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ORMA
SETTIMANALE
Spedizione in a. p. 45% - art 2 comma 20/B legge 662/96 ■ Aliale di Torino.
In caso di mancato recapito resthuire al mittente presso l'Uffìcio PT Torino CMP Nord
ESE E
Anno IX - numero 43 - 9 novembre 2001
Lire 2200 - Euro 1,14
lEDITORIALEI
dtìsso e la laicità
SENIO BERNARDINI
I BIBBIA E AHUALITÀB
SI PARLA
ÌTROPPO DI DIO
|?,«È bene aspettare in silenzio la sal' zfl del Signore»
Lamentazioni 3, 26
0 invocano i terroristi, lo invoca
^ irhi va in guerra, chi predica la
Igierra santa, chi prega per la pace o
per la vittoria sui nemici. Le religioni si contendono i suoi favori. La
„erra santa, ma anche il God bless
America. Un-Dio tappabuchi, un
*d)io da portare in processione, un
|)uon Dio pacioccone e rassicurante.
,|1 vecchio peccato dell’umanità, a
lincominciare dalle religioni, è quello
■di cercare di mettere Dio al proprio
¡servizio. Non escluse le religioni così
dette abramitiche che non potranno
riuscire a dialogare se non faranno
chiarezza su questo punto preliminare. Quale Dio? Da che parte sta?
Non possiamo trovare una risposta
inventando una nuova, suggestiva
definizione di Dio sulla quale si raggiunga un consenso ecumenico.
Raccolgo, invece, una provocazione
che Paolo Ricca ha lanciato di recen
te in una riunione interreligiosa convocata per commemorare le vittime
deU’ll settembre: operare una radicale bonifica del nome di Dio.
Questa operazione potrebbe ri
velarsi piuttosto dolorosa, ma
dobbiamo riconoscere che le nostre
parole non sono risolutive, non sono
adatte. Attendiamo nel silenzio della
preghiera, ci dice il libro delle Lamentazioni. Perché nascondi il tuo
volto? perché mi hai dimenticato?
perché te ne stai lontano? fino a
quando starai a guardare? Signore
che cosa aspetti? Sono domande pre
senti in molti salmi e che esprimono
la dura realtà della persona sofferente
che si sente dimenticata da Dio. Il libro di Giobbe è una continua ricerca
di Dio, e non tanto perché Dio si giu
stifichi 0 riveli chissà quali verità, ma
perché gli stia vicino, sia presente.
Così si conclude il libro di Giobbe:
«Il mio orecchio aveva sentito parlare
di te, ma ora l’occhio mio ti ha visto»
(42, 5). Non mi importa se continuo
a soffrire o se non conquisto l’immortalità se so che tu mi vedi e sento
che ci sei. Non c’è posto per un qualche tipo di mediazione, di defmizio
ne, non c’è più neppure un Dio che
valga la pena di annettersi. Nei confronti della croce del Figlio possiamo
solo prendere le distanze, come hanno fatto i discepoli di allora. Ma ci
basta sapere che i nostri interrogativi
non si dissolvono neH’aria.. C’è qual
cuno che li ascolta, che li raccoglie,
nhe li elabora secondo i suoi progetti
'spirati alla sua grazia, al suo amore,
alla sua misericordia.
/> C IGNORE, tu hai visto» (Salmo
'^10); «Io confido nella tua
bontà» (Sai. 13); Elia cerca il volto di
P'o nel vento impetuoso che squassa
' monti, nel fuoco e nel terremoto,
®a Dio non è lì. Quando il tumulto
® cessato e sul monte è tornata la pa‘'a, Elia ode «un suono dolce e sommesso» (I Re 19, 12) che lo raggiun8a e che lo interroga. Mentre dobbiamo essere in grado di prendere le distanze dalla massa di informazioni
;Cl^ENfl
/ aistìatti pachistani chiedono
pntezione contio la violenza
IVILLAGGIO GLOBAL
Viaggio nel Kosovo «liberato»
dì FULVIO FERRARIO
Intervista a Annemarie Dupré, cooriJinatrice (del Servizio rifugiati e migranti Fcei lopinione
lECO DELLE VALLII
I guai della piscina di Pineroio
di DAVIDE ROSSO
Immigrazione, si cambia?
Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 12 ottobre ha ^
suscitato critiche da chi opera nel settore e nella stessa maggioranza. Ecco perché
che
CRISTIANI
NELL'ISLAM
Permessi di soggiorno più difficili?
____________MARTA D'AUMA_______________
LO scorso 12 ottobre il Consiglio
dei ministri ha approvato il disegno di legge in materia di immigrazione e asilo. Abbiamo rivolto alcune
domande a Annemarie Dupré, coordinatrice del Servizio rifugiati e migranti (Srm) della Fcei. «Una prima
considerazione generale è che il ddl
sembra non prendere in considerazione l’attliale momento storico.
Nella grave situazione internazionale, che fa prevedere un aumento di
rifugiati, il ddl risponde con una
norma inaccettabile, secondo cui il
rifugiato viene trattenuto dall’autorità di pubblica sicurezza anche nel
caso si sia spontaneamente preseritato per avanzare la richiesta di asilo. Tale provvedimento è un passo
indietro per il nostro paese che
nell’Unione europea è Tunico a non
avere ancora una legge sui richiedenti asilo. Inoltre, in un momento
in cui è crescente nella nostra società la paura dell’arabo, del musulmano, dello straniero in genere, sarebbe stato più efficace che il governo promuovesse interventi legislativi
positivi anziché restrittivi».
- Quali altri aspetti problematici
presenta il ddl?
«Sicuramente il provvedimento
sull’accesso al lavoro. Nel nuovo disegno di legge è stato soppresso l’art. 23
del Testo Unico che prevedeva l’ingresso per inserimento nel mercato
del lavoro non condizionato dalla stipula preventiva di un contratto».
- Che cosa significa questo?
«Significa che ora il lavoratore può
entrare legalmente solo se riceve
una preventiva assunzione da parte
di un datore di lavoro. In questo modo gli immigrati che vogliono inserirsi in settori a bassa qualificazione,
per i quali un rapporto di lavoro nasce quando datore di lavoro e lavoratore si conoscono, non possono usufruire di una migrazione legale e saranno indotti ad entrare in Italia illegalmente».
- Tutto ciò avrà un considerevole
impatto anche sul mercato del lavoro?
«Certamente. A fronte di una domanda di lavoro che soprattutto nel
Nord-Est non è coperta dalla inanodopera nazionale, il ddl elimina la
“sponsorizzazione” da parte dei soggetti (Regioni, enti locali e associazio
Segueapag. 10
CI sommergono e che spesso de
'’lano la nostra ricerca, cerchiamo di
®^coltare Dio nel silenzio e avremo la
8ioia di incontrarlo, di conoscerlo, di
essere interrogati dalla sua Parola.
Valdo Benecchi
Immigrati
Oltre 160.000
sono evangelici
«Oggi la metà dei protestanti in Italia è composta da immigrati»: lo ha
constatato il pastore luterano HansMichael Uhi, che coordina il progetto
«Essere chiesa insieme» della Fcei,
commentando i dati dell’XI edizione
del Dossier sull'immigrazione della
Caritas. Su 1 milione e 700.000 stranieri che vivono in Italia il 36,8% sono
musulmani, il 26,7% cattolici, il 21,5%
sono ortodossi o protestanti (la Caritas accorpa le due confessioni cristiane). Nell’ultimo biennio, in percentuale, le presenze di cattolici è lievemente calata, i musulmani sono aumentati dell’1,4%, gli ortodossi e protestanti dello 0,2%. «In casa protestante - ha detto Uhi in una intervista
all’agenzia Nev - ciò significa che sono oltre 160.000 gli stranieri che vivono in Italia e sono di fede evangelica».
Roma, 11 novembre
Celebrazione
interreligiosa
Celebrazione interreligiosa, l’il novembre presso il cimitero del Commonwealth, a Roma, organizzata dalle chiese di lingua inglese della capitale (Chiesa anglicana, la Chiesa cattolica di Gran Bretagna e la Chiesa
scozzese), riunite nel coordinamento
«Churches Together in Rome». La celebrazione, che si svolge ogni anno
per commemorare la fine della prima
guerra mondiale, «assume nell’attuale crisi internazionale un particolare
significato - spiega Pieter Bouman,
del coordinamento delle chiese anglofone -: perciò abbiamo deciso di
trasformare questa celebrazione in
un incontro interreligioso. Per questo
motivo siamo in contatto con rappresentanti del mondo islamico ed
ebraico presenti a Roma». La celebrazione si aprirà alle ore 10,45. (nev)
Valli valciesi
Sanità e servizi
assistenziali
Il rapporto tra sanità e settore socio-assistenziale è di vecchia data,
ma continua a riproporsi negli enti
preposti. La Regione Piemonte ha
sollecitato un incontro con gli amministratori del Pinerolese e la Asl 10
per discutere proprio di dòme possano essere gestite le modalità di questa
interazione. Alla base di tutti i problemi, come sempre è stato riscontrato,
naturalmente vi è la questione dei finanziamenti ma, budget a parte, in
molti settori i due servizi funzionano
in collaborazione: handicap, neuropsichiatria infantile, servizi rivolti ai
tossicodipendenti, assistenza agli anziani. Sindaci e operatori del pubblico, inoltre, devono trovare modo di
rapportarsi anche con i privati.
Apag. Il
Il massacro dei 18 membri della
Chiesa protestante del Pakistan a
Bahawalpur ha riportato brutalmente
in primo piano la sorte di molte minoranze cristiane in paesi a maggioranza
islamica. Sorte estremamente preoccupante, come testimonia il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, preparato dall’organizzazione cattolica umanitaria «Aiuto alla chiesa che soffre», impegnata da anni in 138 paesi. Da questo
rapporto apprendiamo che, nel mondo,
sono 250 milioni i cristiani a rischio di
persecuzioni e che ogni anno 160.000
vengono uccisi, la maggior parte vittime del fondamentalismo islamico.
Bisogna tener presente che la strage
di Bahawalpur è avvenuta nel paese in
cui sono stati formati i talebani afghani, nelle famose «madrase», quegli istituti di teologia islamica caratterizzati
da una forte impronta antioccidentale.
Per gli autori del massacro, probabilmente istigati dai loro fratelli talebani,
essere cristiani e per di più protestanti
(come gli americani) era certamente un
buon motivo di rappresaglia, tanto più
che quella chiesa appoggia la linea ahtiterrorista del presidente Musharraf,
pur auspicando la cessazione dei bombardamenti. Chiedendo a Musharraf
giustizia e non vendetta, e protezione
delle minoranze religiose del paese, i
cristiani pachistani hanno respinto con
decisione ogni ipotesi di guerra di religione o di «guerra santa». Hanno chiesto invece che venisse rispettato e attuato un loro diritto di cittadini. In
questo hanno assunto un atteggiamento che possiamo definire laico.
Il Consiglio ecumenico delle chiese
(Cec), che ha tempestivamente appoggiato queste richieste ha lottato, fin
dalla sua fondazione nel 1948, per l’affermazione della libertà religiosa e ha
sempre collegato questa questione a
quella dei diritti umani fondamentali.
Nella primavera scorsa, esso ha presentato una dichiarazione scritta alla
57“ sessione della Commissione dei diritti umani dell’Onu, invitando quest’
ultima a prendere in considerazione
alcuni fattori che contribuiscono ad
accrescere l’intolleranza religiosa, come l’ingiusta ripartizione delle risorse
economiche, il rifiuto di condividere il
potere politico, o la manipolazione della religione in quanto «strumento e catalizzatore dell’escalation» dei conflitti. La posizione del Cec si basa sul fatto
che le religioni hanno sempre unaTorte valenza emozionale che spesso le
porta al fondamentalismo e all’estremismo, non solo a Kabul, Khartum,
Teheran o Gaza ma anche a Gerusalemme, New York, Belfast o New Delhi.
Per questo, sostiene il Cec, è bene cercare di mantenere un atteggiamento
razionale, o meglio laico. Questo presuppone di non confondere i piani tra
stato e chiese (o moschee, o sinagoghe), e tra politica e religione (il che
non vuol dire, come vorrebbe un certo
laicismo, escludere le convinzioni religiose dal dibattito pubblico). È vero
che questo approccio laico caratterizza
soprattutto il modo protestante riformato di vivere la fede cristiana e di
rapportarsi alla modernità e che esso è
agji antipodi di qualsiasi integralismo,
islamico, cristiano, ebraico o induista.
Ma nella fase attuale esiste un modo
migliore di conciliare le esigenze della
fede, della ragione e della modernità,
con le quali tutti i popoli, le culture e le
religioni del «villaggio globale» devono
fare i conti?
Jean-Jacques Peyronel
2
PAG. 2 RIFORMA
immagine; lo creò
a immagine di Dio;
li creò maschio
e femmina. ^^Dio
li benedisse e disse
loro: “Siate fecondi
e moltiplicatevi;
riempite la terra,
rendetevela soggetta,
dominate sui pesci
del mare e sugli
uccelli del cielo e
sopra ogni animale
che si muove sulla
terra”. ^Dio disse:
“Ecco, io vi do ogni
erba che fa seme sulla
superficie di tutta la
terra, e ogni albero
fruttifero che fa seme;
questo vi servirà di
nutrimento. ogni
animale della terra,
a ogni uccello del
cielo e a tutto ciò che
si muove sulla terra
e ha in sé un soffio
di vita, io do ogni
erba verde per
nutrimento”.
E così fu. ^^Dio vide
tutto quello che aveva
fatto, ed ecco, era
molto buono. Fu sera,
poi fu mattina:
sesto giorno»
(Genesi 1,26-31)
<éll lupo abiterà con
l’agnello, e il
leopardo si sdraierà
accanto al capretto;
il vitello, il leoncello e
il bestiame ingrassato
staranno assieme,
e un bambino li
condurrà. ^La mucca
pascolerà con l’orsa,
i loro piccoli si
sdraieranno assieme,
e il leone mangerà il
foraggio come il bue.
’'Il lattante giocherà
sul nido della vipera,
e il bambino
divezzato stenderà la
mano nella buca del
serpente. "Non si farà
né male né danno
su tutto il mio monte
santo, poiché
la conoscenza
del Signore riempirà
la terra, come le
acque coprono il
fondo del mare»
• (Isaia 11, 6-9)
All’Ascolto Della Parola
VENERDÌ 9
NOVEli/iBRf
<<^Poi Dio disse:
“Facciamo l’uomo
a nostra immagine,
conforme alla nostra
somiglianza, e abbia
dominio sui pesci del
mare, sugli uccelli del
cielo, sul bestiame, su
tutta la terra e su
tutti i rettili che
strisciano sulla
terra”. ^^Dio creò
l’uomo a sua
PERCHE NESSUNO ABBIA FAME
SALVATORE RAPISARDA
All’atto delia creazione,
c ■ ■
quando l’opera compiuta
viene dichiarata «molto buona»,
il nutrimento dato all’uomo e
alla donna, dunque agli esseri
umani, consiste in quella che
chiamiamo una stretta dieta vegetariana, fatta di verdura e di
frutta. È la stessa che il Creatore
assegna agli animali e agli uccelli: una dieta che non comprende
la carne, non contempla spargimento di sangue, non mette in
conto la morte di alcun essere
vivente per il nutrimento e la sopravvivenza di un altro essere
vivente. Questa visione dell’alimentazione incruenta si confà
con un ambiente caratterizzato
da abbondanza di cibo, nonché
dalla pace tra le creature viventi.
Nessuno teme l’altro. L’uomo e
la donna non temono gli animali feroci, gli erbivori non temono
l’uomo o altri animali.
Dalla dieta vegetariana
alla dieta onnivora
Purtroppo questa realtà
1 ■
non dura. Da Abele, col suo
sacrificio di animali, e da Caino
in avanti lo spargimento di sangue, quindi la morte, ha interessato animali e persone. Tutto ciò
è noto agli scrittori sacri. 11 sacrificio di animali, a cominciare col
sacrificio offerto da Abele (Gen.
4, 4), è visto come opera da approvare. Più tardi l’uccisione di
animali, a scopo di alimentazione, riceve la sua legittimazione a
conclusione dell’episodio del diluvio. In Gen. 9, 3s leggiamo che
ora Dio dice: «Tutto ciò che si
muove e ha vita vi servirà di cibo;
io vi do tutto questo, come l’erba
verde; ma non mangerete carne
con la sua vita, cioè con il suo
sangue» (Gen. 9, 3s). Si registra
così il passaggio dalla dieta vegetariana dei primordi alla dieta
onnivora dell’umanità decaduta
e colpita con la catastrofe del diluvio. Si potrà mangiare carne a
piacimento (cfrDeut. 12,15ss).
Bisognerà, però, evitare di
mangiare carne col sangue, perché il sangue veniva considerato
la vita 0 il veicolo della vita. A
questa prescrizione, più tardi, si
aggiungerà il divieto di mangiare animali impuri (Lev. 11). Ma
gli altri animali si possono uccidere, per offrirli in sacrificio o
per mangiarli. Gli animali diventano così preda e non più compagni degli esseri umani; ora essi avranno timore e spavento,
dovranno temere gli esseri umani, perché questi ne disporranno a loro piacimento, li considereranno come dati in loro potere. Ora alimentazione e inimicizia, alimentazione e sopraffazione si coniugano in modo stretto.
na e passano sulla nostra coscienza senza lasciare traccia di
rimorso. 11 creato nel suo insieme fa le spese del nostro modello di vita segnato dalla violenza
che comincia con la nostra alimentazione foriera di conseguenze devastanti.
Preghiamo
Signore, insegnaci a pensare al nostro cibo
come a un nutrimento
ad un tempo spirituale e materiale.
Insegnaci a nutrirci di pace e non di violenza,
di condivisione e non di esclusione.
Fa’ che quando apriamo la bocca
lo facciamo per ricevere il tuo cibo,
non per proferire offese.
Fa’ che il tuo cibo scenda nel nostro cuore
e ci guidi verso chi è senza pane,
che la tua guarigione
ci guidi verso chi è ammalato,
che la tua grazia
ci faccia operatori di pace nella giustizia.
Signore, Dio nostro, in Gesù Cristo
ti abbiamo conosciuto
come il pane della vita,
venuto dal cielo.
In Cristo abbiamo visto un pane
che non è di questo mondo,
che sa dare la propria vita
per la salvezza di tutti.
Egli ci apre il cuore
a un nutrimento nuovo;
ci dice di confidare in te
per il nostro pane quotidiano
e di condividere con altri la grazia
abbondante con cui ci benedici.
La visione di Isaia
UALCUNO non si rassegna
a questa svolta. Il profeta
Isaia, ad esempio, ha qualcosa
da dire rispetto a questo capovolgimento di fronte in cui violenza e paura condizionano la
vita sulla terra. La sua profezia è
illuminata da una visione escatologica in cui il mondo realizza
il progetto originale di Dio, dove
non ci sarà da temere, in cui le
persone e gli animali vivranno
in pace, senza paura, condividendo le abbondanze del creato: «Il lupo abiterà con l’agnello... il leone mangerà il foraggio
come il bue».
Assieme al profeta Isaia noi ci
troviamo tra questi due mondi,
tra il mondo incontaminato della creazione e il mondo redento
della nuova creazione. II nostro
è un mondo in cui non ci si alimenta secondo il dono di Dio,
ma secondo un modello che calpesta e distorce l’ordine del
creato. Ciò di cui ci nutriamo, in
termini reali e in termini metaforici, ci colloca in un mondo
decisamente decaduto, in cui
violenza e paura, morte e distruzione sono esperienza quotidia
II nostro modello di vita
OGGI si allevano degli animali (polli in batteria, ma anche alla diossina, vitelli alle sbarre e mucche che impazziscono,
maiali gonfiati con anabolizzanti) per il godimento sfrenato di
una parte dell’umanità che non
considera il cibo dono di Dio,
che non dimostra alcun rispetto
per la vita, e non soltanto per la
vita degli animali, ma anche per
la vita degli altri esseri umani che
vivono nelle parti povere del
mondo. Un detto molto efficace
ci ricorda che la mucca dei ricchi
mangia il cibo dei poveri, si nutrono le vacche e si affamano i
poveri. È noto che per produrre
un chilo di carne una mucca divora una quantità enorme di cereali: un quarto della superficie
mondiale è usata per produrre
mangime per gli animali da macello, il 70% dei cereali prodotti
in America viene usato per ottenere bistecche e hamburger. Che
dire poi dell’impatto ambientale
di questo sviluppo dissennato e
di un’agricoltura al servizio del
consumo di carne? Assistiamo a
una continua violenza sulla vita
(la vita degli animali), sull’ambiente (distruzione delle foreste
e proliferazione di monocolture
al servizio della zootecnia industriale, con conseguenti variazioni climatiche e desertificazione).
L’impatto sulla condizione dei
poveri del mondo è devastante.
Essi vengono privati di cereali e
derrate, nonché di terreni che,
se coltivati con agricolture sostenibili, potrebbero liberarli
dalla dannazione della fame.
Sembra che i nostri allevatori,
per ogni capo di bovino allevato,
ricevano dall’Unione europea la
somma che nei paesi altamente
indebitati dovrebbe servire a
sfamare i singoli individui. La
violenza, per niente metaforica,
di questo modello di alimentazione e di consumo è sotto gli
occhi di tutti e le sue vittime gridano vendetta o, se si preferisce,
ci impongono un ripensamento,
un cambiamento di vita, una
conversione.
Attuare una dieta vegetariana
a largo raggio può significare
causare un crollo verticale nel
consumo di carni macellate. Ci
dobbiamo preoccupare di questo? Dobbiamo dimenticare che
il fenomeno «mucca pazza», col
conseguente calo di consumo di
carne, non ha poi creato la fame
tra allevatori e macellai? Ci dobbiamo preoccupare se le multinazionali dell’alimentazione ricevono una sensibile concorrenza dalla catena di commercio
«equo e solidale»? O ci dovremmo preoccupare, piuttosto, di
sedere a tavola, di ringraziare
Dio per il cibo che prendiamo,
senza che questo crei in noi la
cattiva coscienza dell’uccisione
di animali e della prevaricazione
sulle popolazioni povere del
mondo? Possiamo considerare
pane quotidiano datoci da Dio
quel cibo che fa violenza al creato e che consideriamo nostro,
sapendo che è sottratto a quella
parte di noi, della nostra famiglia umana, che sono i poveri?
Vivere in armonia col creato
S
E queste saranno le nostre
preoccupazioni, esse avranno i connotati della sensibilità
etica, di un’etica che ci porta a
vivere in armonia col creato e
con tutti i suoi abitanti. La sensibilità etica, nutrita alla luce della
parola del Dio creatore e del sogno profetico di Isaia, potrà influenzare la nostra e l’altrui sensibilità politica. Potrà additarci
un altro modello di vita e di consumi, non fatto di vittime e di
depredati. Nella parola del Creatore e nella visione profetica di
Isaia abbiamo abbastanza indicazioni, abbastanza realtà e abbastanza sogni, per muoverci
profeticamente in un mondo
che, a parole, vuole risolvere la
fame del mondo, ma lascia la
bocca dei poveri sempre più
vuota, crea sempre più sperequazioni e rende il creato sempre più invivibile. Nonostante gli
sforzi di organizzazioni internazionali come la Fao, oggi si registra un sostanziale fallimento
dei progetti di lotta alla fame.
Questa aumenta e non diminuisce. La soluzione ai problemi
dell’alimentazione e della salvaguardia del mondo non sta nella rincorsa ad una produzione sempre più alta, ma mai sufficiente, e mai equamente distribuita. Mutuando uno slogan
dal mondo del lavoro, si potrebbe provare a «mangiare meno,
mangiare in modo diverso, e
mangiare tutti», inquinare di
meno e uccidere di meno per vivere tutti in un creato più sano.
(Prima di una serie
di quattro meditazioni)
Note
omiletkh
Due
racconti di»!
aprono la Bibbia OnJS
tore potrà individui''*
diversità facendo unf*
CO delle cose
t.uì,e Crea*
dell'ordine con cui s¡'
seguono; noterà
capitolo 1 siha'Ì*^
nnento ritmato sran7
dall'elencazione de?>
ni, nonché dal giudii"*
Dio sull'opera sua i
nel secondo capitolo^
trova di fronte a una^
razione in prosa. Nei^
mo Dio appare coj
sovrano che dà un ortf
e con la potenza della.
parola realizza ogni
Nella parola del Creatore e nella visione di Isaia abbiamo abbastanza indicazioni per
muoverci profeticamente in un mondo che lascia la bocca dei poveri sempre più vuota
mentre nel secondo^
l’immagine di un artiù
no, di un vasaio, diqS
cuno (donna?) cheZ
neggia lapasta.ApaJ
dai ptimi due capitoni
Genesi è facile individui
molti altri riferimenti a
creazione nella Bibbia,
La Bibbia risente del A
ma di violenza con colia
nivano conditi i raccoid
della creazione nel Mei
Oriente antico. L'epon,
babilonese di Gilgamesli
presenta Marduk che ct(,
il mondo squartandoli
corpo del mostro Tiamj
(cfr. Giob. 24, 13 oSai,)),
13, o brani in cui nellatij
duzione di parole qui
Giordano, acque, abissi
scorge una personificati»
ne mitologica). Nella
bia, tuttavia, la violentai
esercitata per allontanai!
e sconfiggere i nemici, noi
per impiantarla nella crea
zione. Genesi 1 e 2 noi
presentano scene di m
lenza né la prefigurano,
La Bibbia però conosci
la violenza in terminili
omicidi (da Caino in
di guerre (la conquisti
della Palestina ne è
esempio e Von Rad hi
parlato di guerra santa)i
in termini religiosi: dai sa
critici umani sfiorati (Isac
co, Gen. 22) e realizzai (
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pur, nella]
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sciare l’o
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daBahav
Vulneri
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te dai gii
Mail ha (
(figlia di lette, Giud. 11)
sacrifici animali (da Abel
in giù) offerti in olocai
sto, per il peccato, pe
adempiere voti, in purifi
cazione, in ringraziamer
to e via dicendo
Anche la morte di Cristi
è letta in chiave di sacri
ficio. Egli è l'agnello di
Dio (Giovanni 1, 29,36), li
sua vita è data come sacri
ficio propiziatorio (Rois,
3, 25; Eb, 9, 5, 1 Giovanni
2, 2; 4, 10). Il messaggio
centrale del Nuovo Testamento ruota attorno alli
morte di Gesù. La cenadd
Signore è ricordo e annuncio di quella morte,
nonché della resurrezioni
e del compimento finale.
Come lettori della Bibbia, sembra quasi impossibile uscire dall'idea del sacrificio, dello spargimento
di sangue. Il sacrificio sembra indispensabile, connaturato con l'idea di redenzione e salvezza. Com<
possiamo prendere le di;
stanze da un rhondo in w
sembra essere ineluttabi
la morte di innocenti,
miliardi di persone, pen
me, per guerre, per ma
tie; in cui la morte dej
animali, che Dio ha tre
per compagnia degli e»
ri umani, sembra non
sciare altro che un
senso
di assuefazione accettatj
con un'alzata di spa
Qual è la proposta nu
che nasce dall^Aj
della Bibbia sfronda«
condizionamenti cult
spesso violenti?
Per
approfondin
e
pelle tf
- R. Girard,
nascoste sin
zione del mondo,
- J. Jeremias, «
gio centrale de/ W(T0V j
stamento, Paideia,
(’85); . 0
- N. Lohfink, //
Bibbia e la violenze,
celliana, 1985;
_ G. Von Rad'.Agpto,
dell'Antico Testa^'
voi. 1, Paideia, 19/'='
Ìnsicuri (
iardame
scorso) e
si sono c
se il gov
una certi
dimostri
nerabili
stato risf
! Iole. Col
verso la s
dersi ha:
al massa
suora do
shi, che
penetrai
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gni di p
hanno s
sui nosti
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il 9 novembre 2001
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Dopo l'atroce massacro di 18 cristiani protestanti nella chiesa di Bahawalpur
Ìaistiani pachistani chiedono protezione
irQpsiglio nazionale delle chiese del Pakistan ha deplorato «questo otto odioso e barbaro di
0rorist^o» ed ha chiesto che iigoverno conduco un'inchiesta giudiziaria e arresti i colpevoli
PAG. 3 RIFORMA
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.29 ottobre, nella chiesa di
c! Domenico a Bahawal
, nella provincia pachista
Panjab, si è svolta la
Ste cerimonia del fuße delle vittime del mas,1 ß perpetrato durante il
ordì idei giorno preciedente.
olla! Ìdomenica 28, alle nove
"‘'«I lo cinque, sconosciuti ar5 di mitra hanno aperto 11
Tneo contro il centinaio di
¡embri di chiesa presenti
itre stavano intonando
Lo finale del culto cele
tato in quella chiesa cattohehe viene utilizzata anche
la Chiesa del Pakistan
protestante). ■ '
L i morti SI trovava il pastore Emmanuel Allah Ditta
die stava presiedendo il culto
(luandoi tiratori hanno invaila chiesa dopo avere ucciso la guardia che stava davanti alla porta. Dall’inizio
dell’intervento americano in
Afghanistan infatti, i cristiani tono chiesto al governo
una protezione della polizia.
«Quindici dei nostri membri
di chiesa sono stati uccisi.
Cinque sono ricoverati in
ospedale in uno stato critico,
altri dieci hanno potuto làsdate l’ospedale dopo avere
neevuto cure per ferite più
leggere», ha precisato il vescovo della Chiesa del Pakistan, John Victor Mail, della
diocesi di Multan, a 100 km
da Bahawalpur.
Vulnerabilità dei cristiani
Intervistato telefonicamente dai giornalisti, il vescovo
■■■j; Mail ha detto: «Ci sentivamo
■^}<|isicuri (dall’inizio dei bom
^bel
)cau
urifi
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Iristi
m----------
'hardamenti americani contro
l’Afghanistan, il 7 ottobre
p,i. scorso) e oggi i nostri timori
si sono concretizzati. Anche
se il governo ha assicurato
una certa protezione questo
dimostra quanto siamo vulnerabili». «Nessun muro è
, stato risparmiato dalle palloti tole. Coloro che sono corsi
verso la sagrestia per nascondersi hanno potuto sfuggire
al massacro», ha spiegato la
suòra domenicana Anna Bakshi, che è stata fra i primi a
penetrare nella chiesa dopo
la sparatoria.
«Radiare è crivellato di sapidi pallottole. 1 tiratori
hanno scaricato i loro fucili
sui nostri fedeli e c’è sangue
dappertutto nella chiesa - ha
precisato il vescovo cattolico
™drew Francis, di Multan -.
Ppso che sia stato un gruppo
Vicino ai talebani». La comubhà cristiana aveva chiesto
pa protezione per le chiese e
a istituzioni cristiane perché
apeva che le masse rove^fassero la loro rabbia sulla
^oranza cristiana del Pakilanse gli Usa e i loro alleati
avessero attaccato l’Afghaniip controllato dal regime taano, per sradicare il terròn-®?' *Étavamo preoccupati
Ln ^ ’a°stra sicurezza ma
-ip avevamo mai pensato
.. j.^ajabbe accaduto qualcoa disirnile-hafatto notare la
Darn^ “°”ienicana -. A mio
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aspì°*?.* ^ '^asa». Ha preferito
J^^arh nella chiesa fino al
■"omento del funerale per
Regala un
abbonamento a
Federazione protestante di Francia
Prosegue il dialogo con
gli avventisti e i pentecostali
Le salme dei 18 protestanti uccisi a Bahawalpur
ché, dopo il massacro, sono
giunti molti poliziotti attorno
alla chiesa. Nell’esprimere «la
sua profonda tristezza e dolore» dopo il massacro, il
Consiglio nazionale delle
chiese del Pakistan (Nccp) ha
deplorato «questo atto odioso e barbaro di terrorismo» e
chiede che «il governo pachistano conduca un’inchiesta
giudiziaria, arresti i colpevoli
e li porti in tribunale».
Proteggere le minoranze
«Il governo del Pakistan dovrebbe prendere le misure
adeguate per assicurare la
protezione di tutti, in particolare della comunità cristiana,
scioccata da questa orribile
azione terroristica», sottolinea
un comunicato pubblicato
dal Nccp. Il Nccp riunisce la
Chiesa del Pakistan, la Chiesa
presbiteriana, l’Esercito della
Salvezza e l’Associazione delle
chiese riformate presbiteriane, e rappresenta la metà dei
tre milioni di cristiani presenti in Pakistan. Il presidente
pachistano, Pervez Musharaf,
ha condannato questo attacco che ha attribuito a «organizzazioni di terroristi ben addestrati». «I metodi utilizzati e
le tattiche disumane impiegate indicano chiaramente l’implicazione di organizzazioni
di terroristi ben addestrati che
mirano a seminare la discordia e il conflitto in Pakistan
dove cristiani e musulmani
sono sempre vissuti in pace e
nel rispetto reciproco», ha
sottolineato il presidente nel
suo messaggio di condoglianze inviato alle famiglie.
Il vescovo Mail ha dichiarato che il governo federale ha
deciso di versare 100.000 rupie (1.615 dollari) alle famiglie
delle vittime. Da parte sua, il
governo della provincia del
Panjab ha annunciato un versamento di 200.000 rupie ai
parenti delle vittime e ha promesso una compensazione ai
feriti. Ma per Victor Azariah,
segretario generale del Nccp, i
cristiani del Pakistan devono
ottenere «più che semplici
compensazioni finanziarie. In
tutta la nostra storia, questo
attacco è il più orribile. Vogliamo che il governo faccia
tutto il possibile per assicurare la nostra protezione».
Al giornalista che gli chiedeva se i cristiani avrebbero
manifestato nelle strade contro i massacri, Azariah ha risposto che «non possiamo
fare molto in questa situazione. Ci sono già molte tensioni. Sarebbe più saggio non
fcire simili proteste». Da parte sua però, il Fronte di liberazione dei cristiani, un forum ecumenico sostenuto
dalle chiese protestanti e cattoliche, ha annunciato che i
cristiani «non manterranno il
silenzio su questo tragico incidente storico».
Lettera del Cec
Il 29 ottobre scorso, il segretario generale ad interim del
Consiglio ecumenico delle
chiese (Cec), Georges Lemopoulos, ha inviato una lettera
al generale Musharaf, nella
quale si dichiara profondamente preoccupato per la «sicurezza e la protezione della
minoranza cristiana in un
contesto attuale molto teso di
intolleranza religiosa». D’altra
parte, il Cec appoggia la richiesta del Consiglio nazionale delle chiese del Pakistan
che «chiede che venga condotta un’inchiesta giudiziaria
su questo incidente e che gli
autori di questo atto odioso
' vengano processati». (eni)
In un prossimo futuro, la
Federazione protestante di
Francia (Fpf) potrebbe aprirsi
a nuove chiese provenienti
dai movimenti pentecostali e
avventisti. Dopo diversi anni
di dialogo, la decisione verrà presa ufficialmente nel corso di un’assemblea generale
straordinaria* della Fpf, prevista per novembre 2003. Uno
dei principali movimenti pentecostali in Francia, le Assemblee di Dio (Add) hanno avviato il dialogo fin dal settembre 1990. Prima ufficiose, le
discussioni sono state ufficializzate in occasione della convenzione nazionale delle Add,
nel giugno 1995. Da parte sua,
la Chiesa awentista del settimo giorno ha iniziato negoziati con la Fpf nel 1996. Fin
dall’inizio, gli avventisti hanno presentato una richiesta
ufficiale di adesione alla Fpf.
Per quanto riguarda le Assemblee di Dio, la faccenda
è più complessa. La questione dell’adesione è molto discussa al loro interno e provoca l’ostilità di una frangia
non trascurabile di pastori e
membri di chiesa. «Per ora,
tentiamo di trovare una formula per evitare una scissione», precisa Michel Forey,
presidente della Federazione
nazionale delle chiese e opere
delle Add. Finora non è stata
presentata alcuna richiesta
ufficiale df adesione. Nel
marzo 2000, in occasione della sua assemblea generale, la
Fpf ha deciso di fissare un calendario e ha previsto la scadenza nel 2003. «Nulla impedisce però che il dialogo prosegua al di là di questa data»,
ha tenuto a precisare il pastore Jean-Arnold de Clermont,
presidente della Fpf, nel corso di una giornata di dialogo,
il 25 ottobre scorso.
AH’inizio dei dialoghi alcuni
incontri hanno permesso di
esaminare le questioni teologiche. «Teologicamente parlando, non ,ci sono ostacoli
all’entrata delle Add nella
Fpf», sottolinea il pastore
riformato Serge Oberkampf,
uno dei principali fautori delle discussioni con i penteco
stali. Tuttavia, l’ecumenismo
potrebbe costituire un pomo
di discordia, sia da parte pentecostale sia da parte awentista. «Bisogna capire ciò che
rappresenta la Fpf. Essa non è
una chiesa ma una piattaforma che riunisce unioni, federazioni e istituzioni di chiese
sorte dal protestantesimo. Alcune di queste chiese sono
membro del Consiglio ecumenico delle chiese, altre vi
sono ostili. Il fatto di appartenere alla Fpf non porta automaticamente a diventare
membro le chiese reticenti all’istituzione ecumenica. La
Chiesa awentista si situa nella corrente ostile all’illusione
ecumenica», sottolinea JeanPaul Barquon, segretario generale dell’Unione francobelga delle federazioni awentiste, in un’intervista pubblicata sul sito Internet della Fpf.
L’altro punto importante di
divergenza riguarda le questioni di società, in particolare l’aborto e l’omosessualità.
Pentecostali e awentisti affermano le loro reticenze di
fronte a prese di posizioni
della Fpf che essi ritengono
troppo liberali. Forti delle loro 350 chiese e dei loro 713
luoghi di culto, le Assemblee
di Dio contano circa 40.000
«fedeli» battezzati, e ritengono di avere un’influenza su
60.000 persone. Iniziata nella città normanna di Le Havre, l’azione delle Add risale
agli Anni Trenta. Gli awentisti invece, presenti fin dal
1876, hanno una presenza più contenuta. «Abbiamo
circa 12.000 membri», precisa
Jean- Paul Barquon. La Chiesa riformata di Francia (Erf)
conta 350.000 membri; la
Chiesa della Confessione augustana di Alsazia e Lorena
(Ecaal) 218.000 membri; la
Chiesa evangelica luterana di
Francia (Eelfì 40.000 membri;
la Chiesa riformata d’Alsazia
e Lorena (Eraal) 33.000. (eni)
Un'équipe ecumenica segue i lavori preparatori della Conferenza Onu sul finanziamento dello sviluppo
cuore del problema è la giustiiia, non le questioni finanziarie
II
L’équipe ecumenica che
sta seguendo i lavori preparatori dell’Onu in vista della
Conferenza internazionale
sul finanziamento dello sviluppo, ha affermato che «il
cuore del problema» è la giu- ^
, stizia e non le questioni finanziarie. Gli attuali modelli
di sviluppo devono essere
sottoposti a un esame critico
perché «una visione morale
implica la piena partecipazione di tutte le comunità, in
particolare quelle che sono
emarginate dalla povertà ed
escluse da ogni partecipazione», affermano i membri dell’équipe ecumenica.
Un'équipe ecumenica
di 21 membri
I delegati dei governi si sono riuniti nella sede dell’Onu
a New York dal 15 al 19 ottobre scorso per la seconda parte della terza sessione del
Comitato preparatorio della
Conferenza internazionale sul
finanziamento dello sviluppo
che si terrà a Monterrey (Messico) dal 18 al 22 marzo 2002.
L’équipe di 21 membri presente a New York per seguire
le discussioni e stabilire cotitatti con i delegati, era coordinata dal Consiglio ecumenico
delle chiese (Cec), in cooperazione con la Federazione luterana mondiale (Firn).
Secondo Gail Lerner, membro del personale del Cec che
lavora presso il «Church Center for thè United Nations», la
maggior parte di queste persone, e alcune altre, assisteranno anche alla quarta sessione del Comitato preparatorio a New York nel prossimo
gennaio, quindi alla stessa
Conferenza di Monterrey. Alcuni membri dell’équipe ecumenica hanno assistito anche
alle sessioni precedenti del
Comitato preparatorio, e una
reazione dell’équipe al progetto di documento dell’Onu
che i delegati discuteranno a
Monterrey, è stata redatta e
aggiornata man mano che venivano pubblicate nuove versioni, ha spiegato la Lerner.
Cambiare sistema
Il progetto di testo dell’
Onu, che sarà rivisto alla luce
delle discussioni di ottobre,
comincia con un appello a
«mobilitare risorse finanziarie nazionali al servizio dello
sviluppo»; in seguito, esso
prende in considerazione le
questioni della mobilitazione
delle risorse internazionali
private, del commercio internazionale, della cooperazione finanziaria internazionale
e del debito, e dedica un sesto e ultimo punto alla «soluzione dei problemi sistemici». Rovesciando la prospetti
va tracciata dall’Onu, l’équipe ecumenica preferisce dare la precedenza alla «trasformazione del sistema finanziario internazionale».
Poi, invece di considerare il
«finanziamento sostenibile
del debito» o ralleggerimento
di questo, l’équipe chiede
«l’annullamento immediato e
completo» del debito per i
paesi poveri fortemente indebitati, una «riduzione sostanziosa del debito» per i
paesi a reddito medio, e la
soppressione dei «programmi di aggiustamento strutturale» imposti dalle istituzioni
finanziarie internazionali.
Nuovi modelli economici
possibin
Nel quadro del cambiamento dell’insieme del sistema, l’équipe auspica che siano l’Onu, anziché il Fondo
monetario internazionale
(Fmi) o la Banca mondiale
(Bm), a prendere la direzione
delle operazioni in materia
economica. «Se si vuole davvero democratizzare il sistema finanziario internazionale, sottolinea l’équipe, l’Onu
deve diventare il pilastro
centrale delle strutture finanziarie ed economiche internazionali». Nel commentare la sessione di ottobre, i
membri dell’équipe raccon
tano di avere sentito alcuni
dei paesi più ricchi opporsi
al cambiamento e sostenere
che il modello capitalistico o
«neoliberista» esistente è
l’unico possibile. Tuttavia, i
membri dell’équipe hanno
anche sentito appelli a nuovi
approcci; essi sono convinti
che sia stato lanciato un processo utile, anche nel caso in
cui i risultati della riunione di
Monterrey dovessero rivelarsi deludenti.
Patricio Gastillo-Pena, metodista del Cile, constata che
se in passato l’economia non
lasciava alcun posto agli
aspetti sociali dello sviluppo,
le discussioni avviate nel
quadro della preparazione di
Monterrey mostrano che si
stanno verificando cambiamenti di mentalità. Secondo
Hellen Wangusa, anglicana
deirUganda, il cambiamento
è necessario perché «la base
non è soddisfatta dei servizi
del Fmi e della Bm» e auspica
che l’Onu, organizzazione
più democratica, subentri a
queste due istituzioni. Taimalelagi Fagamalama, donna
laica delle isole Samoa, arcidiacona e osservatrice della
Chiesa anglicana presso 1’
Onu dall’agosto scorso, ritiene che la gente che parla di
povertà pensi spesso all’Africa mentre il suo Paese figura
tra i meno sviluppati e merita
che si dia attenzione alla sua
situazione.
D'accordo sull'essenziale
Anche se di origini religiose
e geografi,che molto diverse, i
membri dell’équipe ecumenica si sono trovati d’accordo
sui punti essenziali. Wendly
Flannery, suora della Misericordia (cattolica romana) dell’Australia, parla di «forte convergenza». Demba Moussa
Dembele, musulmano del Senegai, afferma che la sua visione di questioni quali l’annullamento del debito, la privatizzazione e il finanziamento dello sviluppo, raggiunge in
larga misura quella dei membri cristiani dell’équipe.
Secondo Hans Morten Haugen, luterano della Norvegia
che lavora per la sua chiesa
nel campo degli affari internazionali e che era membro
della delegazione norvegese
al Comitato preparatorio, i
delegati e altri rappresentanti
delle organizzazioni non governative hanno ammirato la
preparazione approfondita
dell’équipe ecumenica. Quest’ultima, dice, ha esercitato
la propria influenza non solo
in quanto gruppo ma anche
individualmente, grazie all’ispirazione che i suoi membri hanno dato ai gruppi di
Ong che lavorano su temi particolari. (Cec info)
4
PAG. 4 RIFORMA
VENERDÌ 9
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A dieci anni dalla morte Torino ricorda il pensatore cuneese che fece scuola
Luigi Pareyson fra Essere e libertà
L'esperienza della libertà intesa come responsabilità non può non interessare il mondo
protestante: uno stimolo ammesso del teologo protestante Pierre Buhler
DAVIDE DALMAS
Un «esistenzialista» italiano
Luigi Pareyson è morto dieci anni fa. Era nato a Fiasco, in
provincia di Cuneo, nel 1918. Professore di Filosofìa nell’Università di Torino, è stato un maestro per alcuni dei protagonisti
della cultura italiana contemporanea, da Umberto Eco a Gianni
Vattimo, da Mario Perniola a Sergio Givone. 1 titoli dei suoi libri
più noti; Studi sull’esistenzialismo (1943), Esistenza e persona
(1950), Estetica: teoria della formatività (1954), Verità e interpretazione (1971) indicano non soltanto gli ambiti nei quali si è
mossa la sua riflessione, che partendo dallo spiritualismo cattolico del suo maestro Augusto Guzzo è arrivata progressivamente
all’ermeneutica, ma anche i temi cheT’hanno dominata.
Non è un caso, perciò, che il convegno torinese a lui dedicato dall’11 ^ 13 ottobre scorsi portasse il titolo Essere e libertà.
Come ha ricordato Giuseppe Riconda, infatti, Pareyson è stato
uno dei pochi filosofi che esplicitamente accettassero l’etichetta di «esistenzialista», che per lui indicava un orizzonte di
pensiero che si può sintetizzare nel riferimento all’opera di
quattro grandi pensatori (Heidegger, Jaspers, Marcel e
Berdjaev) e nel tentativo inesauribile di riflettere proprio
sull’essere umano come esistenza singola, posto in un rapporto problematico con l’Essere e con la libertà. A partire da queste parole chiave molti studiosi italiani e francesi, da Mario
Ruggenini a Massimo Cacciari, da Jean-Luc Nancy a Michel
Henry, hanno provato a misurarsi con l’eredità di Pareyson, e
in particolare proprio con i suoi temi prediletti.
Diversi interventi del
convegno dedicato alla
memoria di Luigi Pareyson, a
dieci anni dalla morte, avevano molto in comune, dal
linguaggio agli argomenti,
con la riflessione collettiva
alTinterno del protestantesimo italiano di questi decenni. Sarebbe interessante capire se queste affinità sono
semplicemente il segno dell’appartenenza a un comune
tempo storico, a un medesimo clima culturale, con tutte
le conseguenze del caso, oppure se c’è sotto qualcosa di
più interessante e specifico. È
certo che ormai da tempo alcuni grandi teologi protestanti del Novecento (e direi,
a naso, ben più Bonhoeffer
che Barth, rispettato da tutti,
studiato probabilmente dai
teologi, ma molto meno in
ambienti culturali più ampi)
sono entrati nelle conoscenze diffuse della cultura italiana di alto livello, e si sono cosi aggiunti a classici precedenti, da Kierkegaard a Schleiermacher.
Non conta allora tanto che
in un’occasione di questo tipo venga invitato un teologo
protestante come Pierre Bithler, professore di teologia sistematica all’Università di
Zurigo, (allievo e successore
del compianto Gerhard Ebeling), a confrontarsi con l’ontologia della libertà di Pareyson, ma che in molti interventi di filosofi si senta un
linguaggio curiosamente fra
terno. Ad esempio, Mario
Ruggenini sostiene che la
nostra condizione esistenziale di esseri finiti, nati nel linguaggio, nella parola, è quella di dare una risposta a una
domanda che sempre ci precede. Noi abbiamo da rispondere e il mondo attende
la nostra risposta. Perciò
l’esperienza della libertà si
rivela come responsabilità e
la responsabilità come libertà. Noi non disponiamo
della libertà, ma essa dispone di noi, soffia dove vuole,
non sappiamo donde viene e
dove va. E ancora nella conclusione, ormai non ci aspettavamo altro, Ruggenini si
chiede se è possibile dare
l’antico nome di Dio a questa
esperienza dell’alterità che
interroga, del divino del mondo come «altro da me».
Il dibattito ha poi portato
ulteriori chiarificazioni, perché rispondendo a una domanda Ruggenini ha ribadito
che l’amore di Dio significa
che egli non si intromette
nelle vicende degli uomini,
che lascia essere, che dice
all’uomo «sii uomo» (e qui ha
citato appunto Bonhoeffer,
«teologo straordinario»). L’oneroso compito di scegliere
è lasciato a noi, dobbiamo
compierlo a nostre spese, e
non a quelle di Dio. Anche alcuni interventi francesi sono
stati espliciti in questo senso.
Jean-Luc Nancy ha parlato
della Liberté de l’amour, definendolo come una tensione
verso un’altra tensione, che
implica sempre un altro che
altera e che fa decidere, che
obbliga alla scelta e alla decisione. Michel Henry, invece,
ha intitolato non solo la sua
relazione, ma anche il suo ultimo libro. Incarnation, dedicandosi a una fenomenologia
della condizione dell’essere
cbe ha un corpo, una carne.
Il momento più interessante probabilmente rimane il
pomeriggio aperto da Massimo Cacciari e chiuso dal già
citato Bùhler. Cacciari è partito da Nietzsche, dal suo dibattersi nelle asprezze della
necessità e della libertà, della
coscienza che la libertà è un
sogno, un’illusione e nella volontà di «crearsi una libertà»,
nella lontananza dal dovere
del fanciullo che giocando
crea. È necessario mostrare
tutta la potenza del discorso
sulla necessità, che Nietzsche
trovava espressa nella «geometria» di Spinoza, per sentire l’angustia, l’ansia che produce su di noi, perché è proprio questa ansia che può
produrre il cammino verso la
libertà. Solo se si accetta che
conoscere è conoscere il necessario, si sente la disperazione, che spinge a uscire dalla prigione. A questo punto
giunge il salto di Kierkegaard,
che non è irrazionalità, ma è
la risposta dell’intelligenza al
proprio bisogno di libertà,
impossibile nella necessità.
Solo questa «fede nella libertà» permette di ricercare,
di fare filosofia. Questa fede
nella libertà è una certezza,
perché giunge al culmine del
percorso dell’intelligenza, è il
salto che l’intelligenza
suo culmine, percomSuJjj
Linee
essere se stessa.
Per Nietzsche questa d«
sione e chiaramente nT
mani dell’uomo, perKiei
gaard e Lequier (l’appaiìL
filosofo ottocentescoS
se, che Cacciari ha con d«
sione invitato a rileggere),; ¡fceüp'
sono gli altri due esFoneidl Steri
questa «famiglia stellare,*®^'—^
«lamigiia stellare, Ueipast
spinti che non SI conobbe! ¡¡luàità
ma ruotarono intorno aS Surre e
stessi problemi, no. Si —
di un dono. Io liberament,|
decido perché sono stato
to libero, perché il CreatelSRem
ihprn Ha nni ®
ùbero. Da qui Cacciari arri»
a Heidegger e a Pareyso»
cioè al tentativo di fonda»
ontologicamente la liberti
che anche per il filosofo tod
nese significava riconoscen
la libertà abissale di Dio
mentre per il singolo esserti
la libertà può essere
quella del liber, del figlio.
Seguendo questo percorso
diventa più facile comprendere perché Buhler dicache
Pareyson è un grande stimolo
per un teologo protestante e il futuri
Non mancano le critiche, net
suo intervento, in particolare
contro il rischio che il discorso pareysoniano sulla colpae
la sofferenza giunga ad affa
a
ma seconi
ed evangel
NeUa rii
spiegato
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dunque il
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da esseri
della Pan
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mare che il cristianesimo dì sacramer
un significato al male proprio
nella sofferenza redentrice.
Tuttavia rimangono forti le
affinità, soprattutto la sfidi
del riflettere a partire
esperienza religiosa in modo
da rapportarsi sia ai credenti
sia ai non crédenti.
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ail’inten
al monti
gico nor
din
Accademia delle scienze e Università in un convegno celebrativo
Nicola Abbagnano, maestro degli intellettuali
PIERA ECIDI BOUCHARD
Apertura delie grandi
occasioni, nel convegno
(4-6 ottobre) indetto per il
centenario della nascita di
Nicola Abbagnano, alTAfcademia delle Scienze di Torino, nella stupenda Sala dei
Mappamondi. Si sta immersi
in una luce come di acquario, tra colonne neoclassiche
dalle verdi pitture, librerie
vetuste zeppe alTinverosimile di tomi venerandi, tetti rosa barocchi fuori dai vetri antichi ondeggianti, come in
una cornice. Un'atmosfera di
solenne raccoglimento, la dignità senza orpelli della cultura e della scienza, la durezza adamantina del pensiero,
che non conosce commerci:
è la severa tradizione di una
città dalla forte tempra morale, innanzitutto. Cosi, almeno, ci hanno indicato i
nostri padri e madri, così ci
parlano le lapidi intorno, e
nel grande atrio dove sbocca
poi lo scalone congiungendosi con quello del Museo
egizio, le statue degli scienziati, politici e studiosi che
delTAccademia sono diventati presidenti.
Torino, ma non solo Torino, fa i conti con l’eredità forte dei suoi maestri: se un apporto importante delle facoltà umanistiche è stata la
scuola storica, un altro fondamentale è stata la filosofia,
resa illustre in molti decenni
sia da un filone di pensiero
«neoilluminista» aperto ai temi della scienza e delle scienze sociali e incentrato sulla
storia della filosofia, rappresentato appunto da Abbagnano e dai suoi discepoli,
sia da un filone «spiritualista», reso illustre da Luigi Pareyson e dalla sua scuola,
aperta ai temi dell’etica, della
religione, dell’estetica. Anche
se poi ambedue questi filoni
e questi pensatori risalivano
ad ascendenze riconducibili
all’esistenzialismo, diversamente sviluppato e intrecciato con altri pensieri e suggestioni: Abbagnano pubblicò il
suo La struttura dell'esistenza
nel ’39, e Pareyson i suoi Studi sull'esistenzialismo nel ’43.
A ben guardare, la fecondità
delTinsegnamento filosofico
nel suo complesso, all’ateneo
torinese, è stato proprio lo
scontro-incontro di queste
due diversi approcci di pensiero, che ne ha fatto luogo di
formazione del pensiero critico per eccellenza.
Ambedue docenti negli
stessi anni (Abbagnano, più
vecchio, insegnò a Torino dal
’36 al ’76, Pareyson, più giovane, dal ’52 al ’71), questi
grandi maestri formarono generazioni di allievi e continuàtori, alcuni dei quali non
ci sono più, come l’indimenticato Pietro Chiodi, traduttore di Heidegger e grande
collaboratore di Abbagnano,
mentre di altri, come Giuseppe Riconda, successore di Pareyson, e Pietro Rossi, di Abbagnano, proprio quest’anno
è stata celebrata Temeritazione, con due importanti convegni di studio, rispettivamente a maggio e a giugno.
Mentre Pareyson concentrava la sua attenzione sui filoni dell’estetica e dell’ermeneutica, sviluppando attraverso varie tappe una «ontologia della libertà» con al
centro il concetto di «persona» e coltivando gli aspetti
dell’interpretazione filosofica
dell’esperienza religiosa, Abbagnano dall’esistenzialismo si apriva al mondo dell’empirismo e della scienza,
fino alla concezione di un
«nuovo illuminismo». Se vogliamo, la differenza tra i due
filosofi può meglio risaltare dai nomi di due autori da
loro molto amati e studiati:
per Pareyson Dostoevskij, e
per Abbagnano John Dewey.
Tutti noi, loro studenti in anni chi più vicini e chi più lontani, abbiamo dovuto fecondamente allenarci il cervello
in queste stimolanti e divergenti piste di interpretazione
del mondo, che escludevano,
però, significativamente ambedue ogni forma di ossificazione dogmatica.
Nel convegno a lui dedicato, i molti e illustri relatori
hanno presentato da varie
angolature la particolarità
della filosofia di Abbagnano
come «metodo della ricerca».
come posizione sempre critica, laica, aperta: un «neoilluminismo» opposto sia all’idealismo sia al positivismo
che al marxismo come ideologie, perché centrato sulla
categoria della possibilità. Al
di là di ogni chiusura, questa
filosofia si incarnava nella
quotidianità, in quella dimensione della «saggezza»
degli antichi riscoperta nella
semplicità colloquiale, che
farà di Abbagnano anche uno
scrittore seguito da migliaia
di lettori nel suo magistero
giornalistico decennale su testate come La Stampa o II
Giornale dell’amico Montanelli. E generazioni di studenti si sono formati sui suoi manuali al liceo, o sulla monumentale Storia della Filosofia,
oltre che sul suo necessarissimo Dizionario filosofico: una
scelta, la sua, della chiarezza
e del rispetto dei vari approcci filosofici, a garantire il pluralismo delle idee e del loro
confrontarsi, come evidenza
alta della «pluralità di atteggiamenti possibili di fronte al
mondo», che costituisce il
cuore del suo insegnamento.
11 che non significa certamente acquiescenza a un appiattimento relativistico, ma «vedere le ragioni dell’altro», una
grande lezione di laicità e di
democrazia.
Opportunamente ora escono, e sono stati al centro del
convegno, i suoi Scritti neoilluministici (48-65), pubblicati
dalla Utet, con introduzione
di Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano, e a cura di Bruno
Maiorca, già curatore per la
stessa editrice degli ScriW
esistenzialisti del filosofo. TB
gli intervenuti al conve^osi
sono confrontati, oltre ai p«'
detti Rossi e Viano, che con«
rettore Bertolino hanno presieduto le giornate, studiosi*
docenti universitari, coni*
Luciano Gallino, Massima
Salvadori, Giuseppe
no e molti altri, e personali
della cultura come F^rnan
Pi vano, Norberto Fonò''
Franco Ferrarotti, Alcio Vis
berghi. Franco Tato, Ni
Langiulli, Valerio
che hanno portato le loro
vide testimonianze.
Luoghi celebri del pensiero filosofico a Torino, tutti in un’area di
poche centinaia di metri: in alto il cortile del Rettorato; a centro pagina la Biblioteca nazionale; qui a sinistra la Galleria subalpina, nel
cui palazzo abitò Nietzsche, e a destra il palazzo dell’Accademia delle Scienze che ospita fra l’altro il Museo egizio.
(il servizio fotografico è di Pietro Romeo)
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2001
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PAG. 5 RIFORMA
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Giornata di studio del Segretariato attività ecumeniche (Sae) del Triveneto
Il ministero dei pastori nella comunità
l'incontro, con lo partecipazione di mons. Roberto Tura e del pastore Renzo Bertalot, ha
0Strato che molti sentono l'urgenza di un confronto interconfessionale su questo temo
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Ma riflessione dottrinale
del cattolicesimo odierno, ha
sniegato Tura, il punto di
n^enza è il popolo di Dio,
dunque il sacerdozio battesimale che invita tutti i credenti a essere profeti, interpreti
della Parola, e liturghi della
propria vita. Allora si rivela
tdispensabile un ministero
garante e stimolante la comunione tra questi vari credenti, con il loro passato (le
loro radici bibliche, storiche)
e il futuro (le nuove generazioni); un ministero, inoltre,
che si offra come simbolo del
«noi» comunitario in un mondo, come quello cattolico, nel
quale un’ecclesiologia di tipo
sacramentale, liturgico, porta a una particolare valorizzazione del simbolismo. In
concreto: perché i pastori
nella comunità credente? Per
aiutare a camminare insieme, e per far fiorire tutti i doni presenti nella comunità.
Ciò implica il forte ridimensionamento di categorie teologiche tradizionali come
quella di «mediazione», quasi che il prete si trovasse a
metà strada fra Dio e la comunità, 0 di «sacerdozio»,
che si può attribuire al prete
nella misura in cui egli
aiuta e incoraggia gli altri a
esercitare il loro sacerdozio
battesimale. E ridimensionata risulta anche la sacralità
più 0 meno magica che nel
càttolicesimo era associata
alla figura del pastore.
Accanto all’essere un vero
credente, il requisito richiesto al pastore è quello di essere inserito nella comunità:
u suo è un ministero comuj'rónale, dialogico, insostituioae, ma non sostitutivo della
comunità e per questo gli è
l'chiesto di padroneggiare
anche la difficile arte di far
comunicare mondi di fede
"Versi, esperienze cristiane
iverse. Le innovazioni nel
odo di concepire la figura e
ruolo del vescovo e del pree mducono a immaginare la
di una forte rifordel papato in un senso
un tratta di
.il,? “'fficoltà da risolvere
al del cattolicesimo:
il dialogo teolopuò andare oltre ed
P°''feute, piuttosto, in™noscerci, confertn esperienze di
stnri’k delle memorie
Stanche e dei pregiudizi
- endo la Confesxin »
cum Petro, ma rifiutano il sub
Petro. Cattolici e ortodossi
condividono una concezione
gerarchica della chiesa, con la
differenza che nell’ecclesiologia ortodossa il patriarca viene designato attraverso tappe
successive che partono dalla
base della comunità ecclesiale, mentre in quella cattolica
il movimento parte dall’alto
verso il basso. Un suggerimento immediato potrebbe,
pertanto, essere quello di invitare cattolici e ortodossi ad
affrontare per primi la questione del primato e a proporre i loro risultati al Cec.
Altri ostacoli sulla via di un
consenso interconfessionale
sul ministero sono rappresentati dalla successione apostolica e dal ministero
femminile. Tutti concordano
sulla successione nella fede
degli apostoli, ma le divergenze emergono riguardo alle varie possibilità interpreta
tive e applicative: successione fisica, da persona a persona o da assemblea ad assemblea? a termine o a vita?
Quanto al ministero femminile, cattolici e ortodossi lo
escludono richiamandosi a
una tradizione lunga 19 secoli, pur riconoscendo che tale
esclusione non può fondarsi
sul Nuovo Testamento. L’esigenza più urgente è però
quélla di definire la nozione
di ministero, prima di discutere su chi debba esercitarla.
Per quanto faticoso sia il
cammino verso il riconoscimento reciproco dei ministeri, all’orizzonte si profilano,
segnali di unità che non possiamo sottovalutare. La Concordia di Leuenberg riunisce
attualmente ben 103 chiese;
in Italia si è arrivati al riconoscimento reciproco tra battisti, metodisti e valdesi; fra il
giugno e il luglio di quest’anno è stato reso pubblico un
accordo tra riformati francesi
e Chiesa anglicana con riconoscimento reciproco della
validità delle strutture ecclesiali. Ma l’evento più significativo è probabilmente rappresentato dall’accordo avviato nel 1996 tra le chiese luterane scandinave e la Chiesa
anglicana inglese. Queste sono disposte al riconoscimento reciproco della successione
apostolica; quanto all’episcopato, esse concordano sul
fatto che il vescovo non è né
indispensabile né, d’altro lato, opzionale; simbolo dell’unità e della continuità della chiesa, non è però superiore al Sinodo.
Molti sono nelle chiese i
credenti che sentono quanto
mai urgente la necessità di
una riflessione e di un confronto interconfessionale sul
tema del ministero. Ne ha dato prova il dibattito seguito alle due relazioni, nel corso del
quale il pubblico è apparso
direttamente coinvolto su un
piano esistenziale prima ancora che dottrinale. Gli interventi hanno privilegiato la
questione del ministero femminile e l’osservazione circa il
disinteresse generalmente dimostrato dai giovani per questo tipo di argomenti: entrambi i relatori sono stati concordi nel sostenere che i giovani si allontanano perché la
chiesa dà risposte a domande
mai fatte ed è incapace di farne sorgere di nuove. Come ha
concluso mons. Tura, sarà
forse necessario inventare un
nuovo ministero, il «ministero
di creare domande».
Un'importante esecuzione nel tempio valdese di Torino
Brahms e la Bibbia nel Requiem op. 45
PAOLO CALZI
otaria
Bgff ! ^^^sordito il pastore
l’Evan°^ ^ chiesa è là dove
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IL Festival musicale della
Riforma organizzato il 27
ottobre dal Centro evangelico
di cultura «Arturo Pascal» ha
avuto un inizio trionfale; meglio di questo è abbastanza
difficile pensare. È stato presentato uno dei capolavori
della storia della musica, e
per di più in una versione insolita, anche se originale, Ein
Deutsches Requiem [Un Requiem tedesco], opera 45 di
Johannes Brahms.
L’abbiamo sempre ascoltato, finora, nella versione per
«soli, coro e orchestra», mentre quest’ultima edizione era
per «soli, coro e pianoforte a
quattro mani» (quindi due
pianisti) elaborata da Brahms
stesso, su richiesta dell’editore, come era consuetudine
dell’epoca; «jrer esigenze di
mercato», diciamo noi adesso, cioè per garantire la vendita del prodotto musicale. È
stata una bella sorpresa perché la musica non perde nulla della sua energia espressiva
e della sua bellezza, ma vi è, e
questo è comprensibile, una
minore varietà timbrica.
È stata una serata che ricorderò a lungo, con gioia e
commozione vera, perché raramente mi è capitato di ascoltare un coro di dilettanti
così ben preparato, da giungere a realizzare un’opera di
così vaste proporzioni e di tale complessità: un’opera polifonica, con brani scritti nel
perfetto stile di Bach, che
Brahms aveva studiato a fondo e assimilato, e allo stesso
tempo un’opera prettamente
romantica (la composizione
data 1866-68), in cui, utilizzando testi tratti dalla Bibbia
e di libri deuterocanonici,
l’autore propone all’ascolta
Qui e in basso due momenti dei concerto torinese (foto A. Brunero)
tore una sua meditazione
sulla vita e sulla morte.
L’opera, a cui Brahms ha
lavorato alcuni anni, è costituita di 7 parti, e mi pare abbia un posto tutto particolare
l’ultimo brano inserito poi
con il n. 5; un lamento doloroso, di sublime bellezza e di
estrema complessità armonica e melodica, per voce di soprano, scritto in ricordo della
madre morta due anni prima,
di cui la solista Carlotte Zeiher ha offerto una grande interpretazione. Il n. 2 Denn alles Fleisch es ist wie Gras
(«Ogni carne è come l’erba»)
staccato in un tempo molto
lento, con quel crescendo,
lungo e impressionante, sfocia sulla ripresa delle parole
«Ogni essere è come l’erba»,
in uno dei momenti musicali
più emozionanti, in cui il pianoforte «gran coda» con i
suoi bassi possenti, culmina
in quel fortissimo che risuonava in modo ossessivo, quasi fossero i timpani, il bassotuba e i tromboni bassi dell’orchestra a suonare.
Quindi un’esecuzione di
ottimo livello, un lavoro
molto serio e approfondito
del maestro del coro, che usa
un gesto sobrio, fluido e efficace, per ottenere una grande varietà di musica dinamica, che permette di dare al
testo il maggior rilievo possibile. Del soprano ho già detto: il baritono John Janssen è
stato una bella voce sonora,
anche se a volte avrei pensa
to a un’interpretazione più
emozionante, più sofferta. I
due pianisti, suonando con
un affiatamento tale da sembrare una sola persona, hanno accompagnato e sostenuto le voci in modo assolutamente magistrale, incredibilmente espressivo, adeguandosi alla dinamica coritinuamente fluttuante richiesta dal direttore e dal
pensiero musicale di Brahms. Il pubblico, che seguiva
il testo opportunamente tradotto su un foglio distribuito
all’entrata, particolarmente
numeroso, ha seguito con
grande attenzione e raccoglimento questa splendida
meditazione sulla vita e sulla
morte del credente che Brahms ha voluto offrirci.
Italia
LIBRI
Movimenti Anni 70
È praticamente quasi un libro il fascicolo monografico
della rivista II presente e la storia, curata dall’Istituto storico
della Resistenza in Cuneo e provincia (n. 59, luglio 2001, pp.
386) e dedicata al tema La stagione dei movimenti. Il volume
raccoglie gli atti del convegno svoltosi a Cuneo in due sessioni (febbraio 2000 e febbraio 2001) e dedicato al complesso mondo che tra la fine degli Anni 60 e la metà dei 70 percorse TItalia, come prima la Francia, entrambe precedute
dai pacifisti americani. Nel fascicolo sono contenute relazioni su singoli aspetti (giovani, studenti, movimenti artistici,
femminismo, gruppi extraparlamentari, omosessuali, terrorismo) e non mancano gli interventi anche relativi al mondo
cattolico del dissenso (Vittorio Bellavite e
il prete operaio Carlo Carlevaris). Ma
compaiono nel volume anche dei saggi di
impostazione teorica (F. Billi, «Come studiare la “stagione dei movimenti”. Riflessioni sulle fonti e la storiografia»; P. Isnardi, «Capire il passato per progettare il futuro»]. Il fascicolo è dedicato al ricordo
dello storico torinese Guido Quazza, a
cinque anni dalla scomparsa.
Pasolini
Terre di Friuli
L’editrice Guanda manda in libreria in collana economica
una raccolta di scritti di Pier Paolo Pasolini riconducibili al tema del Friuli (Un paese di temporali e di primule, pp. 319, lire
16.000, euro 8,26): quella che era la sua terra natale rivive rielle
pagine raccolte e curate amorevolmente da Nico Naldini attraverso racconti su personaggi, esperienze
vissute e descrizioni di paesaggi risalenti al
periodo giovanile (tra il 1945 e il 1952). Si
spiega anche in questo modo l’interesse
che il Pasolini più maturo coltiverà per le
culture e le parlate locali, temi sui quali ritornerà nei suoi scritti politici e polemici
della maturità, quando si scaglierà contro
l’«omologazione culturale» e l’appiattimento della nostra lingua sui canoni televisivi.
RADIO
Culto radio
Ogni domenica mattina alle 7,30 sul primo canale
radio Rai, predicazione e notizie dal mondo evangelico italiano e estero, appuntamenti e commenti di attualità.
I TELEVISIONE waammm
Protestantesimo
' “ I Rubrica televisiva di Raidue, a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, trasmesse
a domeniche alterne e, in replica, il lunedì seguente alle ore 24
circa e alle ore 9,30 del lunedì successivo. Domenica 11 novembre, ore 24 circa, andrà in onda: «Canada: una comunità
evangelica italiana». La replica sarà trasmessa lunedì 12 novembre alle ore 24 e lunedì 19 novembre alle 9,30 circa.
6
PAG. 6 RIFORMA
mi 19 II carcere continua a essere lo specchio di una giustizia punitiva e forcaiola
La cappellania evangelica nelle carceri
In questa istitupone repressiva è quasi impossibile il recupero dello persona che ho sbagliato
Possono le chiese accontentarsi della curo pastorale ai singoli o della celebrazione del culto?
LIDIA MAGGI
E con un certo pudore che
provo a scrivere delle riflessioni sulla mia esperienza
di cappellania in carcere. 11
pudore viene dal fatto che ci
vuole tempo per capire una
realtà complessa come quella
dietro alle sbarre; sento ancora la necessità di tacere per
poter meglio ascoltare. Sono
stata più volte sollecitata dalla redazione a raccontare. 11
dovere della testimonianza
convive con la sensazione
della comprensione parziale:
non bastano due anni per
farsi una chiara idea di ciò
che vuol dire «vivere dentro»,
tuttavia proverò ad articolare
alcuni pensieri.
La prima convinzione che
si va via via delineando è che
il carcere è un luogo che educa aH’illegalità. Non solo perché esperienze diverse di devianza vengono a confronto,
ma anche perché la struttura
stessa, che dovrebbe garantire la legge, di continuo la scavalca o la viola. 1 diritti stabiliti dei detenuti sono continuamente negati, non necessariamente per una volontà punitiva, spesso solo per
sciatteria, negligenza da parte di operatori che non svolgono bene il loro lavoro. Un
detenuto che avrebbe diritto
ad usufruire di permessi non
può farlo perché la sua sintesi (la cartella personale che
delinea il percorso di recupero) non è chiusa.
C’è qualcuno che non ha
svolto il lavoro e chi paga è
solo il detenuto: è lui che si
vede di continuo respingere
una domanda, con cui fa richiesta di cose che gli spettano: un colloquio con un educatore, una telefonata... il detenuto straniero che assiste
impotente alla distribuzione
del lavoro interno in base a
criteri preferenziali e non
certo alle liste ufficiali: costoro accumulano una tale rabbia da vedere sfiduciata una
possibile volontà di rientro
nella legalità («Se anche le
guardie, gli educatori, la direzione non rispettano la legge,
perché devo farlo io?»). Questo mi sembra un problema
serissimo per una pastorale
con le persone rinchiuse e
purtroppo non è l’unico: il
carcere è un luogo violento
che genera violenza.
Una ragazza ha mal di pancia e chiede un analgesico. 11
dolore diventa cosi insopportabile che urla e disturba. Le
viene chiesto di tacere, ma la
smette solo quando le somministrano il farmaco richiesto. Ha ottenuto ciò-che le
spettava di diritto, ma la guardia irritata le fa rapporto.
Questo rapporto non le permetterà di usufruire della riduzione di pena che le spetterebbe per quei sei mesi. Potrà
protestare alla direzione: sarà
però la parola della ragazza
contro quella della guardia.
' Quale verrà ascoltata? La donna accumula rabbia, il suo
senso della giustizia è stato
ferito. La volta successiva,
quando avrà gli stessi dolori,
si tratterrà e aspetterà tranquilla che dairinfermeria arrivi l’analgesico (oppure non
arrivi, o arrivi sei, otto ore dopo...), in modo da evitare un
nuovo rapporto. La detenuta
sopporterà il dolore e con esso accumulerà altra rabbia.
Anche per le guardie la situazione non è semplice in
quanto si trovano, loro malgrado, a lavorare in condizioni spesso disumane, con turni snervanti. Le guardie sono
quelle che più direttamente
relazionano con il detenuto,
senza avere'una competenza
Vista sul mare dal carcere minorile di Nisida
specifica; i buoni sentimenti
non sono certo premiati dalla
struttura; una guardia troppo
«socievole» può ricevere un
rapporto da un superiore. C’è
un tacito accordo che prevede distacco tra guardia e detenuto: chi viola queste leggi
del branco viene picchiato,
da una parte, o richiamato da
un superiore dall’altra.
11 contatto fisico tra guardia
e detenuto è completamente
assente, vietato. Lo scorso
gennaio, durante una celebrazione ecumenica è stato ingenuamente inserito un Padre
Nostro pregato con le mani
unite. Nessun detenuto ha
dato la mano ad una guardia,
e nessuna guardia ha osato
prendere quella del detenuto.
Vietato. Tutto ciò deve essere
seriamente preso in considerazione quando si prova ad
annunciare la salvezza dentro
le mura, o semplicemente
quando si cercano forme liturgiche per testimoniare la
speranza evangelica.
Da quanto espresso sopra,
e non solo: dal confronto con
ex detenuti che faticano a
reinserirsi, a trovare lavoro, a
pagare le multe salatissime
di cui sono debitori allo stato
dopo aver scontato la detenzione; dai familiari, altro
mondo su cui sarebbe essenziale una presenza evangelica; da tutto ciò, inizio a pensare al carcere come a una
struttura che serve a poco,
che fa più danno che bene.
Questo mio giudizio per forza di cose si ripercuote sul
mòdo con cui provo a pensare il mio servizio. Sarebbe
importante coinvolgere le
chiese, con un lavoro di presenza all’interno della struttura carceraria ma soprattut
to con una riflessione più
ampia sul nostro sistema
giudiziario. Non basta mettere del balsamo e delle bende
su ferite infette: il carcere è lo
specchio di una giustizia punitiva, forcaiola, un luogo
dove è quasi impossibile il
recupero della persona.
11 carcere dovrebbe essere
il posto dove la persona che
ha sbagliato, attraverso un
percorso di riabilitazione, si
prepara per reinserirsi nella
società: risulta invece essere il
modo con cui la società separa, come nelle favole, i buoni
dai cattivi. A noi, persone per
bene, fa comodo sapere che lì
ci sono i cattivi, i cattivi rinchiusi che non possono farci
male. È questo tipo di immaginario che rafforza le alte
mura ben protette; un falso
immaginario, su cui dobbiamo interrogarci seriamente.
Che cosa vogliamo davvero
per chi ha sbagliato? Come
sogniamo la giustizia nella
nostra terra? Le chiese che
annunciano il Regno sono in
grado di elaborare possibili
modelli, di formulare proposte, di interrogarsi a fondo?
Non basta celebrare un
culto all’interno delle carceri,
assicurarsi la presenza nelle
mura. Per chi facciamo questo? Per il nostro prestigio,
per la nostra visibilità? Il rischio del presenzialismo, la
tentazione del protagonismo
sono spesso in agguato. Per
quale scopo annunciamo
l’Evangelo in carcere? E quale
annuncio poi portiamo? Sono domande fondamentali
che qualificano la nostra fede
e rendono più o meno credibile la nostra vocazione.
Una scultura di Costantino Ruggiero
Un testo dell'attore di origine ebraica
Moni Ovadia fra i ragazzi di Nisida
Recentemente è incominciato con la visita di due pastori protestanti presso il carcere minorile di Nisida un ciclo di incontri fra un gruppo
di giovani detenuti e rappresentanti di diverse confessioni
religiose. Gli incontri, promossi e organizzati dalle docenti della scuola interna al
carcere, rientrano in un quadro educativo in cui vengono
favorite le interazioni con il
mondo esterno. Dal giornalino interno al carcere «Nisida
News», riprendiamo e pubblichiamo un brano di Moni
Ovadia, cabarettista ebreo,
durante un colloquio con i ragazzi e le ragazze di Nisida.
Dicono gli scienziati che c’è
un solo uomo: dentro, la nostra struttura è una. Noi siamo fatti allo stesso modo...
abbiamo una struttura dentro
fatta di diversi elementi che
sono uguali per tutti: questa
cosa si chiama oggi genoma,
abbiamo oggi scoperto che
c’è un solo essere umano. Le
differenze che abbiamo (lui
ha i capelli neri, lui biondi, lei
ha la pelle olivastra) sono differenze superficiali: siamo fatti tutti allo stesso modo, allora
questo vuole dire che siamo
tutti uguali... In quel libro che
si chiama Bibbia, di cui avete
sentito parlare, c’è scritta una
cosa strana: che tutti gli esseri
umani, tutti, di qualsiasi colore, discendono da un solo uomo, Adamo. Che cos’era Adamo? Adamo era, ci dicono, un
pupazzo d’argilla dentro il
quale è stato messo l’alito della vita: quella cosa che oggi gli
scienziati chiamano genoma,
quello che fa tutti uguali...
Sapete una cosa? Io mi occupo di memoria... Voi ce
l’avete una memoria? Tu sai
chi è tuo papà, da dove vieni,
tu sei di Casablanca, tu sai
che vieni da 'ncoppa ai quartieri (cioè dai quartieri spagnoli a Napoli, ndr), lei sa che
viene da un grande popolo,
che sono i Rom, che sono un
popolo libero, che hanno girato il mondo e che vengono
originariamente dall’India
probabilmente.
Noi abbiamo una memoria
di popolo e abbiamo una memoria personale. Se io prendo un uomo qualsiasi e gli tolgo la memoria, lui rimane la
stessa cosa: stessi occhi, stessa pelle, stesse braccia, stessi
muscoli, stessi capelli ma non
è più un essere umano. Io
posso dirgli quello che voglio:
se lui non ha memoria, io gli
posso dire che il padre è un
altro, che lui ha fatto qualsiasi
cosa, che ha scalato l’Everest,
che ha ammazzato mille persone, posso dirgli quello che
voglio perché senza memoria
non è niente. Una delle cose
forti della cultura da dove
vengo io è che ci ha detto di
cercare di capire chi siamo,
da dove veniamo, perché se
non lo sappiamo noi, qualcun
altro cerca di farci credere
quello che vuole.
Per noi tutti è importante
sapere chi siamo e noi siamo
qualcosa di importante... e
ognuno di noi, ciascuno di
voi, chiunque, non importa se
bello, brutto, alto, magro contiene in sé tutta l’umanità: voi
avete dentro di voi tutta l’umanità che c’è sulla Terra. Il
vostro codice (abbiamo tutti
dentro un ente di cose chimiche, organiche...) è l’umanità
intera: c’è l’informazione di
tutta l’umanità e ognuno di
noi contiene quella cosa. Ecco
perché ognuno di voi è im
portante, non importa se state qui o state fuori, fate sempre parte di quel progetto
umanità, cioè di quella cosa
che noi chiamiamo l’alito divino: ognuno di noi contiene
un pochettino di quell’immagine di Dio.
Perché vi dico queste cose?
Perché io non faccio teatro
per far ridere o piangere la
gente... faccio teatro per raccontare storie di uomini, raccontare delle storie a favore
della libertà, per la giustizia,
per il rispetto di ogni essere
umano. Vedete, voi siete qui e
venite da tante parti, avete gli
stessi problemi, siete la stessa
gente, ridete allo stesso modo, avete voglia di mangiare
allo stesso modo, e queste sono le cose importanti.
Quando mi hanno invitato
a venire qui da voi, ci sono venuto soprattutto perché mi
interessa incontrare degli esseri umani, capire che cosa
abbiamo in comune: io sono
un uomo di 55 anni, voi siete
ragazzi: io ho una vita, un
pezzo di vita davanti, piti corta, voi più lunga. Però il mio
amico di 85 anni mi ha detto:
«Guarda, c’è un vantaggio ad
essere vecchi, c’è un grande
vantaggio». E allora io gli ho
chiesto: «Che cos’è questo
vantaggio?». Quando noi parliamo di un uomo vecchio ci
viene in mente, forse, che gli
uomini vecchi sono saggi. E
lui mi ha detto: «No, non è la
saggezza, il mondo è pieno di
vecchi cretini... ma c’è un
grande vantaggio ad essere
vecchi, è che non sei morto
giovane». È così... noi pensiamo che sia facile diventare
vecchi, è un cammino che
dobbiamo fare tutta la vita. E
chi lo deve fare il cammino?
lü Cura pastorale ai pedofili
Di fronte a Dio
l'uomo è peccatore
,esa,
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ANNA MAFFEI
VINCENZO Polverino, operatore diaconale dell’
Ucebi airOspedale evangelico di Napoli, da circa 16 mesi
si reca regolarmente al carcere di Poggioreale per far visita
a un gruppo di detenuti. Alcuni fra quelli che segue da
più tempo sono accusati di
reati a sfondo sessuale.
- Come è iniziato questo
ministero?
«Si può dire per caso. Mi fu
chiesto di visitare un detenuto, ma non mi era stato detto
di quale reato era accusato.
Solo dopo qualche settimana
che lo visitavo compresi che
era dentro per reati di violenza carnale e molestie sessuali
a sua figlia. Perché non Tho
capito subito? Perché il pedofilo è una persona che tende
a negare il suo reato. E anche
quando decide di aprirsi lo fa
in maniera filtrata e dilatata
nel tempo: come, quando e
se decide lui».
- Dopo questo primo se ne
sono aggiunti altri...
«Lo stesso detenuto, avendo apprezzato l’incontro con
me, mi ha proposto altri nomi. E io non me la sono sentita di dire di no. Così da questa unica persona sono diventati venticinque».
- E ora?
«Pian piano ho capito quelli che erano veramente interessati e ora sono solo tre o
quattro le persone che seguo
da molti mesi».
- Qual è il rapporto fra questi detenuti egli altri?
«Non esiste alcun tipo di
rapporto. Questa è gente che
viene tenuta rigidamente separata dagli altri e in un regime molto più duro anche di
detenuti che si sono macchiati di reati gravissimi. Perfino
una persona sospettata non
di violenza ma di molestie
sessuali, ed è quindi reclusa
nel padiglione dei pedofili, vive restrizioni e drastiche limitazioni dei propri diritti non
giustificate da alcuna legislazione. È così nella pratica e
nessuno protesta. I detenuti
temono che se si ribellassero
la pagherebbero ancora più
cara. Questi detenuti sono
profondamente disprezzati
non solo dagli altri detenuti
ma anche dagli operatori del
carcere. Mi è capitato spesso
che gli agenti di custodia ai
quali chiedevo di far il colloquio con detenuti di questo
tipo mi chiedessero perché mi
prendevo cura proprio di
questa "spazzatura”».
- Come risponde a questo
tipo di domande?
«Cerco di far capire che il
peccato è peccato. Ci sono
certamente cose che turbano
profondamente e queste persone che si sono macchiati di
crimini gravi, ma anche altri,
coloro che rapinano, scippano, spacciano droga, uccidono provocano tanto dolore. E
io come ministro di una
chiesa dico che di fronte a
Dio l’uomo è peccatore e
iiniiio sei
Ile origini
iteccio fra
itualitàel
s
jtoalVan]
“-U1
Ite, ripetei
schìavit
inforto a
Ila sperar
soptawii
jconl’es
non c e peccato grandi
piccolo. Se la persona
comprende questo nonpot
mai comprendere il seni «inusic
della mia visita». " -
- Tuttavia come ha poi
vincere quelle resistenze im
ne che comunque ci sono
so persone che compioi
azioni così infami?
«L’ho vinto conoscendi
queste persone. NeInosL
immaginario del detenuCerazion
del violentatore, deU’onùciLetati car
noi pensiamo di trovarci di ^.indiani
vanti a chissà quale beh Mdedel Si
Ma quando ho incontrai mo sassegi
queste persone ho capitoci jjnenti in
le cose non stanno coslSon ito di tu
delle persone deboli. Geal feinaspet
che piange, gente distrali Tutti han
dal dolore, gente che non; joeMan
riesce neanche a capire ci ¡¿ canta
me abbia potuto fare quel
che ha fatto. Non ho incof
trato gente compiaciuta
male commesso. Una del
persone che visitavo si è si
cidato schiacciato dal sei
di colpa. Aveva detto tani
volte che l’avrebbe fatto, n
nessuno si è mosso perii
pedirlo».
- Non c'è accompagnami
to psicologico a persone così
«Non c’è nessun tipoil
aiuto per affrontare ques
MM
drammi interiori. Gli psicolt iNew Yo
gi incontrano i detenuti sol ppena qi
una volta all’ingresso epe il’inizio
basta. Ma a cosa serve il cai tati suU’/
cere per i violentatori? Quest i incontra
domanda può sembrare pj tenne di
radossale, ma se ci pensianii tobre per
vediamo che viene messo il lieta in ri
cella, abbandonato a se stes’ ttime, 2,0i
so senza incontrare nessuno uddisti, ti
tagliato fuori da ogni comi®; iani catti
nazione, le cose ordinarie p totestant
vengono precluse, non vieni iniziativa
aiutato a comprendere il s# ippiasolli
problema. Dopo tre, qua® jtte il sit
sei anni di carcere esce e, s bertini, e
questa persona aveva denj «nto inti
sturbi, questi si sono riso» oiuperla
Con un’azione solo punte ifesisj»,
abbiamo risolto il suo pro» nvenuti i
ma? È stato rincontro c oricor
questo universo a tue sco ine dei
scinto che mi ha dato la f , 1'
di superare le mie resiste« «e: «La t
anche se non posso non .®8tstri
„oscerechr;g”ni.ol»gS;:
viene raccontata una sten
violenza sui minori resto
bito. Ma poi cerco di fare^ èttur*f°'
za a me stesso e non fatture tra
trascinare altrimenti
iver
posso fare relazione di
vorrebbe segnalare?
«Io vorrei segn^are un to
blema che è quello ddg, Be
chefaf
processo. Ho l’impre;
che quando si ha a
con accuse a sfondo se
si tende a non indag^^,
fondo e anche gh a__
lipa
>*1«
tondo e ancne g** “ 0
(spesso d’ufficio) no^ P J
dono sul serio la
queste persone, di ^
fognano. Dunque^,
me possono esserci i h (
campo, più che in
proprie tragedie di ^
personali e anche c
infamanti (al ?un<>
giudizio perché nes p,
prende la bnga di fare , P
lo) di persone innoc
7
jflOVEMBRE
2001
Vita Delle Chiese
PAG. 7 RIFORMA
I Due belle, significative giornate alla chiesa battista di Torino via Passalacqua
Scopriamo la delicatezza di Dio
ìi'espfessione della preghiera e della lode al Signore per mezzo della musica ha fatto
^^)/lgHia a un culto battesimale segnato da profonda fede e testimonianza biblica
J0WRIBIL
h’O sera, per un c^nKla chiesa di via Pas'iit& gremita di memIQasa, simpatizzanti,
fenici: tante persone
—jfejleiiza diversa, che
&scevano fra di loI concerto del gruppo
imel e l’animazione
idi Marta D’Auria e
„iellanon hanno deluso
*sedelpubblico,checon
^partecipazione ha stucche se stesso, non ha
¡soasuavoltaedediven
m
»
Incontro di preghiera a Reggio Calabria
Le religioni, strumenti
di testimonianza e di pace
AÌniào’serata si è parato
ile origini del Gospel, delgrandt «do fra culture e stona,
ionaj|Eu„]itàefede, e dei contenon poti quali si è sviluppato un
' ‘1 s«ì «re mtisicale strettamente
ato al Vangelo. I canti hanha poti! agüito un cammino coe!nzeinit jte, ripercorrendo le tappe
^onoit i^chiavitù, della ricerca di
ompioii conforto attraverso la fede,
Ila speranza e della lotta
oscenil i[ sopravvivere, per concluri nosti (siconresecuzione di canti
‘ Sono stati in
I battezzati Nino Barresi, Siivio Casanova, Lesiibeth Chavez Lezama,
Lisbeth Chavez Lezama, Lisette Chavez Lezama, Simone Pugiiese,
Mario Vioia, Romolo Zaffoni. Si sono riconsacrati al Signore perché
battezzati giovanissimi, Juliana Vasquez e David Eduard Restrepo
domicili (pretati canti di origine afriivarcidi óa, indiana, americana, del
le beivi jrdedel Sud del mondo. Si
mntral mo susseguiti inni, letture e
apitocl jinenti in cui il coinvolgiosì-Soi ento di tutti i convenuti è
li- Geni atoinaspettato.
distrutt Tutti hanno cantato con
le noni ¡Jo e Marta, Carlo e Marta
ipire co inno cantato con il gruppo
re quel__________________________________
Goin'Gospel, e tutti insieme
abbiamo cantato, battuto le
mani, tenuto il ritmo. Non sono stati risparmiati g\ì Alleluia
e gli Amen, parole che di certo
a qualcuno potevano suonare
un po’ strane poiché non è
detto che, se un concerto si
tiene in una chiesa, vi partecipino solo persone credenti...
Seduta tranquilla su una panca ascoltavo una buona musica e le parole di Carlo e Marta.
Sono stata strappata di soprassalto alla mia quiete di
ascoltatrice passiva da un
forte suono di tamburo, e da
uno scalpiccio e da un rumore di catene. Ho immagiiiato
uomini e donne in catene,
schiavi, ho immaginato film
visti e rivisti, ho immaginato
persone come me, persone in
catene, da qualche parte nel
passato o nel presente ma
lontano da qui. Le catene
sembravano sempre più vicine e, in effetti, lo erano: alcuni giovani, legati da catene,
avanzavano verso il palco in
una simulazione che aveva
tutta la forza della memoria
di situazioni reali, che troppo
spesso dimentichiamo.
L’immedesimazione è stata
tale da permettere al pubblico di cantare Oh Happy Day
con i concertisti, in un’esplosione di entusiasmo. Tutti in
piedi cantando insieme, chi
per ispirazione o per gioco,
chi per fede, chi per la magia
del Gospel, chi perché trascinato da decine di persone intorno. Il repertorio dei Goin’
Gospel, di tutto rispetto, com
prendeva, fra gli altri pezzi,
Give me Jesus, I woke up this
morning, Amazing Grace, Benediction. A chiusura della serata è stato auspicato di ritrovarsi presto per cantare con
gioia e riconoscenza al Signore Oh Happy Day in occasione
della sperata fine della guerra
in Afghanistan.
Se il sabato è stato speciale,
la domenica non è stata da
meno. La comunità di via
Passalacqua ha accolto dieci
nuovi membri di chiesa che
hanno dato testimonianza,
due attraverso una confessione di fede e otto attraverso il
battesimo per immersione. Il
culto è stato ricco di momenti edificanti nel senso biblico
del termine. La predicazione,
tenuta dal pastore Antonio
Cammisa, è stata incisiva,
ispirata dalla testimonianza
biblica sul senso del battesimo. La liturgia è stata arricchita dal contributo sempre
prezioso di Marta D’Auria e
Carlo Leila. La condivisione
di momenti tra fratelli e sorelle si è protratta in un pranzo comunitario. È in queste
occasioni che ci è dato di approfondire la conoscenza reciproca e di crescere. Nell’incontro, nella visibilità di
esperienze che arricchiscono, nel desiderio di stare insieme e mettersi in discussione o di dare l’esempio, in tutto ciò si compie anche, con
delicatezza, la volontà di Dio.
FHANCESCAMEIETWPEPI
UNA testimonianza di comunione tra cristiani,
musulmani e credenti di religione baha’i è stata offerta
dall’incontro interreligioso di
preghiera per la pace, promosso dal locale gruppo Sae,
che si. è svolto martedì 23 ottobre a Reggio Calabria, nella
sala dei Padri monfortani.
Un incontro interreligioso
ma anche multietnico. Ampia e varia la presenza dei
partecipanti, non solo impegnati nei vari movimenti e
associazioni religiose che
operano in città, ma anche
laici che hanno scelto di promuovere la cultura della pace
e, quindi, di adoperarsi a costruire una società fondata
sul rispetto delle diversità e
della giustizia sociale.
Con grande emozione sono
state accolte le parole dei rappresentanti delle chiese cristiane e delle altre comunità
religiose: Riccardo Riso e Saar
Sardazadeh, della comunità
baha’i, il pastore valdese Jiens
Sielmann, in rappresentanza
anche della Chiesa battista di
Reggio Calabria, l’arcivescovo
mons. 'Vittorio Mondello, il
presidente della comunità
islamica, Mustafà Leva, il pastore della Chiesa awentista
Leonardo Buonfiglió, il padre
ortodosso Daniele Castrizio.
Tutti barino messo in evidenza che Dio è padre amorevole
di tutta l’umanità; che l’essenza dell’insegnamento di
tutte le religioni è la miseri
nadedlVeglia di preghiera a Milano
,t#emo mai celebrare
° A festa della vita?
MAimN IBARRA
tipoi
quesÉ unmese dagli attentati a
tsicolimNew York e Washington,
liti solfcpena qualche giorno do0 epe 0l’inizio dei bombardali! cai Wti sull’Afghanistan, si soQuest I incontrati a Milano, nelle
are p> lonne di San Lorenzo, 1’ 11
nsianii tobre per una veglia di preesso il lieta in ricordo di tutte le
se steS' ttiine, 2.000 persone: ebrei,
3SSUI1Ì uddisti, tibetani e zen, crioinut lani cattolici, ortodossi e
arieÈi totestanti, e musulmani,
n neni iniziativa era partita da una
e il SUI ippia sollecitazione: da una
[uatm lite il sindaco di Milano,
'j •li ® riall’altra il movi
dei4 lento interreligioso «Relirisol »m per la pace nello spirito
m0 Assisi». Nel suo saluto ai
sindaco di Milaricordato anche le 114
riell’incidente aereo
di ottobre a Li
* tragedia più grave
^ svolta in un
* fanti Bttur*f°” un’alternanza di
H dai testi sacri
‘ £^®'®^‘^"dizioni reli
Itivi e *^**^”V’ silenzi mediper la pace,
brani di diriusi« '»ti k D^'^ddha ai suoi moC beatitudini, alcune
sure del Corano, hanno inciso il senso di un percorso comune travagliato alla ricerca
di un percorso, nel segno della pace e della concordia tra i
popoli, le religioni e le culture. Le preghiere, tre per ogni
tradizione religiosa, hanno
rivelato la diversità e insieme
la ricchezza delle diverse spiritualità tese in modo diverso
allo stesso scopo di entrare in
contatto con la realtà divina.
Ogni tradizione ha pregato e
invitato gli altri a pregare secondo le proprie sensibilità,
senza confusione, mescolamenti né sincretismi.
Ha chiuso la preghiera una
bambina del quartiere che ha
dato esprèssione all’esigenza
del futuro che incarnava: può
cambiare il nostro mondo?
Potremo un giorno celebrare
la festa della vita avvolti dal
suono di un linguaggio comune e elementare che conosca soltanto l’abbecedario
dell’armonia, dellà concordia
pacifica di tutta l’umanità?
Questo era già una realtà nelle parole delle preghiere affidate a Dio, invocato con tanti
Nomi diversi che svegliano la
speranza, suscitano la fede e
vorrebbero creare l’amore
universale della parola che
dice, semplicemente, pace e
armonia per l’intero creato.
' Chiesa battista di Chiavari
Battesimi italiani
e sudamericani
cordia di Dio e la pace tra gli
uomini; che tutte le guerre di
religione combattute nel corso della storia sono state motivate, in realtà, da più o meno nascosti interessi politici
ed economici; che la natura
umana è incline alla violenza
e la pace è un dono da chiedere all’Onnipotente; che è
dovere dei credenti testimoniare l’amore e la solidarietà a
chi ne ha bisogno, senza alcuna distinzione; che la fede
non può manifestarsi nella
violenza. Più volte il presidente della comunità islamica ha
ripetuto «L’Islam non si identifica col terrorismo, l’IsIam
condanna il terrorismo, il nome di Dio significa pace».
La fase conclusiva dell’incontro ha visto come protagonista l’intera assemblea: i
presenti hanno unito la loro
voce nella lettura corale della
preghiera «Signore fa’ di me
uno strumento della tua pace» di Francesco d’Assisi, il
primo ad aver preferito lo stile del dialogo a quello della
crociata; hanno poi cantato
«che sia la pace al mondo»
tenendosi per mano.
Ultimo gesto significativo:
la sottoscrizione di una frase
tratta dal documento conclusivo della Conferenza Cristiani e musulmani in Europa
(Sarajevo 12-16 settembre);
«Ci impegniamo ad essere
strumenti di dialogo, a contribuire nella costruzione
della giustizia e della pace, e
a lavorare per la riconciliazione delle nostre società».
L’Evangelo predicato dal
pastore Carmine Bianchi
parla di «gran festa» (Luca 15,
24) e gran festa è stata domenica 28 ottobre per la Chiesa
battista italo-latinoamericana di Chiavari. Nella gioia e
nell’allegrezza generale sono
state infatti battezzate cinque
persone: Silvia Campuzan e
Jovita Mora Franco, ecuadoriane, Elsa Ruiz, peruviana,
Anna Bonandi e Gianni Pagliettini, italiani. Il fine settimana era stato articolato prima con alcune lezioni sull’evangelizzazione date dal
coordinatore del Dipartimento dell’Ucebi e poi il sabato
nel tardo pomeriggio con una
pubblica manifestazione sotto i portici antistanti il locale
di culto, con la partecipazione del gruppo musicale sudamericano nonché delle sorelle e dei fratelli della chiesa
che si sono uniti al canto.
Molte persone sono state così
avvicinate e invitate alle riunioni della comunità.
Domenica mattina circa
120 persone hanno gremito il
locale di culto al limite della
sua capienza per assistere ai
battesimi amministrati dal
pastore Franco Scaramuccia
e per ascoltare la predicazione del pastore Bianchi centrata sulla parabola del Figliol
prodigo. Dopo il culto, animato da numerosi canti in
lingua spagnola e italiana,
un’agape fraterna ha riunito
60 persone contente e festanti. Questo evento costituisce
un ulteriore momento del
tentativo di dar vita a un
gruppo multietnico di credenti, senza distinzioni fra
italiani e membri di altre nazionalità. È un esperimento a
cui tutti guardano con fiducia e con ringraziamento al
Signore. Non nascondiamo le
difficoltà; non è facile unire
culture ma anche spiritualità,
esperienze, cammini di fede
così diversi. Per ora dobbiamo dire che la fusione funziona e che è risultata arricchente e anche soddisfacente
per tutti, latinoamericani e
italiani. Anzi, constatiamo
con gioia che, mentre in un
primo tempo si univano a noi
quei sudamericani che già
nel paese d’origine frequentavano chiese evangeliche o
in qualche modo erano in
contatto con esse, ora cominciano ad avvicinarsi anche
persone che conoscono la fede qui in Italia per la prirna
volta. E ci pare che questa sia
la realtà più consolante e la
controprova che la strada imboccata è, per la grazia di
Dio, quella giusta.
>im Giornata per la pace a Foggia
La pastora interviene
solo dal pubblico
GIUSEPPE MAROnOLI
IL 25 ottobre, nella sala del
Consiglio provinciale di
Foggia, con un pubblico assiepato anche fuori dell’ingresso, in un incontro-dibattito si è discusso sul tema
«Pace è il nome di Dio». Erano presenti un rappresentante del sindaco, l’imam della
comunità islamica di Roma,
il segretario generale Alberto
Quattrucci della comunità di
Sant’Egidio, mons. Domenico D’Ambrosio arcivescovo
di Foggia-Bovino e il prof.
Ignazio Loconte nella funzione di moderatore.
Ad aprire il dibattito è stato
il rappresentante della comunità francescana di Foggia che, rivolgendosi all’imam di Roma, ha ricordato
che in uno storico incontro
di Francesco d’Assisi con un
sultano dell’epoca furono
scambiati impegni di pace
per il futuro. L’imam si è poi
espresso in una dichiarazione: «Io sono qui per parlarvi
con il cuore in mano, quindi
chiedo a voi qui presenti di
accogliermi con lo stesso
sentimento». Il moderatore
ha dato quindi la parola a
Quattrucci che ha sostenuto
che «pace e giustizia marciano insieme»: non si può se
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parare Luna dall’altra ma la
pace ha il primato e la giustizia viene dopo. Il concetto è
piuttosto opinabile ma è stato
riproposto dall’arcivescovo
D’Ambrosio in altri termini.
Pace e giustizia non hanno
un prima e un poi, viaggiano
sullo stesso binario, in file parallele (e questo ha suscitato
in qualcuno il ricordo «moroteo» e democristiano delle
«convergenze parallele»). Il
vescovo ha concluso il suo
primo intervento dicendo:
«Pace e giustizia non sono separabili perché insieme convergono e si prendono nell’
amore di Dio; vale a dire in
Dio stesso». Allo scopo è stato
citato il versetto 14 del capitolo 2 della lettera agli Efesini:
«Lui, infatti, è la nostra pace;
lui che dei due popoli ne ha
fatto uno solo e ha abbattuto
il muro di separazione, abolendo nel suo corpo terreno
la causa deU’inimicizia».
Su questa citazione si sarebbe potuto anche chiudere
la serata che invece è continuata con qualche intervento del pubblico. È intervenuta anche la pastora Patrizia
Pascalis, augurandosi che
quest’incontro ne apra altri
ancora per l’avvenire. Una
nota stonata: la comunità
francescana, organizzatrice
dell’incontro, non aveva
provveduto a chiamare al tavolo degli oratori la pastora
valdese che era seguita da
qualche fratello e sorella delle comunità valdesi di Orsara
e di Foggia. Speriamo per gli
incontro successivi. Smantellare gli arsenali, trasformare in aratro il cannone:
quante volte l’abbiamo sentito dire... ma farlo è un’altra
cosa. Bisogna smantellare gli
arsenali dell’odio, della superbia, della discriminazione.
Evangelizzare, dunque annunciare Cristo, l’amore.
8
PAG. 8 RIFORMA
Vita Delle Chiese
L'Ostello per studentesse di Torino deve raccogliere 40 milioni per ristrutturarsi
Appello dalla Casa femminile valdese
Ogni anno, dal 1971, nella struttura comunitaria vengono ospitate ventidue ragazze
tra 118 e 128 anni, con rette che fino a oggi non coprivano le spese straordinarie
«Oggi vi scriviamo insieme,
studentesse ospiti della Casa
femminile valdese di Torino
(Cfv), le così dette “ostelline”,
e Comitato di gestione, per
rendervi partecipi di una
questione che ci sta molto a
cuore. Si tratta di poter far
fronte a una spesa necessaria
per il nostro ostello non più
rinviabile, anche per ragioni
di sicurezza. In queste settimane si sta realizzando il
nuovo impianto elettrico per
tutta la nostra struttura e, parallelamente, vorremmo sostituire i boiler elettrici con
caldaie a gas e spostare i contatori del gas sui balconi. Insomma, più sicurezza, più
economia nei costi energetici
ma anche, per noi, una spesa
straordinaria non indifferente. Chi conosce la vita dell’ostello sa bene che il bilancio di gestione viene presentato e discusso anche con le
giovani ospiti; ebbene, ci siamo accorti di non avere in
cassa la somma sufficiente
per affrontare questa spesa».
Così inizia una lettera-appello della Casa femminile
valdese di Torino, appello rivolto prima di tutto a chi ha
utilizzato nel passato questa
struttura, normalmente con
molta soddisfazione, ma anche a chiunque voglia o possa contribuire. La Commissione sinodale per la diaconia valdese (Csd), di cui fa
parte da circa tre anni questa
struttura rivolta a giovani
studentesse tra i 18 e i 28 anni, ha concesso recentemen
Le ospiti deil’Osteiio fetnminiie
te un primo prestito per realizzare una spesa complessiva di circa 40 milioni. «Non
disponiamo di tale cifra spiega la lettera-appello semplicemente per il fatto
che, in tutti questi anni, si sono praticate tariffe contenute, alla portata di tutte le famiglie che affidavano le loro
figlie alla nostra struttura.
Una volta pagate le bollétte,
le tasse, la piccola manutenzione, rimaneva ogni anno
ben poco a disposizione per
affrontare spese straordinarie. È dunque una scelta precisa quella che è stata compiuta: praticare un costo contenuto al massimo per venire
incontro soprattutto alle famiglie con problemi economici. Non abbiamo mai richiesto alle “ostelline” la dichiarazione del loro reddito
annuale (come fa invece l’U
Chiesa battista di Mottola
Un Centro d'ascolto
per meglio aiutare gli altri
PINUCCIA DE CRESCENZO
SABATO 6 ottobre nella
chiesa battista di Mottola
si è tenuta una conferenza
per l’apertura del Centro di
ascolto promosso dall’associazione «Filo d’erba», dalla
chiesa battista, dalla chiesa
cattolica Madre, dalla Caritas
e dalla chiesa del Sacro Cuore che ha messo a disposizione alcune stanze per gli incontri settimanali. La presidente Anna Semeraro, dopo
aver dato il benvenuto ai
presenti e a don Antonio
Ceccone, responsabile della
Caritas italiana nazionale, ha
precisato che il Centro di
ascolto è un’antenna che
percepisce i bisogni dell’altro/a e non un parafulmine;
chi fa ascolto deve sapere
percepire i bisogni per poter
dare un po’ di tranquillità e
di incoraggiamento.
Don Antonio Ceccone ha
sottolineato, poi, che bisogna ascoltare il doppio di
quello che parliamo: perciò
Dio ci ha dato due orecchie e
una bocca. L’ascolto deve essere la capacità o, meglio, la
virtù di ascoltare l’altro lasciandosi guidare da Dio che
è colui che per primo ci ascolta e che ci chiede di ascoltarlo attraverso l’ascolto
del fratello o della sorella.
Dal vero ascolto nasce la
conversazione, il cambiamento di vita e di mentalità e
il Centro di ascolto, presente
ora anche a Mottola, darà
più dignità all’essere umano
anche nella direzione del
cammino ecumenico che si
vuole continuare a percorrere. Don Michele, parroco del
Sacro Cuore, ha evidenziato
che nell’attività del Centro ci
sono gioia e dolore: dolore
quando non riusciamo a risolvere il caso, quando restiamo muti non sapendo che fare e ci ritroviamo la sera con
l’amaro in bocca; gioia, invece, quando un caso è andato
a buon fine e anche i familiari sono felici e ringraziano.
Anche se, come dice Gesù,
dobbiamo sempre ricordarci
che siamo «servi inutili».
CRONACHE DELLE CHIESE
GENOVA — Domenica 11 novembre, alle ore 14, nella sede
di via Curtatone 2, è convocata l’assemblea ordinaria
della Federazione delle chiese evangeliche in Liguria e
Piemonte meridionale che, oltre a una serie di adempimenti statutari, esaminerà la richiesta di far parte della
Federazione stessa giunta dalle chiese di Sanremo e Bordighera-Vallecrosia.
RORÀ— L’Evangelo della resurrezione è stato annunciato
dal pastore Berutti ai funerali della sorella Leontina
Tourn Boncoeur, deceduta alla soglia dei 100 anni.
Per la pubblicità su
tei. 011-655278
fax 011-657542
niversità prima di applicare
la tassa universitaria) per
adeguare la retta mensile della Cfv. Quest’ultima, che ultimamente ha subito un leggero aumento, è stata per molti
anni al di sotto del 30% delle
comuni tariffe nel settore a
Torino. Per le ragioni dette ci
sentiamo la coscienza tranquilla nel rivolgerci innanzitutto a chi ha usufruito, nel
passato, di questa struttura
per chiedere una concreta
collaborazione economica
nel realizzare i necessari adeguamenti per la sicurezza».
«Recentemente - termina la
lettera-appello - le ragazze
dell’ostello, riunite in assemblea, di fronte alla possibilità
di una chiusura della Casa,
dovuta agli attuali problemi
economici, hanno sottolineato il valore di questa struttura
comunitaria rivolta alle giova
Ivrea
Insediato
il pastore
Marco Cisoia
CINZIA CARUCATI
Domenica i ottobre, in
occasione dell’insediamento del nuovo pastore
Marco Cisoia, la nostra comunità ha vissuto una giornata intensa di cui è grata al
Signore. Nella mattinata la
chiesa era gremita: erano infatti giunti a condividere il
culto numerosi membri della
comunità, i familiari del pastore, alcune sorelle e fratelli
delle chiese dei Fratelli di
Ivrea, Chiaverano e Piverone,
un rappresentante della Comunità ebraica e fratelli e sorelle cattolici.
Il sovrintendente del 4° circuito, Ferdinando Blefari, ha
proceduto all’insediamento
secondo la liturgia particolare e il pastore Cisoia ha poi
proposto una meditazione
densa di significato e spunti
di riflessione. Partendo da alcuni versetti del Deuteronomio, si è soffermato sull’episodio della morte di Mosè,
sottolineando l’essenzialità
della Parola, della legge di
Dio che resta come «costante» determinante per la vita
del popolo di Israele anche
dopo la morte del grande
Mosè che ne è stato soltanto
un testimone «variabile».
Allo stesso modo nella vita
delle nostre comunità la parola di Dio è l’essenziale ed è
importante ricordarlo anche
nel momento dell’insediamento, perché è sempre la
Parola la costante che deve
guidare il ministerio dei suoi
servitori. Alla fine del culto
con santa cena, un pranzo
comunitario ha riunito piacevolmente i partecipanti.
Aosta
Tutta Italia
prega
per la pace
L’autunno se la prende comoda, quest’anno, ai piedi
delle Alpi. E anche qui, in una
serata ancora tiepida, il 25 ottobre, le persone si sono riunite per pregare, per invocare
la pace, dono supremo di
Dio. Nella sala degli incontri
della parrocchia di St.-Etienne eravamo una buona sessantina. Cristiani, certo, incontratisi già una volta nello
scorso settembre nei locali
della chiesa awentista. Ma
non siamo stati lasciati soli.
Un gruppo di Babai ha pregato a fianco degli evangelici, un ortodosso insieme al
gruppo cattolico, un ebreo
seduto fianco a fianco cón i
rappresentanti della comunità islamica. Tutti insieme,
tutti in circolo, a dichiarare la
bellezza della pace, l’importanza del dialogo.
Che altro aggiungere? Nulla, da tutta Italia arrivano note simili a questa, ogni nostra
comunità si stringe ai suoi vicini, a chi vive attorno a essa,
e prega per la pace. Molte sorelle, molti fratelli hanno già
detto meravigliose parole di
pace. Ma voglio portare anch’io una sensazione a fianco
di queste narrazioni: quella
sensazione che dà coraggio,
che dà speranza, anche in
questi giorni in cui si ha quasi
paura dell’inizio dei notiziari,
dell’uscita dei giornali, perché chissà che cosa sentiremo, che cosa leggeremo questa volta. Aosta prega, come
prega Catania. E non sono
solo quei quattro evangelici
con i loro gesti forse coerenti,
certo utopisti. Non questa
volta: non siamo soli; questa
volta ci siamo tutti, (e.r.)
UDINE — Alle 18, nella chiesa metodista (piazzar)'«
zio 9), il pastore Giorgio Bouchard parla sul tein ^
stantesimo e letteratura nel mondo anglosassone- f
ton, un Dante puritano». ' °®'>l
TRIESTE
- Alle 17,30, nella basilica di San Silvestro f
■ il ciclo «Venti di Riforma nel ’500 a
ni studentesse, chiedendo di
compiere ogni sforzo per continuare e migliorare questa
attività. Il Comitato di gestione, designato dal Concistoro
valdese di Torino e nominato
dalla Csd, ritiene che il proprio impegno, totalmente a
carattere volontario, abbia un
senso proprio perché offre,
a costi accessibili, nel cuore
di Torino, un ambiente sereno e produttivo per gli studi
universitari a una ventina di
ragazze evangeliche e non.
L’atmosfera che si respira in
ostello pur essendo comunitaria è rispettosa della personalità di ciascuna».
L’appello, firmato dal presidente del Comitato della Casa, pastore Giuseppe Platone,
e dalle delegate dell’assemblea delle ostelline, Manuela
Fiorentini e Cristina Peyronel, rileva come la Cfv sia servita, in quasi trent’anni di attività, a decine di famiglie
che, avendo il problema di sistemare in un ambiente adatto le proprie figlie per i loro
studi superiori, potevano farlo a costi contenuti. E questa
azione potrà serenamente
continuare anche in futuro.
Le ojferte e i doni personali
(che possono essere defiscalizzati, facendone richiesta e inviando i dati personali e il codice fiscale, oppure conservando la ricevuta del ccp)
vanno trasmessi utilizzando
il conto corrente postale n.
12637153 intestato a: Csd-Casa femminile valdese, via San
Pio V15,10125 Torino.
vostro), per il ciclo «Venti di Riforma nel ’500 a Tri» «
Nord Est d’Italia», il prof. Silvano Gavazza parla su
Vergerlo e la propaganda protestante al confine orient^^
MILANO — Alle ore 18, nella sala della libreria Claudi
Sforza 12/a), il Centro culturale protestante organiz?!
contro con Stefano Allievi, David Bidussa e Paolo
ma «La sfida dei fondamentalsmi» nel quadro deirm°
«Ma che cosa c’entra la religione? Fondamentalismi e
pubblica, società multiculturale e convivenza civile»
9-11 novembre
ìtpj
I®
REGGELLO (Fi) —A partire dalla serata di venerdì 9 «rJ
Cares si tiene il IV Convegno nazionale della Refo suit
«Teologia e sessualità», con interventi di Elisabeth r
Marcela Althaus-Reid, Daniele Garrone, Giovanna Gr^"
10 novembre
bay.
BERGAMO — Alle ore 17, al Centro culturale ^
(via Tasso 55), Rosanna Ciappa parla sul tema «
protestanti sulla laicità nella scuola italiana
MILANO —Alle ore 17, nella chiesa metodista (viaPo»
Lambertenghi 28), per il ciclo «Perché Dio? La ricercaB
giosa nella letteratura europea del Novecento», il prof t
gio Givone parla sul tema «Mann, Musil e Kafka: laricero
Dio nella letteratura mitteleuropea».
TORINO — Dalle 9 alle 17, all’ex seminario arcivescovile!
XX Settembre 83), si svolge la seconda giornata del coi
«Per la riconciliazione delle memorie; le chiese cristiai
d’Oriente», con relazioni di A. Hatzopoulos, S. Varnaliriei
Valdman e G. I. Karalis.
11 novembre
TORINO — Alle 21, nel tempio valdese di c. Vittorio Emaai
le 23, a conclusione del Festival musicale della Riforma,
ganisti Chiara Cassin (organo), Walter Gatti (organo e u™
cembalo) e la soprano Alessandra Vavasori eseguono musici
di Bach, Banchieri, Buxtehude, Frescobaldi, Mozart, Pale«
na, Sweelinck e altri. Presentazione di W. Gatti e G. Platone,
IVREA (To) — Alle 16,30, alla chiesa valdese (v. Torino 211
la corale valdese di Torre Pellice canta una selezione diS
mi della Riforma. Introduzione storica del pastore Fiume
12 novembre
TRIESTE — Alle 18, alla parrocchia di San Marco evangeli
(str. di Fiume 181), il dott. Igor Argamakow tiene perilGn|
po ecumenico una conversazione sul tema «La religioni
l’Urss. Testimonianza di uno scrittore russo-polacco».
13 novembre
MILANO — Alle 18, nella sala attigua alla libreria Claudiai
(via Sforza 12/a), per il ciclo di incontri sul tema «“Nelpà
cipio”: il Dio creatore nella testimonianza biblica», il pi
Fulvio Ferrario introduce l’argomento «“Gioiscano i cielL
esulti la terra; risuoni il mare e quanto contiene” (Salmo#
11): la fede nel Dio creatore tra musica e teologia».
ROMA — Alle ore 18, nell’Aula magna della Facoltà valdfi
di teologia (v. P. Cossa 40), Paolo Emilio Landi e Paolo Nas
parlano su «Fede e politica nei conflitti dei nostri giorni»
MESTRE — Alle 15,30, al liceo scientifico «G. Bruno»,?®
corso di aggiornamento per insegnanti su «Giobbe e le]*
renni domande dell’uomo», il prof. Piero Stefani parla sul»
ma «Giobbe riletto dopo la Shoah».
14 novembre
TORINO — Alle 16, alla Comunità ebraica (p. Primo Levi li
per il corso di aggiornamento insegnanti su «Ebraismo
oggi, domani», Enrico Fubini e Franco Segre introducono
tema «Sviluppo della tradizione scritta e orale. Forme di in®
protezione e commenti (p. II): Medioevo e Rinascimento».
15 novembre
GENOVA — Alle 17,30, alla Società ligure di Storia L . ^
Ducale, lato p. De Ferrari), per il corso del Sae sui ptow <
rabbino Giuseppe Momigliano parla su «I profeti di Israele*.
TORINO — Alle 17,45, nella sala valdese di via San Pm
. ..... .1 .,^1/1
Vi
(primo piano), per il corso di formazione dedicato a.
medievale, Carlo Papini parla sul tema «La nonviolenza
valdesi: no alla guerra, no alla pena di morte».
17 novembre
alvaldis®
BERGAMO
Alle 17,30, al Centro culturale
Tasso 55), la prof. E. Bein Ricco parla su «Educazione m
turale e studio del fatto religioso nella scuola del Duerni '■
-jCuriel®
ROVIGO — Alle ore 16,30, alla chiesa battista
sirUniversità di Ferrara parla su
Gabriella Rossetti dell
«Educarsi all’interculturalità».
1 pola 26^’*
BARI — Alle ore 19, alla chiesa di Sant’Enrico ""(7(611)1
il Gruppo ecumenico organizza una tavola ®,*i|«ucliii
«Evangelizzazione e proselitismo» con A. Calisi, W.
mov, N. Pantaleo, M. L. Lo Ciacco.
FERENTINO — Alle ore 18, nella chiesa valdese
lare 220), il giornalista Luigi Sandri parla sul
lemme lacerata: una città per ebrei, cristiani e musuin
19 novembre
il
MILANO — Alle 18, al Sae (piazza San Fedele 4),
dedicato alla «Charta oecumenica». Angelo àgi
Ferrario e Traian Valdman parlano sul tema «Eva g
zione, proselitismo, libertà di coscienza».
Sen
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Vȟf;RPl9NOV^MBRE2001
PAG. 9 RIFORMA
Continua il nostro dibattito su un tema che è stato rilanciato dall'ultimo Sinodo
La chiesa, la diaconia e gli ospedali
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Sembra crescere una visione ((ragionieristica» dell'azione diaconale, Invece bisogna accettare
anche la sfida di operare «in grande», rigualificando sia le strutture sia il personale all'opera
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La lettera di Roberta Peyrot «Chiesa e diaconia»,
DubbUcata su Riforma del 12
ottobre, mi ha indotto a fare
alcune considerazioni che
vanno al di là del caso specifico per quanto alcune delle
cose che Roberta afferma,
espUcitamente o fra le righe,
non mi trovino per nulla
d’accordo. Mi sembra di rilevare che ultimamente nelle
nostre chiese (non solo nelle
chiese valdesi e metodiste)
stia crescendo una visione
strategica che, senza offendere i ragionieri, chiamerei
puramente ragionieristica.
Le scelte dei nostri organi direttivi e del Sinodo (o delle
Assemblee generali) dovrebbero, secondo questa visione, essere determinate sostanzialmente da considerazioni contabili: «Ci sono i
soldi, e allora si fa», «Non ci
sono i soldi, e allora non si
fa», «Ci sono difficoltà finanziarie e allora si chiude o si
vende». Sembra quasi che
una superficiale e approssimata conoscenza del contesto economico nel quale siamo immersi debba dettare
alle menti dei membri di
chiesa (di qualsiasi chiesa) i
criteri per stabilire le nostre
priorità e le linee guida.
Personalmente ritengo che
questo sia profondamente
errato e, se applicato, porti a
disastrose conseguenze. Capovolgerei quindi il modo di
affrontare i problemi, partendo dagli obiettivi (la missione della chiesa e/o delle
chiese) per arrivare poi ai
mezzi (i soldi, le finanze, le
risorse, le persone). Per semplificare il discorso, farei alcuni esempi cogliendo anche
l’opportunità per una parziale e incompleta risposta a
Roberta Peyrot.
Il compito della chiesa
e ia prevenzione
Credo che tutti siano d’accordo nel dire che il compito
specifico delle chiese sia di testimoniare l’Evangelo di Gesù
Cristo. 1 problemi incominciano subito dopo: solo predicazione, solo parole, sermoni,
conferenze, ecc. con tutto
quello che segue o anche diaconia, servizio, cose materiali,
intemnti nel sociale e nella
gestione pratica delle cose,
progetti, pietre, istituti? La
roía risposta è «entrambe
queste cose», non esiste una
senza l’altra. Le dimensioni
future della diaconia poi non
st possono determinare a
Pnori, sono il risultato di tentativi di testimonianza che, in
tenyi diversi, sorelle e fratelli
credenti hanno voluto realizzare. Alcuni tentativi sono
cresciuti negli anni, non per
questo hanno valore maggiofe^o minore di altri tentativi
P'u limitati, più «leggeri». Per
quale ragione eliminare (venate, chiudere, dismettere)
u tentativo solo perché è
grande o è diventato grande?
oio perché è difficile da geT?Ma si può imparare!
j evidente che la prevenala importante, anzi esziale, ma ha tempi lunghi,
“»venta efficace solo dopo
npu*‘ ®*a°gna impegnarsi
a prevenzione, ma essa
cui' “®.“I“rie l’obbligo della
dpii^’ ^“IT°ecuparsi, oggi!,
“elle cose (malattie ecc.) che
ra ^i“venzione non ha ancon ®bminato e che per anni
ne L® ’/“Irierà. La prevenziocnm! azionato per la lotta
voliif° * vaiolo, ma ci sono
SDerao^u eliminare (si
temnn P’^oblema. Nel fratrati A “““Iati sono stati cu• doveva farne a meno?
Le difficoltà
finanziarie
Vorrei che qualcuno mi dicesse se vi sono stati tempi
«felici» in cui le nostre chiese
non abbiano avuto problemi
finanziari. Forse che le chiese
senza «opere» non hanno
problemi finanziari? Quasi
direi che chi ha meno opere
ha problemi finanziari più
grandi di chi ha più opere...
Mi sembra che abbiamo imparato a convivere cop le difficoltà finanziarie, a gestirle
spesso per il meglio (certo,
con inevitabili errori!) senza
lasciare che i problemi avessero partita vinta. Riteniamo
che l’istruzione religiosa ai
nostri figli sia importante, essenziale? Allora valorizziamo
il Sie della Fcei. Riteniamo
che studiare teologia sia cosa
necessaria per le nostre chiese? Allora facciamo funzionare al meglio la nostra Facoltà e dotiamola di un’adeguata biblioteca e lanciamo
un istituto ecumenico protestante. Riteniamo che l’aiuto
agli immigrati sia importante, essenziale? Allora valorizziamo il Servizio rifugiati e
migranti della Fcei e i corsi di
lingua che molte chiese hanno organizzato.
E poi diamoci da fare per
trovare le risorse umane e finanziarie (come in effetti avviene, e bene, da tempo e in
molti casi). La «scienza del
management» ci può aiutare
con le sue indicazioni, oramai tradizionali e note anche
ai sassi: vigiliamo sulle strutture che ci siamo dati e chesempre rischiano di diventare costose sovrastrutture, ottimizziamo le riunioni (sempre troppe e non sempre ben
preparate e quindi lunghe),
controlliamo le spese telefoniche, diminuiamo i viaggi e
investiamo in tecnologia, e
altro ancora.
Preoccuparsi, cioè
occuparsi per
È giusto e naturale essere
preoccupati per alcune delle
situazioni che vediamo attorno a noi, anche all’interno delle nostre chiese, lo traduco sempre il verbo «preoccuparsi» con «occuparsi
per» (risolvere il problema).
E quindi doveroso, a qualsiasi livello delle nostre strutture
(Concistori, Consigli, comitati) darsi da fare per superare
gli ostacoli che si oppongono
alla realizzazione di progetti
ritenuti «giusti». Ma attenzione a che un giusto livello di
preoccupazione non si trasformi in paura o, peggio, in
panico. La causa più frequente di errori (parlo per
esperienza) sta proprio nel
panico che si insinua nel nostro animo, panico dovuto
all’incapacità di vedere un’al
ternativa o una soluzione al
problema, alla nostra ignoranza (si è molto spesso privi
delle conoscenze tecniche
necessarie per affrontare problemi complessi, specie di
natura finanziaria) e alla voce
delle sirene che sussurrano
«vendere è più facile», «che lo
facciano gli altri», «non è
compito della chiesa».
Ma, per ricordare chi non
si è lasciato irretire dalle sirene: «Fatti non foste per vivere
come bruti, ma per seguir
virtute e conoscenza». E noi,
sulla nostra barchetta, come
skipper non abbiamo Ulisse!
Napoli: l’ospedale Villa Betania
rrm Passare dalla beneficenza all'assistenza è un dovere
Gestire un ospedale è fare diaconia
MARCO TULLIO FLORIO
HO letto con attenzione (e
anche con interesse, dato l’argomento) lo scritto di
Roberta Peyrot sul n. 39 del
settimanale («Chiesa e diaconia»). Non posso che concordare con l’autrice circa la medicina preventiva e l’importanza del volontariato. Mi limito a osservare che,quanto
proposto non può esaurire il
quadro del servizio sociale a
cui la chiesa è chiamata oggi,
nella nostra società di oggi.
Come è stato detto più volte, ed è ben noto a coloro
che lavorano, o hanno lavorato nel settore, i nostri ospedali non hanno più la ragion d’essere che avevano
quando sorsero diversi decenni or sono (difficoltà e
angherie per i credenti evangelici nei reparti gestiti da
suore). Anche i motivi economici non sono più attuali,
per resistenza del Servizio
sanitario nazionale.
Non per questo i nostri
ospedali non hanno più ragion d’essere (e di essere sostenuti). Oggi la loro è essenzialmente una funzione sociale. Perché si è costruito a
Ponticelli un ospedale che
oggi funziona a pieno ritmo
(e senza problemi economici
per le chiese che lo gestiscono), quando nella stessa città
(Napoli) si possedeva già un
edificio, costruito con lo stesso scopo, ma sito in via Manzoni, cioè nella zona «alta»
della città? Siamo andati a
Ponticelli, formicaio dell periferia napoletana, dove più di
una cosca camorristica si
contende il territorio, il guadagno illecito e purtroppo il
sangue della popolazione.
Dovremmo lasciare il settore
sanitario in mano a quelle
bande? Perché dovremmo
alienare gli ospedali di Torre
Pellice e Pomaretto? Pensiamo che l’Asl conserverebbe
due piccoli, ma molto efficienti, presidi sanitari nella
nostra regione montuosa,
abitata in maggioranza da anziani, certo in difficoltà per
spostarsi anche soltanto a Pinerolo per un esame o una visita specialistica? E il nostro
ospedale di Torino (l’Oev)?
Non avrà una funzione sociale, nel quartiere degli immigrati, spesso male accolti e
maltrattati nelle strutture
pubbliche e negli ambienti
privati? Quanti di essi non
hanno protezione sociale?
Da questo argomento della
funzione sociale degli ospedali derivano due importanti
considerazioni.
1) Svolgere una funzione
sociale, per una chiesa cristiana, è dare una testimonianza. Naturalmente il presupposto è che questa funzione sociale sia svolta in
modo irreprensibile sia per
quanto riguarda il rapporto
umano sia per l’adeguatezza
tecnica del servizio prestato.
Oggi non ci si può improvvisare, né parlare (per piacere)
di beneficenza. Questa non
rispecchia l’esigenza di oggi
nel campo delTazione sociale della chiesa. Oggi si deve
cercare di risolvere dei problemi, non basta dare un
piccolo aiuto a chi poi dovrà
vedere come fare per andare
avanti. Non intendo disprezzare i nostri «bazar di beneficenza», che pur si iscrivono
nell’azione sociale (di assistenza) della chiesa, dico soltanto che la chiesa è chiamata a dimostrare la sua fedeltà
all’Evangelo nel campo sociale con ben altri interventi,
e per questo abbiamo accettato l’8 per mille, facendo
forza al nostro principio di
piena autonomia e indipendenza dallo stato. Il termine
«beneficenza» lo possiamo
lasciare sul testo giuridico
che riconosce alla Tavola la
qualità di ente morale, ma la
parola, nel corso dei decenni, ha perso il significato di
allora, per ricomprendere il
campo, molto più vasto e im
pegnativo, dell’assistenza.
Altrimenti dovremmo dismettere anche le case per
anziani, Riesi, Cinisello... Del
resto non si può sottolineare
abbastanza che nella seconda metà del XX secolo è la
nostra società che è cambiata, con le sue necessità e le
possibilità di aiuto; e a ogni
possibilità corrisponde per
noi il dovere di agire, per testimoniare TEvangelo: oggi
fare, e gestire, un ospedale
corrisponde a «fare il simigliante» del buon samaritano
(Luca 10, 37).
2) Non si può prestare assistenza sanitaria (meno che
mai in un ospedale) se non si
hanno le carte in regola anche
sul piano tecnico (e questo
costa molto). Abbiamo perciò
intrapreso la via non facile
della ristrutturazione dell’Oev
(che oggi comprende oltre a
Torino anche i due ospedali
delle Valli). Questa non è soltanto un’esigenza tecnica: per
noi è dettata dalla nostra fede.
Dobbiamo poter offrire quanto possono offrire la scienza e
la tecnologia di oggi.
La via è difficile, la meta è
ancora lontana. Ma il successo di pubblico e l’apprezzamento delle autorità sanitarie
cittadine e regionali dimostrano che anche a Torino e
nelle Valli (che sono oggi i nostri punti deboli) siamo sulla
buona strada. E soprattutto,
pensiamo che il Signore non
ci sosterrà, mentre cerchiamo
di obbedire alla sua Parola, se
continuiamo a chiedere con
umiltà il suo aiuto, senza perderci di coraggio?
Vorrei chiudere con un sentimento di riconoscenza al Signore, per il lavoro che hanno
svolto, e continuano a svolgere, tutti coloro che sono impegnati nella nostra testimonianza nel sociale, dai più
piccoli, fino a coloro che sono
stati gravati delle maggiori responsabilità, mettendo a rischio la loro stessa salute per
portare avanti il loro servizio.
i Secolarizzazione, chiese e diaconia
Dobbiamo scegliere
in che modo essere chiesa
ERIC NOFFKE
CI sono sostanzialmente
due modi di essere chiesa nella nostra società occidentale. Nel primo modello,
lo stato riconosce al cristianesimo di essere stato un
elemento fondante della nostra civiltà e gli affida un ruolo ben determinato nel suo
tessuto sociale. Pur nella sua
autonomia, la chiesa viene
manenuta attraverso un sistema di tassazione che passa attraverso il fisco dello
stato, come avviene in paesi
«protestanti» come la Svizzera e la Germania (in Italia
nella forma particolare dell’otto per mille). Il secondo
modello prevede invece una
totale autonomia della chiesa
dallo stato, ed è stato il nostro fino a quando abbiamo
accettato l’otto per mille. Secondo questo modello la predicazione della chiesa, per
quanto essa agisca all’interno
del tessuto sociale, è da esso
separata; si pone, anzi, in alternativa «al mondo» e, di
conseguenza, l’autofinanziamento è l’unica opzione coerente. Se il primo modello si
lega all’idea medioevale di civiltà cristiana, il secondo cerca di essere più fedele al
Nuovo Testamento.
Quest’ultimo è stato finora
il nostro modello principale
per quanto, in una certa misura, adattato alla forte coscienza riformata di essere
anche noi un elemento importante della società e non
solo contro la società. Per
questa ragione, fino a qualche tempo fa, abbiamo predicato la completa autonomia finanziaria di una chiesa
che non vuole essere elemento integrato della società, per
quanto al suo interno operante. L’idea di uno stato totalmente laico era, allora, il
quadro ideale in cui collocare
la nostra idea di chiesa.
Lontani dal nostro ideale
La nostra diaconia ci ha oggi obbligati a prendere atto
della nostra lontananza dall’ideale di una chiesa non secolarizzata. Con il crescere
del servizio e dell’impegno
nella società, ci siamo trovati
a gestire una struttura estremamente costosa alla quale,
pure, non potevamo né volevamo rinunciare. Accettando,
poi, i contributi sempre più
consistenti dello stato, ultimo
dei quali l’otto per mille, ci
siamo spostati in maniera decisiva dal vecchio modello di
una chiesa autonoma verso
quello di una chiesa secolarizzata. Da «alternativa» siamo diventati, almeno per
quello che riguarda la diaconia, parte integrante della società, un pezzo della società
cristiana (che in Italia si dice
cattolica), riconosciuto, apprezzato, ormai anche necessario, almeno per alcuni suoi
servizi. Oltre che uno spazio
di testimonianza, la diaconia
è anche diventata uno spazio
di servizio e in esso giochiamo tranquillamente il nostro
ruolo di chiesa integrata, secolarizzata.
Questo processo, però, ha •
introdotto una sorta di schizofrenia all’interno della nostra chiesa, perché noi ci troviamo a vivere la difficile situazione di forte tensione tra
una predicazione che vuole
essere autonoma (chiesa del
secondo modello) e una diaconia che è secolarizzata
(chiesa del primo modello).
Sono due prospettive radicalmente diverse e, secondo me,
difficilmente conciliabili;
prova ne sono i conflitti all’interno della nostra chiesa,
espressi soprattutto nella
contrapposizione, a mio parere sviente, tra quanti sostengono la diaconia e quanti
la osteggiano. Da una parte il
legittimo utilizzo dei soldi
pubblici, dall’altra il legittimo
richiamo all’autonomia (con
le rispettive premesse ecclesiologiche). La via tentata per
ricompattare il nostro ego ecclesiastico, scisso tra le due
anime, è stato il porre una
netta separazione (in realtà
più un velo che un muro) tra i
soldi dell’otto per mille, dedicati alle opere, e i soldi della
chiesa, dedicati alla gestione
della sua vita quotidiana. Ma
non credo che sia sufficiente.
Predicazione e diaconia
Paolo Ricca, in un suo intervento nel corso della discussione sinodale sulla diaconia, ci ha ricordato giustamente che non ci può essere
predicazione senza diaconia:
esse sono inscindibilmente
legate, come vediamo nella
persona stessa di Gesù, predicatore e diacono allo stesso
tempo. È proprio per questa
inscindibilità che noi non
possiamo continuare a tenere «ecclesiologicamente» separati i compartimenti della
diaconia e della predicazione. Tanto più che numerosi
interventi sinodali testimoniano di come noi ormai non
siamo più una chiesa che annuncia il vangelo alla città,
ma predichiamo nella città.
La nostra non è più solo
una predicazione al ravvedimento e alla conversione rivolta a un mondo per lo più
ostile o comunque altro da
noi. Oggi noi predichiamo in
un ambiente nel quale siamo
pienamente integrati, alla cui
vita politica, economica, culturale e sociale contribuiamo
in prima persona. Così come
la nostra diaconia si è secolarizzata, allo stesso modo si
sono secolarizzate le nostre
chiese. Non siamo più, neanche nella nostra predicazione, chiese autonome e libere,
esterne alla società, come
forse eravamo un tempo e
come, idealmente, sogniamo
ancora di essere (anche se
certe volte ci riusciamo).
Segue a pag. IO
10
PAG. 10 RIFORMA
IL CROCIFISSO
E LA LAICITÀ
EUGENIO BERNARDINI
Dopo l'il settembre
il crocifisso torna
a contrassegnare
un'appartenenza
confessionale forte
È un piccolo fatto, ma ha suscitato reazione che fanno riflettere sui tempi che stiamo vivendo. Il fatto è questo: verso la fine
di ottobre, nella scuola media
statale di Melara, alle porte di
La Spezia, arriva uno studente
di etnia rom. La supplente di
italiano lo accoglie, lo fa presentare ai suoi compagni di classe,
scopre che è di religione musulmana. Allora, con gesto simbolico, si alza e stacca il crocifisso
che è al centro della parete alle
sue spalle. Lo fa perché non si
senta diverso, soprattutto in
queste settimane in cui i simboli
religiosi hanno assunto una rilevanza straordinaria.
Apriti cielo!
Telefonate di
protesta dei genitori che sono
venuti a saperlo
dai loro figli, intervento immediato della preside, commenti sui giornali.
Niente paura: il
crocifisso è stato
rimesso al suo ■*■■***■*
posto, la supplente redarguita, le
minoranze religiose ricollocate
nel loro angolino, l’Italia, è confermato, è un paese cattolico.
Unica voce flebile di protesta è
quella delle chiese evangeliche di
La Spezia e provincia che solidarizzano con l’insegnante «che ha
avuto la sensibilità di anteporre
il rapporto con la persona dello
studente musulmano all’esposizione di un simbolo cattolico: il
crocifisso». Il Vangelo invita ad
accogliere lo straniero, dicono
le chiese evangeliche spezzine, e
«il Vangelo impegna tutti i cristiani. Non è così per il crocifisso, la cui esposizione è tipica del
cattolicesimo. La religione cattolica, pur essendo maggioritaria, da tempo non è più religione di stato; nonostante ciò permangono retaggi inammissibili
in ha una società civile».
Sul crocifisso nelle aule scolastiche e in altri luoghi pubblici
c’è una polemica che ha ripreso
vigore dopo che la revisione del
1984 del Concordato ha sancito
la laicità dello stato italiano.
Una sentenza del Consiglio di
Stato del 1988 ha stabilito che i
crocifissi possono comunque
restare nelle scuole perché «a
parte il significato per i credenti, rappresentano il simbolo della ci^tà e della cultura cristiana nella sua radice storica, come valore universale indipendente da una specifica confessione religiosa». Più recentemente, però, la Corte di Cassa
zione ha dato ragione a chi ri- tocca. Fino a quando?
Riforma
L Ea) I)EU.E VuiJ \àu®a
REDAZIONE CENTRALE TORINO:
Via S. Pio V, 15 -10125 Torino, tei. 011/655278 - fax
011/657542 e-mail: redazione.torino@ri1omia.it;
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Matfei. IN REDAZIONE: Alberto Corsani, Marta D’Auria, Massimo Gnone, Jean-Jacques Peyronel, Davide Rosso, Piervaldo Rostan (coordinatore de L'eco delle valli)
Federica Tourn. COLLABORANO: Luca Benecchi, Alberto Bragaglia, Avemino Di
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La testata Riforma è registrata dal Tribunale di Pinerolo con il numero 176/51.
Riforma-L'Eco delle valli valdesi è II nuovo titolo della testata
L'Eco delle valili valdesi registrata dal Tribunale di Pinerolo con II
n. 175/51 (modifiche registrate il 6 dicembre1999).
Il numero 42 del 2 novembre 2001 è stato spedito dalTUfficio CMP
Nord di Torino, via Cebrosa 5, mercoledì 31 ottobre 2001.
2001
Associato alls
Unions stampa
psflodica Italian«
Commenti
fiuta di presenziare un seggio in
un’aula scolastica in cui sia presente il crocifisso.
In questi anni, solo gli evangelici e alcuni laici hanno continuato a lamentare questa indebita ostentazione fuori luogo di
un simbolo religioso, proprio
solo di una parte della popolazione italiana (con buona pace
dell’opinione del Consiglio di
Stato), e che nel passato ha sottolineato la «tolleranza» e la subalternità con cui venivano accolti e trattati i «diversi», evangelici ed ebrei in particolare. Poi
U clima è cambiato: secolarizzazione ed ecumenismo sembravano avere «depotenziato» questo
simbolo che, per
alcuni, poteva essere ormai paragonato al tricolore, all’inno nazionale, al Forza Italia dell’epoca preBerlusconi, oppure essere considerato un muto testimone del passato, come il Co^”***"™* losseo.
Dopo ri 1 settembre, invece,
il crocifisso viene ricompreso
in tutta la sua forza comunicativa, che noi evangelici abbiamo sempre rilevato e denunciato: l’Italia è un paese cattolico, i
diversi dai cattolici ringrazino
di poter vivere liberamente in
questo paese. Punto. Lo hanno
capito subito i genitori che hanno protestato per il gesto di
quella povera supplente spezzina, e che rappresentano oggi un
sentire comune in forte crescita. £ lo ha capito la comunità
islamica di La Spezia, che ha
preso le distanze dalla rimozione del crocifisso perché «è stato
un gesto eccessivo». E ora appare chiaro U motivo per cui, in
tempi di disinteresse religioso,
la gerarchia cattolica italiana
ha difeso strenuamente il suo
simbolo nelle aule delle pubbliche istituzioni della Repubblica: per avere un ulteriore elemento per tornare a occupare il
posto che in Italia ha sempre
preteso di rappresentare, cioè
la sintesi dei valori religiosi e
umani di questo paese.
C’è di che essere preoccupati.
Specie dopo l’Il settembre c’è
bisogno di più laicità, non di
meno laicità; c’è bisogno di più
pluralismo, non di meno pluralismo. E senza che questo significhi perdere la propria identità
e cultura. No, non siamo proprio americani, ma neppure siamo fi’ancesi o olandesi o britannici. Siamo italiani e questo ci
DALLA PRIMA PAGINA
Immigrazione
,i 1
Si cambia?
ni imprenditoriali) che sono
interessati all’esistenza di
flussi ordinati di lavoratori
immigrati. In questo modo la
qualità del rapporto di lavoro
diminuirà, e anche il datore di
lavoro sarà spinto verso forme
irregolari di sfruttamento».
- Che cosa stabilisce il ddl
riguardo alle norme sul provvedimento di espulsione?
«Il ddl, come già faceva il
Testo Unico, prevede la possibilità di accompagnamento
coattivo non sottoposto alla
convalida delle autorità giudiziarie. Tale disposizione
non tiene affatto conto di
una recente sentenza della
Corte Costituzionale che ha
chiarito come tale tipo di
espulsione è da considerarsi
"un atto coercitivo (...) che
direttamente incide sulle libertà della persona” e non
sulla semplice libertà di circolazione. Tale provvedimento quindi può essere stabilito solo con atto motivato
dall’autorità giudiziaria. Rispetto a queste norme va sottolineato inoltre il problema
dei costi: una espulsione costa in media dalle 500.000 lire
ai due milioni. Se poi si considerano i costi elevati che
hanno le misure di detenzione presso i Centri di permanenza temporanea, ho l’impressione che questo ddl così
com’è non abbia neanche la
copertura finanziaria».
- Dunque un ddl poco realistico?
«È un disegno che dà risposte semplicistiche sull’onda
di molte promesse fatte da
alcuni partiti in periodo elettorale nell’ambito del programma per la sicurezza».
- Il ddl non prevede una sanatoria. Che cosa ne pensa?
«La sanatoria in sé è sempre
uno strumento rischioso perché attira nuova immigrazione irregolare, e soprattutto
mette in moto forme di commercio di documenti, di ingressi che sono problematiche. Occorre piuttosto recuperare l’immigrato alla visibilità dandogli lo status legale,
che è un atto di prevenzione
contro la marginalizzazione,
lo sfruttamento, l’arruolamento criminale. Questa ormai è la convinzione di molti
esperti dell’immigrazione sia
negli Usa, in Canada ma anche nei paesi europei. Più si
limitano le possibilità legali di
ingresso più si spingono gli
immigrati a entrare irregolarmente utilizzando spesso i canali della criminalità».
- Il ddl comincerà l’iter parlamentare all’inizio del 2002:
Quale sarà il lavoro del Srm
in questo tempo?
«Siamo già all’opera. Il 22
ottobre scorso il presidente
della Fcei, Gianni Long, ha inviato un’articolata lettera alTon. Fini, vicepresidente del
Consiglio, che aveva chiesto
alla Federazione, come ad altre realtà che si occupano di
immigrazione e asilo, di esprimere una valutazione sul ddl.
La lettera aveva in allegato
un’ampia documentazione,
frutto di un processo di consultazione tra i vari organismi
dell’associazionismo laico e
religioso, che può costituire
un contributo a una corretta
legislazione in materia».
- In che modo le chiese possono partecipare a questa riflessione?
«In primo luogo vorremmo
promuovere un dialogo interreligioso e un lavoro di conoscenza e di informazione su
chi sono veramente le persone che arrivano nel nostro
paese, delle quali spesso abbiamo paura. Le chiese hanno il compito di conoscere e
di informare. Oggi non basta
non essere razzista, dobbiamo essere antirazzisti attivi.
Questa è testimonianza oggi.
Inoltre è importante che questo lavoro avvenga in rete. Le
nostre comunità sono impegnate in iniziative che spesso
rimangono isolate e dispersive. Per questo il Srm sta completando in questi giorni un
dossier informativo sul lavoro
del Servizio, che vuole essere
un utile strumento di consultazione per le comunità che
sono coinvolte nella sfida
dell’accoglienza e dell’integrazione».
Marta D’Auria
Dobbiamo scegliere in che modo essere chiesa
Superare la nostra schizofrenia
Che cosa possiamo fare, dunque? La prima
possibilità è di continuare a vivere la nostra
schizofrenia e portare avanti questi contrasti
interni, che forse, comunque, ci fanno sembrare ancora in vita. La seconda alternativa è di
abbandonare il processo di secolarizzazione in
atto e accentuare la nostra alterità. Ma ne saremmo capaci? Saremmo capaci di dare la decima, in vista di una piena autonomia finanziaria? Saremmo capaci di riscoprire la «povertà evangelica» invece della «sobrietà protestante»? Saremmo capaci di tornare a una predicazione del Regno contrapposta al mondo?
Non lo so, lo auspicherei, anche se talvolta mi
chiedo se questa è davvero la nostra vocazione.
La terza possibilità e quella di accettare la
nostra secolarizzazione fino in fondo, come
hanno fatto da tempo le nostre chiese sorelle
del Nord Europa, e accettare che non solo la
diaconia, ma anche la nostra predicazione
(che non dovrebbero mai essere scisse) può
essere secolarizzata, cioè parte integrante del
mondo che le circonda, pur con la sua carica
critica. Allora, in quest’ottica, forse, il sistema
dell’otto per mille ci sembrerà, invece che un
obbrobrio concordatario, un legittimo impegno da parte dello stato di finanziare una
componente sostanziale del suo corpo civile,
una componente che è fatta inscindibilmente
di predicazione e di diaconia. Le nostre chiese
sorelle vivono di un sistema molto slmile
all’otto per mille, col quale finanziano praticamente tutta l’opera della chiesa. Forse, allora, non ci scandalizzerà neanche più il fatto di
pagare anche i pastori con il denaro pubblico.
Io non so quale sia la scelta giusta. Fino a
questo Sinodo pensavo che l’otto per mille fosse il danielico «abominio della desolazione»,
perché credo che la chiesa debba essere il testimone autonomo, alternativo e profetico del
Regno, altro rispetto al mondo. Forse è possibile essere qualche cosa di simile anche se ci
secolarizziamo? In fondo, che cosa fanno le
nostre chiese sorelle al di là delle Alpi? Quello
che vorrei di tutto cuore, però, è che la nostra
chiesa prendesse una decisione, ponendo fine
a questa schizofrenia che stiamo vivendo e
che, mi pare, ci sta dilaniando. Scegliamo e
agiamo di conseguenza con decisione, con
coerenza e, soprattutto, con fede.
Eric Noffke
UN antico detto indiano,
degli Indiani d’America,
recita così: «Quando l’uomo
bianco avrà abbattuto l’ultimo albero esistente e avrà
ucciso l’ultimo bisonte, si
renderà conto che non può
mangiare il suo oro». E potremmo aggiungere oggi che
non può neppure bere il suo
petrolio, quando avrà inquinato tutta l’acqua della terra.
È una versione pittoresca di
un’affermazione biblica: «Chi
ama l’argento, non è saziato
dall’argento». All’indomani
deH’ll settembre, in tutto il
mondo si è detto: «Nulla sarà
più come prima». E infatti,
settimana dopo settimana, ci
stiamo accorgendo che la nostra vita cambia. Le agenzie
di viaggio hanno comunicato
che per questo lungo fine settimana pochissimi italiani
PIERO bensì
hanno prenotato un viaggio
all’estero. Eppure le persone
in movimento in questi ultimi
giorni sono oltre 5 milioni.
Le linee aeree rischiano la
bancarotta: nessuno vuole
più viaggiare in aereo. Per
contro vi sono le speculazioni
sulla paura altrui. I Lloyd’s di
Londra, forse la più potente
compagnia di assicurazioni
del mondo, hanno aumentato
le tariffe per l’assicurazione
sui voli fino al 600% rispetto a
prima, con enormi dividendi
per gli azionisti. 1 fabbricanti
di armi vedono moltiplicarsi
le ordinazioni: sembra che
tutti si preparino alla guerra. 1
padroni delle immense risorse petrolifere delle ex repubbliche sovietiche in Asia centrale sanno bene che soltanto
attraverso l’Afghanistan potranno far passare i loro oleodotti per raggiungere i gigan
VENERDl 9 NOVEMBRE
la Repubblica
Americani I
L’editoriale di Eugenio
Scalfari (21 ottobre) mette
in dialettica gli Usa del dopo
11 settembre con il vecchio
continente. «L’Europa scrive - dovrebbe affiancare
l’immensa forza americana
moderandone gli eccessi e
impedendo che il terrorismo, prima di essere distrutto, deformi le istituzioni e lo spirito di chi lo comhatte. In quest’ultimo mezzo secolo l’Europa si è molto americanizzata; doveva
accadere ed è un bene che
sia accaduto, ma ora credo
che sarebbe molto opportuno se TAmerica (...) si europeizzasse. Non è con l’integrazione delle minoranze
europee nel “melting pot”
americano che si può realizzare questo contributo perché gli immigrati sono americani al mille per cento fin
dalla seconda generazione».
Poi Scalfari approfondisce il
concetto: «Parlo dei valori
fondanti dell’Europa che
per gli Stati Uniti sono stati
quelli iniziali dei pellegrini
puritani sbarcati con la Bibbia e col fucile nella nuova
Inghilterra e dei “padri fondatori" della dichiarazione
d’indipendenza».
il Giornale
Americani II
Un controcanto indiretto
viene dall’editoriale di don
Gianni Baget Bozzo (23 ottobre) che accusa la Chiesa cattolica di cedevolezza
all’Islam. «Gli italiani-si
chiede - amano gli Usa? A
parole sì, ma nel profondo
no. Vi è intanto la differenza
tra il paese del cattolicesimo
e il paese del calvinismo. Le
differenze di due culture religiose che sono (...) divise
proprio dalle loro grandi similitudini. Il calvinista è solo innanzi a Dio, un cattolico è sempre nella comunione-delia chiesa. Il cattolicesimo è essenzialmente chiesa, il calvinismo è essenzialmente un’etica individuale.
(...) Le culture politiche del
XX secolo, cattolica, fascista
e comunista, furono antiamericane sulla base della
cultura cattolica: il rigetto
deH’individualismo e del capitalismo americano come
espressione del calvinismo».
La tesi del sacerdote è che,
in ossequio alla tendenza a
coinvolgere tutti comunitariamente, la Chiesa cattolica
rinuncia a porsi come alternativa all’Islam: («Oggi essere cattolici \7uol dire essere
compassionevoli, decisi a
dare ragione all’altro»).
leschi mercati del Pakistani
India e Sud-Est asiatico.
È indispensabile quindi cn
l’Afghanistan sia in mano
governanti amici. Sorge ‘
dubbio che la vantata disp
nibilità verso gli Stati uni
non sia dettata da solidarie
umana, ma da interessi ec
nomici. Chiamate a esser»
sentinelle del mondo, le ^ ,
se devono gridare oggi>
una parte e dall’altra, c
odio ed egoismo, amore
potere delle ricchezze
antichi mali che distruggo"“
l’umanità. «Poiché - afferma
Gesù - che serve all uo"r“
guadagnare tutto il
poi perde o rovina se stes
(Rubrica «Un fatto,
mento» della trasmissione
diouno «Culto evangelico’’ ^
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PAG. Il RIFORMA
25 Unioni femminili della Chiesa valdese
Seminario biblico a Torre
Le Unioni femminili delle valli valdesi sono in piena attività:
incontri di preghiera, riunioni quartierali, presentazione di libri, visite agli istituti, preparazione dei consueti bazar comunitari particolarmente presenti nel periodo che precede il Natale;
sono solo alcune delle iniziative che vedono coinvolte le donne
delle nostre chiese. Sabato IO e domenica 11 novembre, seminario biblico specifico delle Unioni e dei gruppi femminili, guidata dall’equipe della Cevaa che in queste settimane visita le
chiese delle valli: tema del seminario il versetto di Calati, 1, 28
«Un solo Evangelo, diverse culture»; l’incontro si terrà alla Foresteria valdese di Torre Pellice a partire dalle 14,30 di sabato e
vedrà l’équipe Cevaa partecipare al culto domenicale.
? Una iniziativa della Regione Piemonte
Formarsi per la montagna
«Cattedre ambulanti, corsi di formazione per la montagna» è
una iniziativa della Regione Piemonte rivolta a chi in moritagna intende lavorare o già opera nel campo turistico-ricettivo,
nella gestione di posti tappa, agriturismi o rifugi. Le proposte,
avviate in collaborazione con il Cai, si rivolgono sia ai privati,
singole e associazioni che agli operatori degli enti pubblici. I
corsi di formazione, per la provincia di Torino, si svolgeranno a
Venaria e si raggruppano in due grandi «famiglie»: quella della
gestione dell’accoglienza turistica e quella rivolta alla manutenzione dei sentieri, alla tutela e al ripristino del territorio. I
corsi avranno una durata rispettivamente di 24 e 30 ore; per
informazioni tei. 0171-696147 (Agenform di Cuneo).
Si è svolto a Pinerolo un incontro fra AsI, amministratori locali e Regione Piemonte
Tra sanità e il socio-assisteniiale
La collaborazione e l'interazione sono sperimentate da diversi anni, ma scontano l'annoso
problema finanziario. La complessità del rapporto con il settore privato dell'assistenza
DAVIDE ROSSO
La sanità regionale in
questo periodo è da
più parti al centro dell’attenzione. Molti i problemi che via via stanno
emergendo: dai farmaci
ai costi elevati del sistema, dalla discussione del
nuovo piano sanitario regionale allo studio, aH’integrazione più o meno
efficiente tra sanità e servizi sociali divisi dal vigente piano sanitario.
In questi anni i servizi
socio-sanitari si sono dati
una strutturazione propria indipendente dalle
Asl e con questa si rapportano come un qualsiasi ente esterno. Recentemente per fare il punto
sulla situazione dell’integrazione e della collaborazione tra i diversi enti,
sotto la spinta della Regione, vi sono state alcune riunioni che hanno
coinvolto sul territorio
regionale i Comuni (enti
gestori dei servizi) i servizi stessi e le Asl, oltre natoffiniente ai rappresentati della Regione. Uno di
guesti incontri si è tenuto
a Pinerolo e ha interessato tutto il Pinerolese an™e se la partecipazione
àa parte degli enti locali
non è stata, a quanto pare, proprio di massa.
*1 problemi emersi nel
torso della riunione sono
sempre i soliti - dicono ai
arvizi sociali delle valli
tosone e Germanasca t^he la sanità e il
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ncontro - dicono
Torre Pellice; la sede della Comunità montana vai Pellice
’’ubblicità
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all’Asl 10 - è la scarsità di
risorse finanziarie che
non consente di attuare
appieno i programmi di
lavoro e di servizio all’utenza. Per il resto i servizi nei quali Sanità e assistenza viaggiano insieme sono ormai numerosissimi: vanno dalle problematiche legate all’
handicap alla neuropsichiatria infantile, dal Sert
all’assistenza agli anziani». Sulla stessa lunghezza d’onda sembrano essere anche ai Servizi sociali della vai Pellice dove lamentano che «spesso a una progettualità comune buona e condivisa
non corrispondono adeguati finanziamenti da
parte dell’Asl che per
parte sua deve fare i conti con i fondi che le arrivano e può mettere a disposizione dalla Regione». In quest’ottica è stata fatta osservare la nota
dolente della mancanza
di un testo di convenzione tra vai Pellice e Asl cosa, dicono ancora in vai
Pellice, che è «sicuramente da imputare primariamente alla scarsità
di fondi prima che a una
diversità di vedute sulla
progettualità».
Ai soggetti pubblici poi
che operano e prestano
servizio nel sociale si aggiungono i privati, di cui
non si è ovviamente parlato nell’incontro di giovedì, che però svolgono
spesso un’opera impor
tante sul territorio. Tra
queste le opere valdesi
che devono rapportarsi
sia con l’Asl che con i
servizi socio-assistenziali. In vai Chisone sono
stati attivati in questi ultimi tempi collaborazioni importanti tra l’Asilo
di San Germano e i Servizi, come' la domiciliarità
e i pasti a domicilio. Difficoltà maggiori potrebbero esserci in vai Pellice
dove le opere, e non solo
valdesi, sono numerose e
la concorrenza è notevole. «Il rapporto con il privato - dicono ancora ai
Servizi sociali della vai
Pellice - è buono; purtroppo anche qui il problema sono i fondi.
Quest’anno per esempio non abbiamo avuto la
possibilità di corrispondere in termini finanziari
alle richieste che ci sono
pervenute. Anche se le
collaborazioni che abbiamo da anni attivato
sono buone». «La linea
che sta emergendo - dice
Franca Coi'sson, membro
della Csd - da parte delle
Opere è quella di cercare
una conduzione “unitaria”. Un rapportarsi unitariamente al pubblico
nella ricerca sia delle
convenzioni che delle
collaborazioni. Il progetto intorno a cui si sta lavorando è questo, cercando intanto di fare una
fotografia dell’esistente
per capire chi siamo e
dove stiamo andando».
Una proposta per l'Unesco
Il Monviso diventa
«riserva biosfera»
La zona del Viso potrebbe diventare una riserva riconosciuta dalTUnesco; a proporlo è il
Parco regionale del Queyras che ha proposto anche una denominazione:
specifica: «Réserve biosphère Grand Viso». Il
territorio interessato dalla proposta è quello, oltre
che del parco francese,
delle valli italiane che sono collegabili al Viso,
dall’Alta vai Susa, vai
Chisone, vai Pellice alle
valli cuneesi Po e Varaita
e in questa direzione sono stati contattati già i
parchi italiani e le Comunità montane. Secondo i
promotori il marchio
deU’Unesco «valorizza le
entità culturali e ambientali presenti, porta in sé
l’impegno all’educazione
delle future generazioni,
coniuga insieme strategie
di sviluppo e di tutela».
«Si tratta di una classificazione che non deve
essere percepita dalle popolazioni locali come un
nuovo vincolo - spiega il
presidente del parco Val
Troncea, Carlo Scarpa bensì come un riconosci
mento di un patrimonio
esistente». Gli incontri
già avvenuti sul versante
italiano dimostrano una
sensibilità comune fra le
parti dei due versanti che
coinvolge oltre alla dimensione ambientale,
anche quella linguistica,
culturale e storica: si tratta infatti di una zona cerniera.a cavallo delle Alpi
forse unica in Europa, tra
all’altro unita da una sola
lingua storica, il provenzale alpino.
I possibili partner ora
dovranno individuare
con precisione il territorio, contattare Comuni,
associazioni, le agenzie
presenti per realizzare
quello che dovrebbe essere un vero e proprio
«dossier di candidatura»;
Regione, Provincia di Torino, Università hanno
assicurato il loro appoggio. Su tutto il versante
alpino italiano vi sono altre candidature per questo riconoscimento delTUnesco, dal Piemonte
all’estremo Nord-Est; la
possibile riserva del
Monviso sarebbe la prima transfrontaliera.
ICONTRAPPUNTOI
GIOVANI: PERCHÉ
SE NE VANNO
NIASSIMO GNOME
Il lavoro c’è, ma i cervelli
fuggono. Le ricette per risolvere il problema dell’occupazione, almeno a livello
locale, ci sarebbero, ma bisogna imparare a dirsele,
trovando tempi e luoghi
per farlo. Resta il problema di come trasformare le
ennesime uova di Colombo
in uova d’oro, in nuovi posti di lavoro, —
facendo fruttare le peculiarità del territorio e le risorse umane
(anche se l’espressione
non è delle migliori). Sarà
possibile far
coincidere la
domanda e 1’
offerta sul mercato del lavoro? Come far crescere
l’occupazione e allo stesso
tempo aumentare la vivibilità del territorio? Sono domande che non riguardano
soltanto gli assessorati al
lavoro degli enti locali, ma
si intrecciano a tematiche
come la salvaguardia ambientale, la vivacità culturale e sociale.
Scarsi. Questo è l’aggettivo che descrive meglio i
tentativi delle amministrazioni locali (Comunità
montane e Comuni) di far
incontrare i soggetti, pubblici e non, per discutere
di lavoro. Certamente un
compito difficile: fra il dire
e il fare, si sa... ma il dialogo non si può costruire soltanto attraverso progetti
«pesanti», e importanti, come Patti territoriali o protocolli d’intesa ad ampio
raggio. Né deve limitarsi
agli incontri in vista delle
Olimpiadi 2006, occasione
che rischia di ridursi a una
serie di grandi investimenti
infrastrutturali e a una
fiammata (più emotiva che
costruttiva) nelle due settimane dell’evento. Né ci si
può affidare a finanziamenti regionali o europei.
Serve il confronto con
soggetti che non sono mai,
o quasi mai, presi in considerazione, come le scuole e
soprattutto il terzo settore:
quest’ultima una categoria
quanto mai larga che comprende cooperative sociali
e associazioni. Da anni si
rileva che nel Pinerolese
non è il lavoro a mancare,
almeno non quello qualificato. Eppure i giovani, soprattutto quelli con alte
qualifiche, se ne vanno, accentuando il pendolarismo
(da Pinerolo, ma anche
dalle Valli) o trasferendosi
sia valorizzata. Quali sono i
lavori che servono al territorio? Pochi giovani lo sanno, anche se negli ultimi
anni qualcosa è cambiato.
A Pinerolo la Scuola universitaria per il management d’impresa (collegata
alla facoltà di Economia e
commercio dell’Università
degli studi di Torino) ha
——— attivato un
In materia
di lavoro a volte
non si conoscono
bene le varie
opportunità
corso per operatori turistici; lo stesso succede
all’Istituto
alberghiero.
Ma sono mosche bianche
e l’informazione è poca.
1^1 settore
industriale è
in crisi. I grandi stabilimenti (ma anche le piccole
baite) si svuotano sotto i
colpi dell’economia globalizzata. Il rafforzamento
della presenza delle imprese transnazionali, i nomi
sono noti ma pochi sembrano rendersi conto delle implicazioni, non sembra essere stato un toccasana per
il lavoro nel Pinerolese. Sia
nel settore tessile, quasi
completamente trasferito in
paesi con produttività più
alta e salari più bassi, sia
nel settore meccanico con i
ridimensionamenti della
Fiat e del suo indotto. Lo
confermano le notizie, più o
meno recenti, di messa in
mobilità e licenziamenti.
Beloit, manifattura di Perosa, Sachs, Skf: l’elenco potrebbe essere lungo e a nulla sembra valere l’impegno
dei sindacati. Resiste, anzi
avanza, chi ha fatto del
marchio, e delle sue caratteristiche, la propria punta di
diamante. Un esempio? La
dolciaria Caffarel, pur se assorbita dalla svizzera Lindt,
gode di ottima salute e
diffonde i propri prodotti
dalla vai Pellice fino in Veneto e nell’Italia del Sud..
Sembra ormai evidente
che le potenzialità del territorio arrivano anche dalla
crescita e dal rafforzamento di tutta la «società civile» del territorio. Società
civile come insieme di soggetti che corrono «sotto» le
istituzioni, «sotto» le amministrazioni e che «dal
basso» fanno sentire la
propria voce e interpretano
in maniere diverse il principio di sussidiarietà. Le
associazioni culturali, i
gruppi di volontariato, i
mezzi di comunicazione:
una società civile che
orienta i giovani e inventa i
dove la propria formazione «suoi» lavori.
12
PAG. 12 RIFORMA
E Eco Delle ^lli Aàldesi
Inconveniente tecnico alle strutture di Pinerolo
La piscina ha ceduto
La vasca piccola e parte di quella grande hanno riversato
l'acqua nella sala macchine. Uno stop imprevisto
DAVIDE ROSSO
RAGAZZI DEL 2006 — Prosegue la serie di iniziative di formazione per i cosiddetti «Ragazzi del
2006», ovvero i giovani che potranno essere impegnati in attività di accoglienza in occasione
delle Olimpiadi del 2006. «Diverso da me» è il titolo del prossimo stage che avrà come temi la
multiculturalità, la consapevolezza delle differenti culture presenti nel mondo e le relazioni
che si possono creare nelle occasioni di contatto. Questa offerta formativa, completamente
gratuita, si svolgerà al circondario di Pinerolo,
in via dei Rochis 12 (dove si raccolgono anche le
adesioni) i venerdì 16, 23 e 30 novembre, con
week-end residenziale suUo stesso tema l’8 e 9
dicembre ad Agape (nella foto Ghigo di Prali).
CANE SALVATO NEL DIRUPO — Il più delle volte la
cronaca porta alla ribalta casi di abbandono di
animali domestici, specie nel periodo estivo;
questa volta la notizia è a lieto fine. Domenica
scorsa in alta vai PeUice alcune persone hanno
effettuato una operazione delicata e complessa
per portare in salvo un cane disperso da vari
giorni dopo essere scivolato in un canalone
ghiacciato a oltre 2.000 metri di quota. L’animale, non potendo uscirne da solo, abbaiava per
attirare l’attenzione da diversi giorni ma solo
domenica, grazie alla perizia del gestore del rifugio Barbara, Benazzo, e di Paolo Agli, non senza
difficoltà, è stato salvato; imbragata con una
corda la bestiola è stata portata in salvo, infreddolita ma in buone condizioni.
IL SEN. MALAN SUL PODIO DEI PRESENTI — Fra i
20 senatori più presenti in assoluto, secondo le
statistiche rese note dal Parlamento, su 1.119
votazioni fin qui svoltesi nell’attuale legislatura,
dopo il siciliano Mario Ferrara di Forza Italia al
secondo posto troviamo Lucio Malan, sempre di
F. I. eletto nel collegio di Pinerolo; di conseguenza Malan è il senatore piemontese più presente in aula; il gruppo con minori assenze
complessive è quello della Lega Nord Padania.
CORSO DI DANZA E PERCUSSIONI — Un corso di
danza e percussioni africane è organizzato
dall’associazione «Musicainsieme»; le lezioni si
terranno presso la scuola di musica a Luserna
San Giovanni in via Roma 41, il giovedì, dalle ore
18 alle 19,30 per le percussioni e dalle 19,30 alle
21 per la danza. 1 docenti Daniele Bertone, Daniele Bianciotto e Chiara Poli presenteranno i
corsi giovedì 8, alle 18 alla scuola di musica.
AFGHANISTAN: CESSATE IL FUOCO — Candele
accese contro il terrorismo, l’intervento militare
in Afghanistan e l’entrata in guerra dell’Italia: è
un’iniziativa del Val Pellice Social Forum e l’appuntamento è per giovedì 8 novembre dalle 17
alle 19 in piazza Partigiani a Luserna San Giovanni. L’incontro si ripeterà ogni giovedì alla
stessa ora, fino al momento del cessate il fuoco.
Si inizierà anche una raccolta di fondi per aiuti
umanitari a favore del popolo afghano, sostenendo il lavoro svolto da Emergency.
AL VIA TUTTOMELE A CAVOUR — Si inaugura sabato 10 novembre la nuova edizione di «Tuttomele» a Cavour, rassegna che proseguirà fino al
18 novembre fra spettacoli, gastronomia, spazi
espositivi e convegni. Alcuni appuntamenti; domenica 11 nel pomeriggio, esibizione degli
«Spadonari di Venaus»; lunedì alle 9,30, convegno sull’agricoltura, mercoledì 14, ore 21, «Festival delle corali e delle orchestre».
LABORATORIO TEATRALE IN VAL PELLICE — La
Comunità montana vai Pellice in collaborazione
con la compagnia Stilema di Torino ripropone,
come negli ultimi anni un laboratorio teatrale rivolto agli adulti a partire dai 16 anni che prevede
15 incontri il martedì dalle 21 alle 23, cominciando il 27 novembre. Gli incontri si svolgeranno al
Ciao di via Volta e saranno condotti dall’attore
Marco Bricco; costo 150.000 lire, 100.000 fino a
25 anni. Iscrizioni al tei. 0121-91556.
CONCERTO PRO OSPEDALE — Bellissimo il concerto di sabato 27 ottobre offerto dalla corale valdese di San Germano Chisone, diretta dal maestro
Riccardo Bertalmio, organizzato dall’associazione Amici dell’ospedale valdese di Torre Pellice.
Nonostante quattro serate importanti in valle, il
tempio di Torre Pellice era affollato; gli amanti
della musica hanno potuto apprezzare un programma che comprendeva grandi autori del ’500
e del ’600 (Goudimel, Hassler, Porceli, Haendel, J.
S. Bach, Schùts, Sweelinck) eseguito con grande
maestria. Successo e applausi meritatissimi per
l’esecuzione precisa e raffinata, voci eccezionali,
direzione attenta e coinvolgente.
A quaranta giorni dalla
sua apertura ufficiale, domenica 28 ottobre, è
giunta una battuta d’arresto inattesa per la nuova
piscina comunale di Pinerolo. Nella notte tra sabato 27 e domenica 28 infatti la rottura di due tubi
ha causato lo svuotamento completo della vasca
piccola e quello parziale
di quella grande con conseguente allagamento
della sala macchine, posta sotto il livello degli
impianti, e danneggiamento dei sistemi di continuità elettrica e delle
pompe di filtraggio. Conseguenza immediata la
chiusura della piscina
a tempo indeterminato
mentre i tecnici cercano
le cause del guasto e contemporaneamente provvedono al ripristino degli
impianti.
«Il problema per il momento - ha detto l’ing.
Massimo Savini, assistente alla direzione lavori
della piscina, nel corso di
una conferenza stampa
convocata mercoledì 31
ottobre in municipio - è
che non siamo ancora in
grado di dire quale sia
stata la causa della rottura. Le indagini, visto che
si è verificato lo stesso tipo di danno su due tubi
che erano in due situazioni operative differenti,
si presentano lunghe. Allo stato attuale, visto anche quanto ci dice la telemetria a nostra disposizione, quello che possia
mo affermare è che potrebbero essersi verificate
diverse concause ed è anche per questo che cerchiamo dei dati certi attraverso analisi chimicofisiche che stiamo facendo fare». Se dal punto di
vista delle indagini quindi per il momento si «naviga» ancora lontano dalla soluzione dell’enigma
«rottura» per quel che riguarda invece la riapertura degli impianti i tempi non sembrano essere
lunghissimi. «Entro 20 o
30 giorni - dice Giampiero Clement, assessore allo Sport del Comune di
Pinerolo - pensiamo di
riaprire, non appena saranno asciugate le pompe
e si sarà provveduto al ripristino dei gruppi di
continuità».
Per parte loro i gestori
della Uisp premono perché la piscina sia aperta
al più presto per non
perdere terreno in un’attività che nei primi 40
giorni ha dato sicuramente risultati positivi
con 900 iscritti ai corsi e
prenotazioni fino alla fine dell’anno da parte
delle scuole pinerolesi
per un totale di 2.500 ragazzi. «Approfitteremo
intanto di questa sosta
forzata - dice Giuliano
Verlato, uno dei gestori
della piscina - per intervenire anche sull’altro
problema che in questo
primo mese di attività si
era manifestato: il distacco di alcune piastrelle
dal fondo della vasca. La
necessità ora è di riattivare gli impianti e ricominciare al più presto».
Se il danno dal punto
di vista economico non
sembra particolarmente
importante, si parla al
massimo di alcune decine di milioni, più preoccupante potrebbe essere
quello di immagine e anche per questo si pensa
concordemente a un sollecito riavvio degli impianti con la volontà attualmente di continuare
la collaborazione iniziata
con i tecnici e la gestione
per arrivare insieme alla
soluzione dei problemi.
La piscina di Pineroio
Torre Pellice: la singolare vicenda di Paul Roland
Un extracomunitario dagli Usa
iWASSIMO GNONE
. lAMO tutti ameri
cio '
cani». Uno slogan
diventato cult dopo l’il
settembre, ma che nel
caso di Paul Roland, cittadino americano con
padre italiano originario
dell’Inverso di Torre Pellice (e lo si capisce anche
dal cognome), non è davvero di buon auspicio.
«Non si trova una regola
burocratica da applicare
al mio caso», commenta
sconfortato Paul, che da
quattro anni è costretto
alla condizione di pendolare forzato fra Italia e
Stati Uniti. Ogni tre mesi
Paul ha l’obbligo di imbarcarsi su un boeing e
attraversare l’Atlantico,
richiedere un nuovo visto
turistico e ritornare quindi in Italia, a Torre Pellice, dove vorrebbe svolgere l’attività di coltivatore
(Paul vive in una grande
casa di proprietà di suo
padre, con annesso terreno nella zona di Inverso
Roland!) ma non può farlo, perché non è cittadino comunitario.
Ma facciamo un po’ di
ordine. «Mio padre emigrò dall’Italia negli Stati
Uniti nel 1946 - ci racconta Paul Roland, nella
cascina di via Inverso
Roland! - e si sposò con
un’americana. Dieci anni
più tardi mio padre rinunciò alla cittadinanza
italiana per quella americana». Questo gesto impedirà a Paul, che nasce
due anni dopo, di poter
ottenere la doppia cittadinanza: un diritto rico
nosciuto ai figli degli italiani all’estero. La residenza ufficiale dei genitori, e per ora anche di
Paul, è nello Stato americano del Maryland, in un
sobborgo della grande
periferia di Washington.
Perché a un certo punto gli è venuta la voglia di
vivere in Italia? «Il sogno
dei miei genitori - spiega
Roland - era di ritornare
qui, a Torre Pellice, in
estate ma mio padre, che
vive tuttora, si ammalò
di una malattia molto
grave: aveva bisogno di
cure. L’ultima volta che
potè tornare in Italia fu
nel 1997». La passione di
Paul Roland per la residenza delle Valli cresce
in quelle estati; le sue
permanenze si moltiplicano, i periodi si allungano, fino alla decisione di
trasferirsi in Italia. «Non
si può vivere due vite commenta Paul, che pure negli Stati Uniti lascia
la sua passione per gli indiani americani e la loro
cultura -. Ero molto coinvolto nelle lotte del
movimento ambientalista e dei nativi americani
dell’Oregon, dove mi ero
nel frattempo trasferito.
A partire dal 1992, con le
commemorazioni per la
scoperta dell’America,
ho iniziato a impegnarmi
insieme con molti altri
giovani: lavoravo in una
stazione radio come volontario, sono anche andato a Ginevra per il
gruppo di lavoro per il
sostegno dei nativi americani». Un’attività che
gli resterà nel cuore e nei
pensieri: «Se volevo essere fedele a una certa visione del mondo che
avevo vissuto con gli indiani americani - commenta -, non potevo vivere un po’ qui e un po’
là: volevo dedicarmi alla
terra, a una sola».
La scelta cade sull’Italia
e inizia quello che lui
stesso definisce un «periodo kafkiano», a stretto
contatto con la realtà e i
problemi che gli immigrati conoscono bene: le
lunghe code aH’Ufficio
stranieri di via Ventimiglia a Torino, il miraggio
della sanatoria, l’incubo
dell’espulsione. Adesso ci
sono vie d’uscita? «La legge parla chiaro - dice Roland -: o essere assunto
da un datore di lavoro o il
matrimonio». E sorride,
in attesa degli eventi.
VENERDÌ 9
Proposta a Bobbio Pellice
Una polizia rurale?
In un periodo nel quale
il bisogno di sicurezza è
particolarmente sentito
dalla gente, e proclamato
a chiare lettere dai politici, fa notizia la proposta
di istituzione di un corpo
di polizia rurale comunale. L’idea, che ha sollevato non poche perplessità anche nelle file della
maggioranza, era all’ordine del giorno del Consiglio comunale di Bobbio Pellice di martedì 30
ottobre ma il sindaco, Aldo Charbonnier, ha preferito soprassedere. Per il
momento è stata formata
una commissione composta da quattro consiglieri (per la minoranza ci
saranno Davide Baridon
e Attilio Sibiile), incaricata di rèdarre entro la fine
dell’anno una bozza di
regolamento di polizia
rurale che a Bobbio risale
a quarant’anni fa.
«È arrivata la richiesta
da parte di un corpo di
volontari - spiega il sindaco Charbonnier - che
si affiancherebbe ai soggetti già presenti, come
le guardie ecologiche e la
polizia municipale». Il
mandato? «Questi volontari, peraltro già operanti
in altri Comuni, - dice
Charbonnier - si incarichebbero di far applicare
il regolamento di polizia
rurale e svolgerpKk
attività di supporto ¡m,
forze esistenti». Unm?
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delle forze di polizia ope
ranti sul territorio della
valle, magari a livello di
Comunità montana, coj
un riferimento costante
ai singoli Comuni, evi.
tando così inutili sovrap.
posizioni».
Nel corso del Consiglio
di martedì 30 sono stato
stabilite anche le date
delle fiere di primavera e
d’autunno: saranno la
prima domenica di gin.
gno, con l’abbinamento
di una nuovissima Sagra
del serass, e l’ultima domenica di ottobre perla
tradizionale Fiera d’autunno, affiancata da castagnata e Sagra della
moustardela.
HÜ Azienida venatoria di Massello
«Facoltà» di tutela
Il direttore dell’azienda
faunistico-venatoria Valloncrò di Massello, Vittorio Garrone, ha recentemente risposto all’esposto presentato a settembre nei riguardi dell’Azienda stessa da Claudio
Tron, proprietario di fondi a Massello. Nell’esposto si chiedevano chiarimenti sulla questione
della sicurezza dei cittadini e sul non rispetto
della normativa in materia da parte dell’azienda.
Alle argomentazioni
dell’esposto Garrone risponde che «le doglianze
nascono da una lettura
non corretta della norma,
che non prescrive affatto
l’adozione obbligatoria
di misure di sicurezza ma
si limita a consentire al
direttore l’adozione, qualora venga ritenuto necessario (...), di divieti
che in parte sono gli stessi disposti per l’intero
territorio regionali dalla
legge n. 32. L’adozione di
tale divieti è una mera facoltà: il sottoscritto non
ha ritenuto di porvi ricorso in quanto l’esercizio
della caccia così come è
praticato all’interno dell’azienda non comporta
rischi per terzi».
Immediata la replica di
Claudio Tron che oltre a
contestare la «mera facoltà» fa notare che «il
fatto che i divieti non siano estesi all’intero territorio dei comprensori di
caccia sarebbe, sempre
secondo il signor Garrone, un indice di questa
facoltatività: se i cittadini
rischiano la pelle altrove,
devono rischiarla anche
nelle aziende faunistiche:
la legge è uguale per tutti!
Tanto uguale, invece,
non è perché normalmente il calendario venatorio, almeno dei comprensori, è reso noto mediante manifesto e la caccia si apre diverse settimane più tardi che nelle
aziende faunistiche», b
conclusione Tron réspim
ge poi l’accusa di intenti
calunniosi, avanzata nella sua memoria da Garrone, e aggiunge: «Il signor
Garrone ha messo nero
su bianco che (...) poi®"'
do decidere se tutelai“
sicurezza degli ali"'
le misure previste dall
norma oppure no, decide espressamente di no
tutelarla. A questo pun»
la responsabilità pa*®
evidentemente alle au
rità competenti».
^ Una celebrazione pubblica a San Gemano Chisone
Ricordando la grande guerra
Giornata dedicata al ricordo quella
del 4 novembre in tutta Italia. A San
Germano è stata anche occasione per
la riflessione e l’approfondimento. Alle
classiche celebrazioni per la vittoria
conseguita nella prima guerra mondiale dall’esercito italiano, tenutesi in
mattinata, nella cittadina della vai Chisone si è aggiunto in serata un incontro nel corso del quale è stato proiettato un documentario sulla grande guerra e sono stati letti brani di Piero Jahier
e Emilio Lussu.
Nel dibattito, che è seguito alla
proiezione del documentario nella sala
Verdeacqua, i temi della guerra ormai
«lontana» nel tempo si sono incrociati
degli
con quelli di stretta attualità ~
eventi afghani. Le esperienze a i
scontri bellici passati, lette, -3
dai figli o da chi ha conosciuto an
qualche reduce della prima S*"®
mondiale sono andate a Ha
all’esperienza di chi ha fatto la
guerra per essere poi ribaltate ^0
sulla guerra in corso tutto soiu
lontana geograficamente ma a
molto vicina. Un momento comu
crescita e di ripensamento su che
è la guerra nel bene e nel male, " .jj^o
cosa può significare un evento
per una nazione ma anche per c
gole persone che, volenti 0 no
nella guerra si trovano coinvolte.
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A Luserna San Giovanni, nonostante i problemi
uon successo per la Fiera
0ncato partecipazione di alcuni «big» dello spettacolo
.(¡on ha connpromesso la validità della nuova formula
'nualche settimana di
^itato riposo e poi, ila
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Snoappuntaniento
Cera dei Santi di Lu¡Ja San Giovanni che,
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5„,i. Lascia 11 posto, a
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re«Tuttomele» di Ca
Le impressioni «a
V dopo le paure impiegate all’approssiLione con cut sono
annunciati ma non
„lizzati vari spettaco«sicali (come il confi.ito di Morandi) racdl un indubbio
di pubblico che,
anche al concomiaiuebel tempo, ha affollato spazi e momenti dellaiassegna. E la soddisfaàone si coglie nelle battute «al volo» degli assessori che hanno più direttamente lavorato nell’oranizzazione, da Paolo
lardiol a Livio Bruera o
Gabriella Pron.
Venerdì, giorno clou
della fiera, la coda delle
auto dirette a Luserna arrivava fino al ponte di Bitrovare un parcheggio? Una vera impresa, In questo senso forse
l’aver concentrato tutto
tiell’area degli impianti
sportivi ha complicato
ancora di più il problema
dell’accesso. Come di
consueto affollatissima la
patte zootecnica, con
centinaia di capi bovini e
ovicaprini, a conferma
del seguito di questa fiera, una delle maggiori del
settore nell’intera provincia di Torino. Positiva
anche la scelta di individuare un’area specifica
per ¡prodotti tipici del
territorio anche se la zona,scelta si è dimostrata
toppo marginale rispetto d flusso principale dei
visitatori della fiera; un
successo anche la parte
dedicata alla ristorazione: «Siamo molto soddisfatti - dice Livio Bruera anche perché si è visto
che grazie alla collaborazione di tutti si riesce a
promuovere i nostri prodotti trasformando in
prelibatezze ciò che gli
agricoltori producono o
coltivano». L’aspetto della convegnistica, a dispetto di una serie di appuntamenti forse eccessivi, ha comunque coinvolto diverse fette di po
polazione mantenendo
un livello costruttivo della discussione e fornendo
anche utili occasioni di
proposta. «È una fiera
che parte dalle sue origini agricole e sono contenta dell’andamento di
quest’anno - dice Gabriella Pron, assessore
all’Agricoltura occasioni come questa servono
anche a informare i giovani delle opportunità di
lavoro che questo settore
può rappresentare».
avalli Chisone e Germanasca
Giovani: discorso
da approfondire
DAVIDE ROSSO
Conoscere meglio
la realtà giovanile
valligiana per poter poi
avviare progettualità e
iniziative mirate. Questa
idea, coltivata della Comunità montana delle
valli Chisone e Germanasca, ha portato alla realizzazione di uno studio
terminato recentemente,
che presenta uno spaccato della realtà giovanile dai 14 ai 19 anni in valle. Lo studio, realizzato
da due ricercatrici, Loretta Costantino e Laura
Gianrusso, è stato condotto sia attraverso questionari direttamente indirizzati ai giovani (ottenendo risposte da 528 ragazzi sui 701 presenti in
questa fascia di età nelle
valli) sia attraverso interviste con i responsabili
delle associazioni sportive, dei gruppi giovanili,
delle chiese, dei servizi
sociali e dei Cat. Una fotografia della situazione
al 2001 in cui scuola, oc
L'ultimo spettacolo del Gruppo teatro Angrogna
«La bicicletta di Yang»
PIERVALDO ROSTAN
Ly INTEGRAZIONE o piuttosto la
I scarsa accoglienza nei confronti
degli stranieri che vengono da noi spinti dalla necessità di trovare un lavoro è
al centro del nuovo spettacolo del
Gruppo teatro Angrogna, «La bicicletta
di Yang» proposto in anteprima nei
giorni scorsi e in scena dal 10 novembre, per alcune settimane, alla sera del
sabato nella consueta cornice della sala
unionista di Angrogna. La nuova pièce
è il frutto di un libero adattamento di
un racconto scritto da Rita Sperone e
Massimo Tosco, adattamento libero al
punto da modificare totalmente il finale. anche se proprio sulla conclusione
dello spettacolo si sono concentrate
critiche o proposte di modifica al termine di una prova aperta offerta ad
amici e simpatizzanti il 1“ novembre.
La vicenda narrata è quella dell’im
prowisa scomparsa di un gruppo di cinesi dalla valle e quasi contemporaneamente del ritrovamento di un cadavere al «colle della Civetta». Ad affrontare Luna e l’altra vicenda (collegate?) c’è
una piccola televisione locale i cui studi, in diretta, saranno protagonisti della
scoperta della verità. Lo spettacolo è
profondamente calato nel tempo in cui
viene proposto, nella stretta attualità; è
una storia che affronta la questione immigrati ma anche fa riflettere sul ruolo
dell’informazione. È una storia che per
certi versi riassume anche la storia dello stesso Gruppo teatro, da sempre
.orientato ad affrontare temi sociali
mettendo in risalto le sofferenze degli
ultimi e le contraddizioni del potere (il
sindaco, lo stesso di «Lort Village», politicamente di destra, culturalmente inconsistente). Per assistere agli spettacoli, prenotazione in Claudiana oppure
commestibili Vecco a Angrogna.
■Torre Pellice: Patrick Eidiinger alla rassegna «Alpinismo in celluloide»
Tre stagioni passate su e giù per le Alpi
JMIARDSAFABBRINI
UN film per quardatfi Patrick Edlinger:
Atondo arrampica o si
posta nei fondovalle, rijosamente a piedi, in
¡f etta 0 sugli sci. Per
I “Glorio, méntre parean quel suo italiano
1 SI sicuro, solo un po¡ arrotondato dalla lin> toadre. Per osservarlo* Primi piani da rifu
SOlTiSO che,
nasrL^ ^ora, scende a
Pj. '^'^orsi nell’anima.
soelta^ri'^*''^” questa
I- ., di spazi e tempi
Quietai e non indelle difficoltà.
storia D stessa
laZjomente libero e
Ci 'su“^ ohe gli ha
corpo; una
Ci? ®™o*iia- di
C d? IQue
'Nolfa?^ Edhnger
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benr‘'‘?''^ospressio
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profondo
too, gesti, del rit
todivpf^^^eggio semte, ])a dell’ambien
gj?g’^are e vivere
g*°rno, senza fine.
167 giorni, dal 26 agosto
2000 al 9 febbraio 2001,
sono tre stagioni quasi
intere, sono i cieli tersi di
fine estate, i colori dolci
dell’autunno resi imprendibili da un clima
avverso, la luce breve e il
lungo freddo di un inverno fuori dalla norma. Lui
li ha passati attraversando le Alpi da Est a Ovest,
dalla Slovenia alla Costa
Azzurra, percorrendo decine di vallate, scalando
22 tra le pareti più difficili. Prima le Dolomiti, con
le grandi vie storiche della Civetta (la Solleder, il
Diedro Philipp-Flamm,
la Livanos-àabriel alla
Cima Su Alto) e delle Tre
Cime di Lavaredo (la
Brandler-Masse alla Cima
Grande), seguite dagli itinerari moderni, come la
famosa via attraverso il
Pesce sulla parete sud
della Marmojada. Poi le
Alpi Centrali, con un
tempo terribile.
E infine le Alpi Occidentali, dove ha realizzato la trilogia delle tre
grandi pareti nord: le
Grandes Jorasses per la
via Desmaison-Gousseault, il Cervino per la via
Schmidt e l’Eiger per la
via Eckmair. L’ultima sa
lita, il 30 gennaio scorso,
è sulla famosa via di Paolo Armando e Alessandro Gogna allo Scarason,
nel gruppo del Marguareis, in Marittime. In tutto, 142.000 metri di dislivello in salita, di cui
22.000 in parete, affiancato da compagni che
si avvicendavano e che
condividevano con lui il
piacere sempre uguale di
questa traversata: Patrick
Edlinger nelle salite su
roccia e, sulle vie di misto, tra gli altri Patrick
Gabarrou e Philippe Magnin. Ma anche, in solitaria, l’integrale del Monviso e la via Diedro Rosso
sulla parete nord-est del
Corno Stella.
Quasi una scommessa,
le riprese sono diventate
un film appassionante:
La grande cordata, presentato in una serata di
atmosfera, mercoledì 17
ottobre al cinema Trento
di Torre Pellice, nell’ambito della rassegna «Alpinismo in celluloide», da
Roberto Mantovani e dallo stesso Bérhault. E il
bello di questa lunga storia è che di tutta la fatica,
di tutte le difficoltà, delle
condizioni meteorologiche proibitive che l’han
cupazione, tempo libero,
volontariato, trasporti,
giovani e istituzioni sono
i temi affrontati. I dati
che emergono parlano di
giovani che frequentano
in maggioranza i gruppi
formali, cioè le associazioni sportive e non solo,
che si trovano con gli
amici nei bar o in piazza,
che vedono il bere alcolici alle feste come normale momento di divertimento, che chiedono più
informazioni sulle attività presenti in valle e
che hanno un buon rapporto con i genitori.
A fianco di questa realtà poi vi è quella di chi
non frequenta i gruppi né
formali né informali (211
ragazzi), di chi disoccupato (9 ragazzi) chiede
maggior possibilità di formazione, di chi è più isolato solo perché vive lontano da dove avvengono
le cose e non sa come
raggiungerle (sostanzialmente in alta vai Germanasca). Unà^ situazione
complessa che nella ricerca viene sviluppata
con ricchezza di grafici e
di dati. Una fotografia
della situazione giovanile
che nella seconda parte
della ricerca riporta i dati
disaggregati per ciascuno
dei 16 Comuni valligiani,
da Porte a Pragelato, da
Pomaretto a Prali.
no obbligato talvolta a
cambiare programma,
ma non a rinunciare, lui
trasmette soprattutto il
senso forte e positivo
dell’avventura e delle
emozioni, con una semplicità disarmante.
Se contiamo i suoi anni e le sue imprese, se ci
lasciamo stupire dal suo
modo nuovo di fare alpinismo fin dall’inizio, negli Anni 70, dobbiamo riconoscere che Edlinger
ha saltato le tappe delle
operazioni semplici. È
arrivato subito alle equazioni complesse con incognite multiple, giocando, quasi danzando con
quel suo corpo leggero e
forte che non si estenuava negli allenamenti du
ri, costanti, quotidiani.
Nessuna tregua, nemmeno per prendere fiato
dopo salite e discese impegnative. Eppure lui è
l’opposto dell’atleta autodisciplinato, rigoroso
per scelta. No, la sua
scelta vera, impegnativa
e responsabile, è la libertà. Gli riesce bene seguirla, perché sa proteggersi senza irrigidirsi
nella difesa. Basta guardarlo e ascoltarlo, appunto, per capirlo.
NELLE CHIESE VALDESI
UNIONI FEMMINILI — Sabato 10 e domenica 11 novembre, seminario biblico delle Unioni femminili,
guidata dall’équipe Cevaa, su «Un solo Evangelo,
diverse culture», alla Foresteria di Torre Pellice.
BOBBIO PELLICE — Culto animato dai giovani domenica 18 novembre. Riunione quartierale alla
borgata Campi, martedì 1“ novembre, alle 20.
LUSERNA SAN GIOVANNI — Riunioni quartierali,
inizio alle 20,30: giovedì 8 novembre a Fondo San
Giovanni, venerdì 9 agli Airali.
MASSELLO — Martedì 13, alle 14, riunione a Roberso.
POMARETTO — Riunioni quartierali: giovedì 8 novembre, alle 15, all’Inverso Faiola, mercoledì 14, alle 20,30, alla Lausa. Giovedì 15, studio biblico all’Eicolo Grando. Venerdì 16, alle 16, culto al Centro anziani di Porosa Argentina.
PRALI — Riunioni quartierali: martedì 13 novembre,
alle 20, a Orgere, mercoledì 14, alle 20, ai Pomieri.
PRAMOLLO — Giovedì 8 novembre, alle 20, riunione
quartierale ai Pellenchi, al museo. Venerdì 9, alle
18,15, incontro dei monitori al presbiterio. Lunedì
12, alle 20 nella sala, incontro con l’équipe Cevaa.
PRAROSTINO — Giovedì 15 novembre, alle 15, riunione alla borgata Gay.
RORÀ — Giovedì 8 novembre, alle 20,30, riunione
quartierale alle Fucine con la partecipazione dell’équipe della Cevaa e del coro Fihavanana. Sabato
10, alle 21, nel tempio, serata di canti, con la partecipazione delle corali di Prarostino e Rorà; ingresso
libero, offerte prò ristrutturazione del tempio.
SAN SECONDO — Riunione quartierale alle Combe,
mercoledì 14 novembre.
TORRE PELLICE — Riunioni quartierali: venerdì 9 novembre, alle 20,30, agli Appiotti; martedì 13, alle 20,
ai Simound; mercoledì 14, alle 20,30, ai Chabriols.
VILLAR PELLICE — Domenica 11 novembre, culto
serale alle 20,30.
VILLASECCA— Mercoledì 14 novembre, alle 20, riunione quartierale alla borgata Trussan.
RADIO
BECKWITH EVANGELICA
FM 91.200-96.550. Tel. 0121-954194
redazione.rbe@tpellice.tiscalinet.it
La voce del Cai-Uget Valpellice
Curare i sentieri
BERI PIVIDORI*
T N vai Pellice abbia\\Xmo tre dei Rifugi
più belli del Piemonte,
ma a sentieri siamo proprio mal ridotti». È questa una considerazione
che viene sollevata da
più parti e che rispecchia
purtroppo la realtà: segnaletica carente, lunghi
tratti franati o invasi dalla vegetazione o completamente dimenticati.
L’Aib, per motivi di sicurezza contro gli incendi,
e altre associazioni nei
vari Comuni si sono impegnate a si impegnano
a tenere puliti e a segnalare lunghi tratti di sentiero, in tutta la valle. La
Regione Piemonte, con
un piccolo finanziamento, ha permesso al CaiUget Valpellice di sistemare ultimamente alcuni tratti importanti di
collegamento fra Rifugi,
«imponendo» però l’apposizione di cartelli segnaletici un po’ estemporanei. Questi interventi, nonostante l’impegno,
sono poca cosa rispetto
al lavoro che si dovrebbe
fare, e soprattutto mancano di adeguato coordinamento e di un punto
di partenza uguale per
tutti. C’è quindi la necessità di riorganizzazione,
in termini di pulizia e di
segnaletica, non solo dei
sentieri di accesso e di
collegamento tra rifugi e
i valichi, ma di tutti i sentieri della vai Pellice e
della vai d’Angrogna.
I sentieri non sono di
proprietà del Cai né di
altre associazioni, ma
sono patrimonio di tutti;
per questo la Comunità
montana che ha gli strumenti e i tecnici adatti,
dovrebbe iniziare la stesura di un «catasto dei
sentieri» in modo da avere già a monte un quadro
generale della situazione,
e farsi carico del coordinamento delle varie associazioni che si impegnano in questi lavori, in
modo tale che possano
programmare insieme
un tipo di intervento organico di segnaletica e
numerazione uniforme
e, infine, erogare piccoli
contributi che possano
coprire almeno le spese
vive, necessarie per la
realizzazione dei lavori.
Non meno importante
è anche la promozione e
la valorizzazione dei percorsi cosiddetti «storici»,
alcuni dei quali dimenticati, attraverso adeguata
pubblicità e informazione, per non correre il rischio, come in molti casi,
di pulire e sistemare dei
sentieri per poi accorgersi che nessuno li usa,
semplicemente perché
non conoscendone l’esistenza. Infatti un tratto
di sentiero, una volta ben
pulito e segnalato, se viene frequentato assiduamente non avrà bisogno
di manutenzione perché
è appunto il continuo
passaggio di escursionisti che ne garantisce la
percorribilità.
* presidente
Cai-Uget Valpellice
Per la pubblicità
m
HníiííMA
SU
tei. 011-655278 - fax 011-657542
^ Libri novità
A spasso
per Luserna
Il giornalista Daniele
Arghittu ci porta a spasso
per Luserna San Giovanni attraverso immagini,
ricordi e incontri, nel bel
libro «Quattro passi a Luserna San Giovanni» che
Tamministrazione comunale ha voluto dedicare a
quanti, 130 anni fa, ebbero la lungimiranza di
compiere il difficile passo
della riunificazione tra i
due Comuni di Luserna e
San Giovanni Pellice.
Nato dall’incontro tra
l’assessore alla Cultura,
Carla Michialino, con le
fotografie raccolte dal
Giorgio Roman, il progetto del libro si è arricchito con ricerche nell’archivio comunale ed è
diventato fruibile per
tutti con la bella realizzazione dell’editore Hapax,
al prezzo contenuto di
25.000 lire. Arghittu parte
dal nuovo capoluogo degli Airali del 1871, poi
varca il Pellice per salire
a Luserna ampiamente
descritta nella storia e
negli edifici, ma anche
nell’incontro con Maria
Danna Falco, grande benefattrice delle opere sociali del paese; ridiscende
verso gli Appiotti passando da Blando, percorre
Contrada Reale (via Fuhrmann) raccontandoci di
Villa Olanda e della Mazzonis, costeggia la Ca’
Neuva (già sede municipale) ed entra ai Bellonatti, visita i due templi, per poi fiancheggiare
i binari verso la stazione,
le scuole, via Gianavello e
di nuovo gli Airali. È un
piacere seguirlo e soffermarsi sulle tante immagini di’n tempo, (mr)
L’Eco Delle Valli Valdesi
Via dei Mille, 1 ■ 10064 Pinerolo
tei. 0121-371238; fax 323831
14
PAC. 14 RIFORMA
E Eco Delle Yaui "Iàldesi
VENERDÌ 9
SPORT
PALLAVOLO
Bottino pieno per le
formazioni pinerolesi
impegnate nel campionato di serie C sul campo
del Palatechnosquare di
viale Grande Torino a Pinerolo: prima le ragazze
della Cerutti Technosquare hanno avuto la
meglio sull’Europa Metalli Novi, poi i ragazzi della Volley Pinerolo
hanno battuto la Nuncas
Polimatica Chieri.
Bella prova delle pinerolesi; le ragazze di Pignatelli sono partite subito bene e hanno chiuso
11 primo set 25 a 13, con
una certa facilità. Ma alla
ripresa l’Europa Metalli è
rientrata in partita in un
crescendo costante e, dopo un combattuto secondo set conclusosi a favore
della formazione casalinga, ha vinto il terzo set,
lasciando le pinerolesi a
12 punti. Nel quarto set,
le padrone di casa hanno
ritrovato la giusta determinazione per vincere la
partita chiudendo il set
25 a 16. Risultato importante questo per la Cerutti Technosquare che, uscita dai quarti in Coppa
Piemonte nel raggruppamento del 1° novembre
contro Chieri e Vigliano,
ora punta diritta ai play
off salendo al secondo
posto in classifica, a un
solo punto dalle capolista
Villar Perosa e Puntonolo.
Gran bella partita anche quella della squadra
maschile, che ha fermato
la corsa della capolista
Nuncas Pohmatica Chieri, vincendo 3 a 0, e supe
rando così la «sindrome
da terzo set» che sembrava aver colto i ragazzi di
Scali nelle ultime giornate di campionato.
I pinerolesi hanno giocato bene in tutti i fondamentali, recuperando
anche muro e difesa che
ultimamente avevano
preoccupato l’allenatore.
1 padroni di casa, consapevoli della bravura degli
avversari, sono partiti subito concentrati e determinati, cercando di non
lasciare spazio ai più esperti chieresi. Solo alla
fine del primo set gli ospiti hanno creato qualche difficoltà ai pinerolesi, che sono però riusciti
a mantenere il controllo
del gioco con un buon
muro e una ritrovata difesa. Nel secondo set tutto facile per i ragazzi della Volley, con una serie di
battute vincenti di Actis
Danna, e con Scarlatella,
Rizzo e Castellucci incontenibili in attacco. 11
terzo set, più combattuto, ma sempre in mano ai
padroni di casa, ha decretato la vittoria della
Volley Pinerolo, che sale
così al secondo posto in
classifica, a pari merito
con la Nuncas Polimatica
Chieri e a due soli punti
dalla fortissima Palmar.
Prossima partita fuori
casa per i ragazzi della
Volley Pinerolo, che giocheranno a Savigliano
contro l’Atlante. Derby
casalingo invece contro
la Villar Perosa Volley,
sabato 17 novembre alle
ore 21 presso il Palatechnosquare di viale Grande
Torino.
Da «L'eco delle valli valdesi»
Cinquanfanni fa
Ottobre 1951. Un ampio servizio de L'eco delle
valli è dedicato ai problemi deU’agricoltura. Si descrive l’esperienza di una
scuola di agricoltura in
Valle d’Aosta e poi si parla di quella dei Monnet,*
avviata da un anno allo
scopo di migliorare le
condizioni di vita della
popolazione agricola nelle valli valdesi. Interessanti le notizie sugli esperimenti fatti con il frumento Mont Calme 245
che può essere seminato
fino a 1.300 m di altezza,
e l’invito agli amici agricoltori: «Se volete migliorare la vostra tecnica, il
vostro bestiame e quindi
il vostro livello di vita, dovete procurare d’istruirvi
e fare istruire i vostri figli
e le vostre figlie. Un agricoltore valdese, che ha
avuto la grazia d’avere illuminata la mente, il cuore e l’anima non può non
amare e trascurare la propria terra per la quale i
padri hanno combattuto
e sofferto, non può e non
deve alienarla: ha l'obbligo morale di resistere».
Nel salone di Agape, da
poco inaugurata, si è tenuto il Congresso Fuv
con relazione di Tullio Vinay e decisione di fare di
Gioventù evangelica il
giornale di tutti i giovani
evangelici italiani.
Nelle cronache dalle
chiese, Pramollo si rallegra per il fatto che durante l’estate sono tornati a
visitare le famiglie parecchi pramollini e altri amici vi hanno trascorso le
vacanze. Purtroppo c’è
stata nebbia e pioggia come non mai; i culti sono
stati tenuti da Silvio Pons,
Alfonso Peyronel, Ermanno Rostan, Paolo Bosio,
Oreste Peyronel.
11 numero del 26 otto
bre dedica tutta la prima
pagina al 1° Congresso
mondiale dell’apostolato
laico, tenutosi a Roma: è
una tappa molto importante nella storia del cattolicesimo ma, scrive il
direttore, anche nel mondo protestante c’è bisogno di «laici cristiani che
siano anche sacerdoti
dell’Iddio vivente». Infine
l’Associazione degli insegnanti evangelici (Aice)
ha tenuto il suo convegno
annuale a Torre Pellice,
discutendo dell’insegnamento della religione nelle scuole elementari (Bonomi) e di quello di storia
e filosofia nelle superiori
(Caponetto e Gönnet) ed
eleggendo il seggio nelle
persone di Giorgio Peyronel, Evelina PonS, Levi
Dosio, Liliana Pons, Giovanni Gönnet, Roberto
Jouvenal, Giovanni Baridon. La quota annua è di
L. 300 (quella attuale per
la 31 ottobre è di 20.000).
La preoccupazione che
i valdesi non si «perdano»
quando si trasferiscono
fuori dalle Valli è ben
espressa da un'trafiletto
che recita: «Valdesi delle
Valli che vi trasferite definitivamente o provvisoriamente a Torino e nei
dintorni: vi raccomandiamo nel vostro interesse di
comunicare al Concistoro
della Chiesa di Torino il
vostro preciso indirizzo.
Valdesi delle Valli a Torino! Non estraniatevi dalla
Chiesa! Frequentate i culti nei templi di Corso P.
Oddone e di Corso Re Vittorio Emanuele. Inviate i
vostri figli alla scuola domenicale e al catechismo.
Giovani valdesi delle Valli
a Torino! La Chiesa e
l’Unione giovanile vi
aspettano. I pastori sono
lieti di vedervi. Venite!».
(a cura di Marco Rostan)
Buona prestazione della 3S Nova Siria Pinerolo
che nel posticipo domenicale della quarta giornata di campionato, serie
D, girone B, ha battuto in trasferta l’Allotreb
S. Mauro per 3 set a 0. La
formazione pinerolese,
guidata da Claudio Mina,
sale così al primo posto
in classifica a pari merito
con Nuncas Moncalieri e
Rotoflex Villafranca.
Nei campionati «minori» due sole vittorie, entrambe al tie break per le
squadre del 3S: under 17
femminile, girone F, 3S
Luserna - Chisola Volley
0-3; under 15 femminile,
girone E, Chisola volley3S Pinerolo 2-3; under 20
maschile, girone A 3S Luserna-Noicom Bre Banca
0-3; under 15 femminile,
girone B, Villar Perosa-3S
Luserna 3-0; under 15
maschile, girone B, Volley Pinerolo-Free volley
Giaveno 3-0; under 17
maschile, girone A, Volley Pinerolo-Sant’Anna
Pescatori 3-0; under 15
femminile, girone B Piscinese-3S Pinerolo 2-3.
HOCKEY GHIACCIO
Sarebbe bastato leggere i nomi dèlia squadra
messa in pista dal Chiavenna per capire che la
Valpe avrebbe avuto serie
difficoltà nel confronto:
Tessati, Uiacò, Merzario,
Frizzerà, Vaccani, per citarne alcuni sono uomini
dal passato nelle serie superiori. Invece, domenica
sera a Pinerolo, almeno
per un tempo si è visto
tanta Valpe e poco gli
ospiti. La prima frazione
si è infatti chiusa sul 3-0
per il Valpellice, certo
con un po’ di fortuna e
molte parate decisive di
Andrea Malan ma si sono
viste belle azioni finalizzate dal tandem De LucaErmacora. Purtroppo alla
fine del tempo si infortuna Simone De Luca; non
rientrerà. E l’avvio della
ripresa è da brividi: una
Valpe con una marcia in
meno va subito sotto.
AH’8’ è pareggio, al 12’ è
3-5. Poi per due volte Ermacora tenta di riportare
sotto i suoi (alla fine saranno 4 le sue reti) ma
ogni volta il Chiavenna
allunga. Finisce 8-5 per
gli ospiti, malgrado il so
stegno di oltre 500 persone sugli spalti; domenica
prossima trasferta ad Aosta; sarà una specie di
derby, visti i tanti ex da
entrambe le parti.
La giornata hockeystica segna però la prima
vittoria in campionato
delle ragazze della All
stars in serie A; dopo il
pareggio con il Como le
piemontesi sono andate
a vincere a Merano per
3-0 grazie a una prestazione convincente e alle
reti di Cristina Coucourde. Silvia Carignano e
Raffaella Canonico. È andata invece male all’under 19 di Chiarotti impegnata a Vipiteno; l’8-2
sancisce una superiorità
degli altoatesini fatta più
di maggiore concentrazione e grinta piuttosto
che di reale divario tecnico. 1 parziali (3-1; 3-0; 21) danno la dimensione
del successo della squadra di casa capace di imporre il suo gioco fino alla fine anche dopo un
tentativo di rimonta dell’All stars con le reti di
Babolin 2° e Viglianco.
Domenica prossima a Pinerolo, ore 18,30, arriverà l’Egna; occasione di
vittoria?
APPUNTAMENTI
TENNISTAVOLO
Continua la marcia vittoriosa della squadra di
CI nazionale della Polisportiva Valpellice; in
trasferta ad Alessandria i
valligiani si sono imposti
per 5-3 con due punti
ciascuno di Davide Gay e
Walter Fresch e uno di
Paolo Rosso. In C2 regionale una vittoria e due
sconfitte per le tre formazioni della Valpellice;
nel girone D la formazione composta da Sergio
Ghiri (3 punti), Riccardo
Rossetti (2) e Ghirardotti
ha superato al Filatoio il
Moncalieri per 5-3; nel
girone E i giovani Simone Odino, Mauro Cesano
e Luca Del Pero hanno
subito una netta sconfitta a Torino con lo Stampalia; 0-5; sconfitta anche nel girone F, ma solo
dopo quattro ore di gioco
intenso con la sconfitta
che arriva al quinto set
dell’ultima gara, sul 4 pari: il 4-5 deriva dai punti
di Lioy (2), Giuliano Ghiri
e Andrea Girardon.
8 novembre, giovedì
TORRE PELLICE: Nella sede del club «Amici del
bridge», piazza Gianavello 5'(ex caserma alpini), alle
21, avrà inizio un corso di bridge a base naturale, per
principianti, tenuto da Paolo Vigneti; quota di partecipazione, lire 20.000, iscrizioni e informazioni tei.
347-4281111.
PINEROLO: Alle 11, al liceo scientifico Curie, incontro con gli studenti su «Tradizione e poesia del
blues».
PINEROLO: Alle 17,30, al museo della diocesi, presentazione del volume di fotografie di Remo Caffaro.
9 novembre, venerdì
TORRE PELLICE: Alla Bottega del possibile, dalle
8,30 alle 17, seminario su «Donne e uomini, migranti
e native, fra continuità e cambiamento: nelle famiglie, nelle amicizie, nel lavoro di cura».
TORRE PELLICE: Al teatro del Forte, alle 21,15,
spettacolo «La diversitàfa la differenza».
10 novembre, sabato
CUMIANA: Nella sala incontri Carena, alle 21,15, va
in scena lo spettacolo «Provaci ancora Sam», proposto dalla compagnia «Greenwich village», ingresso lire
15.000, ridotto lire 10.000.
PINEROLO; Alle 21,15, al teatro Incontro, va in scena «Da giobia a giobia», del gruppo Ijbragheis di Bra.
PRAMOLLO: Alle 20,30, nel tempio vaidese, concerto del coro «La roca». Ingresso libero.
11 novembre, domenica
TORRE PELLICE: Al teatro del Forte, alle 16, spettacolo per bambini «La ballata del pifferaio». Lire 6.000.
12 novembre, lunedì
PINEROLO: Alla sede dell’Atl, via Giolitti, alle 20,30,
incontro dell’associazione «Bed&breakfast» sulla promozione turistica.
SAN GERMANO CHISONE: Fiera autunnale.
13 novembre, martedì
PINEROLO; All’Accademia di musica, concerto del
pianista Gianluca Cascioli.
14 novembre, mercoledì
TORINO: Dalle 16 alle 19, alla sede della comunità
ebraica, piazzetta Primo Levi 12, incontro su «Sviluppo della tradizione scritta e orale, forme di interpretazione e commenti, medioevo e Rinascimento».
TORRE PELLICE; Alla Bottega del possibile, fino a
giovedì 15, dalle 8,30 alle 17, seminario su «Morire a
casa, tra le persone e le cose care, esserci per accom- *
pugnare la persona, la famiglia, gli operatori».
15 novembre, giovedì
LUSERNA SAN GIOVANNI: All’Asilo valdese, alle
15, concerto e pomeriggio di solidarietà del gruppo
«Divertiamoci insieme» dell’Auser vai Pellice.
TORRE PELLICE; Alla Casa valdese, alle 15,30,
conferenza del professor Piero Ferrerò su «Giovanni
Pascoli e la poesia del mistero», per TUnitrè.
16 novembre, venerdì
TORRE PELLICE: Alle 20,45, alla Casa valdese, il
Gruppo studi vai Lucerna propone un incontro su
«Torino nella Storia» a cura di Francesca Bocci, «Torino un’impresa editoriale», a cura di Marco Navarino,
«Torino nel Risorgimento», a cura di Daniele falla,
conclusioni a cura di Claudio Pasquet.
TORRE PELLICE: Alla sede del Cai, piazza Gianavello, serata su «Le montagne della grande guerra», a
cura di Gian Paolo Rovetto.
17 novembre, sabato
PEROSA ARGENTINA: Al teatro Piemont va in scena la commedia brillante «El sagrin èd ven-i vej...».
Per prenotazioni telefonare allo 0121-8036653.
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telefono 800-2331
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DOMENICA 11 NOVE!
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pervenuto
PINEROLO — La ani
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ma, alla sala «Zceirtoi
Viaggio a Kandahar;!
riali e domenica crei
30 e 22,20, sabato 20,3I)¡
22,30; domenica ore
16,50, e 18,40 Comecaì
e gatti. Alla sala
da giovedì, AmericanBi alla sola (
2 oppure Vajont.
Dalla Regioni
Attenti alle
eurotruffe
Da gennaio l’euro»
trerà nelle nostre tascliei
di conseguenza nella»
stra vita quotidiana.*
canto alla nuova monen
potrebbero arrivare
ve truffe, realizzate coni
spesso accade nei moi
più impensati. La Re^i
ne Piemonte per sensi
lizzare al problema haif
centemente fatto sta»pare depliant e locandj*
nelle quali si ricorda qui
sono i rischi maggior
Tra i consigli: diffidai’
degli sconosciuti chei
cono di essere incaricatii
cambiare le vecchie b»
conote con le nuove.
Le rassegne teatrali del «Forte» di Torre Pellice
La storia del «Pifferaio magico»
Le poesie di Paola Dondona
Il nome della notte
Nell’ambito della rassegna «Domenicaintre»
domenica 11 novembre
2001, alle ore 16, nel teatro del Forte, la compagnia Teatro del Sole presenta «La ballata del pifferaio» di Renata Coluccini con Renata Coluccini, Sara Ghioldi, Antonio
Ranella, Antonio Rota;
regia di Renata Coluccini,
Massimo Navone; musiche originali di Mario
Buttafava.
Hamelin è una città
della Bassa Sassonia, sul
muro della «casa del cacciatore di topi» si legge
ancora l’iscrizione; «Nell’anno del Signore 1284,
il giorno di Giovanni e
Paolo, e cioè il 26 giugno, 130 bambini nati ad
Hamelin sono stati ammaliati da un pifferaio in
abiti multicolori e condotti verso il monte Calvario, nei cui recessi sono spariti». Una compagnia di comici viene
chiamata ad Hamelin
per commemorare con
uno spettacolo l’evento
più importante della storia della città. Famiglia
d’arte, guitti senza tem
po, si trovano a mettere
in scena una storia, quella del Pifferaio magico,
che non conoscono. Rivivono quindi le vicende
della città e con essa i
dubbi e le inquietudini
che la storia contiene. Lo
spettacolo si muove su
due binari paralleli; da
un lato il complesso rapporto tra adulti e bambini rispetto alla «verità»,
alla relazione con il potere, all’uso dell’inganno;
dall’altro il fascino e la
forza della poesia, dell’arte e del teatro.
11 Teatro del Sole è nato
nel 1971 ed è una delle
compagnie storiche del
Teatro italiano ragazzi.
Trent’anhi di costante in
contro e confronto con il
mondo dei ragazzi sono
le fondamenta del suo lavoro di ricerca e formazione che pone al centro
della propria poetica teatrale l’attore e il suo linguaggio, fisico e verbale,
con grande attenzione
per la musica e le immagini, in un contesto evocativo e non descrittivo.
La ricerca della compagnia si nutre della realtà che la circonda, con
grande attenzione all’evolversi dei linguaggi e
forme di comunicazione,
ma ribadendo continuamente la forza, l’etica e la
diversità di una forma comunicativa come quella
dell’arte teatrale.
«L’unico nome della
notte» è il titolo della raccolta di poesie (un centinaio, tutte scritte fra il
1982 e il 1983) di Paola
Dondona, autrice pinerolese e perciò tutta da
scoprire. Paola Dondona
è nata a Roma, ma vive a
Pinerolo e collabora da
tempo con Amnesty International (è stata anche coordinatrice della
sezione pinerolese). «L’
unico nome della notte»,
pubblicato per i tipi de
«L’autore Libri» di Firenze, non è il suo primo libro; in passato ha già
pubblicato «Una lunga
giornata da attraversare».
La raccolta inizia con
una citazione da Elias
Canetti («1 giorni vei
no distinti/ fra loro,
la notte/ ha un
me»), per poi aprir®
una composizione a
cata al «Silenzio» deli
bazia di Staffarda.
trice si lascia cullare»
suoi versi e appr°'
ricordo, cardine di w;
la raccolta: dalla For
ria valdese di VeneJ
(«Casa Cavassa»),
vani amori»! P®*®
1 dlIiUll"»
per vecchi matrirno"
recenti piogge- ,
versi, a volte poc^j
mi, quasi dei franr
(uno su tutti
«E nel silenzio/ sen^
passi/ che non ci
ormai»), ci accomp^
no attraverso
notturne e impro .
rochet
nascite, eondu^' ^
alla ricerca di
Va \ fA
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passati, visite^
sogni ricorrenti.
amicizia e relazio
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giustizia d
perazione
che, per c
sciarsi rie
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appartieni
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Ltuffici
Tavola va
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mostra su
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PAG. 15 RIFORMA
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dere il resto della propria vita
aria sola gloria di Dio. Ed è
l’annuncio di chi tutto questo
può operare il compito precipuo della chiesa, nella refonsabilità di avere un messaggio nuovo da dare all’umanità per renderla veramente
umana; soprattutto in una società occidentale cristianizzata ma che non conosce più la
giustizia di Dio al punto di definire «giustizia infinita» un’operazione militare e politica e
che,per correggersi, deve lasciarsi ricordare dai musulmani che la giustizia infinita
appartiene solo a Dio.
ANNUNCIO
t'-ufficio 8 per mille della
tavola valdese mette a disposizione degli interessati la
mostra sul Salvador presentate il 15 agosto 2001. Per informazioni telefonare al numero 06-4815903.
Dove la giustizia è confusa
con la vendetta, il compito
della chiesa è di fare chiarezza nella fede e ricordare che
nessuno è giusto di fronte a
Dio se non in Gesù Cristo. A
noi è richiesta fedeltà all’Evangelo e alla sua predicazione, se pure viviamo e crediamo in esso. Credo che un netto richiamo all’aspetto «dogmatico» della fede sia un’urgenza pressante per evitare i
reiterati errori di confondere
prassi umana e opera di Dio.
Bisogna rivalorizzare questo
aspetto teologico per denunciare (vedi Barmen) chi ancora una volta, da ambo le parti,
parla con la bocca di Dio e fa
del suo nome una bestemmia
per l’umanità.
lo non so da quale parte sia
schierato Dio nell’attuale
conflitto, e in realtà poco mi
interessa. Considero prioritario il fatto che la sua gloria è
messa in discussione là dove
risulta comprensibile se allineata con i diversi interessi
del mondo che conta. Da parte musulmana si sono levate
numerose voci di protesta sul
fraintendimento talebano
dell’islamismo. Anch’io sono
convinto che l’Islam non sia
questo, e mi convincono anche le denunce sulle sperequazioni economiche che la
nostra civiltà ha prodotto nelle loro terre, ma da qui a chiamare a raccolta tutti i musulmani alla lotta contro gli «infedeli» nel nome di Dio... Anche i capi religiosi dell’Islam
autentico farebbero bene a
impegnarsi per una chiarezza
teologica che non dia più spazio a certe deviazioni.
Ma, come si sa, «senza farina non c’è Torah» e forse,
dalla nostra parte, più che
prendere posizione dovremmo affrontare umilmente e
«umanamente», senza cioè
tirare Dio in ballo in ogni cosa, le numerose contraddizioni che caratterizzano questa nostra Terra, e farlo sempre in modo nuovo come uomini e donne toccati dalla
grazia e ricondotti a un nuovo modo di intendere la nostra umanità da un Dio che
può là dove noi non possiamo. Abbiamo bisogno di
continui surrogati o ci crediamo ancora?
Armando Casarella - Avellino
Foresif
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a jEura di Ferrucdo Corsáid
Al di là degli innumerevoli
pregi di varia natura, prò-,
Pri della musica, questa possiee anche un’ulteriore virtù,
squisitamente morale, di poter
essere cioè veicolo e segno di
Memità. In quest’ottica rieneno vati fenomeni; per esemapertura della cultura e
P ^sto musicale degli eurornusica afroamericana,
areligiosa sia folclorica in pristiin' "^'^olrrrente, per il negro
. fwl, ma poi anche per altre
e. Non pochi gruppi euror- dati a questo «geneuricale»; fra tutte le inter«valide» cito quella
du Jourdain, un
chi ° ?.* pievani di Losanna
negli Anni 60 eseguivano
P^«tamenteglispmtuais.
fe^ avvicinamento
tiam°^° * Srazie alla musica notessenel grande intecidsn, ® musica classica ocGiappone, con la
SDeHoi numerose scuole
a Corti per gli strumenti
'I concer
Welli giovane vio
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di Palazzo
"P citare\nT^®'
•li coreani ‘ notevoli cori
ottimi r .Italia danno
i ® hanno
«—componenti anche
immigrati aderenti alle nostre
chiese o a comunità evangeliche coreane.
In giorni piuttosto vicini,
scorgiamo una nota di fraternità nel fatto che, almeno fra
gli evangelici italiani, siano abbastanza Iloti i canti che, a detta di un quotidiano nostro, i
newyorchesi, in segno di concorde reazione all’angoscia per i
fatti dell’ll settembre, intonavano con cuori dolenti; inni e/o
canzoni come John Brown (che
qui cantavamo ai tempi della
costruzione di Agape) e Amazing Grace (che cantiamo al
culto: n. 48 dell’attuale Innario). L’articolista apprezzava
questo fatto così spontaneo, rilevando come in Italia non esista una tradizione di canti tra il
popolare e il religioso, capaci di
esprimere sentimenti collettivi
così forti e immediati.
Ma questo non è che un piccolo seppur significativo particolare del grande vincolo di
fraternità che si stabilisce fra
credenti di vari popoli e linguaggi, nel cantare, appunto,
inni di altre genti; inni inglesi,
tedeschi, francesi, moravi, sudamericani e via dicendo; cantando i loro inni, li sentiamo a
noi fratelli in fede: è un dono
che ci è dato e che non sempre
sappiamo valutare neH’intera
sua portata.
□ Più spazio alle
opinioni diverse
La lettera del pastore Giovanni Conte pubblicata sul n.
40 e quelle dei fratelli ArtusMartinelli e Papini del n. 41
mi hanno scaldato il cuore:
qualcuno finalmente ha preso la parola contro un silenzio troppo lungo e ambiguo
riguardo a quei poveri morti
dell’11 settembre e ha preso
una chiara posizione in merito al coinvolgimento della
Fcei con il movimento Gsf.
Fin dai primi interventi apparsi su Riforma ho desiderato scrivere per dichiarare
il mio partecipe dolore a
quella tragedia immane, causata dagli attacchi terroristici
spietati e feroci e soprattutto
ingiustificati e ingiustificabili
rivolti contro la popolazione
inerme degli Stati Uniti, e per
manifestare il mio dissenso
con la posizione assunta dalle nostre chiese, decisamente
politica, anzi partitica. Ho
poi rinunciato e sono rimasta
a osservare gli sviluppi e le
prese di posizione. Sono una
sorella isolata che vive nella
diaspora e ha rari contatti
con la sua comunità. Quindi
ho pensato di non essere aggiornata riguardo alle decisioni prese, certamente risultato delle discussioni tra i
membri delle comunità e
delle delibere delle varie assemblee. Ma ora leggo che
così non è stato e pertanto
credo di poter esprimere liberamente il mio pensiero e
soprattutto il mio dissenso.
E triste notare che proprio
noi evangelici, nemici di ogni
forma di gerarchia verticizzata, in questa occasione ci siamo comportati come i fratelli
cattolici sempre tanto criticati: il vertice ha deciso la linea
da seguire e la base ha subito.
Forse che la Federazione, o
meglio chi la rappresenta,
erano convinti che tutti gli
evangelici italiani condividessero le sue scelte? Se è così, a dir poco ha peccato di
arroganza e di presunzione.
Non mi è piaciuto quel
viaggio a New York in compagnia di alcuni personaggi a
dir poco discutibili e non ho
condiviso la partecipazione
alla marcia per la pace. Que
Riformati prigionieri nel Castello di Miolans
EIMIANNOAIIIIIONE
1 687. Dopo la prigionia
nella Cittadella di Torino,
nove pastori con le loro famiglie furono divisi e mandati a tre a tre nei castelli di
Nizza, di Verrua e a Montmélian, e quindi nella fortezza, tristemente nota, di
Miolans. Alcuni giorni fa, approfittando di una visita in
Savoia, ho visitato questo castello situato a 25 km da
Chambéry, destinato a dura
prigione dai duchi sabaudi.
La prigionia in questo inaccessibile castello dei pastori Giraud, Jahier e Chauvie, per le crudeli condizioni
di vita e per il rigore del freddo, portò alla morte di quest’ultimo l’B dicembre 1689.
Dopo l’agosto 1689, in seguito al Rimpatrio, poiché i prigionieri erano considerati
degli ostaggi e al duca premeva che essi non potessero
aver nessun contatto con gli
esiliati valdesi in Svizzera,
furono ancora inasprite le
loro condizioni di vita e furono rinchiusi nel sotterraneo
chiamato «inferno» e riservato ai più pericolosi.
Così scriveva Giraud annunciando la morte di Chau
vie: «Il sotterraneo “inferno” è spaventoso per la sua
profondità, per l’oscurità,
per 0 fetore delle latrine che
vi sono dentro, per l’acqua
che esce lungo i muri e per la
mancanza di riscaldamento».
Si possono ancora osservare
in questi antri alcune scritte
lasciate sui muri da prigionieri politici e comuni. Scendendo da una strettissima
scala si entra nella prigione
della Les oubliettes dove i prigionieri erano buttati e dimenticati nella profondità
della fossa, il cui era dissemi
nato di punte acuminate: vi si
gettavano i condannati a
morte. Finalmente il 5 giugno
1690, dopo 4 anni di durissima prigionia, furono liberati i
due pastori superstiti.
Nel frattempo si attende
l’apposizione di una lapide
sul mastio della Cittadella a
Torino (già approvata dalla
Commissione toponomastica) per ricordare la tragica
prigionia di 200 valdesi (donne, vecchi e bambini) con i
loro pastori, che hanno duramente pagato il loro impegno
verso le comunità delle Valli.
sto non è il momento di fare
manifestazioni chiassose,
spesso incivili, a volte violente, in cui facili slogan generalizzano e appiattiscono la
complessità dei problemi
senza proporre soluzioni. Sarebbe invece l’occasione di
riflettere, pregare e operare
in silenzio per chi soffre,
chiunque esso sia. Che cosa
vuol dire dichiararsi «pacifisti» e manifestare a favore del
popolo afghano? Questo popolo soffriva fame, distruzione, violenza e ingiustizia già
più di vent’anni fa. Perché a
quel tempo non c’è stata lacuna marcia di protesta? Esiste qualche diversità tra la
guerra intrapresa dall’ex Unione Sovietica e quella iniziata dagli Stati Uniti?
È spontaneo che sorgano
dei dubbi e mi ponga delle
domande sulle buone intenzioni dei pacifisti. E noi evangelici ci prestiamo a questi
equivoci di parte? Se qualcu
La questione omosessuale
Una notte di qualche settimana fa navigavo su Internet
quando ho trovato un sito
evangelico riformato italiano,
anche se non ho capito di
preciso a quale chiesa riformata appartengono questi
fratelli. La cosa che ha destato la mia attenzione era il loro
atteggiamento nei riguardi
dell’omosessualità: un linguaggio molto duro nei confronti delle persone che vivono questa situazione, ma anche un parlare duro contro gli
evangelici che hanno un atteggiamento, diciamo, «tollerante» verso gli omosessuali.
Ma ciò che mi ha più colpito è stato l’intervento scritto
da parte di un evangelico su
una pagina degli ospiti di
questo sito: «Dovrebbero essere messi a morte come accadeva ai tempi dell’Antico
Testamento». La cosa più sorprendente, secondo il mio parere, è stato l’atteggiamento
di condivisione del pastore
che gestisce tale sito che sembra essere il loro leader, inoltre definisce gli evangelici che
hanno una diversa posizione
con il titolo dispregiativo
«quegli evangelici». Non ho
un’idea precisa sull’omosessualità dal punto di vista teologico, ma non ho problemi
ad essere amico di omosessuali non ho problemi a mangiare, ridere, pregare e stare
in loro compagnia.
Il problema non è dare una
legittimità biblica al loro stile
di vita, ma riuscire semplicemente a capire che sono esseri umani come noi. «Mettere a
morte»: spero che siano solo
parole sparate nel mucchio
senza riflettere, perché in caso contrario siamo di fronte a
un grosso problema... veramente un grosso problema.
Metterli a morte in che modo,
con la lapidazione o il gas come facevano i nazisti? e dopo,
di chi sarà il turno? dell’ebreo,
del musulmano o magari il
mio, che non la penso come
loro? chi ci dà il diritto di decidere chi meriterebbe la
morte e chi no? Il Dio che si
presume che tale persone annunciano, è lo stesso Dio
dell’Evangelo al quale fa riferimento il loro titolo di evangelici? Dio avrebbe potuto decretare la sua definitiva sentenza sull’umanità e condannarci alla morte e al peccato,
ma Dio è venuto in soccorso
deU’umanità con l’opera della
morte e resurrezione di Gesù
Cristo; allora come possiamo
solo pensare di pronunciare
una così terribile sentenza,
anche se magari solo verbale?
Cari fratelli di questo sito vi
invito a riflettere, e vi voglio
dire che gli omosessuali io li
considero miei fratelli, spero
che non vi offendiate per questo e spero che questo spirito
di fratellanza sia ricambiato
da voi. Mi dispiace, ma la notte invece di chattare (come
fanno tanti trentenni scapoioni come me) navigo in altre
acque a cercare altri evangelici. Un saluto da uno «di quegli
evangelici».
Enrico Occhiato
Torre Annunziata
no dei nostri fratelli vuole
partecipare è libero di farlo a
titolo personale, ma non arrogandosi il diritto di rappresentare tutti gli evangelici e
tutto il protestantesimo italiano, secondo un comportamento che trovo fazioso, autoritario e contrario alla nostra essenza.
Confido che Riforma, non
solo con questa rubrica ma
soprattutto con i suoi articoli
e gli approfondimenti, sappia
cogliere l’opportunità di ascoltare e dare spazio alle diversità di opinioni che sicuramente esistono nel mondo
evangelico in un momento
così tragico e lacerante.
Sara Rivedi Pasqui - Pistoia
M Calvino
eitalebani
Ho letto con un certo stupore il paragone e il ritratto
di Jean Calvin che Guido Ceronetti fa su La Stampa del 4
ottobre nella sua «Lanternina
rossa». Paragonare il riformatore franco-svizzero e la Ginevra di Calvino all’Afghanistan dei talebani mi sembra
storicamente infondato e
culturalmente e spiritualmente fuorviante.
In una recente, equilibrata
e ben documentata biografia
di Calvino dello storico inglese Alister MeCrath si fa finalmente e giustamente giustizia del mito e dell’immagine
del riformatore svizzero (dittatore spietato, disumano e
assetato di sangue) fatta propria da Ceronetti. Tale immagine sarebbe dovuta, secondo lo storico inglese, alla fervida fantasia e alla penna di
Per I vostri acquisti,
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Jerome Bolsec, un contemporaneo di Calvino che scrisse una biografia del riformatore basata solo su racconti
orali anonimi, ma senza il riscontro di alcuna prova.
Inoltre va ricordato che a
Ginevra, sia pure con limiti e
imperfezioni, esisteva una
forma di democrazia diretta
che in Afghanistan non mi
pare esista; che Calvino, come semplice habitant, non
aveva, sul piano politico, nessun diritto attivo e passivo, e
quindi era escluso dall’amministrazione della giustizia
civile e peucile; che la sua autorità e influenza era ristretta
e si esercitava, caso mai, solo
sul piano ecclesiastico, all’interno del Concistoro, potendo giungere anche a infliggere la scomunica, che aveva
però valore solo nell’ambito
ecclesiastico-religioso, ma
non civile; che durante tutta
la vita di Calvino a Ginevra fu
eseguita una sola condanna a
morte, quella, nota di Michele Serveto, promossa dallo
stesso Calvino.
Possiamo convenire che
anche una sola esecuzione è
già troppo. Ma lo stesso Benedetto Croce, grande assertore del liberalismo, pur deprecando questo unico episodio di intolleranza e di condanna a morte, ha riconosciuto il grande merito che il
calvinismo ha avuto nella nascita e nell’affermazione delle
moderne democrazie liberali
occidentali: basti pensare alla
Prima Rivoluzione inglese,
opera precipua dei puritani
anglosassoni, e agli stessi
Usa, che molto devono ai Padri Pellegrini e ai puritani.
Arturo A. Cericola
Torre Pellice
■ PARTECIPAZIONI ■
RINGRAZIAMENTO
«lo alzo gli occhi ai monti,
donde mi verrà l'aiuto?
Il mio aiuto viene dell'Eterno
che ha fatto il cielo e la terra»
Salmo 121,1-2
Il figlio, la nuora e i familiari tutti di
Mario Vittorie (Tulun)
partigiano
ringraziano tutti coloro che hanno
voluto dimostrare II proprio affetto
in questa circostanza.
Un grazie particolare alla dottoressa Brun, alla direzione e al
personale tutto dell’Asilo valdese
di Luserna San Giovanni e alla
Residenza per anziani Villa dei tigli di Cavour, all’Anpi di Luserna
San Giovanni e al pastore Berutti.
Luserna San Giovanni
8 novembre 2001
I necrologi si accettano
entro le ore 9 del lunedì
16
PAC. 16 RIFORMA
VENERDÌ 9 NOVEMBRf,^.
Reportage dopo una breve visita nel paese, a due anni dair«ingerenza umanitaria»
Viaggio nel Kosovo «liberato»
La guerra? A ricordarla sono i resti di case bruciate, le carcasse di mezzi corazzati serbi ancora
visibili qua e là. Soprattutto, c'è la massiccia presenza militare della cosiddetta Kosovo Force
FULVIO FERRARIO
IL panorama che accoglie
. chi esce dall’aeroporto di
Pristina non è quello di un
paese distrutto, al contrario:
le case sono ricostruite, anche se i mattoni a nudo, senza rintonaco (non previsto
dai programmi d’aiuto) contribuiscono a creare una certa impressione di disordine:
la vita scorre normale, i ragazzi vanno a scuola, i negozi
e i mercatini sono frequentati, tutti hanno il televisore
con parabola satellitare e il
cellulare, anche se per avere
l’abbonamento non ci si può
rivolgere all’ufficio apposito
ma occorre acquistarlo dai
ragazzini al soldo delle organizzazioni illegali che controllano ampi settori del paese. E la guerra? A ricordarla
sono i resti di case bruciate,
le carcasse di mezzi corazzati
serbi ancora visibili qua e là,
le decine di movimenti funebri dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck). Soprattutto, c’è la massiccia presenza militare della cosiddetta
Kosovo Force (Kfor), con le
decine di posti di blocco e il
dispiegamento di mezzi in
assetto di guerra, in particolare a protezione dei resti
della minoranza serba, delle
chiese ortodosse (due carri
armati per una cappella, all’incirca) e dei monasteri. Ma
prima di dare un sommario
quadro del Kosovo attuale, a
due anni dall’«ingerenza
umanitaria» può essere utile
ricordare il recente passato.
Che cosa è accaduto
È accaduto che, sotto il regime di Milosevic, che governava il Kosovo in quanto parte della Serbia, la maggioranza albanese, di religione islamica (molto secolarizzata,
peraltro) fosse oppressa dalla
minoranza serba, cristianaortodossa (più o meno altrettanto secolarizzata), che occupava tutti i posti di potere
pubblico, le pochissime.atti
Una casa di una famiglia albanese di Klina distrutta dalle milizie
serbe nel 1999 prima del termine dei bombardamenti
vità egonomiche, la polizia,
oltre naturalmente a comporre l’esercito.
È accaduto che gruppi di
resistenza albanese abbiano
iniziato una guerriglia. L’Uck
era un’organizzazione guidata dai capi clan albanesi, non
priva di sistematici collegamenti con le organizzazioni
criminali di Tirana e dintorni.
La guerriglia ha naturalmente prodotto un’escalation
della repressione serba, condotta non solo dall’eserdto e
dalla polizia «regolari», ma
anche e soprattutto dalle famigerate bande paramilitari,
reduci dalle stragi in Bosnia.
La drammaticità del conflitto
ha provocato l’esodo della
popolazione albanese, le cui
case sono state distrutte.
È accaduto, poi, che la Nato decidesse di intervenire
militarmente, bombardando
parecchi obiettivi jugoslavi, a
Belgrado e altrove, nonché le
posizioni serbe in Kosovo. In
questa fase le milizie serbe
hanno dato il peggio di sé e
gli eccidi hanno raggiunto il
loro culmine, pur senza raggiungere vette bosniache. E
accaduto che la «liberazione»
del Kosovo permettesse il ritorno della popolazione albanese e costringesse all’esodo
■H II Cec'e il conflitto israelo-palestinese
Un programma ecumenico
per promuovere la pace
Il Consiglio ecumenico
delle chiese (Cec) ha predisposto un programma ecumenico di osservazione della
situazione in Palestina e in
Israele (Emppi), in vista di
coordinare le attività delle
équipe ecclesiastiche ed ecumeniche che operano nella
zona. Il programma, approvato dal Comitato esecutivo
del Cec durante la sua sessione deU’ll-14 settembre scorso a Ginevra, si inserisce nel
contesto generale della reazione ecumenica di fronte al
conflitto israelo-palestinese.
Verranno stabiliti legami
con vari progetti pilota collegati alle chiese, già in fase di
attuazione. Fra questi, la
campagna «I civili uniti per
la pace», coordinata da organizzazioni olandesi che lavorano nei campi dello sviluppo, dell’ecumenismo e della
promozione della pace; un
programma ecumenico lanciato dalla Chiesa di Svezia;
un programma di osservazione predisposto da DanChurchAid, in collaborazione con il Consiglio delle relazioni interecclesiastiche della Chiesa evangelica luterana
della Danimarca, e ancora
un programma ecumenico
di accompagnamento elabo
rato dal Forum di Church
World Service (Usa) sul Medio Oriente.
Il programma concentrerà
la sua azione sull’osservazione delle violazioni dei diritti
della persona in luoghi difficili come i posti di controllo;
esso avrà inoltre il compito di
seguire la gente nelle sue attività quotidiane come andare
a scuola, al lavoro o all’ospedale; esso osserverà le decisioni delle autorità e parteciperà a manifestazioni nonviolente. Lavorerà con le
chiese locali e con gruppi di
difesa dei diritti della persona
e di promozione della pace.
Secondo la signora Salpy
Eskidjian, dell’équipe «Relazioni internazionali» del Cec,
il programma Emppi «offre
alle chiese di tutto il mondo
un mezzo efficace per manifestare la loro solidarietà attiva con i loro fratelli e le loro
sorelle di Palestina e di Israele che lottano per resistere alla dura occupazione militare
servendosi di mezzi nonviolenti». Il programma Emppi
costituirà inoltre la base di
nuovi sforzi di educazione e
di promozione miranti a favorire una soluzione pacifica
e giusta del conflitto israelopalestinese. (Cec info)
quella serba, anche in questo
caso con sistematico rogo
delle abitazioni. I serbi rimasti sono ora confinati nelle
«enclave», vere e proprie riserve indiane, blindate dalla
Kfor, che vivono vita autonoma: si parla serbo, le automobili hanno targhe serbe, la
moneta è il dinaro jugoslavo,
mentre nel resto del Kosovo
circola il marco tedesco.
È accaduto, infine, che le
minoranze non serbe abbiano cercato di barcamenarsi
nella difficile situazione. La
popolazione Rom, stanziale,
di lingua albanese e religione
islamica, è malvista dagli altri
albanesi, anche perché accusata (non sempre a torto, pare) di collaborazionismo con
le milizie serbe: vive, come
del resto prima della guerra,
in condizioni più disagiate rispetto alla media del paese,
in quartieri fatiscenti, ma che
non hanno normalmente bisogno di una speciale protezione armata. La minoranza
cattolica (3% circa) è anch’
essa di lingua albanese. Durante la dominazione serba
ha avuto vita meno difficile
rispetto agli islamici e mentre un gran numero di moschee è stato raso al suolo
(pare che il tiro al minareto
fosse uno sport assai apprezzato dai carristi serbi) le
chiese cattoliche sono rimaste sostanzialmente intatte.
Durante e dopo la guerra la
popolazione cattolica si è
schierata con la maggioranza
islamica ed è dunque uscita
incolume dal rivolgimento.
Inoltre la parte consistente
svolta dalle organizzazioni
cattoliche nell’opera di ricostruzione ha favorito i buoni
rapporti con gli islamici.
. (1 - continua)
Milano: un incontro molto partecipato
Israele: lavorare per
la pace educando alla pace
SERGIO RONCHI
..TL mio popolo abiterà
«li
un’oasi di pace» si legge nel profeta Isaia. In ebraico, Nevé Shalom; in arabo,
Wahat al-Salam. La parola
profetica è stata presa sul serio in Israele, in un villaggio
abitato da palestinesi, ebrei
e cristiani: Nevé ShalomWahat al-Salam, appunto.
Conosciuto in tutto il mondo,
specie in Germania ma pure
in Italia (nel Modenese), questo «esperimento» in atto da
un trentennio ha «preso la
parola» anche a Milano, presso la libreria Claudiana, in un
incontro altamente partecipato svoltosi all’inizio di ottobre. Tema, «Opporsi alle
crociate, lavorare per la pace.
L’impegno educativo di Nevé
Shalom-Wahat al-Salam».
«Si tratta di una realtà tollerata a fatica dal governo»,
ha detto Bruno Segre, presidente dell’Associazione italiana Amici di Nevé ShalomWahat al-Salam nel presentarne il sindaco, il palestinese
Anwar Daoud, e un cittadino,
l’ebrea Evi Guggenheim. Infatti, ha aggiunto Daoud, «lo
Stato di Israele, l’ufficialità,
ritiene non buona la convivenza tra “nemici”. Invece il
villaggio è un esempio visibile di come sia possibile vivere
con i “diversi”». Di Nevé Sha
lom-Wahat al-Salam fann
parte 47 famiglie e circa 3m
sono in lista d’attesa; la f
ro convivenza non pòrta
a un appiattimento dei i
porti ne a una conseguen,¡
Come è organizzato il villaggio cooperativo israeliano
Nevé Shalom-Wahat al-Salam, oasi di pace
La comunità è un villaggio
cooperativo, equidistante da
Gerusalemme e da Tel AvivGiaffa, fondato nel 1972 (la
prima famiglia, però, vi si insediò nel 1977) nel quale vivono insieme ebrei e palestinesi di cittadinanza israeliana. Gestito democraticamente, di proprietà dei suoi stessi
abitanti e non legato ad alcun
partito 0 movimento politico,
esso è la prova tangibile che
ebrei e palestinesi possono
senz’altro coesistere quando
diano vita assieme a una comunità basata sull’accettazione, sul rispetto reciproco e
sulla cooperazione. Il villaggio traduce i propri orientamenti ideali attraverso la realizzazione di vari settori in cui
si articolano le sue attività.
La scuola elementare di Nevé Shalom-Wahat al-Salam dove bambini arabi ed ebrei studiano insieme
Asilo nido, scuola materna
scuola elementare
Alle prime nascite, si decise
di creare un asilo nido binazionale; da qui, in seguito,
sorsero una scuola materna e
una scuola elementare che
recentemente hanno visto aggiungersi un nuovo edificio
per accogliere un maggior
numero di scolari. Unico caso
in Israele con educazione bilingue, il sistema scolastico di
Nevé Shalom-Wahat al-Salam è informato ad alcuni
principi base: insegnamento
e gestione ebreo-palestinese,
predisposizione di un ordinamento che consenta del tutto
naturalmente un incontro costante e quotidiano fra i bambini dei due popoli, uso delle
lingue ebraica e araba come
veicolo di comunicazione educativa, sviluppo delle identità individuali attraverso la
mutua conoscenza delle rispettive cultura e tradizioni.
La materna è stata riconosciuta ufficialmente dal ministero israeliano dell’Educazione nel 1992 e l’anno successivo quella elementare.
La Scuola per la pace
Fondata nel 1979, attraverso campi estivi per incontri
tra giovani laureati, incontri
di lavoro tra professionisti
provenienti dai territori am
ministrati dall’Autonomia palestinese (Cisgiordania e Gaza) e Israele, corsi (per la formazione di «facilitatori» esperti nell’operare con gruppi
conflittuali e uno annuale su
«Il conflitto alla luce della teoria dei gruppi» per laureati al
dipartimento di Psicologia
dell’Università di Tel Aviv e
all’Università Ben Gurion nel
Negev) e seminari (di reciproco incontro e uninazionali sul
conflitto per giovani palestinesi ed ebrei, per gruppi di
adulti insegnanti e operatori
sociali, per stranieri interessati ai problemi della gestione
del conflitto) opera per accrescere la consapevolezza della
complessità del conflitto e
migliorare, attraverso strumenti esclusivamente educativi, la comprensione reciproca tra palestinesi ed ebrei.
La «Casa del Silenzio»
Ubicata sul dorso della collina, la «Casa del Silenzio» si
rifà al versetto del Salmista
che confessa: «Per Te, il silenzio [dumia] è lode». È infatti
uno spazio per la meditazione, per la riflessione o anche
per la preghiera offerto a
quanti, nelle loro rispettive
diversità, desiderino trovare
nel dumia un comune santuario. Vi si svolgono incontri
condotti da un gruppo di studio tesi a promuovere riflessioni e ricerche relative all’incidenza dei valori etici e spi
rituali sull’educazione e sull’edificazione della pace.
Ospitalità
Nel villaggio hanno sede
un’accogliente e confortevole
foresteria che pratica tariffe
contenute e un efficiente
ostello per la gioventù. Si
tratta di strutture che offrono
la possibilità di visitare Israele, di conoscere il villaggio e
partecipare alle attività della
Scuola per la pace, (sr)
omologazione. Un punto ne
vralgico, un esempio trai
tanti, è rappresentato dalli
piscina: intorno a essa avvie
ne un positivo e vitale sca®
bio di opinioni e, quindi e
mergono gli inevitabili e ¿e.
liminabili contrasti. Il che è
di estrema importanza pe,
poter crescere tutti insieine
nel pieno rispetto delle dive;,
se identità. La scuola eie
mentare ha registrato un au
mento di due classi e la Seno
la per la pace di tre. Il min,
stro per l’Educazione la ritie
ne inutile; tanto che i finan
ziamenti per la voce più
vosa, trasporto (il 90% (
alunni proviene daU’estemSi
vanno vieppiù assottiglian!
dosi. Però una soluzione ci
sarebbe: è racchiusa nella
formula «lealtà verso lo stato», ha precisato Daoud il che
significa, ha continuato, «più
diritti per gli ebrei, secondo il
governo, uguaglianza di diritti per tutti, secondo noi». Ciò,
però, non è possibile. Il villaggio è membro delt’Organizzazione per la coesistenza
e pertanto è attivo anche sul
piano dei diritti umani; per
esempio, si batte per il rispetto dei beduini come pure per
rifornire di cibo e di acqua
palestinesi che vivono nei
pressi del villaggio dentro
grotte. Vengono effettuati
turni di guardia ai pozzi, ma,
la polizia israeliana li inquina
buttandovi dentro sabbia.
«Nevé - ha puntualizzato
Evi Guggenheim - significa
tanto oasi quanto sorgente; e
noi siamo diventati un’oasi
perché in Israele il movimento per la pace ha perso vigore
e la nostra strada dell’educazione per arrivare alia pace,
in questo anno della seconda
intifada, è da abbattere:è
“strano” che noi esistiamo».
Contro la pace lavorano, accanto al lancio di sassi e ad
armi da fuoco, anche una
informazione tendenziosa,
che non ha capito che il villaggio vive la propria vitata
un «pacifico disaccordo» e di
«discriminazioni correttive»
(per esempio, gli ebrei devono imparare l’arabo ánchese
l’ebraico è la lingua dotninante!) tese a concretare 1
guaglianza. Nella Scuolai
bambini (oltre 300) giocano
insieme senza problemi e si
va avanti anche se per ragioni
finanziarie più della meta
delle attività programmate
sono state annullate. «Dateci
una mano - ha detto Guggenheim -: con i nostri pW'
grammi offerti ad altre reai
educative noi collaboria®
per affrontare i conflittl»
Bruno Mussar e Anne Marie Le Meignen, fondatori di Nevé
Shaioi”
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