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. -PER PPn J/G
BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno VI :: Fasc. I. GENNAIO 1917
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 GENNAIO 1917
DAL SOMMARIO : Èva Amendola : Il pensiero religioso e filosofico di F. Dostoievsky (con ritratto) - LUISA GIULIO BENSO : “ La vita è un sogno „ di Arturo Farinelli - GIOVANNI PIOLI: L'Inghilterra di domani (con sette illustrazioni) - MARIO Pu-GLISI: I primitivi rimedi religiosi contro il male - NOTE E COMMENTI : Una lettera di Fr. Raffini - Le idee religiose di un deputato italiano (G. Gay) - Lettera aperta a Benedetto Croce (qui quondam) - Il “ Christus „ della Cines (Gioì). Costa) - Il nome '* Farisei „ (Leone Luzzatto) - m. : Rassegna di filosofia religiosa (X) - Raffaele Corso: Etnografia religiosa (II) -LA GUERRA (Notizie, voci e documenti); ecc.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo X X — Crescenzio, 2 - ROMA —
D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per l’Estero — Kfa del Babuino, 107- ROMA ———
AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO Per l'Italia L. 5. Per l’Estero L. 8. Un fascicolo L. 1.
# Si pubblica la fine di ogni mese
in fascicoli di almeno 64 pagine.
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A causa dei continui richiami, si moltiplicano i vuoti nella Redazione e in Tipografia, e crescono quindi le difficoltà nel lavoro della Rivista. Ma la Rivista continuerà a vivere, grazie alla generosa attività di provati amici.
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ROMA
Al presente fascicolo sono uniti gl’indici del Voi. Vili (2° Semestre 1916)
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BI0CMNI5
R.M5IÀ DI S1VDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELi* SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA - DI ROMAH
SOMMARIO:
Èva Amendola: il pensiero religioso e filosofico di F. Dostoievsky pag. 5 (Ritratto di F. Dostoievsky. Tàvola tra le pagine 8 e 9).
LUISA GIULIO Benso: «La vitale un sogno» di Arturo Farinelli . » 11
Giovanni Pioli : Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. - Esperienze
e previsioni. Parte III. L’Inghilterra di domani ...... > 20
Illustrazioni: 1. J. Keir Hardie, il minatore-deputato, fondatore del
partito socialista inglese. - 2. Cattedrale di Rouen. - 3. Interno della cattedrale di Rouen. -4. Rouen: Torre in cui fu rinchiusa Giovanna d’Arco.-5. Profanazione d'una chiesa.-6. Russi che soccorrono un ferito tedesco. - 7. Crocifisso rispettato dagli obici d’un bombardamento. - (Una tavola fuori testo tra le pagine 32 e 33).
Mario Puglisi: Le fonti religiose dei problema del male. - IV. I primitivi rimedi religiosi contro il .male...............> 39
NOTE E COMMENTI :
Red.: Una lettera di Francesco Ruffini .................. > 55
Gaio Gay: Le idee religiose d’un deputato italiano ........... . » 56
8ui Quondam: Lettera aperta a Benedetto Croce............. * 57
iovanni Costa : Il « Christus » dèlia «Cines»............... » 58
Leone Luzzatto: Il nome «Farisei» ...... ............. » 61
TRA LIBRI E RIVISTE:
m. : Rassegna di filosofia religiosa (X) : Il ritorno di Mazzini - Pensiero e azione - Pensiero e fede - Là verità morale - Mazzini e il Cristianésimo - Il nuovo problema della morale ................. . . . '. « 1 62
Raffaele Corso: Etnografia religiosa (II): Folk-lore militaire suisse - Costumanze e leggende popolari delle regioni cuneesi - Appunti di antropologia e sociologia criminale popolare................ » 68
Giovanni Costa: Varia ..................... . . . . . » 71
Mirella Paschetto (Tavola tra le pagine 72 e 73)
LA GUERRA (Notizie, voci, documenti):
A. De Waal : Figure di soldati dell’antica cristianità - Dagli autentici « Atti dei martiri..................... .............. » 73
Giovanni Pioli: Guerra e alcoolismo: Che cosa sostituire all’alcoolismo ?Alleanza delle chiese contro l’alcoolismo ............... » 82
Giovanni Pioli : A fascio : L’educazione militare nelle scuole - Seguaci del Principe di Pace - Nell’ora buia.................. > 85
Cambio colle Riviste .......... . ............... » 73
Pubblicazioni pervenute alla Redazione ............... » 82
Croce Rossa Italiana - Il problema dei mutilati - Occorrono mezzi . . . » 84
Libreria Editrice « Bilychnis » ............. ...... » » 87
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Estratti dalla Rivista “Bilychnis”
(In vendita presso la nostra libreria)
Giovanni Costa: La battaglia di Costantino a
Ponte Milvio (con 2 disegni e 2 tavole). . . . 1,00;
Giovanni Costa: Critica e tradizione (Osservazioni sulla politica e sulla religione di Costantino) . 0,50 i
Giovanni Costa: Impero romano e cristianesimo (con 3 tavole). . . . . 1,00 ;
Salvatore Minocchi : I miti babilonesi e le origini della Gnosi..............0.60'
Luigi Salvatorelli : La storia del Cristianesimo ed i suoi rapporti con la storia civile............0.301
Calogero Vitanza : Studi oommodianei (I. Gli anticristi e l’anticristo nel Carmen apologelicutn di Commodiano; IL Com-modiano doceta ?) . . . 0,30 :
Furio Lenzi: Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con 1 tavola e 4 disegni)................ 0,30 '
Furio Lenzi : L’autocefalia della Chiesa di Salona (con ir illustrazioni) . . 0,50
F. Fornari: Inumazione e cremazione (con 6 illustrazioni)........ 0,30!
C. Rostan : Le idee religiose di Pindaro............0,30 !
C. Rosta»: Lo stato delle anime dopo la morte, secondo il libro XI del-1’«Odissea» ...... 0,30!
C. Rostan : L’oltretomba nel libro VI dell’« Eneide» .......... 0,50 I
Antonino De Stefano: I Tedeschi c l’eresia medievale in Italia...........1,00
Alfredo Tagliatatela: Fu il Pascoli poeta cristiano ? (con ritratto e 4 disegni) ......... 0,30
F. Biondolillo: La religiosità di Teofilo Folengo (con un disegno). . . . 0,30 j
F. Biondolillo: Per la reGiosuè Salatiello: Il misticismo di Caterina da
M. Rosazza: La religione del Nulla (con 6 disegni).
Siena \con 1 illustraz.). 0,25 R. Wigley: L’autorità del Giosuè Salatiello: L’urna- Cristo (Psicologia relìnesirao di Caterina da giosa) . ■ . . . .• . . .
Siena (con 1 illustrai. 0,30 James Orr: La Scienza e la Fede cristiana. . . .
T. Fallot: Sulla soglia. (I
Calogero Vitanza : L’eresia di Dante.............
Antonino De Stefano: Le origini dei Frati Gaudenti .........
A. W. Muller: Agostino Favoroni e la teologia di Lutero .......
Arturo Pascal: Antonio Caracciolo, vescovo di Tro-yes .... ......
0,30
0,30
0,80
Silvio Pons: Saggi Pasca-liani (I. Il pensiero politico e sociale del Pascal;
II. Voltaire giudice dei « Pensieri » del Pascal ;
III. Tre fedi: Montaigne, Pascal Alfred, di Vigny) con 2 tavole...... 0,50
T. Neal : Maine de Biran, o 30 ■ F. Rubbiani: Mazzini e
Gioberti ....... 0,50 !
Paolo Orano: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita e ritratto) ....... 0,40
Angelo Crespi : L’evoluzione della religiosità . 0,30 ■
Paolo Orano: La rinascita dell’anima..............0,30 1
Angelo Gambaro: Crisi contemporanea..........0,15
Giov. Sacchini: Il Vitalismo ......... . 0,30
R. Murri : La religione nel-l’insegnamento pubblico in Italia......... 0,40
Ed. Tagliatatela : Morale e Religione ....... 1 —
Mario Puglisi : Il problema morale nelle religioni primitive........ 0,50
A. Tagliatatela: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 5 disegni di P. Paschetto) . . 0,20
030
0.50
0,25
ligiosità di F. Petrarca (con 1 tavola) . . . . .
G. Luzzi : L’opera Spence-0,301 nana.......... 0,15
nostri morti) con una tavola .......... Felice Momigliano: Il Giudaismo di ieri e di «Io-mani .. . . . . . . • . A. G. e Giqv. Pioli: Intorno
ad un’anima e ad un’e0,30
0,60
sperienza religiosa (In memoria di G. Vitali) . 0,60 Mario Rossi: La Chimica
del Cristianesimo . . . 0.50
G. E. Meille: Il cristiano nella vita pubblica. . . 0,30
F. Scaduto: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa ......... 0,30
Guglielmo Quadrotta: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra. (Con ritratto ed una lettera di A. Salandra). . . ...... 1 — Mario Rossi: Razze, Religioni e Stato in Italia secondo un libro tedesco c secondo l’ultimo censimento . ........ 0,60 D. G.: Verso il conclave. 0.15 E. Rutili : Vitalità e vita
nel Cattolicismo (Cronache: 1913 1914) 3 fascicoli . ... ...... 0,90 E. Rutili: La soppressione dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno
di essi......... 0,15 Paolo Orano: Gesù e la
guerra......... 0,30 Edoardo Giretti : Perchè
sono per la guerra . . . 0,20 Romolo Murri : L’individuo e la Storia. (A proposito di cristianesimo e di guèrra) ...... 0,40 Paolo Tucci : La guerra
nelle grandi parole di
Gesù.........-. 1.00
Paolo Orano: Il Papa a Congresso ....... 0,50
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IL PENSIERO RELIGIOSO E FILOSOFICO
DI F. DOSTOIEVSKY
■ Dostoievsky, le cœur le plus profond, la plus grande conscience du monde moderne ».
Suarès.
PREFAZIONE
>lte tra le opere di Feeder Dostoievsky non sono state ancora tradotte in italiano; altre lo sono state in un modo ini perfetto di solito attraverso il francese. Sono traduzioni tagliate e massacrate; Ma anche nelle traduzioni discrete, e perfino nell’originale, i singoli pensieri d’indole religiosa e filosofica sfuggono al lettore preso dalla drammaticità del racconto. Ecco perchè ho pensato di scegliere, da tutte le opere del grande scrittore russe, i suoi principali pensieri religiosi e filosofici e di ordi
nari in una sola e breve, «accolta. Questo lavoro, che ha trovato cordiale ospita
lità sulle j agi ne di questa rivista, rivelerà agli studiosi di problemi religiosi l’essenza dell’anima russa ed in ispecie dell’anima russa mistica, che così vivamente interessa l’Occidente; e la rivelerà assai più di quello che non potrebbero fare lunghi trattati o analisi di psicologia religiosa.
Qui, in queste pagine, il lettore sentirà palpitare in forma concreta l’essenza di uno spirito altamente religioso e nello stesso tempo indubbiamente moderno per eccellenza. I suoi tormenti metafisici, le sue estasi mistiche, il lettore li troverà in
queste pagine in forme aliene di ogni dogma, in imagini spesso di una bellezza artistica meravigliosa.
Spero che questo piccolo lavoro — frutto di studi di vari anni — aumenterà in Italia il numero di coloro che già sentono un vivo amore per questo spirito russo così originale, così profondo.
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Ingenerale sono spinti ad amare Dostoievsky tutti coloro 'che cercano, spesso con tormento, una nuova luce, una guida sicura verso la vita intensa dello spirito o, come la chiama Dostoievsky, verso la vita vivente.
Emilio Cecchi ha detto molto bene, in Un suo articolo su Doitoievsky, apparso qualche anno fa: « Dostoievsky agisce su noi per ragioni diverse da quelle connesse alle qualità di artista ». « Nessuno, credo — aggiunge Cecchi — si legge i vangeli come si leggerebbe Alceo od Orazio: e se Dio vuole resta ancora a fare l'analisi estetica dell’Epistola ai Romàni ».
Quasi contemporaneamente un altro critico italiano — Giuseppe Prezzolini — scriveva di Dostoievsky, che egli «come i suoi eroi è un uomo fragile, soggetto a cadute, un disgraziato incerto e confuso... un debole nel vero senso della parola... ».
Vi sono deboli e deboli. Il « debole » di Dostoievsky, e Dostoievsky il debole, sono appunto di quelli che, coscienti della loro debolezza e stanchezza; si rivolgono con umiltà all'Unica sorgente di forza, a Colui che ha detto: « La mia forza è potente nei deboli » : e questa forza trasfigura i deboli in eroi. Eroi sono la povera prostituta Sonia rie! Delitto e Castigo, l’Alioscia nei Fratelli Karamasoff; il principe Mischkine, il povero idiota; il padre deli’ Adolescente, questo umile contadino colla sua vita vivente; il piccolo Iliuscia che vendica l’onore del padre ; e poi tanti, tanti altri, un esercito vittorioso di forti. Carlyle avrebbe potuto riempire diversi volumi di eroi creati dal genio di Dostoievsky, perchè egli stesso era appunto un debole forte.
Proprio perchè possedeva ciò che i così detti moderni non posseggono, Dostoievsky rimane sempre più alto di noi e non può essere spinto in basso f ra tutti quei deboli i quali, per cieco orgoglio spirituale, non vogliono cercare la Forza presso la Sorgente unica di acqua vivente ; i quali volontariamente chiudono gli occhi alla luce (e questo è il peccato contro lo spirito santo, runico che non si perdona), rimangono con la loro debolezza, s’allontanano dal Cristo. Ma per quanto s’allontanino Egli non li lascia mai e sempre rinnova il tentativo di prender possesso dèlie loro ànime : e molte sono le vie per le quali Egli cerca di venire loro incontro. Basterebbe aprire il Vangelo e leggerlo coll’anima umile per poter trovare il Cristo, ma chi legge il Vangelo? Quante sono le case che posseggono il piccolo e umile libro, benché posseggano l’ultimo romanzo di moda ?
Ma anche fuori del Vangelo il Cristo sa trovare le anime, che lo cercano: spesso attraverso gli occhi innocenti e limpidi di un tanciullo Egli ci guarda e ci colpisce, spesso attraverso un altro debole, di cui il volto porta l’impronta della gioia d'aver trovato finalmente la « Via, la Verità e la Vita! »
È attraverso Dostoievsky, che, nel nostro secolo, la maggior parte delle anime deboli del mondo intellettuale ha trovato e troverà il Cristo.
Trovare il Cristo non significa dichiararsi cattolico, protestante, ecc., andare in chiesa, comunicarsi, ecc. Vi sono anime che sentono il bisogno delle preghiere comuni, della comunicazione reciproca della loro gioia interna — per loro la Chiesa è necessaria, ma non è questo il più importante. L’importante è di essere stato colpito dalla superiorità, dalla bellezza della personalità di Gesù di Nazaret, come essa
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IL PENSIERO RELIGIOSO E FILOSOFICO DI F. DOSTOIEVSKY 7
è fissata per l’eternità nel suo Vangelo dai suoi discepoli; avere sempre davanti agli occhi spirituali l’imagine di questa personalità, perdersi in questa imagine invece di specchiarsi nel proprio misero « io », cercare di rassomigliarle sempre più nelle sue grandi linee come sono tracciate nei vangeli dei discepoli.
Quali sono queste linee fondamentali?
« Io vi dico in verità se non siete mutati e non divenite come i piccoli fanciulli, voi non entrerete punto nel regno dei Cieli », disse Gesù.
Dostoievsky era uno di quelli che si « era mutato » ed era diventato come un piccolo fanciullo : e come lui, le creazioni favorite della sua mente somigliano esse pure a dei piccoli fanciulli — la fronte limpida, lo sguardo puro. Per Dostoievsky l’amore per i bimbi e « le lagrime invendicate del bimbo torturato » sono diventati la pietra fondamentale di tutta la sua concezione del mondo.
I suoi eroi favoriti hanno tutti la purezza, l’incoscienza dei bambini, quella incoscienza e quella sincerità che, secondo Carly le, è la prima, qualità di ogni «eroe», cioè di ogni genio; essi sono tutti single-mind ed, bella parola inglese che non ha un equivalente nella lingua’ italiana e che significa lo sforzo dell’anima di riunire tutte le forze verso una sola mèta.
Dostoievsky, più degli altri geni, dimostra che il genio ed il fanciullo si rassomigliano; idea che svolse perfettamente Schopenhauer. Dostoievsky è il genio che guarda il mondo con gli occhi dèi bimbo di quella Madonna di S. Sisto che ha ispirato i versi sublimi di Schopenhauer:
Essa lo porta nel mondo Ed Egli guarda atterrito Nella caòtica confusione dei suoi errori. Nella selvaggia frenesia del suo furore, Nell’insanata follia della sua attività. Nel dolore mai acquietato dei suoi tormenti Guarda atterrito: pure irradia pace e fiducia e splendore di vittoria Il suo occhio che già annunzia l’eterna liberazione..
Dostoievsky ha messo il primo fondamento ad un nuovo ideale cercato dalla umanità. Il libro di 0. Weininger : Sesso e carattere — forse il libro più geniale degli Ultimi decenni — come del resto tutta la letteratura moderna coi suoi eterni problemi femminili, sessuali, ecc., dimostra che l’ideale della Madonna che per quasi duemila anni ha sorretto l’umanità, non è più sufficiente. Dostoievsky ha cominciato l’èra dell’ideale dell’ « uomo fanciullo » e della « donna fanciulla », che alla sincerità di un bimbo unisce la « bramosia del segreto delle stelle ».
Certo il genio che nascerà non può non continuare sulle linee tracciate dal Dostoievsky e forse sarà scritto un nuovo Faust, le cui ultime parole saranno « l’eterno-fanciulleseo ci innalza » — e non « l’eterno-feminino », che purtroppo spesso ci spinge giù nell’abisso!
Alle linee fondamentali del carattere cristiano (e nelle Beatitudini del Sermone esse sono tutte enumerate) si uniscono in Dostoievsky altri tre fattori importanti
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che l’hanno reso là più grande « coscienza moderna », come dice il critico francese Suarès: la sua mente filosofica, il suo temperamento mistico (dovuto in gran parte alla sua malattia psichica) e le sofferenze proprie e degli altri colle quali egli si immedesimava.
Dostoievsky era il vero tipo del filosofo, se non diamo a questa parola un significato tecnico e pressoché esterno, ma intendiamo l’uomo col sentimento intenso e costante del mistero della vita. È nella posizione e nella formulazione dei problemi che prima di tutto si vede se un uomo è filosofo o no. « La coscienza — dice A. Schopenhauer — è una luce in mezzo ad un buio originale senza confini nel quale essa si perde. Perciò questo buio è tanto più denso quanto più grande è la luce... L’ottuso ed il volgare non sa neppure di qual buio si tratti. Egli trova tu*to naturale e perciò il suo bisogno di filosofia non è filosofia, ma solo notizia storica che egli ne prende, storia della filosofia ». Considerato da questo punto di vista Dostoievsky era un vero filosofo: basta leggere i colloqui dei fratelli Karamasoff, di Ivan col Diavolo, per sentire l’intelletto toccare gli estremi Confini, essere portato sulle altezze che dànno il capogiro. Il pensiero di Dostoievsky è « un chinarsi sull’abisso », come dice di sè un suo fratello spirituale: il poeta lituano Jurghis Baltrusciaitis. Tutto poi in lui è veramente spontaneo, intuitivo, veramente suo proprio, non di seconda mano. Nel Sogno di un uomo ridicolo vi è tutta l’intuizione della filosofia kantiana; le sue opere sono illustrazioni per la filosofia schopenhaueriana e nietzschiàpa. È appunto grazie a questa mente lucida, filosofica, che Dostoievsky non è diventato dogmatico, benché sia stato credente. Egli è morto col quesito sulle labbra. In lui poi il pensiero filosofico non era riflessione fredda, giacché s’innalzava fino a diventare un sentimento, il sentimento il più potente, che determinava tutto il resto.
«Dostoievsky sentiva i pensieri », disse di lui il critico russo Strachov.'« Non tutte le nature sono eguali », dice Dostoievsky stesso, « in molti il giudizio logico si trasforma qualche volta in un sentimento fortissimo che prende possesso di tutto l’essere e che riesce difficile cacciar via o cambiare ».
E fu questa mente lucida che nei momenti che precedevano gli attacchi epilettici giungeva ad uno stato visionario e mistico di cui troviamo molti accenni in varie sue opere, la descrizione la più chiara si legge nelle seguenti pagine deli’Idiota.
« Nel suo stato epilettico vi era una data gradazione, quasi prima dell’attacco (cioè solo nel caso quando l'attacco lo colpiva in piena coscienza) quando ad- un tratto in mezzo allo smarrimento, al bùio dell'anima, alla depressione, il suo cervello quasi s’infiammava a momenti e tutte le sue forze vitali eran tese con uno slancio straordinario. La sensazione della vita, l’autocoscienza, diventava dieci volte più forte. L’intelligenza, il cuore s’illuminavano di una luce straordinaria; tutte le emozioni, tutti i dubbi, tutte le agitazioni si pacificavano come per incanto, si trasformavano in una pace superiore, piena di speranza e di una chiara e armoniosa gioia, piena di saggezza e di uno scopo finale. Ma questi momenti, questi baleni non erano che il presentimento di quell’attimo finale (mai più di un secondo) col quale cominciava l’attacco stesso. Questo secondo era, certo, insopportabile... « In
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quell’attimo, egli disse una volta ad un suo amico, « mi riesce così chiara la parola straordinaria che non vi sarà più il tempo >. « Può darsi», egli aggiunge sorridendo, « questo è quello stesso secondo nel quale non si vuotò la bocca rovesciata contenente l’acqua dell’epilettico Maometto; mentre questi però aveva avuto il tempo di visitare nello stesso secondo tutte le abitazioni di Allah! »
Querto è lo sfondo sul quale Dostoievsky creava le sue epopee : è l’infinito stesso, è l’eternità. È uno sfondo al quale solo la parola inglese awful si può aggiungere come definizione. Awful è una parola grandiosa, è ciò che ci dà l’impressione della cosa più solenne e più terribile nello stesso tempo, che ci fa inginocchiare e pregare, ci ferma il bàttito nel polso e ci leva il respiro. E ci meravigliamo come Dostoievsky col ricordo continuo e ripetuto di questo sfondo awful abbia potuto vivere, lavorare, soffrire le misere cure della vita quotidiana ? L’ha potuto perchè la « forza superiore » lo sorreggeva sulla sua « via crucis ». La Forza di Colui che nello stesso tempo è V Ideale supremo e la Forza per raggiunger# l'ideale.
Di rado una vita umana è stata dal principio alla fine soltanto uria vita di spine e di burrasche coinè quella di Dostoievsky.
Ancora giovane egli già ha visto lo spettro della morte: allorché condannato per aver preso parte a una congiura politica, aveva gli occhi già bendati per la fucilazione dopo aver visto cadere morti due dei suoi compagni, quando giunse il messaggio imperiale della sua grazia. Mandato in Siberia fu costretto a vivere per dieci anni fra privazioni orrende che appunto per un essere come lui hanno dovuto costituire supplizi inesprimibili.
E poi cosa era la sua vita? Cure e cure senza fine per il pane quotidiano, una continua « Ninna-Nanna », cantata da « Madonna Miseria », come dice Baltru-sciaitis. Ma è così Che si fucinano le grandi anime cristiane ; non fra i cuscini soffici e le mense opulenti. La miseria l’ha reso pieno di misericordia per le sofferenze degli altri, non gli ha inoculato l’amarezza. Non vi fu dolore, col quale non seppe simpatizzare, non vi fu un agonizzante col quale non abbia saputo immedesimarsi. Ma erano le sofferenze dei bambini quelle che facevano sanguinare il suo cuore. Il suo giornale lo testimonia: non vi è stato un bimbo maltrattato di cui quando lo sapeva, non cercasse di prendere la difesa.
Quando penso a lui, me l’imagino sempre a seguire con occhio triste e dolce ogni viso sofferente di bimbo che gli passasse vicino per la strada. E quanto straziante fu il suo dolore, quando gli morì di pochi mesi di vita la sua piccola e gracile Sonia!
Nelle sue lettere non si racconta mai di qualche avvenimento gioioso: solo delle preoccupazioni per il pane quotidiano.
Non gli mancavano, a torturarlo, nemmeno i demoni interni : impeti di passioni titaniche, tentazioni tremende.
E nondimeno è stato Dostoievsky che colle parole del padre Zosim ha espresso la più alta accettazione della vita: « La vita è un paradiso, ma gli uomini non lo sanno e non lo vogliono sapere ».
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Dostoievsky unisce in sè i due atteggiamenti del Cristo verso la vita: la più profonda tristezza per il male nel mondo e la più sublime gioia, perchè non perdeva mai di vista lo sfondo dell’infinito, dell'« armonia universale », colla fede salda che essa sarà « l’ultimo accordo dell’universo ».
Dostoievsky aveva imparato a sorridere colle lacrime.
La vita di Dostoievsky ci insegna che cosa è la « vita vivente », della quale disse
Adolescente : « La vita vivente deve essere qualche cosa molto, molto semplice; la più ordinaria e percettibile; è la vita di ogni giorno e di ogni minuto; è talmente semplice che non si può credere che essa Sia così semplice e perciò è naturale che vi passiamo innanzi durante migliaia di anni senza accorgercene e senza riconoscerla ».
Spero che il mio modesto lavoro aiuterà a qualche anima sincera di trovale la via che conduce verso la « vita vivente ».
Ho diviso i pensieri scelti da me da tutte le opere di Dostoievsky in due grandi categorie: la tragicità dei primi faranno risaltare maggiormente la gioia luminosa, l’estasi espressa da quelli raccolti nella seconda categoria.
Però, come i primi, così anche questi ultimi portano l’impronta della vita intensa'.
(Contìnua) Èva Amendola.
N. B- — Nei prossimi fascicoli pubblicheremo: Parte I: Dubbio angoscioso, tristezza, buio, orrore. - Parte II: Luce, speranza, gioia, estasi... - Parte IH: Dal poema in prosa: « Il Grande Inquisitore » (dai ■ Fratèlli Karamasoff ■).
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“ LA VITA E UN SOGNO ”
di ARTURO FARINELLI
Que es la vida? un frenesí; que es la vida? una ilusión, una sombra, una ficción, y el mayor bien es pequeño; qua toda la vida es sueño, y los sueños sueños son.
(La vita i Un SMno, dramma di Caldxrox).
sono dei poemi, dei drammi, delle opere musicali che stringono in sè tutta una sintesi d'amore, di gioie, di speranze, di delusioni e d’angoscie e risuonano con una frase dominante, < on un ritmo armonico nella nostra mente, evocati dal dolore e dal piacere, quasi in essi si trovassero efficacemente espressi e condensati i sentimenti più vivi e profondi del nostro spirito.
Il dramma spagnuolo: « La vita è un sogno » del poeta
Calderon, esprime nel suo titolo tutta la storia del dubbio dell'umanità, e ta vibrare in noi le corde dell'illusione e (iella malinconia, eternamente tese verso un bene
che trascende ed un dubbio che la verità deve fugare.
Arturo Farinelli, anima d'artista e di critico, temperamento lirico per eccellenza, cuore passionale ed entusiasta, spirito romantico, che sente battere in sè, con ritmo alterno, gioie e dolori umani, affetti e delusioni : che beve dalla natura tutti i suoi incanti e sa vivere in completa comunione con essa, estasiandosi dinanzi alla coi olla d'un fiore che s’apre a primavera, meditando ed elevandosi davanti ad un cielo trapunto di stelle, accogliendo in sè il divino e comprendendo’o in tutta la sua bellezza e la sua potenza rinnovatrice, — per le tendenze, gli ideali, la poesia della sua mente, era naturale che si sentisse attratto dalla singolare importanza di questa storia del sogno della vita lungo i secoli, e capisse i palpiti, le ineffabili tristezze, la fede di quel grande spagnuolo, il quale ripete in tutti i suoi «auto» la malinconica frase del dubbio struggente, e la svolge in un dramma. che_fermò l’attenzione delle varie generazioni a lui succedute.
Lo scrittore italiano ha chiuso in questo suo nuovo lavoro, che consterà di tre volumi (di cui due sono usciti alcune settimane or sono, editi dalla casa Bocca di Torino), tutto un mondo. Nell’opera grandiosa, in cui Calderon parve al critico
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BILYCHNIS
«semplice pietesto per seguire nelle spire dei tempi il concetto fondamentale della vita a cui s’informava il dramma, che tutti acclamano e pochissimi intendono», v’è sviscerato il continuo bisogno di credere e di godere dell’uomo, ed il vuoto in cui quasi annega il suo spirito dinanzi alla nullità dell’esistenza, sempre pareggiata al sogno e all’ombra «dai remoti secoli nell'india, sino all’albeggiaredella creazione calderoniana nella Spagna ». Questo studio, che forma il tema del primo volume, ci conduce ad una conclusione. Dalle calde terre lontane alle nebbie dei settentrione; dai paesi delle Sfingi a quelli di Odino una sola voce risuona sulla caducità della vita umana; sul bisogno d’elevarsi in Dio e di riposare in una verità più fervida, più sicura e confortante di quella data all’uomo dalle contingenze terrene. Da Bagdad a Roma, a Londra, l'umanità con le stesse parole, quasi con le stesse frasi e le medesime fiabe esprime i suoi dubbi, dice il suo pensiero sulla fantasmagoria dell’universo, sorride scettica o piange, stretta dalle medesime morse di pena e d’amore, dagli identici inganni, ferita dalle stesse angoscio ed aspirante fra le delusioni alla luce, che deve molcere ogni pena, troncare ogni indecisione. Da una razza ad un'altra, con credi discordanti nelle forme, ma uguali nel significato intrinseco, nelle più diverse lingue s’innalza un solo memento sulla fugacità delle cose terrene, c questi uomini divisi da tante barriere politiche e sociali, si sentono uniti indissolubilmente nel dolore che fascia la loro anima di malinconia, s’esala in lamenti che hanno da per tutto il medesimo significato, e l’identica intensità d’espressione. È una sinfonia che spande i suoi suoni nei secoli, e culla gli esseri in un solenne e triste motivo dominante.
Ci voleva un letterato erudito e geniale, come il prof. Farinelli, che avendo corso l’Europa nei suoi più giovani anni, ed avvicinati uomini di varia cultura di diversa fède; avendo preso da per tutto motivo a nuove affermazioni sulla fratellanza umana e trovato in tutte le letterature il nesso che congiunge i popoli fra loro, potesse poi darci in una sapiente sintesi la storia del dubbio umano, di questo sogno che è la vita, su cui il sole del sapere, coi suoi vivificanti raggi, fa nascere nuòve speranze, rende meno tragico il dolore ed addita, fra l’eterno divenire,, lo svolgersi ritmico e progressivo del sapere (i).
I.
Forse i primi uomini dinanzi al succedersi della veglia e del sonno, della morte e della vita, intuendo la caducità della bellezza e della forza, impotenti ancora a sciogliere i granài problemi dell’essere, stupiti, intimoriti, meditanti, nei silenzi della natura, si saranno chiesto se il sogno è la vita o se la vita è un sogno« La vita è un sogno, e la morte è il tempo del risveglio; e tra la vita e là
(i) Arturo. Farinelli, « La vita è un sogno ». Parte prima: » Preludi al dramma di Calderon ». Edit. Bocca, Torino, 1916. L. 6.
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morte l’uomo cammina come un fantasma », così una massima raccolta nella « Biblioteca orientale » dell’Herbelot. È probabile che dai popoli dell’oriente, dai seguaci di Buddha, dai solitari fantasticatori dèlia Persia sia giunto a nói quel desiderio acuto, pungente, affannoso di scrutare il segreto del sogno. « La scienza dei sogni è di antichissima origine, e subito si annuncia come luce della vita, non come ombra del morire. Nè ci meraviglia di vedere registrati i sogni negli annali di Babilonia, come fatti avvenuti, memorie storiche da tramandare ai posteri. Nel sogno è come un indizio della divinità che guida e illumina, preannunzio di catastrofi, di sconfitte o vittorie che avverranno» (1).
Dal popolo che seguiva Buddha a quello che cantava i suoi carmi in Grecia il distacco non è profondo. L’ascesi orientale però si muta nell’Ellade in un desiderio intenso di « affermare con ogni gagliardia e risolutezza la vita ». Ma più la civiltà greca va estendendosi e maggiormente cresce il dissidio interiore; più si meditano i maggiori misteri e meno si gode il piacere sano e giocondo dell’esistenza. Si direbbe che una forza spirituale a noi ignota, spinga continuamente, da un polo all’altro, il pensiero umano : dalla serenità alla tristezza, dalla fede al dubbio che rode.
« Non è che misera sembianza del vero, quanto i sensi afferrano, pura fantasmagoria tutta la nostra percezione. Scettici, storici. Sofisti, Pirronisti, Democri-tisti vedono il mondo empito d’inganni; corrono i fantasmi creati dalla nostra immaginazione; la realtà sfugge ognora, si maschera di apparenze. Che possiamo noi riconoscere di veramente esistente? S’intende che ad ogni respiro di nuova vita corrisponde il sorgere, il mutare e l'oscillare del nuovo pensiero. Ma la primitiva robustezza e giocondità smarrita più non si è ritrovata » (2).
In tanto succedersi di poesia e di filosofia nascono, grandeggiano e trionfano i sistemi, gli assiomi, i postulati di Platone, Eraclito, Aristotile che elevano l'uomo dal sensibile all’infinito, dal terreno al celeste e l’avviano alla sua conquista spirituale. Il Cristianesimo frattanto prende sostanza e forma, annunciandosi, fin dal suo inizio, pieno di vigore. « L’uomo perduto, senza un fine, fuori d’ogni realtà, ora ritrova sè medesimo. Si ricurva in sè, ha coscienza del suo valore e della sua dignità ; e, laddove i saggi di un tempo non vedevano salute che nell’annichilimento e nella completa estinzione d’ogni desiderio e d’ogni impulso di volontà, ora la fede nuova esorta all’azione incessante, fuori dei deliqui e fuori delle estasi. Occorre vivere con tutta l’intensità dello spirito, accendere tutte le fiamme dell'interiore».
Come l’ombra succede alla luce, così a questa gagliarda fede, che innalza l’individuo fino a Dio, era naturale che facessero contrasto le immagini cupe e tormentose, ed i l disprezzo del mondo giungesse per allontanare dal peccato e far sentire la vanità di tutti i miraggi terreni. Ritornano quindi le gravi sentenze di Giobbe a ricordare la caducità della vita. Salmisti, profeti e Santi Padri tuonano contro i
(1) Cap. II del I voi.: « Buddha e l’Oriente ».
(2) Cap. Ili del I voi.: « II pensièro ellènico ».
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reprobi ostinati a non riconoscere la sostanza di un misero e fuggevol sogno nelle larve mendàci a cui si aggrappano. Sant’Agostino si ispira a Platone per distogliere il pensiero dalla terra ed indirizzarlo al cielo, il dubbio lo assale, lo scuote, lo strazia talora facendo passare la sua coscienza per tutte le negazioni d’ogni realtà riconoscibile, e San Giovanni Crisostomo ripete: « La sostanza dell'uomo non è altro Che cenere e polvere, e fumo ed ombra, e se altra cosa può esservi di più vana, essa lo è » (r).
♦ ♦ ♦
Fra queste lotte della materia e dello spirito il Cristianesimo s’avanza come un fecondo fiume che accoglie in sè innumerevoli corsi d’acqua, e li trasporta alla foce. « Alla morale di Cristo giovano le esperienze millenarie dell'umanità turbata e scossa dal formidabile mistero della vita, i soliloqui degli asceti buddhisti, le speculazioni e le dottrine dei Platonici e degli Aristotelici. Indi, Persiani, Arabi, Ebrei, Mussulmani, tutti si possono specchiare, tutti ritrovano un soffio del loro spirito nella religione dell’universale fratellanza. Eroi ed asceti dèi mondo buddhistico entrano a far parte del martirologio cristiano ». Fantasticherie antiche, favole remotissime invenzioni de! lontano Oriente si adattano alle nuove credenze, prendono nuova forma nell’Occidente, conservando l'essenza originale; le mistiche speculazioni aiutano le dottrine ascetiche, onde preparare l’unione eccelsa dell’uomo con Dio, le contemplazioni si fanno più pure, le estasi più frequenti e nella solitudine, l’uomo messo ognora in presenza a sè medesimo, s’affina e si santifica.
Un racconto che doveva poi trasformarsi nelle diverse letterature, e servire di spunto al dramma di Calderon è lo scherzo « narrato con gran ricchezza di particolari, del califfo Harùn el Raschid, avvezzo a divertirsi a spese altrui, nato per le straordinarie avventure. Fa dare costui ad un mercante, di grande prodigalità, con cui siede a cena nelle vesti di semplice mortale, un beveraggio soporifero, perchè, immerso nel sonno, potesse essere trasportato dai suoi fidi alla reggia, e, vestito da principe, si ritenesse, si salutasse ed inchinasse principe, destandosi, trasecolato, e godesse per un giorno la sfarzosa vita del principe, impartisse con tutta fermezza i suoi comandi, si deliziasse al sorriso delle più angeliche donzelle. Riaddormentato poi di nuovo, il povero illuso consuma nel sonno le glorie effimere. Si sveglia fuori di palazzo tra i suoi; delira, ritenendosi ancora califfo; percuote la madre che lo vorrebbe rinsavito; commette le maggiori stravaganze; ed è rinchiuso alfine in un ospedale, ’dove miseramente lo si maltratta; dopo lunga espiazione rientra in sè, svanito il fantasma del califfato, persuaso di essere Stato vittima di un sogno fatale. E sogno similmente gli sembrerà1 il ritorno alla vita nella reggia, dove è ricondotto
(1) Cap. IV del I vói.: • Vangelo cristiano e sapienza antica. Giobbe. Profeti e Salmisti ».
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poco dopo col medesimo inganno, e dove si sbizzarrisce da folle, finché la beffa gli è svelata, e tramontano tutti i sogni, somigliantissimi alla verità, per dar luogo ad una nuova commedia di beffe e d’inganni » (i).
Gli scolastici coi loro assiomi, non lasciano ehe il dubbio sulla verità del percettibile e del sensibile spunti appena nella mente dei sillogizzatoli e scrutatori dei misteri dell’essere. Ma Jacopone viene per additare il nihil glorioso, a cui l’uomo necessariamente deve ridursi, per fruire dell’eterna beatitudine, e con lui tutta la melanconia delle anime innamorate, che cercano nel)’al di là il loro conforto,, si spande in Italia e desta un’eco profonda nei cuori. Bonvesin da Riva geme sulla caducità dell’esistenza terrena: « Ké la toa vita è tal cum è l’ombria, Ké tosto par e tosto torna via. « Welthe of thè world and longe and faire dayes-passen as dooth thè shadwe óf a tree », dirà poi Thomas Occleve nel « Governail of Prince » (2). Frattanto tra il sacr.0 ed il profano andava impegnandosi la gran lotta; Trimalcione cercava di obliare ogni affanno nel vino, ma il dolore preme, il riso affoga dentro il piantò ed i lamenti di Giòbbe tornano a ripetersi nei chiostri e dal popolo del Medio Evo. « Envek geflogen » (« velut somnium avolans ») « vergangen als ein schat ».
« Asi corno la sonbra nuestra vida se va » si ricanta per il mondo. Il visibile si congiunge all’invisibile in una strana fusione, le carte si empiono di sogni e di visioni. « Del sogno della vita non ha sgomento l'anima eroica di Dante. Ben sa il poeta, acceso alla sua fede ardente, che i destini degli uomini in terra non sono ehe avviamento agli immutabili destini nell'al di la, che quaggiù è una fuga d’inganni e l’assoluto vero solo riposa in grembo all’eterno. Ma sdegna le palinodie. Nè mai gli avviene di chiedersi trasognato: dormo, o sono sveglio? È verità, o illusione quello che il mio sguardo afferra? La vita è armonico congiungimento del sogno e della realtà, o, piuttosto, un seguito di sogni, più reali della realtà medesima?
«... Là visione a cui Dante si concede è la sua vita più intensa. E finche dura il potere del sogno, la poesia ha vigore ed efficacia. Il paradiso è nell'estasi, nella vita infusa ai fantasmi, nella « r êverie » solitaria in cui, svincolata dalla terra, circonfusa della luce piti fulgida, mossa dall’eterno amore, nel suo' candor divino appare Beatrice ».
Il Petrarca invece aveva già lacerata l’anima «dal grave e irrimediabile dissidio uscito appena dalle prime follie e spensieratezze della gioventù, e sospirava invano la pace, gemeva della lotta implacabile e dell’eterno tormento». «Totam mihi vitam meam nihil videri aliud quam leve somnium, fugacissimunque phantasma ».,(« Epist.
(1) Voi. I, cap. V: ■ Leggende dell’antico Oriente diffuse nell'occidente ».
(2) Voi. I, Cap. VI: «Gli scolastici. La nuova ascesi».
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fam. » II, 9). Accanto all’idillio v’era la tragedia che stava in agguato, e la vacuità della vita pungeva le anime che piangevàno l’età che muore (i).
La Spagna terra di ardenti passioni, di languori e di fede, fantasiosa, poetica, melanconica, era naturale che nell’età in cui la cultura stagnava, elevasse con maggior insistenza la « triste lamentación ». Pero Lopez de Ayala scrive nel suo « Rimado »: «Como sueño che pasa su vida e ponimiento — sentirá el su bien en todo perdimiento ». « Acuertate, Señor, ca viento es la vida — como pasa la nave así es consumida ». In una commedia, in cui il dubbio comincia ad insinuarsi, si legge: « Il vero, il reale, che è mai? E non potrebbe essere sogno quanto pur pensiamo di avere vissuto? »
Le concezioni medioevali andavano trasformandosi ed un altro concetto dell’esistenza prevaleva a poco a poco. Alle tristezze dei sógni come per un inevitabile ricorso, che definirei psicologico, subentra un desiderio di gioia, di luce, di sereno, d’azzurro e la vera saggezza non è più nella rinuncia, ma nel seguire con tutti i palpiti del cuore, ogni corrente di vita. Il Rinascimento si afferma con tutte le sue giovani energie, la terra si confonde col cielo, il pensiero libero trascórre per gli spazi. Giordano Bruno enunzia il suo Vangelo, rampollato da quello del Cusano ; Campanella avanza i suoi postulati e Telesio afferma « che l’universo è un continuo mutare, un continuo fluire, un continuo divenire, mobilità perpetua, un succedersi rapido, vertiginoso di realtà, tutte varie, e possibili appena ad afferrare ». I nuovi verbi vanno per il mondo, scuotono le anime ed il dubbio, eterno tormento ed eterna fonte di energie, batte alla mente dell'uomo Che interroga l’universo e medita nella solitudine della sua coscienza.
La Spagna, la Francia flettono sotto l’indagine, il Sanchez scrive: «Qui vero dicunt, se scire hoc quod nihil scitur, rectum sapere » e Montaigne ripete il suo: « Que sais-je? ». Pascal fra l’incertezza del suo secolo, fra i Pirronisti ed i Dommatici domanda all’uòmo: « Doutera-t-il de tout? doutera-t-il s’il veille, si on le pince, si on le brûle - doutera-t-il s’il est, doutera-t-il s’il doute? ». « Quale chimera è la povera creatura umana!», conchiude il Farinelli. «E che sarebbe di lei se non la sorrèggesse Iddio nell'infinita sua miseria, e non le concedesse della sua luce per la conoscenza del véro? Il palpito del cuore supplisce alla impotenza e debolézza della ragione. L'amore che tutto muove ci porta alla contemplazione della verità, e avvia allo scioglimento dell'enimma della vita » (2).
Nel 500 e nel 600 la malinconia che accompagna ogni sviluppo di cultura ha le sue note soavi e dà al genio nuovi estri e motivi per le opere immortali. Il Durer idea la sua malinconia che si stringe in sè, meditabonda e dolente, guai dando sparsi a terra i poveri strumenti inutili alla ricerca. Il concetto dominante riappare in versi ed in pròsa, ed il poeta dello Zodiaco rimeggia:
Ergo hónor et fama, et mortalis gloria lausque
Somnia sunt, prorsus nil conducentia.
(1) Voi. I, Cap. VII: • II sogno nella letteratura medievale ».
(2) Voi. I, Cap. Vili: « Rinascimento. Il dubbio disciplina del nuovo pensiero ».
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Michelangelo, nato fra quei contrasti di baldanza, ardimento, energie potenti e malinconiche meditazioni è colpito dallo spettacolo della, fugacità della vita, ed in un disegno che gli si attribuisce, approdato a Weimar, interpretato in cento guise, come altre opere del sommo, forse inspirato da un sogno intenso, vi esprime i sentimenti profondi della sua anima: « Vi si raffigura un giovane che si desta dal sonno e distende le membra, appoggiando le braccia su di un globo. Un angelo accorre a lui, sollecito, ad ali tese, e gli soffia all’orecchio con la tuba. Intorno sorgono tra nebbie, delineate appena, altre figure che accerchiano il dormente, ormai sveglio. Decisamente, se Michelangelo raffigurò quei ridestarsi, tra ombre confuse, poneva nell’abbozzo un significato profondo, e non si sbizzarriva con un mero trastullo. E potrebbe vedersi nel giovane, che apre gli occhi alla luce piovente dall’alto, un simbolo dell'uomo che dal sonno della vita si desta per accorrere all'eterno risveglio. Nelle maschere, poste alla rinfusa sul piedistallo aperto innanzi che sorregge il giovane, e nelle figure, che ondeggiano ancora tra le ombre, si riconoscerebbero i simboli sogghignanti della commedia della vita, fantasmi dei beni effimeri, immagini ingannevoli dell’amore, della forza, del godimento, destinate a dissiparsi al solènne memento dall'alto, all’echeggiare della tromba Che scuote l’uomo dal torpore terreno e lo richiama ai suoi immutevoh destini. Ma Ci arrogheremo noi potere bastevole per togliere il velo steso dall’artista titano sulle figure create, col suo respiro di vita e il pensiero di morte, entro l’alta fantasia? »
L’elegia si spande per l’Europa, nè la Riforma giunge a togliere il velo di mestizia allo stesso Lutero, e si continua in Germania, in Francia, in Inghilterra a verseggiare sul sogno‘della vita. Il Gryphius lancia ai mortali il memento:
Sterbliche! was ist diss Leben, Als ein gautz vermischter Traum?
Il pianto si mesce al riso ed in Olanda si ripete, con la sua cadenza grave, la malinconica sentenza:
Droom is’ t leven anders niet. (i)
La stoiia orientale del dormente risveglio, quasi obliata, ritorna in auge, dà lo spunto a novelle curiose e burlesche nelle varie letterature e trova'in Shakespeare un suo sommo illustratore. Il preludio della commedia di una bisbetica domata riproduce rifacendola, ri vivificandola, col soffio del genio la novella che ha in sè tanta filosofia. E del sogno della vita si parla, si accenna in molti drammi dell’autore inglese, che pur seppe amare intensamente resistenza, ma si ferì il cuore ad ogni esperienza:
We are such stufi
As dreams are made of, and our little life
Is rounded with a sleep.
(i) Voi. I, Cap. XIX: < Poesia ed arte nel ’500 e nel ’600. Riforma e Malinconia >.
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Nella Germania, in Italia, nella Spagna si ricamano sulla strana fiaba i più originali intrecci, ed un pastore d’anime luterano, e sermoneggiatore a Stettin, Ludwig Hollonius, studioso del Palingenio stellato, ripresa l'allegra storiella antica ne fa un dramma, in cui sfoggia un’abbondante e seria dottrina morale a profitto dei derelitti e delusi, perduti dietro le vane apparenze di questa vita mendace (i).
Nella Spagna non abbondano le manifestazioni del pensiero sul sogno della vita, e sul fluttuare e transitare dei beni terrestri all'alba del dramma di Calderón. « Alle visioni e alle estasi intense, ai rapimenti nelle sfere altissime, sotto cui perduto e obliato delira il mondo delle nostre miserie e dei nostri affanni, raramente si concedono gl’ingegni di Spagna; e non è forse popolo còme lo spagnuolo che si affezioni alla sua dura e amata terra, e la fissi ancora con tenerezza quando lo chiama il cielo e l’ammonisce l’eterno. L’ideale è tutto penetrato della realtà visibile e tangibile ». Astrarsi da ogni gioia terrena, spegnere le energie, ingolfarsi nel pensiero della morte, questa è la tendenza degli asceti ; confondersi in Dio, prediligere il vaporoso e l'ignoto, amare le grandi idee, i grandi simboli, queste sono le tendenze dei mistici e dei poeti, fra i quali doveva tenere il primo posto il Calderón.
L'Herrera prima di ini sentì con forza la profondità dell'arcano della vita e cantò:
Qué es nuestra vida más qué un breve día Do apenas nace el sol, quando se pierde En las tinieblas de la noche fría?
Ed il Góngora seduce e vince con la « letrilla » alla rosa, in cui si ammira la soavissima apostrofe?
Ayer naciste y morirás, mañana.
Para tan breve ser, quién te dió vida?
Anche il Cervantes nella sua « Galatea » diede al sogno il suo tributo, e lo dà nella sua opera del « Don Chisciotte ». « Chi si arresta al contrasto di quei due spiriti, (Don Quijote e Sancho) — osserva il Farinelli — di quei due corpi, giudica grossolanamente, e non s’avvede che Sancho e il signor suo sono indivisibili, perchè a vicenda si completano, perchè v’è pure grande affinità nelle loro nature, malgrado le disuguaglianze enormi, e perchè il poeta, che entrambi li crea, questi due esseri singolarissimi, errabondi per le contrade asciutte e squallide, popolate solo, dalle oasi e dai giardini dell'immaginazione, e dalle sue alture li guarda, finissimamente e argutissimamente ridendo dei destini che annoda, degl’inganni che prepara, delle estasi che suscita, e delia fantasmagoria di tutte le vicende svolte sulla scena, del mondo, pensava in cuor suo a quell’armonia intima, secreta, che è in tutte le cose di quaggiù, in apparènza opposte tra lóro come contrari mondi, impossibili a conciliare; immaginava, colla bizzarria del genio, che è fulminea intuizione, fondere insieme, in una sola anima vivente, sogno e realtà, il visibile e l’invisibile, il mondo dei sensi e il moiido dello spirito, terra e cielo, il naturale e il sovrannaturale.
(i) Voi. I, Cap. X: « Fiaba del dormente. Shakespeare e il pastor d’anime Hollonius »
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l’immagine aerea e la figura concreta, l’apparenza e l’evidenza, stravaganza e buon senso, il sublime e l'assurdo, la follia estrema e l’estrema saggezza.
« Chi dice Don Quijote, dice anche al tempo stesso Sancho. Il sogno dell’uno è condizione imprescindibile del sogno dell’altro. « Juntos aìimòs, juntos fuimos y juntos peregrinamos; una misma fortuna y una misma suerte ha corrido por los dos ».
Fra questi grandi s’innalzò il poeta Lope. Molte fiabe e leggende dell’antichità furono vivificate dal suo genio: amori, odii, conversióni, malinconie s’avvicendano nei suoi drammi; attraverso alle sue creazioni il divino si umanizza insensibilmente e «fanciullo eterno, di una ingenuità adorabile, e di eterna freschezza, si balocca con gli eventi, e, come ape che vola di fiore in fiore, toglie ovunque nutrimento vitale al suo sogno poetico ».*
In un sonetto meraviglioso suppone cogli antichi, i Manichei e Socrate, trovarsi come due anime nell’uomo, preludendo lui pure con Racine, Rousseau, Wieland, Schleiermacher, al sospiro di Faust: « Zwei Seelen wohnen, ach, in meiner Brust ».
O engaño, de los hombres! vida breve!
Loca ambición al ayre vago assida' Pues el qué más se acerca a la partida. Más confiando dé quedar se atreve.
O flor al yeto, o rama al viento leve, Lexos del troncó, si en llamarte vida Tú misma estás diziendo que eres ida. Qué vanidad tú pensamiento mueve?
Dos partes tu mortal sujeto encierra: Úna que te derriba ál baxo suelo, Y otra, que de la tierra te destierra.
Tú juzga de las dos él mejor zèlo.
Si el cuerpo quere ser tierra en la tierra. El alma quiere ser ciclo en el cielo, (i)
II terreno è preparato per Calderón. « La vita è un sogno » si presenta a lui come uno di quegli assiomi che l’umanità accetta senza poter sviscerare. Gli risuonano alla memoria le elegie cantate da secoli ; appaiono, evocati dalla sua fantasia, le centinaia di drammi in cui la fatidica frase è ripetuta; ritornano alla sua ménte i versi di Giobbe, così solènni nella loro semplicità, e la leggenda del dormente risveglio, scritta nel lontano Oriente, si riveste per lui di nuove forme, palpita di novella vita e si mostra a noi quale perno di un dramma, piena di malinconia e di magnificenza, come il prodotto d’uno spirito singolare, che i romantici vorranno per lóro glorioso antecessore.
{La fine al prossimo fascicolo). Luisa Giulio Benso.
(i) Voi. I, Cap XI: «Mistici, teologi, poeti e sognatori della Spagna ».
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INGHILTERRA DI IERI, DI OGGI, DI DOMANI
ESPERIENZE E PREVISIONI
III.
L’INGHILTERRA DI DOMANI.
“ CONSCIENTIOUS OBJECTORS (RISPETTO DELLA COSCIENZA)
0 rivisto parecchi miei amici « Quakers », ed altri che per motivi di coscienza, « conscicntious objectors », sono contrari alla guerra, e, « a fortiori », alla coscrizione obbligatoria che hanno ostacolato con tutte le loro forze, che non son poche... « Sapete della sorte del vostro amico, Dr. B...? » — mi domanda, incontrandomi, Miss Em..., una vecchia conoscenza delle mie sorelle e mia. (Il Dr. B..,è un mio giovane, valoroso amico, filosofo di professione... e traduttore in inglese delle opere
pedagogiche del Forster) « Oh! è un’infamia, è un’onta per il buon nome inglese... Che direte voi all'estero, che avete piene le orecchie della « tolleranza » inglese, del nostro « rispetto della libertà di coscienza »,... e simili « humbugs » (fandonie, imposture). Peggio che in Russia! — con tutto il rispetto alla nostra alleata... ».
« Ma », — dissi io allarmato della sorte del mio amico Dott. B... che sapevo pacifista radicale, e perfettamente disposto, come tutti gl’inglesi ingenerale, a trarre tutte le conclusioni dai principi professati, e ad uniformare ad esse la loro condotta, a qualunque costo — « ma..., immagino che sia stato imprigionato... spero non ancora fucil... ».
« Peggio! peggio!... »
« Peggio?!... Impiccato, forse!... »
« No: no! Sentite ! Voi sapete che dal principio della guerra circa 15 mila « friends » ed altri pacifisti per motivi umanitari e sociali, hanno ricusato di offrirsi volontari per combattere nell'armata, e hanno presentato al Parlamento proteste contro la coscrizione obbligatoria...: certamente siete informato della propaganda che essi han fatto per ostacolare prima il volontariato e poi la coscrizione,.. . e dell’atto del Parlamento, per cui i « conscientious objectors », della cui sincerità non si potesse ragionevolmente dubitare, furono esentati dall'obbligo del servizio militare in funzióne di combattenti, 0 in servizi direttamente connessi agli scopi generali della guerra.
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INGHILTERRA DI IERI, DI OGGI, DI DOMANI
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e riservati per servizi in mansioni pacifiche (ambulanza, approvvigionamento, od anche lavori di officine non belliche).
Alcuni dei «friends» trovarono che questi servizi erano conciliabili coi loro prin-cipii: ma molli altri, come il Doti. B. e il matematico prof. B. R. si ricusarono, per il principio che anche curare i feriti in guerra, lavorare in officine di Stato allo scopo di render liberi altri uomini atti alle armi, ecc. ecc. era un cooperare indiretto alla guerra. Che cosa avrebbe dovuto fare un Governo veramente rispettoso,di forti convinzioni morali? Avrebbe dovuto lasciare queste coscienze, libere di scegliere il loro modo di servire la nazione e l'umanità in questo frangente. Non è noto ed ammesso che i «friends» ed altri «oppositori » per motivi di coscienza, hanno fatto e fanno anche più di quello che lo Stato potrebbe loro imporre? Non hanno essi salvata la vita a migliaia di Belgi e Francesi, a orfani, a donne, a vecchi, delle regioni devastate: ricostruito villaggi, strade, ponti: fornito strumenti agricoli c sementi per riattivare l’agricoltura: assistito famiglie di caduti in guerra, soccorso e confortatole famiglie di «nemici» concentrati nei campi, portato a questi stessi e ai prigionieri di guerra la parola di conforto, di speranza, di bontà, che deve preparare la ricostruzione della società europea di domani, che vivrà non dell’odio, ma deW amore superstite ancora...? E invece che cosa ha trovato il nostro Governo? L’invenzione geniale del-1’« alternative Service ». « Non volete servire in uffici che abbiano anche la più lontana ombra di rapporto con la guerra » — ha detto loro. — «E sia ! dovete però servire la nazione in qualche lavoro socialmente utile... che ci riserbiamo noi d’indicarvi e d’imporvi, e che non sarà necessariamente quello che voi giudicate tale... Conclusione: II Dott. B... è stato...».
«Impiccato? »
« Oh, no! my dear! solo è stato strappato ai suoi lavori di filosofia e pedagogia, e mandato... ».
« Lontano assai? nella Guiana torse ?... »
« No, no! semplicemente dalla parte opposta della strada, a fare... ».
« A fare ?... »
« A piantare cavoli, rape e palàie...1. » — gemè Miss Em. coprendosi il volto con le mani.
Io respirai... Piantare cavoli, rape e paiate, dietro conveniente salariò, specie per un « vegetariano » come lui, .libero di piò, di tornare la sera alla sua casa presso a madre, e, fra un cavolo e l’altro, d’intramezzare magari qualche lavoro più geniale... via, non era proprio un capolavoro di raffinata crudeltà da aggiungersi alla storia delle persecuzioni da Nerone a Torquemada... Respirai di nuovo...
« Lp vedo ! Voi fremete d’indignazione, non è vero? Voi convenite che l’Inghilterra è disonorata ?... »
« No, mia cara Miss Em..., no: a dir la verità, trovo che non hanno inferocito eccessivamente..., date le abitudini internazionali non troppo gentili in simili casi... »
« Ah! ma l’Inghilterra...! » — sospirò di nuovo.
« È vero, lo so; i paragoni sono odiosi...: ma. se pensate che in Russia parecchie centinaia di Tolstoiani che si sono ricusati di combattere, anziché la scelta fra l’ambulanza e una fabbrica di scarpe o una piantagione di barbabietole, sono stati mandati...
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a ingrassare essi il terreno per i cavoli e le patate...: e che in Italia stessa, nel paese classico del buon senso e il più alieno da persecuzioni religiose, sarebbe tanto difficile persuadere le autorità militari a prendere sul serio tale sorta di scrupoli di coscienza, che in un caso che mi è stato riferito, del genere di quello del Dott. B..., esse rimasero tanto sconcertate, che si dovè ad un eccesso magnanimo d’interpretazione benevola, se giudicarono che a quel « conscientious objector » avesse dato di volta il cervello... e pietosamente lo spedirono al manicomio provinciale... a curarsi di quella “ umanitarite acuta ”... ».
« Ah! ma l’Inghilterra...! » — gemè Miss Em. —l’Inghilterra! » Dovetti passare, a parlare di altro...
Eppure, Miss Em. non è un’eccentrica nè un'isolata, nel volere che l’Inghilterra, dia il « lead », sia la guida delle nazioni nella nuova vita sociale e politica. Tutt’altro! Anche al di fuori della Società dei « Friends », numerosi gruppi religiosi, democratici, umanitari si agitano dal principio della guerra, perchè ogni nazione, e l’Inghilterra per la prima, abbandonato l’atteggiamento della vittima, innocente e santa, riconosca la sua parte di responsabilità almeno remota nella presente catastrofe della civiltà europea, e si prepari alla dolorosa espiazione, coi» una radicale « conversione di cuore » e con un serio programma di ricostruzione sociale a base democratica e umanitaria. Sulla rivista Bylichnis ho spesso cercato di dare espressione a queste voci, specie se provenienti da individui o da gruppi animati da motivi religiosi. Qui mi limiterò a dare un cenno di due movimenti e di una persona.
KEIR HARDIE
La persona,... non è l’immancabile Bernard Shaw, l'autore, fra tante altre cose, del « Senso comune intorno alla guerra », un .< j’accuse » formidabile, che forse non sarebbe stato tollerato, nel primo mese della guerra, da nessuna delle nazioni belligeranti. La persona è. invece, quella di Keir Hardie, il fondatore dell’« Independent Labour Party » inglese. Egli è stato ucciso dalla guerra, in un senso altrettanto proprio che il grande Jaurés, o qualunque dei soldati il cui cuore sia stato attraversato da palla nemica. Egli non ha potuto sopravvivere alla «grande disillusione», all'assassinio del suo gran sogno di fratellanza internazionale dei lavoratori, primo gradino della fratellanza umana. Egli ha dato le sue dimissioni da un mondo che non aveva, per ora, bisogno di lui: ma è morto sulla breccia, difendendo senza compromessi, fino all’ultimo, il suo ideale teneramente amato...
Pochi uomini, torse nessuno, han fatto su di me un’impressione più profonda, fin dal primo istante in cui lo conobbi, nel maggio 1913, alla « Settimana del Lavoro ». Lo vidi sulla piattaforma della « Browning Hall ». il suo volto modellato su una forma tragica, con lo sguardo fisso sulla visione che lo aveva conquiso nella sua prima gioventù, e lo udii proclamare, in preda ad un esaltamento mistico francescano, con una voce satura di desolazione e di pianto:
« Ah! se potessi tornare indietro di trenta anni, con l’esperienza acquistata in trentacinque anni di vita fra operai, vorrei abbandonare la morta gora della politica e il ciarlatanismo del Parlamento; e se fosse necessario la famiglia ancora.,,, e
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correre éóniè un fólle dietro le Òrme dèi visionario di Nazareth, e gridare ih mezzo al popolo il Sii© messàggio, che l'anima individuale non può salvarsi che salvando l'anima sociale... ». E questo diceva ora quell’uomo, che ventitré anni prima aveva detto ai suoi elettori: « Mandatemi al Parlamento, a lavorare per le anime di coloro per Cui Cristo è morto »; e che a me che gli stringevo là mano dopo il discorso, è gli facevo osservare; che il socialismo italiano non aveva ancora cosciènza di quésto «cristianesimo» fondamentale del suo programma, rispondeva con una voce ineffabile, e rovesciando indietro il suo capo gravido di tutti i dolori dell’umanità e di tutte le visioni dei profèti : « Ah! voi siete ancora troppo giovani...! ».
In lui, io ho visto una di quelle incarnazioni del senso tragico del dovere e della vita, quale quella che gl’inglesi avevano contemplato mezzo secolo prima in un esule Italiano, in G. Mazzini. La sua vita, egli dovè estrarla da una roccia di granito, col diamante di una volontà tenace e irriducibile, che non conobbe transazioni.
Minatore prima di sette anni, senza aver seduto per un sol giorno in tutta là sua vita sui banchi di una scuola, e incapace ancora, à sedici anni, di scrivere il suo nome, egli apprèse a leggere dalla madre, imparò da sè là stenografia negli intervalli, sotterra, scrivendo con uno spillo sugli strati di calce, affumicati prima con la sua lampada. A 24 anni organizzatore delle « trade unions », e perciò espulso da tutte le miniere del Lancashire; direttore d’un giornale locale, e poi fondatore del Minatore, e del Labour Leader, deputato al Parlamento, e fondatore dell’« Inde-pendent Labour Party », di cui rimase sempre l’ispiratore è il profeta..., in tutta una vita di sessantanni, egli restò fedele alla visione che gli èra apparsa fin dall’infanzia, e che l’aveva consacrato portavoce di una volontà suprema di giustizia sociale, e di fratellanza internazionale dei ’popoli:
Entrando egli un giorno nell'aula del Parlamento, al suo solito, in schietto abito dà operaio, con la cravatta rossa — (egli visse sempre nell’abituro in cui aveva iniziato la sua carriera di minatore, fièro della sua povertà) — un « policeman » lo fermò: «Camerata, lavorate voi qui ? » gli domandò. «Sì », fu la laconica risposta. « Sul tetto, forse? » « No, sul pavimento ». Operaio tipico egli è sempre rimasto, dal giorno in cui emerse dal pózzo della miniera pieno delle visioni'della' tragica realtà, e si trovò di fronte il mondo delle apparenze e delle convenzioni. Lo stupore, l’indignazione, l’angoscia Che brillò nell’occhio <Xe\\’operaio in quel primo giorno, vi rimase pér tutta la vita, attenuato solo dalla visione die anche l’operaio sarebbe un giorno divenuto uomo. Il lampo sempre pronto a dardeggiare nelle sue ciglia, il fuoco mài spento nel suo cuore, sempre pronto a erompere in fiamme; là sua voce sempre pronta a tuonare e a denunziare... egli fu apostolo, profeta e martire.
Pochi mesi prima di morire, allo scoppio della guerra, egli sapendomi redattore d’un giornale italiano socialista, benché interventista, volle incaricarmi di portare ai suoi fratelli di fede là sua parola nell’ora fosca e nel tragico cimento: doveva essere, certo, una parola di forte speranza, di sprone a ricominciar da capo la fabbrica dell’edificio demolito, coi secoli dinanzi agli occhi e l’umanità nel cuore; un invito a gridare : « L’Internazionale è morta? Viva l’Internazionale! » Ma il morbo suggellò le sue labbra, e non potei più vedérlo, nè Udirlo. Ed ora, invece delle sue parole, altro non mi resta che additare, più eloquente di ogni accento, la sua nobile vita...
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PER PREPARARE LA SOCIETÀ DI DOMANI
Fra una dozzina almeno di associazioni e di movimenti pacifisti preesistenti, o sorti ora per preparare la pace, e la società che dovrà sostituire quella che diede origine alla guerra, ne scelgo due tipiche: l’una che si occupa più dei mezzi e delle direttive politiche: l'altra che, all’opposto, va alle radici ultime morali e sociali dello stato d’animo che alimenta tutti i conflitti in tempo di « pace » non meno che in quello di « guerra ».
Della prima, la « Unione per il controllo democratico » fondata per ispirazione e per opera di Norman Angeli — il famoso autore della Grande Illusione — riferirò, senza commenti, il solo programma, che è di promuovere la politica seguente, sia nella conclusione della pace, che dopo di essa:
i° Nessuna provincia sarà trasferita da un Governo all’altro senza il consenso plebiscitario della popolazione di tale provincia.
2° Il Governo (della Gran Bretagna) non conchiuderà alcun trattato, accordo, nè prenderà alcun impegno senza la sanzione del Parlamento: e si dovrà adottare un sistema tale che garantisca il controllo della democrazia sulla politica estera.
3° La politica estera (della Gran Bretagna) non dovrà mirare a creare alleanze per il mantenimento della « Bilancia del Potere », bensì a stabilire un concerto europeo, e costituire un Comitato Internazionale, le cui deliberazioni e decisioni dovranno essere pubbliche.
40 La Gran Bretagna proporrà fra le condizioni del Trattato di Pace un programma di riduzione radicale, di comune accordo, degli armamenti di tutte le nazioni belligeranti, e, per facilitarlo, si sforzerà di Ottenere la generale nazionalizzazione dell’industria degli armanenti, e il controllo sull’esportazione di armi da una nazione all’altra.
Tra gli opuscoli di propaganda, editi da 11 ’Associazione, menziono quello di Norman Angeli: Sarà questa guerra a por fine al militarismo tedesco? — come il più espressivo delle idee dell’A. e dello spirito dell’Associazione stessa — forse il più sensato, equilibrato, persuasivo, scritto in ogni nazione dal principio della guerra.
Il « Fellowship of Reconcilialion », la secónda associazione non s'identifica con la Società dei « Friends » (« Amici ») della cui resistenza alla guerra ho fatto già cenno, perchè, benché i fondatori di esso e il nucleo centrale siano in prevalenza membri della Società degli « Amici», pure possono ad esso appartenere o aderire tutti quanti, per qualunque motivo, anche non esplicitamente religioso, vogliono nelle diverse nazioni — giacché è un movimento internazionale — lavorare alla * grande riconciliazione », che deve precedere e seguire e perpetuare la pace delle diplomazie.
Non è solo dell’Inghilterra, ma dell’Europa tutta e del mondo intiero di domani, della creazione di un’umanità migliore attraverso gli spasimi e le agonie presenti che l’Associazione si occupa: allacciando fin da ora le fila delle buone volontà super stiti in tutti i paesi, che attendono il segnale della Pace per mettersi all’opera.
E ve ne sono in tutti i paesi di questi spiriti: ed è questo, ben più che la superstiziosa « efficacia purificatrice della guerra », che ci dà ancora motivi di sperare. Miss Ellis, la devota segretaria per l’èstero del movimento, mi sottopone, al proposito, dei documenti confortanti.
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Miss Ellis, Mr. E. Hodgkin (il nipote del noto scrittore inglese di cose italiane) — per nominare solo le due personalità del movimento con cui più a lungo conferii — ... quali tempre adamantine d’idealist ¡-realisti ! Come si sente, si tocca, si realizza, parlando con essi, resistenza dell’uomo spirituale che ha principi e leggi di vita sue proprie: e come è facile, dinanzi alle loro azioni, di credere e di vedere all’opera quella forza rinnovatrice, in cui fidiamo quanti vogliamo un mondo migliore! « Sì » — rispose Miss Ellis ad una mia osservazione — «io sono persuasa come voi e come in genere gli « Amici » ed altri, entro e fuori del nostro movimento, che le radici remote della guerra sono nella nostra struttura sociale, nella concorrenza commerciale, nelle ambizioni politiche, negli egoismi nazionali, e perciò le radici ultime sono in noi stessi, nei nostri egoismi individuali, nelle nostre personali passioni e interessi: è per questo che noi stiamo studiando appunto quali riforme radicali introdurre nella nostra propria vita e condotta, prima di invitare gli altri ad abbracciarle... Quanto a me » — soggiunse con una semplice disinvoltura che mi commosse — « io ho già cercato di mandare di pari passo tale mia persuasione con la mia condotta, offrendo ai dirigenti del partito socialista tutti i miei beni — investiti in miniere e in azioni di « caoutchouc » — perchè li amministrassero a vantaggiodella comunità: ma essi non hanno accettato per ora, dichiarandosi non ancora pronti a questo passo, ed allora io ho creduto di soddisfare alla mia coscienza usando le mie rendite per sostenere questo movimento, al quale consacro anche tutte le mie forze... ».
Mentre ella parlava, mi ritornavano alla mente le parole del messaggio, uno dei brani più eloquenti usciti dal cuore di donna, inviato in un recente congresso di giovani « Amici » dalla sezione donne alla sezione uomini: « Noi vi scongiuriamo, che se la vostra coscienza vi impone di non prendere le armi contro i vostri fratelli nemici, non vi sospinga a farlo il pensiero della difesa di noi vostre sorelle : lasciatene a Dio la cura » : e mi risuonava alla mente il più alto omaggio che del Cristianesimo praticato sia stato mai fatto, omaggio raccolto da uno dei primi apologisti: « Quali donne hanno i Cristiani! ».
Proseguendo, ella mi.citò nomi di «Amici», che hanno già spinto la pratica attuazione dei loro principii, al punto di cedere agli operai della loro industria costituiti in cooperativa, l’intiera proprietà dell'industria stessa... E passando ad altro argomento, mi parlò di quanto molti di essi avevano sofferto (perdita di posizioni ufficiali e private, prigionia, ecc.) per la fedeltà ai loro principii e la propaganda delle loro idee, e di quanto volontariamente facevano, per contribuire anch’cssi a sanare le ferite causate dalla guerra... E mi parlò di giovani « Amici », che per non godere del privilegio di esenzione accordato di diritto alla loro Società e negato ad altri, e per affrontare allo Stesso livello di questi ultimi la responsabilità della loro condotta, erano usciti, ufficialmente, dalla Società stessa Che li póneva in una condizione privilegiata...
LA GUERRA E L’ORDINAMENTO SOCIALE
Fra la letteratura che ricevetti, relativa alle questioni concernenti le cause morali e sociali della guerra, è un documento tipico quello che tratta degli argomenti studiati e discussi da sette Commissioni, incaricate dal « Congresso An-
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nuo » degli « Amici » nel 1915 di riferire nell’anno seguente sui « Rapporti fra la guerra e l’ordinamento sociale ».
Documento, rappresentativo non scilo dello spirito con cui questa Società si accinge ad affrontare il grave problema, ma anche delle idee, dèi propositi, dei programmi di riforme, che io ho inteso annunziare più volte quasi nei medesimi termini — anche se spogli dell’atmosfera religiosa — in circoli, ambienti, gruppi, che credo rappresentino abbastanza fedelmente l’elemento migliore e più fattivo te\V Inghilterra di domani.
A questo titolo significativo darò un rapidissimo cenno degli argomenti studiati e delle linee delle soluzioni proposte, riservandomi di tornare in altra occasione su questo interessantissimo argomento. Il primo Comitato ha presentato, sulla genesi delle guerre, altrettanti relazioni su: La concorrenza, per motivi diversi dai materiali; sulla proprietà privata; sull'antagonismo di classe; sulle «macchinazioni d’interessi rivali di armamenti, diretti da gruppi irresponsabili e anti-democratici, ansiosi di dividendi e premurosi di rendersi solidali le popolazioni col legame dell’interesse, sia come azionisti che copie operai »; sulle rivalità commerciali: — additando in queste altrettante càuse permanenti di conflitti nazionali e internazionali.
(Specialmente le relazioni 2a, 4“, 5a, meriterebbero di essere integralmente riprodotte).
La relazione di L. Rowntree risponde magistralmente alla questiono proposta al secondo Comitato: « I danni ed inconvenienti dèlia concorrenza, sono essi inerenti al sistema, o solamente degli abusi? »
« Per quanto io mi sforzi accanitamente » — dice un « Friend » che egli cita, — « mi riesce quasi impossibile di pensare ai miei' concorrenti con uno spirito cristiano ». E s’indovina la tendenza generale della relazione;
La terza Commissione doveva rispondere al quesito: « È possibile fare qualcosa nella organizzazione delle industrie, allo scopo di accordare agli impiegati quello che spésso: essi desiderano anche più che l’aumento dei salari, cioè una maggiore indipendenza ed una partecipazione nella direzione delle loro condizioni d’impiego?»
Essa lo ha fatto con seri studi sulla Partecipazione agli utili; la Compartecipazione dèi lavoratori, le Camere del Lavoro, le Società Cooperative, il Socialismo di Stato, il Sindacalismo, ricercando la maniera più equa di armonizzare gl’interessi dei capitalisti, degli operai, dei consumatori: studi nei quali, naturalmente/ l’economia politica predomina sulla sociologia.
Passando sopra all’operato della quarta Commissione, sul modo di eliminare gli abusi del sistema capitalistico, giungiamo all’interessante relazione della quinta Commissione, sul modo di semplificare la vita: « semplificazione volontaria, più che obbligatoria, e ispirata non da solo disgusto per le convenzioni, ma da un interesse vitale di ordine, morale ».
L’interesse di questa relazione consiste specialmente nel fatto, che le sue proposte non sono il prodotto di un lavoro di gabinetto, ma l’espressione e formulazione delle riforme veramente introdotte nella loro vita da un gran numero di persone, che hanno contribuito le loro esperienze. Riferirò alcune di quéste proposte già vissute:
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x° Cambiamento di ambiente. Recarsi a vivere in quartieri operai, specie nella regione degli « slums » per apprendere per esperienza diretta le condizioni in cui vivono la maggior parte dei lavoratori, studiare i mezzi di migliorarle, ed avvantaggiarsi del contatto con persone che hanno della vita un'esperienza tanto diversa. (Faccio notare che è appunto questo il concetto fondamentale delle istituzioni inglesi dette « Settlements »).
2° Restringere le proprie abitazioni, adottando anche il sistema dell’abitazione cooperativa. (Segnalo come esempio, la Wortheim di Letchworth, che combina genialmente ed economicamente i vantaggi della vita di pensione con la piena autonomia e con lo spirito domestico delle singole famiglie). Semplificazione nel mobilio e nell’ornamentazione, con risparmio di lavoro manuale.
30 Fare ogni giorno qualche ora di lavoro manuale... Anche per imparare ciò che significhi non fare altro tutto il giorno, e d’altra parte aiutare a reintegrare il lavoro mannaie nella sua dignità.
40 Cambiamento nel sistema di impiegare le domestiche, ora prive di libertà e di mezzi per istruirsi e ricrearsi, e trattate generalmente come inferiori.
50 Economia nelle spese: ma non,già allo scopo di accumulare risparmi, il che sarebbe più dannoso a noi stessi che lo spenderle. Guardarsi inoltre dall’ado-prare le nostre ricchezze allo scopo di guadagnare influenza : ed anche dalla sottile tentazione di molti, che pensano più al bene che con esse possono fare agli altri, che al bene che questialtri possono raggiungere da se stessi;
6° Promuovere questa vita semplice nelle nostre scuole, educando i fanciulli in modo Che non crescano su con falsi ideali...
70 Aumentare la nostra « camaraderie » (feUowship) con coloro che sono costretti a vivere una vita semplice; penetrare nella loro vita, e imparare da essa nuovi punti di vista. La nostra vita spirituale libera così da molte cure mondane diverrà più suscettibile di gustare le bellezze naturali, e le gioie di cui tutti possono partecipare senza timore di privarne gli altri, e potrà acquistare maggiore profondità morale.
La più interessante in un certo senso, e senza dubbio la più radicale, è la relazione presentata dalla Commissione incaricata di rispondere al quesito, in apparenza sì modesto ma sì audace nella sostanza, cioè: « Se sia possibile di effettuare una ulteriore semplificazione e un arricchimento maggiore di vita nell’ordine pratico,* associando persone di medesimo spirito e pienamente fiduciose le une nelle altre: e se la Società degli « Amici » sia la più adatta a tentare questo esperimento ».
Si tratta, come si vede, della fondazione di colonie collettivistiche.
Chi è persuaso che la differenza unica fra utopia e realtà è data dalle persone; cioè da forze spirituali, non sarà tentato di gettare un «crank!» e passare oltre. Infatti la Commissione non si appoggia solo sulla presunzione della bontà delle sue idee, ma le correda con una larga documentazione di esperiménti in tutto o in parte riusciti.
La relazione descrive con colori realistici, benché idealistici: « La Città di Dio, la Nuova Gerusalemme, che debbono essere attuate qui tra gli uomini, qui
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sulla terra, e che non lo saranno certo coi sistemi di vita del passato »: la trasformazione del nostro mondo del'lavoro in « un’associazione di sforzi nella quale si entrerà con gioia »; e la costruzione « di case gioconde alle quali gli uomini torneranno con gioia a gustare la felicità » — tutto, come un dovere essenzialmente religioso.
E soggiunge: « È inutile nutrire speranze di realizzare questi ideali, finché continuiamo a spendere le nostre migliori energie per sorreggere questo sistema di concorrenza e di guerra industriale. « Noi dobbiamo abbandonare questo sistema sociale, e imbarcarci in una splendida opera di cooperazione. Al culto del danaro deve essere sostituito il culto dell'uomo. Una nuova comunità dovrebbe sorgere a incarnare questa nuova visione di vita ».
E la relazione prosegue, proponendo che la Società degli « Amici » fornisca essa — « come un prestito a Dio, senza interesse » — il capitale per la formazione di questa colonia communistica, che potrebbe offrire sicuro asilo a membri della Società che hanno sofferto e soffrono per la loro opposizione alla guerra, e che forse soffriranno ancora quando si troveranno di fronte, come concorrenti, i reduci dalla milizia. La documentazione dell’esperimento collettivista è data da diciotto illustrazioni, tutte, — meno quella nota dei Gesuiti nel Paraguay, — appartenenti allo scorso secolo, e di cui alcune con loro esistenza tutt’ora florida, sono la migliore dimostrazione che l’utopia può divenire realtà tangibile, quando il
1 vincolo d’unione sia un alto ideale spirituale.
E la relazione non si ferma qui: essa propone che contemporaneamente, col legame del mutuo soccorso, di sforzi combinati, e di tutte le risorse della cooperazione industriale, le industrie appartenenti agli « Amici » si stringano in una maggiore comunanza d’interessi ispirata ai più grandi ideali sociali, sì da divenire «una grande forza per il bene, e per il miglioramento di tutti i membri... ed esercitare un’influenza sempre crescente nel mondo commerciale, e gettare la sfida, col suo successo e idealismo, all’aspro antagonismo e alla lotta presente... ».
TIROCINIO DEI DOVERI DI CITTADINO
Spettava al mio illustre amico, l’economista George Heath, ora « Warden » (direttore) del primo « Settlement » di Londra, « Toynbee Hall », di lanciare, come relatore della Commissione per l’educazione ai doveri di cittadino, un invito alla gioventù, perchè «in un qualche periodo della vita, mettendo da parte il loro lavoro professionale o industriale, si abilitino con lo studio e col tirocinio pratico ad essere cittadini capaci di servire la società...in uno spirito di abnegazione, per alti ideali ».
Poiché è pei nostri giovani che scrivo sopratutto, — pei nostri giovani italiani, a cui nulla manca, eccetto di acquistare coscienza del vero senso della vita e conoscenza dei mezzi pratici di dedicarsi a qualche grande ideale; per riuscire degni emuli e cooperatori di quei giovani inglesi di cui non sono, finora, che alleati, — non dispiaccia loro se m’indugio a tracciare le linee generali di un piano, che se dall’Heath fu vagheggiato specie per i giovani « Amici » non era stato e non è meno il mio sogno lungamente accarezzato; segno la cui realizzazione fu
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tra i motivi pratici elle mi fecero affrontare il recente viaggio, e in un pomeriggio di settembre mi conduceva appunto a bussare alla porta del « Settlement » di «Toynbee Hall» (nella sede più recente, nell’estrema «East End», la regione dei « docks » di Londra) per chiedere a George Heath di espormi le sue idee e di permettermi di approfittare della sua esperienza.
« Io sono « a very busy man », (« una persona occupatissima ») come sapete » — mi disse stringendomi la mano, togliendo ad una quantità di persone che reclamavano il suo consiglio o il suo aiuto un'ora preziosa, e dedicandola alla sua vecchia conoscenza, nel suo studio, dopo aver per prima cosa — era la metà di settembre — acceso un buon fuoco. « Sono molto lieto di rivedervi e di conferire con voi su un argomento che tanto ci occupa entrambi. La mia idea » — e qui io fondo i concetti da lui già espressi nella sua relazione, con ciò che a me ne disse, — « si è che i nostri giovani, uomini e donne, dovrebbero dedicare almeno un anno della loro vita a prepararsi in modo speciale al loro ufficio di cittadini. Come un medico di malattie fisiche, prima di esibirsi quale specialista per un ramo della sua professione deve avere fatto un buon tirocinio pratico di carattere generale, così i giovani che vogliono dedicarsi a curare le piaghe dell’umanità debbono prima prepararsi con un piano accurato di tirocinio pratico generale».
«A mio parere, quest’anno di preparazione dovrebbe aver luogo non prima dei vent’un anno, quando i giovani hanno di già una certa esperienza generale della vita reale — esperienza che naturalmente la scuola non può dare ».
« La mira di questo tirocinio dovrebbe essere di preparare i giovani ai loro doveri di cittadini, di creare nelle loro menti un nuovo atteggiamento rispetto ai problemi civici, di disporli al servizio sociale: quindi, prima e suprema necessità sarebbe quella di meglio comprendere la struttura della vita moderna. I padroni debbono meglio conoscere i punti di vista degli operai, e questi le difficoltà che si trovano di fronte i padroni; e ambedue, i difetti del nostro sistema industriale moderno, che debbono esser corretti perchè la conciliazione fra capitale e lavoro sia possibile. Perciò sarebbe di sommo vantaggio per tutti, che giovani di tutte le classi sociali, uomini e donne, studiassero insieme e vivessero insieme, e imparassero così a comprendere i differenti punti di vista. Gli studenti dovrebbero rendersi conto del funzionamento delle Camere del Lavoro, delle Società Cooperative, ecc.; studiare gli esperimenti industriali degli stabilimenti modello, le cooperative di abitazioni, ecc.; conoscere qualche cosa dei rapporti fra lo Stato e le imprese industriali; rendersi conto di quanta parte della legislazione resta ancora vana, perchè i cittadini non comprendono i suoi intenti e il suo meccanismo, ecc... ».
« Sicché, una parte del corso dovrebbe occuparsi dei rapporti fra l’ideale cristiano e l'industrialismo e il commercio; l’altra dovrebbe mostrare ai giovani il miglior modo di usare il loro tempo libero nel servizio della communità, far loro conoscere le diverse forme e vie di servizio sociale, sia individuale che in cooperazione con società volontarie o con gli enti locali o centrali dello Stato ».
« Mr. Heath» interruppi io. « non credete che là preparazione teoretica al servizio sociale, potrebbe essere fatta sufficientemente in alcune delle Vostre grandi Università situate in centri industriali, come Manchester, Liverpool, Birmingham...?».
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« Certamente, per la maggior parte, scegliendo, dietro speciale accordo con le autorità scolastiche, i corsi che meglio soddisfano al bisogno, e integrandoli poi in corsi più particolari nella sede dell’ Istituto. Particolarmente adatto mi sembra il programma della « National School of Economics » di Londra che, come saprete» ha nei suoi copiosi corsi un riguardo speciale appunto alia preparazione dei giovarti, volenterosi di dedicarsi al Servizio Sociale.
Comunque, a mio parere, l’insegnamento teorico dovrebbe comprendere i seguenti soggetti:
a) Lo sfondo storico della nostra presente struttura sociale, specie della « Rivoluzione Industriale.
A) Là filosofia sociale: studiando i rapporti fra l’ambiente e le qualità spirituali dell'uomo, il modo con cui si forma il carattere, e il rapporto di questo alla povertà e alla ricchezza; la relazione fra individuo è Stato, il diritto di proprietà, ecc.
c) L’economia sociale, con un riguardo speciale alla distribuzione della ricchezza. al Socialismo e al Sindacalismo, alle tasse, ecc.
rf) Il governo locale e centrale.
e) I rapporti internazionali, ecc.».
« Mi sembra, a un dipresso » osservai io, « il programma di studi svolto attualmente nel « Settlement » di Woodbrooke : non è vero? E quale sarebbe allora per voi la differenza specifica del nuovo istituto? ».
« Ma... specialmente la maggiore estensione del tirocinio pratico, che dovi ebbe mirare a far penetrare gli studenti nel centro delle attività di' una città moderna, per vedere in che modo funzionano e in quale rapporto i vari rami di attività. Secondo i diversi bisogni di ogni studente, essi dovrebbero acquistare conoscenza pratica delle istituzioni e delle atttività corrispondenti a:
i° V Educazione dei fanciulli (Scuole municipali; Opere post-scolastiche; « Comitati di consiglio » per giovani; Istituti serali; « Clubs » per fanciulli e fanciulle; « Boy scouts » e « fanciulle guide »; ecc. ecc.).
2° L’Educazione degli adulti..{Associazioni per l’educazione operaia; «Scuòle per adulti »; « Clubs » per uomini e per donne, ecc.).
3° Problemi di Giustizia (Tribunali per fanciulli; « Probandati »; Riformatori « Borstal » (agricoli) ecc. ecc.).
4° Problemi della miseria (Società di beneficenza; Società per l’Organizzazione' della Carità; « Comitati di Salute Pubblica », ecc.).
5° Problemi d'igiene (Opere per l’igiene infantile; Scuole per madri; Igiene Municipale).
.6° Vita Industriale Agenzie di Collocamento » di Stato; Legislazione Industriale; Camere di Commercio, Camere del Lavoro (Trade Unions); Società Cooperative; ecc..).
Aggiungete che, a mio avviso, una parte almeno del loro tirocinio pratico dovrebbe per qualche tempo, consistere nel lavoro manuale, in uno stabilimento o ufficine, per acquistare così un’esperienza di prima mano di ciò che siano le condizioni reali dei lavoratori. Altri potrebbero fare lo stesso tirocinio nei lavori agricoli, sia come agricoltori che come piccoli proprietari... Tutti poi, dovrebbero praticare
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le regole d’igiene nel vitto, nel sonno, nella, purezza dell’aria, negli esercizi fisici, consistenti, più che in esercizi sportivi, in passeggiate é in lavoro manuale. Anche un po’ di faccende domestiche, pratica di cucina, e igiene dell’alimentazione non sarebbe, mi pare, inopportuna... Naturalmente, io non ho preteso che di suggerire le linee generali di questo tirocinio al servizio della Patria e dell’umanità.
Negli « ordini religiosi » cattolici vi è un anno di « noviziato », e sento dire che gli aspiranti al sacerdozio debbono, di regola, passare alcuni anni in un « seminario ». Oggidì la società ha bisogno di « sacerdoti », non meno, anzi più che per il passato, ma di sacerdoti laici, di « ministri » nel senso dell’evangelico: « chi è tra voi maggiore si abbassi agli umili, e chi vuol servir da guida si faccia sei vo ». La scuola, per quanto si faccia, sarà sempre troppo lontana dalla vita per preparare ad essa: è necessario, dopo il tirocinio «librario» e accademico, far quello reale: andare a scuola per qualche tempo dagli ignoranti, dai poveri, dagl'infelici, dai reietti, per imparare la scienza che essi solo possiedono, per apprendere la lezione del modo efficace di servire l’umanità: « servire per regnare ».
« Mr. Heath, voi approvate, non è vero? l’idea di cui vi scrissi, di tentare qualche modo pratico di facilitare a scelti giovani « universitari » italiani la dimora di un paio d’anni in Inghilterra, allo scopo appunto di tirocinio, di servizio sociale. Sapete che Thomas 0’ Key, il grande amico dell’Italia, ha preso a cuore la cosa, e che stiamo appunto maturando il piano, per fare approfittare qualche nostro connazionale della opportunità unica di assistere alla costruzione della « nuova Inghilterra » che è nei voti e nelle volontà di tanti...! ».
«Sì, sì,,., approvo pienamente: lessi anche la vostra lettera sul Times al proposito: trovo che gl’interessi sia morali che economici e politici, dell’Inghilterra non meno che dell’Italia, avrebbero molto da guadagnare da questo contatto intimo fra ciò Che vi è di meglio nello spirito inglese e italiano. I Vostri giovani non conoscono, quasi, che la coltura e le istituzioni tedésche: dell’Inghilterra non conoscono che gli affari e il commercio,... e male: come, del resto, anche noi conosciamo poco l’Italia, e gl’italiani, aH’infuori delle loro bellezze artistiche e naturali e della storia del loro passato... Molto v.'è ancora da fare in questa direzione: e vi auguro che la vostra iniziativa alla quale prometto tutto il mio appoggio morale, contribuisca assai a questa migliore conoscenza. Che condurrà senza dubbio.a una più stretta collaborazione... »
Dopo avere ancora conferito sull’aspetto pratico del progetto, mi congedai, e passando come un colpevole attraverso la fila di « umili » che avevo defraudato di un'ora preziosa, mi accinsi al lungo viaggio, dall’« East-End » di Londra al « West-Center, »e poi al « North-East» della città immensa. (In Inghilterra nche i cani vi sanno dire.se la loro cuccia sia esposta al nord-nord-est, o al nord-nord-ovest...).
LE CHIESE INGLESI: MOTIVI DI SPERARE
La mia visita di congedò alla Società Etica di Finsbury Square, al ministro Unitariano, Rev. Charlesworth, e al Rev. Shakespeare, Battista, Presidente della federazione delle Chiese Cristiane inglesi, fu anche il mio congedo e il .mio « arrivederci » alla Old England e a Londra.
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Nelle loro diverse e in parte discordanti voci, io colsi una nota unica, confortante, che rispondeva direttamente al mio secondo quesito — quello che mi era posto trepidante due anni prima, lasciando l’Inghilterra dopo lo scòppio della guerra.
« No, l’Inghilterra non ha perso i suoi ideali umani » — fu tale la loro assicurazione. Questo mi han suonato, le parole di diverse personalità della Società Etica, anche nella loro critica spietata al nostro sistema sociale, all’« assenteismo delle Chiese, specie quella di Roma, e al fallimento del Cristianesimo organizzato » (ma chi, e che cosa non ha fatto fallimento...? solo, aver fallito non è buona ragione per suicidarsi...), le parole di Mr. Mac Cabe (l’ex-francescano, pubblicista scrittore e conferenziere) che prevede nei reduci dall’« Inferno » della guerra i cooperatori più convinti nell’opera di demolizione del sanguinoso passato e di costruzione di un mondo migliore; di Herbert Burrows (il « leader » socialista, e idealista mazziniano) nella sua conferenza su « la vita semplice »; del pubblicista Ratcliffe, il quale fra i motivi di sperare per l’indomani della guerra addusse fra altro il giudizio espressogli da un suo amico americano conoscitore profondo dello spirito dei diversi stati belligeranti, che alludendo al Congresso tenuto degli Alleati a Parigi per accordarsi sul modo di assicurarsi anche dopo la guerra dei vantaggi per le loro industrie e commercio, gli diceva: «Tempo perso! L’Inghilterra guasterà tutto: voi1 Inglesi non sapete odiare a lungo-, finita la guerra dimenticherete tutto... ». (Ma pare anché durante la guerra : non vidi io alla « Scala Theatre » gli occhi inumidirsi allo spettacolo pietoso di qualche centinaio di ragazzi tedeschi prigionieri ?)
E questo mi ha ripetuto, col suo accento tra il profetico dell’ottimista e l’analitico del sociologo, il caro Rev. Charlesworth, un innamorato dell’Italia, assicurandomi che il sistema economico, sociale, politico, non potrà dopo la guerra esser più quello di prima; che la comunanza nella lunga tragedia, e nel servizio attivo per la causa comune, allo stesso livello, di tutte le classi sociali divenute eguali dinanzi ai supremi cimenti che rivelano i soli valori morali dell’individuo, avrà l’influenza di distruggere le differenze di classi e le barriere economiche, e di democratizzare profondamente l’Inghilterra, più che cento anni di lotte parlamentari; che buon numero dei reduci dalla vita «au grand air» e dal dramma gigantesco, non vorranno più saperne di ritornare a sedere sugli sgabelli di un ufficio o di seppellirsi vivi nelle miniere, o di ritornare, macchine umane, negli opifici per tutta la vita... ma emigreranno nelle colonie, e diverranno liberi agricoltori, sostituiti in parte dalle donne, in parte dai mutilati; e in parte — e tanto meglio —- da nessuno... Anch’egli mi ha manifestato la sua amara disillusione per il silenzio del Papa di fronte alle molteplici atrocità tedesche...
Infine, questo mi ha detto 'la figura maestosa ed amabile, dalla parola di « Pontefice », del grande « leader » religioso Rev. Shakespeare; colui che ha più di qualunque altro inteso il bisogno urgente di chiamare a raccolta tutte le forze vive del Cristianesimo: progressista, e stringerle in un patto di cooperazione sulla base « delle sole cose che importano », e che nel Congresso di Bradford ha poderosamente suonato la diana della marcia verso la riconquista della società dietro la bandiera che porta scritto: « Il Cristiano deve essere l’anima del Mondo ».
« Arrivederci in giorni migliori », egli mi disse con affetto congedandomi, e
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Cattedrale di Rouen (Francia).
J. KEIR HARDIE. Il minatore-deputato. Fondatore del partito socialista inglese.
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Profanazione d'una chiesa (da una cartolina postale tedesca).
Russi che soccorrono un ferito tedesco.
Crocifisso rispettato dagli obici d'un bombardamento.
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le sue parole furono ben più elle un augurio per me: esse furono e sono una caparra, che sull’Inghilterra, sull’Europa tutta straziata, sulla povera divina umanità. Che nel suo lento faticoso cammino ascensionale dalla belva all’angelo va purificandosi nel fuoco d’infiniti dolori, risplenderanno veramente giorni migliori.
ROUEN E JEANNE D’ARC
Sottomarini tedeschi occhieggiavano nelle acque di Southampton... e le navi pudibonde, per tre giorni non vollero uscire dal porto per traversare il « Canale »...
Finalmente, sono a bordo; Areoplani ispezionano nervosamente il cielo, mentre cacciatorpediniere perlustrano con diffidenza il mare e il vapore cautamente, a lumi spenti, incede con la prua verso l’amica Francia. Mi guardo d’intorno: nella folla di passeggeri Che dopo tre giorni di sospensione dèlia traversata si sono accumulati per quella sera, cerco invano, nonché un nervosismo pur giustificato dal recente ricordo del siluramento del Sussex sullo stesso percorso, almeno una serietà grave, un pensiero di prendere in tempo quelle precauzioni che son sempre troppo tardive se prese nel momento del frangente: ad es. un ravvicinamento personale con le « life-belts » (cinture di salvataggio) accatastate la maggior parte in un angolo quasi inaccessibile del dormitorio di bordo. Niente! tutti mangiano, bevono, fumano, suonano e cantano...e dormono. Incoscienza? Domestichezza e abitudine al pericolo? Imprevidenza? A costo di apparire un pusillanime, feci quello che ai miei occhi era atto di prudenza e ovvia precauzione, ed estratta dall’armadio una cintura che volli a me vicina durante tutta la traversata, presi le mie disposizioni per salvare in Caso di siluramento — come Giulio Cesare i suoi « Commentari » — i miei manoscritti.
A tarda mattina giungiamo a Le Havre. Il diretto per Parigi è già partito mezz’ora prima, e non resta Che attendere quello della sera. Mentre facciamo, in piedi, innanzi alla « passarella » del piroscafo, sotto la pioggia, ùn’oretta di fermata — (tutto il viaggio di ritorno fu, non meno di quello di andata, pieno di disastrose peripezie, coi suoi quindici trasbordi sotto un’implacabile pioggia, e senza « facchini » per il bagaglio — domando all’ufficiale che guarda la testata della « passarella » se non vi sia alcun treno che parta per Rouen (la nota capitale della Normandia) prima di quello der Parigi.
«Certamente», mi risponde l'ufficiale, in francese con un accento normanno, « vi è il treno delle 13; mentre quello per Parigi parte alle 17,30 Ma esso si ferma a Rouen, e voi partendo prima non guadagnereste nulla: dovreste attendere a Rouen anziché a Le Havre: c’est tout ».
« Oh! » — replicai io tra me e me più per giustificare a me stesso la mia decisione di visitare una buona volta l’interessante città medioevale per la quale ero passato tante volte senza aver mai l'opportunità di fermarmi, che per rispondere a lui — « le óre di fermata a Rouen saranno assai meglio impiegate che restando mezza giornata in una città sì poco interessànte come Le Havre... ».
«Quoi? Monsieur!... Ce n'est pas le temps de se promener; vous savez?s... Oh non! » — mi replicò severamente, quasi burberamente, l'ufficiale. E proseguì
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commentando nello stesso tono con un suo collega vicino i miei propositi; quasi io fossi un « touriste » spensierato e mezzo cinico, capace di vagabondare e di divertirmi in una provincia in cui milioni di uomini e donne sono immersi nel lutto.
Avrei potuto osservargli, che le emozioni patetiche, austere e sacre ispirate dai nionumenti e dai templi di Rouen, la città di Jean d’Arc, armonizzavano assai meglio con la situazione presente che la noia mortale di mezza giornata di pioggia in un caffè. Ma compresi che lo stato d’animo che aveva motivato quel giudizio, per quanto severo ed ingiusto, era degno di rispetto e forse anche di pietà: e non sarebbe stato facile rettificarlo. E mi rassegnai a perdere per la seconda volta la mia riputazione. A Parigi, ero passato per un « filosofo chiappanuvole », a Le Havre per un « viveur » : trenta ore dopo, a Chambéry, — a giudicarne dalla risposta invariabile: «je le regrette, mais je ne suis pas d’ici...! » che ricevetti da tutti i cittadini a cui richiesi indicazioni per visitare la Sainte-Chapelle e l’abbazia d’Haute-Combe — dovevo scendere l’ultimo gradino dell'abbiezione, e diventare una « spia ».
Eppure non tardai a convincermi, che il burbero ufficiale era perfettamente intonato al colore locale: « In Normandia non v’è famiglia che non sia in lutto, mi dissero i due compagni di viaggio a cui avevo chiesto informazioni sul tributo pagato da questa tipica provincia anglo-francese alla causa in cui la prima volta, forse; nella storia l'Inghilterra e la Francia erano alleate contro un comune nemico ». Furono i battaglioni normanni e brettoni che dovettero affrontare per i primi .data la vicinanza alla frontiera belga, la piena avvolgente delle armate tedesche: essi resistettero con 1’« entêtement » proverbiale alla nostra razza e smorzarono alquanto il colpo diretto al cuore della Francia, a Parigi...: ma essi furono esterminati: nè il nostro contributo finì lì... Voi vedrete a Rouen : tutti i colori son banditi dagli abiti delle donne: esse sono tutte in lutto... ».
Infatti, le vidi: erano tutte in lutto..! Strana illusione! Quelle figure delicate di dame normanne, che preservavano con tanta fedeltà il tipo che noi sogliamo identificare con quello della dama dell’aristocrazia inglese medioevale, — e che è in realtà quello dei Normanni invasori del sec. xi, — da rievocare naturalmente le foggie di vestito e gli ornamenti muliebri della nobiltà del periodo dei Plan-tageneti, dei Lancaster e dei York, apparendomi ora avvolte in queiraustero manto di duolo, mi producevano vivamente l’anacronistica impressione, quasi di una reviviscenza di generazioni scomparse, di madri e di spose accorse dalle remote regioni in cui avevano trovato pace ed oblio, a prendere parte al cordoglio ed al lutto dei lontani loro figli.
L’illusione era favorita dal fatto, che Rouen, costituendo la base dell’esercito inglese operante nella Somme, è completamente invasa da truppe inglesi: e la fantasia ricorre naturalmente alla Rouen della guerra dei Cent’anni, e all’eroina salvatrice della Francia quasi cinque secoli or sono.
Di Giovanna d’Arco è piena la vetusta città medioevale.
Qui annesso alla cattedrale, l’antico palazzo arcivescovile, fosco, tetro, senza anima chiuso in sè stesso come un bastione, nel quale Jeanne d’Arc, fedele fino all’ultimo istante alle « voci » che l'avevano guidata, e sènza punto arrendersi alle
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intimazioni di teologi, di vescovi e di papi (ed è merito non ùltimo di Marcel Hé-b.-rt di aver rivendicato questo punto) veniva da sedicenti depositari della verità r ligiosa condannata come eretica e strega, e consegnata al braccio secolare. Più ii. là il torrione in cui l’eroina fu sostenuta in prigione prima e dopo il processo, e donde fu condotta, giovanotta diciannovenne, esultanti i nemici della Francia e soddisfatti piamente del compiuto dovere i « ministri di Dio », a espiare col rogo il delitto di avere intesa una vocazione prepotente e di esserle rimasta fedele fino alla morte.
Sulla piazza del « Vfeux Marché », addossata a un pilastro del nuovo Mercato, una lapide indica il luogo ove la esecuzione ebbe luogo. E lì presso, il Boulevard Jeanne d’Arc, e poi la Place de la Pucelle con la sua statua marmorea; e più lontano su di una collina che domina la città, la Chiesa dedicata alla « eretica » del 1431 divenuta « Beata » nel 1904 : e lì presso un altro insigne monumento...
La Francia e l’Inghilterra ora riconciliate in un comune sentimento di umiliazione e di compunzione per avere entrambe immolato una vittima innocente...: — non era quello un simbolo di ciò che le nazioni europee dovranno sentire in un prossimo giorno, dinnanzi allo spettacolo della loro follìa barbara nel fare scempio del corpo e dell’anima di un'altra grande innocente: l’Europa e l’Umanità, immolata nell’atto che compieva la sua ascensione faticosa?
Nel grido ultimo: «Gesù! Gesù! Gesù!» della- martire, aveva certo tremolato, inconsapevole forse, uña fiducia, una fede, che il suo sagrifìzio non sarebbe vano: che il suo spirito, affidato, — come già quello del martire che invocava. — a Colui che resta, e raccoglie i gemiti e gli strazi di chi soffre e di chi muore, sarebbe rientrato, a così dire, in circolazione nel sottosuolo divino, nel serbatoio universale della vita, e avrebbe così continuato a vivificare a sorreggere, a rappacificare, a rendere migliori, coloro per cui si immolava...
LA CATTEDRALE
OLOCAUSTO E RICONCILIAZIONE
Passo dinanzi all’antichissima chiesa di Saint-Ouen, gioiello di architettura normanna : sono dinanzi alla Cattedrale medioevale.
La freccia diafana della sua guglia è tutto un prodigio di slancio, uno spasimo di « sursum corda! » un tentativo nostalgico di ritornare al Cielo e di espiare le colpe della terra; uno sforzo per lanciare nell’infinito le vibrazioni affidatele da mille e mille cuori. A destra della sua facciata si erge là « tórre del burro », eretta con le- offerte dei pii Normanni del sec. xv in riscatto del divieto di adoperare il burro nella ’Quaresima’... : mentre alla sinistra, la torre in stile romanico testimonia della fede dei secoli anteriori... In lontananza, sullo sfondo di un cielo grigio, si profila una ciminiera :... anch’essa, dì e notte, a suo modo, solleva al cielo in una nuvola di fumo, l’emblema dell’umanità che lavora e che soffre...
Entro nell’ampia cattedrale, incontrato sul limitare da schiere allineate di santi e di angeli fratelli. Le sue ampie navate, ora salutate tristamente dal sole
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che tramonta sulle sciagure umane, sono deserte. Nelle cappelline di recente costruzione che deturpano le navate laterali, scorgo, sì, dinanzi a qualche. Sant’Antonio di Padova o a qualche «prodigiosa» Madonna, tre o quattro «divote »prostrarsi, e chiedere qualche cosa:... ma le tre braccia distese, maestose, che si prolungano dall’abside dominato da una croce, per raccogliere le esalazioni di povere o ricche anime grandi, e inviarle su, unificate, consacrate dalla solidarietà fra loro e con tutte le anime, verso la guglia, su per essere scagliate dalla sua freccia tesa verso il Cielo...ritornano vuote; manca un anima che interpreti l’anima grande della cattedrale immensa, che soddisfi la sua capacità e avidità d’infinito.
Ad un tratto, una visione mi appare: lì vicino a me, occultatomi prima da un raggio di luce e confuso tra la selva di banali sedie, è inginocchiato un uomo, un soldato in khaki, un inglese, un’anima in pena.
Sul suo volto pallido, trasfigurato da una folla di sentimenti potenti, domina il senso del sacro, l’emozione del tragico, la presenza dell’infinito. Lo spazio ed il tempo non sembrano esistere più per lui: il mondo in cui egli ora vive, se non è ancora il Cielo, certo non è più la terra. La cattedrale immensa sembra ora placata: essa è piena, essa palpita, essa geme, essa soffre, essa spera: la freccia della guglia si agita come un’antenna che invii lontano lontano le onde a chi è disposto a riceverle...e dalle fenestre ogivali tra cui danzano nella luce, e dalle guglie traforate, e dal vestibolo, e dagli altari, le figure di coloro che già soffrirono e morirono per vivere sembrano inchinarsi pietosamente su quel loro fratello alla vigilia di raggiungerle, e di stendere su di lui la loro ala proteggitrice.
La sua famiglia che ha lasciata orfana, il suo avvenire che ei non vedrà, i suoi amici e compagni,... coloro Che sono, tecnicamente parlando, ¡.suoi fratelli « nemici », tutti sono lì con lui, in lui, rappacificati sul suo volto su cui aleggia pallido l’infinito, e immersi con lui in un dolore, in una rassegnazione, in una speranza, che è desolazione e calma divina.
I suoi sguardi s’incontrano, senza vedersi, in quelli del Crocifisso che domina e riempie l’abside e il tempio: e le sue labbra mormorano anch’esse, come già quelle del martire del Golgota, come le pure labbra dell'eroina sul rogo: « Padre perdona loro...! Padre, alle tue mani affido il mio spirito ». L’olocausto è consumato... La riconciliazione è avvenuta.
I NOSTRI MORTI: A VOI, GIOVANI!
Il soldato inglese della cattedrale di Rouen, resta per me il simbolo migliore non dell’Inghilterra soltanto, ma della Francia, della Germania, dell'Europa tutta che «soffre, combatte e prega»: un simbolo, e una promessa che l’Umanità traviata ritornerà ravveduta e compunta tra le braccia che la attendono protese, e che le nazioni, rappacificate nel sangue dei martiri, riprenderanno, doloranti per la via dell’espiazione, il viaggio eterno verso la luce e l'amore...
Oggi, mentre scrivo queste ultime pagine, le campane di tutte le torri della più popolosa città d’Italia, echeggiando a quelle che squillano sui campanili di tutte le città ed i sobborghi, suonano gravi e funebri rintocchi, e sfidando
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gl’incanti di un cielo sereno e i tripudi del mare ignari delle sciagure umane, invitano tutti a prostrarsi sulle tombe dei loro morti, a piangere, a sperare, forse a pregare.
Ma, chi Sono i nostri morti?
Essi sono « tutti i morti della guerra » — ha proclamato a Milano una voce eminentemente umana, commemorando i « nostri morti ». E un poeta inglese, innanzi al cadavere del suo nemico scrive: « Poiché il mio nemico è morto — un uomo altrettanto divino quanto me stesso è morto, — ecco io sollevo la coltre e mi curvo sul suo cadavere, — e imprimo sulla sua fronte il bacio della pace... ».
E un soldato scrive dal fronte: «... Non vedete che questi uomini che sono stati immersi nel fango di fronte a noi, sono, per noi, vittime della stessa catastrofe e nostri compagni di sventura, più veramente che voi stessi...? Nella sofferenza come nella conoscenza intellettuale, vi è qualche cosa che trascende le nostre emozioni individuali, e che unisce le anime alle sofferenze e alla sapienza di Dio... Ora. dinanzi ai miei occhi passa la visione dei miei amici, che dopo atroci torture morirono nell’illusione che la guerra... non fosse quella gran cosa sublimante che voi siete tentati di credere,... e che non sia, no, l’ultima parola di cristiana sapienza... ».
Di nuovo, chi sono i « nostri morti » che i rintocchi funebri c’invitano a piangere? Ah! i nostri morti sono tanti sogni individuali e nazionali di rivalità, di ambizione, di potenza; tante illusioni e baldanze di gioventù sfiorate e tanti egoismi di età adulta stroncati- tante allucinazioni che mentre fecero vedere ad ogni individuo e ad ogni nazione, come al viandante di Schiller, visioni lontane di luce e di gloria sull’orizzonte altrui, ìqcqtq però dimenticare che, anche senza uscire di casa loro, tutti avevano irredenti da salvare, colonie selvaggio da conquistare alla civiltà, miniere preziose da cui estrarre l’oro pili puro, campi vergini e ubertosi da coltivare...
I nostri morti siamo noi: i noi del passato sprecato; i noi che non seppero o non vollero sagrifiearsi in tempo ad evitare la catastrofe mondiale; i noi che non seppero dare la loro vita in un lavoro arduo e senza plausi, per salvare l’ànima propria in quella altrui, che non seppero « perdersi per ritrovarsi»...
Potrà questo immenso cimitero umano agitarsi ancora, e fremere di vita?
Potranno i nostri morti sentire la tromba e risuscitare, e rispondere all'appèllo, e accorrere al tempio, e poi spargersi di nuovo a popolare campi e officine, negozi e aule, senza apparire larve di morti, bensì uomini nuovi, trasfigurati?
I miei occhi cadono in questo momento su di un opuscolo di F, Gould, l’apostolo dell'educazione morale delle gioventù, dal titolo: Amore e servizio della patria — in Jorme non aggressive. È un appello alla gioventù, perchè agii eroismi della guerra sappia far seguire i più nobili e fecondi eroismi della pace. Sapranno i nostri giovani, gli amici e i figli nostri le cui mani sono ancora immacolate, il cui cuore non si è ancora inaridito, le cui sorgenti di entusiasmo e di ardore sono ancora intatte, rispondere: «ecceadsum!» all’appello che il passato, il presente, l’avvenire, volgono loro ?
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Sapranno tutti coloro che aspirano ad una vita intensa e feconda, che sentono la nausea della volgarità e della vacuità, che provano prepotente il bisogno di prodigare la divina gioventù, i loro ardori e i loro amori, a qualche causa nobile e grande, sentire questo appello poderoso dei « nostri morti »e dei vivi che vogliono divenir nostri, a vendicarli divinamente, preparando per loro su questo Mondò di Dio, non un ammazzatoio, un letamaio o un cimitero, ma un giardino fecondo da coltivare, una « Città di Dio » in cui abitare?
Le campane ora tacciono; il sole riempie di luce e di gioia l’Universo, gli uccelli gorgheggiano, le onde plaudono...e innanzi ai miei occhi di sognatore passa una teoria di giovani di fede, col cuore in alto, lo sguardo ebbro di visioni, il passo sicuro e io mi abbandono alla speranza, in attesa.
Napoli, 2 novembre 1916.
Giovanni Pioli.
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LE FONTI RELIGIOSE
DEL PROBLEMA DEL MALE
(Continuazione. Vedi BilycJinis, fase, di nov.-dic. 19x6, pag- 42X • ss.).
IV, — I primitivi rimedi religiosi contro il male.
1. I diversi rimedi. — 2. Rimedi fisici. — 3. Rimedi intellettuali- — 4- Rimedi morali.
5. Rimedi fisio-estesici.
e religioni primitive ànno dovuto rimaner sempre in contatto con le credenze individuali e con l'individuale condotta; esse anzi ànno dovuto mettersi in armonia coi problemi che sorgevano in seno alla vita teorica e a quella pratica; esse dovevano eliminare i contrasti sorti per la unificazione delle diverse credenze in un sistema, e per la coordinazione di questo con l’azione. Non potevano costituirsi religioni dove un incon
ciliabile contrasto fosse apparso tra le credenze dei singoli individui e il contenuto dottrinario delle costituende religioni della comunità, tra la condotta individuale e le prescrizioni che da queste religioni vengono stabilite.
Ed ecco perchè le religioni, apparse un prodotto della comunità, il resultato di una logica sociale, di interessi pratici, esclusivamente sociali, mentre sono evidentemente precedute dalla logica e dall’interesse individuale.
Ma la religione primitiva non si esaurisce nella vita sociale, nelle fòrmule, nei culti, nelle leggi, nei precetti, come alcuni sociologi pretendono; essa penetra nella vita psichica individuale da cui era partita e in essa ritorna per plasmarla e riformarla, dopo che negli esteriori contatti con la vita della comunità à subito ulteriori riforme. E poiché diversi sono gli atteggiamenti e diverse le esigenze dei singoli individui, da quelli della comunità, necessariamente diversi dovevano essere i rimedi che davano le religioni contro il male. La vita domanda la sua conservazione, la volontà cerca la via della salvezza e un termine Che le dia la beatitudine, la ragione cerca la luce, l’attività rappresentativa Cerca imagini di divina bellezza, e tutto quésto non successivamente, come si potrebbe credere, ma simultaneamente, secondo l’esigenze della natura umana e le contingenze in cui essa si sviluppa, e non per l’interesse esclusivo della comunità, o dell'individuo, ma nel comune interesse. Qui sono rimedi fisici, per via dei quali le religioni vogliono procurare o difendere la salute del corpo e renderlo, in qualche modo, tetragono al male; là sono rimedi intellettuali in quanto le religioni vogliono
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tornire la conoscenza delle origini, della natura, dei limiti e della finalità del male, vogliono liberare l’uomo dall’ignoranza e dall’errore e dare rivelazioni capaci di trasformare i valori umani, di indirizzare le umane attese e saldamente fondarle.; qui sono rimedi morali in quanto le religioni vogliono insegnare ad amare il bene e a odiare il male, vogliono educare l’uomo a perfezionarsi moralmente. Stabilendo leggi e regole per la condotta della vita pubblica e privata; e là, infine, sono rimedi fisio-estesici, in quanto le religioni vogliono procurare al religioso, come tale, quei particolari beni di ordine superiore, che fanno della natura umana una natura divina.
2.
Dicevo dianzi, che le cose più urgenti per il primitivo sono il cibo, la salute, il benessere materiale. In quella fase della vita religiosa, dominata •dall’istinto di conservazione, è appunto il bisogno di difender l’esistenza e di renderla immune contro le minacciose avverse potenze, quello che sorge- indomito e che appare come se fosse solo nella coscienza religiosa dei primitivi. Il feticcio, le potenze magiche, il totem, il tabu, devono servire al fine di allontanare, evitare, dominare e distruggere specialmente i mali che minacciano là vita fisica e il suo benessere.
Il feticcio deve mantenere l'uomo immune da Ogni male, deve anzi renderlo in vulnerabile, perchè chi porta un feticcio, un amuleto, un idolo, è sicuro Che armi nemiche non possono colpirlo, e che le sue imprese avranno buon esito. La potenza magica deve poter guarire da ogni malattia, deve procurare il benessere, minacciare le potenze avverse, e ridurle alla schiavitù sotto un comando più forte; essa deve a volontà produrre la pioggia e calmare le tempeste, deve procurare ciò che è utile alla vita fisica individuale, anche in contrasto con quella sociale, e in generale, allontanare ogni contrarietà. Il totem è una difesa ed un aiuto che vale anche per tutta la comunità. L'animale totem viene spesso ucciso, festeggiato e mangiato dai fedeli, dai membri della tribù, affinchè con la sua carne penetri forza anche nel corpo di coloro che ne mangiano, e con la forza la possibilità di imprese che servano ad arricchire di beni materiali l’esistenza. Alcune parti del totem vengono anzi generalmente conservate, perchè si crede che possano giovare come medicina potente contro ogni male (i). Il tabu è un oggetto pericoloso che bisogna evitare, e dev'essere considerato come un veleno, come una malattia contagiosa che produce la morte.
Questi oggetti acquistano, in altre fasi della coscienza religiosa, altri caratteri, ma qui essi ànno soltanto attinenza con la vita fisica e col benessere dell’individuo o della collettività. Feticci, idoli, amuleti, talismani, esorcismi, incantesimi, sagrifìci, preghiere, libri sacri, acqua, reliquie devono ridar la salute agli infermi e appagare desideri inerenti al benessere materiale.
(i) Cfr. J. G. Frazer, Totemism. S. Reinach, Cultes, Mythes el Religions. E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religeuse. Le système lotemique en Australie.
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LE FONTI RELIGIOSE DEL PROBLEMA DEL MALE 4I
L’atto religioso che pòrta questo rimedio accomuna, il medico, che è sempre per il primitivo un taumaturgo, col sacerdote. Sin dai tempi preistorici la religione forniva rimedi terapeutici, e le grandi religioni dell’antico oriente ne conservano impronte indelebili. Ma anche oggi vediamo confuso il sacerdote e il medico nelle popolazioni primitive. Gli sciamani della Siberia, gli angekok della Groenlandia, i medici degli Indiani di America devono guarire le malattie ed esercitare, nel medesimo tempo, le funzioni di sacerdoti (i). In Africa, come in tutte le società primitive, scrive Le Roy, le funzioni del sacerdote e del medico sono confuse, e una sola parola, furnu, è il loro nome (2).
3Della natura dei rimedi intellettuali offerti dalle religioni contro il male, possiamo dire lo stesso di quello che abbiamo detto dei rimedi fisici. Ma qui non è la potenza che agisce dalle nascoste pieghe del feticcio, dell’amuleto, del talismano, dell'idolo, ma è la sapienza, e questa addita le fonti dove poter attingere la potenza sovrumana, insegna come esercitarla, impedisce che s’incorra in pericoli o si caschi sotto il malefico influsso di potenze avverse.
Noi l'abbiamo detto che si ama il sapere per se stesso, e che lo si ama anche per un fine pratico; ed ora vediamo qui che un duplice ordine di rimedi intellettuali offrono le religioni, in quanto esse sgombrano ignoranza ed errori, che sono come tali odievoli, e in quanto dai loro insegnamenti provengono altri beni. Tutti i rimedi procedono dagli insegnamenti, e vogliono essere in parte fondati su rivelazioni di verità esoteriche, còme avviene nei misteri,, tanto comuni alle società primitive, e in parte su conoscenze a cui tutti i religiosi possono partecipare.
Così se il male proviene da casuale mutamento della torma degli oggetti, da ineluttabili cause naturali che agiscono meccanicamente secondo la loro natura, la loro « maniera » (3), con brutale cecità, dalla inosservanza delle leggi totemiche.
(1) Cfr. Martin P. Nilsson, Primitive religion.
(2) A. Le Roy, La religion des primitifs. J. G. Frazer, The golden bough. Confronta anche J. M. Van Der Burgt (Dictionnaire français-kirnudi) alla parola Prêtre, dove si dice che fUmU deriva da ku-fumura, cioè, chi amministra rimedi, chi fa funzioni sacre.
(3) A. Leroy (La religion des primitifs) scrive: « Pourquoi le vent, insaisissable tantôt doux et tantôt terrible, rafraîchit-il notre visage et fait-il trembler la forêt? Pourquoi la graine germe-t-elle, poussant ici en herbe et là en arbre? Pourquoi le feu, sorti de la pierre ou du bois sec, réchauffe-t-il nos membres et dévore-t-il ce qu’on lui jette? Pourquoi certains fruits nous nourrissent-ils, tandis que d’autres nous empoisonnent? Pourquoi toutes ces énergies, pourquoi tous ces contrastes, pourquoi tout ce que nous voyons? Et, simplement, lé Primitif se répond: Si l’eau coule, si le feu brûle, si la pierre reste en place, si l’étincelle sort du briquet du bois, si telle écorce guérit et telle autre tue, si le grain germe, si l’oiseau s’envole, si le singe rapine, c’est que... ■ c’est leur maniéré. ’ Chacun à sa * maniéré. ’
Dans les choses, il y a des vertus cachées, des propriétés sécrètes, des * manières ' mystérieuses propre à chacune d’elle, que l’on peut utilise!, plier à son usage, neutraliser: le- tout est de savoir ».
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dal tabu; se proviene da potenze magiche, su le quali si crede di poter esercitare una forza coercitiva, da spiriti indifferenti, caduti sotto il dominio di stregoni, o da altri capricciosi o malvagi che si possono placare, lusingare, intimidire; o se proviene invece dalle colpe umane, dalla volontà o dall’ignoranza, e quindi dai castighi inflitti da esseri supremi morali : secondo che venga ascritta al male questa o quella natura, o si creda provenire da questa o quella causa, avere questa o quella finalità, o nessuna, cambiano i rimedi e cambiano gli atteggiamenti religiosi.
Ma al di sopra delle parziali diversità tutti i religiosi si trovano d’accordo nei ■ punti essenziali : la fiducia in una sapienza capace di dominare il male, e la fiducia nel trionio finale del bene.
La pratica religiosa considera i singoli atti della vita come in dipendenza d'una potenza che agisce secondo una certa legge. I primitivi concepiscono questa legge come immutabile nelle sue applicazioni, e quando ancora essi non le ascrivono valore morale, ànno fede in una potenza benigna, capace di neutralizzare o distruggere il male. Non importa se questo Sia personale o impersonale, se al di fuori dell’uomo o in lui, ciò Che importa sapere è che nel mondo in cui l’uomo vive non sono in attività sole potenze malefiche, e che egli non è quindi abbandonato al capriccio del caso, o alla brutale ostilità di potenze occulte. È necessario che il religioso non abbia ragione a temere che una malefica potenza, più forte e più sapiènte degli dèi possa distruggere ogni sua aspettazione, rendere vane e inutili le pratiche religiose ed essiccare dalle fonti ogni bene. È necessaria questa fede affinchè il religioso ricorra agli dèi nelle ore di sconforto e ne abbia alimento per le più dolci speranze, ne trovi guida per la via incerta e dolorosa, aiuto contro ogni male che tormenta la vita.
Le concezioni cosmogoniche dei primitivi rappresentano lo stato originario come dominato dall’ignoranza. Dipoi esseri superiori rischiararono la mente umana, insegnando ciò che più importava sapere ; e la sapienza, secondo le primitive dottrine esoteriche, è la fonte d’ogni bene. Questi esseri illuminati sono gli apportatori di civiltà, i fondatori di tribù o di religioni, gli scopritori del fuoco e delle piante da frutto, i legislatori, i re. La mitologia designava così la sapienza come di origine divina, e solo comunicata agli uomini per vie misteriose, per mezzo di esseri superiori.
Bisogna dunque nei dubbi ricorrere al mago, allo stregone, al veggente, all’ispirato, al sapiente, al sacerdote. Chi prevede il pericolo non vi casca: bisogna dunque cercare un indovino ed impetrare dall’arte mantica da lui posseduta la desiata conoscenza. In ogni luogo è scritto ciò che si brama conoscere, ma bisogna trovare chi sappia decifrare la misteriosa sentenza. La geomanzia deve servire a far co- * noscere dai segni, nei metalli e nei minerali, ciò che l’uomo comune ignora e desidera sapere; l’idromanzia insegna a leggerlo nelle acque; l’acrimanzia lo vede chiarito nell'aria; la piromanzia pretende di leggere nelle sanguigne vampe di fuoco parole non a tutti intelligibili, l’aruspicio vuol decifrare oscure parole scritte nelle interiora degli animali. Quando le anime dei morti sono ritenute capaci di comunicare con gli uomini, si crea la necromanzia, la quale si propone di ricavare ogni possibile vantaggio da quelle comunicazioni. Quando il movimento o l’apparita
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insolita dei corpi celesti ebbe a coincidere con qualche evento, si pensò di costruire l’astrològia, che doveva scoprire i futuri destini umani e più tardi anche quelli delle nazioni ; e quando si fu persuasi che gli uomini potessero divenire veggenti, o profeti, fu sempre il medesimo interesse di conoscere Che guidò a svelare i segreti del mondo occulto e misterioso, quei segreti che gli dèi custodiscono gelosamente, come di massimo valore, e che non possono essere a tutti palesati. Da queste arti relativamente più sviluppate, come dalla mantica primitiva, dalle forme di religione individuale, come da quelle della comunità e dai misteri, resulta il medesimo insegnamento: Se vuoi liberarti dal male, devi conoscere le vie del mondo occulto, devi metterti in relazione con esso. Non altro mezzo rimane all'uomo per vincere le
forze maligne, che opporsi alla potenza della causa del male e alla sua malizia con altra potenza maggiore e con maggiore sapere.
4Dei rimedi offerti dalle religioni per raggiungere lo scopo di liberare l’uomo dai mali morali, si può parlare in due sensi. Uno riguarda l’utilità della religione in quanto educa le disposizioni dell’animo all’amore del bene e all’odio del male, alla fedeltà, alla costanza, all'obbedienza, all’eroismo, alla rassegnazione e ad altre virtù; l'altro riguarda il valore etico che possono avere gli insegnamenti religiosi, in un senso le religioni possono pervenire, grado a grado, a educare la volontà, ad affinare il sentimento morale; in un altro esse, insegnando che cosa si deve amare e- che cosa si deve odiare, ciò che è permesso di fare, ciò che è di obbligo e ciò che è vietato, si sostituiscono agli apprezzamenti individuali interessati e pretendono di stabilire valori Che siano validi per tutti.
Queste norme nelle religioni primitive derivano in parte dalle conoscenze della natura e dei limiti del male, e in parte ne sono indipendenti; ma quelle che dapprima non ne dipendono devono poi esser sempre subordinate alle medesime conoscenze. Gli insegnamenti divengono una potenza cui ogni religioso partecipa, e le prescrizioni additano la via che egli deve tenere.
La religione primitiva, considerata da questo punto di vista, è una regola per l’azione contro lo scatenarsi dei mali che minacciano l'individuo e la tribù — regola che dev’essere osservata se non si vuole incorrere in gravi pene — e nello stesso tempo un insieme di insegnamenti e precetti che meritano fiducia come provenienti dall’ordine occulto che sta in cima ai valori umani, e dal quale il destino di ogni cosa dipende. In questo modo le religioni primitive divengono un argine contro il disordine morale e Contro l’anarchico, incomposto e cieco tumultuare delle passioni (i).
(i) La religion des Noirs, scrive LE Roy (La religion des primitifs) ...n’en impose pas moins à ses adhérents des pratiques et des défenses, qui ne sont pas toutes dangereuses, ridicules ou inutiles, et qui. en tout cas. mettent un frain souvent efficace aux mouvaises passions de l’homme, ordonnent sa vie d’une certaine manière et lui constituent une règle morale, en d’autres tèrmes l’expérience prouve que pour une société mieux vaut avoir une religion rudimentaire que de n’en avoir aucune.
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Fra le religioni primitive che fanno meglio vedere questi due aspetti dei religiosi rimedi morali, sono il totemismo e le religioni che ammettono esseri supremi benevoli i quali non solo ànno stabilito le leggi morali, ma ànno cura di farle rispettare.
Coi totemismo, si può infatti comprender bene il primitivo religioso ordinamento dei costumi e quello delle regole per la condotta. Dapprima gli etnologi avevano cercato di rendersi conto variamente perchè alcune piante, alcuni astri, alcuni minerali, e alcuni animali fossero sacri; ora però si è generalmente dell’opinione che il totem esprima la relazióne di parentela tra l’uomo, l’animale, la pianta totemica, e rare volte anche l’astro e il minerale totemico (i). Il legame che unisce i diversi membri della tribù, unisce anche ciascun individuo col totem-, onde il trovarsi insieme di uomini diversi nella medesima tribù, non viene più considerato come accidentale, casuale e caduco, ma come un fatto che à radici in un legame fondato sù motivi affettivi e intellettuali, e sopratutto su un legame che à carattere religioso. La comunità totemica è sempre una comunità religiosa. Ciascuno dei suoi membri assùme doveri che non si limitano a quelli prescritti da una legge Che regola esteriormente gli atti, nell’interesse dei singoli e della comunità, nè li assume senza penetrare in fondo all’anima degli individui» che obbedienti vi si sottomettono. Ciascuno dei suoi membri assume doveri che partono da un’autorità misteriosa che si confonde nelle origini della tribù, da un’autorità che parla al cuore e alla intelligenza, da un’antica sapienza. Che riconosce nel totem il dio della comunità.
11 dio totemico dei primitivi è perciò qualcosa di più e di diverso che un semplice legame, costituito dal fatto che essi nascono nella medesima terra, sono soggetti alle medesime leggi, e posseggono la medesima religione ed i medesimi costumi. Il dio totemico è anche qualcosa di più che un semplice legame religioso con membri della comunità, che non siano capaci di intenderne il senso più intimo e profondo. Il totemismo si rivolge agli affetti che ciascuno sente, e che ciascuno è al caso di intendere, perchè essojdomanda un sentimento di amore, di venerazione verso l’antico progenitore, che è una potenza* amica, domanda un amore scambievole tra i fratelli e incute timore a chi ne trasgredisce le leggi. La malattia o la morte colpisconojcolui che infrange le leggi totemiche. Le popolazioni che accettano il totemismo e, in generale, tutte le popolazioni primitive.
(i) A. Le Roy (La religion des pyimitifs) osserva che da un canto il bisogno, di distinguere la propria dalle altre tribù, e dall’altro il bisogno di trovare alleati ànno condotto l’uomo al totemismo. Egli definisce il totemismo una istituzione consistente essenzialmente in un patto magico, rappresentante una parentela di ordine mistico e sovrannaturale, per mezzo della quale sotto forma visibile d’un animale, ed eccezionalmente di un corpo vegetale, minerale o astiale, uno spirito invisibile è associato ad un individuo, a una famiglia, a un clan, a una tribù, a una società segreta per servizi reciproci.
Si può dar ragione a Le Roy tanto per i motivi che conducono al totemismo, quanto per la sua natura e il suo scopo; ma si deve aggiungere che non sono soltanto 3uei motivi che lo determinano, e che il patto magico non è una qualità specifica el totemismo, e molto meno qualcosa che lo distingue .dalla religione, nel senso in cui qui ne parliamo.
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ammettono diverse credenze, fra cui spesso l’esistenza di spiriti malvagi, i quali, a volte, nel totemismo, assumono l’ufficio di punitori, e a volte agiscono per confo proprio, come si può vedere anche nelle religioni più progredite che conservano sopravvivenze di tali intromissioni.
In queste credenze — e parlo qui anche di quelle negli esseri supremi — possiamo vedere che il primitivo non è stato indifferente alla ricerca delle origini sue, e che egli, avendole trovate spiegabili in un certo modo, à ricavato poi dalle sue spiegazioni i precetti che devono regolare la sua condotta e servir di norma per la sua volontà. Chi à la credenza nel totem assume infatti obblighi che legano e limitano il suo arbitrio, come, per esempio, quelli Che regolano l’esogamia; assume doveri verso il suo antico progenitore e verso i membri della sua tribù, uniti tutti a lui con mistici vincoli. Di conseguenza la sua conoscenza del bene e del male deve mettersi in armonia con quella che dal totemismo è ammessa, ogni trasgressione importa una punizione, e la punizione è ritenuta giusta in quanto la trasgressione viene considerata come una colpa. La sistemazione primitiva delle conoscenze, la classificazione dei beni e dei mali, i giudizi di valore devono prender contatto con la' credenza che tutte le cose siano della medesima origine, e quindi della medesima natura.
Il valore morale di questi rimedi si vede ancor meglio se consideriamo le concezioni dei supremi legislatori e giudici, e quelle degli insegnamenti e dei misteri religiosi; concezioni e insegnamenti che sono il resultato di una morale umana più corretta, applicata all’ordine soprannaturale.
L’uomo non può accordare alle deità insegnamenti morali superiori a quelli da lui stesso concepiti; il primitivo à mésso nelle concezioni della divinità ciò Che di meglio à creduto e reputato più nobile e moralmente più elevato. In questo senso la morale ascritta agli esseri supremi rappresenta l’ideale morale umano, e i precetti religiosi sono i migliori che siano possibili alla civiltà che li à creati.
L’utilità che resulta da questi insegnamenti è, come ognun vede, assai notevole, perchè con essi si propone alla medesima civiltà di seguire una legge suprema, e di adoperare, contro il male morale, il migliore rimedio che sia stato pensato. La questione dunque circa i rimedi morali offerti dalie religióni primitive, come quella circa gli attributi degli esseri supremi, deve rimanere in questi termini. Poiché se non si accetta una speciale rivelazione, o una cultura anteriore più sviluppata, da cui quella che chiamiamo primitiva abbia avuto origine, e della quale rappresenta uno stato di decadenza, allora la concezione di quei rimedi e degli attributi divini, per quanto possa rappresentare, al paragone, un ideale, deve pur rimanere dentro l’ambito delle conoscenze e delle esigenze morali dei primitivi.
E questo intatti ci è dato vedere nelle primitive concezioni di esseri supremi, dove il Carattere ascritto agli dèi benevoli (e tutti benevoli sono gli dèi che ànno fatto il mondo visibile e l’uomo) è quello che si ascrive a un uomo, diciamo così, idealizzato, e dove il valore morale degli atti divini non supera — a meno che non ci siano infiltrazioni di culture più elevate — quelle concezioni etiche che i primitivi possono avere. Se così non fosse, la religione primitiva non
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avrebbe potuto mai appagale le esigenze morali di queste civiltà, ed avrebbe offerto sanzioni inconcepibili e quindi inefficaci.
Coloro però che fra gli studiosi delle religioni primitive si sono occupati della credenza in esseri supremi, non ànno distinto a bastanza chiaramente le diverse manieie in cui questi esseri vengono rappresentati, e parlano di esseri Supremi come se tutti fossero concepiti allo stesso modo. Per comprendere però la primitiva concezione etica dei rapporti che passano tra uomini e dèi, questa distinzione bisogna farla.
Vi sono esseri supremi che ànno fatto il mondo e l’uomo, e a cui si attribuisce bontà, ma Che vivono assai lontano, o dormono incuranti dell’umana sorte; e ve ne sono altri che non se ne occupano perchè assai felici. Si potrebbe dire che queste siano forme di deismo primitivo e debbano quindi essere considerate, anche sotto il punto di vista etico, in maniera diversa dal dualismo e dalle altre forme che si avvicinano di più al teismo.
Vediamo infatti altri esseri supremi che ànno rivali maligni, dedicati a disturbarne l’opera e a produrre del male, mentre essi sono dedicati sopratutto a distruggere la causa del male. Nelle eterne lotte che la mitologia rappresenta, la concezione di colpa umana, come .causa del male. Cioè come causa del castigo, non è bene definita, e allora le primitive teogonie sono più schiettamente dualistiche; Ma vi sono altri esseri supremi che ànno rivali potenti e che pure governano il mondo e castigano le colpe umane. In Oceania, per esempio, gli Australiani credono in un dio onnipotente, creatore, che chiamano Motagon, che è forte, sapiente e di aspetto nerastro; e credono pure in un supremo spirito del male che chiamano Ciengu (x).
Vi sono altri esseri supremi che pur essendo impegnati nella lotta contro lo spirito malefico producono il bene senz’altro, e non sono mai causa-di dolore agli uomini, nemmeno per mezzo di punizioni. Cosicché quando un missionario diceva al capo Tobas: Il mio dio è buono e punisce i cattivi, questo capo rispondeva che il suo dio era anche buono, ma non puniva nessuno, e si contentava di iar del bene a tutti (2). I rimedi morali, in quest’ultimo caso, non possono che provenire dall’esempio degli esseri supremi, o dai loro insegnamenti affidati ai capi o ad altri uomini privilegiati, ovvero da altre formazioni religiose che a queste si associano. Mentre quando l'essere supremo si occupa del valore morale degli atti umani, come anche nel dualismo or ora accennato, è direttamente dalla concezione degli dèi che proviene il rimedio.
Questo si vede nella concezione di altri esseri supremi (e qui abbiamo, come dicevo, una forma più schietta del teismo primitivo) che non ànno così potenti rivali, ma una compagnia di esseri inferiori e malevoli. Gli esseri supremi possono così meglio occuparsi delle faccende umane e sorvegliare al mantenimento dell’ordine morale, e castigare, occorrendo, anche per mezzo degli esseri malevoli. La qualità
(1) Cfr. A. Le Roy, La religion des primitifs.
(2) Cfr. E. B. Tylor, Primitive culture.
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di legislatore e di giudice supremo è qui più chiaramente definita, e quindi i rimedi morali che provengono dalla concezione di questi esseri supremi, sono certamente più efficaci.
Fatta questa distinzione, dobbiamo aggiungere che l’efficacia morale non poteva essere riconosciuta alle religioni primitive, almeno in tutta la sua estensione, quando quéste religioni, sino a pochi anni fa, non venivano considerate quali esse realmente sono, ma quali avrebbero dovuto essere secondo le dottrine filosofiche allora più in voga. Oggi invece siamo al caso di poter sicuramente affermare che in quasi tutte le popolazioni primitive attualmente esistenti vi sono credenze in esseri supremi morali. « Presso tutte le nazioni su le quali si son potute raccogliere notizie precise, scrive De Quatrefages, si sono trovati, accanto a divinità secondarie, dèi supremi, creatori e conservatori dell'universo. Il Jubmel dei Lapponi, il Nun dei Samoiedi, il Jummun dei Votiaks, il Yama dei Tchérémises, l'Ar-toyon, Schugotoyon o Tangara dei Yakuntes, sono il dio unico ed eterno ».
Non solo in Asia e nell’Europa, ma anche in America, in Oceania, in Africa, è sparsa la credenza in un essere supremo che governa il mondo, per quanto quest’ultima circostanza, in alcune popolazioni, come abbiamo veduto, non appaia, o almeno, non così ben chiara, come in altre.
Fermiamoci un poco a guardare gli esseri supremi che sono pensati come padroni del mondo, come legislatori e come mantenitori dell’ordine morale.
Nell’Australia del sud-est non si trova sviluppato il totemismo, ma si crede invece nell’esistenza di un essere supremo, che è legislatore, protettore dei buoni e giudice dei cattivi, non solo in questa vita ma anche nell’altra (i). Una volta questo dio abitava la terra, ora vive al di sopra del cielo, in un altro mondo, da dove vede tutto ciò che accade. Il dio Baiarne, in Australia, è il giudice supremo della legge morale, quantunque viva assai lungi dalla terra, verso oriente. Egli* è buonissimo, non fa mai male, e ama i negri che sono anche buoni. Gli abitanti delle isole Andamani, non conoscono un manismo, nè un naturismo, ma conoscono invece un Puluga, l’essere supremo che à fatto tutto, ad eccezione del male; di giorno egli sa tutto e legge i pensieri degli uomini: s’irrita per l’ingiustizia, per la falsità, per il furto, per l’assassinio, per l'adulterio; prova compassione per coloro che sono in pena e tristezza, e viene spesso a soccorrerli. Egli giudica le anime e infligge pene, anche oltre la morte, contro coloro che tengono una condotta immorale (2). In tutta l’Oceania, presso Melanesiani, Papuani, Figiani, Neoca-ledoniani, sono sparse credenze in esseri supremi che agiscono con giustizia in questo mondo e nell’altro (3).
Il dio Tamoi dei Guaranis è benefico, come quello dei Caraiti che abita nei cieli. Torngarsuk, o grande spirito dei Groenlandesi, viene consultato nelle malattie e nelle sventure ed è considerato come benefico- Kientan, il dio supremo dei
(1) A. H. Howitt, The native tribes of South-eastern Australia.
SCfr. H. E. Man, On the Aboriginal inhabitants of the Islands.
Cfr. A. Lang, Myth, Ritual and Religion. A.. Le Roy, La religion des firimitifs.
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Massachusset, abita al di sopra dei cieli, dove andranno a trovarlo gli uomini che avran fatto del bene. Essi chièdono a lui abbondante raccolto, e tutto ciò che è buono. Ma Suku-Vakange, il dio supremo dei Kimbunda, lascia invece il governo del mondo ai Kilulu, spiriti buoni e cattivi. Le anime degli uomini, dopò morti, vanno a ingrossare le loro fila; e siccome vi sono più cattivi spiriti che buoni, così la vita umana si renderebbe insopportabile se, di tèmpo in tempo, Suku-Vakange, irritato dalla cattiveria di certi spiriti, non tuonasse per atterrirli e non colpisse con fulmini i più cattivi. Qat, il dio supremo della Melanesia, è benefattore clemente e buono; e anche presso gli indigeni di Vittoria, il dio Pund-jel è d’umore benevolo e governa i mortali con giustizia.
Waka-yo significa per i Galla il buon dio, l’essere supremo che essi invocano nelle avversità, così come lo è il dio africano Ahendaye,. cioè colui che fa del bene (1). In Africa i San dicono che vi sia in cielo un capo ch’è padrone del mondo e lo governa. Gli Ottentotti credono in un essere supremo Tiquoia, dio di tutti gli dèi che à fatto il mondo e lo governa come un padre benefico. Nel dolore l’Ot-tentotto esclama: 0 Tsui-Goa, che ò fatto per essere così severamente punito? Tu solo sai che non sono colpevole.
Non sarà forse inutile riportare qui alcune preghiere e scongiuri dei Wa-pokomo che abitano l’Africa orientale, alla destra del Tana (2):
...O dio. donaci la pace - donaci la tranquillità - e che venga la fortuna - muoia colui che strega il nostro villaggio-e profferisce contro di noi cattivo augurio... noi domandiamo anche del pesce.
O dio, donaci la pioggia - noi siamo nella miseria - soffriamo coi nostri figli -, mandaci le nubi con la pioggia - ti preghiamo, o dio, nostro padre, di mandarci la pioggia...
A colei che è malata, o dio, dà pace e salute - a lei e al suo villaggio e ai suoi figli e a suo marito-che si levi e vada al lavoro, accudisca alla cucina, che ritorni la pace!...
Turnei racconta degli Algonchini che, prima d’intraprendere un viaggio pericoloso, il capo di essi rivolge una preghiera al grande spirito:
Voi avete creato questo lago e avete creato noi’ vostri figli, ordinate voi ora che l’acqua rimanga calma affinchè possiamo traversare il lago sicuramente.
E lo stesso autore racconta che il capo di famiglia, nell'isola dei Navigatori, la séra, facendo una libazione d’ava, fa questa preghiera:
Ecco dell’ava per te, o dio, volgi i tuoi sguardi benevoli verso questa* famiglia. Accordale di aumentare e di prosperare: conservaci in buona salute. Fa che le nostre piante siano produttive, che gli alimenti crescano rapidamente; fa che tutti siamo in mezzo all’abbondanza (3).
(1) Cfr. A. Le Roy, La religion des primitifs.
(2) Cfr. F. Wurtz, Lieder des Pokomo. Cfr. anche A. Le Roy, La religion des primitifs.
(3) Cfr. Turner, Polynesie.
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Ma invece di soffermarmi a rammentare altre preghiere ad esseri supremi, benefattóri, legislatori e giudici (i), mi sembra più utile di avvertire che le tribù dove si à conoscenza del governo di tali esseri e dove si à venerazione per essi, conducono una vita moralmente più elevata. A. I.ang à riconosciuto questa coincidenza, e S. Hartland, che la vuole negare, viene indirettamente a confermarla quando dice che le tribù del sud-est dell’Australia occupano, rispettivamente alle altre che non credono in esseri supremi, un posto moralmente più elevato. G. Schmidt osserva giustamente che Hartland non porta alcuna testimonianza per dimostrare che queste tribù, nei loro misteri,, commettono atti di crudeltà orribili e oscenità più che bestiali, mentre tanto più avrebbe dovuto addurre testimonianze, quando nessun altro autore afferma una cosa simile. Ma se anche fosse vero ciò che egli dice intorno a questi misteri, non si potrebbe concluderne che la credenza in esseri supremi morali, sia compatibile con una condotta immorale. Questa condotta proviene, se mai, da pregiudizi che sono indipendenti dalla concezione degli esseri supremi, da pregiudizi che fanno dell’obbedienza un'obbligazione infrangibile anche di fronte ad atti che sarebbero altrimenti riconosciuti immorali (2). L’esploratore R. H. Mathews, che parla di tali oscenità, non le mette in rapporto col culto degli esseri supremi, e Howitt, che è reputato il più competente studioso di queste popolazioni, le più antiche dell’Australia, non dice una parola di simili oscenità, e nemmeno simili usanze egli à trovato nelle altre tribù australiane, delle quali à descritto i misteri (3). Diremo dunque, al Contrario, che la pròva dell’azione morale delle religioni primitive su la condotta, oltre che dal fatto della loro istituzione (leggi, prescrizioni, usanze riguardanti l’ordinamento della famiglia, le associazioni, i vóti di castità, di vita ascetica, ecc.), oltre che dalla primitiva concezione degli esseri supremi e dal contenuto degli insegnamenti religiosi, si può anche averla dai misteri, sebbene siano ancora poco conosciuti.
I Kurnais infatti, nei loro misteri, rivelano all’iniziato che prima dei tempi antichi vi fu un grande essere, chiamato Mungan-ngana, che viveva su la terra e insegnava a tutte le tribù le arti e le industrie, e che poi rivelava le sue leggi fra cui le principali (secondo Howitt) sono: Ascoltare i vecchi e obbedirli, partecipare gli averi agli amici, vivere in pace con essi, non entrare in relazione con fanciulle e con donne maritate, osservare le proibizioni riguardanti gli alimenti, finché i vecchi non ne dispensino. L’osservanza di questi precetti fa piacere agli dèi. I Wurrunjeris dicono che Pund-jel è molto contento di vedere che si provveda abbondantemente al nutrimento dei vecchi e dei bambini; mentre presso i Kamila-rois, Daramulum, un figlio del dio Baiarne, uccide coloro che vivono scostumata(t) I.ang, Howitt, Sidney, Hartland, Schimidt, Le Roy, Jevons, Man e Marillier, per citarne alcuni fra i più recenti, ne ànno fatto oggetto di speciali ricerche.
(2) Cfr. il mio lavóro su II problema morale nelle religioni ‘Primitive.
(3) Cfr. W. Schmidt, L'origine de l'idée de Dieu.
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mente, i traditori e i mentitori; c nei misteri degli Enahlayi la bontà verso i vecchi e i deboli viene insegnata come un comandamento di Bajame (i).
Tutti questi fatti credo siano sufficienti per dimostrare come le religioni primitive intendano offrire mezzi opportuni per distruggere il male morale, anche se esse errano, e se i mezzi offerti non sono sempre adeguati. Vi sono errori nelle religioni primitive, e nessuno oserebbe negarlo, ma l’insegnamento è dato. Esso educherà lo spirito, gli errori saranno corretti; e ciò che qui importa è che il problema morale sia stato posto, nelle primitive civiltà, e sia stato risòluto coi rimedi che offrono le religioni. Dalla eliminazione di superstizioni, dalla conservazione di ragionevoli obbligazioni e di divieti religiosi, dalla incorporazione di nuovi valori all’antico sistema è segnato il graduale progresso dei religiosi rimedi morali.
5Ma anche in altro campo la religione vuole esercitare le sue funzioni, essa non vuol esser soltanto potenza contro i mali che riguardano l’ordine fisico, non vuol esser solo sapienza che illumina la mente ed allontana l’ignoranza e l'errore, non vuol esser solo regolatrice della condotta, per distruggere i vizi, domare le passioni, regolare la vita pubblica e privata e fare della vita umana una vita moralmente corretta, ma vuole anche trasformare la natura umana in una natura divina, e vuol esser fonte di emozioni sovrumane, sorgente di pura bellezza. I beni corporali e tutti gli altri beni che le religioni procurano, non sono, da questo punto di vista, che mezzi per raggiungere un fine che non è in esse, gradini per salire al colmo del raggiungibile, a ciò che è più eccelso e come il resultato finale della vita religiosa e il suo scopo ultimo. Tutti gli altri beni che la religione può procurare, sono, al suo confronto, beni parziali ; perchè quando nell’uomo vive il raggio della vita divina, quando egli è, in qualche modo, unito con la divinità, allora, sia pure per un solo momento, l’uomo è già in possesso di un bene completo, oltre al quale null’altro rimane a desiderare.
Noi dobbiamo convenire che alcuni anno realmente creduto di essere in speciale contatto cón la divinità, che essi sono stati persuasi della verità di questo estraordinario evento, e che ogni religione ammette la realtà di relazioni dirette che passano tra alcuni uomini privilegiati e la divinità; esse parlano anzi di'incarnazione della divina potenza, sapienza e bontà. E inutile qui indagare se le telepatie, le visioni, i sogni estraordinari, le estasi, la catalessi e altri simili fenomeni, vengono interpretati con l’abbandono di qualche spirito dal corpo umano o con l’intervento di un altro; e se queste ultime interpretazioni valevano anche nei casi di esaltazioni, dovute spesso all’azione del soma e di bevande alcooliche, come accadeva nelle feste dionisiache, nelle orgie dei menadi e dei coribanti. Perchè se anche questi eventi non tossero dovuti a cause soprannaturali, i rimedi fisio-estesici che offrono le religioni rimangono sempre efficaci.
(i) Gir. Parker, The Enahlayi Tribe.
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Questo stato estraordinario in cui si possono trovare alcuni uomini deve più frequentemente accadere in tempi in cui non solo le condizioni psichiche si trovano più adatte, come nelle esaltazioni religiose, ma anche dove, come presso i primitivi, non sono ben distinte le cause che producono i diversi fenomeni, dove la potenza divina è confusa con quella umana, e dove, come dice Frazer (i), gli dèi, l’uomo-dio e gli uomini non sono ancora separati dall’abisso che il pensiero moderno à scavato fra di essi. Quelli poi, certamente in numero maggiore, che non provano tali esperienze, e credono alla realtà deH’evento in altri, partecipano anch’essi, in qualche modo, alla divina presenza, nelle sue incarnazioni c nei miracoli che produce, e vi partecipano quindi anche in una maniera sensibile, sia per i benefici effetti che da queste incarnazioni si credono provenire, sia anche per la emozione che provano indubbiamente gli uomini,. quando credono di essere al cospetto di un essere miracoloso e divino. Da quest’essere s’irradia il rimedio che guarisce ogni malattia, che può ridestare i morti dal sonno, evocare le anime e disporne a volontà; da questo s'irradia luce di verità, consiglio e conforto. E non solo questo, ma anche la semplice presenza di questi esseri estraordinari, di queste divinità incarnate, si crede bastevole per rendere immuni dal male, e per sollevi-'e tutta la collettività come in una regione più sicura e più salubre.
Per renderci conto dei rimedi fisio-estesici che offrono le religioni, gettiamo un fuggevole sguardo anche a popolazioni religiose più sviluppate.
Per quanto le espressioni di coloro che ànno provato tali fenomeni estraordinari, quando vogliono descriverli, siano poco intelligibili, tuttavia questi esseri si rendon conto del divino intervento con la insensibilità umana di fronte alle consuete cause del dolore, con un godimento ineffabile, una purità di mente e di cuore e, infine, con la trasformazione della propria natura (2).
La cessazione della causa del dolore, ottenuta con i rimedi che chiamo fisio-estesici, è accompagnata dalla rinuncia dei piaceri terreni, di quei piaceri che attirano l’uomo comune, schiavo della sua terrena sensibilità. Nói sappiamo quanto in India il religioso' sia insensibile ai colpi e alle ferite che gli si infliggono, e come può sopportare, senza la menoma reazione, tutte le torture che per un essere normale sarebbero intollerabili ; anzi Maudsley (3) avverte che non solo gli Indiani, ma anche tutte le razze primitive sono capaci, in certe condizioni, di resistere ai più aspri dolori e di avere rapimenti religiosi, estasi, in misura maggiore dei popoli inciviliti. I medici militari inglesi che, per scopo scientifico, ànno osservato la vita dei fachiri, riferiscono che questi possono rimanere nelle più scomode posizioni, coi piedi legati in su e con pesanti catene addosso che ne aumentano il peso, e quindi il loro tormento. Alcuni fachiri, per penitenza, si pongono dentro
(1) The golden bottgh.
(2) Non occorre forse dire che qui non mi propongo di analizzare questi fatti, ma scelgo soltanto, fra i molti caratteri che presentano, quelli che trovano riscontro nella coscienza religiosa dei primitivi.
(3) Cfr. H. Maudsley, La pathologie de l’ésprit.
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fosse da cui emerge soltanto la testa e si espongono alle molestie degli animali, altri siede o giace su tavole, da dove spuntano acuti chiodi che si configgono nelle loro carni. Èssi Si nutriscono solo delie poche radici e dèi poco riso che i pellegrini, passando, possono offrire. Alcuni fachiri non cambiano tali posti per tutta la vita; altri fanno voto di non concedere più al corpo nè riposo, nè sonno e vanno in giro carichi di catene, portando ai piedi scarjSe nelle cui sole acuti chiodi lacerano loro le carni. Le mutilazioni religiose, comuni anche presso i popoli primitivi, i cilici, l'esilio volontario (del quale ci offre un esempio carattc-teristico la storia del monachiSmo nel v secolo) sono una serie continua ed evidente di rinuncio, di sofferenze, di tormenti, sopportati con fortezza, pazienza e rassegnazione e persino con gioia, con entusiasmo, con una specie di voluttà del soffrire.
Simili penitenti si videro nel medio evo coi flagellanti, poi coi convulsionari di S. Médard. Come i Galla si mutilano nell'entusiasmo a colpi di sciabola, così gli Indiani arrivano a suicidarsi gettandosi sotto il carro di Dyaganàtha (i). Gli apostoli dei mormoni e del babismo (2) come quelli dell’origine del cristianesimo, affrontano impavidamente il martirio e la morte. A Thèran, i babi, fanciulli e donne, si avanzano fra i carnefici, colle carni squarciate e con micce accese, fiammeggianti, conficcate nelle ferite. Le vittime, trascinate con funi e fatte camminare a frustate, procedono cantando: In verità, veniamo da Dio e a lui ritorniamo.
Alla mancanza della sensazione del dolore e dell’attaccamento a tutto ciò che è terreno e quindi alla rinuncia dei piaceri terreni, si accompagna, in questi religiosi, un piacere ineffabile che non proviene dalle cause che agiscono di consueto su la natura umana. Alcuni religiosi, tutti rivolti con l’animo all’oggetto che completamente li assorbe, non vivono che di esso solo. I santi, in celesti visioni, si sottomettono alle più dure privazioni e si dicono i più felici dei mortali. Il Yoghi vuol pervenire all'estasi per via di una diga che pone contro ogni altra sensazione. Egli cerca un luogo solitario, prende posto fra cinque fuochi, e si abbandona alla meditazione; non rare volte perde la vista guardando fissamente il sole, ma più gravi sono le rinuncie e più forte è l’intimo godimento..
La cessazione di ogni terreno contatto, e il rapimento dell’estasi, sono fatti subiettivi. Ma coloro che li ànno sperimentati, ci parlano di una purezza di cuore e di una chiarezza d’intelligenza in loro sopravvenuta, e ce ne vogliono dare un’idea descrivendo la trasformazione profonda che si è operata nella lóro natura, cosicché non solo essi possono credere ora di essere immuni dal male e in possesso di qualcosa di divino, ina possono anche con profezie, col consiglio 0 con l’esempio, comunicare ad altri una parte del gran bene che è in loro. In diretto contatto, come dicono questi uomini privilegiati, comía divinità, partecipano alla vita divina, e credono che la trasformazione così avvenuta in loro debba toglierne anche agli altri
(1) Cfr. Th. Ribot, La psycologie des sentiments.
(2) Cfr. E. Renan, Gli Apostoli. Trad. it. di Torelli-Viollier.
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LE FÓNTI RELIGIOSE DEL PROBLÈMA DEL MALE 53
ogni dubbio. Sicché l’opera della divinità che si è in essi incarnata o rivelata, non rimane circoscritta, ma promuove le virtù e trasforma gli uomini dovunque èssa, anche indirettamente, possa arrivare, allontanando il male e assicurando la salvezza.
L’ispirazione che è così frequente presso i popoli primitivi, sia essa temporanea o permanente, à precisamente l’ufficio di beare e d’illuminare chi la possiede e coloro che da lui possono parteciparne.
L’ispirazione si manifesta preferibilmente per mezzo di profezie anziché per miracoli. Questi avvengono piuttosto quando la divina potenza si è impossessata dell’uomo permanentemente, ed allora costui opera miracoli, anche per dimostrare che è un uomo-dio. Questa dimostrazione non avviene però per violazione delle leggi della natura — giacché una tale violazione è inconcepibile dove non si à nozione di leggi naturali — ma con la manifestazione di una estraordinaria potenza.
A ogni modo, però, ciò che l’uomo-dio dice è tenuto per sacrò, e a Man-gaia, dove i preti erano, di tempo in tempo, ispirati, si chiamavano « ricettacoli degli dèi » o, per abbreviazione, semplicemente dèi. Le parole che essi pronunciavano, nello stato di estasi, erano raccolte come parole divine. A volte sono intiere famiglie che i primitivi credono particolarmente disposte alla ispirazione e ad essere possedute dallo spirito divino; tal altra, come nell’isola Bali, sono certe persone chiamate pcrtnas che si credono predestinate e preparate da natura a divenire temporaneamente la dimora delle invisibili deità. A Poso, la divinità s'incarna in una sacerdotessa che guarisce certe malattie, perchè la persona ispirata acquista non solo la scienza divina, ma anche, sia pure temporaneamente, la potenza di un dio. Al Gambodge, in tempo di epidemia, gli abitanti di molti villaggi si riuniscono e vanno, con la musica alla testa, in cerca dell’uomo che il dio aveva scelto per incarnarsi in lui, e quando lo si trova lo si conduce all’altare del dio, dove si compie il mistero dell’incarnazione. Quest’uomo diviene allora oggetto di venerazione per i suoi concittadini che invocano da lui protezione contro il flagello (i).
Assai frequenti sono le incarnazioni permanenti e le permanenti ispirazioni, rammentate in numerosi esempi da Tylor (2), presso i popoli primitivi. In tal caso agli uomini-dèi si offrono sagri fici; essi vengono pregati e invocati, e illuminano, consigliano, guariscono, prevedono il futuro; essi sono creduti capaci di dare la vita e la morte, come Turner ci racconta che avviene a Tana, ed è appunto in virtù della potenza estraordinaria a loro attribuita che essi acquistano autorità di capi, come in Melanesia. Che se poi il potere reale si separa da quello divino, come avviene nelle isole Banks, quel potere diminuisce d'importanza.
Se i permas dell'isola Bali divengono temporanee incarnazioni di invisibili divinità, essi si trasformano in dcwa kapiragan, cioè dèi fatti uomini; il loro corpo
(1) Cfr. J. G. Frazer, The golden bough.
(2) Primitive Culture.
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diviene immateriale e invulnerabile, e nelle danze guerriere che li seguono, nè sciabole, nè lance possono recar nocumento a questi esseri estraordinari, perchè nessun’arma può ferire il corpo ritenuto etereo del dewa kapiragan, posseduto dal dio (i).
Tutte queste trasformazioni non sono altro che l’effetto dell’unione mistica dell’uomo con dio, onde, come crede il primitivo, l’umana sensibilità, potenza e sapienza, spariscono in colui che in questa unione vive, e solo rimangono divine attività. ¿Ed è per via di queste trasformazioni Che, come dicevo, le religioni primitive pretendono di dare all’uomo quei rimedi che ò chiamato fisio-estesici, e che devono provenire da ispirazione, rivelazione, estasi, visioni beatifiche, vita ascetica, danze e funzioni sacre. L’occulta potenza che si créde manifestarsi per mezzo di alcuni uomini, o incarnarsi in essi, non à qui soltanto la virtù del medico, del benefattore, dell’illuminatore, del consigliere, del legislatore, del profeta o dell’oracolo, ma anche quella di mutare i capi tribù e i re in dèi, di rendere la tribù da loro governata una tribù, rispetto alle altre, privilegiata, e di trasformare infine la vita umana in una vita divina.
Mario Puglisi.
(i) Cfr. Liefrinck, Bijdrage tot de kennisvan bel eilan Bali.
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1 seguenti scritti attendevano da tempo la pubblicazione, che fu impedita dalle varie difficoltà della situazione, indipendentemente dalla nostra volontà. Ci scusino gli Autori del lungo ritardo, e vogliano i nostri lettori tener presente questo avvertimento, se accadesse loro di maravigliarci della passata freschezza di alcuni commenti su eoséw d‘attualità. Red.
UNA LETTERA
DI FRANCESCO RUFFINI
Il nostro Quadrotta, che si trova in zona di operazioni quale caporale di artiglieria da campagna (12* batteria autocampale), ha ricevuto da S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione, Francesco Ruffini, una lettera — che egli ci comunica — intorno a quanto ebbe e scrivere nel fascicolo di luglio di BilyChnis, rilevando l’importanza ed il significato dell’ascesa al Governo dell’insigne pensatore e maestro piemontese. Il nostro collaboratore si duole di non aver potuto, per le condizioni in cui si trova, dedicare all' argomento degnissimo maggiori cure, lieto tuttavia che S. E Ruffini abbia apprezzato il suo modesto scritto.
Le previsioni del Quadrotta, del resto, si sono pienamente verificate, poiché l’on. Ruffini ha recato alla Minerva il suo inesauribile fervore giovanile, una concezione altissima del suo ufficio in questo storico periodò, talché i suoi primi atti ed i mirabili discorsi pronunciati in varie città d’Italia, hanno riscosso il consenso universale. La sua opera innalzerà indubbiamente la scuola della nazione, infondendo in essa una nuova vitalità spirituale e culturale. E qui ci piace riprodurre l’annuncio breve èd eloquente
col quale, partecipando la sua ascesa al potere ai dipendenti, Francesco Ruffini enunciava il programma che si è proposto di svolgere.
« Chiamato dalla fiducia di S. M. il Re all’ufficio di Ministro della istruzione pubblica, il mio primo pensiero va ai docenti, dipendenti, funzionari di ogni ordine e grado di questa amministrazione, i quali fecero sacrificio delle loro nobili vite alla Patria nella presente guerra nazionale; ed a quanti ancora stanno contrastandone i malsegnati confini al nemico tradizionale di nostra gente.
■ La loro memoria e il loro esempio siano a tutti noi, cui quella gloria suprema e quell’onore incomparabile sono stati contesi, di incitamento a consacrare le migliori energie al nostro Paese, preparando quella scuola veramente italiana, che sarà con la forza dèlie armi vittoriose lo strumento principale della sua futura grandezza ».
Questo l’uomo che dagli studi dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, e sulla formazione dell’ idea della libertà religiosa nel mondo, ha tratto una magnifica e precisa visione ideale e concreta della missione del-l’Italia e del suo indefinito progresso- Tanto più ci è gradito pubblicare la lettera diretta all’amico Quadrotta, in cui si rivela.
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ancora una volta, la freschezza di spirito e l’ardore operoso dell’illustre maestro. Egli, siamo certi, indulgerà all’indiscrezione.
I L M I N I STRÒ
DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
20 settembre iqió
Egregio Signore,
nello scritto, così accurato e completo, che Ella si è compiaciuto di dedicare alla mia opera di studioso e di professore, gli elogi mi hanno un pochino sconcertato, conscio, come sono, di essere ancor troppo lontano da quella configurazione che Ella ha tracciato. Ma la simpatia, discréta e pure tanto più prof onda, che dalle sue parole emana, mi ha toccato vivamente; e di essa ho goduto senza restrizioni e rimorsi, Ìcerche l’affetto dei giovani valorosi e vo-onterosi e il compenso più caro al cuore dei maestri; e perchè di una cosa sola posso, nella mia carriera, vantarmi, di aver dato ai giovani tutto il meglio di me stesso.
Grazie adunque, e di gran cuore, delle sue buone e care parole; e mi venga a vedere, quando capiterà a Roma: sarò proprio lieto di poter fare la sua conoscenza personale.
Si abbia i più cordiali sensi
del suo
F. Ruffini
LE IDEE RELIGIOSE
D’UN DEPUTATO ITALIANO
« Andrea Moretti, nato nei 1820 in Brembate di Sotto, morì in Bergamo il 13 novembre 1881, cristiano e cittadino esemplare. Compì gli studi politico-legali all’università pavese: prese attiva parte all’amministrazione della città di Bergamo; esule, non dimenticò mai i suoi due precipui amori: la religione e la patria. Deputato ai Parlamento Nazionale per tre legislature (dal 60 al 68) si dimise per attendere alle cure familiari. Pubblico scritti politico-religiosi (che ebbero lodi e censure vivissime) tendenti a dimostrare essere impossibile una seria ed efficace riforma nella Chiesa romana, senza toccarne la parte dottrinale ».
Così scrive di lui il figlio avv. Giovanni Moretti, nel dare alle stampe il Carteggio tra il dott. Andrea Moretti ed il prevosto
di Osio Sotto, dott. Antonio Agliardi (poi cardinale), carteggio intervenuto negli anni dal 1867 al 1877.
11 Moretti aveva pubblicato nel 1864, sotto al titolo: • La parola di Dio c i moderni Farisei », un libro (ora ristampato a cura del figlio), in cui, rivelando una profonda conoscenza della Bibbia, lanciava un grido d’allarme di fronte alla decadenza spirituale della Chiesa e scongiurava i reggitori e conduttori di essa a far ritorno alla verità e purezza primiera. Le parole che aprono il libro fanno vibrare di commozione ogni anima credente: « Cristiano cattolico per fede e per intima Convinzione, io non posso più oltre resistere al grido della mia coscienza, la quale mi chiama ad impugnare la Spada dello Spirito, che è la Parola di Dio (Efes. VI. 17), contro quel nuovo fariseismo, che domina nella Chiesa di Cristo, e che è tanto peggiore dell’antico, quanto Fili grande, piu santa e più perfetta deiantica legge è la cristiana religione, della quale per fini mondani orrendamente si abusa ».
L’allor parroco Agliardi rispose al libro del Moretti con un opuscolo anonimo ed entrò poi in corrispondenza diretta col Moretti medesimo. Dalla quale corrispondenza due fatti emergono chiari: la superficialissima spiritualità del futuro cardinale (il quale non fa altro che ripetere la vecchia accusa di eresia a qualunque dottrina non combaci di tutto punto col papismo) e lo strano, inesplicabile attaccamento del deputato alla Chiesa cattolica, di cui pure egli riconosce e proclama, coraggiosamente e senza ambagi, gli errori e le colpe. Come mai un uomo, così profondamente nutrito ed imbevuto della Parola di Dio come si rivela il Moretti, così appassionatamente e ardentemente credente in Cristo, da scrivere, appena eletto deputato: « S’io dimenticassi la religione, se questa non fosse più in cima d’ogni mio pensiero, io non saprei più che cosa fare in questo mondo. Credere e sperare in Gesù Cristo è vivere, è l’essere nella luce; Egli solo ha parole di vita eterna; se non credessi e non sperassi in Gesù Cristo, sarei morto, sarei nelle tenebre, non saprei più dove andare », come mai un’anima simile non abbia provata, imperiosa, urgente, assoluta la necessità di allontanarsi da Roma e di aderire al movimento evangelico, è un mistero. Una così vasta, profusa, completa conoscenza delle Sacre Scritture; un intuito spirituale così fine e preciso; un amore per Cristo così esclusivo e potente... ed al
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NOTE E COMMENTI
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tempo stesso una così ostinata persistenza nel cattolicismo romano, da permettere all’Agliardi (che pure aveva combattuto, ed aspramente, le sue convinzioni religiose) di scrivere all'annunzio della sua morte: • Non ho mai dubitato che egli dovesse essere interamente con noi e godo che abbia fatto la morte dei giusti, munito dei conforti della religione!».
È un mistero, ripeto; mistero che si rinnova ogni giorno nell’illogico (per non dire peggio) atteggiamento dei modernisti cattolici e dei modernisti protestanti, gli uni e gli altri cocciutamente attaccati, come l’ostrica allo scoglio, ad una Chiesa nella quale scorgono errori e difetti, ma dalla quale - caschi il mondo! - rifiutano assolutamente di separarsi sinceri, forse, ma certo incoerenti ed illusi (x). Gaio Gay.
LETTERA APERTA A BENEDETTO CROCE
Illustre Signore,
Leggo la sua lettera all'onorevole Co-laianni ripubblicata in Vita Internazionale, e osservo: Élla parla di patria (anzi di Patria col P maiuscolo) e sta benissimo. Però badi che una patria l’hanno tutti, anche i Tedeschi, e che se « solo la più triste rozzezza di niente e di animo può togliere a cittadini di qualsiasi classe o partito la visione della patria e i sentimenti che essa suscita negli animi, e che sono insieme dovere », questo avviene ad ogni grado di longitudine e di latitudine; cosa molto chiara e da cui discende altrettanto chiara la conclusione, che allora, se fanno bene gli Italiani, supponiamo, a volere la grandezza d’Italia, fanno benissimo i Germani, supponiamo, a volere la grandezza della Germania, per i sentimenti che essa suscita negli animi e che sono insieme un dovere.
(t) «E* un mistero....» E poiché è un mistero che riguarda la coscienza di nostri fratelli cristiani.... ci sembra che non tocchi proprie a noi che ci chiamiamo cristiani secóndo il Vangelo, di giudicare illogico, incoerente, illusorio il loro atteggiamento. Vi sono stati di coscienza che hanno il diritto d’esser rispettali e non giudicati, nonostante tutte le apparenze. Questo è sempre stato ed è il nostro modo di sentire. Red.
Capisco che noi abbiamo tutte le ragioni nel secondare questi sentimenti, e i Tedeschi hanno in far ciò tutti i torti; ma Lei m'insegna che la ragione e il torto sono nozioni a cui il sentimento è assolutamente straniero, questo anche nel caso che un’autorità superiore, .sicura, impeccabile e inappellabile li definisse e definisse da qual parte stesse il torto e da quale la ragione, caso che, come Lei vede, non si dà ora, quando tutte le definizioni partono da tribunali e da giudici tutt’altro che scevri dei sentimenti che la Patria suscita negli animi.
E poi, non si dice: madre-patria? Ora contro la madre possono star tutti i torti, ma il sentimento del figlio è sempre per lei.
E allora tutti i popoli sono santi battendosi « per la patria, per la difesa della patria, per la gloria della patria » e, quasi quasi più santi quelli che hanno una patria, una madre-patria, colpevole e rea.
Quantunque, colpevole ejrea di che cosa? d’avei preteso di affermarsi gloriosa al di sopra di tutte le altre, più forte, più rispettata, più ricca, ampia, temuta di tutte, maestra e donna di tutte? È colpa, è reità per chi mette come norma suprema l’amor di patria? Senza entrare in un pecoreccio teorico, praticamente e di fatto, così poco si riguarda tale pretesa come una colpa che in ogni madre-patria una eletta di figli più focosi nell’amarla e che ne vogliono l’assoluto primato sulle altre, viene additata all’ammirazione dei tenerelli rampolli delle sue viscere. Questa eletta si chiama nazionalismo: gruppo sociale eminentemente bellicoso, perchè ogni primato suppone depressione di emuli, gelosie e lotte e botte da orbi. Cose naturalissime, anche le botte, perchè i contrasti per qualunque primato rappresentano nell’ordine dei mammiferi, così detti ragionanti, lo stadio acuto della lotta per la vita e della cruenta legge di selezione; di quella legge e di quella lotta che s’iniziano fra gli atomi primordiali, passano per le nebulose, si perpetuano nei sistemi stellari e sui frammenti dei soli, fra i quali questo felicissimo che si
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chiama per nostra gloria Terra, dove culminarono nei celebri Romani (ricorda?: tu regere imperio populos, Romane, memento... Par cere subieclis et debellare su-perbos, — e che bei versi!) e oggi « /¡anno prodotto la grande lotta dei popoli alla quale assistiamo », come ha luminosamente dimostrato la gloriosa scienza moderna.
Partendo dunque dalla patria e ritornando con lo stesso biglietto allo stesso punto, o non si conchiude nulla, o solo questo, che tutti i popoli della gran lotta alla quale assistiamo hanno ragione e hanno tòrto, o meglio, che senza avere nè torto nè ragione, sono popoli eroici e santi, tutti obbedendo ai sentimenti che la visione della patria suscita negli animi .
Quindi Ella seguiti pure a dir male a maraviglia delle teorie socialistiche, per aver esse la colpa della cecità e ottusità spirituale: di tanti, che nella esaltazione deH’amor patrio vedono il pericolo massimo e permanente della, società; continui pure a bollare certe oltrepassateideologie, sorte c prevalse in tempi infelici e flaccidi, le quali pretendevano d'indurre nel mondo alcuni riguardi e amori supremi — di giustizia, di fraternità, di umanità—che senza escludere il riguardo e l'amor di patria, lo arginassero e lo subordinassero e coordinassero; si conservi però tanta lucidezza di giudizio, da vedere che, lasciando « alla Storia mettere in primo luogo la patria, e la difesa della patria, e la gloria della patria », avremo ora e per tutti i secoli dei secoli, non solo la guerra, ma la giustificazione e l’apoteosi di ogni guerra; ci togliamo ogni diritto di biasimo per qualunque aggressione ed invasione, per qualunque impresa conquistatrice, per qualunque birbonata nazionale; e che parlando in particolare di noi, come oggi riguardiamo santificate le nostre armi dalla santità della nostra santa guerra, così saremo costretti domani a giudicarle santificate se, per ipotesi, le tingeremo gloriosamente nel sangue altrui, nel sangue di chi se ne starà pacifico a casa sua, impedendo però con la sua pace c relativa casa., la nostra espansione, la
nostra forza, la gloria santa d’una più grande Italia Conservandosi la lucidezza di giudizio che io dico, chi sa non la prenda una specie di nostalgia per quelle tali oltrepassate ideologie, scoglie s’intende di quello che può esservi, o esservi stato, di esagerato, di unilaterale, di settario. Tornerebbe indietro? Forse andrebbe avanti, o, che è più probabile assai, rimarrebbe allo stesso punto, dove si trova anche ora che un reticolato verbale, teso fuori della zona di guerra, ha impigliato anche Lei, persino Lei (ma non la sua parte migliore) nella sua ragna.
Qui quondam.
IL “CHRISTUS,, DELLA “CINES»
Caro Pacchetto,
io non sono affatto un misoneista : credo perciò che sotto qualunque forma si manifesti l’attività dello spirito umano, sia dovere degli studiosi di tenerne conto, di approvarla o di biasimarla, di seguirla in una parola. Non ti parrà quindi Strano ch'io ti inviti a dire due parole nella tua rivista di studi religiosi di una recentissima novità quasi teatrale che ha potuto farsi strada, anche in un momento severo e solenne come l’attuale, non solo nelle folle, ma pur ne’ giornali, non solo nella moltitu dine assetata di spettacoli, ma pur negli spiriti che sembrerebbero più misurati e più calmi. Tu capisci ch'io intendo alludere alla cinematografia del Chri-stus, che porta nel libretto il sottotitolo presuntuoso di « iconografia evangelica » e più sotto quello non meno vanaglorioso di « poema ». Ebbene, non credi tu che di questa presunta iconografia evangelica, di questo sedicente, non so proprio perchè, poema che riveste un carattere aprioristicamente religioso una rivista come la tua debba occuparsi ? Ripeto, non vedo perchè in una rivista di carattere scientifico si dovrebbe tacere di una cinematografia religiosa solamente perchè questa è un genere teatrale non classico.
Nella fattispecie, come direbbero i legulei, vale la pena di vedere quello che acclama e quello, per cui si entusiasmano il pubblicò romano e le gazzette e gli uomini più illustri e le personalità più in voga : vale la pena di seguire nella sua impressione sul pubblico questa manifestazione spirituale che assume un carattere rappresentativo
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NOTE E COMMENTI
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della psiche collettiva e del momento attuale.
Tu dirai, se non l’ài veduta, è chiaro: l’anima della folla oppressa, dominata dal-l’incubo fatale che premela società da un biènnio, ricorre con naturale sete di pace ediamore verso la divina forma, sotto il cui influsso l’umanità mutò e leggi e dottrinechc le erano abituali : è una chiara e bella vittoria, insomma, dello spirito sempre immortale del Cristianesimo! Ah sì? e allora ricrediti, ricrediti, non ci sono vittorie qui, non ci sono vinti: anche se tu ammetti, meno scettico di me, che il Cristianesimo abbia mai riformato la società, non credere, non credere che ora, proprio ora, esso eserciti una nuova e vitale efficacia sulla nostra razza di serpi! Il Christus, che l’attuale società applaude, per cui essa si entusiasma, è il Cristo degno di lei, è un automa, un aborto, una profanazione, una bestemmia.
Ah! va a vederlo, ti prego, e scrivine., scrivine perchè non resti su di noi un’onta simile, perchè non si dica e non si creda che nessuno à vedendolo sentito,, cojn-muoversi le viscere per lo sdegno e che nessuno à avuto il coraggio di dire in faccia ai profanatori : Voi siete peggiori di Giuda, voi tradite il Cristo e con lui tradite gli evangeli, la religione; la storia, l’arte!
Ma gli applàusi, le colonne elogiative dei critici ne’ giornali quotidiani, pur ora sì giustamente avari di spazio, il concorso della folla a malgrado dei prezzi alti in momenti in cui le potenzialità economiche sono sì basse ? Eh ! caro mio, non è questo il pubblico, non sono questi i critici, non sono queste le folle che, sapienti in accomodamenti con gli nomini e con ’gli dei. plaudivano alle pochades, che si godevano le più marcie cinematografie, che accorrevano a tutto ciò che artisticamente e spiritualmente era più bestiale e più volgare ? Quelle opere erano all’altezza del loro livello morale, intellettuale e artistico: il Cristo della Cines è degno di esse e di loro.
Eppure, tu dirai, il paesaggio, la ricostruzione storica, l’intuizione artistica, il sentimento evangelico sembrano aver ispirato la.... grande opera...: non concludere per carità, che vorresti dire? senso storico, artistico, sentimento evangelico agitano forse la folla plaudente? No, caro, nè questa sente nulla di tutto quello che le si fa sentire, nè questo po’ po’ di grazia esiste in nessun modo nella.,., grande opera. O meglio, mi correggo: una cosa sì esiste, lo spettacoloso; quando passano le folle
che costituiscono i pretesi seguiti de’ re magi, quando il paesaggio egiziano desertico o antiquario costituisce lo sfondo per i personaggi del sedicente ««poema », via si può capire l'ammirazione della moltitudine. Ma che cosa vi è in ciò di evangelico, di artistico, di storico ? nulla, tu lo sai meglio di me. Quante cinematografie di viaggi, di cacce, di vedute sono a questo titolo se non migliori, certo per lo meno uguali alla tanto decantata « iconografia • — dico bene?
- della Ciws?
Ma c’è il lato artistico! Ah! sì parlami di quello: sono fortunatamente solo 8 su 144 le proiezioni con le quali si profana l'arte e di esse forse se ne salva un paio, il quadro dell’-4 nnunciazione del beato Angelico e la Natività del Correggio : ma che mi dici della forma volgaruccia che vi assume il Battesimo del Perugino; dell’orribile « trasfigurazione » che subisce la Trasfigurazione di Raffaello; del pasticcio cinematografico in cui si perde la bellezza della Cena di Leonardo; dell’insipidezza in cui naufraga la Crocifissione del Mantegna; della vergognosa luminosità da cui è schiacciata la Deposizione del Rembrandt; della insensibilità in cui annega la Pietà di Michelangelo ? Già questo cinematografare le opere pittoriche è un errore di principio che un senso estetico anche primitivo deve abolire : vi si può salvare solamente la pittura, per così dire, architettonica. Ecco perchè Si salva V Annunciazione del beato Angelico ; ma le altre ? chi ridarà agli sfondi la vivezza del colore, alle figure la potenza del disegno, alle scene la verità dell’espressione ? Come è ridicola la Cena di Leonardo nell’iconografia o se meglio vuoi, tant’è lo stesso, nel poema, quando non si limita ad èssere il cenacolo puro e semplice !
È vero, consoliamoci, c’è il lato stòrico. Ah! amico mio, come vorrei che parlassi tu qui e non io, poiché temo ormai che tu E ossa trovare in questa lettera d’invito articolo che ti raccomando... Tu competente, ma meno pregiudicato del tuo amico per tante ragioni note ed ignote! La storia! « Cesare Augusto detta al nomenclátor l’editto del censimento ». Al nomenclátor dirai tu ? ma sanno sì o no i signori della Cines chi era il nomenclátor ? Lo domandino all’ultimo manualetto di antichità o al primo matricolino della facoltà di lettere;.sentiranno che era lo schiavo che introduceva i visitatori, dicendone il nome, che accompagnava il signore nelle sue passeggiate, per dirgli i nomi di coloro che lo salutavano e
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ch’egli poteva non riconoscere ! Ed essi ne fanno un segretario e che segretario ! colui a cui si detta un editto, niente altro. Come si sente, non è vero ?, il senso giuridico-amministrativo dei Romani... Ma queste sono quisquilie! eccoti un altro quadro: • l’itinerario di Strabono (prima descrizione geografica dell’impero di Roma) ». Tu ridi, eppure è così. In questo < itinerario • di Strabono è identificata una misera carta geografica a rilievo dell’impero, carta che Augusto abbraccia e accarezza con un gesto sconveniente anche per un salumaio arricchito! Non c’è che dire, il « poema» è dotato da un senso storico romano da.... comizio moderno!
E dopo queste prove di dilettantismo storico orecchiante, che confonde l’orMs pictus di Agrippa con la geografia di Strabene, che sente cosi e la maestà del fondatore dell'impero e la romanità, vuoi parlarmi della storicità dell'« iconografia » ?
Parlami d’altro chè se continuassi avrebbero buon giuoco le cornacchie lusingatoci; mi opporrebbero che sono un pedante tipo tedesco se non mi accontento del come è raffigurato Augusto, e magari anche del come è reso Pilato nel cui pretorio contro l’ev angelo giovanneo, entrano i Giudei e accorre la moglie con l'aria spaurita della borghesuccia d’un qualunque Comitato d’organizzazione prò domo.... propria!
Ma il sentimento evangelico? Suvvia dopo questo saggio di profanazioni, credi tu davvero che la Cines abbia aperto l’evangelo per cercarvi il Cristo e per renderlo a questa povera umanità avida di luce e di amore, soffocata dalle tenebre e dall’odio? Accontentati tu dirai, sarà un Cristo non evangelico (D un Cristo cattolico, un Cristo
(i) È vero: ho udito infatti nostri amici cattolici protestare fortemente contro questa falsificazione del Cristo dei Vangeli, e me ne sono rallegrato; ma purtroppo ho dovuto constatare altresì che il pòvero Chr ictus della Cines è precisamente il Cristo delle autorità della Chiesa cattolica romana. Avrai letto anche tu, caro Costa, nei giornali cittadini del X9-20 dicembre scorso che il Christus •venne proiettato nel Pontificio Istituto Biblico alla presenza di quindici cardinali, che alla fine dello spettacolo i quindici cardinali — gli E.ini Cassetta, Vico ex-nunzio di Spagna, Serafini, Pompili vicario di Roma, Rinaldini, l’olandese Van Rossum, Marini, Boume arcivescovo di Westmister, Giustini, MerrydelVal, Gasquet, Sbarretti, Giorgi, Scapinoli i ex nunzio di Vienna — tutti senza eccezione, sì sono rallegrati con i promotori del con
cai vinista, protestanteo che so io! No, no, mio caro, non è un Cristo qualsiasi questo, un Cristo purchessia sentito dal subietti-vismo d’uno spirito tormentato e assetato, in una forma erronea sia pure, ma forte, vitale, colorita; questo è un automa, un pagliaccio, un fantoccio qualunque.
Premetto ch’io non conosco l’attore che l’à personificato, che capisco la difficoltà enorme dell'opera sua, che vedo e riconosco il suo sforzo, ma dopo ciò... ch’ei permetta ch’io rida. Credeva egli di poter identificare il Cristo camminando come un seminarista pauroso di scoprire le caviglie o timoroso di toccare con la sottana una gonnella? Credeva egli per mostrarsi mansueto, per atteggiarsi ad umiltà, per essere insomma l’agnello, di doversi fare insensibile, di rendere la maschera nazzarena che aveva assunta priva di una contrazione, senza colore e senza vita ? Ah! questo Cristo che caccia i profanatori dal tempio senza una benché minima forma di sdegno, che soffre nell'orto degli ulivi la sofferenza atroce della passione che gli si prepara e suda sangue senza pur contrarre un muscolo o fremere minimamente nella sua umanità, che cosa è mai ? Non è Dio, non è uomo, è un gnomo; è il freddo Cristo del 1916, del momento in cui nè popoli, nè individui, nè papi nè re lo sentono: onde Sitando lo chiamano lo profanano, bruttan* olo di sangue e di ' volgarità.
E mentre la Cines così miseramente, in maniera così blasfematória tradisce un’altra volta il Cristo, credi tu almeno che nei mezzi, adoperati per ravvivare le scene sia mediocremente felice e ovvii così alla profonda incapacità dell’ideatore, del compilatore, degli attori dell’iconografico poema, o, se meglio ti piace, che è lo stesso, dell’iconografia poetica? Oh ! sì ! Essa fa girare il suo Cristo seminarista tra le rovine de’ templi egiziani, lo fa parlare dinanzi alla sfinge, lo fa irrigidire dinanzi a Maria di
vegno e i dirigenti della Società (che ha per scopo la diffusione di « films » educativi) per la bellezza della proiezione della quale hanno elogiato i pregi e l'ÌM/?««nzéz di bene, che essa non può non produrre in quanti siano chiamati a conoscerla, che parole di vero plauso hanno avuto tutti i cardinali per il comm. Tabanclli, presidente e por i consiglieri che facevano gli onori dì casa, e che la Società stessa è stata vivamente incoraggiata a proseguire nei nobili intenti che si è proposta col riunire alla finalità educativa, finissimo senso dì arte e di bellezza.... ». L. P.
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NOTE E COMMENTI
Magdala... e erede di poter mostrare con queste antitesi da venditore di cerotti la differente civiltà, la umanità e che so io? So, essa profana la sua madre dolorosa, è non la tratta nè meglio, nè di versamento da una vii femminettà da trivio sul cui volto nessun dolore, nessuna viva espressione si delinea ! Ma che forse il divino pesi in questa interpretazione da strapazzo con una concezione tra la punica e la messicana ?
Abbiamo, però, dirai, un Giuda umano, quasi uno di quei Giuda da misteri che ti strappa la commozione, un Giuda arieggia!) tè il Satana umano e misero della letteratura inglese! Baie: eccolo, à venduto il Cristo, esce dal sinedrio, apre la mano e si trova le dita lorde del sangue in cui si converte la moneta mal guadagnata! Lascio a te giudicare quanto fine sia questa psicologia e quanto lontana dall’evangclo. Non basta: ecco Giuda che assiste la domenica delle Palme al trionfo di Gesù e rompe il proprio bastone per la stizza, e sulla croce che formano i due pezzi caduti posa il piede! ecco Giuda accolto, non appena impiccato, da un diavoletto cornuto nel suo infernuccio rosso, in un quadro che non so più qual critico à gabellato per non so che capolavoro. E a proposito dell’onesto.... diavoletto è desso, forse quello stesso che tentando Gesù gli offre una corona... dell’araldica medioevale ?
Roba da cinematografi, insomma, e da cinematografi da villaggio; gli stessi mezzi per gli stessi fini : preparazione di salse pepate che brucino i duri palati dei barabba della storia e dell’arte, del sentimento e della religione. Ecco perchè, forse, è ben ritratto e bene svolto, anzi troppo movimentato l’episodio di colui che fu il prototipo, ma non il peggiore, della triste genìa, episodio che occupa ncH’evangelo sì poco spazio !
Ah! beoti della critica, pagliacci del plauso, superficiali del sentimento d’ogni genere, pensatori dellapotenzialità di un'accolta, questo è per voi il Cristo? Gode-tevelo, signori miei, giurate in lui: avete ragione, è il Cristo vostro. Ai tanti Cristi più o meno infelici che à creato il mondo della fede, quello delle scienza, Snello dell’arte, aggiungete pur questo élla cinematografia che la réclame manda
per il mondo a suon di timpani : è il Cristo del 1916! Esso ne rappresenta l'anima, il sentimento, la fede, l’intelletto: è un fantoccio senza vita c senza spirito; se passerà alla storia delle volgarità, sarà detto il Christus della Cines.
E termino non perchè mi manchi l’argomento, termino per non portarti via altro spazio, caro amico: ò finito per te, ma capisco che ò scritto pure per gli altri e che tu farai parlare me invece di parlare tu ai tuoi lettori. Ài ragione è forse meglio: il dalmata ferox, che è il tuo amico, è lieto di poter attirarsi gli odi anche di questi profanatori.
Affettuosamente tuo
Giovanni Costa.
IL NOME “ FARISEI „
Treviso (via Trovisi, 3) 27 agosto 1916.
Egregio Direttore,
Tempo fa, leggendo a pag. 467, 1* col., ri. 30 giugno del Bilychnis l’ipotesi che il nome farisei non significasse già separati ma interpetri, mi era venuta l’idea di fare in proposito alcune obiezioni; poi me ne dimenticai. Oggi mi si ripresentano alla mente; eccole, sebbene in ritardo.
Il nome fariseo si trova nel Talmud costantemente nella forma parùsh-, così, p. es., in Sotù XXII, 71, dove sono distinte minutamente le varie specie, o tipi di farisei. Ora parùsh altro non è che un participio passato da parùsh nel significato appunto di separalo, distinto. Ebraicamente dalla radice medesima p’rs o parùsh per dire interprete si cava la forma nxcfarésh' non già parwsA.
Mi pare che il Grate nella sua storia degli Ebrei, voi. II, cap. X, abbia spiegato bene l’origine del nome farisei dal fatto eh’essi si distinguevano per il loro modo particolare di interpretare la scrittura, per una maggior originalità e ciò, benché i loro sentimenti fossero pur quelli della maggioranza della nazione. Dunque sempre il valore di distinti, mai di commentatori e la difficoltà accennata in Ìuella recensione, non regge.
olgo l’occasione per porgerle i più distinti saluti.
Leone Luzzatto del R. Liceo di Treviso.
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RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
IL RITORNÒ DI MAZZINI
La letteratura intorno a G. Mazzini, già così ricca, si va rapidamente accrescendo. Continuano a succedersi i volumi della edizione nazionale dei suoi scritti: a proposito dèlia quale, tuttavia, G. Gentile lamentava (Critica, 20 marzo 1915) « la generale indifferenza con cui viene accolta... quantunque sottratta saggiamente a quella specie di destino che aveva pesato su tutte le precedenti edizioni italiane fatte a spese dello Stato, di rimanere quasi clandestine, perchè non messe in commercio ». Sono stati pubblicati nel 1915 i volumi XXI. quarto degli scritti letterarii; XXII, ottavo degli scritti politici, sino a mezzo il 1841, e XXIII, undecimo delle lettere. Nell’anno testé compiuto furono pubblicati il volume XXIV. dodicesimo delle lettere, che vanno con esso a tutto il 1842, e il i° volume del Protocollo della « Giovine Italia ». Abbondano nei due volumi delle lettere quelle bellissime alla madre, per buona parte inedite, le più fresche e vive cose degli scritti di Mazzini.
Dei molti scritti che in questi stessi due anni si sono pubblicati intorno al Mazzini, lasciando da parte quelli che hanno uno scopo semplicemente espositivo, come, ad es., quello di Gius. Calabrò, Mazzini; la dottrina storica. Studio di critica storica. (Palermo, 1916) o di Ugo della Seta, Morale, diritto e Politica internazionale nella
niente di G. Mazzini (Roma, 1915) alcuni si impongono all’attenzione perchè, quantunque anche essi in gran parte espositivi, mostrano intento di interpretazione e valutazione critica del pensiero del M.; volumi tutti altamente notevoli e dei quali due dovuti a scrittori che già al Mazzini avevano dedicato uno studio speciale e pubblicato su lui altri scritti notissimi: Gaetano Salvemini, Mazzini (Collcz. » La Giovane Europa», Catania, E. Battiate, 1915): Alessandro Levi. La filosofia politica di Giuseppe Mazzini, Bologna, Nicola Zanichelli, 1917; e, infine, un nuovo volume, testé annunziato, ed uscito quando già queste- note erano scritte, di Felice Momigliano, G. Mazzini r la guerra europea. Milano, Soc. editoriale italiana, 1917.
Dei tre, il Salvemini si pone dinanzi al suo eroe in atteggiamento e con tempera di più vigile e diffidente critica: ei lettori di lìilychnis hanno presente il rimprovero affettuoso che gliene faceva A. G. nel numero di novembre di questo periodico. E notevole è che un altro, dal quale forse non si sarebbe aspettato, muova al S. una.critica sostanzialmente identica. G. Gentile, nella Critica (20 luglio 1915) notava quanto Soco convenisse la freddezza analitica del . all’oggetto del suo studio, e scriveva, dopo riferito un giudizio, che citeremo più innanzi, di lui: «Questo fuoco interiore (del M.), questa forza possente e profonda è sempre presupposta anche dal S., ma non dimostrata, nè messa mai al primo piano della sua rappresentazione. Ed egli infatti
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è ingegno troppo analitico come dicevo e raziocinativo per poterci dare quella vivente storia di un’anima (ma di un'anima, si badi, non chiusa in sé, ma nella sua espansione vitale di tutti i momenti volta verso la moltitudine sterminata dei contemporanei, con cui il M. si tenne di continuo a contatto) che può farci intendere l’apostolato del Mazzini. Storia di un’anima, in cui tutte le idee astratte, anche dal S. indicate nella loro astrattezza, possono trovare la loro logica, la loro efficienza spirituale, e quindi il loro valore. Perchè bisogna anche bene avvertire che non basta definire il M. per un apostolo, per sciogliersi dall’obbligo di mostrare un saldo e vitale contenuto del suo pensiero ».
PENSIERO E AZIONE
Un « saldo e vitale contenuto di pensiero » può dunque, a confessione di uno che se ne intende, esser cercato in M. E A. G. si duole che il S.» come tanti altri - e come ora il Levi - definisca il Mazzini uomo di azione. » L’uomo d’azione ? Non l’andate a cercare lontano e in altri tempi: prendete Garibaldi. Le due parole, divenute scultorie a ritrarre i due uomini, Garibaldi e Mazzini: ora, sempre, valgono una intera Ssicología. Ora è il fatto, sempre, è l’ideaI M. fu il cervello della rivoluzione, mai il braccio o la mano. E del cervello ebbe le audacie sproporzionate alla realtà e le assidue visioni ad onta di ogni realtà, la forza incitativa e suggestiva e la nessuna forza esecutiva. Cosi, e non soltanto dalle condizioni creategli dal lungo esilio, o da altro, si spiega la sua assenza quasi costante dal terreno su cui divampavano le battaglie e si suscitavano le insurrezioni prima covate nel suo animo in travaglio ». Il giudizio è, storicamente, non in tutto giusto; si ricordi, ad es., il M. della repubblica romana; ma è giusto in gran parte. Ma, soggiunge A. G.: « M. fu un pensiero in martirio e l’azione lo crocifisse », E, dunque, non • pensiero » senz’altro, non pensiero puro; poiché il pensiero è serena contem-S»(azione e, se arde, non arde che del suo uoco, l’ardente ricerca del vero per il vero. E che M. non sia stato un pensatore, cioè un teorico, uno speculativo, uno che indaga metodicamente la verità e che dalla ricerca della coerenza ideale è portato a costruirsi un sistema, dichiarano con insistenza, è a ragione, il S. e il Levi. Il primo a conclusione della prima parte del suo
studio, dedicata appunto al » pensiero» di M., scrive: « M. è soprattutto un uomo di azione. Il pensiero tanto vale per lui, in quanto si traduce in azione e in una certa azione. Le sue idee non sono il frutto di uno sforzo che egli abbia fatto per rendersi conto obbiettivamente delle cose: ma strumenti di cui si serve per modificare le cose secondo queirideale, in cui si trovano ap-Sìgati i suoi sentimenti morali. Delle teorie losofiche, politiche e storiche, le quali circolavano intorno a lui, egli prese gli elementi che meglio rispondevano ai bisogni del suo temperamento morale, e li ordinò concettualmente nella misura che gli era imposta dalle necessità pratiche... Non indugiamoci dunque a criticare nel M. il pensatore e il filosofo... consideriamo in lui l’apostolo, il credente, l’uomo d’azione » (p. 96 segg.). Il Levi si avvicina con più riverenza agli scritti e al pensiero del M., lo esamina con più cura, mostrandocene anche gli addentellati con altre dottrine del suo tempo e la coerenza logica, quando e sinché c’è, e gli sviluppi. Ma anche egli dichiara: « Il M., che era un educatore più che un pensatore, un apostolo più che un filosofo, eco. ». « Quando la si consideri, dunque, non sotto l'aspetto metafisico, sotto il quale, in verità, è povera cosa, per le deficienti basi logiche sulle quali poggia e per gli elementi non sempre coerenti che la compongono, ma bensì sotto l’aspetto psicologico, la religione del M. appare una sincera, ardente, costante fede morale » (pp. 38, 39). E, a proposito dell’idea che il M. ebbe dal progresso ; • se egli non s’è indugiato a meditare su le basi logiche di quel concetto, non va dimenticato che il Genovese, più che un pensatore, era un apostolo di rinnovamento morale » (pp. 66-67). E ancora: L'intento di M. « non è mai stato un intento teorètico, scientifico, conoscitivo; bensì pratico, religioso, etico ». E poco più innanzi (p. 86): «Giova avvertire ancora una volta che il M. non pretendeva di essere un filosofo della storia, mà un riformatore della vita ; e sotto questo punto di vista, del fine cui mirava l’intera filosofia politica mazziniana, fine rispetto al quale tutte le sue dottrine appaiono mezzi, vanno valutate tali teorie, da chi voglia rettamente intenderle ed apprezzarle al loro giusto valore ».
Grande anima, dunque, ma povero pensatore. Il suo pensiero, in definitiva, ha un valore psicologico; come segno della sua anima, struménto della sua volontà. Il
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BILYCHNIS
Ìiusto valore delle dottrine che egli pro-essò ed espose va cercato non in esse medesime, per quello che contengono di vero, come tentativi per la conquista della verità; ma in quanto mezzi al raggiungimento di un fine pratico. Se non che, poi. questo fine pratico anche esso, c lo si poteva sospettare dalla fiacchezza del mezzo e dello strumento, è spesso dal S. e dal !.. qualificato di utopia. « L’associazionismo mazziniano si manifestò essere solo una generosa utopia » dice Salvemini e 11 giudizio è riferito dal L., che lo accetta (p. 190). Utopia, allo stesso modo, può essere considerata la repubblica di M. e il suo concetto di un partito repubblicano partito religioso. Il sistema religioso, poi, di M. che è il fondamento di tutto, è anche il lato teoricamente più debole della sua dottrina; e le vigorosissime espressioni della sua fede in Dio, nell’immortalità, nell’umanità attuante un disegno divinosi sottraggono e ripugnano ad ogni precisa dimostrazione.
PENSIERO E FEDE
Questo giudizio, che è anche di Bovio e di Masci e di G. Gentile e di quanti con freddo occhio di misuratori di idee hanno avvicinato gli scritti del M. e che ha, purtroppo, dato parvenza di legittimità a un facile disdegno pei l’uomo, deve, nella sua sostanza, essere accettato. Ma lasceremo A. G. alla sua solitaiia protesta? A me pare che l’errore sia quando dal pensatore, così, in certo modo, squalificato, si salta a pie’ pari all’ « uomo di azione ». Certo grande è ancora la lode di questo, quando il S. scrive: «...Commetteremmo un grande errore se confondessimo nella stessa critica, o nella stessa indifferenza, gli elementi -diciamo così - teologici e scolastici di quella fede col mirabile vigor di vita, da cui quella fede rampollò e che fu da essa mantenuto sempre illeso, attraverso mezzo secolo di lotte, di dolori Una confusione di questo genere ci impedirebbe di comprendere la suggestione irresistibile, che il Mazzini esercita, anche oggi, su chi gli si avvicina, nonostante i moltissimi elementi avvizziti e tramontati per sempre del suo pensiero. Il dovere messo al sommo della vita, il sacrifizio considerato come la sola virtù, la solidarietà sociale e internazionale predicata come fede morale della umanità, questi principi, da cui ogni uomo, che voglia agire sugli altri uomini, ha bisogno di-esser sorretto, se vuol fare o almeno se vuole
illudersi di fare opera di perenne bontà; questi principi da nessuno sono stati affermati più sinceramente, e più fortemente, che da Mazzini; affermati non in un sistema di idee astratte e gelide, ma - quel che è più - con l’azione e col tormento di ogni giorno ».
Queste parole del S. meritano una minuziósa analisi; e ci riveleranno forse l’errore di valutazione che è nel S. e in parte anche nel L. e in molti che si avvicinano, come attratti da un fascino irresistibile, al M., e poi hanno l'aria di non trovarvi quello che cercano e non nascondono una certa delusione.
Mazzini fu una grande anima; d’accordo. Questo ardore per una fede, questa mai smentita nobiltà di una esistenza che si cruccia ogni giorno, ogni ora, rinunciando a tutte le gioie, affrontando tutti i dolori, sacrificando tutto per una idea, per un dovere, per una missione; quest’uomo che « sol che avesse accondisceso a deflettere da alcuni suoi principi, sarebbe potuto divenire un trionfatore, nel significato più generale della parola; ma, sdegnoso di ogni altra ragione che non fosse quella del suo dovere, preferì di essere un martire » (L., Ì>. 312) ci commuovono e ci esaltano; e ne anno una delle personalità più salde e più luminose che la storia degli uomini abbia mai visto. Il 20 novembre 1837 egli scriveva a L. A. Melegari: «Credo più che mai saldamente nei destini progressivi dell’Uma-nità, nella missione serbata all’Italia fra i popoli, nella infallibilità, presto o tardi verificata, delle vie che ho predicato e predicherò, nella missione dell’individuo verso Dio, verso ¡’Umanità, verso la Patria, verso ogni uomo; nel sagrificio come nell’unica virtù vera : in una teorica del Dovere che deve dominare ogni atto della nostra vita; nella necessità religiosa di amare la virtù per la virtù stessa senza sperarne premio quaggiù; nella legge che impone combattere pel trionfo di ciò che l’intelletto e il cuore concordi ci fanno apparir verità senza calcolare trionfo e risultato immediati; nella infelicità inevitabile, ineluttabile della vita diretta da principi siffatti, ma nel debito nostro di non cercare felicità mai, perchè cercarla e rovinare, senz’avvedersene, nell’egoismo, è tutt’uno. Con queste conseguènze s'è spento in me ogni senso di vita individuale, ogni potenza di gioia, ogni ca-Kcità di sentire e sperare un'ombra di feità ». Trentacinque anni visse ancora G. Mazzini, e queste parole terribili egl
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avrebbe potuto ripetere a<! ogni momento delia sua vita.
Ora noi crederemo difficilmente, non solo che un tale uomo, reo di aver dato la più logica e diritta espressione alle esigenze della coscienza morale, si illudesse, ma che egli non abbia nulla da insegnarci', che la sua fede non sia una dottrina e una dottrina di vita. Il S. parla di principii affermati dal M. non in un sistema di idee astratte e gelide, ma con l’azione e col tormento di ogni giorno. Ora fra le idee astratte e gelidee l’azione e il tormento di ogni giorno non c’è nulla di mezzo? Non ci sono per caso le idee vive ; cioè idee, pur esse, ma non astrazioni ?
Il S. scrive di una fede che rampollò da un mirabile vigor di vita, che poi mantenne questo sempre illeso. Non sembra un poco strana questa fede che viene dal vigor di vita — è fattura, creatura, espressione di esso — ma jx>i lo alimenta, quel vigore, per tanti anni e fra tante prove ? La suggestione che il M. esercita anche oggi quindi non si tratta di un fascino personale, quasi fisico — in chi gli si avvicina, ma che cosa può essere altro se non comunicazione, di una certezza, quella che .apparisce nei suoi scritti e che fu confermata Sai suoi atti? Il S. scrive che dai principii del M. ha bisogno di esser sorretto chi vuole «fare o illudersi di fare» opera perenne di bontà. Suggerisce egli pure che l'agire secondo quei principii può essere una illusione? Si sarebbe tentati di crederlo, se non si trattasse di S., cioè di uno che, nell'azione pratica, è poi un... discepolo di Mazzini.
LA VERITÀ MORALE
Queste esaltazioni e queste critiche, il caratterizzare M. come uomo di azione, ma di una azione che è pensiero, il riconoscimento della saldissima unità organica della vita inorale di lui e del fatto che nel secolo xix essa fu posta in exemplum, nel centro stesso della più intensa vita di quel secolo agitatissimo, e moltissime anime e volontà se ne nutrirono, pur senza giungere alla stessa altezza morale, questo ricercare anche oggi, anzi specialmente oggi, dopo mezzo secolo e in una delle più profonde e terribili crisi che abbiano tormentato l’umanità, gli scritti del M. per cercarvi luce e direzione suggeriscono una distinzione necessaria e fondamentale. Necessària perché questo riavvicinarsi a M. sia non semplice culto di un’anima grande e
curiosità postuma, ma l’andare a scuola da un Maestro ; fondamentale, perchè solo essa ci permetterà di sceverare il vero dal falso, il durevole e perenne dal caduco. Il M. dunque, con una cultura letteraria e storica e in parte anche filosofica da principio vastissima, ma che poi, non rinnovata sistematicamente, divenne via via più angusta, con scarso metodo, con una costante preoccupazione e valutazione morale che diveniva pregiudizio saldo e vittorioso nel giudizio delle dottrine altrui e dei fatti, si servi di un ingegno penetrantissimo e di un vasto materiale di pensiero per costituire, difendere, diffondere una sua dottrina; ma questa è una dottrina morale e vuol essere giudicata ed esaminata come tale, come il M. stesso, il p.rimo a dubitare della consistenza teorica delle sue conce zioni, se prese separatamente e giudicate con criterio puramente conoscitivo, ammette ed esige.
Egli fa appello alla intuizione ed al sentimento, al cuore, nello scuoprire e stabilire quelli che chiama principii, i postulati e le norme d'una intima è in parte nuova dottrina morale, c in questo si ricollega al romanticismo; ma, perchè quella intenzione e i principii che essa pone abbiano diritto alla universalità e possano essere accolti dagli altri come norme di vita, riconosce anche e dichiara che essi debbono essere verificati e giustificati in una larghissima e comprensiva interpretazione di fatti ed innanzi tutto della storia umana. Per questa esigenza, egli non è solo un profeta o un veggente; ma è anche un politico e uno storico, un teologo e un filosofo e sin anche un critico d’arte. Quello che a noi importa sapere è, non quali difetti di metodo, quali lacune, quanto di inesatto e arbitrario avessero, vagliate al lume di una critica intellettualistica — e uso la parola' nel suo significato migliore — queste singole parti del suo sistema, prese in se stesse: ma se, nell’insieme. la sua sintesi dottrinale e storica fosse coerente con il suo sistema morale e Io giustificasse e quasi lo incarnasse in una concreta visione dell'uomo e del mondo.
Non è esatto dunque dire che noi cerchiamo nel M. non il pensatore ma l’uòmo di azione, noi cerchiamo in lui il pensatore di una dottrina morale, l’uomo che nell’Europa del suo tempo e per l’Europa che doveva venire intuì ed espresse una in parte antica .ed in parte nuova gerarchia dei valori, le leggi dell’operare umano morale, il mondo della volontà buona, nel compito
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che a questa si offriva di ricostruire la società umana, divenuta, per la coscienza degli uomini, di fatta che era o pareva prima, fattibile, rinnovabile, attraverso a una radicale e necessaria rivoluzione, in altre parole cerchiamo in Mazzini una dottrina dell’azione.
Questa distinzione, che io qui mi limito ad indicare, sarebbe illegittima pel M. se essa non valesse prima e innanzi tutto per ogni dottrina morale; ad es. per il Pater noster, che non è certo una «intesi filosofica (e il paragone è del S.). Il moralista E»one una gerarchia di valori; egli non ana-izza le cose, per cercarne la più pura e corretta espressione mentale, ma le valuta e le pone in rapporto alla volontà umana e le presenta a questa graduate secondo un certo ordine di valori, nel quale talune sono semplici mezzi, tali altre fini, ascendenti secondo una scala di dignità sino ad un fine davvero universale e supremo. E si può aggiungere, generalizzando, che se compito del pensiero teoretico è intendere e non fare, ridurre il mondo a pensiero.com-Eito del pensiero morale è collocare la vo->ntà nel mondo degli oggetti e dei fini, perchè essa faccia, e faccia se stessa e il suo mondo e il mondo a un tempo; e la legge del fare è il prendere e l’usare e il volere le cose secondo il valore che esse hanno in questo mondo segnato dei fini. E giova notare che per questo la morale non può obbedire alla preoccupazione di ridurre il mondo allo spirito, come setto-prendo una identità fondamentale, di razionalizzare la realtà la qual preoccupazione — e lo sviluppo storico dell’idealismo potrebbe darcene un esempio— può anzi divenire, se portata fuori del suo proprio campo, sostanzialmente amoralistica e quindi immorale, annullando la distinzione etica fra l’essere e il dover essere. La morale riduce bensì anche essa il mondo allo spirito, ma non senza prima essersi servita degli elementi vàrii offerti dal mondo, interno ed esterno, per costituire la sua gerarchia di valori e fissare allo spirito stesso una norma di sviluppo dall’essere al dover èssere, così che, se si voglia costituire la personalità come supremo valore, questa personalità dovrà includere tutta la realtà distribuita in un ordine etico che va dalla natura a Dio; e Dio, comunque poi lo si voglia intendere — che. è compito della conoscenza teoretica — è necessario nel sistema, come quel l’idea o norma o ideale supremo che è nell'uomo stesso, ma che allo
spirito di questo, ad ogni momento del suo conci eto sviluppo, apparisce come V excel-sius, come fonte c norma di dovere, c di sacrificio. E in questo senso dobbiamo dire che i valori morali posti dal M. e la loro scala, il mondo morale da lui costituito, la sua dottrina ed il suo pensiero sono la più alta e pura ed intiera e sicura dottrina morale che ci sia dato di indicare, la migliore filosofia religiosa.
MAZZINI E IL CRISTIANESIMO
Questa mia dichiarazione non avrà consenziente A. G. E una spiegazione è, in fatti, necessaria. Io non dico che M. supera o corregge il cristianesimo ; dico anzi che la sua dottrina suppone il cristianesimo, ne discende, lo accoglie, 1© attua, si Svolge sulle linee essenziali di esso. Ma gli si aggiunge. e non inutilmente. E A. G. ha torto quando rimprovera al S. «di non aver fatto rilevare quanto si doveva la quasi assoluta ignoranza del M. circa il cristianesimo». S. va anzi lodato di non avere commesso questo sproposito. Bolton King, che è ancora il migliore biografo del M., scrive (B. K., Mazzini. Firenze, Barbera, p. 252) : « Quando dal cattolicismo e dal protestantesimo il M. passa al Cristo, il Suo atteggiamento è di infinita reverenza e di amore. La profonda conoscenza degli Evangeli, l’innata affinità con lo spirito loro, lo fecero ?snetrare molto addentro nella mente del
risto, ed egli parlò di Luì in parole magnifiche ed amorose».
E il King cita taluni di questi giudizii ; ed aggiunge che quando, dopo la Repubblica romana, M. riparò in Svizzera, si proponeva di preparare e pubblicare una traduzione dei Vangeli con note.
Del resto, è noto che il M. coltivò una cordiale amicizia con La Mennais e molto deve a questo «sacerdote della Chiesa universale dell'umanità». L'A. G. ha cura di aggiungere che « poi, come in tanti e tanti altri, la condotta, salvo le manchevolezze, gli errori, la colpe inevitabili, e più della, condotta i criteri di essa e i propositi, furono un cristianesimo pratico il quale si rivendicava da sè nel M. vivente dal M. teorizzante e dottrinario. Era le ennesima riprova della magnifica definizione del Cristianesimo data da Paolo: Tutto ciò che è giusto, ecc. ». Comodo sistema di ridurre al cristianesimo uno che in piena conoscenza di causa, con purissima intenzione morale, deliberatamente, dichiarò di non poter se-
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guido e di dover andare innanzi. Il torto del M„ se di torto si può parlare, è, se inai, un altro; quello di aver sopravvalutato gli elementi morali che egli non trovava nel cristianesimo e ritenne necessario di aggiungere ad esso; e di non aver veduto che essi erano una correzione non della dottrina morale in sé, ma della forma escatologica che aveva assunto, del mito nel quale si era tradotta, e delle deviazioni storiche che ne erano seguite. Per il M. — e lo capisce bene — il cristianesimo era una dottrina extramondana ed extrastorica : mancavano in esso — e non era davvero, per l'uomo, piccola cosa —la società, la patria, l’insieme delle patrie, il popolo, 1’ Umanità come unica, grande rivelazione storica di Dio, la <f legge • del progresso.
Tutte cose, da esprimere forse oggi in termini un poco diversi, che mancano ancora a tutte le grandi espressioni storiche del cristianesimo; e che l’Europa lotta oggi per conquistare, in questa guerra che fa seguito al pensiero di M. come il tuono al lampo.
IL NUOVO PROBLEMA DELLA MORALE
Questa autonomia, o auf Cassia, dei giudizi morali, e della intuizione volutatrice dalla quale essi procedono, dinanzi alla ragione teoretica, che nel M. troviamo espressa con tanta evidenza, è lucidamente esposta e dimostrata in un volumetto di E. Iuvalta, // vecchio e il nuovo problema della, morale (Bologna, Zanichelli, senza data, ma 191 . al quale poco si è badato in Italia, ma che altrove ha avuto molta attenzione ed è stato anche tradotto in inglese.
Lo. o il, Iuvalta distingue un vecchio e un nuovo problema della morale. 11 vecchio è il tentativo di dedurre razionalmente la morale da una verità teoretica, dalla realtà o empirica o metafisica o storica in quanto essa è oggetto di speculazione. Esso è destinato ineluttabilmente a fallire, poiché involge una petizione di principio.
L'ordine morale, infatti, la gerarchia delle cose come gerarchia di valori etici, la posizione dei fini e di un fine supremo che sia ragione e misura di tutti, non sono possibili se non in quanto si porta già nella indagine un criterio di valore; graduare le cose in ordine alla volontà è sempre compiere un atto di volontà, un volerle secondo un certo ordine. Anche quando, identificando il bene con l’essere, e quindi il sommo bene con la pienezza dell’essere, si fa Dio
fonte della morale, dignità e autorità suprema. « è facile vedere come rimanga sempre inevitabilmente distinta e presup-Ìiosta nel concetto dell’autorità imperante a valutazione, che giustifica il comando, che dà autorità al potere, che suggerisce l’identificazione di un Volere onnipotente con un Volere legiferante; la valutazione data nella coscienza morale, laquale rimane il postulato inespugnabile; non derivabile e non superabile: anche dove è sottinteso e dove sembra, a primo aspetto, derivato o subordinato ».
A conferma della tesi del I. si può aggiungere, per quello che riguarda il cristianesimo, che questo è essenzialmente basato sul concetto non di Dio, al quale l’ebraismo era giunto e la filosofia greca, ma di Dio padre, cioè, più propriamente, non su di un concetto, ma su una valutazione, una intuizione etica, un atto iniziale di rapporto filiale verso Dio.
Con Kant, il problema si sposta. Non è più questione di dedurre razionalmente la morale; questa è la volontà stessa valutante, la volontà buona, la — per Kant —• ragione pratica pura. Le affermazioni di carattere esistenziale che la ragione pratica pura esige non sono possibili di dimostrazione, sono postulati ; porre un giudizio morale è porre anche esse. Senonchè, per Kant, questa ragione pratica pura, appunto perchè è considerata pur sempre come ragione, dà un criterio formale della moralità, la celebre universalità della norma. Con una sottile analisi di questa universalità E. I. mostra che essa, per essere valida, suppone un giudizio o giudizii oggettivi di valore considerati come universalmente validi, nella corrispondenza ai quali la norma concreta trova la sua universalizzabilità; altrimenti o la ragione pratica pura non potrebbe passare dal suo chiuso mondo noumenico nel regno dei fenomeni, cioè delle azioni concrete, o tutto si ridurrebbe a dire: agisci (come vuoi) ponendo la norma in cui si può tradurre la tua azione come norma universalmente valida; agisci non come singolo, ma come legislatore, poiché questo esige la tua razionalità.
Quali sono queste norme o quale è questa norma universalmente valida? Essa è indicata nell’altra famosa formula di Kant : •(Opera in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in. quella di ogni al tro, sempre ad un tempo come fine e non mai come mezzo ». Purché in essa si trovi non soltanto forma ma contenuto; purché sia
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cioè una concreta valutazione e fondamentale: la personalità umana ha valore per sè. e il massimo valore; ed ogni altra cosa ha valore per riguardo ad essa.
Ma a questo non si arresta il I. In una ulteriore ricerca, che ci pare la parte più originale dell’interessante studio, egli distingue valori strumentali, condizionali, comuni. quelli cioè i quali sono posti come esigenze comuni e costanti dello sviluppo della umanità a personalità; senza l'osservanza dei quali si nega o si impedisce o si ritarda, in sè o in altri, la personalità; e sono indicati nelle parole: libertà e giustizia. Ma ogni personalità costituita è in se medesima una misura e una fonte, unica.
incomunicabile, di valori, è. si direbbe, un valore valori zzante; di qui una sfera intima e personalissima di eticità che ha comune con tutte le altre la zona dei valori strumentali, ma che si esprime e si organizza e si attua in un certo suo modo unico.
È inutile, dopo quel che ho detto sopra a proposito della filosofia religiosa di Giuseppe Mazzini, che io aggiunga qui le riserve che dovrei fare su questo studio del I., cosi succoso e perspicuo e notevole, intorno al modo di intendere la personalità come supremo valore e misura dei valori morali.
ni.
ETNOGRAFIA RELIGIOSA
ii.
i. FOLK-LORE Mi LI TAIRE Suisse, Questionila! re accompagni de documcnts et d’exemples publie par les soins de la ■ Soditi Suisse des Traditions Populairès ». Basilea, 1916.
l.a Società svizzera delle Tradizioni popolari fin dal giugno 1915 promosse un’inchiesta interessante e di attualità, come suol dirsi, su! 'Folklore guerresco». Il lavoro continua tuttavia fervoroso; e va data lode alla genialità del dotto presidente prof. Eduardo Hoffmann-Krayer, e all’attività del segretario, <lr. Giovanni Baechtold, per la iniziativa nuova e importante, e per la copia dei materiali finora raccolti. I 'opuscolo che abbiamo sott’oc-chio presenta il questionario accompagnato <la documenti ed esempi, per rendere più agevole l'opera d’indagine edi raccolta nella vita della caserma e della trincea, degli ospedali e «Ielle prigioni, e perfino sul campo di battaglia. Un’vero programma di storia e di psicologia delle credenze e degli usi popolari e militati. Basta guardare i paragrafi riguardanti i presagi» e le profezie sulla guerra, i rimedi per prevenire e guarire malattie e ferite, le pratiche ritenute atte a frenare o respingere i colpi e gli assalti nemici per convincersi dell’importanza de-mopstcologica di tale raccolta, difficile a farsi e non sèmpre bene apprezzata. In un
vecchio volume del 1794 leggesi questo segreto per salvaguardarsi dai proiettili: • Il faut cueillir de la racine à neuf chemises le jour de la St. Jean avant que le soleil se soit levé étant tout nu et la mettre entre la doublure de sa veste ». Un taccuino della metà del millesettecento conserva una delle tante preghiere o formolo per preservarsi dalla rabbia nemica: •« Si je trouve gens de croix — dice l'orazione -que tor ne veuille faire. Je conjure en conjurant je romps toute force et savoir et pouvoir entendement, par foix, par loix et par St. Jean Baptême et par les 4 colonnes qui soutiennent la terre qu'il' ne puisse nuire à. mon corps, ni avec plomb, ni avec fer, ni avec acier, ni avec pierres, ni avec bois copâ, ni avec bois rompus et qu’il n'y ait ni si vite ni si abile que de mon corps puisse avoir une goutte de sang. A Dieu ne playse. Je me sine (signe) au nom de mon seigneur St. Jean, au nom du seigneur St. Pierre, au nom de mon seigneur St J osés et je fais la croix sur mon corps et sur mon âme que le bon Dieu en soit bonne garde. A nom du P. du F. du St. E. ».
La tendenza a fare della guerra un segno di regresso dell’umanità, ha indotto alcuni a ritenere che tali credenze e superstizioni non siano altro che antichi stati dell’animo, creduti scomparsi, ma ricorrenti col risorgere della vita bellica. Conviene distinguere
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per non andare troppo lontano in questa asserzione. l a guerra moderna non è la guerra antica e medioevale: c le superstizioni guerresche di oggi non sono identiche a quelle dei popoli passati e dei soldati barbari. Il tempo, la tecnica, l’evoluzione dello spirito e delle cose contribuiscono a modificare forme, costumi, credenze. Noi non troviamo più in Europa fra i riti di guerra Snello crudelissimo di mangiare il cuore el nemico, come piaticarono in Sicilia i Saraceni ammiratori della forza e bravura di Serlone, fratello di Ruggero e di Guiscardo; e come usano molti incivili oceanici, nell’idea di assimilarsi il coraggio del vinto: non osserviamo come al tempo dei Vespri gli insorti recidere il fallo ai francesi uccisi; come fecero anche gli indigeni dell’Afghanistan nell’ultima guerra cogli Inglesi, mettendoselo in bocca : o portarlo al collo come alcuni africani; ma assistiamo a manifctazioni superstiziose d’ogni genere, specialmente fra i soldati bavaresi, detti i più superstiziosi del mondo. Essi portano, fra gli altri amuleti, brandelli di pelle' di lupo per rendersi invulnerabili; si forano l’epidermide del collo, vi passano uno spago infilandolo in un fusto di felce, bucato come gli Indiani Ricaras fanno, attaccandosi a trónchi di quercia, nella credenza di aumentare il proprio vigore c la loro forza : biascicano scongiuri contro i proiettili, recitano formole contro il nemico; si muniscono di talismani e praticano riti magici.
Se la parte più importante dello studio della vita militare, e specialmente nello stato di guerra, è quella delle superstizioni: la parte più ampia è quella « letteraria », diciamo così, che comprende le canzoni e i gerghi. Le canzoni, che contribuiscono a mantenere alto e gaio, lo spirito del soldato, e i gerghi, che espi ¡mono il vero stato d’animo, fanno conoscere e apprezzare il carattere degli usi e dei costumi militari: la conoscenza dei quali varrà a stabilire meglio il grado di civiltà dei vari popoli belligeranti.
2. Euclide Milano, Costumanze e Leggende Popolari delle regioni cunce>i. (Estr. dalla « Rivista d’Italia », a. 1916 genn.). Roma. Questo saggio non ha pretensioni. Scritto in stile agile e leggiadro, esso rileva l’importanza ¿scientifica e la bellezza delle tradizioni popolari cuneesi che non sono poche nel ricco patrimonio raccolto in ogni regione d’Italia. In una corsa fuggevole parla degli spettacoli soliti a celebrarsi nella settimana
santa a Entraque, Boves. Roccavione, Villafalletto e in altri luoghi: della festa di S. Mauro col carro sacro tirato da buoi; della processione di S. Eligio, a Limone; dcU’oflerta dell’Agnello natalizio fatta dal Bistore al Bambino Gesù, a S. Lorenzo e a ocapaglia; accenna alle canzoni vernacole • quasi sempre lente e gravi, ad un solo tono ■; guarda alcuni riti nuziali e funebri; e finalmente passa in rassegna le leggende più caratteristiche, che popolano i piani e le colline di quell’ameno paese. Pochi tocchi e chiari. L’uso per cui la ragazza che voglia licenziare il pretendente suole porre attraverso alla lampada una festuca o un filo di paglia, richiama alla memoria l’antichissimo rito dell'« éxfusticare » (lasciar la festuca) tanto in vigore nella procedura possessoria e matrimoniale del m. e., ove era contrapposto a quello d’investitura mediante la consegna o la presa della festuca; la « ciabra » che prorompe coi fanciulli del villaggio contro i * senes coem-ptionales t. ricorda il ■ capramaritum » proibito dagli statuti dei sec. xm e xiv; il fanciullo che precede il corteo sposalizio portando una conocchia e una gallina fa pensare al - camillus » romano; la <■ barricata » o altrimenti serraglio, fa credere sopravviventi, sotto altro forma, le tasse imposte dai comuni e dai feudatari dell’età passate ai novelli coniugi; sebbene qualche studioso, come T. Braga, pretenda ravvisarvi un avanzo della promiscuità primitiva; e qualche altro’, come il Winter-nitz, un vestigio del ratto della donna.
Delle cerimonie funebri, la nenia delle Giurasse », che continuano la tradizione latina delle prefiche, non è tanto interessante quanto quella di porre sulle tombe dei trapassati alimenti e vivande; o quanto quella dei conviti funcrarii. osservata in altri paesi delle valli savoiarde, e d’origine storicamente.nordica, e non già preistorica come con evidente esagerazione, dice l’A.
In .quanto alle leggende non pare esatta la divisione del Milani in leggende storiche e fantastiche: giacché in etnografia, queste, quando hanno un contenuto soprannaturale. prendono il nome di miti, mentre le altre prendono semplicemente il titolo di leggende, perchè localizzate in un determinato ambiente. Interessanti fra le storiche, sono quelle del ciclo romano; quelle del ciclo medioevale, che narrano di Desiderio, di Teodolinda, dei Saraceni: o si riferiscono alla dominazione feudale o a quella provenzale; e fra quelle fanta-
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stichc, o con altro nome miti, quelle che si riportano a credenze pagane, o esprimono il contrasto ira lo spirito cristiano e la tradizione pagana: o raccontano di Satana, delle streghe, dei folletti, o sono emanazioni del culto dei morti. La leggenda del Ciclope monocolo è una preziosa scoperta. Essa non è, però, speciale del cuneese, perchè la figura del mostro antropofago si riscontra nelle tradizioni orali dell’Europa e del Caucaso.
Materia vasta c complessa, che il Milani in questa memoria appena sfiora, per dare l'idea della produzione folklórica <lel territorio di Cuneo; che ebbe già dalla sua penna buoni contributi, pubblicati in ¡•arte noli'Archivio delle tradi ctoni popo-ari del Pitré. È da augurarsi che egli, occupato in ricerche c studi storici, non desista dal proposito di raccogliere in un volume i materiali demopsicologici scoperti in quella provincia, che alleva «tempre salde e gagliarde»; discendenti di coloro che * formarono prevalentemente per più secoli il primo nucleo guerriero, dal quale s’andò poi formando il grande esercito che è presidio e orgoglio della terza Italia».
M. G. Pasquarelij. Appunti di Antropologia e sociologia criminale, popolare. (Estr. dall'« Anomalo », XIII). Napoli, 1914.
Michele Gerardo Pasquarelli è uno studioso appassionato e metodico di «temo-psicologia basilicatese, ed ha dato non pochi contributi alla « conoscenza di casa nostra », raccogliendo e illustrando tradizioni popolari, scrivendo buone c nuove pagine di psicologia collettiva e criminale. In questi «appunti* si ferma sulle figure e sulle opere degli stregoni basilicatesi: e cioè sulla credenza nel malocchio e nelle fatture: sui rimedi egli espedienti per prevenire e allontanare le malefiche influenze, come amuleti c carmi; descrive filtri, malie, incantesimi e sortilegi, pur non facendo distinzione tra il valore e l'effetto di questi diversi processi, che hanno nella « iattura » il malehzio per eccellenza. « Dei giovinetti — scrive il nostro folklorista ricorrevano in un paese ad un sacrestano stregone, richiedendolo di aiutarli in certe conquiste amorose, e lui «lava loro delle polveri che bisognava buttare addosso a le ragazze e delle frutta su le quali * iatava , (soffiava) e diceva scongiuri... ». Lo stregone basilicatése si ispi
rava a una vecchia prescrizione magica, alla quale erano soliti ricorrere innamorati e pretendenti respinti, nel medioevo e anche in altre epoche. La Chiesa si adoperò a impedire tali pratiche; e nonostante i suoi divieti si videro (specialmente nella Francia del sec. xiv) degli uomini maturi diventare sposi promessi di fanciullette; altri fidanzati di vedove, che non ancora avevano compiuto l'anno del lutto, per aver loro offerto e fatto mangiare qualche pezzettino di pane, qualche mela, accompagnando l’onerta con parole ed atti ac conci, secondo le prescrizioni del mago. Le scene d'amore di ogni tempo accennano spesso al magico pomo, di cui Virgilio porta un bellissimo esempio. Ricordate? • Malo me Galatea petit ». Da esperto e compiuto studioso, il Pasquarelli cerca e trova i materiali per il suo lavoro negli usi, nei racconti, nei proverbi, nelle superstizioni, nelle pratiche di medicina popolare e nelle gesta dei malviventi, facendo, all’occasione, riscontri e confronti non Strivi d’importanza, e che estesi e appro-onditi potrebbero rendere concreta l’idea da lui vagheggiata di mettere in rilievo i - tratti caratteristici » del folklore basilicatese. o. per meglio dire, servendomi dell’espressione etnografica. • l’area di cultura regionale », sebbene ciò sia difficile fare nel nostro paese, e nel continente europeo in generale, ove genti e costumi si mescolarono nel corso dei secoli; e nonostante l’applicazione del metodo delle ■ concordanze », meraviglioso strumento dell’etnografia moderna.
G. L. Marugi. Capricci sulla iettatura con introduzione di G. Gigli. (« Piccola Collana di Apulia ». Martina Franca. i<)«5)La ristampa dell’operetta del Marugi medico, matematico e filosofo, nato a Manduria, ove morì nel 1836, torna interessante in questo rifiorire di studi folklo-rici, che aspettano l’uomo che, prendendo a base la classica bibliografia del Pitré. ne faccia la sintesi e la storia. Pubblicata la prima volta in Napoli, nel 1788. presso Filippo Raimondi, essa appartiene a quel ciclo di dissertazioni, discorsi e poemetti germogliati attorno a quell’arguto libro di Nicola Valletta, intitolato-« Cicalata del fascino, volgarmente detto iettatura », che desto non poca curiosità e non minore stupore tra ¡ dotti e.gli scienziati napoletani per la tenuità del tema trattato da un
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letterato e giurista di larga fama, vittima, com’egli si diceva, di due iettatori.
Il pregiudizio, che fino allora pareva relegato fra le credenze volgari, attinse le anime elevate e meritò gli onori degli uomini di lettere e di scienza. Il Marugi, ritenuto fra i dotti del regno e del tempo, scrivendo questo lavoro, che chiamò « Capricci > per la forma e la materia, si propose di dimostrare scientificamente l’esistenza del « vapore malefico ■ che sotto l’aspetto di « particelle più o meno tenuissime », si trasmette da un individuo a un altro, generando la jettatura; la quale, a seconda che agisca sul corpo o sulla volontà, prende nome di fisica e morale. Egli dà, così, il primo tentativo di spiegazione razionale di quel fenomeno psichico, che porta il nome di jettatura, ricorrendo alle teorie fisico-filosofiche dell’epoca che stabiliva il dualismo degli enti fisici e degli enti morali. Se per questo riguardo il Marugi» pur trattando d’un inveterato pregiudizio, si eleva al di sopra del popolo, per chiederne la ragione agli alti esperimenti della scienza; rimane nel campo delle pure tradizioni volgari quando cerca rilevare e stabilire i segni fisiognomia del jettatore e prescrivere i mezzi fascini-fughi, che ricava in gran parte dalle pratiche superstiziose dell’infimo volgo. Sfogliando qualcuna delle moltissime raccolte di tradizioni popolari è facile rilevare i punti di contatto fra i segni, i caratteri e i rimedi indicati dal popolo e quelli indicati dal filosofo pugliese; il quale, per altro, pur facendo derivare la voce napoletana « jettatura » dalla frase latina « jacere sor-tes » dà alla parola un significato molto largo, e cioè di « stregoneria, sortilegio, fattucchieria, ecc. », mentre nella terminologia demologica, ognuna di queste voci serve ad indicare un processo magico speciale. più o meno volontario, più o meno colposo, e quindi incriminabile, a differenza della jettatura, che quasi sempre è un maleficio incosciente e involontario.
L’operetta, scritta sullo stile accademico del tempo, comprende sette prose e sette corrispondenti variazioni poetiche, che fanno vedere la ricchezza della dottrina e l’efficacia del verso dell’emulo del Valletta. Giuseppe Gigli, un valente folklorista pugliese, nel premettere alla ristampa una nitida prefazione, dubita che i «Capricci > sieno frutto ed effetto di tale credenza dell’autore; e opina che questi k pur non negando il fenomeno, ne ridesse
fra sè e sè, e che con quest’operetta volle, in fondo, veramente ridere e far ridere più di coloro che vi credevano ciecamente, anziché, di trattare qualunque altro fatto morale che vi si riferisse ». Mi sia concesso di non condividere questo parere, giacché da tutto il libro, dai casi e dalle esperienze personali che il Marugi riferisce; dalle osservazioni che fa; dai problemi che propone agli eruditi, ai fisici, ai matematici; dalle dotte e profonde note con cui illustra i suoi versi; dai principii filosofici da cui parte (« credo, e fermamente credo—egli dice —- che siavi una forza insita negli uomini di agire a vicenda e regolare le azioni loro non meno, che regolati vengono i moti de’ pianeti delia gravità, che conservano ») si rileva pieno e persistente il pensiero di dimostrare con le cognizioni scientifiche del tempo, la verità del fenomeno e di darne la spiegazione. In questo senso il Marugi può dirsi un precursore, come Tommaso Brawn, l’autore degli « Errori popolareschi », di quella letteratura che illustra le superstizioni popolari trattandole come fenomeni psichici, e che doveva svilupparsi ai nostri giorni. Ridere no; il napoletano non ride della jettatura. E il Marugi era napoletano d’elezione.
Raffaele Corso.
G. Locatelli Milesi, Ergisto Bezzi. (11 poema d’una vita). Studio storico-biografico con 84 lettere di G. Mazzini, Milano, Sonzogno, 1916.
Ci piace richiamare l’attenzione degli studiosi e non de’ soli studiosi su questa nitida ed elegante pubblicazione fatta sotto gli auspici del Comitato per le onoranze ad Ergisto Bezzi, la quale, mentre reca un importante contributo ai nostri studi sul risorgimento, viene in un momento in cui la sua apparizione sembra collegare con la catena della storia l'epopea sanguinosa di ieri a quella sanguinosissima di oggi. Appunto nel nome di questa nostra epopea noi pure, che in tempo di pace non avremmo fatto cenno di pubblicazioni, le quali
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vanno al di là de’ nostri studi, ne facciamo ricordo, fc il momento in cui tutti facciamo oltre quello che ci siamo scelti e che facciamo per nostra attitudine, qualche cosa che è come una coopcrazione alla grande opera comune di vita e di morte, neirinteresse collettivo. È il momento in cui tutti se non operiamo, ci pieghiamo a vivere l’opera altrui, di ieri o dì oggi, a venerare il peccato, specie se ancora tangibile, come nell’epico caso del Bezzi, ad onorare il presente ed a rafforzarlo, sia per i caduti, sia per la nazione, nella materialità o nello spirito.
Con questi intendimenti consigliamo a tutti la lettura di questo • poema », cui aggiungono vigor di espressione esteriore le belle illustrazioni e le nitide cartine geografiche, mentre balza dalle pagine epiche con la figura dell’eroe quella dei grandi che vissero c combatterono con lui e come lui, di Mazzini, di Garibaldi, di Guerzoni, di Cairoli. G. C.
I. Desi rèe. Il principio delle nazionalità e il Belgio, Catania, Battiate, 1916. ' (Collezione La Giovine Europa, opuscoli).
L’interesse che possono suscitare queste pagine dell’eminente uomo politico belga, cosi benemerito della sua patria, ànno un valore più storico che politico: grazie, cioè alle notizie da lui fornite in esse e grazie alla bibliografia annessavi, non sarà impossibile «formarsi un concetto preciso non della questione belga, quale è stata posta dai tedeschi dopo l’agosto 1914 — poiché nessuno vorrà che la Germania, dopo avere invaso e oppresso il Belgio, si è resa più benemerita e più calda fautrice dell’indipendenza e dell’unità belga, di quello che non ne fossero i suoi più ardenti sostenitori in patria — ma piuttosto della questione storica della sua formazione na
zionale ed unitaria. I) breve, ma chiaro c ben condotto schizzo della vita politica belga c delle sue ragioni di esistenza e «lei suoi diritti ad un avvenire più largo e più sicuro del passato, servirà di orientamento a quanti — e in Italia son molti — non solo ignorano la storia, ma pur la geografia, e cionondimeno parlano a vanvera e fanno e disfanno la carta d’Europa durante la guerra e pure per le previsioni della pace.
Naturalmente col D. non sono d’accordo, dal punto di vista teorico, sulla definizione della nazione che egli col Renan vuole consista nella volontà di vivere insieme di un popolo e nella comunanza dei dolori insieme sofferti. Ho paura che anch’egli, alla fin fine, confonda l'idea di nazione con quella di Stato, sebbene respinga dasè questa ch’egli giudica una confusione banale. Ma non è qui il luogo di discutere di ciò; lottiamo, per ora, unguibus et rosiris per il principio di nazionalità, anche se invece della coscienza della sua essenza ne abbiamo appena l'intuizione: poi faremo della filosofia. Non è forse per ciò che è vago e incerto e oscillante che noi lottiamo con maggior energia? La troppo profonda conoscènza distrugge l’illusione e noi solo di illusioni viviamo! G. C.
L’editore Bemporad di Firenze ci manda uno degli ultimi volumetti della sua » Bi-bliotechina illustrata per la gioventù, per i soldati, per il popolo » in cui G. Senizza parla della Storia di Trieste, dai Romani a noi. Il lavoretto si raccomanda per là tenuità del prezzo (L. 1) alle persone che non vogliano o non possano cercar di più o di meglio: a me sarebbe piaciuto che l’A. accanto ad un sano e bello entusiasmo avesse dato prova di una maggiore accuratezza e che l’editore avesse illustrato meno, magari, il volumetto (15 figure) ma meglio, poiché di alcune illustrazioni proprio non si vede nulla! G. C.
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“ E presentavano a Gesù dei bambini perchè li toccasse; ma i discepoli sgridavano coloro che glieli presentavano. E Gesù, ceduto ciò, si sdegnò e disse loro: Lasciate i bambini venire a me, e non glielo impedite; perchè di tali è il regno di Dio. Io vi dico in verità che chiunque non riceverà il regno di Dio come un bambino, non entrerà punto in esso. E presili in braccio e imposte loro le mani, si diè a benedirli '.
Vang. di Marco, X, 13-16
■ MIRELLA •
Nata e cresciuta con Bilychnis.
<£>,
la dólce figliuola di LODOVICO ed ELENA PaSCHETTO, la buona sorellina di ENRICO e di LETIZIA, òggi 23 gennaio 1917 alle ore 21 è andata là dóve la candida anima sua così spesso si rivolse con impressionante curiosità e desiderio.
Molto teneramente amò i suoi cari, i piccoli amici, Gesù e i fiorellini, e i cinque anni della sua vita terrestre col ricordo della sua intelligente ingenuità, della sua sincerità e purezza saranno sempre per la sua casa la più luminosa illustrazione delle parole di Gesù : " Di tali è il regno di Dio
Roma, 23 Gennaio 1917.
(1917-I]
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Cambio colle Riviste
FIGURE DI SOLDATI
DELL’ANTICA CRISTIANITÀ
Dagli autentici " Atti dei martiri „
Di coloro che co! sangue testimoniarono la propria fede in Cristo nei primi secoli, noi possediamo in parte Ì;li autentici atti del martirio, vale a dire i verbali dei oro interrogatori da parte del giudice, con la sentenza di morte, in parte abbiamo testimonianze contemporanee di cristiani che assistettero al loro martirio, in parte relazioni sommarie sulle persecuzioni e le loro vittime in Eusebio ed in altri storici.
Un’altra classe ci viene fornita dalle Leggende. cioè dai ricordi più o meno amplificati dal popolo dei fedeli sugli interrogatori, la tortura e l’esecuzione dei confessori, la cui festa ogni anno radunava schiere di cristiani nelle chiese costruite sui loro sepolcri. Anche poeti ed oratori hanno con la loro arte celebrato il coraggio dei martiri proponendolo come esempio al popolo cristiano. Dove le fonti mancavano, ad appena il solo nome del martire era noto, si ricorreva agli atti di altri santi affini, rendendoli comuni a colui che si voleva celebrare per soddisfare alla pia brama ed alla devozione dei fedeli. Questa seconda classe di descrizioni non possono certo avere il valore di storia, ma sono più o meno delle creazioni immaginarie su di un fondamento storico. Spesso però tali descrizioni sono di origine antichissima, o si basano su pitture raffiguranti scene del supplizio, con cui, nel corso del iv e del v secolo, vennero decorate le pareti sopra i sepolcri dei martiri,
• • •
Negli atti autentici del martirio delle sante Perpetua e Felicita, che nell’anno 203, dopo crudelissima prigionia conseguirono il martirio insieme ad altri compagni, in Cartagine, è ricordato un soldato Pudente che ebbe a sorvegliare i prigionieri nel carcere. Egli non era cristiano, ma il coraggio e la costanza dei confessori produssero su di lui una profonda impressione, cosicché volentieri permise che i fedeli visitassero i prigionieri
Athenacum. Pavia, anno IV, fase. IV; ottobre 1916. — Pier Enea Guarnerio: « Intorno al nome del Monte Rosa » - Giovanni Patroni: < La coppa di Arkesilas e le sue iscrizioni ■ - Carlo Pascal: « Glosse Catulliane » - Silvio Ferri: « Saggio di classificazione degli oracoli » - A. Andrea Tedesco: « Il proverbio, la paroimia e il corpus parse-mino graphorum graecorum » - Attilio Barriera: « Il codice XI. della Biblioteca ora-toriana di Napoli e il ' de viris illustribus urbis Romae ' d’incerto autore » - Notizie di pubblicazioni
Rivista internazionale di scienze sociali e discipline au-sili-arie. Roma, anno XXIV, voi LXXII, fase. 286. — A. Giiardoni: « Un nuovo istituto giuridico sociale in formazione. Partecipazioni sociali di lavoro costituite mediante ultrasalari » - Livio Livi: « Osservazioni critiche sulla interpolazione di serie statistiche in demografia » - Romeo Vuoli: ■ L'intervento degli^ enti pubblici nella delimitazione dei prezzi dei generi di prima necessità » - Sunto delle Riviste - Esame d’opere - Note bibliografiche. - Cronaca sociale.
La Cultura filosofica._ Firenze, anno X, n. 4-5; luglio-ottobre 1916. — G. Rossi : « Una nuova teoria del giudizio e del raziocinio. Parte ia: Il giudizio » - G. Capone-Braga: ■ LaÀ psicologia di Caba-nis » - E. P. Lamanna: « Il fondamento morale della politicai, secondo Kant » (Con-tinuaz. e fine) - Recensioni.
Bollettino Filosofico. Firenze. Nuova serie, anno IV, n. 1; giugno 1915 (pubblicato
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« -i -i-'B1LYCHNIS
nel novèmbre 1916). — Avvertenza - Conferenze: « L’organismo sociale e la guerra » (G. Rensi) - «Significato bio-filosofico della guerra» (W. Ma-ckenzie) - « La civiltà germanica e l’ora presente» (G. Manacorda) - « La morale nella Cina antica » (G. Vacca) - « La morale nell’età ve-dica » (F. Belloni-Filippi) -« La morale del Buddismo » (P. E. Pavolini) - « Il problema morale nelle religioni primitive » (M. Puglisi) - « La morale nella letteratura contemporanea » (Paolo Arcari) -« I) valore spirituale del profetismo ebraico » (Felice Momigliano) - « Il problema morale in Socrate » (G. Ferrando) - « Il problema morale in Platone » (G. Rensi).
Letture: « Cristianesimo esoterico » (Soter) - Acquisti e doni.
Rivista di Filosofia neoscolastica. Milano. Anno Vili, fase. 5; 31 ottobre 1916. — Luigi Borriello: « La pedagogia di Giovanni Gentile » -G. B. Biavaschi: « L’origine del potere civile e la filosofia cristiana » - Domenico Lanna: • La filosofìa della guerra secondo i principi di G. B. Vico » - Leonida Bianchi: « La filosofia nei nostri licei » - Analisi d’opere - Notiziario.
Rassegna nazionale. Firenze, anno XXXVIII, Il serie, volume V; j® ottobre 1916.— P. N. Gregoraci: « L’inversione del trinomio - La libertà » - G. Jannone: « li 1848 in un seminario di provincia » - M. Ziino: « Il diritto privato nei Promessi Sposi » - A. Zardo: « Un poèta della pace »-A. Raggiranti: «Un gentiluomo dell’antico stampo » - ecc.
— 16 ottobre. — P. Bellezza: « Sull’eziologia della guerra attuale »-A. P.: «Da chi avemmo l'Italia > - A. De
e portassero loro ristori, perchè in tal modo così diceva — ne offrivano anche a ha.
Allorquando i confessori dovettero essere dati in pasto alle fiere, uno di essi. Satiro, rivolse a Pudente Jueste parole: • Credi con tutto il cuore! » Un leopardo u lanciato contro i martiri, che con pochi morsi fece fluire il sangue a torrenti. Satiro gridò a Pudente: «Vivi felice e ricordati della mia costanza». In così dire si tolse dal dito l’anello, lo immerse nella sua ferita e lo dette intinto di sangue al soldato come preziosa eredità e ricordo.
Eusebio, nel libro sesto della sua Storiaci trasmette un racconto del tempo della persecuzione di Severo nel 220, che può fare riscontro a quello già narrato. Un giorno, in Alessandria di Egitto, vi fu tra i martiri la vérgine Potamiana, che, dopo i più crudeli tormenti, fu condannata a morire sul rogo. Tra i soldati che la scortavano al luogo del supplizio vi era Basilide, che prese le difese della martire contro la plebaglia e la assistette come meglio gli fu possibile. Riconoscente, la vergine gli disse: « Quando sarò morta pregherò il Signore perchè ti assista e ti compensi di quel che hai fatto per me ». Pochi giorni appresso accadde che i compagni di Basilide volessero indurlo ad una cattiva azione e, rifiutando egli e pressandolo gli altri,-alla fine dichiarò che non vi avrebbe mai acconsentito perchè èra cristiano. I camerati credettero dapprima che egli scherzasse, ma insistendo egli nella sua dichiarazione, fu tratto dinanzi al giudice e da questi fatto gettare in carcere Ad alcuni cristiani cui fu possibile visitarlo e che gliene fecero domanda, egli rispose che tre giorni dopo del suo martirio, di notte, Potamiana gli era apparsa, e, ponendogli una corona sul capo, gli aveva detto di avere per lui pregato il Signore e che sarebbe fatto secondo la sua preghiera. I fratelli dovettero limitarsi a fargli in fronte il segno di croce, poiché il giorno appresso Basilide veniva decapitato ed ebbe così col battesimo di sangue ciò che la vergine e martire Potamiana aveva per lui impetrato da Dio.
Il santo vescovo di Alessandria Dionisio ricorda, in un suo scritto al vescovo Fabio di Antiochia, la resistenza dei suoi fedeli durante la persecuzione di Decio nel 249-250. Racconta fra l’altro di un soldato per nome Besa che, con altri, scortava al luogo del supplizio i due martiri Giuliano e Enno. Sembra che Besa fosse cristiano e che perciò cercasse di allontanar la plebaglia ed i suoi insulti dai martiri, tirandosi addosso egli stesso le ire del popolaccio; trascinato dinanzi al giudice fu da questi condannato ad aver mozza la testa. Non molto tempo dopo — continua a narrare Dionisio-alcuni pochi soldati Zeno, Tolomeo, Ingen ed il veterano Teofilo furono comandati di prestare assistenza militare ad una udienza giudiziaria. Essendo stato condotto al pretorio un cristiano ed essendo questi, per timore della morte in pericolo di rinnegar la propria fede, quei soldati cercarono con cenni di ridonargli il coraggio. Così attrassero su di sè gli sguardi di tutti i presenti, ma essi, senza attendere di essere accusati.
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si presentarono francamente dinanzi al seggio del giudice, dichiarando di esser cristiani e di dar volentieri la loro vita per la propria fede. I) giudice ed i suoi assistenti furono molto colpiti da un tale incidente; poi, col E »retesto di non avere potestà giudiziaria sui militari, i lasciarono andar via impuniti.
Eusebio nella sua Storia ecclesiastica, ci parla di un soldato. Marino, che morì martire nel 262, e ci dice che apparteneva a distinta famiglia e che era ricco di beni di fortuna. Avvenne che gli venisse confidato un incarico militare e che un suo compagno, al quale egli era stato preferito, elevò contro di lui l’accusa di essere cristiano. Marino confessò apertamente la propria fede. Il giudice gli dette tre ore per riflettere, trascorse le quali e restando Marino valorosamente costante nella fede, lo condannò a morte. Appena decapitato, si fece avanti un uomo, Asturio, che rivestiva la dignità di senatore romano, il quale avvolse il cadavere in un panno prezioso e sulle sue spalle lo portò in un fondo di sua proprietà per ivi dargli sepoltura. Ciò avveniva in Cesarea di Palestina.
Seleuco, nato in Cappadocia, giovane di non comune forza e valore, ben presto avanzò nella carriera delle armi. Allo scoppio della persecuzione contro i cristiani, sotto Diocleziano, preso, torturato e scacciato dall’esercito, egli si dedicò al servizio dei poveri e dei malati ed all’assistenza delle vedove e degli orfani. Ne ebbe in premio la corona del martirio. Il suo corpo, con quello di altri undici martiri, fu per ordine del giudice lasciato insepolto a servir di pasto agli animali randagi e selvatici; ma per quattro giorni e quattro notti nessun cane, nessun uccellacelo si accostarono al cadavere del santo, e così fu possibile ai fedeli di Cesarea di tumularlo con ogni onore. il
In Tarso, capitale della Cilicia, il 20 giugno 304 il soldato Taraco fu dal centurione Demetrio tratto dinanzi al giudice, insieme a due altri compagni: « Come ti chiami? — gli chiese il pretore —- visto che tu sei più vecchio degli altri voglio cominciar da te l’interrogatorio i’.
— Son cristiano — rispose Taraco.
— Non bestemmiare, ti ho chiesto come ti chiami. Taraco ripetette: — Son cristiano.
Il pretore Massimo ordinò allora al carnefice — Rompigli il viso a schiaffi E di nuovo al martire: — Rispondi giusto!
E Taraco disse: — Io ti ho detto il mio nome; se poi tu mi chiedi come vengo chiamato dagli altri, allora rispondo che i miei genitori mi hanno messo nome Taraco; come militare, io mi chiamo Vittore.
— Qual’è la tua professione? — proseguì il giudice.
— Sono stato soldato e sono cittadino romano, nato però a Claudiopoli in Isauria. Allorché divenni cristiano, lasciai il servizio militare.
— Non eri degno, miserabile, di portare la divisa; dimmi, però, com’hai fatto a lasciare il servizio?
- Ho pregato il colonnello Publio ed egli mi ha lasciato andare — rispose l’interrogato.
Rubcrtis: « P. Fraticelli » -L. Lattes: «Quando l’amore passa » - G. Cottini: • Gaspare Dccurbins » - ecc.
— 1® novembre. — M. Zuc-chi: •< Ricorsi storici di un secolo fa. Provvedimenti di annona e di polizia nel carteggio inedito di Re Vitt. Eman. I al ministro Borgarelli » - A. P. «Da chi avemmo l’Italia »-E. Masini: « L’emerologia e la data dell’esodo degli Israeliti » - G. Deabate: «Come nacque la Compagnia Reale Sarda » - ecc.
La nuova rassegna. Roma, anno I, n. 10-11: 5-20 ottobre 1916. — A. Labriola: « Di un errore della democrazia » - E. Presutti: « Per il riordinamento delle pubbliche amministrazioni » - R. Murri: « I miti politici • - R. Gallenga: « Asquith > - G. Colaianni: « L'Ungheria e la grande guerra » - F. Marsuero: « Gli Stati Uniti e la guerra europea »-A. Alfieri:: « A proposito di credito e di marina mercantile » - U. Spillmann: « Il tesoro dello Stato e la sua missione di guerra » - ecc.
Vita e pensiero. Milano, anno IL' voi. IV, fase. 4; 31 ottobre 1916. — A. Gemelli: « I nostri morti »— G. Se-merìa: • Liberiamo la nostra scuola »-E. Henrion: «Paul Claudel poeta religioso » -A. Gemelli: « Cronache scientifiche di guerra: la voce del cannone » - C. Costantini: « Problemi d’arte sacra » -E. Vercesi: « La Grecia e la guerra » - C. Meda: « Legislazione austriaca in Italia nella prima età del secolo scorso n - ecc.
La nostra scuola. Milano, anno IV, n. 1; 15 ottobre 1916. — G. Ferretti: « Per la scuola nazionale » - G. C. Vico: « Risposta a G. Prezzolini > -T. Vespasiani: « L’eroe ignoto:
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il contadino »-J. Ricci: <11 valore »- M. Montessori: « Sull’educazione morale e religiosa »-M. Salvoni: «Didattica»- F. Ciarlantini: « I maestri e il corso popolare » -G. Varisco: « Un’opera » - ecc.
Conferenze e prolusioni. Roma, anno IX. n. 19: 1® ottobre 1916. — F. Eredia: « Aviazione e meteorologia » -A. A. Bernardy: • Monumenti italiani dell’altra sponda » -Card. Desiderato Mercier: « O-melia al popolo belga » - ecc.
— 16 ottobre. — S. E. Paolo Boselli: « I discorsi di Na-Soli e di Milano » - Generale iuseppe Pennella: «In gloria dei granatieri caduti sul campo dell’onore » - M. Frattini: « Giustizia e diritto dinanzi alla guerra » - ecc.
— 1® novembre. — Luigi Luzzatti: « Nel cinouantenario della redenzione del Veneto » -P. Foscari: « Per la liberazione di tutte le Venezie » -Fr. Ruffini: « L’ammonimento di Niccolò Tommaseo » - ecc.
Nuovo convito. Roma-Pescara. anno I, n. 9: settembre 1916. — Maria del Vasto Celano: « Disciplina intellettuale » - A. Bruers: « Belgio ed Italia nell’esilio di Vincenzo Gioberti » - F. Pagliara: « Le donne di Shakespeare » - V. Bindi: « Raffaello Pagliaccetti » - L. Gamberale : • Pilastro ■ - Vox: ■ Sulle rive del Biferno » - Marion Buttler: « Lettera da Londra • - B. Vescovini: « Il canto del pescatore» - « Commenti conviviali » - La Direzione: « Il risorgimento economico d’Italia >. - Illustrazioni: T. Patini - V. Bo-nanni - P. Paschctto.
La Riforma italiana. Firenze, anno V, n. io; 15 ottobre 1916. — La R. I.: «Cerchiamo Dio » - A. Crespi: « I#a Ìucrra e la vita dello spirito » -. E. Carpenter: « Vigilia mes— Bene — riprese il giudice Massimo — accostati e sacrifica agli Dei: ho pietà dei tuoi capelli grigi, lascia le tue stupidaggini e sacrifica.
— Non è stupidàggine ciò che mi rende beato — replicò Taraco — ho cinquantasei anni e mi mantengo fedele alla verità.
— Lasciati dare un consiglio — lo interruppe Demetrio — sacrifica!
—Tienti per te il tuo suggerimento — Taraco gli rispose.
— Caricatelo di catene — concluse il giudice — e conducetelo in prigione.
Dopo un secondo ed un terzo interrogatorio, mantenendosi Taraco ed i suoi compagni costanti e dopo i più raffinati tormenti che Massimo potette escogitare, fu pronunziata la sentenza che li condannava ad essere gettati alle fiere nell’Anfiteatro.
Fra coloro che presenziavano in pretorio all interrogatorio del confessore Filea, v’era anche il tribuno Fi-loromo. Il giudice ed i suoi assistenti, con ogni sorta di domande e di sollecitazioni, cercavano di far mutare pensiero all’accusato; gli amici di questi imploravano: da lui con le lacrime agli occhi, di conservarsi alla sua sposa ed ai suoi figli; il tribunale si offrì a rimandare il processo per dar tempo a Filea di riflettere sul da farsi. Filoromo levò allora la sua voce, esclamando: — Perchè cercate inutilmente di scuotere la costanza di quest’uomo? Perchè mentre egli resta fedele a Dio, volete renderlo infedele? Perchè volete forzarlo ad abbandonare il suo Dio per compiacere agli uomini? » A tali parole., si levò un tumulto nella folla circostante: tutti chiedevano a gran voce che ambedue i confessori venissero condannati a morte. Ed essi vennero insieme decapitati.
Arles, città posta a cavalcioni sul Rodano, conserva sull’una e sull’altra sponda del fiume monumentali ricordi di San Genesio, da una parte il suo sepolcro, dall’altra il luogo del suo martirio. Genesio, entrato a far parte del servizio militare della sua provincia, fu addetto in qualità di stenografo alla discussione dei processi, quando fu notificata l’ordinanza imperiale che imponeva la sanguinosa persecuzione contro i cristiani e quando i primi confessori eran tratti dinanzi al seggio del pretore. Genesio era pagano, ma il suo senso di giustizia si rivoltò contro le illegali crudeltà; pieno di sdegno gettò ai piedi del giudice le tavolette incerate su cui egli notava gli interrogatori, e abbandonò il tribunale. Per sottrarsi alla pena si nascose, ma secretamente fece pregare il vescovo di impartirgli il battesimo. Il fatto non rimase a lungo occulto. I ministri della giustizia, saputo il luogo dove egli si nascondeva, corsero per arrestarlo: onde sottrarsi alle loro mani, Genesio si gettò a nuoto nel Rodano, ma, atteso dai suoi persecutori sull’altra sponda, vi fu ucciso.
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Il veterano Giulio, tradotto dinanzi al giudice Massimo, confessò apertamente di esser cristiano.
— Conosci — gli disse il giudice — l’ordine dell'imperatóre che tutti debbono sacrificare agli Dei?
— Lo conosco, ma io non posso tradire il mio Dio. il solo vivo e vero. Fin da quando avevo ventisette anni appartengo alla milizia, ho combattuto sette battaglie; i miei superiori non hanno avuto mai nulla a rimproverarmi. Ebbene, io che sino ad ora sono stato costantemente fedele ai miei dominatori terreni, dovrei ora cadere in colpa e diventare infedele al mio Signore celeste ? ( i )
— Ciò che tu credi sia colpa — riprese Massimo — lo prendo su di me. Io ti voglio forzare di modo che non sembrerà che tu abbia sacrificato di tua volontà; con ciò potrai tranquillamente ritornartene a casa e nessuno ti disturberà piò. Oltracciò ti farò dare dieci denari.
— Tienti il tuo denaro e le tue parole, e lascia di consigliarmi di tradire il mio Dio — rispose Giulio.
— Se tu — insistette il pretore — morissi per la patria, ciò sarebbe un onore per te; ma ora vorresti proprio morire per uno che'fu crocifisso?
— Egli è morto per dar vita a noi; la vita con voi sarebbe la mia morte, la mia morte per lui sarà la mia vita.
Dopo avere sperimentato inutilmente ogni mezzo per indurre il vecchio a sacrificare, il pretore Massimo pronunziò contro di lui la sentenza capitale.
Mentre Giulio veniva condotto al luogo del supplizio, i fedeli gli si strinsero attorno, e fra essi anche il soldato Esichio, che era cristiano: — Coraggio — disse questi al confessore — ricevi la corona che il Signore ha riservato a coloro che lo confessano, e ricordati anche di me chd ti abbia presto a seguire. —- Giulio promise di pregare per lui, poi si bendò da se stesso gli occhi e s’inginocchiò per ricevere il colpo mortale. Ciò avveniva a Dorostoro nella Misia, il 17 giugno.
Dinanzi allo stesso giudice Massimo, che aveva condannato Giulio, furono tratti i due soldati Nicandro e Marciano. Ambedue, all’ingiunzione di sacrificare agli Dei, risposero dichiarandosi cristiani. La moglie di Nicandro, Daria, esortava così suo marito: —-Guarda il cielo e vedi nostro Signor Gesù Cristo, a cui hai giurato fedeltà, egli ti assisterà. — Massimo fece trar via la donna, quindi rivoltosi nuovamente agli accusati offrì
(x) Cade qui acconcio il ricordare la risposta data dal vescovo Acacio al giudice, che gli ricordava il dovere di amare l’imperatore. * A chi egl: sta più a cuore — rispose il santo — e da chi l’imperatore è tanto amato quanto da noi cristiani? Poiché noi non cessiamo mai di pregar per lui» percnè egli abbia lunga vita e regga i popoli con giustizia, c durante il suo regno egli goda della pace. Perciò noi preghiamo pure per la fortuna dell’esercito e di tutte le professioni ». Ciò avveniva nella persecuzione di Decio.
sianica » - E. Rossi: ■ Minorenni delinquenti » - ecc.
La nuova riforma. Napoli, anno IV, fase. V; settembre-ottobre. — Gennaro Avolio: « Il Papa e il congresso per la pace » - M. Cesario: «Gl'insegnamenti della guerra » -R. Valerio: « La scuola secondaria » - E. Bignami: « Risposta di un pacifista ad un Oltranzista »-La N. R.: «Una vittoria morale » - L. M. Bil-lia: «Contro l’imperialismo economico » - ecc.
Bollettino della Società teosofica italiana. Pavia, anno X, fase. X-XI; ottobre-novembre 1916. — B. P. Wadia: • Lettere dal quartiere generale » -A. Besant: « I teosofi e la politica » - C. W. Leadbeater: • Australia e Nuova Zelanda » - F. Every-Clayton: « La grande unità » - B. Harraden: « Il Viandante e il tempio della conoscenza »- G. F. - «Osservazioni dal vero » - ecc.
Ultra. Roma, anno X, n. 5; Si ottobre 1916. — Mead G. ... S.; « Sulle tracce della spiritualità » - Alcuni studiosi: « La ricerca mistica ■ - L. Mer-lini: « Dante alla soglia del Paradiso » - G. Buonamici : • Psicologia occulta dell’Egitto » - « Rinnovamento spiritualista » - « Per le ricerchepsichiche » -’ « I fenomeni » -« Rassegna delle Riviste » -Libri nuovi ».
Luce c ombra. Roma, anno XVI, fase, io; 31 ottobre 1916. — E. Bozzano: ■ Dei fenomeni d’infestazione » - L, Capuana: « Diario spiritico, ossia Comunicazioni ricevute, dagli spiriti per medianità intuitiva» - M. Ballarelli: «Determinismo e indetenninismo: storia e critica della questione » — G. Forni: « Del mondo degli spiriti e della sua efficacia nell’universo sensibile » -■ l libri ».
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Revue chrétienne. Paris. Anno LXIII, tome, I, IV« serie; ottobre-novembre 1916. — Bo-berley: « Les idées de Quinet et de Michelet sur les religions »-John Viénot: «Un honnête homme sous le Directoire » - « Sur nos Eglises » (Réflections d’un laïque) - Robert Underwood Johnson: « La France crénelée » - H. Dar-tigue: ■ De l'état d’esprit de la jeunesse intellectuelle avant la guerre » - J. E. Neel: «Charles Babut (1835-1916)» - Daniel • Bourchenin: « La mort d'un huguenot: Daniel Benoît » - P. F.: « L’hôpital-Ecole Edith Cavell » - « Les livres » - John Viénot: ■ Le mois ».
Revue de théologie et de Philosophie. Lausanne. Nouvelle serie, tome IVe, n. 20; septembre-octobre 1916. — H. Monastier: « Le mouvement religieux-social de la Suisse allemande » - Edouard Noville: « Archéologie de l'Ancien Testament » - Hugo Gres-smann: « Les témoignages de la langue hébraïque » - Albert Picot: « La conscience chrétienne et l’armée ».
Foi et vie. Paris, anno XIX, n. 17; i° ottobre 1916. -Cahier A.: Pierre Cha vannes:« L'Eisteddfod galloise de 1916 » - Philippe de Fé-lice: « Le Voile du temple (conte) » - Maurice Evesquc: « L’Union Sacrée pour l’économie » - « Les hommes et les Livres » - « Propos dé gnerre ».
Cahier B.: Henri Lichtenberger: « La presse allemande ».
— N. 18: 16 ottobre 1915. Cahier A.: P. Doumergue: « Hausse ou baisse (Méditations laïque » - Pierre Cha-vannes: «Ceux qui sont tombés: Alain Fournier » - Maurice Evesque: «'L’Union Sacrée pour l’économie » - H. Bonitas: « Ames de prisonniers » — Baudrillart: « L'enfance scoloro del tempo per riflettere. Nicandro però gli rispose: — Considera tale tempo come già trascorso; io altro non desidero che di aver salva la mia vita.
— Sian grazie agli Dei! — esclamò Massimo, che aveva interpretato letteralmente quelle parole.
Ma Nicandro riprese: — Purché l'anima mia viva in eterno, io do volentieri in tue mani il mio corpo: fanne ciò che vuoi: io son cristiano.
Il giudice si rivolse àllora a Marciano, ma questi dichiarò: « Io ripeto ciò che ha detto il mio Camerata».
Allora il pretore ordinò che i due accusati venissero gettati in carcere. Venti giórni appresso ordinò che gli venissero nuovamente condotti innanzi ; ambedue rimasero fermi nella loro fede. Massimo allora gridò indispettito : « Io non sono responsabile della vostra morte, sibbene l’ordine dell’imperatore. Non mi riguarda : voi a rete ciò che avete voluto». Appena Massimo ebbe pronunziata la sentenza, risposero insieme i due martiri: «La pace sia con te, benevolo giudice!».
Nicandro era stato seguito da sua moglie e da un cristiano, che portava in* braccio il figliuoletto di Marciano. La moglie di quest’ultimo lo scongiurava con alti lamenti di conservarsi al suo amore e a quello del suo pargoletto. Marciano pregò un suo confratello cristiano di trar da parte la sua povera desolata moglie. che cercava a forza di trarre indietro il suo sposo. Giunti al luogo dell’esecuzione egli però la chiamò a sé, e baciatala le disse: « Va in nome di Dio, perchè tu non abbia ad assistere alla mia morte ». Prese quindi sulle sue braccia il suo figiuoletto, lo baciò, e così pregò su di lui: « Onnipotente Signoie Dio, a te confido il mio bambino ». Vista poi la moglie di Nicandro, che a causa della folla non poteva avvicinarsi, desiderò gli fosse condotta e l'accompagnò presso il marito di lei. La nobile donna al suo sposo disse: « Sii valoroso! Da dieci anni non ti vedevo più, ed ho ogni momento implorato da Dio che mi fosse concesso di rivederti. Egli ha esaudito la mia preghiera; ebbene, io sono orgogliosa di divenire la sposa di un martire ».
Nei primi secoli vi erano alcune professioni che non potevano conciliarsi con l’adesione al cristianesimo, dimodoché chi avesse voluto ricevere il battesimo avrebbe dovuto abbandonarle. Uno scultore o un pittore doveva tralasciar l’arte sua per il fatto che non gli era più consentito di dipingere o scolpire le immagini degli Dei ad uso dei pagani. A causa del pericoloso e peccaminoso ambiente teatrale, un attore od istrione non poteva professare il cristianesimo. Poiché tutte le lezioni scolastiche erano infarcite della pagana mitologia, anche un maestro, se voleva essere cristiano, doveva abbandonare l’insegnamento. In più gravi difficoltà si trovavano i soldati, perchè non si iniziava una campagna, non si dava principio ad una battaglia, non si celebrava alcun trionfo, senza far sacrifici agli Dei, e lo stesso imperatore veniva considerato come persona divinizzata ed era onorato con sacrifici. Il semplice soldato doveva, volente o no, recarsi di persona all'altare ed ardervi incenso al numen Itnpe-
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ratoris: ma chi aveva un grado nell’esercito poteva farsi sostituire da qualche servo. Da ciò il fatto che non di rado soldati cristiani si siano rifiutati di prender parte a tali cerimonie religiose. Un caso simile, non certo l’unico, ce lo narra Tertulliano come accaduto circa l’anno 200. A capodanno e nel giorno natalizio dell'imperatore i soldati dovevano sfilare in parata portando in capo una corona di alloro. Avvenne pertanto — cosi riferisce Tertulliano —• che in una di queste occasioni, uno « più soldato di Dio e più coraggioso dei suoi camerati cristiani, il quale era convinto di non potere servire a due padroni », non si pose in testa la corona di alloro, ma la portava in mano. Alcuni lo notarono, i vicini risero, gli spettatori si adirarono; la cosa giunse sino al capitano, che severamente chiese al soldato: «Che cosa è questa particolarità? » Alla risposta del legionario che egli non avrebbe potuto portar come gli altri la corona in capo, ed alle insistenze del capitano, il soldato dichiarò di esser cristiano. Condotto immediatamente dinanzi al comandante la legione, egli ripetette la sua dichiarazione, per cui fu gettato in carcere. Questo caso porse a Tertulliano l’occasione di scrivere una sua opera, intitolata appunto: De corona niililis cioè « La corona del soldato ». Quando compose questo scritto sembra che Tertulliano fosse già caduto nell’errore dei Montanisti (una setta di un rigorismo esagerato). Tertulliano nota come il contegno di quel soldato che s'era rifiutato di porre in capo la corona di alloro, fosse diversamente giudicato; gli stessi cristiani lo dicevano inconsiderato e rimproveravano al soldato di aver col suo atto suscitato gravi molestie ai fedeli e provocato una persecuzione contro i seguaci di Cristo. L’opposto sostiene Tertulliano, che cioè il portar la corona d’alloro ha in sè qualche cosa di pa gano e per questo non essere permesso ai cristiani, poiché i pagani si ornavano di corone in onore di Marte, o di Venere, o di altri dei loro Dei. La Chiesa non credette di condividere un parere così rigido, ma pur non disconobbe i pericoli della professione militare per la fede ed i costumi del cristiano.
Ma divenendo ogni giorno più grande il numero dei cristiani nell’esercito, ed intere legioni essendo ormai composte di cristiani, doveva il soldato trovarsi sentire più costretto a dovere scegliere tra il suo Dio e l’im-ieratore, e cioè a confessar la propria fede ed a saggiarla col proprio sangue. E non furono piccoli gruppi, ma, come nella legione Tebea, centinaia che preferirono la morte al rinnegamento della propria fede. E qui occorre far bene rilevare che i rapporti del soldato col suo imperatore nell’antica Roma erano, sotto diversi aspetti, differentissimi da quelli del soldato odierno. Ciò che unisce così strettamente i nostri soldati d’oggi, la fedeltà ad una dinastia o ad un Governo, il senso dell’unità della patria, eco., mancava del tutto nell’esercito romano. E infatti noto come le legioni creassero ed acclamassero spesso all'improvviso un nuovo imperatore, sostenendolo con le armi contro quello scelto da altre legioni, e come si sbarazzassero.
laire et l’Hygiène » - « Les hommes et les Livres ».
Cahier B.: Henri Bois: « Jésus et la guerre ».
— N. 19; i° novembre 1916. Cahier A.: Jacques Dumas: « Comment assurer la répression des crimes allemands »-Emile G. Léonard: « Espérance « Souvenirs d’étape » -Maurice Evesque: « L’Union Sacrée pour l’économie « -J. Baudnllart: « L’enfance scolaire et l’Hygiène » - « Les hommes et lés livres ».
Cahier B.: Henri Bois: «Jésus et la guerre ».
Record of Christian work. East Northfield, Mass. Volume XXXV, n. 10; ottobre 1916 - Francis E. Clark: « China in caos - A near view of the revolution » - I. Clarence Jones: « National Christianity » - H. C. Mabie: « Providence grounded in redemption » - J’. Gardner: « Lacking in what? > - « Weakness made strong » - « The strong man’s glorying » - Rockwell H. Potter: «The primary essential of the Christian faith » -• The Ultimate essentials of the Christian faith »-J. R. Davies: « Preparing the passover - James I. Vance: «The supreme social need of modern life - The Christian home » -• The supreme experience of personality — Prayer » — « The supreme personality - Jesus > - H. C. Applegarth: « Debtorship » - Cornelius Woelfkin: «The law of religious verifications ».
The biblical review. New York. Vol. I, n. 4; ottober 1916. — Geerhardus Vos: « The ubiquity of the messia-hship in the Gospel » - Albert Clarke Wychoff: • The science of prayer • - Louis Matthe-ros Sweet: « The verification of Christianity » - E. G. Sihler: « The spiritual failure of classic civilization » - W. H. Grif-
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fith Thomas: «New Testament evangelism a - William Elliot Griffis:« Why the springs fail a - Collateral readings on the International Sunday School lessons - Literary review.
The modern churchman. London. Vol. VI, nn. 7-8, oct.-nov., 1916. — The Oxford conference number. Percy Gardner: «Law in the world of ethics » - F. B. Jevons: « What is conscience? a - Author of ' Pro Christo et Ecclesia ’: « Conscience and authority a -G. H. Rendall: « The ethics of Jesus > - R. B. Tollinton: • The ethics of Jesus and the modern world » - Alfred Fau-kes: « The developement of Christian ethics a - H. D. A. Major: «Helps and hindrances to ethical development a -Prof. Caldecott: « Some objections to Christian ethics > - J. Gamble: «The depreciation of the Christian currency »-J. M. Thompson: « Christian ethics and international relations » — C. H. S. Mathews: «Christian ethics and social reform>-Can. Rashdall: «Theism or pantheism? a
The international journal of apocrypha. London N. 47 (serie XII). Ottobre 1916. Notes. — W. N. Stearns: «Judas Maccabaeus as a military strategist a - « Cashwall's * be-nedicite’• - « Pirkd de Rabbi Eliezer ■ - A. C. Zenos: « Apocryphal literature and Bible study » - R. G. Finch: « The seventy years and seventy weeks of Dan. IX. »-«Roman catholic hymns and the Deutero-Canonical books » -H. D. A. Major: « The apocalyptic hope ».
The review and expositor. Louisville, ky. vol. XIII, n. 4; ottobre 1916. — Gennaro Sac-cardi: « Some detached pages from the secret history of motrucidandolo, dell’eletto, quando questi si fosse rifiutato all’aumento promesso del soldo o quando avesse cercato di stabilire una più severa disciplina tra i soldati*.
Dopo quanto abbiamo detto possiamo bene spiegarci il contegno dei due martiri Massimiliano e Marcello, recluta il primo, ufficiale (Centurione) il secondo. Di ambedue ci sono stati conservati gli atti ufficiali di tutto l’interrogatorio, con le domande del giudice e le risposte degli accusati.
11 martirio di Massimiliano avvenne nel 295aTebcsta, città deH’Africa.
Massimiliano compare insieme a suo padre. Vittore, dinanzi al proconsole Dione, che cosi lo interroga:
— Come ti chiami?
— Perchè — risponde Massimiliano — mi chiedi il mio nome? Non mi è consentito d'esser soldato, poiché son cristiano.
Il proconsole ordina:
— Prendete le misure!
Ma Massimiliano riprende:
— Lo non posso servire [come soldato], io non posso commettere nulla di male; io sono cristiano.
Ciò non pertanto l’impiegato procede alla misurazione, da cui risulta che il coscritto è alto cinque piedi e dieci pollici. Il proconsole allora ritenendolo abile ordina:
— Marcatelo! (1)
Massimiliano si rifiuta e:
- Io non posso fare il soldato — ripete — tagliami magari la testa, io sono soldato di Cristo.
Il proconsole si rivolge allora al padre perchè vegga di convincere il figlio, ma questi risponde:
—- Egli sa bene da sè ciò che deve fare.
— Lasciati marcare!-sollecita di nuovo Massimiliano.
E questi di rimando:
— Io ho già il sigillo di Cristo, mio Dio.
Dione s’impazientisce e minaccia :
— Bada che ti spedisco immediatamente al tuo Cristo!
Al che Massimiliano:
— Fallo dunque! ciò mi sarà di onore.
Dione ripete il comando di stampargli il timbro sulle mani e di appendergli al collo la medaglia di piombo, ma Massimiliano rinnova il suo rifiuto:
— Io sono cristiano — esclama — io non posso portare la medaglia di piombo dopo aver ricevuto il salutifero segno del mio Signor Gesù Cristo, che tutti noi cristiani serviamo e seguiamo come nostro Salvatore.
— Pensa alla tua giovinezza: le armi onorano il giovane — riprende Dione.
—• Io porto le armi del mio Signore; ripeto: son cristiano.
— Nell’esercito dei nostri imperatori Diocleziano e Massimiano — obbiettò il proconsole — servono anche soldati che sono cristiani.
— Essi debbono sapere qual'è il loro dovere, io sono cristiano e non posso far nulla di male.
(1) Le recluto venivano marcate sullo mani con un timbro recante il monogramma dell’imperatore e portavano una medàglia di piombo al collo.
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LA GUERRA
[Cambio] 81
— E che fan di male coli’esser soldati? chiese Dione.
— Lo sai bene tu stesso — rispose Massimiliano.
— Fa il soldato — insistette Dione — altrimenti farai una triste fine.
— Se io muoio quaggiù l’anima mia vivrà con Cristo mio Signore.
Dione dette allora ordine di cancellare il non?«* di Massimiliano dalla li«ta delle reclute, e lo condannò a morte per dare agli altri un terrorizzante esempio. Mentre veniva condotto sul luogo del supplizio, Massimiliano pregò suo padre dicendogli: — Dona a! carnefice la veste militare che hai fatto fare per me: il Signore te ne compenserà le cento volt''.
Gli Atti ci dicono poi che Pompeiana,' una matrona, chiese ai proconsole il corpo del martire e che, ottenutolo, lo portò sulla sua lettiga a Cartagine ed ivi lo seppellì. Massimiliano aveva ventun anni, tre mesi e diciotto giorni. Egli morì il 15 marzo.
dernism within the precincts of the Vatican ■ - R. E. Gaines’ « The layman and his church » - E. C. Dargan: « The lamp of Jehovah, the spirit of man » -Livingston Johnson: «Demands upon the modern pastor • - E. B. Pollard: « The war spirit - a study in social psychology » - W. J. Me Glo-thlin: « Sources of the first calvinisti^ baptist confession of faith » - W. W. Everts: « The long road to freedom of worship » - W. R. Cullom: « The challenge of an unfinished world » - « Book reviews ».
Nella città di Tingis (l’odierna Tangeri) là capitale della Mauritania (Marocco), il 30 ottobre 29S conseguì il martirio l'altro soldato Marcello. Egli era centurione nella legione Traiana. Il giorno natalizio dell’imperatore sfilando le legioni per andare solennemente a sacrificare, Marcello uscì dalle file, gettò i distintivi del suo grado è dichiarò: — Io servo Gesù Cristo il re eterno; se, come soldato, vengo costretto a sacrificare agli Dei ed all’imperatore, io lascio la mia cintura e i distintivi onorifici ed abbandono il servizio.
1 suoi compagni riferirono laTcosa al comandante della legione, il quale, dopo un sommario interrogatorio di Marcello, lo fece condurre al Praefectus -praelorio (presidente del tribunale) Agricolano, con questo rapportoscritto: «Questo soldato ha gettato via i suoi distintivi ed ha dichiarato^ dinanzi a tutto il popolo di esser un cristiano. Perciò tè lo mando affinchè tu abbia a giudicarlo ». Agricolano interrogò Marcello, ed insistendo questi nella sua dichiarazione, lo condannò a morte. — Dio te ne compensi (Deus Ubi benefaciat) — disse Marcello, e seguì il carnefice al luogo dell’esecuzione.
Eusebio, che ne fu spettatore, ci informa, nella sua Storia ecclesiastica, sullo scoppio della persecuzione contro i cristiani sotto Diocleziano, nell’anno 303, Tale persecuzione ebbe inizio tra i soldati, a cui fu proposta la scelta tra l’abbandonare la propria fede, conservando così il loro grado nell'esercito, e, qualora non avessero voluto rinnegarla, essere cacciati via dalla milizia. Molti soldati cristiani, dice Eusebio, che nei loro reggimenti (legioni) rivestivano alti gradi, preferirono senz’altro la loro professione cristiana agli onori ed agli appannaggi del servizio militare; alcuni di essi vennero decapitati. Di giorno in giorno poi la persecuzione divenne sempre più fiera: tutti i cristiani, che occupavano uffici ed impieghi nella corte imperiale, furono con indicibili crudeltà uccisi, ed i loro corpi vennero gettati in mare. In Siria cd in
The international review ¿'of missions. Edinburgh. Vol. V. n. 20; ottobre 1916. — H. R. Mackintosh: « The secretJ^of vitality in the pauline churches » - T. H. P. Sailer: ■ Some impressions 'of education in the far east » - The bishop of Madras: « The reform of missionary education in India» - W. Miller: « The educational work of indian missions » - E. Stock: « The christianizing of the Maoris »-J. W. Inglis: « The Christian element in Chinese buddhism » - Margaret Stevenson: « Love of beauty as a factor in missionary life » - Fr. L. Brown: • The sunday school situation in China Korea and Japan F. Munck, J. Mustakallio: «The missionary work of Denmark and Finland »-S. J. W. Clark: « Some notes on world missionary survey » - Notes on contributors - Noteworthy articles in recent periodicals »■-Proceedings of cooperative bodies in the mission field - Reviews of books — International bibliography.
The biblical world. Chicago. Vol. XI.VIII, n. 4; ottobre 1916. — Editorial: «The unworked asset of Christianity » -Henry Beach Carré: « The ethical significance of Paul’s doctrine of the Spirit » - Hen-
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BILYCHNIS
ry K. Rowe: ■ Making Over religious democracy >» - Samuel Zane Batten: «The salvation of the life »- Charles Hatch Sears: «The clash of contending forces in great cities ».
The Harvard theological review. Cambridge, Mass. Vol. IX, n. 4; ottobre 1916. —-Giorgio La Pi ana: » A review of italian modernism ■ - Romolo Murri: « An italian modernist's hope for the future » - Benjamin W. Bacon: «The • son ’ as organ of revelation ■ - James H. Leuba: « Theology and psychology» - Reviews and notices.
Pubblicazioni pervenute alla Redazione
Francesco Fornari: Adattamenti e sopravvivenza di elementi artistici greci. Roma, Tip. del Senato, 1916.
F. R. Montgomery Hitchcock: Irenaeus of l.ugdunum. A study of his teaching. Cambridge, University Press, 1914 Pagine 367. Prezzo 9 scellini.
A ó A
_ W. K. Lowther Clarke: St. Basil the great. A study in monasticism. Cambridge, University Press, 1913. Pagine 176. Prezzo scellini 7-6.
Palestina come in Egitto ed in Mauritania le prigioni rigurgitarono di cristiani di ogni ceto e professione. Fra i martiri dell’Egitto vi fu il tribuno Filoromo, che prestava servizio in Alessandria. Eguale grado rivestiva nella Frigia Adaucto, nato in Italia da ótirpe distinta, che aveva raggiunto i più alti onori nel palazzo imperiale. Anch'egli conseguì la palma del martirio.
Non abbiamo ricordato in queste pagine che qualche esemplare del numero infinito di soldati che dettero la vita per Cristo. È da rilevare, del resto, che nello stesso martirologio sono registrati moltissimi nomi di martiri che furono soldati senza che il titolo rniles figuri accanto al loro nome. Possiamo però ritenere come indubitato che nessun'altra condizione o professione ha dato tanti eroi cristiani quanto quella del soldato.
Si può pertanto esser soldati pur mantenendosi puri da peccato e fedeli a Cristo non solo, ma divenire santi e martiri. Lediflicoltà, i pericoli c le prove non sonò certo più gravi oggi di quel che fossero nei primi secoli del cristianesimo, in mezzo ad un mondo profondamente pagano. Che cosa infatti richiede maggior coraggio, l’andare con tutto l'esercito in battaglia, dove nel tumulto della pugna, ognuno è preso dalla febbre del combattimento vedendosi cadere a destra ed a manca i commilitoni, ovvero esser tratto solo dinanzi al giudice a confessare tra gli insulti e le burle degli spettatori la propria fede, prendere su di sè il vituperio del nome del Cristo ed effondere il proprio sangue dando il capo alla spada del carnefice, guadagnando così la corona del martirio?
La loro religione impose ai soldati cristiani di compiere pienamente i doveri del loro stato. Così essi furono i più fedeli, i più fidati, i più valorosi combattenti, apprezzati e lodati dai loro superiori. Ciò spiega perchè ogni lusinga, ogni promessa sia stata messa in opera per indurli a sacrificare dinanzi alle statue degli Dei. 4Tra i detti combattenti cristiani ve ne furono d’ogni grado, dai semplici soldati sino ai duces o generali. Questi non erano solo per i loro subordinati esempi di valore in battaglia contro i nemici dell'impero, ma anche nel disprezzo della morte, dando la loro vita per il Signore che è nei cieli. Però, umili militi o alti ufficiali che fossero, essi sono per i soldati d’oggi modelli luminosi di religiosità come pure di coraggiosa confessione della loro fède.
(Dai SoJdalenvoibilder aus der AUchriitHchen Zri di A. De Waau Traduzióne di Ernesto Rutili)
GUERRA E ALCOOLISMO
Che cosa sostituire all’alcoolismo?
Che la proibizione di vendere bevande alcooliche sia stata l’effetto più benefico della presente guerra per la Russia, non si può mettere in dubbio in presenza dei due risultati tangibili: l’aumento della capacità produttiva degli operai e il salire dei depositi nelle Casse di risparmio. Ma è legge costante, che lo spirito umano
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non rinunci ad un abito acquisito senza la sostituzione di un equivalente psicologico e morale. E la questione < che cosà sostituire all’ebbrezza effimera dell’alcool: che nutrimento dare allo spirito di questo popolo strappato all’abbrutimento periodico del vodka », s’impone in tutta la sua vastità e gravità. Ecco ciò che uno scrittore russo scrive al proposito:
« La sospensióne della vendita dei liquori ha indubbiamente prodotto una profonda rivoluzione nella psicologia del popolo. Poiché l'alcool godeva una parte enorme nella vita del contadino, la scomparsa del vodka dalla vita quotidiana ha prodotto un vuoto che è necessario riempire in un modo o nell’altro. Non è perciò da maravigliarci se quanto più ci allontaniamo dal principio della guerra, tanto più spesso sentiamo parlare di distillerie clandestine, e del diffondersi ira gli abitanti dellle città, d’ogni specie di sostituti deleteri non solo alla salute, ma alla vita stessa: mentre fra gli abitanti delle campagne va diffondendosi la passione delle carte e dei giuochi d’azzardo.
Tutto porta a credere che la conquista del no»tio popolo alla sobrietà non potrà essere permanentemente compiuta con il solo mezzo della sospensione della vendita dei liquori. E' indispensabile di riempire i tempi liberi della vita del contadino con qualche sostituto: altrimenti una riforma così grandiosa e che apre la via a tante splendide opportunità, farà capo a risultati deplorevoli ». L’urgènza del bisogno è stata compresa dallo Zemstvo provinciale di Poltava e dal Consiglio municipale di Petrograd e concretata in una proposta di fondare tutta una fitta rete di « palazzi del popolo • (narodny doni). Il Ministero dell’interno, facendo sua e sviluppando l’idea, ha proposto che Suesti edifici contengano come parti essenziali una sala i lettura, una sala per rinfreschi, locali per l’alloggio dei viaggiatori con rimesse per i cavalli, ed un ufficio speciale di collocamento. Stralciamo alcuni tratti dalla proposta del Ministro dell’interno. « Il primo posto, nel « Palazzo del popolo • dovrà essere occupato dalla sala di lettura... 1 locali dovranno essere spaziosi abbastanza, sì da permettere l'organizzazione di conferenze popolari, di trattenimenti cinematografici e proiezioni luminose, di scuole di canto per sviluppare il buon gusto musicale e far risorgere gli antichi canti russi. I giornali, le riviste ed i libri esposti in lettura saranno scelti accuratamente e adattati anche ai bisogni locali, al genere delle industrie del paese, ecc. La sala per rinfreschi dovrebbe essere fornita anche di francobolli postali, in considerazione dell'aumentare dell’abitudine di scrivere lettere e del sistema imperfetto delle poste e telegrafi in Russia. Sempre nell’ipotesi che i < Palazzi del Popolo • saranno costruiti in quartieri densamente popolati, ed in villaggi in cui, a causa dei bazar e delle fiere accorrono gli abitanti del vicinato, bisognerà che essi siano forniti di alloggi notturni per i visitatori e di rimesse pei cavalli: ed inoltre, fino a che mancano agenzie di collocamento di Stato, dovranno, dove occorre, essere stabiliti speciali uffici del
Paul Humbert: Qohélelh. Extrait de la Revue de Théologie et de Philosophie (Sept.-Oct. 1915). Lausanne 1915. Pagine 27.
a a a
G. L. Marugj: Capricci sulla iettatura con introduzione di Giuseppe Gigli. La rivista « Apulia » editrice. Martina Franca, 1915. Pag. 143. L. 2.
Jean Lafon: Evangile et Patrie. IV. Discours religieux (16 janvier-9 juillet 1916). Paris, Fischbacher, 1916. Pagine 260. In Italia L. 3.75.
A A A
Clarence Eugène Boyd: Public libraries and literary culture in ancient Rome. Thé University of Chicago Press, Chicago Ill., 1915.
AAA
Eugène Ménégoz: Publications diverses sur le fidéisme et son application à l'enseignement chrétien traditionnel. IV* vol. Paris, Fischbacher, 1916. Pag. 264.
J. E. Roberty: La Providence (Sermon). Paris, Fischbacher, 1916. Pag. 20. L. 0,40.
A A A
In memoria del cav. Beli-sario Eugenio Conti maggiore del 28» Regg. Fant. - Roma, 1916.
A A A
Giovanni Vidari: Per la Educazione nazionale. Saggi e discorsi. Roma, Paravia. 1916. Pag. 243. L. 3.
A A A
I Salmi tradotti dall’ebraico e corredati d’introduzioni e
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BILYCHNIS
di note. Firenze, Società « Fides et Amor» editrice, 1917. Pàgine xxxii-288. I.. 1.
A & &
Antonio Pizzuti : La crisi della cultura. Torino, Unione dèi Maestri Elem. d’Italia, 1916. Pag. 12.
A A A
Charles Cutler Toney: The composition and date of acts. Cambridge, Harvard University Press, 1916. Pag. 72.
AAA
Maurice Charvoz: La pensée libre dans l'évolution des peuples. Lugano, Edition du «Coe-nobinm », 1917. Pag. 59. L. 1.
lavoro... ». 11 documento menzionale decisioni già prese dallo Zemstvo provinciale di Poltava, «di costruire nella provincia trecento di questi Palazzi de) Popolo • del tipo il più semplice, e quella del Consiglio municipale di Petrograd, che ha deciso la fondazione di venti di essi in diversi quartieri della città: c dichiara che il Governo non resterà indifferente di fronte ai nuovi bisogni della vita del popolo.
Questo in Russia. Se si pensi che l’Inghilterra stessa non ha ancora saputo risolvere in modo organico e completo il problema di che cosa sostituire alla public-house (■ Casa del popolo »: ironia di parole per esprimere la taverna!) specie nei giorni festivi in cui i pubblici divertimenti sono sospesi, non farà maraviglia che alla domanda: • Noi in Italia, che cosa abbiamo sostituito all'alcoolismo? » dobbiamo rispondere: « Nulla, o quasi nulla ».
CROCE ROSSA
Comitato Romano per la raccolta e la utilizzazione della carta inutile a beneficio della « Croce Rossa Italiana ». Sede: Palazzo di Giustizia. Telefono 20-155.
Tutti i cittadini, disinteressatamente ed efficacemente, devono coadiuvare il Comitato Romane, per la raccolta della carta inutile. Ciascuno si accinga al lavoro di spoglio del proprio archivio; inciti gli amici ed i parenti a fare altrettanto; utilizzi tutta la cartaccia e l'offra al Comitato scrivendo o telefonando per il ritiro a domicilio.
La carta inutile così raccolta si muterà in oro per la ■ Croce Rossa ».
Alleanza delle Chiese contro l’alcoolismc.
In tanto parlare di cooperazione delle Chiese cristiane per fronteggiare il compito enorme rivelato dalla presente guerra, è veramente consolante poter registrare un passo decisivo fatto di comune assenso da tutte le Chiese cristiane d’Inghilterra per promuovere una legislazione relativa al problema morale e sociale dell’alcoolismo.
Nell’ultima settimana di febbraio si adunò a questo scopo nel Sion College di Londra un Comitato di rappresentanti delle diverse Chiese presieduto dal Primate d’Inghilterra, Arcivescovo di Canterbury, con l’intervento e la partecipazione attiva del Cardinal Bourne, arcivescovo cattolico di Westminster, del Selbie, del General Booti» della Salvalion Army, e di tutti i principali rappresentanti del movimento per la « temperanza » nelle diverse Chiese, fra cui quella Battista, Metodista, nelle sue principali frazioni, e la società dei Friends.
I punti principali della riforma erano stati già discussi nel corso dell’anno 1915 dai singoli Comitati per la «temperanza», delle diverse Chiese: essi rappresentano un programma minimo, in cui tutte le Chiese convengono, senza interdirsi azioni separate per promuovere altri aspetti della medesima' riforma.
Essi si riducono essenzialmente a sette, che il Comitato delle Chiese si propone di far concretare in altrettante disposizioni legislative:
« Chiusura degli spacci di bevande alcooliche nei giorni festivi; limitazione delle ore di vendita delle stesse bevande nei giorni di lavoro; riduzione del numero degli spacci autorizzati alla vendita; estensione delle facoltà di controllo delle autorità locali incaricate della concessione di questa autorizzazione; sorveglianza dei circoli a cui sono annesse delle buvettes; abolizione dell'autorizzazione di vendita di liquori fatta ai droghieri; proibizione della vendita di liquori inebrianti alla gioventù ».
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LA GUERRA
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Il Comitato delle Chiese è deciso di sollecitare l'appoggio di questo programma legislativo di tutti i partiti politici — Liberale, Conservatore, Laburista, Irlandese — e di promuovere, appena terminata la guerra, una campagna in tutto il paese per renderlo popolare.
Ma esso non s’illude che la riforma desiderata possa realizzarsi ed esaurirsi con una serie di misure coercitive, bensì è pienamente persuaso, che è necessario sostituire all’alcoolismo altri e migliori mezzi d’intrattenere e di dilettare il popolo nei giorni festivi, e che spetta alle autorità municipali e governative di assumere, in cooperazione con le Chiese e con tutte le forze volenterose della nazione, questo ingente compito. Il Comitato raccomanda in modo speciale alle autorità municipali di porre a disposizione di società di temperanza locali scolastici (nelle ore serali), stabili-menti di bagno c di nuoto, parchi, ecc., concedendone anche l'uso a quelle società — come le Camere del lavoro, le Società di mutuo soccorso, ecc. — che ordinariamente sono costrette ad adunarsi in locali annessi a spacci di liquori (Public-houses). Alle Chiese inculca di adibire i locali annessi ai templi, le loro scuole, ecc., sia nelle città che nelle campagne, per fornire al popolo concerti, trattenimenti, ed ogni genere di sani divertimenti che possano fare vittoriosa concorrenza alle taverne. Giacché nulla si distrugge sensa sostituire un equivalente superiore.
(G. Pioli.)
A FASCIO.
L’educazione militare nelle scuole.
Una vigorosa discussione ha avuto luogo, al riaprirsi dell anno scolastico, nella sezione della « Educational Science » della « British Association », sulla questione se debba nelle scuole secondarie impartirsi l’istruzione militare. Aprì la discussione il Preside del grande « college • di Rugby, il quale sostenne che 1 esperienza ha dimostrato, che l’istruzione militare non solo prepara i giovanetti al servizio militare, ma addestra anche le sue facoltà ed educa le sue energie, e che perciò tale insegnamento può riuscire ad una vera efficacia educativa. Gli rispose efficacemente il direttore della « Grommar School » (ginnasio) di Manchester, trattando l’argomento, specialmente dal punto di vista dell’educazione fisica.
Egli notò come nessun ufficiale medico si era trovato che avesse potuto assicurarlo essere gli esercizi militari un sostituto approssimativo della ginnastica svedese, adottata nel sue Istituto, e del « cricket », del • football », del <1 lacrosse » e dell’« harrier ». E mise in guardia contro l’intenzione di trasferire forzatamente
IL PROBLEMA DEI MUTILATI
Bisogna in tutti i modi e senza indugi occuparsi dei nostri mutilati. Questo è il problema fraterno che si presenta profondamente a noi! Evitarlo, certo, non vuole nessuno; ma piuttosto bisogna saperlo risolvere; e a tale scopo esistono già parecchi ricoveri per mutilati, dove ogni soldato riacquista la possibilità di esercitare il suo mestiere ó la sua professione.
Bisogna averli visti almeno qualcuno di questi ricoveri! I soldati si disciplinano, anche moralmente e spiritualmente, dopo accurate e sapienti visite scientifiche, ad acquistare l’uso dell’arto artificiale che altri soldati, già educati, preparano da sé stessi.
A poco a poco, dopo la sconsolatezza dell’ospedale e dell’amputazione, il soldato si sente come rinascere; e il suo bisogno di muoversi e di vivere viene convenientemente assecondato dall’applicazione perfetta dell'arto artificiale che sostituisce quello perduto. Il soldato può giungere ad una così perfetta ed ottima rieducazione muscolare che si trova assoluta-mente nelle stesse condizioni di una volta, prima che la guerra lo chiamasse. Questi miracoli scentifici, che sono però assecondati da cure amorevoli di gentili e pietose donne, si ottengono! È dunque un dovere sovvenire con denaro o con altra forma di beneficenza, queste istituzioni che hanno significati umanamente sublimi.
Abbandonare questi mutilati sarebbe per la patria una sconoscenza troppo grave; bisogna invece, assicurare a loro che mai, per tutta la loro vita, avranno niente da chiedere alla società, per la quale sonò divenuti gloriosi eroi.
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I nostri soldati devono avere da noi questa assicurazione completa e leale.
Le necessità sociali ci obbligano a tale dovere, con un impegno spontaneo, che è come originato da una legge umana di compenso.
I mutilati torneranno in mezzo alla società non soltanto gloriosi e fieri ma anche. indipendenti e resi abili a guadagnarsi da campare.
L'Opera romana di assistenza ai soldati ciechi e mutilati ha sede in piazza Cavour 3.
OCCORRONO MEZZI
Dice il vecchio adagio che • c’est l’argent qui fait la guerre ».
Nulla di più vero e ne abbiamo la prova in questo tragico periodo della storia del mondo, in cui vediamo la vertiginosa ridda dei miliardi che minaccia di inaridire le fonti della ricchezza delle Nazioni.
Ma il denaro non occorre solo per fare la guerra. Se ai funesti effetti del conflitto si vuole apportare qualche rimedio, se si vogliono attenuare le sofferenze e gli strazi di quei generosi che espongono la vita per la grandezza della Patria e per la redenzione dei fratelli ancora oppressi è necessario che non manchino i mezzi a ciò occorrenti a quella grande e benefica Istituzione che è la Croce Rossa.
Tutti quelli che possono - e non si tratta di un gran sacrifizio-’si facciano quindi soci della Croce Rossa e versino il loro contributo. Saranno tanti piccoli rivoletti che andranno ad ingrossare il fiume della umana e bene illuminata carità, le cui sorgenti sono in Via Nazionale n. 149 (Roma).
giovani di 16 anni dall’uniforme di c scout boys * (ragazzi esploratori) all’uniforme militare; in un'età cioè, in cui s’inizia il periodo critico, e le idee istillate in un giovanetto prendono possesso del suo animo e lo accompagnano per tutta la vita. - Voi avrete allora — egli disse — degli uomini per cui la guerra è la soluzione di tutti i problemi internazionali. Potrete bene far loro un discorso al giorno sulla pace: non sarà quello che sentono dire, ma quello che faranno che regolerà la loro condotta. Nè è questo solo un argomento che riguardi l’educazione: si tratta del progresso sociale tutto intiero. Se c’è una lezione che la maggior parte di noi son disposti a comprendere in questo momento, è questa, che trasformare una nazione in un grande accampamento militare significa renderla schiava non solo nel corpo, ma anche nell’anima. Non è mica con una cura d’iniezioni di militarismo fatte nel momento critico che una nazione diviene grande e capace di fronteggiare il nemico: nè è la lotta che produce la sopravvivenza dei più adatti, bensì il mutuo soccorso, la comunione degli spiriti, l’associazione, la cooperazione di ognuno con tutti. E questa che finora è stata la vera legge dell’evoluzione e il principio che guiderà il progresso dell’avvenire ».
Seguaci del Principe di Pace.
Il Rev. J. Campbell pubblica ne\V Illustrateti Sunday Herald i termini del colloquio avuto in Roma nella Srimavera del 1914 con un’« altissimo dignitario ella Corte Pontificia » (sappiamo essere stato il cardinale Mcrry del Val) sul soggetto della riduzione degli armamenti e sulla proposta di un concilio generale di tutte le Chiese per scongiurare la tempesta che già rombava sull’orizzonte gravido di nembi, dell’Europa. « Trovai il mio interlocutore — egli scrive — disposto favorevolmente alle mie idee, ma più che dubbioso del successo di ogni tentativo, prima che la grande guerra si fosse scatenata. Può essere che egli abbia previsto ciò che stava per accadere, tanta fu l’esattezza con cui descrisse la terribile situazione in cui ora ci troviamo. I Governi, egli disse, non daranno ascolto a proposte di tal genere, per quanto fossero spalleggiate dai suffragi di tutte le Chiese Cristiane del mondo, fino a che non abbiano sperimentato ancora una volta il verdetto della forza bruta. Non senza perchè da tanti anni essi stanno accumulando armamenti, e l'esplosione dovrà avvenire, e presto. Inoltre — egli disse — a questo debbono condurre come a risultato naturale, quei falsi ideali di cui le nazioni hanno per tanto tempo vissuto. La politica è amorale: la coscienza non ha in essa alcuna parte. Gli uomini stessi che nella loro vita privata sono amabili ed esemplari, nel momento in cui entrano nel loro gabinetto Set imprendere l’esercizio delle loro funzioni di uomini i Stato, si spogliano di tutti gli scrupoli é si diportano senza alcun riguardo per tutto ciò che non sia
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LA GUERRA
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interessi materiali della particolare regione a cui s’ trovano di servire. Tutto ciò è sordido e doloroso aH’estremo, e qualche grave tribolazione sta per abbattersi sopra di noi. Quando questa sarà passata, allora forse si potrà fare qualche cosa nel senso da lei suggerito. E certo, il Santo Padre sarebbe disposto a cogliere la prima occasione che gli si presentasse, qualora prevedesse che qualcosa di buono potrebbe uscirne. Ma — il. prelato soggiunse, e le sue ultime parole mi cagionarono grande rammarico — non si tratterebbe di convocare alcun comitato interconfessionale. Se il Papa avesse da agire, egli agirebbe capo della Chiesa Cattolica, e solo come tale. Però non vi sarebbe ragione per non far conoscere anche alle principali autorità delle varie sette storiche del Protestantesimo, benché non in via ufficiale, il passo da lui fatto, dando loro agio di spalleggiarlo della loro autorità. In tal caso, la loro azione sarebbe stata simultanea e avrebbe soddisfatto a quanto si desiderava ».
Ma il Campbell che ha proposto da più mesi e propugnato l’idea di un’azione collettiva e ufficiale di tutte le Chiese all’indomani della guerra, per porre tutto il peso dell’influenza del Cristianesimo sulla bilancia, termina con le parole: « No: questo non basta. Ciò che desideriamo è la cooperazione deliberata e sostenuta di tutti coloro che si professano Seguaci del Principe di Pace. L’avremo noi mai ? ».
Nell'ora buia
Una personalità italiana di alte doti spirituali, che si presenta quale « uomo libero che, per quanto estraneo alla politica professionale, considera doveroso... di scandagliare la portata dei pubblici avvenimenti ed esplorare i segni dei tempi per trarne le direttive e la misura di quell’azione che « profonda sé nella terra, mirando all’infinito » per aprire un solco e seminarvi un bene... » ha dedicato « ai giovani d’anni o di cuore, che amano di fatto la Patria più di se stessi » alcune considerazioni sotto forma di traci delle quali ecco la conclusione:
«L’Italia vada diritta per la sua strada, pronta a far da sola, se fosse necessario. Invidi e fra loro discordi, per insanabili gelosie e identità di cupidigie, i potentati stranieri avran fatto molto a osservare lealmente i patti. Ma i popoli non tradiscono. Amiamoli e aiutiamoli, specialmente se affini ed oppressi.
■ Diamo ai nostri Governanti una fiducia illuminata. Non lasciamoli nell’isolamento, o in balia di lusingatori. Isoliamo i vanitosi.
« Pratichiamo e inculchiamo le giuste norme dì una vita igienica ed economica per far fronte ai crescenti disagi e alle conseguenze che ne seguiranno.
« vigiliamo sull’andamento della vita pubblica, che, in via generale, non è migliorata, che è corrosa dalle consorterie grandi e piccole. Denunziamo, quando è necessario, le ingiustizie più sfacciate. Sentiamo e
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000
Cumont Franz. Le religioni orientali nel paganesimo romano. Traduzione di Luigi Salvatorelli, pag. 309. L. 4.
000
Profezie di Isaia figlio di Amoz. Tradotte e chiarite da Antonio Di Soragna, pag. 186. Lire 5.
000
Opuscoli e lettere di Riformatori italiani del Cinquecento a cura di Giuseppe Paladino. Volume primo, pagine 291. L. 5,50.
000
Santa Caterina da Siena. Libro della divina Previdenza volgarmente detto Dialogo della Divina Provvidenza. Nuova edizione secondo un inedito codice senese, a cura di Ma-tilde Fiorini, pag. 474. L. 5,50.
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[Novità] J. E. Roberty: Pour 1‘ Evangile et pour la France. Pag. 132, L. 2,65.
Sommario: Les tourments de la guerre - Les prières non exaucées - Heureux les morts!
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o o o
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Sommario: I. Introduction: 1. Les origines. 2. L’évhémé-000
[Novità] Avec le Christ d travers la tourmente. Sermons d’un pasteur brancardier. Pag. 127, L. 2,30.
Sommario: Prière - Comment expliquer la douleur humaine - La présence du Christ - Pour ne pas fléchir -Mon Royaume n’est pas de ce monde - Noël 1915 - Aimez vos ennemis - Prière.
facciamo sentire la vergogna e rumiliazione della spensieratezza che domina fra le popolazioni urbane.
« Non coltiviamo dissidi teorici, non riapriamo antiche ferite. Onoriamo chiunque dà al paese l’opera disinteressata.
« Prepariamoci a sostenere la battaglia ideale che salverà l’onore e risparmierà il sangue delle generazioni future: nel rispetto assoluto al principio di nazionalità, là dove la natura o la storia lo han definito. Con questo, prepariamoci alle giuste rinunzie.
« Coltiviamo nell’anima profonda e intorno a noi educhiamo, con tutti i sussidi e i presidi legittimi, quella buona volontà senza la quale e leggi e provvedimenti umani sono vanità fastidiose. E separiamoci dal male che genera dolore, e poi male all’infinito.
« Preordiniamo nel pensiero e nel cuore l’edificio di domani. Quante miserie da cacciare o da lenire, quante terre da redimere e popolare di liberi lavoratori, già dannati a fuggire la patria: quante intelligenze da fecondare, quante anime tenere da aprire col calore materno delle nostre. Io vedo con gli occhi della speranza una legione di apostoli, di educatori, di magistrati buoni che volano alla redenzione delle plaghe italiane più desolate, più conculcate. E ce ne sono delle così nobili, e aspettano con tanto fervore... Sarà?... ». Giovanni Pioli.
CROCE ROSSA ITALIANA
Bisogna che i cittadini SI RENDANO SEMPRE MEGLIO CONTO DELL’ENTITÀ DEI SERVIZI AUSILIARI DELLA CROCE Rossa, sentano l’orgoglio di questa Associazione, cresciuta CON LE LORO CONTRIBUZIONI SPONTANEE E CON LE LORO PRESTAZIONI PERSONALI, E COMPRENDANO LA NECESSITÀ E LA UTILITÀ DI ALIMENTARNE IL PICCOLO TESORO PER RENDERLO PROPORZIONATO ALLE GRANDI FINALITÀ.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell* Unione Editrice, Via Federico Ceti, 45
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BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA
DI STUDI RELIGIOSI ® ® ®
VOLUME Vili.
ANNO 1916 - II. SEMESTRE
(Luglio*Dicembre. Fascicoli VII-Xll)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
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INDICE PER RUBRICHE
INDICE DEGLI ARTICOLI.
A. G.: * Mazzini » di Gaetano Salvemini, P- 273.
Anzillotti Antonio: Volontà di credere e di sperare, p. 268.
Benini .'Udo: Caratteristiche della vita religiosa con temporanea, p. 325.
Bois Enrico: Pragmatismo, p. 332.
Corso Raffaele: Rosari tibetani, p. 115.
Id.: Ultime vestigia della lapidazione, p. 447.
Costa Giovanni: Realismo di coltura e idealismo di civiltà, p. 206.
Drummont Enrico: Diagnosi spirituale, p. 278.
Leopold ,H.: Le memorie apostoliche a Roma e i recenti scavi di S. Sebastiano, p. 172.
Liabooka Ivan: La tradizione bizantina nell’antica teologia russa, p. 104.
Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani, p. 5.
Murri Romolo: La lòtta per il diritto, p. 19.
Pioli Giovanni: Marcel Hebert, p. 85.
Id.: L'Inghilterra di ieri, di oggi, di domani, p. 348.
Puglisi Mario: Le fonti religiose del problema del male, p. 245, 421.
Quadrotta Guglielmo: II Pontefice Romano e il Congresso delle Potenze per la pace, p. 24, 413.
Qui quondam: E domani? p. 165.
Rizzuti Antonio: Enrico Pessina e lo spiritualismo nella vita, p. 201.
Rutili Ernesto: Vitalità e vita nel Cristianesimo:: XII. I Cattolici di fronte alla guerra, p. 392.
Tucci Paolo: Il Cristianesimo e la Storia, P- 341Vitanza Calogero: Satana nella dottrina della redenzióne, p. 184.
NOTE E COMMENTI.
Banchétti Giuseppe e P. A. Ghignoni: Critiche al pensiero di U. Janni sul Cristianesimo e la nostra guerra, p. 122.
Janni Ugo: Replica a G. Banchetti e P. A. Ghignoni, p. 125.
Guglielmo Quadrotta: Francesco Raffini, P- 43PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Conferenze - Prediche - Sermoni.
Cavalleria Vincenzo: Salino 121, p. 12S. Luzzi Giovanni: I salmi. Il salmo 8, p. 293. Monod Wilfred: Il prezzo del sangue, p. 385. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo, p. 212.
(XXX).: Siate sempre più cristiani!, p. 289.
INTERMEZZO.
«La pecora perduta ». Parabola di Gesù, p. 3S4.
Paschetto Paolo A.: « Perdono » - « Libe: razione » (due disegni), p. 61.
TRA LIBRI E RIVISTE.
A) I libri.
Balbino Giuliano: Il primato di un popolo. Fichte e Gioberti, p. 303.
Bourget Paul: Le sens de la mort/p. 142. Boutroux limile: Pages choisies, p. 303. Brenna Eugenio: Pane spezzato, p. 143. Buonaiuti Ernesto: Il Cristianesimo nel-l'Africa romana (G. Costa), p. 141.
Busnelli Giovanni: Manuale di Teosofia, p. 463.
Campbell R. L: A spiritual pilgrimage, p. 460.
Caporali Enrico: L’uomo secondo Pitagora, p. 50.
Chapon mgr. H.: La Franco et l’Allemagne devant la doctrine chYétienne, p. 299.
Chiappelli Alessandro: Guerra, amore e immortalità, p. 224.
Comani F. E.: Breve storia del Medio Evo, p. 462.
De Castelletti Giuseppe: Elementi di etica, P- 463-
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V
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BILYCHNIS
Delbos V.: Le spinozisme, p. 47.
De Waal A.: Figure di soldati dell’antica cristianità, p. 305.
Fechner G. T.: Ueber die See leni rage, p.221.
Ferretti Gino: La guerra' nella vita dello spirito e la guerra nostra, p. 301.
Gaudeau B.: Les lois chrétiennes de la guerre, p. 299.
Gentile Giovanni: La guerra c la filosofia.
P- 300- • t ,
Hôffding H.: Storia della filosofia, p. 141.
Jainvier p.: Droits et devoirs des bèlli-gerants. p. 299.
Luzzi Giovanni: I salmi, p. 293.
Maresca Mariano: Le antinomie della educazione, p. 461.
Moretti Andrea: La Parola’ di Dio e i moderni Farisei, p. 145.
Murri Romolo: Il sangue e l’altare, p. 223.
Ottolenghi Raffaele: Farisei antichi e moderni, p. 50.
Paquier J.: J.e protestantisme Allemand: Luther, Kant, Nietzsche, p. 301.
Pègues p. E.: Saint Thomas d’Aquin et la guerre, p. 300.
Premoli Orazio: Morte edificante del p. Ugo Bassi, p. 463.
Rensi Giuseppe': La trascendenza, p. 459.
Sàintyves P.: La force magique: Du màna des primitifs au dinamismo scientifique (R. Corso), p. 133.
Salvemini Gaetano: Mazzini, p. 272.
Souter A.: Dictionary to tbe Greek New Testament, p. 462.
Tamisiér (p. S. j.): Christianisme et modernisme en face du problème religieux, p. 464.
XX4.: Lé vie di Roma, p. 142.
B) Le riviste.
Ardirò Roberto: Il positivismo, p. 49. Botti L.: La filosofia e la sua storia, p. 140. Capone Braga B.: L’< Athanasia « di Ber-nàfdo' Bolzano, p. 218.
Carabellese P.: La realtà de: fatti sforici, R- ,39' .
Cellini Adolfo: Israele e la guerra, p. Ì43. Croce Benedetto: Filosofia e metodologia, P- «3^.
D’Amico Silvio: La Chiesa e la guerra, p. 298. D'elbos Victor: L’Esprit philosophique de l’Allemagne et la pensée .française, P- 303j Faggi A,: Il primato di Gioberti e i discorsi alla nazione tedesca del Fichte, p. 303.
1 Gentile Giovanni: Cultura toscana, p. 46.
Huet G.: Le conte du mort reconnaissant et le livre de Tobie, p. 143.
Jeannotte IL: Le texte du psautier de Hilaire, p. 463.
Lamanna E. P.: Il fondamento morale della politica secondo Kant, p. 303.
Maggiore G. 11 valore etico della guerra, P- 3°o- , .. . ? \
More)-Fatto Air.: Les neocarlistes et l’Al-lemagne, p. 144.
Omodeo A.: Resgestae et ¡ustoria rerum, p. I3<>Pansa Giovanni: Il rito giudaico della profanazione dell’ostia e il ciclo della « Passione » in Abruzzo (F. Rubbiani), p. s8.
Pascal Arturo: Margherita di Foix e i Valdesi di Paesana (E. Rutili), p. 52.
Richard Gaston: La morale sociologique et la crisc du droit international, p. 143.
Tempie W.: Ragione e fede, p. 222.
ILLUSTRAZIONI.
Perdono. Liberazione (disegni di Paolo A. Paschetto). p. 61
Autografo di Marcel Hébert, p. 88.
Marcel Hébert (Ritratto). Tav. tra le pag. 88 e 89.
• 1914 ». Un focolare nel Belgio (disegno di
L. Raemaekers). Tav. tra le pag. 152
„ e r53.Scavi di S. Sebastiano in Roma. Antico muro con graffiti esprimenti invocazioni agli aspostoli Paolo e Pietro. Tavole tra le pag. 176 e 177.
La Kultur è passata di qui (disegno di !.. Raemaekers). Tav. tra le pag. 232 e 233.
Il Salterio (disegno di P. Paschetto), p. 295'.
Disegni di Enzo Valentini, p. 312, 313, 3J7- 3>0.
Vedute di Leitchworth, Londra ed Oxford-Tavole tra le pag. 352-353 e 3fì^~3^9La pecora perduta (disegno di Paolo A. Paschetto). Tav. tra le pag. 384 e 3*5-.
« Chi-di voi è senza peccato scagli la prima pietra » (disegno di P. A. Paschetto), p. 448.
Vestigio della lapidazione a Joppolo (disegno d? P. A. Paschetto). p. 452.
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INDICE GENERALE
Addams (miss), p. 152.
Anzillótti .Antonio, p. 268.
Archeologia: Le memorie apostoliche a Roma e ? recenti scavi a San Sebastiano, p. 172.
Ardigò Roberto, p. 49.
Balbino Giuliano, p. 303.
Banchetti Giuseppe, p. I22-.
Banterle Emilio E., p. 41.
Bellucci Giuseppe, p. 134.
Benini Aldo, p. 325.
Bois Enrico, p. 332.
Bolzano Bernardo, p, 218.
Borgese G. A., p. 24.
Botti L., p. 140.
Bourget Paul, p. 142.
Boutroux Emilio, p. 303.
Brenna Egidio, p. 143.
Bruccoleri Giuseppe, p. 413.
Buonaiuti Ernesto, p. 141.
Busnelli Giovanni, p. 463.
Campbell R. J., p. 460.
Capone Braga B., p. 219.
Caporali Enrico, p. 50.
Carabellesc P., p. 139.
Cattolicismo: Vitalità e vita nel C.: I cattolici italiani di fronte alla guerra, p. 392: Confusionismo nel C., p. 406.
Cavalieris Vincenzo, p. 128.
Cellini Adolfo, p. 143.
Chapon mgr. Enrico, p. 298.
Chiappelli Alessandro, p. 224.
Cento Vincenzo, p. 418.
Ciriani Marco, p. 29, 401.
Comani F. E., p. 462.
Congresso: Il Pontefice Romano e il C. delle potenze per la pace, p. 24, 413.
Corso Raffaele, p. 115, 133, 447.
Costa Giovanni, p. 141.
Cresima, p. 143.
Cristianesimo: Crisi cristiana nelle chiese inglesi, p. 65; Può un cristiano uccidere il suo prossimo?, p. 73; L’amore per i nemici, p. 76; il C. e la nostra guerra, p. 122; Il C. nell’Africa romana, p. 141; Le basi cristiane dell'ordine sociale, p. 229; I principii cristiani e la ricostruzione dell’Europa, p. 232; Induismo e cristianesimo, p. 237: Figure di soldati dell’antica cristianità, p. 305: Il C. e la Storia, p. 341.
Croce Benedetto, p. 138, 300.
Cultura: Per la C. dell’anima 128. 212, 289, 385: Realismo di C. e idealismo di civiltà, p. 206.
D’Amico Silvio, p. 35, 299.
De Castelletti Giuseppe, p. 463.
Delbos Victor, p. 47. 303.
De Waal A., p. 305.
Diritto: La lotta per il D„ p. 19.
Drummont Enrico, p. 278.
Etica: L’E. di G. Rensi, p. 459; La volontà buona, p. 463.
Etnografia: E. religiosa, p. 133.
Foix (di): Margherita di Foix e i valdesi di Paesana, p. 52.
Fornelli Nicola, p. 48.
Friends (l’opera dei), p. 148.
Fabrizi-De Biani Vittoria, p. 312.
Faggi A., p. 303.
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VI
-------------T—
BILYCHNIS
Fechner G. T.. p. 221.
Ferretti Gino, p. 301.
Fichte J. G., p. 303.
Filosofia: Rassegna di filosofia religiosa p. 46, 135, 210, 299. 456; Pragmatismo, P- 332Galtier Paul, p. 143.
Gaudeau B., p. 290.
Gaultier Paul, p. 302. .
Gentile ^Giovanni, p. 47. 136, 300.
Giudaismo: Il G. di ieri e di domani, p. 5; Un leggendaiio rito giudaico in Abruzzo, p. 58.
Ghignoni Alessandro, p. 123.
Gould Federico, p. 157.
Guerra (la): La G.: Notizie, voci, documenti, p. 65, 145, 2x2, 305; Il Cristianesimo e la nostra G„ p. 122; G. e coltura, p. 206; La guerra e la filosofia, p. 299.
Idealismo: La guerra, la giustizia e l’I. assoluto, p. 300: I. e pedagogia, p. 461.
Immanenza: I. e trascendenza, p. 458. Immortalità: La dottrina, le prove, ecc.
della I-, p. 219Induismo: I. e cristianesimo, p. 23;.
Inghilterra: L’I. di ieri, di oggi, di domani, P- 34«.
Heath Giorgio, p. 230.
Hébert Marcel, p. 85.
Hegel G. F. W.» p. 304.
Hill J. Arthur, p. 221.
Hdffding H., p. 141.
Huet G., p. 143.
Janvier (p.), p. 299.
JanniJUgo, p. 125.
Jcannotto H,, p. 463.
Jehad (guerra santa): Il fallimento dello J.» p. 78.
Kant Emanuele, p. 159, 302.
Lamanna E. P., p. 303.
Lapidazione: Ultime vesfigia della C., P- 447Legione fulminante (la), p. 305.
Leopold H., p. 172.
Liabooka Ivan, p. 104.
Lutero: L. e la Riforma, p. 301.
Luzzatto Leone, p. 4x7.
Luzzi Giovanni, p. 293.
Maggiore G., p. 300.
Male: Le fonti religiose del problema del M., p. 245, 421.
Manes Antonio, p. 416.
j Maomettismo: Il fallimento dello Jehad (guerra santa), p. 78.
Maresca Mariano, p. 461.
Mastrogiovanni Salvatore, p. 315..
Mazzini: M. di Gaetano Salvemini, p. 273.
Metodologia: Filosofia e M., p. 138.
Miglioli Guido, p. 398.
Modernismo: Immanenza c trascendenza, p. 45S; La dialettica dell’assoluta trascendenza, p. 463.
Molaioni Pio, p. 32.
Momigliano Felice, p. 5.
Monod Wilfred. p. 385.
More)-Fatto Ali., p. 144.
Moretti Andrea, p. 1431
Murri Romolo, p. 19. 26, 223.
Nava Cesare, p. 404.
Omodeo A., p. 136.
Orestano Francesco, p. 25.
Ottolenghi Raffaele, p. 39, 50.
Padrenostro: Due domande del P.. p. 61.
Pansa Giovanni, p. 58.
Paquier J., p. 301.
Parabole: La pecora perduta, p. 384.
Pascal Arturo, p. 52.
Paschetto Paolo A., p. 61, 295, 384.
Pedagogia: Idealismo e P.» p. 461; Un pedagogista laico: Nicola Fornelli, p. 48;
Volontà di credere e di sperare, p. 268: Diagnosi spirituale, p. 278.
Péques p. E., p. 300.
Pessina Enrico: E. Pessina e lo spiritualismo nella vita, p. 201.
Pioli Giovanni, 65, 85, 145, 225.
Pontefice: Il P. romano e il congresso delle Potenze per la pace, p. 24. 413; Il papa -al C., p. 409.
Positivismo: il P. di R. Ardigò, p, 49.
P. pitagorico, p. 50.
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INDICE
VI
Pragmatismo, p. 332.
Premoli Orazio, p. 463.
Psicofisiologia: La P. e l’immortalità, p. 221.
Puglisi Mario, p. 245, 421.
Quadrotta Guglielmo. 24, 43, 413.
Redenzione: Sàtana nella dottrina dèlia R., p. 184.
Religione: R. aria e R. semitica, p. 50; Etnografia religiosa, p. 133; Le fonti religiose del problema del male, p. 245, 423: Interpretazioni religiose di gravi sciagure nazionali, p. 225; Caratteristiche della vita religiosa contemporanea, p. 325.
Rensi Giuseppe, p. 459.
Richard Gaston. p. 143.
Riforma: Lutero e la R.. p. 301.
Riformatori: R. religiosi toscani del secolo xi'x, p. 47.
Rizzuti Antonio, p. 201.
Romain Rollami, p. 150.
Rosari tibetani, p. 115..
Rossi Mario, p. 212.
Rubbiani Ferruccio, p. 52.
Raffini Francesco, p. 43.
Rutili Ernesto, 52, 311. 392.
Saintyves P., p. 132.
Salmi: Salmo 121. p. 128; II Salmo 8, P- 293.
Satana: S. nella dottrina della redenzione, p. 184.
Schopenhauer: S. pacifista, p. 158.
Seton-Watson (dr.), p. 232.
Shaw Bernard, p. 151.
Sokolov Giovanni, p. 104.
Sourg Jules, p. 144.
Souter A-, p. 462.
Spinoza, p. 47.
Storia: Margherita di Foix e i valdesi di Paesana, p. 52: Filosofia e S., p. 135; S. e storiografia, p. 136; S. della filosofia, p. 140: Il cristianesimo nell’Africa romana, p. 141; Figure di soldati dell’antica cristianità, p. 305; Il cristianesimo e la S., p. 341.
Tamisier (p. S. I.). p. 461.
Tempie W., p. 222.
Teologia: La T. di Spinoza, p. 47; La tradizione bizantina nell'antica T. russa, p. 104: La nuova T., p. 460.
Tommaso d’Aqui no: La guerra giusta e s. Tommaso, p. 299.
Tovini Livio, p. 28, 400.
Trascendenza: Immanenza e T., p. 458, 459; La dialettica dell'assoluta trascendenza, p. 463.
Trailo Erminio, p. 303.
Tucci Paolo, p. 341.
Valdesi: Margherita de Foix e i V. di Paesana, p. 52.
Vaina Eugenio, p. 313.
Valentini Enzo, p. 313.
Vitalità e vita nel cattolicismo, (XII), p. 392.
Vitanza Calogero, p. 184.
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Prezzo del fascicolo Lire 1 —