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Anno 117 - N. 28
10 luglio 1981 - L. 300
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- SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
NEL TRENTENNALE DI AGAPE
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' visti!
« Noi sottoscritti rivolgiamo
un appello a tutti gli uomini e a
tutte le donne di buona volontà,
ai potenti e agli umili, nelle loro
diverse responsabilità, perché decine di milioni di persone agonizzanti per fame e sottosviluppo,
vittime del disordine politico ed
economico internazionale oggi
imperante siano resi aUa vita...
Occorre subito scegliere, agire,
creare, vivere, fare vivere».
L’appello contro la fame nel
mondo sottoscritto da 52 premi
Nobel, sembra passare inosservato.
Eppure la situazione di molti
popoli del cosiddetto terzo mondo è drammatica e per di più
sta peggiorando, Eduard Souma
direttore generale della FAO ha
dichiarato in questi giorni che
entro il 2000 un miliardo di uomini, concentrati nella stragrande maggioranza in Africa, nella
fascia sub-sahariana, saranno costretti a vivere in condizioni di
povertà assoluta e a non sopravvivere se non riceveranno concreti aiuti dai paesi ricchi.
Di fronte al moltiplicarsi di
queste dichiarazioni il cittadino
comune è paralizzato. Da una
parte condivide il senso di questi appelli e vorrebbe che una
parte delle tasse che lo stato
percepisce anche dal suo lavoro
fossero messe a disposizione per
risolvere questo problema, magari riducendo le spese militari;
dall’altra si ha scarsa fiducia che
questo possa avvenire, infatti si
chiede: «chi comincerà per primo a ridurre le spese militari
non si esporrà forse all’attacco
di un’altra grande potenza?».
Se poi si cerca di andare a fondo e si approfondisce il tema degli aiuti « bilaterali » del nostro
paese, allora si possono scoprire situazioni a dir poco sconcertanti: manca una struttura tecnica adeguata e soprattutto manca il controllo del parlamento.
Così si può scoprire che gli aiuti sono utilizzati per assecondare il contratto di qualche grande
irnpresa italiana oppure la visita
di qualche ministro, ma quasi
mai si inseriscono in una politica di largo respiro. Ad esempio parte dei fondi italiani contro la fame sono stati impiegati
per l’acquisto di autocarri (cosa
certamente utile) ma che lascia
adito a molti sospetti se non si
chiarisce il quadro complessivo
in cui si inserisce questo aiuto.
I paesi del terzo mondo rimangono così anche quando « aiutati » oggetto di oppressione e
sfruttamento. Anche quando si
esportano medicine si obbedisce
a questa logica. L’ultima denuncia viene dal congresso dell’organizzazione intemazionale dei
consumatori che accusa la Ciba
Geigy (multinazionale con sede
in Svizzera) di esportare solo
nei paesi del terzo mondo, un
farmaco, il Vyaform o Mexaform,
che può provocare cecità e paralisi, dopo che tale farmaco era
stato messo al bando nei principali paesi occidentali.
Che fare allora? Rassegnarsi?
No, credo che dobbiamo continuare ad essre attenti a questi
problemi, ad appoggiare programmi di aiuto quali quello del
Consiglio Ecumenico delle Chiese che non obbediscono certamente a criteri di interesse particolare, ma alla necessità di
esercitare la solidarietà cristiana.
Accanto a questo occorre osare
anche di alzare una voce profetica di denuncia. Non è forse questo pure un compito delle chiese?
Giorgio Gardiol
L'agape gratuita e liberante
La ricerca (della pecora ’’matta” sottolinea il valore che l’agape dà ad ogni creatura umana,
senza discriminazioni, in vista di un’autentica esperienza comunitaria dei credenti nel mondo
Vorrei continuare, cari fratelli e sorelle, la riflessione di Tullio Vinay sulla centralità del
messaggio dell’agape, non solo
come il motivo di fondo che ha
costruito, condotto, guidato questo centro durante il trentennio
che ricordiamo oggi, ma anche
come l’unica soluzione possibile
e l’unica indicazione valida al
convivere civile e pacifico e alla
continuazione di questo lavoro,
nella prospettiva dell’impegno
che Vinay definisce prioritariamente politico: la politica dell’agape come vera alternativa, come una specie di parabola, di
immagine del Regno di Dio. Ma
io non vorrei ripetere quello che
lui ci ha detto. Vorrei soltanto
proporvi una semplicissima riflessione su una delle parabole
più note di Gesù, talmente note
che sembrano quasi esser diventate banali. La si legge nell’Evangelo di Luca al cap. 15, e Gesù
diceva cosìi: «Chi è l’uomo fra
voi che avendo lOO pecore se ne
perde una non lasci le 99 nel deserto e non vada dietro alla perduta finché non Labbia ritrovata? E trovatala tutto allegro se
la mette suUe spalle e giunto a
casa chiama assieme gli amici e
i vicini e dice loro: rallegratevi
meco perché ho ritrovato la mia
pecora che era perduta >>.
Dicevo, una delle parabole più
note, ma forse anche una delle
parabole più facilmente fraintese, secondo il punto di attenzione a cui ci si rivolge, secondo come si identifica il centro di questa parabola e del resto è sempre stata motivo di immagini
oleografiche che ci raffigurano,
con dubbio gusto, un Gesù bello, buono, serafico, dal sorriso
radioso che porta in spalla questa pecorella belante che di solito ha un muso così stupido che
non invita proprio all’imitazione, senza più avvertire, in questa oleografia, la prospettiva
drammatica della parabola: il
buon Pastore che mette la sua
vita per le pecore. Non era una
marcia allegra per la montagna
con la pecorella sulle spalle per
andare a far festa poi con gli
amici, è il cammino verso la croce quello che il pastore percorre nella ricerca della sua pecora. Ma di solito si legge questa
parabola, molto spesso anzi, cercandone la chiave in un senso
piuttosto moralistico direi, puntando cioè tutto l’interesse della
riflessione sulla pecora matta
che lascia il gregge e che va per
i fatti suoi, che si allontana dalla retta via su cui è giusto e
buono di camminare, una via rispettabile, scegliendo la via cattiva, insulsa, assurda dell’incredulità o dell’immoralità, o perché no, non è forse stato detto
anche questo, la via dell’impegno
politico in una direzione molto
determinata. E allora le 99 pecore esprimono la loro severa
riprovazione e quanti belati abbiamo sentito...
L’amore di Dio
Credo sia evidente a tutti voi
che la « punta di diamante » della parabola non è la pecora matta, il punto centrale della parabola è il pastore, è lui che conta.
Il pastore che non dimentica la
pecora matta, che la cerca, che
non si stanca, che dà valore proprio a quello che sembra non
meritarne affatto. Fuori della
immagine è l’agape di Dio che
è Gesù Cristo verso l’uomo per
quanto umile, modesto, folle egli
sia. L’amore di Dio non dimentica né abbandona alcuna delle sue
creature. Questo è il primo elemento di riflessione che scaturisce da questa semplice e umile
parabola, l’agape di Dio che è
Gesù Cristo che in lui si è incarnata. afferma risolutamente il va
Vn momento del culto dell’as semblea degli Amici di Agape.
lore di ogni creatura umana.
Questo magari può anche farci
piacere perché dopo tutto siamo sempre abbastanza interessati a noi stessi. Ma la parabola
insiste su questa realtà dell’amore che non dimentica e questo
allora è a buon diritto un motivo di allegrezza, un motivo di
gioia, perché non dovrebbe esserlo? Perché dovremmo sempre
avere in mente una religione oppressiva, una religione fatta di
biglietti di proibizioni, di ingiunzioni e di minacce, quando invece
l’Evangelo è un canto di gioia?
Sapersi malgrado tutto oggetti di
quell’amore che non è un tenero
sentimentalismo di quel Gesù
buono e pacioccone, ma è veramente una forza nuova e sempre
rinnovata giorno dopo giorno,
non solo, ma io direi che questo
è anche importante, per il modo
con cui andiamo a valutare gli
altri. E ne parliamo molto: di
«La politica dell’agape»
Il pastore Tullio Vinay, per motivi di salute, non
ha potuto salire ad Agape, Egli ha comunque
inviato il seguente messaggio che è stato letto
nel corso del culto di domenica.
Il teologo Tillich scriveva, circa 25 anni or
sono, che la Chiesa doveva ancora scoprire il
concetto di « agape » nel N. Testamento. Con
la costruzione del Centro e con l’attuazione di
una vasta comunità di giovani attorno ad es.so, abbiamo voluto fare irrompere, nella chiesa e fuori d’essa, il solo messaggio veramente rivoluzionario, quello dell’« agape ». E questo rimane ancora il compito di quanti si riferiscono a questa missione che è oggi prioritariamente politica, anche se non necessariamente partitica.
La chiesa perde il senso della sua vocazione se non realizza nella sua condotta, cioè nella solidarietà effettiva con tutti gli oppressi,
l’agape di Dio incarnata in Cristo. Il mondo,
credente o no, ora talmente rimpicciolito che
ì più lontani son comunque alla porta dì casa,
non ha altra uscita se non in quest’agape che
travalica tutte le ideologie e tutte le frontiere.
Essa è il solo elemento di coesione e la sola
bussola per il vivere associato tanto in politica che in economia e sociologia. Si tratta di
realizzare la frontiera decisiva che corre fra
l’amore per sé (eros) e l’amore per gli altri
(agape) perché dall’uno o dall’altro di questi
amori prende l’avvio ogni umana attività in
senso distruttivo o in senso pienamente crea
tivo.
A tutti voi riuniti per il 30° anniversario
dell’inaugurazione di Agape, ed a quanti, seppur lontani fisicamente (come lo son io) presenti nello spirito, il mio appello è di portare
avanti, in ogni luogo, fra gli uomini credenti
o no, non una politica che mimetizza quella
di tanti altri compagni, amici e fratelli che
camminano con noi nella tensione verso un
mondo nuovo, ma l’indicazione specifica che
viene dall’agape com’è rivelata negli atti e nelle parole di Cristo. Egli è la bussola vera per
l’umanità che ancora in quest’ultimo ventennio del XX secolo, malgrado la sua vantata
maturità, cammina a tastoni e nel buio. È
l’appello ad una politica che salvi il pianeta,
polìtica nuova per quanto antica ma non ancora accettata. Sì, camminiamo insieme con
fede verso ciò che non si è ancora realizzato.
La scritta sul muro della « chiesa all’aperto »
ci dice che non è battaglia perduta!
Il quotidiano confronto con uomini che pur
rifiutando la religione sono sinceramente attratti dal Cristo e che accettano, a volte, di
vivere la sua « utopia » ci riempia di speranza
in un futuro migliore. Però proprio perché coscienti che soltanto Cristo fa veramente la
« politica dell’agape » e che noi ne siamo, tutt’al più. inutili strumenti, voglio ancora, terminando, dire che rivolgersi a Cristo in preghiera è il vero inìzio di un nuovo cammino,
non solo perché così lo si confessa risorto e
vivente ma anche perché in Lui solo possiamo
attingere le forze per il difficile cammino che
ci sta dinnanzi.
Tullio Vinay
comunità, di collettivo, di rapporti interpersonali e poi come
realmente valutiamo l’agape?
Non è questa forse la misura
che dobbiamo ricercare? Siamo
facili al giudizio in realtà più o
meno squalificante o sprezzante
e veramente c’è anche al giorno
d’oggi di che pensarci sul serio,
quando esplode la violenza in
tutte quelle forme che noi conosciamo e non ho bisogno di stare a descrivere: dal furto al ricatto, dallo sfruttamento del potere all’assassinio per le strade.
E diventa allora difficile pensare
che anche queste siano pecore
perdute che l’amore di Dio ricerca malgrado tutto. O quel vicino ingombrante e fastidioso
che ci dà impaccio o tanti altri
esempi che si potrebbero citare.
Eppure la parabola insiste su
questo punto: non c’è creatura
al mondo per quanto sia fastidiosa o inutile, o dannosa o indegna e violenta che non possa
essere oggetto di quell’amore
che cerca, che ama e non dimentica. E del resto questo solo può
anche, ripensando alle nostre
esperienze comunitarie, questo
solo può essere il punto di partenza di ogni tentativo di esistenza comunitaria. La coscienza di essere tutti ugualmente pecore matte, senza certo darci le
arie di esser sagge, né aver voglia di essere tra quelle 99 che
belano, pecore matte che l’agape che è Cristo ricerca e non dimentica.
L’amore gratuito
Ora tornando all’immagine del
pastore appare anche evidente
che la sua sollecitudine per la
pecora matta non è certo motivata dal suo valore perché non
è granché, e neppure meno che
mai dalla sua dignità, dal suo
merito; la pecora matta scappa
perché è matta, perché vuol essere indipendente o perché è orgogliosa, oppure perché non ha
capito, oppure perché è stupida.
In ogni modo non si merita tanta fatica da parte del pastore, né
tanto meno quello sfondo drammatico di cui l’Evangelo di Giovanni ci parla. Eppure non è dimenticata : anzi ostinatamente
ricercata. Come dire che l’agape rivelata in Gesù Cristo è totalmente gratuita e non motivata, coglie l’uomo nella sua reale
Neri Giampìccoli
(predicazione tenuta ad Agape)
(continua a pag. 6)
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10 luglio 1981
AGAPE NEGLI ANNI '80
Oltre trecento persone, di diverse generazioni e confessioni religiose, sia italiane che straniere sono salite a Frali per riflettere sull’esperienza
di Agape nel trentennale della sua inaugurazione. Senza pretesa di completezza presentiamo qui alcune riflessioni fatte in questa occasione.
Una delle parole più usate per
descrivere il lavoro di Agape è
“frontiera”.
E non c'è dubbio che Agape in
questi trenta anni sia stata una
frontiera. E' stata una decisione
di frontiera quella di costruirla
col lavoro volontario come segno
di riconciliazione tra i popoli
che erano stati violentemente divisi dalla guerra.
E' stata una frontiera per la
chiesa, quando nell’architettura
di questo centro non si è voluto
costruire un luogo deputato
esclusivamente alla riflessione
cristiana, e quando si è voluto
scegliere la parzialità dell’Agape
di Cristo come centro del messaggio profetico da predicare al
mondo.
E’ stata una frontiera quando
l attività del centro si è aperta
al contributo di credenti e non
credenti africani, quando nel
mondo vi era scarsa attenzione
ai problemi della liberazione del
terzo mondo, quando in piena
guerra fredda si sono fatti partecipare ai campi di Agape credenti e non credenti provenienti da
"oltre cortina" come si diceva
allora.
E’ stata una frontiera quando
prima ancora del Concilio Vaticano II si invitavano ai campi di
Agape fratelli e sorelle cattoliche che desideravano confrontarsi insieme sui problemi posti
dalla ricerca di fede.
E’ stata — infine — una frontiera quando si è cercato di incontrare gli uomini e le donne
impegnati nel “movimento”, sia
esso studentesco, che operaio,
che femminista ed insieme ad
essi sperimentare il senso della
proposta dell’Agape di Cristo.
Quello di Agape è stato un lavoro di frontiera centrato sulla
tematica della teologia del mondo: si è valorizzato il ruolo del
messaggio cristiano nella società, come fonte di trasformazione
dell'uomo e della vita associata.
La teologia che si è fatta ad Agape mette certamente in secondo
piano il peccato e la morte, e
l’uomo nella sua situazione di
debolezza (e questo è certamente uno dei limiti dell’esperienza
di Agape). Ma occorre chiedersi
se questa teolosia “di frontiera”,
della vita e della forza non rappresenti forse quella prospettiva
di evangelizzazione, missionaria,
di larga apertura che rifiuta ogni
ghettizzazione di cui le chiese
hanno oggi bisogno.
Certo finora la teologia fatta da
Agape ha valorizzato molto la riflessione dei militanti e degli intellettuali. La speranza è che negli anni ’80 questa riflessione impegni la « base » delle chiese.
Giorgio Gardiol
(...) Tenendo conto della particolare occasione che vede qui
riuniti gli « amici di Agape », vorrei proporvi di leggere questi 30
anni di attività di Agape in chiave di benedizione. Lo spunto lo
prendo dal libro dei Numeri ai
capp. 22-24. È la vicenda del re
Balak che ricorre a un indovino,
Balaam, che ha fama di possedere il potere della benedizione
e della maledizione, perché pronunci il suo oracolo di maledizione su Israele. Balaam, indovino pagano, diventa, suo malgrado, strumento di benedizione
per Israele; il suo mestiere gli
salta di mano, non riesce più a
controllarlo, la maledizione si
trasforma in benedizione per
Israele: « Come farò a maledirlo? Iddio non l’ha maledetto... ».
Voglio utilizzare questa stessa
chiave di lettura, con tutti i rischi di una giustificazione storica
a posteriori, per valutare i 30 anni di Agape: leggerli con la lente
della benedizione di Dio, come
segno della sua grazia, del suo
amore, nel mezzo delle nostre
contraddittorie vicende umane.
Certamente, una benedizione non
sempre capita, vissuta, spesso riconosciuta in momenti difficili,
in mezzo a segni contraddittori,
in situazioni in cui gli oracoli di
maledizione degli uomini si facevano sentire a voce alta ed il futuro era segnato di tinte oscure.
Una storia che in ogni caso ha
avuto dei momenti di benedizione più forti del rapporto amoreodio che molti hanno nutrito per
questo centro. Una storia di benedizione che possiamo leggere
in modo chiaro nella fase di inizio ma che non si è fermata lì,
si è ripetuta più volte, si può
ripetere oggi, domani, non è sotto il nostro controllo. L’Agape
venuta dopo la costruzione, l’Agape di oggi, non ha tradito l’intuizione originaria, Dio non tradisce la sua volontà di amore
verso i suoi figli.
Ritengo che siamo tutti sufficientemente consapevoli del fatto che leggere la storia di Agape
in chiave di benedizione non significa in nessun caso sottovalutare o nascondere le infedeltà, i
peccati, le debolezze, che sono
le nostre; ma che ci è dato di
riconoscere nella luce della benedizione, del perdono di Dio e
che ci tirano nell’impegno, nella
militanza. Questa realtà della benedizione di Dio non solo è più
forte di ogni tentativo di maledizione di cui Agape è stata ed
è oggetto, ma è anche più forte
dei discorsi di lode o di esaltazione che noi possiamo pronunciare. Benedizione di Dio significa in ultima analisi ricevere
l’equipaggiamento di forze salutari per le battaglie che dobbiamo combattere, una forza che
non dipende da poteri magico-sacerdotali o di altra natura, ma
che dipende unicamente dalla parola che Dio pronuncia nella storia. È la parola che possiede la
capacità di sfatare le alleanze
del potere, la parola profetica
che ribalta le situazioni, la parola che un pagano come Balaam
riceve e pronuncia sul popolo
dei credenti, che fa saltare le
La relazione
del direttore
tecniche divinatorie e imbroglione.
È questa parola che noi aspettiamo oggi e che è motivo di speranza per gli anni ’80 di Agape,
per dirla e viverla nelle situazioni concrete, in un mondo dominato da re guerrieri che non fanno uso della ragione e sacerdoti
che mercanteggiano un potere
che spacciano per divino. Questa
parola è la nostra benedizione:
« Iddio ha mandato Gesù per benedirvi... » (Atti 3: 26). E Agape
non deve dimenticare che questa
parola di benedizione passa spesso attraverso la voce dei non
credenti, segno della libera grazia di Dio, ma anche avvertimento alla chiesa, perché stia attenta
ai segni che il Signore opera
nella storia (...).
Ciò detto, esaminiamo alcuni
problemi attuali di Agape.
I rapporti
internazionali
I campi internazionali hanno
manifestato segni di crisi, alcuni
filoni di interesse sembrano essersi esauriti. Ci si deve chiedere
seriamente: siamo incapaci di
cogliere i centri di interesse, le
tematiche che circolano in Europa a livello di richiesta oppure
si sono intasati i nostri tradizionali canali di comunicazione? E
ancora: dobbiamo rinunciare a
proporre temi che valutiamo importanti ma che non riempiono
i campi o dobbiamo inserirci nelle richieste « di mercato » che aggregano? (...).
Credo che occorra ristabilire
un rapporto di collaborazione
costante con il CEC, indebolitosi
in questi ultimi anni, soprattutto all’interno di alcuni temi di
fondo quali il disarmo, la pace,
il razzismo, la questione antinucleare. L’atto di consegna-riconsegna delle chiavi di Agape deve
tradursi in programma, cooperazione, e non rimanere nello spazio della simbologia. Sui temi
sopra accennati e su altri ancora
dovremo lavorare con impegno
perché su questi problemi la nostra rifiessione come protestanti
italiani è in forte ritardo. Ma
dovremo anche riverificare le nostre possibilità di collaborazione
con il Movimento cristiano studenti, il Consiglio ecumenico giovanile europeo, i paesi latini, i
rapporti con l’est europeo: i cambiamenti che stanno avvenendo
impongono da parte nostra una
approfondita rifiessione.
I protestanti italiani
La circolazione delle idee e lo
scambio ecumenico che Agape fa
vorisce ha una indubbia portata
per il protestantesimo italiano e
per molti gruppi di cattolici con
cui siamo in contatto. Questa
funzione mi pare oggi particolarmente importante in un tempo
in cui notiamo delle forti tendenze alla regionalizzazione delle problematiche.
(...) Se è possibile esemplificare direi che il ruolo che Agape
può svolgere verso le chiese evangeliche in Italia e verso comunità e gruppi cattolici è: 1) continuare ad essere un luogo in cui
si maturano delle scelte e nascono delle vocazioni; 2) un luogo
che permette la ricerca e il dialogo sui grandi temi di attualità
in un’ottica ecumenica ed internazionale; 3) un luogo in cui i
credenti in Gesù Cristo che hanno difficoltà ad inserirsi in una
chiesa locale possono approfondire la loro fede e scoprire nuovi sbocchi per la testimonianza;
4) un luogo dove i protestanti italiani capiscono che hanno una
vocazione comune al di là dei
confini denominazionali; 5) un
luogo infine, in cui si lavora per
la formazione evangelica e protestante delle nuove generazioni,
mantenendo aperto il confronto
su fede e politica.
Le valli valdesi
Agape vive alla periferia di
una grande città operaia quale
è Torino, ma è inserita in una
realtà locale caratterizzata dalla
presenza di minatori, di operaie
tessili, di contadini e di un grosso numero di pendolari: sono dati sociologici non trascurabili per
capire il senso della presenza di
Agape a livello locale. Bisogna
poi aggiungere altri elementi,
scarsa coscienza sindacale, il ruolo delle comunità montane, un
10% della popolazione locale di
tradizione valdese, una diocesi
che si può definire a « statuto
speciale », con una pastorale del
lavoro più avanzata di quella della chiesa valdese. Nella geografia politica, ecumenica e culturale del pinerolese, è chiaro che la
realtà a cui dobbiamo fare riferimento prioritario è Pinerolo.
Pinerolo non è un paese sottosviluppato ma una città con la sua
cultura: è qui che la massa dei
giovani studia, si forma e si brucia. (...). È a Pinerolo infine che
passa il dialogo ecumenico: qui
sono sorte le due uniche nuove
esperienze significative del cattolicesimo locale, la comunità di
S. Lazzaro e la Comunità di Base
di Corso Torino. (...).
Nel mondo valdese si parla
di strategia di lavoro alle valli,
di « asse culturale », che nasce
dalla coscienza del fallimento dei
tradizionali poli di produzione
culturale. Questo nuovo tentativo di aggregazione si muove lungo una prospettiva ancora tutta
da precisare, ma non è un caso,
forse, che non si faccia cenno
al ruolo che Agape può svolgere.
Agape deve, a mio avviso, riprendere con nuova forza il discorso della formazione delle
nuove generazioni e dei laici, al
di là di quanto già si sta facendo con i campi estivi. Agape potrà farsi carico della preparazione di brevi incontri di fine settimana che tocchino di volta in
volta i maggiori problemi in discussione nelle chiese, temi di
attualità nel confronto ecumenico locale, incontri sulla problematica del mondo del lavoro
e della scuola, della politica locale. (...).
Il Gruppo residente
È il punto più delicato e problematico, e non da oggi. Se non
tutto, molto si gioca sul problema della rifondazione del gruppo residente. Conosciamo, da anni, la difficoltà sorta con il problema dell’occupazione, per chi
dopo anni di lavoro ad Agape ha
cercato di reinserirsi nel mondo
del lavoro. Sappiamo che il problema non può risolversi con
un’accurata selezione delle richieste degli obiettori di coscienza.
Oggi l’appello è rivolto in modo
particolare ai giovani della Egei:
cerco di precisare il perché.
In questi anni, a causa del problema sopra accennato, è cresciuta la difficoltà nel trovare
persone motivate e coscienti di
ciò che significa il lavoro ad Agape. (...). Questa eterogeneità di
provenienza ha al tempo stesso
arricchito ed impoverito le potenzialità del gruppo residente.
Siccome il gruppo residente deve portare avanti gli impegni di
cui si diceva prima, non può continuare ad essere formato, nella
sua maggioranza, da persone
che non posseggono alcuni riferimenti comuni fondamentali.
Non solo perché questo mina alla base la possibilità di una vita
comunitaria che garantisca un
minimo di serenità, ma perché
di fatto, non sarebbe in grado
di sostenere operativamente le
scelte e gli impegni costitutivi
della vita di Agape. Credo perciò
che sia fondamentale rifondare
il gruppo residente a partire da
due elementi fondamentali: la
riflessione biblica e teologica e
la riflessione politica.
(...) C’è chi sostiene che la rifondazione del gruppo residente
può avvenire solo partendo da
un progetto di lavoro a lungo
termine: come definire nel concreto questo progetto? Molti considerano Agape un centro di terapia, di cura d’anime per i militanti scoraggiati, gli ex-drogati,
i delusi, ecc. È una richiesta crescente che non possiamo non valutare con profonda attenzione.
Ma dobbiamo considerarla una
priorità? E come inserirla nel
complesso delle nostre attività?
Ermanno Gente
È impossibile dare un resoconto completo dei vari « messaggi » portati all'assemblea. Pubblichiamo alcune frasi di alcuni di essi.
ALBERTO TACCIA
per la Tavola Valdese
« ... Agape è un'opera di avanguardia per la Chiesa Valdese e per l'Evangelismo italiano... la predicazione di
Agape ha indicato a molti credenti una
chiara indicazione di marcia per dare
un senso alla propria vita: quella dell'agape di Cristo... ad Agape si è espressa una predicazione di tipo profetico perché nella sua libertà e nella
sua sovranità. Dio ha voluto servirsi
anche di Agape... per questo è importante che ad Agape si continui ad approfondire l'ascolto della Parola quotidianamente e nella preghiera... ».
FRANCESCA SPANO
per la FGEI
■I ... Agape è "carne della nostra carne e sangue del nostro sangue’’... negli
anni 80 ci aspettiamo che Agape continui ad essere la memoria storica del
come e su che cosa siamo partiti... che
Agape continui a ricevere il nostro contributo per la formazione giovanile e
per le relazioni internazionali... e poter combattere una battaglia insieme:
superare la contrapposizione tra l’impegno di lotta per la trasformazione
della società e il coinvolgimento totale
degli uomini e delle donne che questa
lotta conducono per poterci impegnare
in un progetto di trasformazione e di
predicazione che investa tutta la nostra
intelligenza e cultura, ma anche tutta la
nostra fantasia, emozione e corporeità... »
UFFE GJERDING
del Consiglio Ecumenico
delle Chiese
« ... Agape è stata determinante per lo
sviluppo del movimento ecumenico e
porto qui anche il saluto del pastore
Visser t' Hooft che ha seguito fin dall'inizio il sorgere di Agape... le proposte di Agape di mantenere uno stretto
rapporto col consiglio ecumenico delle
chiese ci trovano molto disponibili perché il contributo di Agape al dibattito
ecumenico continua ad essere molto
importante... ».
ALASTAIR HULBERT
della Federazione Europea
del Movimento Cristiano
Studenti
« ... in questi ultimi anni Agape è
stata determinante per tutta una generazione di studenti cristiani per l'approfondimento del rapporto fede-politica.
e su questa linea intendiamo continuare
la nostra collaborazione... un maggiore
scambio tra centri ecumenici europei
sarebbe auspicabile per esempio col
centro scozzese di Iona... ».
PIERO bensì
per la FCEI
« ... la funzione di Agape è stata e
continua ad essere importante per la
esperienza unitaria deH'evangelismo italiano... ».
JOAQUIM LUDWIG
del Consiglio Ecumenico
Giovanile in Europa
« ... le centinaia di giovani che sono
venute ad Agape hanno potuto sperimentare l'originalità e la specificità
della "ricetta” Agape!... una proposta
importante per i giovani dell’Europa e
soprattutto meridionale... ».
PIETRO GIACHETTI
Vescovo di Pinerolo
i< ... La serietà di contenuti e di docenti con cui Agape ha impostato a livello internazionale, prima i campi ecumenici e poi i campi teologici, ha permesso ai credenti delle nostre due
Chiese di conoscere meglio quello che
ci unisce e quello che, purtroppo, ancora ci divide e di aprirsi anche ad
altri promettenti incontri che già si
svolgono — penso con comune vantag
gio — a livelli più ristretti. La ricorrenza del trentennale mi induce, guardando il futuro, ad auspicare positivi
sviluppi deH'ecumenismo nella nostra
terra... ».
(Messaggio letto dal parroco di Frali,
don Alluvione).
FRANCO BARBERO
Comunità Cristiane di base
« ... fede e politica non è un binomio
superato o un problema esaurito... cosa
voglia dire fare politica oggi torna di
estrema urgenza... non si tratta di depoliticizzare Agape, ma di non rinunciare alla centralità della Parola di Dio,
Agape può diventare uno spazio aperto a coloro che per testimoniare la loro tede nel quotidiano... desiderano vivere un intervallo, di preghiera, di meditazione, di dialogo.
... È possibile pensare a un campo
periodico in cui fare « il punto sull’ecumenismo?... ».
Gli interventi riportati non sono
stati rivisti dagli autori ma ridotti redazionalmente dalla registrazione.
3
10 luglio 1981
CRONACA DELLE VALLI
L’ANNO ECCLESIASTICO A PINEROLO
Sindrome
da mantenimento
ITINERARI ALLE VALLI - 4
Uno, testimoniare dentro e fuori; due, l’aggregazione giovanile.
Sono i poli sui quali ha ruotato
la contro-relazione a Pinerolo il
21 giugno. Per rendere testimonianza dentro, essa ha preso, come esempio, due dei mezzi domenicali di cui ci serviamo: il
culto (una sessantina l’anno) e
lo studio biblico (una dozzina).
I culti facciamoli tenere da un
numero maggiore di laici, dice
la contro-relazione, in modo che
la chiesa senta di più che aria
tira nel mondo, abbia un orizzonte più ampio. Gli studi biblici
sono disertati. Fa eccezione un
drappello di fedeli e — almeno
quest’anno — una confortante
presenza del 3” corso di catechismo, in quanto essi fanno parte
del suo programma. Gli studi biblici potrebbero diventare una
estensione del culto, dove si fanno domande al predicatore sulla
scelta del sermone, i concetti espressi ecc. Sarebbe necessaria
una liturgia diversa, e nell’anno
si avrebbero per il culto tempi
e modi più nuovi e articolati. (Si
può ricordare un’idea di Giorgio
Tourn: « Un esperimento di culto abbreviato seguito da un’ora
di catechismo per tutta la comunità », Diakonia, settembre 1980).
Per rendere testimonianza fuori, la contro-relazione ha preso
invece, come esempio, il Collettivo biblico ecumenico e il Cesp
(Centro sociale protestante). Le
due « formazioni » dovrebbero
portare l’opinione evangelica nel
panorama culturale, politico e
cattolico del Pinerolese, dove il
cattolicesimo offre due facce,
quella tradizionale e quella delle
comunità di base. Ma i valdesi
nel Collettivo biblico sono pochi. Il pericolo non è tanto di
essere sommersi, quanto di presentare se stessi più che la chiesa. Il Cesp corre analogo rischio,
numero esiguo di valdesi, le con
ferenze che organizza (per quanto poche) non vedono la chiesa
partecipare in forze. Anche il
Cesp scivola via indisturbato.
I giovani. La contro-relazione ha denunciato con coraggio
ciò che è sotto gli occhi di tutti,
a meno che non si voglia fare
gli struzzi: la confermazione, e
dopo? Cerimonia, foto, pranzo,
regali, si mette dentro quello che
non c’entra e si lascia fuori quello che dovrebbe entrarci. Come
tentativi di svolta la contro-relazione propone: i catecumeni si
trovino con tutta la comunità e
non solo col concistoro; la cerimonia sia sobria e continui in
una giornata comunitaria (la
confermazione è una corresponsabilità giovani-chiesa, non una
festa privata); l’attuale giornata
mensile che i catecumeni passano insieme sia integrata da una
ora settimanale per scendere nei
temi della fede. Resta da risolvere il problema della comunicazione continua tra istruzione biblica, le famiglie e la comunità.
La contro-relazione (Paolo Gay,
Elio Grill, Bruna Ricca), pensosa e costruttiva, ha individuato
alcuni settori di maggiore urgenza facendo alla chiesa proposte
di tutto rispetto, se non di assoluta novità. Ma non è di novità
in se stesse che le chiese hanno
bisogno. Hanno bisogno di sciogliere alcuni nodi vitali. Oggi
due di questi nodi sono la loro
connotazione davanti al mondo
e il loro atteggiamento davanti
alla gioventù. Le chiese si preoccupano del loro bilancio fallimentare riguardo alla nuove generazioni? (culto di apertura alla conferenza del primo distretto, Angrogna, maggio). Riguardo alle
sfide esterne, intendono confrontarsi oppure di fatto sono già
colpite dalla sindrome del semplice mantenimento?
Renzo Turinetto
VILLASECCA PRAROSTINO
Nella certezza di fede nella risurrezione dei morti, la chiesa di Villasecca esprime la propria solidarietà
cristiana alla famiglia Malanot per la
perdita del loro caro Alberto.
• Ricordiamo qui il calendario delle
prossime riunioni estive che avranno
luogo tutte alle ore 15.
Luglio: 19, Bovile; 26, Villasecca.
AVVISI ECONOMICI
TRASLOCHI e trasporti per qualsiasi
destinazione, preventivi a richiesta :
Sala Giulio, via Belfiore 83 - Nichelino - tei. (Oli) 6270463 - 6272322.
CERCO in affitto a Torre Pellice alloggio due camere e servizi, oppure
minialloggio. Cerco in alternativa la
possibilità di essere ospitato in fa
miglia o convivenza con donna di
60-70 anni. Scrivere a Quinto Selva
- via Belletti Bona, 10 - 13051 Biella.
RINGRAZIAMENTO
« Venite a me voi lutti che siete
travagliali ed aggravali ed io vi
darò riposali (Matteo 11: 28).
Le sorelle di
Clelia Persico
riconoscenti per le dimostrazioni di
affetto e di cordoglio, neirimpossihilita di farlo personalmente, ringraziano
tutte le persone che hanno partecipato
al loro dolore.
Un particolare ringraziamento al personale medico c infermieri.stico delI ospedale valdese di Torre Pellice ed
ai ]>astori Zotta e Tourn.
Torre Pellice. 28 .giugno 1981
RINGRAZIAMENTO
I familiari delia compianta
Emilia Bellion ved. Jourdan
nelTimpo.ssihilità di farlo singoiar,
mente, ringraziano tutti coloro clic in
inalsia.si modo hanno [>re.so parte al
loro dolore.
Un grazie |)articolare al jwof. Gay
fd al personale deH'Ospcdale Valdese di Pomaretto. ed al pastore Bellion.
Luserna S. Giovanni. 1 luglio 1981
Visita alla comunità di San Wlarzano.
Domenica 28 giugno, un gruppo della
comunità di Prarostino, una cinquantina tra adulti e bambini, compresa buona parte della corale, si è recata in
visita di amicizia alla comunità di San
Marzano Oliveto.
Al mattino, culto in comune con la
comunità locale, presieduto dal suo conduttore Ugo lomassone che ha rivolto a tutti un edificante messaggio da
parte del Signore. La nostra corale vi
ha partecipato con il canto di due inni.
Dopo il culto, pranzo in comune, organizzato e generosamente offerto dalla comunità di San Marzano. Nel pomeriggio un interessante trattenimento con ila proiezione di belle diapositive
di Prarostino, presentate dal nostro anziano Bruno Avondetto. Poi ancora thè
con dolci vari. E poiché si era in provincia di Asti, non poteva mancare il
buon vino che i Prarostinesi hanno apprezzato, tanto da portarsene a casa
alcune bottiglie. Poi l'ora del commiato, dei saluti affettuosi, gli arrivederci
alla prossima occasione, che tutti auspicano che sia tra breve.
Nonostante l'inclemenza del tempo,
il Signore è stato clemente, concedendo a tutti di trascorrere una giornata
di vera e intensa comunione fraterna.
Da queste colonne vogliamo ringraziare la comunità di San Marzano, e
in particolare II fratello lomassone, per
I ottima accoglienza, e ringraziare il
Signore per la « bella giornata ».
POMARETTO
Sono nati: Eliseo Pons di Marco e Libralon Daniela: Serena Peyrot di Ugo e
Ferrerò Rosanna. Un benvenuto ai neonati e tanti auguri ai rispettivi genitori.
• Purtroppo abbiamo dovuto anche
questa settimana prendere la strada
del cimitero. Sono deceduti: Rodolfo Benyr di Pinerolo all'età di anni 70, presso l'Ospedale di Pomaretto. Il funerale
ha avuto luogo martedì 23 giugno; Ida
Giuseppina Tron In Genre di anni 72
oriunda di Rodoretto nella sua abitazione in Pomaretto. Il funerale si è
svolto mercoledì 24 giugno.
Ai familiari in lutto tutta la simpatia cristiana della Comunità.
Gli alpeggi di Bancet
e Crosènna
a cura di Raimondo Genre e Valdo Benech
pendio erboso sul sentiero per
Crosènna dando ogni tanto, nebbia permettendo, uno sguardo
alTimponente piramide rocciosa
del Eric Boucle 2998 m dir. nordovest.
Dopo aver guadato la Coumba
dia Lausa che scende direttamente dal col Boucle, raggiungiamo il vasto pianoro di Crosenna 1654 m notevolmente più basso di Bancet, che ci offre una flora alpina molto ricca, dallo sciogliersi delle nevi fino ad estate
avanzata. Essendo tra le più ricche della Val Pellice, vi troviamo: diverse varietà di anemoni,
ranuncoli, primule, genziane, liliacee ecc. fino alla piuttosto rara « pinguicula alpina », per una
vera delizia dell’amatore di fiori
alpini. La nostra gita prosegue,
ed, oltrepassata l’ultima grangia,
il sentiero riprende a scendere,
riattraversando su un ponticello
la Coumba dia Lausa ammireremo il gioco di cascate di questo
torrentello che in periodo di disgelo è veramente su<zgestivo.
Seguiremo la mulattiera ben
tracciata che costeggia la montagna attraverso scoscesi pendii.
Nel breve tratto in salita, noteremo poi pozzi e strutture militari deH’ultimo conflitto, dopodiché
scenderemo costeggiando il vallone, fino alle strette curve a « Z »
della borgata dei Brunel dove
incroceremo la strada del Pra.
Voltiamo a sinistra e in dieci minuti siamo a Villanova, stanchi
ma soddisfatti di questa lunga e
bella passeggiata. Il periodo di
percorrenza è, a seconda dell’innevamento, da fine giugno a tutto
settembre.
Località di partenza: Villanova
1225 m
Dislivello in salita 1026 m
Tempo del percorso: h 3,45 + 2,15
□
Come già accennato, proponiamo con questo itinerario un percorso a quote più elevate negli alti alpeggi della Val Pellice ricchi
di fioritura eccezionale, specie ad
inizio estate, per godere poi di
una vista, sia sull’arco alpino che
sulla pianura, veramente grandiosa.
Tutto il percorso è ampio, arioso e panoramico, anche perché
quasi completamente privo di
vegetazione arborea. In compenso però la piccola flora alpina
è varia ed abbondante. Per quanto concerne la fauna, la più numerosa è senz’altro la marmotta
i cui fischi ci accompagneranno
per buona parte della gita. Ma
pure cinghiali, mufloni e camosci
frequentano la zona anche se
più difficili da osservare.
Ci converrà partire di buon
mattino, onde non fare col sole
già alto, il primo tratto di salita
su di un pendio esposto sud e
senza ombra. Da Villanova
1225 m, che raggiungeremo col
nostro mezzo (non ci sono servizi pubblici oltre Bobbio Pellice),
prima del ponte, avremo ampia
possibilità di posteggio e senza
attraversarlo proseguiremo sulla nuova strada per circa 900 m
fino alla prima grande curva dove è un ampio piazzale; di qui,
direzione nord, imboccheremo il
sentiero chiaramente segnato,
anche per la presenza del segnavia GTA che seguiremo fino alla
Colletta delle Paure. Dopo un
primo breve tratto tra fitti noccioleti perverremo alla frazione
Gardau 1283 m situata in posizione dominante, donde il nome.
Dopodiché un sentiero in salita a
mezza costa ci fa raggiungere il
Rio Garavaudan che attraverseremo proseguendo poi per La
Cassa e Culubrusa donde, sempre seguendo il segnavia GTA,
arriveremo alla località Landoulire 1734 m, ottima fontana.
SAN SECONDO
Sabato 4, nel tempio di San Secondo. sì sono uniti in matrimonio Valerio
Roccione (Milano) e Daniela Ganglio
(Roletto).
I nostri più sinceri auguri di una vita
in comune benedetta da Dio.
ANGROGNA
Domenica 17 luglio culto unico (10.30
al Capoluogo) di informazione sui lavori della Conferenza Distrettuale.
Doni per l’Asilo
di Luserna S. Giovanni
Ricevuto il 30 giugno 1981.
In memoria della sorella Linette:
Laura Monastier L. lOO.OOq.
Fin qui siamo saliti lungo un
vastissimo prato che, specie in
tarda primavera, presenta una
stupenda varietà di flora alpina.
Dissetati, riprendiamo a salire
l'erta china che trecento metri
più in quota su facile mulattiera
ci condurrà alla Colletta delle
Paure nome che dovrebbe, secondo alcuni, indicare un luogo coperto di faggi, che però a queste
quote non ci sono per cui ci sembrerebbe più appropriato indicarlo come luogo aperto ed esposto ai fulmini (dialetto faudre)
2110 m; h 3 circa da Villanova.
Qui termina si può dire, la parte
più faticosa della salita; una tappa s’impone, anche per ammirare il paesaggio dominato indubbiamente dalla suggestiva parete
nord del Monviso, proprio di fronte a noi, direzione sud. Scattate
le fotografie di rito, riprenderemo il cammino lasciando il segnavia GTA — Colle Giulian •—
per dirigerci ovest-sud-ovest su
di un sentiero in leggera salita
che attraversa la poco profonda
comba del Garavaudan ed in circa mezz’ora arriveremo al Col
Bancet 2224 m ove noteremo le
rovine dell’ex caserma e rifugio Martinat proprio sulla cresta
spartiacque dei due valloni (Garavaudan e Combalira). Proseguendo a destra, lungo il sentiero, arriveremo in pochi minuti
all’alpe Bancet il più elevato della Val Pellice 2249 m, h 3,45 in
superba posizione, ricco di acque, di bellissimi pascoli alpini,
situato ai piedi di una parete che
lo protegge dalle valanghe, dandogli l’aspetto di una panca (dialetto « banda » donde, forse,
Bancet). Questo bellissimo alpeggio è crocevia di diversi sentieri
e fu in passato, punto d’appoggio, sosta e pernottamento per
viandanti di diverse categorie:
turisti, militari, emigranti e contrabbandieri. Tutti trovarono ristoro e riparo sicuro in questa
tranquilla località.
Al turista non troppo frettoloso consigliamo vivamente la tappa principale della gita in questi
luoghi.
Di qui il nostro itinerario prosegue, salvo qualche breve tratto, solo più in discesa. Di tutti i
sentieri, seguiremo, quello meglio segnato, una comoda mulattiera direzione sud che arriverà
ad un pianoro 2100 m, dove, attraversato un ramo del Rio Combalira arriveremo ad un piccolo
stagno (spesso asciutto) donde
proseguendo quasi in piano, arriveremo al Col Content 2108 m
facilmente individuabile per la
presenza di postazioni fortificate
sotterranee della 2^ guerra mondiale. Il Col Content (zona indivisa tra due alpeggi) si trova appunto sullo spartiacque tra il vallone di Combalira che scende a
picco su Villanova ed il Vallone
di Crosènna dove siamo diretti.
Tutta la zona del colle è ricca oi
flora e, a fine luglio, vi fioriscono
copiose le stelle alpine. Attraversato il colle scenderemo il ripido
COMUNITÀ' MONTANA
VAL PELLICE
SERVIZIO
GUARDIA MEDICA
notturna - prefestiva - festiva
dal sabato ore 14 al lunedì ore 8
dalle ore 14 della viglila del giorno festivo Infrasettimanale alle
8 del giorno successivo presso
rOSPEDALE MAURIZIANO - Luserna San Giovanni - Tel. 90884.
Nella notte del giorni feriali, dalle ore 20 alle ore 8 (escluso sabato, domenica e vigilia dei festivi) presso l'OSPEDALE VALDESE - Torre Pellice - Tel. 932433.
GUARDIA FARMACEUTICA
festiva e notturna
12 LUGLIO 1981
Luserna S. Giovanni: FARMACIA
CALETTO - Via Roma 7 - Tel.
909031.
CHIUSURE INFRASETTIMANALI
A Torre Pellice: martedì chiusa
la farmacia Muston, giovedì chiusa la farmacìa Internazionale.
A Luserna San Giovanni: mercoledì chiusa la farmacìa Preti,
giovedì chiusa la farmacìa Gaietto.
AUTOAMBULANZA
12 LUGLIO 1981
PEYRONEL - Tel. 90355.
o tei. 91.288 - Vergnano - Noccioleto.
VIGILI DEL FUOCO
Torre Pellice: Tel. 91365 - 91300
Luserna S.G.: Tel. 90884 - 90205
COMUNITÀ’ MONTANA
VAL CHISONE-GERMANASCA
SERVIZIO
GUARDIA MEDICA
dal sabato ore 14 al lunedi ore 8,
dalle ore 14 della viglila del
giorni festivi alle ore 8 dei giorni
successivi al festivi
le notti dalle ore 20 alle 8.
M recapito del servizio è presso
la CROCE VERDE di Perosa Argentina - Tei. 81.000.
GUARDIA FARMACEUTICA
festiva e notturna
12 LUGLIO 1981
Villar Perosa
FARMACIA DE PAOLI
AUTOAMBULANZA
Croce Verde Pinerolo - Tel. 22664
Croce Verde Porte - Tel. 74197
Croce Verde Perosa - Tel. 81000
4
10 luglio 1981
NELL’ANNO INTERNAZIONALE DELL’HANDICAPPATO
Hi ho una testa
WJ
per pensare, io vivo
L Istituto di stato per il Commercio « C.l. Giulio » di Torino ha iniziato
una sperimentazione, unica in Italia nella scuola superiore, nel tentativo
di venire incontro agii handicappati che intendono proseguire gli studi
E’ consuetudine generale ritenere che, quando un ragazzo handicappato ha compiuto i suoi
studi fino al termine delle Medie, la scuola abbia esaurito, nei
suoi confronti, i propri compiti.
Essa l’ha assistito attraverso un
arco di tempo che va dalla scuola materna al compimento della
scuola dell’obbligo, gli ha consegnato un diploma, dopo di che
pare che per l'handicappato non
esistano più problemi: può trovare un lavoro o può continuare
gli studi. Lasciamo da parte la
questione « lavoro » che richiederebbe di per sé un approfondimento particolare e limitiamoci
a considerare l’handicappato
« fisico », non mentale, per cui il
discorso sarebbe ancora diverso:
ma chi si occupa dei suoi studi?
Chi si interessa al suo inserimento nella scuola superiore facendo sì che egli possa continuare
a socializzare e a studiare come
ha fatto fino a quel momento?
Quali strutture idonee al suo miglior rendimento gli fornisce la
scuola superiore? A tutti questi
interrogativi non c’è alcuna norma, alcuna legge in grado di rispoiidere, se non le parole di un
ministro di pochi anni fa: « Vada avanti chi può ».
Esperimento pilota
Ed è proprio reagendo a questa affermazione che l’Istituto di
Stato per il Commercio « C. I.
Giulio » di Torino ha iniziato
una sperimentazione, unica in
Italia a livello di Superiori, nel
tentativo di venire incontro agli
handicappati che intendono proseguire gli studi in vista del conseguimento di un diploma di
scuola superiore che li qualifichi
come i normodotati e apra loro
ulteriori possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Perché
un corso « sperimentale » e non
un semplice inserimento di handicappati in classi normali? Sulla base di esperienze precedenti
si è constatato che se è giusto
che l’handicappato sia inserito
tra ragazzi normodotati, è altresì indispensabile che gli si forniscano, individualmente, gli strumenti tecnici e pratici adatti a
farlo rendere secondo le proprie
capacità, altrimenti egli continuerà semplicemente a « socializzare », talvolta a « parcheggiare », ma non sarà messo in grado di affrontare un lavoro in modo autonomo e indipendente. E’,
infatti, assai difficile seguire in
Comitato cfl Redazione: Franco
Becchino, Dino Clesch, NIso De
MIchelis, Giorgio GardioI, Marcella Gay, Aurelio Penna, JeatvJacquea Peyronel, Roberto Peyrot,
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FRANCO GIAMPICCOLI
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« La Luca >: Autor. Tribunale di
PInerolo N. 176, 25 marzo 1960.
« L'Eco delle Valli Valdesi »: Reg.
Tribunale di PInerolo N. 175, 8 luglio 1960.
Stampa: Cooperativa Tipografica
Subalpina - Torre Pelllce fTorino)
modo producente il singolo handicappato in una classe di normodotati perché, inevitabilmente, si verifica una differenziazione di apprendimento e di rendimento dovuto spesso anche solo
a fattori pratici: lentezza nello
scrivere e quindi nel prendere
appunti, difficoltà nell’uso manuale di dizionari o codici ecc.
Per gli handicappati fisici (spastici, distrofici) la grande difficoltà è proprio questione di « velocità » manuale o difficoltà
espressive per cui essi hanno bisogno di tempi più lunghi al termine dei quali il loro rendimento potrà essere pari o superiore,
talvolta, ai normodotati. Inoltre’
non sempre tutti gli insegnanti
(e questo è un triste dato di fatto) sono disponibili ad accettare
difficili situazioni, o anche solo
al di fuori di una consuetudine,
per cui preferiscono « ignorare »
l'handicappato salvo poi promuoverlo o bocciarlo a seconda del
loro pietismo o intransigenza.
Programmi
differenziati
Ed ecco come l’Istituto Giulio,
preside il prof. G. Vanetti, ha affrontato questo problema. Si è
formata una classe mista di 6
handicappati fisici cui si sono
aggiunti volontariamente altri 9
studenti normodotati, per un
corso biennale di « Coadiutori ai
servizi di segreteria ». Le materie sono quelle del corso per
« Applicati di segreteria » con
programmi che hanno subito talune varianti, approvati dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Tali programmi si differenziano
in taluni momenti rispetto agli
handicappati e ai normodotati,
proprio per rendere più proficuo
lo studio agli handicappati: per
esempio la lingua straniera non
può venire insegnata e appresa
in ugual modo da chi ha difficoltà di parola e da chi non ce Tha,
perciò la classe per questa lezione si « sdoppia » e se gli handicappati la studieranno prevalentemente come traduzione con
esercitazioni apposite, gli altri,
in altro momento, la studieranno in modo tradizionale.
Così per la stenografia (ricordiamo che si tratta di un Istituto
per il Commercio): essa non può
essere seguita dagli handicappati che hanno difficoltà di movimento nelle mani, per loro è invece previsto un maggior numero di ore di dattilografia che viene ad essere, per taluni spastici
gravi, l’unico mezzo di comunicazione, non avendo essi quasi
l’uso della parola.
Altre materie, là dove non si
incontrano particolari difficoltà
(italiano, storia, geografia, diritto) vedranno i due gruppi di allievi riuniti a formare un’unica
classe. Solo così, si ritiene, Thandicappato può dare il meglio di
sé senza frenare o ritardare l’apprendimento dei normodotati e
senza sentirsi frustrato perché
non in grado di affrontare e superare certe difficoltà. La scuola
offre, inoltre, ad ogni handicappato strumenti « differenziati »
poiché non esistono handicaps
uguali: ogni ragazzo ha bisogno
del proprio strumento, sarà la
macchina per scrivere con « tastiera espansa » per un tipo di
spastico, sarà la « minitastiera »
per un distrofico, sarà il « girapagine » per un altro ancora.
Le difficoltà
Con queste attrezzature e su queste basi si sta svolgendo la nostra sperimentazione cui partecipa una équipe di insegnanti
che volontariamente la intendono seguire. Certo non mancano
le difficoltà: la differenza, già accennata prima, degli handicaps,
la mancanza o approssimativa
diagnosi per ogni allievo per cui
il Consiglio di Classe ha necessità di incontri chiarificatori con
il medico curante di ogni handicappato, le inevitabili difficoltà
di rapporti talvolta insorgenti
fra gli alunni poiché anche se i
normodotati sono in genere assai disponibili nei confronti degli handicappati, tuttavia non
sempre sono disposti ad assecondarne le esigenze pressanti: non
bisogna dimenticare che l’handicappato, sempre assai emotivo
e suscettibile è spesso stato abituato, in famiglia, ad un clima
estremamente protettivo per cui
ha reazioni imprevedibili di fronte a situazioni che per altri sono
del tutto normali. Tuttavia si ritiene che anche lo scontro e il
superamento di difficoltà di questo genere sia necessario e formativo per un handicappato che
si prepari ad affrontare, da solo,
il mondo « esterno ».
Un nostro alunno gravemente
distrofico ci disse, l’anno scorso:
« Finché ho una testa per pensare, io vivo ». Quando ci disse
questa frase il ragazzo si preparava ad affrontare il suo esame
di maturità; lo superò con grande dignità e forza d’animo, oltre
che con una buona preparazione e conseguì una più che discreta votazione. Si preparava ad andare all’università quando morì
nel sonno. Le sue parole non sono state vane e sono nel cuore e
nella mente di noi insegnanti che
abbiamo vissuto vicino a lui e
che perciò ci rendiamo conto come a questi ragazzi che hanno
una mente in grado di « pensare » siamo tenuti a dare gli strumenti perché questa loro capacità di pensiero si sviluppi, li
faccia diventare adulti, padroni
di loro stessi, di un mestiere o
di una professione, li faccia, in
realtà, « vivere ».
Elena Corsani Ravazzini
L’agape gratuita e liberante
(segue da pag. 1)
situazione di tutti i giorni, come è nella sua misura, nella
sua dimensione, nella sua realtà, nella sua disperazione come
anche nella sua superbia o nella
sua stupidità. Quante volte siamo soltanto sciocchi. Non aspetta davvero che se lo meriti,
ché non lo incontrerebbe mai,
ma lo cerca malgrado ogni contraria apparenza perché come è
scritto, lo sapete, nel muro là in
fondo: l’agape non verrà mai
meno.
L’amore che libera
Ma c’è un altro aspetto della
parabola che occorre credo rilevare e cioè questo : il ritrovamento della pecora, che suscita
gioia nel pastore e nei suoi amici, la libera dal rischio mortale
al quale è esposta, cioè l’amore
di Dio è liberazione per la vita
dell’uomo. Ora questo tema della liberazione è molto attuale,
quanto se ne è dibattuto e se ne
dibatte giustamente, se ne parla
sotto molti aspetti del resto, sotto molti profili. La medicina libera il corpo dalla malattia finché ci riesce, la psichiatria libera
l’anima dall’angoscia quando ci
riesce, la lotta politica libera
l’uomo, le classi, le razze dallo
sfruttamento e dalla sopraffazione quando ci riuscirà, tutto
questo accade, è un fatto della
nostra vita, della nostra esistenza, della nostra storia. E vale la
pena di impegnarsi, è evidente,
in questa lotta che è ricca di significato e di valore e tanto più
per dei credenti che non fanno
le 99 pecore che belano, per dei
credenti perché l’Evangelo che è
annuncio di vita e di risurrezione non sia confuso con un messaggio di un contentino per l’al
di là.
Una forza attiva
per la liberazione
Non è il contentino per Tal di
là questo messaggio dell’agape
ma diventa una forza attiva e
operante perché l’agape sia testimoniata nell’azione quotidiana proprio nella lotta per la liberazione dell’uomo sotto tutti
i profili e in tutti gli aspetti e in
questa prospettiva ultima per
cui diventi veramente parabola
della liberazione operata dal Cristo al prezzo ed al costo di cui
TE vangelo di Giovanni ci ha detto, e parabola e immagine del
Regno di Dio che viene; e qui
crediamo — perché ci crediamo
— che lottiamo oggi per la liberazione dell’uomo. Ma appunto
queste lotte, questi impegni non
sono che delle immagini, delle
parabole, se volete delle anticipazioni, se abbiamo il coraggio
e la faccia tosta di affermarlo,
della grande liberazione, ma non
possono esse liberare l’uomo dall'angoscia mortale, né dargli la
libertà che nasce dal conoscere
il senso e la speranza ultima di
tutte le cose, il perché della fatica quotidiana e la speranza che
tutto questo abbia veramente un
senso e un significato malgrado
ogni contraria apparenza che
può sussistere. La parabola ci ricorda che soltanto l’agape che è
Cristo ritrova l’uomo nel momento della solitudine, quando
niente altro può veramente liberarlo ed è qui il fondamento di
ogni liberazione che prefiguri
l’ultimo evento della nostra personale storia e della storia del
nostro mondo.
In questi momenti in cui si ricordano esperienze che prevalentemente tra voi sono le ultime esperienze perché siete in
maggioranza giovani, la tentazione di fare i grandi discorsi è forte, le critiche radicali, anche questo è forte, i progetti generosi,
anche questo è bello. Ora io ho
creduto invece di rivolgervi oggi
questa riflessione perché ho pensato che bisogna ritornare alle
cose più semplici, più elementari, più scontate, per ritrovarle
e ripartire. Di fronte alla serietà
degli impegni che si delineano
come talvolta di fronte — i pochi della mia generazione che sono qui presenti possono forse
dirlo — alla stanchezza o alle delusioni dopo tanto battagliare. Di
fronte a tutte queste cose positive e negative occorre ritrovare
e rinnovare il fondamento di
ogni azione e di ogni speranza
anche se ci sembra ormai banale e scontato ma è il solo, l’unico
possibile, e riscoprire questa lieta certezza della fede, l’agape
che cerca e non dimentica, che
libera dal rischio mortale. Quella non verrà mai meno!
Neri Giampiccoli
Proverbi africani
Non si asciugano le lacrime di
chi piange,
senza bagnarsi le mani.
(Africa del Sud)
È impossibile svegliare un uomo
che fa finta di dormire.
(Ghana)
Iniziativa
Y.W.C.A.
Ci sono diversi modi di reagire,
alla vista di un handicappato, da
parte di una persona cosiddetta
« normale ». C’è chi prova un
senso di pietà; c’è chi prova un
senso di angoscia, direi di colpa,
perché Thandicap del suo simile
10 colpisce come una grave forma di ingiustizia. Ma il sentimento che il non handicappato
prova più frequentemente guardando una persona gravemente
menomata è di ammirazione per
11 coraggio, anzi per l’eroismo
che l’handicappato dimostra nella sua volontà di vivere, lavorare e talvolta anche di sorridere.
Viene spontanea alla mente ed
alle labbra questa espressione;
« Io non ce la farei! ».
Per fortuna istituzioni di vario
tipo cominciano a capire che
qualcosa di concreto va fatto
per gli handicappati; la società
sta rendendosi conto che i diritti di tutte le minoranze vanno tutelati, quindi anche i diritti degli handicappati. Si tratta infatti di un problema di diritti umani, non solo di salute. A questo
proposito ascoltiamo le parole di
un handicappato, John Hov^ard,
che così esprime le frustrazioni
di coloro che sognano un mondo
in cui la piena umanità di ogni
essere umano venga affermata
« Non vogliamo la vostra pietà,
la vostra carità. Vogliamo i nostri diritti. Siamo stanchi di istituzioni, di paternalismo, che ci
tratta come bambini, o, peggio,
come grotteschi ’’animali da
compagnia” ».
In un fascicolo pubblicato dall’Y.W.C.A. mondiale (in italiano
U.C.D.G.), in occasione dell’anno
internazionale dell’handicappato
e del 29 aprile, « giornata dell’Y.W.C.A. mondiale », c’è una dichiarazione di grande ottimismo:
« L’anno internazionale degli han
dicappati sarà un anno in cui, in
un modo o nell’altro, il mondo
capirà che esistono infiniti ’’handicaps”. Sarà un anno di comprensione, comunicazione, costruzione di un nuovo mondo
variamente sfaccettato e colorato, un mondo trasformato...
Troppo a lungo la lava ha covato
nel vulcano e quando, mano in
rnano, ne esploreremo le profondità, scopriremo una nuova fonte di energia: 400 milioni di persone arricchite dalla sofferenza ».
Veramente cristiano il motto
scelto dall’Y.W.C.A. circa il rapporto tra handicappati e non
handicappati: « Servitevi gli uni
gli altri nell’amore ».
L’espressione « Servirsi nell’amore » è facile a comprendersi:
si tratta di un servizio che uno
rende ad un altro. C’è uno che
dà ed uno che riceve. Ma la reciprocità indica qualcosa di rivoluzionario, un nuovo modo di
servire e di amare, veramente
cristiano, per cui chi riceve dà e
chi dà riceve. E che cosa può
dare un handicappato a chi non
lo è? La risposta a Patrick Segali, un atleta che diventò invalido a 24 anni. Egli sogna una società più umana e più ricca con
la partecipazione degli handicappati, appunto perché essi sono
« arricchiti dalla sofferenza ».
Parole profonde, pronunciate da
un vero cristiano e comprensibili solo ad un vero cristiano.
Concludendo, la società non
sia avara di aiuti concreti e di
terapie riabilitanti che permettano all’handicappato di inserirsi
nel mondo del lavoro e di integrarsi completamente. Sarà il
nostro un aiuto profittevole, perché chi dà riceve.
Non diamo pietà, dato che è
considerata umiliante, ma simpatia, non dimenticando che la
presenza di handicappati e di
disadattati di ogni tipo ci dimostra che ogni essere umano è
una creatura fragile, minacciata, imperfetta ma creata e benedetta da Dio.
Silvana Tron
■ Per mancanza di spazio siamo stati costretti a rinviare
alcuni articoli e a « tagliarne »
molti altri.
Ci scusiamo coi collaboratori
e coi lettori.