’aula sinodale a Torre Pellice, sabato 26
ministero pastorale di presentare un breve profilo valdesi e metodiste. I candidati dovranno superare agosto alle ore 9. All’esame possono assistere tutti
della loro esperienza di fede che li ha condotti a chie- l’esame di fede presso il Corpo pastorale, che si svoi- i membri delle nostre chiese che lo desiderano.
Sono nato e cresciuto in una
famiglia metodista: già i miei
nonni, ed anche i miei bisnonni, erano impegnati nel « combattimento evangelico ». Nel
quadro della prassi della mia
famiglia (mio padre è anche lui
un pastore metodista e mia madre ha sempre incarnato per me
quello che in seguito ho sentito definire lo « spirito metodista ») ho partecipato, fin da
bambino, a tutte le attività della
chiesa: culti (quando eravamo
a Parma mio padre presiedeva
quattro culti, la domenica, in
quattro località diverse, e spesso mia madre ed io lo accompagnavamo), studi biblici, scuola
domenicale; poi gruppo giovanile e convegni, assemblee di
Circuito, Sinodi, Conferenze, ecc.
Nel 1966 la mia famiglia si
Massimo Aquilante
trasferi nella Marsica (Abruzzo),
e mio padre e mia madre assunsero la responsabilità del servizio nella comunità di Villa San
Sebastiano e nella sua opera di
diaconia (cooperativa agricola
e «comunità scolastica»).
Gli anni di Villa San Sebastiano (la partecipazione alla vita
della comunità alle attività del
Centro di servizio, ai tentativi
di una « politica nuova » nel villaggio e in tutta l’area del « fuori Fucino occidentale ») mi hanno particolarmente segnato. Al
pimto che agli esami di III media, nella prova scritta di italiano (che invitava noi adclescen
ti ad esprimerci sul nostro futuro), io scrissi, naturalmente
con l’ingenuità di quell’età,
che avrei percorso volentieri la
via del ministero pastorale.
Accanto a questa vicenda di
Villa San Sebastiano e degli Abruzzi, metto subito quella che
ho vissuto ad Ecumene: attraverso i campi cadetti, il campo
lavoro, i campi studio, ho avuto
anche qui una significativa occasione di impegno diretto nella
testimonianza resa all’Evangelo
di Gesù e al Regno da lui inaugurato.
E cosi, il tipo di vita cui mi ha
abituato la mia famiglia, gli inse
gnamenti ricevuti dalle comunità e dalle opere diaconali in cui
ho portato il mio modesto contributo hanno fatto maturare
in me la scelta di dedicarmi a
pieno tempo al ministero pastorale, all’interno della vocazione che il Signore rivolge alla
sua chiesa.
Questa scelta si è particolarmente rafforzata nel periodo di
studio che ho trascorso negli
USA, che mi ha consentito un
contatto abbastanza profondo
con il mondo metodista e con la
« cultura protestante ».
Un testo biblico mi è sempre
stato davanti (l’ho anche proposto al momento del mio matrimonio): « Quanto a me e alla
casa mia, serviremo airEterno »
(Giosuè 24: 15).
Sono nato a Milano nel 1958.
Pur essendo cresciuto in una
famiglia cattolica praticante,
non ricordo la fede cristiana
come un elemento decisivo della
mia infanzia: solo verso i 16-17
anni le domande, e i tentativi
di risposta, attorno a Gesù Cristo hanno iniziato ad occupare
un posto centrale nella mia vita.
Nel 1980 mi sono laureato in filosofia e ho iniziato a lavorare
nella scuola. Il mio primo approccio con il protestantesimo
risale a questo periodo: dapprima letture teologiche collegate
alla mia tesi, poi la conoscenza
del protestantesimo italiano (soprattutto attraverso l’allora settimanale Com-Nuovi Tempi),
con la connessa domanda se questo stile di vita cristiana, assai diverso da quello a cui ero
abituato, non potesse costituire
una possibilità per me. Ho rifiettuto circa due anni prima di
decidermi. Il problema di fondo era quello di molti altri nella
medesima situazione: rimanere
Fulvio Ferrarlo
nella chiesa romana per tentare la cosiddetta riforma « dalI’interno », oppure dare un taglio netto? E anche quando la
seconda possibilità mi si è delineata come Tunica che io potessi percorrere con buona coscienza, ho dovuto fare i conti
con qualche difficoltà di ordine
soprattutto psicologico; mi ha
aiutato in modo decisivo Taver
incontrato, nella Chiesa valdese,
le persone giuste al momento
giusto: in un campo ad Agape
e, subito dopo, a Milano. Queste stesse persone mi hanno
poi accompagnato nella decisione di studiare teologia in vista del pastorato.
Quando mi sono recato a
Roma per presentarmi ai professori, uno di essi mi ha chiesto: « Lei vuole lasciare un lavoro di insegnante per fare il
pastore. E’ sicuro di sapere ciò
che fa? ». Naturalmente non lo
ero: ero sicuro soltanto di desiderarlo intensamente ed anche
secondo il professore questo
era, per il momento, l’essenziale. Prima di partire per Roma
ho lavorato un anno nel VI circuito come predicatore locale, il
che ha contribuito non poco a
comunicarmi il gusto e l’emozione dell’annuncio. Nel settembre
1984 ho sposato Cecilia Pasero
e in ottobre ci siamo trasferiti
a Roma.
Gli anni romani sono stati
appassionanti (per quanto riguarda lo studio, le esperienze
umane ed ecclesiali), ma anche
assai impegnativi dal punto di
vista organizzativo: non è mai
stato facile, per me, fare lo studente sposato. Alla vigilia della
licenza in teologia, mi si è pro
spettata Topportunità di completare i miei studi presso l’università di Zurigo, lavorando
contemporaneamente presso la
locale comunità di lingua italiana. Sono stati, anche questi,
due anni intensi, importanti e
diffìcili (mia moglie non ha potuto seguirmi per sopraggiunti
impegni di lavoro).
Teologicamente mi considero
un riformato molto tradizionale, diciamo « barthiano », tanto
per menzionare un’etichetta; seguo con passione la discussione
sul rinnovamento del culto, di
cui vedo la necessità, ma non
riesco a individuare alternative
reali alla forma classica centrata sula predicazione; questa
impostazione vale anche per gli
altri ambiti del lavoro pastorale, ad esempio la cura d’anime:
pur cogliendone i limiti, condivido ancora la « vecchia » definizione della cura d’anime come annuncio delTEvangelo al singolo.
Credo in un ministero pastorale basato su un’intensa spiritualità personale: in che misura sia finora riuscito a tradurre
in pratica questo ideale è, purtroppo, un altro discorso.
Ho quasi 38 anni, sono romano, e provengo dal cattolicesimo. Sono anzi anche stato per
alcuni anni sacerdote cattolico,
fino a quando ho « scoperto » la
giustificazione per grazia mediante la fede, e come questa
fondamentale verità cristiana sia
ancora la discriminante tra cattolicesimo e protestantesimo.
A condurmi a questa scoperta
è stata la mia esperienza di
confessore: se è vero infatti che
non si può dire che a livello
teologico la chiesa cattolica insegni la salvezza « per sole opere », è invece vero purtroppo
che questa è la convinzione che
si trova in molti cattolici e che
fa loro vedere Dio quasi solo
come un giudice pronto ad esaminare con rigore il loro operato. Ho così incontrato in confessionale tante, troppe persone terrorizzate davanti a Dio, al punto che nemmeno l’assoluzione
sacramentale bastava a dare lo
Ruggero Marchetti
ro un po’ di tranquillità.
Ho sentito allora il bisogno di
approfondire — per queste persone e per me stesso — il discorso della grazia e così, dopo
vari tentativi in altre direzioni,
sono arrivato, sulla base di quel
poco che ne sapevo dai miei
studi teologici, a Lutero.
Mi sono procurato — nella libreria evangelica di piazza Cavour, non lontana dalla parrocchia cattolica in cui lavoravo —
i testi delle sue opere più importanti e, dopo due anni trascorsi da un lato nella gioia
per la nuova immagine di Dio
che mi si presentava dinanzi e
dall’altro nella paura di quelle che sarebbero state le
conseguenze traumatiche (per la
mia vita) del cammino che sta
vo iniziando, alla fine ho preso
il coraggio a due mani e dalla
libreria sono passato nella chiesa di piazza Cavour. Ho parlato
con il pastore, poi con il moderatore e con i membri della Tavola e — dopo rm’esperienza estiva ad Agape —, quando ormai non mi era più possibile continuare ad amministrare dei sacramenti che non vivevo più come un sacerdote cattolico è chiamato a viverli, ho lasciato la mìa
parrocchia e sono andato per un
anno a lavorare a Firenze presso l’Istituto evangelico Gould.
A Pentecoste delT83 sono poi
entrato « ufficialmente » nella
Chiesa valdese e, nelTottotare
successivo, mi sono iscritto alla
Facoltà di teologia.
Dall’ottobre delT85 vivo con
mia moglie — nel frattempo mi
sono sposato e ora ho una
bambina di 19 mesi — a Forano, e svolgo il servizio pastorale presso questa chiesa sabina
che, tanto diversa come origini,
storia e mentalità dalle chiese
delle Valli, è però una vera
bella realtà valdese che ha insegnato e sta insegnando, a me
che di carattere sono piuttosto
chiuso e riflessivo, un po’ di semplicità e di spontaneità, qualità
forse « umili », ma tanto importanti e — direi — tanto « evangeliche ».
Questa è, per sommi capi, la
mia storia. Una storia che, al
di là dei momenti di rottura
anche drammatici che l)a avuto, ho vissuto però come caratterizzata da una profonda continuità nell’approfondimento
delTEvangelo e perciò della realtà stessa di Dio così come ci ha
dato di conoscerlo nella sua
rivelazione.
E debbo dire che, dopo averlo
sperimentato nelle opere di Lutero — vera preziosa « chiave »
per me di una nuova lettura della Bibbia — come il Dio della
grazia, nella chiesa valdese ho
imparato a sperimentarlo come
il Dio della libertà: colui che
nella sua potenza ci libera da
ogni autoritarismo terreno; colui che nel suo amore e nella
sua fedeltà ci libera da ogni
bisogno di mediazione; colui che
nella sua paternità ci rende in
Cristo davvero tutti sorelle e
fratelli.
Ed è proprio per poter rendere a lui pubblica testimonianza
del suo essere il Dio della grazia e della libertà che ho chiesto di ricevere la consacrazione
pastorale nella chiesa valdese,
che sento davvero oggi come
la « mia » chiesa.
Ci scusiamo con Ruggero Marchetti
per ia mancanza della foto che non ci
è pervenuta in tempo.
Sono nato a Milano 28 anni
fa, da famiglia cattolica. Diplomato in lingue, non mi sono posto molti problemi « religiosi »
fino ai primi anni ’80. A quel
tempo ho cominciato a riflettere sulla mia fede, sul senso che
aveva per me Tessere cattolico
e su come vivere nella vita di
tutti i giorni Tessere cristiano.
La « molla » che fece scattare la
mia decisione di « diventare »
pastore fu il servizio civile (che
svolsi tra il 1980 e il 1982 in un
centro per tossicodipendenti a
Milano, nel quartiere dove avevo sempre vissuto): nei due anni di vicinanza con le persone
che avevano davvero bisogno di
aiuto ho cominciato a domandarmi seriamente se me la sentivo di vivere tutta la vita al
« servizio » del prossimo, al
di là della retorica che una frase come questa implica. Nel
Gregorio Plescan
1980 avevo conosciuto il mondo
evangelico — un po’ per caso,
tramite la Claudiana di Milano,
Agape, la FGEI e il Centro
« Lombardini » di Cinisello — e
cominciai a pensare che questo
« servizio » che volevo svolgere
potesse avere dei contorni precisi nella chiesa, e in una chiesa
specifica, come quella valdese
e metodista.
Devo confessare che nei primi tempi (e forse anche adesso) ho dovuto costruirmi una
immagine « mia » della chiesa,
delle persone che la compongono e di quelle che ci lavorano a
tempo pieno — dato che le mie
immagini erano quelle dei preti.
fossero essi preti « aperti » o
« conservatori ».
Gli anni di studio in facoltà,
le esperienze che ho potuto fare durante le sostituzioni estive
(a Cerignola, a Como, ad Aosta
e a Bergamo), ma soprattutto
Tanno di prova che ho svolto a
Frali mi sono stati molto utili
per questo, per capire che la
fede non è qualcosa « contro »
(il papa, i preti ecc.), ma anche
e soprattutto per qualche cosa:
per cercare di testimoniare alla
gente l’amore che Dio ha, l’interesse che Cristo prova per
ognuno di noi.
Certo, le situazioni in cui mi
sono trovato in questi anni sono
normalmente meno drammatiche di quelle che ho vissuto e
condiviso con i tossicomani, e
alle volte avrei la tentazione di
desiderare qualche cosa di più
« eroico », non solo la routine
della vita pastorale, con i suoi
culti domenicali e il suo catechismo, ma piano piano mi sembra di capire che l’eroismo di alcuni momenti non basta, ma va
affiancato alla costanza degli impegni quotidiani; insomma, che
si può e si deve cercare la « bellezza » in una visita a una persona anziana o malata.
Mi rendo anche conto che il
fatto di essere nato cattolico mi
fa ancora essere un po’ straniero (e stupito) nel mondo valdese (e soprattutto valdese nelle
Valli), ma spero che la mia « diversità » possa portare qualche
cosa di interessante alle persone
che incontro tutti i giorni, così
come loro mi insegnano moltissimo, molto più di quello che
esse stesse si rendono conto.
■A
6
vita deiîe chiese
Il agosto 1989
SCUOLE DOMENICALI
VALLECROSIA
Vademecum del monitore
Uno strumento per conoscere la psicologia del bambino, per preparare
programmi di animazione e utilizzare metodi alternativi alle lezioni
Come supplemento al n. 34
della rivista « La Scuola Domenicale », il Servizio istruzione
educazione pubblica un volumetto che sarà di grande aiuto
ai monitori e ai genitori. Non
si tratta di un severo testo di
studio, che magari possa intimorire i monitori; questo libro,
infatti, è nato dal loro lavoro,
raccoglie delle esperienze fatte
nelle scuole domenicali italiane,
e molti potranno ritrovarvi dei
temi che sono già) stati trattati sulla rivista. Ma il suo pregio è di raccogliere, per la prima volta, in ima specie di « vademecum », le informazioni di
base e le proposte di attività
che sono essenziali per una buona preparazione.
Il volumetto è diviso in tre
parti: una prima parte, « Conoscere il bambino », di Rita Cialfì
Gay, è una guida per acquisire
quelle conoscenze psicologiche
e pedagogiche che sono condizione indispensabile per poter
comunicare con i ragazzi; la
seconda parte, scritta da Graziella Gandolfo Censi e Silvia
Gastaldi Chiarenzi, contiene il
« Manuale pratico » per la preparazione degli incontri di scuola domenicale; la terza parte,
di Annamaria Lorandi, è dedicata all’animazione teatrale. Per
facilitare la consultazione, ogni
parte è caratterizzata da un segno grafico diverso che si trova in cima a ogni pagina: un
quadrato per il discorso psicopedagogico, un cerchio per il
manuale pratico, un triangolo
per l’animazione teatrale.
Ma le monitrici, i monitori,
non si affrettino a saltare subito nel « cerchio » del manuale
pratico; vale la pena soffermarsi,
sostare, e poi sempre ancora ritornare nel « quadrato » delle
conoscenze psico-pedagogiche;
ne vale la p>ena, eccome, anche
per i genitori: leggete le pagine dedicate alle « avventure della crescita », da cui si scopre
come ogni periodo dello sviluppo umano abbia la sua maturità, la sua intelligenza, il suo
modo di comunicare; leggete la
spiegazione di che cosa significhi « apprendere », di come si
debbano affrontare i vari problemi che si incontrano quando
si vuol comunicare il messaggio,
per esempio le osservazioni acute che Rita dedica al problema del « bambino che disturba »
(pp. 37-39). Sono pagine scritte
bene, in modo competente e
comprensibile al tempo stesso.
La seconda parte, il « Manuale pratico », possiede tutte le
caratteristiche per diventare il
sussidio indispensabile, direi
quotidiano, per chi deve prepararsi ad animare un incontro di
scuola domenicale; una guida,
anche, per poter utilizzare nel
modo migliore il materiale di
lavoro prodotto dal Servizio istruzione educazione. Vi troviamo, accanto a una serie di indicazioni in vista di quell’attività
fondamentale che è il raccontare, delle indicazioni sulla preghiera e sul canto, sulla partecipazione al culto con la comunità; vi troviamo uno schema
per lo svolgimento dell’incontro,
e indicazioni per le diverse fasce di età; vi troviamo un’abbondante serie di proposte attive
per tutti i gruppi. Una miniera
da cui attingere sempre nuove
idee.
A un’attività in particolare,
l’animazione teatrale, è dedicata la terza parte, in cui Annamaria Lorandi ha condensato la
sua lunga esperienza, fornendo
ai monitori delle indicazioni e
una traccia per poter costruire
essi stessi, con il loro gruppo,
un pezzo teatrale. Un’attività di
questo tipo, se fatta seriamen
CRONACA DELLE CHIESE
Campi al Bagnóou
ANGROGNA — Alla foresteria
”La Rocciaglia” si è concluso
un campo di dieci giorni di una
trentina di ragazzi e ragazze di
San Salvo (CH); ora è la volta
di un gruppo di protestanti belgi che vogliono conoscere le Valli. Al Bagnóou è iniziato un
Campetto per bambini dai 4 ai
7 anni e tra qualche giorno ne
inizierà un altro per adolescenti.
• A Pradeltorno domenica
scorsa abbiamo battezzato la
piccola Katia Danna, di Marisa
e Roberto; alla famiglia rinnoviamo l’augurio di crescere insieme nella verità evangelica.
• Lunedì 31 luglio abbiamo accompagnato al cimitero di Pradeltorno dall’alpeggio de « La
Sella » le spoglie mortali di E
Per i vostri regali...
per le vostre
liste nozze
dal 1958
PORCELLANE, CRISTALLERIE
ARTICOLI DI CLASSE PER LA CASA
VIA BUNIVA, 52 - 10064 PINEROLO - TEL. 0121/74194
doardo Buffa, mancato improvvisamente all’età di 75 anni.
Martedì 1° agosto si sono svolti
i funerali di Margherita Besson
ved. Monastier, spentasi all’età
di 90 anni presso l’Ospedale valdese di Torre Pellice. A tutti i
familiari colpiti rinnoviamo la
nostra piena solidarietà in Cristo.
Riunioni quartierali
all’aperto
BOBBIO PELLICE — Come
già sperimentato negli anni scorsi, a partire dall’ultima domenica di luglio sono in corso di
svolgimento delle riunioni quartierali all’aperto; le prossime
avranno luogo il 13 agosto ai
Cairus e il 20 agosto al Serre
Payant: entrambi gli incontri iniziano alle ore 15.
ARREDAMENTI
Mobilificio
GIUSEPPE GRIVA
FABBRICA • ESPOSIZIONE
Via S. Secondo, 38 - PINEROLO - Tel. (0121) 201712
(dì fronte Caserma Alpini « Berardi »)
INDICAZIONI
PER IL XV AGOSTO
— Balziglia si trova nel vallone di
Massello, a un’altitudine di m.
1.400.
— La strada per Balziglia sarà
chiusa ai traffico daiia iocaiità
MuiinO'. Dalle ore 8 alle 10 funzionerà un servizio di trasporto
per le persone che non possono salire a piedi. Per chi sale
a piedi occorre calcolare un tempo di 45 min. circa.
— I parcheggi saranno segnalati.
Gli automobilisti sono pregati di
attenersi scrupolosamente alle
indicazioni degli incaricati.
Lo spazio a disposizione è limitato: è consigliabile contenere il numero degli automezzi,
sfruttando in pieno i posti disponibili nelle automobili.
— A Balziglia funzionerà un servizio
di buffet (caffè, thè, panini, bibite, dolci).
Campo cadetti
te, può costituire qualche volta
una alternativa al normale programma, che può dare ottimi
frutti.
Ho citato soltanto una parte
del ricchissimo contenuto di
questo «Speciale monitori», pensato e scritto, come dicono
espressamente le autrici (tutte
donne: sarà per questo che il
libro, oltre a essere scritto con
grande competenza, è anche di
grande praticità?), soprattutto
per il monitore isolato. Può infatti essere utilizzato, ed è questo il suo scopo principale, per
la preparazione personale. Ma il
suo contenuto si presta anche
benissimo come materiale per i
convegni monitori (per esempio
si potrebbe sperimentare insieme qualche proposta di attività).
Un fatto, un presupposto sta
alla base di questo riuscitissimo lavoro, di cui si sentiva un
gran bisogno: la monltrice, il
monitore, è una persona che
dedica del tempo a prepararsi
per il servizio grande e delicato
che le/gli è affidato. Un incontro
di scuola domenicale non può
essere improvvisato. Lo « Speciale monitori » è lì per ricordarcelo, nel modo più convincente e attraente.
Bruno Rostagno
Si è concluso il campo cadetti
di quest’anno alla Casa valdese,
trascorso tra l’8 e il 22 luglio da
ragazzi tra i 13 e i 15 anni. Si è
potuto davvero essere contenti di
loro (che arrivavano dalle Valli,
da Varese, Torino, Asti, Piacenza, Roma), pur molto diversi ma
generalmente ben disposti, intelligenti, sensibili (quasi strano a
dirsi, date alcune esperienze passate e un progressivo «peggioramento » che alcuni hanno creduto di poter rilevare, ad esempio
nella colonia).
Come ogni anno il campo aveva un tema, un argomento su
cui discutere e lavorare, ma ci si
era proposti di chiedere loro orari di impegno più ampi, anche
considerando che l’argomento —
la musica — presenta aspetti di
interesse particolarmente facile
e immediato. In certa misura è
ciò che è stato fatto; forse uno
dei limiti è stata la non particolare omogeneità di propositi e atteggiamenti tra gli staffisti.
I ragazzi sono stati divisi in 3
gruppi che, a turno, si impegnavano in tre ’’laboratori”: uno si
occupava della costruzione di rudimentali strumenti musicali,
uno di comporre, eseguire e registrare brani, per lo più ritmici,
uno ancora di inventare delle
brevi storie a cui aggiungere commenti sonori. Altre attività sono
state più o meno consuete : la
spiaggia, danze, canzoni, la gita
alle Calandre e quelle a Dolceacqua con divertenti imprevisti,
corse e giochi nel borgo vecchio.
Chissà se il prossimo anno
questa tendenza alla richiesta di
maggiore impegno da parte di
ragazzi e monitori troverà conferma?
Andrea Ayassot
Spinta evangelizzatrice
(segue da pag. 1)
un anno di diificili resistenze ed
un dibattimento parlamentare
che ha ribadito l’obbligo di presenza a scuola per gli studenti
non avvalentisi ed ha ridato forza alt’IRC?
« Ma ha anche dato forza alle
opposizioni. Ho letto di proteste
di collegi di docenti e di minacce di sciopero da parte di
presidi. La TV ha fatto ricorso
contro le circolari 188/189 che
riobbligano alla permanenza a
scuola i non avvalentisi e ripropongono una serie di problemi irrisolti. Il nostro ricorso va
di pari passo con 'quello che si
riferisce alla legge di applicazione delITntesa degli avventisti,
dei pentecostali e degli ebrei. I
quattro ricorsi sono riuniti insieme nello stesso patrocinio condotto dal prof. Barile, che ci ha
già rappresentati nel precedente ricorso al TAR. Questa nostra
azione andrà avanti nella prospettiva di tornare davanti alla
Corte Costituzionale ».
Siamo ormai entrati nell’era
del dopo-Basilea con la sua grande assemblea ecumenica primaverile Su « Pace, giustizia., integrità della creazione ». Quali sono le più immediate prospettive
ecumeniche?
« I contatti ecumenici che abbiamo avuto sono stati buoni. Si
tratta ora di proseguire questi
incontri per verificare quale base di solidità può avere il dialogo ecumenico sui temi della
"pace, giustizia ed integrità del
creato” che, come si sa, sono
vastissimi ma delimitati e sui
quali è più facile che altrove sviluppare il dialogo. Il campo delle relazioni ecumeniche è molto
variegato; va da temi intoccabili come il magistero o il papato
ad altri complessi come quello
dei matrimoni interconfessionali,
sino a quelli meno problematici
come quelli affrontati insieme a
Basilea nello scorso maggio ».
Tra i temi importanti che affronterà il prossimo Sinodo indichiamone almeno uno.
« Penso che si discuterà dei
diaconato. Questo ministero, attivo nella vita delle chiese e delle opere, non è chiaramente definito nel nostro ordinamento.
Tre commissioni affrontano nelle loro relazioni al Sinodo questo importante settore della viti!
delle chiese che ha riflessi notevoli anche in altri campi, come
quello amministrativo e giuridico,. ».
Problemi finanziari legati anche all’indicazione, per il momento poco seguita, di devolvere il 3% del proprio reddito personale alla vita della chiesa, una
certa stasi evangelistica, dibattiti interni spesso duri e personalizzati... E’ urgente ridare slancio al lavoro delle chiese. Ma come?
« Dal punto di vista finanziario abbiamo avuto un anno preoccupante per una forte riduzione della liquidità a causa di alcuni cantieri aperti in contemporanea. Una volta di più emerge il danno che proviene dai ritardi dei versamenti delle chiese
alla cassa centrale. Ritardi più
contenuti rispetto al passato, ma
che continuano a preoccuparci
perché se le spese del personale sono mensili, altrettanto non
può dirsi dei versamenti di molte chiese. Sulla campagna del
3% mi sembra ancora prematuro dare una valutazione; rendiamoci conto che si tratta di un
processo che durerà alcuni anni.
Sull’insieme delia vita delle chiese rilevo che — in alcune situazioni — c’è un tasso di litigiosità interna piuttosto elevato. Se
fossimo più proiettati all'esterno,
non avremmo tempo di incancrenire le situazioni. Un altro elemento preoccupante è l'eccessivo interesse accentrato sulle
questioni del "campo di lavoro ",
in particolare la destinazione dei
pastori, come se tutta la vita ecclesiastica dipendesse da loro.
Anche su questo punto occorre
riscoprire la nostra migliore tradizione protestante insieme ad
una rinnovata spinta evangelizzatrice ».
Giuseppe Platone
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7
11 agosto 1989
valli valdesi
NEI QUARTIERI DEI PAESI DELLE VALLI
MASSELLO
Lavorare oggi
Scuole di vita
Furono luogo di formazione e di libertà, stanno diventando monumen- oer il futuro
ti. a noi tocca rivalutarle come mezzo per la ricerca dell identità
Avrebbero potuto essere più
numerose le persone che il 16
luglio si sono ritrovate intorno
alla « scuola Beckwith » del Gros
Passet, il piccolo villaggio, solo
un pugno di case abbarbicate
su uno dei costoni della valle
di Massello; ma la loro provenienza ed eterogeneità la diceva
lunga sull’impatto che questa, insieme a tante altre scuole simili,
ha avuto nella formazione della
popolazione valdese e sul fascino che esse ancora esercitano in
quanti vogliono comprendere
l'animo delle Valli. C’era chi veniva da molto lontano, come gli
Hougland della California, o il
Félix Canal, ormai cittadino di
New York; altri venivano da più
vicino, dalla Francia, da Ferrara,
da Torino, dal pinerolese; e poi
c’erano i rappresentanti di altre
borgate masselline, o chi aveva
passato un pezzo della propria
vita a Massello, o chi vi si è ormai stabilito. Storie diverse, apparentemente slegate le une dalle altre, eppure in quel momento questi fili di vario colore si
fondevano insieme, convergendo
\ erso un unico centro.
T.’occasione era data dalla
« inaugurazione » della scuola.
Ma il termine è un po’ esagerato; la scuola, una delle 150 circa sparse nei villaggi delle Valli, è stata rimessa a nuovo: rifatto il tetto, il pavimento, intonacate le pareti, chiuse le crepe...
e si presentava, in quel bel pomeriggio domenicale, pieno di
sole e di colori, con l’abito della festa, un po’ civettuola con
i vasi di gerani fioriti posti intorno, ma certo umile e modesta come sempre.
L’averla rimessa a posto è un
atto di doverosa consewazione
di un patrimonio storico, una
mémoria del passato che non
deve andare dispersa; un atto
di amore verso le generazioni
del passato e una ricerca delle
radici dalle quali deriviamo.
La scuola è piccola: una stanza disadorna, una stufa al centro, due o tre file di banchi in
legno grezzo. Ora, alle pareti dei
pannelli raccontano la storia di
questa e di altre scuolette simili; e raccontano anche la stona
del generale Beckwith, che ne fu
l’isniratore e l’artefice.
Qui, in questo locale, generazioni intere di bambini, maschi
e femmine, hanno appreso i primi rudimenti della cultura; un
po’ più grandicelli, poi, si recavano alla « grand’eicolo ». I più
capaci (e fortunati) venivano poi
avviati verso studi .superiori, per
diventare medici, notai, pastori,
maestri... Ma questa è una storia di pochi.
Venivano al mattino presto, un
pezzo di legno sotto il braccio
per alimentare la stufa, e imparavano a leggere, scrivere, far
di conto. Ma soprattutto imparavano a pensare, loro, contadini di vallate alpine destinati a
vivere nell’ignoranza, buoni solo
ad una fatica che rompeva la
schiena. Invece qui, nella scuola, ritrovavano la loro dignità
di uomini e donne liberi, consapevoli di sé e della loro fede;
contadini, si, ma capaci di par
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"LE scuolette.
ífí Tfmp,¡3 Vo'deie
lü Scs/0 o quarncrc i»
ScyO‘3 ç mv&co s*o»''CO
1 -'1 ,
lare e scrivere in francese, di
leggere romanzi e classici della
letteratura, di dialogare con gente di altri paesi e di altre tradizioni e culture. Capaci, infine,
di rendere conto e ragione della loro fede.
Poi con il tempo le scuole si
son chiuse, ma nella memoria
collettiva sono rimasti i nomi
dei maestri e delle maestre; nomi che evocavano timore (per
i metodi pedagogici forse un po’
severi, di certo in sintonia con
i tempi), ma anche riconoscenza per la lezione di vita da essi
ricevuta.
La funzione delle scuole di
quartiere s'è ridotta e sono rimaste il luogo nel quale nelle
fredde serate d’inverno, piene di
stelle, le famiglie del villaggio
si ritrovavano per la « priero »:
meditazione biblica, canto, preghiera, discussione su tematiche
deila chiesa, del Sinodo, o altro. Mentre la stufa ronzava e
il suo tepore scioglieva la resistenza dei più stanchi, alla luce, in genere sempre fioca, il pastore stabiliva dei collegamenti
tra la vita di questi quartieri dispersi e il resto del mondo. Nel
ia discussione e nello scambio
si costruiva insieme un discorso
per comprendere il presente, per
tracciare le linee del futuro.
Bisogna partire dalla scuola
de] quartiere per capire la vita
e la mentalità della gente delle
Valli. E’ giusto dunque venire oggi da lontano e riconoscere questi luoghi di formazione e di libertà.
Purtroppo stan diventando dei
monumenti. Ciò significa che la
vita oggi si svolge altrove, in altri centri di formazione, con altri maestri. Con quali risultati?
Difficile a dirsi. Ma certo in questo punto si gioca gran parte
del futuro delle nostre chiese alle Valli.
Luciano Deodato
Radio
Beckwith
Segnaliamo che Radio Beckwith proporrà nelle settimane di
agosto le relazioni presentate al
convegno di Beckwith svoltosi il
22 luglio nel corso di « speciali »
in onda tutti i martedì alle ore
18.45. Il programma « Gruenen »
(giovedì ore 19.15 e lun. ore 9.30)
presenterà alcune interviste sul
tema della vivisezione e lunedì 14
agosto, ore 18.45 (replica giovedì successivo ore 11.30), andrà in
onda il programma curato dalla
PGEI; infine prosegue il consueto programma in lingua francese
« La poêle percée », ogni giovedì, alle ore 10 ed il venerdì alle
ore 17.
Ho posto alcune domande ad
Aldo Peyran, sindaco di Massello, chiedendogli una sua valutazione sulla realtà del paese da
lui amministrato, uno sguardo al
passato, uno al presente, idee e
prospettive per il futuro.
Peyran è sindaco di Massello
dal Ì964, ha un passato di minatore ed una lunga militanza come sindacalista, oggi ha scelto
di tornare a vivere a Massello
e di continuare il suo impegno
nell’ambito della realtà montana,
con un forte legame con la cultura locale.
Può dirci quali sono stati, nel
passato^ i passaggi da ricordare
per comprendere il presente?
« Premetto che il mio impegno,
anzi l’impegno delle amministrazioni di Massello, in quanto ho
sempre lavorato in collaborazione con i rappresentanti eletti
dalla popolazione, è stato quello di cercare, nell'amministrare,
il meglio per la nostra comunità.
Il nostro impegno come amministrazione è stato quello di
creare soprattutto servizi, finalizzati al contenimento dello spopolamento. L’accelerazione delTemigrazione è avvenuta in particolare a partire dal licenziamento nel ’67 di 150 operai dalla
Talco e Grafite. Esisteva allora
una tendenza generale a ricercare un posto sicuro nell’industria come garanzia di benessere. L’agricoltura di quel tempo
era un’attività integrativa della
industria, che ha utilizzato le nostre zone come serbatoio di manodopera. In quegli anni è mancata un’articolazione dell’occupazione che non fosse solo basata
sull’industria. Per un ventennio
le nostre zone hanno vissuto un
abbandono pressoché totale,
giungendo ad una popolazione
molto ridotta e soprattutto di
anziani ».
Come si presenta la realtà attuale?
« Esistono segni di ritorno, cresce nuovamente l’interesse per
la realtà abbandonata; ne è
un segno la ristrutturazione delle case per anni chiuse ed oggi
riaperte, anche se soprattutto nel
periodo estivo. Sono nate piccole iniziative locali. Riemerge l’interesse per gli aspetti culturali
e sociali della nostra zona. Segni positivi, che ci fanno capire
come il nostro lavoro paziente
anche nei momenti difficili motiva delle fondate speranze per
il futuro ».
Come vede il futuro della zona?
« Oggi, anche nelle difficoltà, si
lavora per il presente e per il
futuro, forse anche in modo un
po’ utopistico, ma è sicuro che
per prevedere uno sviluppo della montagna occorrono programmi a lungo termine. E’ necessario fare un lavoro culturale capace di recuperare quegli embrioni di cooperativismo esistenti un tempo nella cultura valligiana, basti pensare alla ’’società de la vaccia", al baratto del
latte.
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Importante è trovare giovani
disponibili a lavorare in montagna, a sviluppare l’aspetto cooperativistico in attività agricole
integrate, esempio l’agriturismo,
la forestazione, la trasformazione del prodotto locale. Come Comune necessitiamo di una maggiore autonomia locale nella gestione del territorio. Abbiamo bisogno di un'azione dello Stato,
Regione, Provincia capace di incoraggiare lo sviluppo delle risorse della montagna, invece di
usare la montagna come valvola di sfogo per gli agglomerati
urbani, come un certo tipo di
turismo dimostra con evidenza.
Chiediamo un potenziamento
dei servizi, consapevoli che questo va controcorrente rispetto all’attuale tendenza dei tagli della
spesa pubblica; basti pensare alla politica dei trasporti, ai tentativi di sopprimere la scuola
media di Ferrerò, ecc.
Valorizziamo i momenti aggregativi, come ad esempio l’annuale
festa del paese. Destano interesse anche momenti commemorativi quali il XV di agosto a Balziglia che esprime, oltre ad una
riflessione sulla nostra storia,
aspetti significativi che possono
far riflettere sul nostro essere
massellini responsabili del futuro della comunità ».
Intervista a cura di
Mauro Meytre
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Il agosto 1989
RICORDI E RIFLESSIONI
La Balziglia: memorie e mito
La fascinazione del luogo e il suo legame inscindibile con un’aspra lotta per la sopravvivenza - Il significato universale della vicenda storica - Lo « spirito della terra » e I irrompere dei « momenti di liberazione » nella storia
Chi procede a piedi e in
solitudine sugli ultimi tratti
della strada di Balziglia può
difficilmente sottrarsi ad una
sorta di fascinazione: come
se le pendici impervie ma
dense di boschi e i diruti
muri di pietra, che difendono sentieri non più percorsi
e campi non più coltivati,
fossero popolati da molte
invisibili presenze.
Sicuramente questa percezione si impone con maggior
forza a coloro che conoscono‘ancora i nomi di ogni
svòlta della strada e di ogni
gorgo del torrente; e, risalendo molte volte la valle
in compagnia di gente più
anziana, hanno ascoltato i
racconti delle fatiche quotidiane e delle remote memorie che si legano a quei luoghi.
E viene anzitutto da chiedersi per quale concatenamento di cause e di anonimi eventi questo fondo di
valle apparentemente del tutto sfavorevole alla sopravvivenza umana sia stato sede
di molte e prolifiche generazioni: a tal punto che, quando vi nacque mio nonno, all'incirca centodieci anni or
sono, nei due gruppi di case
di Balziglia, « di qua » e « di
là dall’acqua », si contavano
a suo dire non meno di ottanta persone.
Era arduo vivere in quei
luoghi. D’inverno, per molte
settimane, le case rimanevano sempre nell'ombra. Ma
le donne e i bambini salivano sulle prime rampe del
sentiero del Colle del Pis, sopra il villaggio, dove il sole
per qualche ora arriva e non
c’è mai troppa neve. E se
ne stavano a fare maglia,
giochi e chiacchiere fino al
precoce tramonto.
In un giorno degli anni
1880, dopo incessanti nevicate, due valanghe si stacca
La Balziglia nell'interpretazione di W. Brockedon (1837).
rono nello stesso momento
dalle opposte pendici e coprirono interamente il villaggio. Bambino, mio nonno
ricordava l’immane boato e
il fatto fortunoso che nessuna casa fosse crollata e nessuno fosse morto. Ma per
molti giorni le famiglie avevano ristabilito i contatti attraverso cunicoli e gallerie
sotto la neve, come in un villaggio eschimese.
Per dar da mangiare a poche vacche gli uomini andavano d’estate a falciare talune pendici ricche di erba
del vallone di Ghinivert, che
viste da lontano appaiono
del tutto perpendicolari. E i
cumuli di fieno, ben costruiti intorno alle pertiche, venivano portati a valle in primavera quando la neve è
compatta, su slitte leggere e
fatte in casa, il cui modello,
funzionalmente perfetto, risale a un tempo in cui né
Atene né Roma erano ancora state fondate.
Ma, nei racconti di mio
nonno, apparivano anche ricche di allegria quelle imprese di giovani vigorosi, esposti ai rischi continui della
montagna. Una volta, quan
IV. H. Bartlett
interpretò
in questo modo
la Balziglia
nel giorno
in cui le truppe
del gen.
Catinat
sferrarono
l’attacco.
do avevano ultimato il carico e stavano per iniziare la
discesa, uno dei conducenti
di slitta, appartatosi per necessità fisiche in un luogo
troppo esposto alle correnti
d’aria, fu colto da un principio di congelamento in parti delicatissime del corpo;
ed ebbe a sopportare, dopo
il dolore e lo spavento, anche i lazzi dei suoi compagni
di fatica.
Dunque la potenza mitica
del luogo (poiché in origine
« mito » significa « racconto ») sorge dai frammenti di
memoria di quella lotta quotidiana per la sopravvivenza; ma anche dalla simpatia
e dalla complicità che lega
gli uomini e le donne alla
terra dove sono nati e da cui
hanno tratto nutrimento.
Ma nella valle di Balziglia
vi è anche un altro strato di
memoria e un’altra scaturigine di mito.
Si può presumere che una
sede così impervia sia stata
stabilmente popolata nel
Basso Medioevo perché vi
avevano trovato rifugio uomini e donne spinti da motivazioni ancor più drammatiche di quelle che dominano l’economia quotidiana^
T nomi delle famiglie di
Balziglia ci rimandano infatti a terre ben più fertili ed
apriche, della Provenza e della Linguadoca, devastate all’inizio del Duecento dalla
crociata della nobiltà di
Francia contro gli eretici.
E proprio perché era ben
protetto e di difficile accesso, il sito di Balziglia fu
raccomandato dal ribelle
Giosuè Gianavello (che era
invece della valle di Rorà)
ai correligionari valdesi che
si accingevano a ritornare
dall’esilio svizzero, nel 1689.
E’ a tutti noto (poiché se
ne celebra il terzo centenario) che i quattrocento uomini armati diretti da Enrico Arnaud vi svernarono. E
nella primavera del 1690 sostennero per molti giorni un
soverchiante assedio e, alla
fine, grazie alla abilità del
capitano Filippo Tron di Bal
ziglia, riuscirono a sfuggire
alla morsa del più potente e
organizzato esercito del secolo XVII, scompaginando i
disegni strategici e gli altezzosi ultimatum dei Marescialli del Re Sole.
Che per via di questi eventi il remoto villaggio della
Val San Martino sia diventato, nell’età romantica, meta di pellegrinaggio insolito,
di viaggiatori protestanti inglesi, olandesi e prussiani,
risulta anche dalle memorie
familiari.
Ho in casa un vecchio libro, pio e truculento, scritto da un inglese e stampato
in francese a Tolosa (intitolato Naomi ou les derniers
jours de Jérusalem), che porta la dedica manoscritta, del
1875, di Paul Zaulech e Georg
Loesche, prussiani, « all’amico della Balziglia », Giacomo
Pons (mio bisnonno).
le desiderio di novità e di
avventura. All’età di ventidue anni si convinse che Balziglia non era un posto dove si potesse vivere nel secolo ventesimo, che aveva appena avuto inizio. E se ne
andò in quello che a lui appariva l’autentieo « paese di
Dio », gli Stati Uniti d’America. Ma dopo un decennio
di mobilità e di successi professionali ritornò in Italia
per la preoceupazione dei
vecchi genitori, e fu bloccato e nuovamente arruolato
negli eserciti della Grande
Guerra. Ed ha avuto ancora
tempo, molto più tardi, di
istruirmi a modo suo, riguardo alla storia di Balziglia.
Coloro dunque che, più
numerosi del solito, vi saliranno quest’anno, potranno
ripercorrere i due strati del
« mito ».
Il primo, più antico ma
Un gruppo di case della Balziglia di oggi, ai piedi del «Castello ».
Nel corso della lunga e
felice dimestichezza con il
suo terzo figlio, Enrico Umberto, ho avuto talora l’impressione che quest’ultimo
non condividesse l’atteggiamento ilare ed aperto del padre, sempre disposto ad aggiungere piatti in tavola per
quei pellegrini, anche nei
giorni cruciali della fienagione e della mietitura e con
indubitabile aggravio di fatica per le donne di casa.
E sono anche certo che
Giacomo fosse, rispetto al figlio, molto più consapevole
del significato universale della singolare vicenda di Balziglia; e sicuramente molto
più impegnato ed attivo nella vita religiosa, poiché era
stato uno dei soci fondatori
della « unione giovanile valdese » di Massello, sorta da
un Risveglio autonomo e
niente affatto clericale.
In tal modo gli inevitabili conflitti tra i figli e i padri
prendono direzioni che ai
posteri appaiono talora segnate maggiormente dalle
perdite che dal progresso.
Mio nonno aveva per certi
aspetti un pessimo carattere, ma anche un incontenibi
più usuale, appartiene a quello « spirito della terra » che
i teologi riformati considerano con sospetto di paganesimo. Ma esso ci è oggi di
aiuto per comprendere la
cultura dei popoli che hanno tracciato nei deserti i primi sentieri di appaesamento
(le « vie dei canti » australiane dell’ultimo libro di Bruco Chatwin). E i sentieri si
sono aperti perché quegli
uomini (che noi denominiamo « primitivi ») pensavano
di non essere affatto soli ed
estranei nel mondo.
Il secondo strato del mito
di Balziglia — quello della
vicenda dei valdesi — è più
prossimo alle nostre odierne inquietudini. Esso attesta
che, nel confuso e tragico
itinerario della Storia mondiale, si trovano, seppur rari ed inusuali, dei momenti
di liberazione. In questi casi i protagonisti degli eventi
hanno sovente percepito la
disproporzione tra le loro capacità d’impresa ed un esito che le .sopravanza a tal
punto che esso viene riconosciuto come una incontrollabile novità e come un dono. Mario Miegge