1
BILYCHNB
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno V :: Fasc. I.
GENNAIO 1916
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 GENNAIO - 1916
DAL SOMMARIO: Guglielmo Quadrotta: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra — EDUARDO TAGLIALATELA: Morale e Religione — MARIO FALCHI: Affinchè Essi non siano morti invano — FERRUCCIO RUBBIANI : Padre Gaz-zola — ROMOLO MuRRI: Cristianesimo e Storia — D. G. WHIT-TINGHILL: Augurii — G. PIOLI : Lutero « ateo e materialista »? — LA GUERRA (notizie, voci, documenti): Profanazioni natalizie -Messaggio natalizio delle Chiese e « giorno d’intercessione » -« Merry new year » - 1 « friends » e la coscrizione - Ultimi momenti di miss Cavell - * Et ultra ! » (G. PIOLI).
3
REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo # l*
Via Crescenzio, 2 - ROMA
D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per l'Estero
Via del Babuino, 107 - ROMA AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO
Per l’Italia L. 5. Per l’Estero L. 8.
Un fascicolo L. 1.
fi Si pubblica il 15 di ogni mese
in fascicoli di almeno 64 pagine, fi
4
CRISTIANESIMO E GUERRA
Recentissime pubblicazioni in deposito presso la Libreria Ed. “ Bilycbnis „
Via Crescenzio, 2 - ROMA.
JOHN W1ÉNOT, Paroles françaises prononcées à l’Oratoire du
Louvre. Pagine 180 ............. L. 2,50 PAUL STAPFER, Les leçons de la guerre. Pagine J80 . . . » 3,50 W1LFRED Monod, Vers rÉvangile sous la nuée de guerre.
Courtes méditations pour commencer chaque semaine. Première et deuxième série. 2 volumi di 200 pp. ciascuno. . » 5,75 Alexandre Westphal, Le silence de Dieu (pag. 26) . . » 0,65 HENRY Barbier, L'Evangile et la Guerre.........» 0,50
E. DOUMERGUE, La Guerre, Dieu, la France. La France peutelle demander à Dieu la victoire? ........ » 0,30
H. BOIS, Patrie et Humanité....................» 0,75
La Guerre et la Donne Conscience.......» 0,65
JEAN LafON, Evangile et Patrie, Discours religieux. Il 1° vol.
di pag. 210 L. 3.25, il 2° di pag. 360 ....> 3,75
H. Monnier, W. Monod, C. Wagner, J.-E. Roberty, etc.,
Pendant la Guerre. Discours prononcés à ('Oratoire et au
Foyer de Pâme à Paris. 10 volumetti di 100 pagine. Ciascuno ...................................... 1,25
LOUIS Trial, Sermons patriotiques prononcés pendant la guerre
1914-1915. (Vol. di pag. 100) .......... » 1,25 P. Batiffol, P. Monceaux, E. Chénon, A. Vanderpol,
L. Rolland, F. Duval, A. Tanqueroy, L'Église et
là Guerr e . . , ........ . . . . . . »4 — G. QUADROTTA, II Papa, l'Italia e la Guerra . ... . » 2 — R. MURRI, La Croce e la Spada.......... » 0,95 A. TaGLIALATELA, / Sermoni della Guerra........» 3,50
5
BtOINB
RJVISlÀ DI SlVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA • DI ROMA
0L
SOMMARIO:
GUGLIELMO Quadrotta: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra..................................pag. 5
[Ritratto di S. E. Antonio Salandra. Tav. fra le pp. 4 e 5].
Eduardo TaGlialatela: Morale e religióne (seguito e fine) ... » 28
Mario Falchi : Affinchè Essi non siano morti invano.............. » 41
Ferruccio Rubbiani: Padre Gazzola ........... » 53
ROMOLO Murri: Cristianesimo e Storia (Ad A. Ghignoni). ... » 58
NOTE E, COMMENTI:
D. G. Whittinghill: Augurii...................................... » 65
Giovanni Piòli : Lutero • ateo e materialista » ? ............... » 67
LA GUERRA (Notizie, Voci, Documenti):
Giovanni Pioli : Profanazioni natalizie - Messaggio natalizio delle Chiese e «giorno d’intercessione» - « Merry new year? (Buon capo d’anno) -I « friends » e la coscrizione - Ultimi momenti di Miss Cavell - « Et ultra ! »......................................... » 69
ILLUSTRAZIONI :
Paolo A. Paschetto: La Cattedrale di Trento (Disegno).............. 68
Emilio Mantelli: Tessera per la Mostra d’arte di Sarzana......... » 79
Cambio colle Riviste ........................ » 69
Pubblicazioni pervenute alla Redazione ............. « 76
Dai quotidiani: Versi sacrileghi ................... » 77
Opuscoli estratti da « Bilychnis.............................. » 81
Libreria Editrice -< Bilychnis » .................. » 84
7
S. E. ANTONIO SALANDRA
PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI D'ITALIA
(Propr. riieti'. Fot. F.lli D’Aleuandfi - Roma)
(1916. 1]
9
RELIGIONE, CHIESA E STATO
NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA
guerra delle nazioni, e in essa la guerra italiana, non sono guerre mferjKjyQtesSùjl di religione nel senso classico e storico della parola; nessuna chiesa, 1 nessuna confessione, in quanto tale, ha inspirato, fomen-tato, capitanato l’attuale guerra. Peraltro, tutte le chiese europee ¡ddjwl sono coinvolte in essa e vi partecipano. Il Sultano, in ma-niera particolare, ha dichiarato la sua una « guerra santa ». Ma ■By«ifiM anche i Cattolici, i Luterani, gli Ortodossi, gli Anglicani, gli Israeliti, hanno recato sui campi di battaglia con l’ardore della loro fede, i simboli della loro credenza. I problemi religiosi, considerati fino alla vigilia della guerra dibattiti interni delle chiese, fenomeni individuali di coscienze in crisi, manifestazioni peculiari di tendenze intellettuali e di indagini critiche e filosofiche. un po’ fuori della realtà storica presente, sono riapparsi tra il fragore delle armi, nel pensiero dei politici e nei sentimenti delle moltitudini, connessi ai problemi stessi dello sviluppo delle nazioni; realtà operanti, elementi non secondarii nello sforzo immane per il conseguimento dei fini del conflitto.
La religione, nel suo significato generico di consapevolezza delle finalità più alte della vita, di esaltazione delle più nobili esigenze dello spirito, in vista di una realtà sovraindividuale, non poteva essere estranea ad una guerra non di prìncipi ma di princìpi, che si combatte per far primeggiare in una Europa rinnovata e purificata, i valori spirituali che reca con sè il trionfo dei diritti delle nazionalità, della libertà, della cultura non schiava del militarismo, della fusione delle razze affini.
10
6 BILYCHNIS
L’esperienza religiosa durante la guerra, si è però rivelata in nuove forme: i riti ed i sacramenti hanno subito, specie nella prassi cattolica, trasformazioni in aperto contrasto con le leggi canoniche e teologiche (i). I vescovi hanno unito la loro voce a quella dei governanti; e, mentre il Primate belga, cardinale Mercier, assicurava la salvezza eterna ai soldati caduti per la Patria (2), Lloyd George, ministro della Gran Brettagna, in nome di Dio invocava l’aiuto dei cittadini e delle donne per la produzione delle munizioni. E così i dignitari della Chiesa anglicana richiamavano i fedeli ad una più esatta valutazione della gravità della guerra e della necessità di combatterla vigorosamente, mentre il capo della Chiesa cattolica, come
(1) Citiamo, fra i molti, un episodio fra i più significativi. Il Corriere della Sera, ii agosto 1915, in una corrispondenza intitolata: Sacerdoti -soldati, narrava:
« Tornavano un giorno alcuni reggimenti dal Calvario. La battaglia era stata dura. S’erano avute, naturalmente, delle perdite.
« — Dica loro due parole... — soggiunse un generale a pariré Gemelli.
■ — Anzi — rispose questi — dirò la messa.
« L'altare fu allestito sul campo con una cassetta d’ordinanza. I battaglioni si disposero in quadrato. Padre Gemelli infilò il camice sopra l’uniforme e celebrò la messa. Era riuscito, la sera innanzi, a confessare una trentina di uomini, ma al momento della comunione si volse intorno e gridò:
* — La battaglia vi ha purificati. Sono pronto a comunicarvi tutti.
« Sfilarono in un migliaio — ufficiali e soldati — davanti al rustico altare, e padre Gemelli dovette dividere le sacre particole in minutissimi frammenti per contentare quella folla commossa.
» — Sei venuto anche tu? — diss'egli, un po’ sorpreso a un fuciliere che gli si parava dinanzi nella ressa.
« — Che vuole? Vedo qua un prete ch’è un ufficiale e sotto il camice gli luccicano gli speroni... E allora non capisco piu niente: metto da banda le mie idee e mi comunico anch’io!... ».
Nessun giornale cattolico riferì il fatto, nè lo smentì. Anzi, avendolo noi ricordato in una breve polemica col cattolico Corriere d'Italia, nel Messaggero del 5 ottobre 1915, il giornale si tacque e non rispose più verbo.
SHa scritto il cardinale Mercier, nella sua storica Pastorale del Natale 1915: « Un ì dello stato maggiore generale mi domandava, giorni fa, se un soldato che cade servendo una causa giusta — e la nostra lo è certamente — è un martire.
« Secondo il senso teologico stretto della parola, no; il soldato non è un martire, poiché muore con le armi alla mano, mentre il martire si abbandona senza resistenza alla violenza dei suoi carnefici.
« Ma se voi mi domandate ciò che penso della salute eterna di un valoroso il quale pienamente convinto dà la sua vita per tutelare l’onore della sua patria e per vendicare la giustizia violata, allora io non esito a rispondere che, senza duboio. Cristo incorona il coraggio militare, e che la morte, accettata cristianamente, assicura al soldato la salute della sua anima.
• “ Noi non abbiamo, dice il Divin Salvatore, un miglior mezzo per praticare l’amore, che dando la nostra vita per coloro che amiamo ” " Maiorem hac dilecltonem nenio habet, ut ani mani suam ponat quis pro amicis suis ” (Giovanni, xv, v. 13).
« Il soldato che muore per salvare i suoi fratelli, per proteggere i focolari e gli altari della patria, realizza questa superiore forma di carità.
« E vero che non sempre farà esattamente l’analisi del valore morale del suo sacrifizio; ma si dovrà mai ammettere che Iddio esiga dal valoroso, che si butta nel fuoco della mischia, le precisioni metodiche del moralista o del teologo?
« Noi ammiriamo l’eroismo del soldato. Sarebbe mai possibile che Iddio non lo accogliesse con amore?».
11
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA
7
vicario del Cristo, affermava la sua neutralità morale e spirituale e la imparzialità nel conflitto; e Antonio Salandra, primo ministro d’Italia, dimostrava dai Campidoglio la santità e la giustizia della guerra, mostrando l’esempio dell’arcivescovo di Pisa, cardinale Pietro Maffi, che esortava dal pergamo i fedeli a dare quanto possedevano di forza, di attività e di ricchezza alla Patria (i). Iddio si sono sforzati di sottomettere alla loro causa, chiamandolo spesso testimonio e compartecipe delle loro operazioni militari, i sovrani degl'imperi Centrali; Iddio, per il trionfo delle loro armi hanno invocato l’arcivescovo di Parigi, cardinale Amette, l’arcivescovo di Colonia, cardinale Hartmann, il capo del Santo Sinodo di Russia.
L’Europa ha veduto rifiorire, sui campi insanguinati, il senso religioso della vita, e gli uomini di chiesa hanno trovato le parole più alte per associare la religione di cui sono ministri, al fenomeno della guerra. Tuttavia uno storico del Cristianesimo fra i maggiori, Alfredo Loisy, è indotto a chiedersi se l’Europa sia ancora cristiana, o se lo sia mai stata.
« Ci si potrebbe domandare se l’Europa è ancora cristiana o se lo è stata mai. Poiché il cristianesimo ha proclamato la fratellanza dei popoli o piuttosto la fratellanza di tutti gli uomini senza distinzione di nazionalità. Ora, sono le nazioni, pretese cristiane, che si sterminano in questo momento senza pietà. Il Cristianesimo è dunque sul punto di distruggere se stesso o non esiste già più? La terra è ancora piena dei suoi rappresentanti ufficiali, e senza dubbio essi non saranno potuti restar muti davanti alla crisi presente, la più formidabile smentita che sia stata portata contro la loro fede da che essa esiste » (2).
Ed uno studioso cattolico, il cardinale Gasquet, proclamando il fallimento del socialismo, scrive (3): « Fu affermato che la fratellanza universale dei cristiani, uniti in ogni paese da una fede comune, fornirebbe contro una guerra fratricida una sicurezza molto più certa di qualsiasi convenzione o trattato. Il presente conflitto ha dimostrato chiaramente che il cristianesimo non è in grado di scongiurare la catastrofe della guerra ».
Deve, dunque, anche il Cristianesimo dichiarare il suo fallimento?
(1) « Ieri l’altro un principe della Chiesa ingiungeva al clero della sua archidiocesi : “ Inspirate il proposito fermo della più severa disciplina e dell’amore sincero alla nostra terra che renda a chiunque impossibile di suscitare una discordia in un’ora nella quale la concordia è dovere supremo. Ieri potevamo discutere, domani lo potrete ancora: oggi no ”. (Dal discorso di A. Salandra tenuto in Campidoglio il 2 giugno 1915).
In un suo recente viaggio, essendosi fermato brevemente a Pisa, l’on. Salandra chiese notizie al Prefetto degli ospedali della città. Il Prefetto li enumerò. Quando accennò all’ospedale creato nel Palazzo Arcivescovile messo a disposizione dal cardinale Maffi. l’on. Salandra disse : « Pisa ha la fortuna di avere un arcivescovo, uomo di scienza e di cuore, che è d’esempio a tutto il clero italiano ». Il Prefetto osservò come l’on. Salandra fece l’onore al cardinale Maffi di ricordarlo nel discorso del Campidoglio.
Ed il Salandra soggiunse: » Lo ricordai volentieri e dissi quello che profondamente sentivo, benché io non abbia l’onore di conoscerlo personalmente ».
(2) A. Loisy, Guerre et Religion, Paris, E. Nourry, 1915.
(3) Card. A. Gasquet, Le convenzioni internazionali e l'autorità morale, nella Dublin Review, ottobre 1915. Riprodotto largamente nel Corriere d‘Italia del 15 ottobre 1915, e in altri giornali cattolici.
12
8
BILYCHNIS
Ma — nota un altro storico, il Salvemini (i) — « insieme al diritto internazionale e al socialismo e al cristianesimo, sarebbero fallite tante altre cose: la democrazia, il principio di nazionalità, i concetti stessi di ragione e di diritto: tutto quanto di più nobile e di più santo ha elaborato finora attraverso una lunga vigilia dolorosa, la coscienza morale dell’umanità. Ma è poi proprio vero il fallimento di tutte queste direzioni di pensiero? ». Alla domanda il Salvemini non ha risposto; ma la sua formulazione fa intravedere abbastanza il suo convincimento negativo.
Per quel che riguarda il cristianesimo l'errore è, secondo noi, neiridenti ficare la causa della religione in genere, con quella delle religioni e delle confessioni particolari; del Vangelo e del cristianesimo con le istituzioni che credono di rappresentarlo. Il cristianesimo non ha ancora penetrato di sè la vita europea, e quindi non si può dire in fallimento, se anche esso riceve dalla guerra attuale una ferita grave; ad ogni modo meno grave di tante ricevute, quando i papi combattevano e facevano combattere. Essa non sarà mortale, anzi può essere salutare, e tale sicuramente sarà per le chiese che dovranno dopo la pace fare una revisione delle proprie dottrine e delle loro applicazioni.
Una opportuna distinzione fra religione in generale e le sue concrete specificazioni fa uno scrittore, la cui vita può considerarsi una esperienza religiosa nel mondo moderno, il Murri, notando che la « religione è la storia, ed è tutta la storia sotto uno speciale punto di vista ». Quelli che non sanno parlare di religione senza riferirsi ad una religione storica, che essi conoscono e nella cui orbita vivono (per esempio, al cattolicismo romano), « confondono lo spirito e la coscienza umana con un momento e con un fatto storico, contingente e relativo, concretato in dottrine ed in riti i quali danno un'apparente unità esteriore a cose fra sè infinitamente diverse, come è diversa da uomo a uomo la vita delle coscienze, e che, esterne e immobili, sono come la lava del vulcano, che stagna, si raffredda, si solidifica e muore. Essi confondono l’idea religiosa con quello che forse è già solo il cadavere di un'idea (2).
E proprio in nome dell'idea religiosa sono insorti belgi, francesi, inglesi cattolici quando è parso loro che il Papato sottomettesse ai suoi fini politici il loro fervore religioso.
Le chiese e le confessioni religiose combattono dunque anch’esse per le nazioni nelle quali hanno profondato le radici, combattendo per la loro vita stessa: ed esperienze spirituali nuove e inattese si formano nel dramma cui assistiamo (3).
Ma i valori religiosi rinascenti quale nuova influenza diffonderanno? Il cristianesimo quale parte avrà nelle decisioni della guerra; in quali forme si affermerà
(1) G. Salvemini, Alla ricerca di un’autorità, nel Secolo, io gennaio 1916.
(2) R. Murri, La Croce- e la Spada, Firenze, R. Bemporad, 1915.
(3) Oltre i « casi », che ognuno ha modo di constatare personalmente, basterà ricordare qui il nome di Eugenio Vajna di Pava, democratico cristiano, professore ad Aosta, pensatore delicato e forte, sottotenente volontario negli Alpini, che ha scritto prima di cadere sul campo il 21 luglio 1915, lettere che sono fra i documenti più significativi della guerra. Al Vajna è stato dedicato un numero unico c\aì\’Azione di Cesena, ove son riprodotte alcune sue corrispondenze e interessanti brani di lettere.
13
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEI. PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA 9
e con quali fini? Le convinzioni religiose, areligiose o antireligiose di coloro che dovranno decidere delle sorti della nuova Europa si ripercuoteranno nelle prossime definitive determinazioni? Ed i rappresentanti delle Chiese avranno come tali il diritto di partecipare a quelle determinazioni? 0 non piuttosto tutte e singole le nazioni dovranno curare le loro tradizioni religiose per lo stesso fine di consolidare la loro compagine nazionale ? (i) E non dovranno i governi vigilare perchè i sentiménti religiosi dei popoli non vengano tramutati in calcoli politici?
Questi problemi non possono oggi essere approfonditi e risolti; oggi possiamo, però, compiere indagini utili a chiarire a noi stessi i molteplici fattori che dovranno concorrere a risolverli domani. E particolarmente utile, fra queste indagini, è la ricerca del pensiero di coloro a cui sono affidate le sorti delle nazioni.
Questi cenni ci è apparso necessario premetterli al tentativo al quale ci siamo accinti, di ricostruire, cioè, il pensiero religioso, o meglio, il concetto che del fenomeno religioso si è formato ed ha esposto, lungo il corso della sua attività di scienziato e di uomo politico, colui che presiede alla vita della nazione italiana — in quest’ora gravida di avvenimenti grandiosi — alla quale, con la partecipazione alla guerra egli ha aperto la via per affermare in Europa e nel mondo il dominio e la consapevolezza del suo pensiero e la forza c la coesione della sua unità spirituale e civile.
« • *
Antonio Salandra non è uno spirito religioso, intesa là religione come un’esperienza mistica vissuta individualmente. Temperamento essenzialmente politico, egli della religione ha un concetto storico e politico; teista, accetta la tradizione cattolica, pur non essendo un fedele professante; liberale, vuole distinto* lo Stato dal cattolicismo, che considera come una delle forze nazionali, ma che non deve assorbire nè turbare la sovranità dello Stato.
Conservatore convinto e fervido, gli atteggiamenti di Antonio Salandra, coincidenti spesso con quelli del cattolicismo politico, lo hanno fatto ritenere a volta a volta, credente e cattolico. Quando la Camera dei Deputati prima del 1904, non annoverava fra i suoi membri « cattolici deputati », il Salandra appariva come il rappresentante politico dei cattolici liberaleggianti: la sua opposizione al progetto di legge per il Divorzio, i suoi accenni frequenti alla importanza delle correnti cattoliche.
(1) In un interessante articolo di N. De Nolva, /.« Papaulé et le catholicisme après la guerre, che appare nel fascicolo di febbraio de La Revue. lo scrittore, dopo aver messo in rilievo il carattere nazionale assunto dai cattolici nei paesi belligeranti, osserva: « Pare probabile che, a guerra finita, le chiese nazionali di Francia e del Belgio potranno godere di una più grande autonomia e che le opere internazionali — com’è avvenuto in Germania — potranno nazionalizzarsi. Roma resterà la testa, l’organo centrale della direzione generale, ma i diversi paesi non saranno più dei semplici membri mossi dalla sola volontà romana e possederanno dei centri d’azione indipendenti. L’episcopato francese potrà uscire c\3.\Veffacement in cui la sua resipiscenza eccessiva l’aveva relegato. Avrà la missione morale si nobile e bella che esercita ora. e s’intenderà senza dubbio accanto al motto: • Roma locuta est », l'altro motto: >< Gallia locuta est ».
14
10 BILYCHN'IS
l'omaggio reso più volte al cattolicesimo, l’intonazione di tutta la sua attività, vigorosamente oppugnatrice delle idealità affermate dalle Sinistre, lo indicava come il più eminente dei parlamentari conservatori affine ai cattolici; e la sua partecipazione al primo ministero Sonnino del 1906, del quale facevano parte due democratici anticlericali, il Sacchi e il Pantano, era una garanzia per i cattolici italiani della impossibilità di una politica ecclesiastica a loro avversa. Egli medesimo, quando — a proposito del suo discorso contrario alla mozione Bissolati del 1908 sul divieto dell’insegnamento religioso nelle scuole elementari ed al regolamento Rava escogitato dal ministero Giolitti — gli fu ricordata la sua vicinanza al Pantano nel Governo, rispose con chiaro significato: « Ma bastavo io a compensare Pantano! ».
Era, dunque, Antonio Salandra, l’interprete del pensiero dei cattolici alla Camera e l’assertore dei loro interessi politici? Sarebbe errore affermarlo. In politica, però, il Salandra stesso ci ha detto, che il parere è l'essere. « In politica — egli disse alla Camera — il parere, se non vale quanto l’essere, vale poco meno » (1).
E la maggiore sua preoccupazione, in quarant’anni di attività scientifica e politica è stata quella di mantenersi rigidamente coerente nella sostanza e nelle forme a quel programma liberale conservatore che aveva fatto suo e si era prefisso di svolgere fin da quando, iniziando i suoi studi universitari, si legò di amicizia a quei colleghi come Giustino Fortunato, Francesco Torraca, Emanuele Gianturco, Giorgio Ar-coleo, Amedeo Maziotti, Alberto Marghieri, che divennero poi, in diversa guisa c per diverse vie, illustrazioni della scienza e della politica, muovendosi tutti nello stesso terreno del partito liberale.
Del suo pensiero politico, però, il Salandra non ci ha offerto una esposizione organica e sistematica, benché lo abbia dichiarato sempre con lucida vigorìa, quando
(1) Antonio Salandra è nato a Troia in Capitanata, il 13 agosto 1853 da Gaspare, proprietario agricoltore, e da Fortunata Granata. A tredici anni conseguì la licenza ginnasiale, a quindici quella liceale con lode. Laureatosi nell'aprile del 1872 a diciannove anni, a ventiquattro con una memoria intitolata: / debili pubblici nell'economia nazionale, ottenne la libera docenza in economia politica all’università di Napoli. Fu nel 1879 da Francesco De Sanctis, ministro dell’istruzione, chiamato all’università di Roma ed incaricato dell’insegnamento della Legislazione dell’economia finanziaria. Più tardi ebbe la cattedra di scienza delFamministrazione. e dal 1901 è ordinario di diritto amministrativo. I suoi principali lavori sono: Il riordinamento delle finanze comunali {Nuova Anto-logia, 1878) ; Di un catalogo critico delle fonti della Storia d'Italia (Nàpoli, Giannini, 1879) il cui argomento gli fu suggerito da Francesco De Sanctis; La progressione dei Bilanci negli Stali Moderni, prolusione all’Università di Roma, (Roma Tip. Elzeviriana, 1879); De* melodi c criteri per calcolare la ricchezza in Italia. Relazione verbale alla Giunta centrale di Statistica (Roma, Botta, 1880) ; c varii elaborati e dotti saggi sul divorzio, sulla perequazione, sulla politica dell’agricoltura, sul socialismo antico, alcuni dei quali hanno riveduto la luce, dopo circa trentanni in un volume curato da Giustino Fortunato: Politica e legislazione (Bari, Laterza, 1915) all’indomani della sua ascensione alla direzione del governo. Ha pubblicato inoltre un Codice e un Trattato della giustizia ammini-prativa (Tonno, Unione Tipografica Editrice Torinese, «893-96) ; le sue Lezioni di Scienza dell’Amministrazione (Roma, Landi, 1894-95-96-97): La Riforma agraria, (Roma, Bertero, 1900). E deputato dal 1886; fu ministro dell’Agricoltura, delle Finanze e del Tesoro. E alla Presidenza del Consiglio dall’aprile 1914. Per un profilo del Salandra, cfr.: V. Morello, Antonio Salandra, nella Lettura, agosto 1915; G. Quadrotta, Antonio Salandra «modesto borghese», nel Secolo XX, agosto, 1915.
15
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA II
gli se ne offriva l'occasione. I suoi scritti politici, i suoi volumi, sono composti della raccolta dei discorsi pronunciati alla Camera o in pubbliche riunioni e dei suoi articoli e saggi apparsi non frequentemente in qualche rivista. E soltanto dopo oltre un quarto di secolo di vita politica, nel 1912, egli si indusse a comporre, dei suoi discorsi e dei suoi saggi, un libro di battaglia politica (1) avendo preferito fino ad allora di stampare piuttosto i suoi trattati scientifici.
Con quel libro egli segnò il primo passo della sua evoluzione parlamentare, assumendo una più spiccata autonomia dal capo del gruppo nel quale aveva militato fedelmente per tanti anni, Sidney Sonnino, e disegnando quasi un programma di governo, del quale fossero sostanza le sue idee; quel programma credette vittoriosamente di affermare dal banco del governo quando il 2 aprile 1914 presentò il suo primo ministero alla Camera dei Deputati come espressione del « grande partito liberale », e tre giorni dopo ripeteva, a chiarire i suoi intenti, nella risposta ai deputati di opposizione, quella parte del suo ultimo discorso elettorale in cui era detto: « Sono un liberale dell’antica e classica scuola italiana. Appartengo al partito che fu creato da Camillo Cavour e può tuttora governare il paese secondo le direttive segnate dalla sua mente ». È soggiungeva che il partito liberale deve ancora tenere il governo del paese ed è degno di tenerlo « a patto che si mostri disciplinato, cosciente della sua forza e dei suoi doveri civili verso la Patria e verso tutte le classi della società italiana ».
Era convinto, Antonio Salandra, di poter dare finalmente a quella borghesia italiana, che era stata sempre oggetto dei suoi studi e dei suoi incitamenti, un indirizzo politico concreto,, una linea d’azione che la riscattasse da quasi mezzo secolo di confusa e bassa politica parlamentare, i cui esponenti maggiori erano stati Agostino Depretis e Giovanni Giolitti. Il partito liberale — egli pensava — trova le sue forze sopratutto nella classe media, in quella che — con espressione vaga e mal definita, ma non priva di contenuto — suol chiamarsi « borghesia ». La borghesia italiana ha ancora a sua disposizione un enorme tesoro di energie mentali e materiali. Essa è ancora di gran lunga superiore alle altre classi e agli altri aggruppamenti della società nostra. Organizzarsi è il diritto della borghesia liberale: essa deve disporsi ad esercitarlo animosamente. Alla borghesia liberale spetta legittimamente la rappresentanza e la direzione del Paese.
Ma pochi mesi dopo, asceso al Governo» vide il suo programma dileguarsi al contatto con la realtà storica che gravava sull’Europa e sull’Italia; vide il partito liberale e la borghesia scindersi ed una parte operare contro il suo governo; ed egli si trovò improvvisamente divenuto rappresentante di quei partiti democratici che aveva sempre schiettamente combattuto, non ritenendoli capaci di assumere la direzione dello Stato; e mercè il loro aiuto, la loro propaganda, i loro sforzi, potè ricondurre l’Italia sulle sue vie storiche, raggiungere l'unità morale e politica necessaria a proclamare la guerra di rivendicazione nazionale ed europea.
(1) A. Salandra, La politica nazionale e il -partito liberale, Milano, Treves, 1912.
16
12
BILYCHNIS
Ma egli non considerò — come vedremo — esaurito o fallito il suo programma ; il Salandra anzi confida che la grave crisi che attraversa l'Europa possa restituire alle sue idee, conclusa la pace, una vitalità più forte, una risurrezione duratura. E quella parte del suo programma che riguarda il concetto della religione e l’attitudine dello Stato italiano di fronte alla Chiesa cattolica e al suo capo, egli ha anche parzialmente applicato.
* * *
La personalità intellettuale di Antonio Salandra è interessante; studioso profondo, attento, elegante, la sua produzione intellettuale è composta di magnifici frammenti, nei quali si ritrova un filo conduttore, un pathos morale, che fa davvero deplorare come egli non ci abbia dato un’opera organica, in cui l’essenza del suo pensiero raggiungesse una espressione ed una unità definitiva. Non giudichiamo, naturalmente, della sua attività scientifica estranea al nostro esame. Scrittore non abbondante, anzi, forse, pigro, è difficile coglierlo in fallo; le sue indagini sono complete, le sue dimostrazioni rigorose. Ma spesso viene avvertito un disagio nel seguirlo che proviene dalla mancanza di un afflato più vivo, di un lampo più luminoso. Sembra che egli raffreni lo slancio a cui lo spingerebbe lo spirito, per rimanere sul terreno della realtà positiva. Così, leggendo i suoi scritti e i suoi discorsi molti si sono chiesti se egli è credente ed in qual modo ed in quale forma. Credente egli certamente è; cattolico, teologicamente, no. « Nessuna innovazione noi respingiamo per ragioni dommatiche », egli ha detto, mettendosi così fuori della tradizione ortodossa (i). Riconosce al cattolicismo la sua funzione storica, il suo contenuto religioso, ma nega alla Chiesa romana uh carattere politico: « La patria non contro, ma prima della Chiesa ».
E di quei liberali che si trovano bene vicino ai cattolici, ma non vogliono essere confusi con essi.
Potrebbe essere avvicinato a Gaetano Negri, ma di quel fecondo e profondo scrittore non ha l'ardore della ricerca, l’interesse per lo studio delle religioni. Come lui, però, riconosce l’efficacia della fede, l’importanza del fenomeno religioso; ma nel Salandra tutto viene attenuato, raffreddato, per così dire, ridotto a fatto politico, sottoposto ad una analisi che spesso toglie alla religione i suoi propri caratteri, così che ne risulta un fenomeno comune da valutarsi alla stregua degli altri fenomeni sociali.
Le crisi religiose non le comprende, i dibattiti su materie religiose non l’interessano (2); prese parte alla discussione sull’insegnamento religioso, svoltasi alla
(1) Su la istituzione del divorzio in Italia. Relazione parlamentare (1903), in Politica e Legislazione, pag. 408.
(2) Collaboratore fra i più ascoltati del Giornale d’Italia —della cui Società fu anche consigliere d’amministrazione fino a quando salì al Governo — il Salandra era fra coloro che dissuadevano il direttore di quel giornale, Alberto Bergamini,, dal seguire con tanta manifesta simpatia, fino ad assumerne le difese, il movimento modernista, negli anni 1907-1968. Il Salandra, in conversazioni private, sosteneva che il pubblico era deviato dalle discussioni religiose e che gli italiani erano e dovevano rimanere cattolici, senza secessioni. Del suo parere non era invece Sidney Sennino, ispiratore principale di quel gior-
17
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA
13
Camera dei Deputati, perchè si trattava d'una discussione prevalentemente giuridica; allora, come per il divorzio ( « non possiamo lasciare che si trasmuti in politica o religiosa una questione, la quale è, e deve rimanere, soltanto giuridica e sociale »), come sempre, si sforzò di ricondurre il dibattito sul puro terreno politico e giuridico. Egli sembra preoccupato di non cadere in discussioni filosofico-religiose, quando le rasenta.
Eppure nella sua gioventù, poco dopo essere uscito dall'università, nel 1880, tradusse i Principi di Sociologia di Erberto Spencer (1), il filosofo che ha avuto notevole influenza sul suo pensiero, al quale ricorse quando dovette dare una definizione di Dio; ma del sereno filosofo inglese, che era riuscito a risollevare il valore delle polemiche religiose, dopo mezzo secolo di scetticismo volteriano, il Salandra non ha inteso l’aspirazione ad un pensiero universale.
Antonio Salandra non ama la speculazione, ma soltanto la realtà storica, il fatto positivo. Ma non è neppure un positivista scientificamente. Egli non si è mai definito espone il suo pensiero in base ai fatti, discutendo sempre le idee altrui, demolendole, spesso, e contrapponendo le sue; non ha un sistema, aborre dalle categorie. È idealista-positivista, critico, storico: il suo pensiero è accennato più che svolto; ma è sempre chiaro, reciso, sincero. Non si inoltra nei labirinti filosofici, perchè teme di disperdersi.
« La speculazione pura — egli ha scritto discutendo la concezione sociologica di Achille Loria (2)—- si può intendere e se ne può apprezzare l’altissimo valore: Platone resterà vivo, quando molte-sociologie saranno relegate a canto alle Somme teologiche. Ma, fuori della speculazione, non è ammissibile altra via salvo quella della ricerca lunga minuta paziente della realtà storica dei fatti, con l'obiettivo modesto di accertarne i rapporti costanti, se e per quanto essi esistono e sono riconoscibili, e di subordinare ai risultati di tale osservazione, preconcetti, dai quali non Ci si è potuto spogliare, non quelli a questi.
« È sempre una stessa cagione — scrive il Loria — che giace al fondo dei fenomeni sociali; innanzi al loro raffronto cessa quel carattere portentoso e inesplicabile che a primo tratto rivestono e noi ci troviamo costretti anche una volta a riconoscere con Herder, che ogni fatto storico è un fenomeno naturale ». E volentieri (soggiunge ¡1 Salandra), con Herder, col Loria e con innumerevoli altri, lo riconosco io pure.
naie, che si interessava vivamente al movimento modernista, delle cui pubblicazioni era lettore diligente. Ma ne! 1909 il Giornale d'Italia fu costretto a disinteressarsi del modernismo, in seguito alla proibizione dei vescovi della sua lettura, ai sacerdoti e ai fedeli, e alla minaccia maggiore d’una condanna nella stessa città di Roma. Da allora, all’ infuori di qualche episodio clamoroso, la stampa italiana, assorbita anche da argomenti, più propriamente politici, non si è più preoccupata di quel movimento, talché una parte del pubblico lo considera quasi estinto.
(1) Principi di;'Sociologia di Herbert Spencer. Prima traduzione in italiano del prof. Antonio Salandra. Biblioteca dell'Economista, diretta dal prof. Gerolamo Boc-cardo, voi. Vili, Torino, Unione Tipografica Editrice, 1881.
(2) La teoria economica della costituzione politica di A. Loria {Giornale degli Economisti, 1886, voi. I), ripubblicato in Politica e Legislazione.
18
J4
BILYCHNIS
Ma in nome della scienza stessa e della integrità della umana natura, è impossibile accettare le cause uniche in genere, questa causa unica in ispecie. Se la fame è un fenomeno naturale, è — fortunatamente per la natura umana — un fenomeno naturale anche la fede. Coteste vostre diminuzioni arbitrarie della natura, coteste ricerche della causa unica, che par più scientifica sol perchè più bassa, si riducono ad una metafisica a rovescio, ad una teologia dell’appetito, le quali lasciano desiderare ardentemente la vecchia metafisica e la vecchia teologia. Se la umanità sarà ridotta a scegliere fra la vostra filosofia della storia e quella di Agostino e di Bossuet, auguriamole e auguriamoci che ripudi gli scienziati e gli economisti, e si appigli ai santi ».
E soggiunge:
« Povera scienza moderna! Essa è ridotta, con questo suo vigoroso campione, ad accettare la verità dei sofisti. Il Loria sottoscrive esplicitamente alla sentenza del più antipatico fra gl’interlocutori dei Dialoghi della repubblica, di quel Trasimaco Calcedonio, che affermava la giustizia essere quel che giova ai più forti. 0 perchè, ricordando Trasimaco, non ha egli discussa la vittoriosa confutazione di Socrate? O perchè non ha cercata, in un altro dialogo platonico, la scena sublime — la più sublime, che storia o leggenda: narri dopo quella della morte di un Dio in espiazione dei peccati degli uomini — nella quale Socrate ricusa tranquillamente, per ossequio alle leggi della patria, di sfuggire alla iniqua condanna? Non sul Golgota, nè nella carcere d’Atene imperavano i motivi economici » (i).
lì dunque un inno alla fede, alla santità, alla religiosità della vita?—si domanda il Caggese. esaminando il pensiero politico di Salandra. «No — egli risponde —; il Salandra non ci crede affatto, e non gl’importa che sia così: forse, anche, ne sarebbe contrariato se così fosse. Non è un filosofò, non è un teologo, non è, probabilmente, neppure un credente. Quel che gl’importa è di difendere, contro gli economisti unilaterali, la sua concezione dello Stato e della legge, che è poi la concezione socratica opposta a quella di Trasimaco » (2).
Lo Stato e la legge: ecco un punto fermo della dottrina di Salandra; la fede, la religione nazionale possono essere, sono elementi utili a mantenere intatta la compagine statale, a non turbare l'imperio del diritto. L’interesse dello Stato, però, deve prevalere su tutti gli altri. La legge è molto, se non tutto, è il vincolo più vigoroso che allaccia la società civile, è la base di ogni progresso, la ragione di ogni riforma; violarla e negarla è violare e negare la civiltà stessa: è ricadere nella barbàrie. Lo Stato non può essere strumento di lotta di classi o di dottrine: esso ha l’ufficio di attutire le asprezze e le violenze, poiché lo Stato è la legge, la morale, il potere pubblico che di tutti si alimenta e a tutti dona il suo presidio.
Trovandosi Antonio Salandra a parlare ai giovani per l'inaugurazione dell’anno accademico dell'università di Roma (1906), egli, trattando di un argomento a lui
(1) Politica e Legislazione, pagg. 256 e segg.
(2) R. Caggese, Gli scrini politici di A. Salandra, in Rivista d'Italia, maggio 1915.
19
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SAI.ANDRA
15
assai gradito, Diritto e politica, esaltò l’ossequio assoluto alla legge come la più alta espressione delle virtù umane. La sua cultura pre-cristiana gli suggeriva gli esempi; egli ama attingere spesso ai filosofi greci. Si direbbe quasi che egli ignori o si sforzi d’ignorare la storia antica del Cristianesimo, la rivoluzione portata dal Vangelo, la nuova sorgente scaturita sul mondo antico della quale si alimenta da venti se-coli l’umanità; e il Golgota avvicina alla carcere di Atene, più per associazione di due termini ideali anzi che per un profondo convincimento morale.
E agli studenti rilegge una pagina di Platone, nella limpida traduzione del Bonghi, dimenticando che l’ammirazione per il pensiero platonico e la civiltà greca non fecero trascurare, anzi incitarono quello scrittore geniale allo studio del Cristianesimo antico.
« I poeti, i filosofi, i giureconsuti deH’Antichità più civile — l’epoca storica con la quale ha maggiori analogie la nostra — celebrarono con magnifiche parole l’apologià della legge. Fra le caratteristiche del tipo eroico del cittadino, ch’essi ci han tramandato, insuperabile primeggia l’ossequio assoluto alla legge. Nella rupe delle Termopili non il valore o l’amor patrio dei morti era iscritto, ma l’osservanza della legge: — « Viandante, va a dire a Sparta, che siamo morti qui per obbedire alle sue leggi » — E qUei Socrate ¡stesso, che fu il più grande fra gli apostoli e fra i martiri del libero esame, quell’imperterrito scrutatore di coscienze, quell’aere censore delle istituzioni ateniesi e delle loro aberrazioni oligarchiche o demagogiche, quel sovversivo che ai conservatori paurosi pareva pericoloso demolitore delle tradizioni, del diritto, della religione avita, condannato in un giudizio, ch’egli riteneva ingiusto, da giudici offesi dal suo altero contegno, non volle, per non violare le leggi, sfuggire alla morte. Per lui, disobbedire alle leggi era tutt’uno che uccidere la patria; per lui il rispetto della cosa giudicata, anche intrinsecamente ingiusta, era il fondamento dello Stato. Alla passione popolare, insorta violenta contro i generali vincitori alle Arginuse e risoluto a condannare in un giudizio tumultuario senza le forme prescritte dalle leggi, egli aveva resistito arrischiando la vita. Agli oligarchi, che gli avevano commesso un arresto arbitrario, egli aveva disobbedito. E gli oligarchi gli vietarono di professare liberamente le sue dottrine, e i demagoghi lo uccisero. Ma la morte consacrò per i posteri la virtù del suo insegnamento.
« Rileggete, o giovani — voi che in questa Roma non potete prestare orecchio alle voci barbariche che vi dissuadono dalla cultura classica — rileggete il dialogo che, pel contenuto morale, è fra le più sublimi tragedie antiche.
« Le leggi personificate dimostrano a Socrate che egli non deve consentire agli allettamenti del pietoso amico, il quale gli aveva preparata la fuga. Esse, le leggi, sono la città stessa ordinata a vivere civile; esse sono la patria. “ E della madre e del padre — esse dicono — e degli altri progenitori tutti è più preziosa cosa la patria e più veneranda e più santa, e in più alto loco presso gli dei e presso gli uomini che hannno senno; e la patria sdegnata teco bisogna venerarla e cederle e blandirla più che non il padre, ed o convincerla,’© fare ciò ch’essa comandi, o soffrire tranquilli, quando ordini di soffrire, qualunque cosa, o che tu sia battuto o messo in catene, o ti conduca in guerra ad èsserci ferito o morto... e non ci si ha nè a ricusare, nè a
20
i6
BILYCHNIS
ritrarsi, nè ad abbandonare le file, ma in guerra e in tribunale e soprattutto quello si deve fare che comandi la città e la patria ” » (i).
.Altissimo esempio, suggestiva parola; ma quanto essa corrisponde alle necessità spirituali di quella «civiltà cristiana» la quale, confessava il Salandra recentemente, ha fatto le generazioni degne di destini più grandi? Non è forse più vicino a noi, più presente e conforme al nostro spirito, l’ammonimento evangelico: « Date a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio»? L’esortazione del Cristo, il rimprovero che era nelle sue parole ai farisei, non può, forse, essere anche oggi norma di condotta verso lo Stato e verso Dio? Non racchiudono quelle parole la distinzione fra il potere civile e politico e quello .religioso, fondamento del pensiero moderno? Lo spirito freddo di Antonio Salandra non si riscalda alla luce del Vangelo, egli non apre il gran libro per non addentrarsi in un esame critico che o porterebbe troppo lungi dal suo indirizzo mentale e dal corso delle sue meditazioni; ricadrebbe in quelle discussioni religiose che egli vuol evitare: e da Platone salta a Silvio Spaventa. Così può ritrovare senza turbamento i due suoi grandi amori: la Legge e lo Stato.
Ed ai deputati, nella sua relazione sul progetto sul divorzio, diceva: « La Camera deve deliberare sulla grave controversia, libera di pregiudizi religiosi come di pregiudizi antireligiosi, e senza lasciarsi governare da nessun interesse, che non sia quello della società e dello Stato » (2).
Il fondamento del suo pensiero, è derivato in gran parte da Silvio Spaventa. « Io sono adoratore dello Stato. Quando viviamo in un’epoca dove tutto si distrugge, poco o nulla si edifica, la fede nella patria e la fede nella solidarietà umana, la fede in qualche cosa che non sia solamente il nostro miserabile egoismo, questa fede io la vedo necessaria e salutare al mio paese», aveva detto lo Spaventa; ed il Salandra ha rinverdita e applicata la formula.
* « *
Ma la fede di Antonio Salandra non si esaurisce nello Stato. Egli è anche un credente dal punto di vista religioso; è un teista, un cristiano; la sua credenza è più intellettuale e storica che sentimentale; e non si sente autorizzato a dichiararsi « cattolico romano ». Ossequente delle forme, rispettoso della religione dello Stato, ha educato i figli secondo la dottrina cattolica, ma senza imporre loro un indirizzo confessionale.
È il tipo perfetto del liberale; e diciamo ciò senza addentrarci in discussioni Critiche.
Anch'egli ha invocato Dio, a riguardo della guerra, ma senza abusarne. Lo ha invocato, non nelle assemblee politiche, non sul Campidoglio, ma privatamente.
(ri Platone, Crilone, XII (traduzione di Ruggero Bonghi), in La politica nazionale, pag. 121.
(2) Politica e Legislazióne, pag. 352.
21
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA
17
Rispondendo ad un telegramma augurale di Pasquale Villari, scriveva: « L’ardua impresa dovrà esser compiuta perchè Dio lo vuole! ».
Qual’è il Dio di Antonio Salandra? Egli ci risponde con Erberto Spencer, che « una verità si impone alla nostra coscienza, di tutte la più larga, la più certa: la verità che esiste un Essere inscrutabile, il quale si manifesta dappertutto, e di cu lo scienziato non può trovare nè concepire il principio nè la fine, e che in mezzo ai misteri i quali, quanto più si scrutano col pensiero, tanto più diventano misteriosi, si erge una certezza assoluta: quella, cioè, che siamo sempre in presenza di una energia infinita ed eterna, da cui procedono tutte le cose ».
Questa certezza non ha fatto di Antonio Salandra un cattolico professante.
Egli ha trovato una formula che appaga il suo intelletto, e non si sforza di approfondirla e di rènderla « sua »; non ha il brivido che faceva scrivere al maestro, chiudendo il suo ultimo libro Fatti e Commenti : « Negli ultimi anni la coscienza che senza origine o causa lo spazio infinito ha sempre esistito e sempre deve esistere, produce in me un sentimento dal quale rifuggo».
Il Salandra di fronte ai problemi religiosi rimane impassibile e, talvolta, sorridente.
Concludendo una sua conferenza su Manfredi, egli con arguta parola si rivolse alle signore perchè pregassero a rendere all’infelice più breve la dimora nel Purgatorio, ricordando che egli fu amico degli uomini colti e delle donne belle. « Ma soggiunse, poiché una orazione sia esaudita in Cielo, occorre
• che surga su di cor che in grazia viva.
« Data questa condizione, poco può giovargli la memore simpatia degli uomini colti del tempo presente. Ma voi, signore, voi che — non lice dubitarne — vivete in grazia, pregate, pregate per il bellissimo peccatore » (1).
Affermava, il Salandra Una incompatibilità dell’uomo colto con la preghiera? Affermava, per l’uomo colto, l’impossibilità di godere la « grazia » e di vivere in essa?
Ma il suo temperamento, signorilmente e suggestivamente scettico, non lo conduce ad approfondire problemi sottili e casi di coscienza; a lui piace accennarli e passar oltre.
Così, occupandosi in un articolo, del Socialismo antico del Cagnetti De Marti, concludeva :
« Chi ha saputo rintracciare nella nebbia dei miti le prime origini del Socialismo antico, dovrebbe pigliare l’impresa di rintracciare nel Socialismo cristiano le origini dell’utopia contemporanea. Poiché, non vale il negarlo, essa discende dal vae divili bus (s. Luca, VI, 24), annunciato alle turbe dal Divin Maestro; nè avrà speranza di sincera effettuazione sino a quando la parola d’un altro maestro divino non avrà confusi e sgominati dottori e farisei, e non avrà riscossa la torbida fede dei moderni ».
(1) Manfredi, in Rivista d'Italia, maggio 1914. (Ripubblicato in Politica e Legislazione).
22
18
BILYCHNIS
È anche questo un atto di fede? No; è la ricerca di una « realtà storica»», direbbe il Salandra, la constatazione di un fatto positivo. È la sola volta che egli cita il Vangelo, ma non per farlo suo, anzi per constatarne quasi il fallimento, se un altro divino maestro non verrà a riproporlo alla fede inerte dei contemporanei. È un’utopia il socialismo moderno, come lo fu quello antico, cioè il cristianesimo; il Salandra, in due periodi, con parole caute e misurate, ha raccolto l'essenza del suo pensiero. Egli parla da storico, non da credente, nè è abituato a confessarsi in pubblico. Spesso viene il dubbio che egli non sia neppure credente, tanto lo storico ed il politico si sovrappongono all’uomo.
Anche nei momenti in cui il suo spirito doveva essere più travagliato dalle grandi responsabilità che era per assumere dinanzi alla nazione e alla storia, la sua credenza aveva un carattere simbolico più che reale; il pensiero andava a Dio, ma senza troppa fede: Dio o Giano o Camesena, avevano per lui lo stesso valore religioso? Parrebbe, da alcune righe che diresse ad uno scrittore, il 24 aprile 1915, pochi giorni prima che denunciasse il Trattato della Triplice Alleanza. « Il vento, per me non si tace mai. Che Iddio mi aiuti, o, se vi piace meglio, che Giano eterno e Carne-sena, l’autoctona madre nostra, proteggano la loro progenie » (1). Era un omaggio alle idee paganeggianti di colui a cui era diretta la lettera, o una forma di indifferenza religiosa? Le interrogazioni, i dubbi che suscita il pensiero religioso di Antonio Salandra non potrebbero essere sciolti che da lui.
♦ ♦ *
Sul terreno storico intorno al cattolicismo il Salandra possiede idee precise e convinzioni profonde; le questioni religiose sono per i teorici ed i filosofi. Egli ragiona sul terreno della « realtà storica ». E su questo terreno, è un avversario deciso del Papato politico, delle aspirazioni di dominio, non soltanto temporale, ma politico della Chiesa Romana. Il suo pensiero, in tale argomento, ha un particolare sapore di attualità.
Studente da giovinetto, poco dopo il '6o, nel Convitto nazionale fondato nel 1807 da Giuseppe Bonaparte; deputato trentanni dopo, dal 1890, di Lucerà, della storica opulenta Apidiae civitas, egli ne ha subito il fascino. La città che vide nella sua magnifica storia avvicendarsi Sanniti, Bizantini, Longobardi, Normanni ; che fu teatro della guerra asprissima fra la Curia Romana e Federico II di Svevia; che vide Manfredi, reduce dalle vittorie di Toscana e di Lombardia, gettare le fondamenta di una monarchia nazionale, che Clemente IV incaricò Carlo D’Angiò di distruggere, insieme al biondo re e alla colonia dei Saraceni, la storia di questa città ha offerto al Salandra elementi non secondarii nelle sue convinzioni sul papato politico.
Commentando il terzo canto del Purgatorio, egli ha scritto: « La fatalità storica di nostra gente era legata alla seconda Roma, vanto altissimo, ma terribile tormento nostro, ed anche questa volta pagammo a prezzo dell’esistenza stessa dello Stato
(1) V. Morello. !, c.
23
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA IQ
nazionale, l'onore di dar sede alla capitale del mondo cattolico». A Lucera, infatti, fu soffocato nel sangue, all’alba del Trecento, il tentativo di liberazione dal potere politico del papato.
Ma. in quel suo mirabile saggio sul Cavour di Francesco Saverio Kraus, scrittore e prete cattolico tedesco, discepolo di Rosmini, morto a Roma nel 1902, il suo giudizio sulla missione politica del Papato, divenne più completo e più grave.
« L'interpretazione Krausiana della storia medioevale e moderna. d’Italia — egli scrisse — è del tutto opposta a quella unilaterale ed angusta, per non dir falsa, che prevale nelle scuole clericali; ed è anche più larga e liberale e mcn guelfa di quella che fu in voga a mezzo il secolo xix ed ebbe la sua maggiore espressione nel Primato dei Gioberti e nel Sommario del Balbo. Il Kraus è condotto — come egli osserva che accadde a Dante — verso il ghibellinismo dalla esperienza storica, che dimostrò fatalmente fallite le speranze del risorgimento d’Italia per opera del Papato e sulla base del guelfismo.
« 11 Papato ebbe nel 1245 col concilio di Lione, completa vittoria sopra la casa di Svevia e sopra l’impero tedesco. Ma non seppe di poi nè dare alla penisola un saldo orientamento politico, nè mantenere la propria supremazia universale, quale la tenne sotto per un momento Innocenzo III; nè guarentire la libertà stessa dei Comuni. Dopo il trattato di Bologna, nel quale fu patteggiata la rovina della repubblica fiorentina e sepolto l'onore dei Medici, l’Italia fu data dal Papa stesso per interessi famigliali, in balìa non del capo del Sacro Romano Impero, che Dante avea invocato liberatore e ordinatore, ma del rappresentante il più cupo dispotismo ispano-austriaco. A questo fu e rimase asservito il Pontificato romano, lacerando i gloriosi legami che lo avevano avvinto al liberalismo guelfo.
■ E da allora il Tedesco e la Curia romana furono dagl’italiani considerati come i nemici della nazione » (1).
Rapida e felice sintesi storica che il primo ministro d’Italia non avrà dimenticata;
* * ♦
Due principalmente sono i maestri di Antonio Salandra, all’autorità dei quali egli si compiace di fare appello: Camillo Cavour e Silvio Spaventa. Ma il suo spirito ci sembra più affine al secondo. Dal Cavour il Salandra ha attinto le origini, dallo Spaventa il pensiero animatore: l’uno è la base, l’altro il vertice. Il Salandra ha voluto comporre in sè un'armonia dei due grandi politici così vicini e così dissimili. Non si nasconde le lacune dello Spaventa, dovute sopratutto al suo carattere sdegnoso, ma ne cerca una giustificazione; fa sua la politica di Cavour, ma non l'accetta interamente, specie sul terreno ecclesiastico.
Così, fermandosi sulla politica ecclesiastica di quel grande, egli indica agl'italiani come suo testamento politico il discorso del 27 marzo del 1861, nella memorali) La politica -nazionale, pag. 46 e seg.
24
20 BILYCHNIS
bile discussione che terminò con la proclamazione di « Roma capitale acclamata dall’opinione nazionale» (ordine del giorno Boncompagni). « Allora Cavour dichiarò, — scrive il Salandra — ma per chi legge tutto il discorso, senza troppo impegnarsi, che non con la forza Roma avrebbe dovuto essere unità all’Italia. Nè dato il momento in cui parlava, avrebbe potuto, dal banco del governo, fare diversa dichiarazione » (i).
Quel discorso è, infatti, un documento sommo di finezza e di acume politico, ma non può essere compreso e valutato in tutto il suo valore, distaccato dalla politica ecclesiastica precedente di Cavour, da quelle sue nitide osservazioni al progetto concordatario di Pantaloni, meravigliose per la geniale intuizione e la perfetta espressione della distinzione fra i due poteri civile ed ecclesiastico, dalle sue preoccupazioni anche d’indole morale per la libertà interna della Chiesa e là sua capacità a trasformarsi e migliorarsi (2). Certo sarebbe un gran beneficio per l’Italia se Antonio Salandra tornasse compiutamente a Cavour; egli troverebbe nella sua dottrina, nelle direttive da lui segnate allo Stato verso la Chiesa, il metodo per sciogliere più di un problema presente.
L’adesione del Salandra al pensiero di Silvio Spaventa è più profonda, più sicura. Con la guida dello Spaventa, egli pone ai cattolici, delle obbiezioni, che da solo non avrebbe poste, risolvendole talvolta favorevolmente ai cattolici.
«Coloro che non osano chiamarsi cattolici — egli scrive — non hanno ancora mostrato in che modo essi intenderebbero superare le antinomie logiche fra la immutabile dottrina cattolica e il pensiero moderno, che è l’anima, come pensava Spaventa, dello Stato moderno, e le antinomie storiche fra la Curia romana e lo Stato Italiano. Restano per ora, soli possibili, come prima, i liberali — i liberali conserva-tori e progressisti a un tempo e travagliati dall’intima contraddizione, dalla quale non si possono affrancare, che è gloria e tormento loro e condizione necessaria della loro stessa esistenza. Per mezzo secolo essi hanno durato così a reggere le sorti dello Stato italiano, da essi creato; e dovranno durare ancora per molto tempo, fino a quando il loro fato non sia compiuto (3).
E, poco appresso:
« Si vantano, ed a ragione, gl’inglesi che l’impero della legge in cui riassumono tutte le loro libertà, civili e politiche, trovi fra loro il più valido presidio nell’affetto, starei per dire nella religione, del popolo, a lawloving people. E noi italiani, ai quali nel v secolo dell’Era cristiana, un poeta d’oltre Alpe esprimeva la gratitudine del già barbaro mondo occidentale pel dono inestimabile della pace, della civiltà, dello Stato, del diritto... paini consortia juris, noi saremmo indegni del più glorioso nostro retaggio, se, acquistata la patria e le libere istituzioni, non sapessimo vivificarle e difenderle, ridestando vigorosa nel popolo nostro la coscienza e la religione della
(1) Op. cit., pag. 55.
(2) Cfr. F. Scaduto, Guarentigie pontificie e relazioni fra Chiesa e Stalo. Torino. Unione Tipografica Editrice, 1889, specialmente i capitoli I e IL
(3) Op. di., pag. 96.
25
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA
21
giustizia e del diritto, sopite nei lunghi secoli, nei quali la scettica acquiescenza alla violazione e all’inganno fu l’indice più funesto della nostra decadenza morale e civile ».
Ma, mentre con lo Spaventa, aveva trovato un’antinomia profonda fra la dottrina cattolica e il pensiero moderno, altrove, nella relazione parlamentare sul Divorzio, il Salandra accetta quella medesima dottrina, finché lo Stato non abbia saputo infondere nelle sue leggi un contenuto etico che possa sostituirla.
« È il supremo principio etico della famiglia — egli dice — che trova a prescindere dalle mie credenze religiose — il Salandra non indica nè qui nè altrove, quali siano — la sua comune sanzione nella legge dello Stato. Che se lo Stato intende affermarsi degno successore della Chiesa nella direzione delle società civili, occorre che esso preservi col massimo rigore e possibilmente afforzi ed elevi gli elementi etici delle sue leggi. Se le indurrà a meri regolamenti di volontà e d’interessi individuali e di materiali appetiti, un’altra legge quali che siano le mutevoli vicende dei tempi e le fallacie degli interpreti, si terrà sempre al di sopra delle sue ».
Ma lo Spaventa ha indicato il compito dello Stato in questo campo : « All’ influenza morale della Chiesa, che ci è avversa, — egli scrisse — sulle moltitudini, noi non abbiamo altra azione da contrapporre che la Scuola». Ed il Salandra sembrò accettare il pensiero dello Spaventa quando, « disegnando con l’accesa fantasia » — com’egli disse — quel che dovrebbe essere la scuola media italiana, pensò ad un Istituto multiforme « nel quale ad una grande libertà di movenze e ad un grande rispetto alla varietà delle vocazioni e dei fini della vita e ad una ardita liberazione dalle pastoie burocratiche si accoppiasse una severa disciplina e una indefessa consuetudine di lavoro; nel quale — fra l’altro — armonicamente concorrano tutti gli sforzi di tutti gli interessati nello Stato, che deve essere pari all’altissimo compito di suprema direzione delle forze sociali, da esso rivendicate verso la Chiesa» (i).
Ma, discutendosi alla Camera dei Deputati la mozione dell’on. Bissolati contro l’insegnamento religioso nelle scuole elementari, il Salandra, tornando ad esaminare i fatti, trovava che il cattolicismo è il fondamento della vita nazionale, la base della nostra cultura.
« Noi un fatto non possiamo negare — egli diceva — che il sentimento cristiano, nella sua forma cattolica, sia il fondamento delle istituzioni e degli ordinamenti sociali italiani; noi non possiamo negare che il cattolicesimo sia entrato in tal modo nella nostra vita, nella nostra cultura e nella nostra arte, che non è possibile sbarbicarlo, e che non sarebbe certo sbarbicato da quei poveri untorelli che sono gli articoli di un regolamento scolastico.
«Tutto questo potete deplorare; ma non potete negarlo: sono fatti. Ed è un fatto anche che i giovani, i quali abbandonano la fede cattolica, i figli del nostro popolo, non passano ad un’altra forma, che potrebbe anche pensarsi e desiderarsi
(i) Politica e legislazione, pag. 440.
26
' ~----------------------------------------------------------------22 BILYCHNIS
da alcuni, più elevata, di fede; non passano da una qualsiasi credenza al!’agnosticismo austero dei grandi pensatori dei tempi nostri; ma cadono nella miscredenza grossolana e volgare, i cui funesti effetti sociali e morali è inutile descrivere. Queste sono constatazioni incontestabili di fatto. È per queste ragioni intrinseche, che io non posso votare la mozione dell’onorevole Bissolati ».
Queste contraddizioni di atteggiamento, diverse nelle varie occasioni che offrivano al Salandra, il modo di scrivere o di parlare — forse soltanto apparenti, ma non meno evidenti — ci fanno nuovamente deplorare che Antonio Salandra non abbia rielaborato il suo pensiero in un'opera omogenea, frutto di una meditazione meno affrettata, di un esame interiore più vigile, estraneo alle preoccupazioni momentanee della politica parlamentare.
Ma egli si dichiarò contrario alla mozione Bissolati anche per ragioni politiche, perchè avversario dell'anticlericalismo.
« Sono io dunque un clericale? — egli si chiese. — E probabile che domani così dicano e non me ne importa; ma non'direbbero il vero. Io sono bensì uno che non vuol dare il suo nome ai quadri ufficiali dell’anticlericalismo. E questa mia resistenza deriva dalla considerazione che il trionfo deiranticlcricalismo, in questo momento, non sarebbe un bene per il nostro paese.
« Io sarei anticlericale insieme all’on. Bissolati e a chiunque, se il pericolo clericale fosse una realtà: vale a dire se vi fosse alcuna probalità che la direzione dello Stato italiano passasse nelle mani del partito clericale, o, per non usare un’espressione sgradita a persone egregie, di un partito cattolico militante.
« Ora questo non è nè probabile, nè possibile per ora.
« Potrà divenire possibile, anche rapidamente, ma in seguito ad un vostro trionfo.
ft Non è possibile, lo ripeto, che il cattolicismo militante s’imponga allo Stato italiano. Non è possibile per una ragione logica e per una ragione storica.
«Il cattolicismo politico si trova nella disgraziata condizione .di non potere sconfessare la sua dipendenza da una volontà, da una podestà la quale si tiene al di fuori e si ritiene al di sopra dello Stato. E quindi lo Stato non potrà mai affidar-segli; nè completamente disarmare verso di esso.
« Inoltre la Curia di Roma ha tanto e così lungamente peccato contro la patria, per tanto corso di secoli, che ora le tocca subire l’espiazione di una lunghissima astinenza da ogni potere politico in Italia ».
E raccogliendo questi pensieri, egli li aveva fatti precedere da alcune dichiarazioni che fissavano i rapporti rispettivi fra i liberali e i cattolici.
« Non ha bisogno il liberalismo italiano di essere anticattolico o antisocialista, perchè non può disconoscere gli elementi ideali, il sentimento religioso e quello della solidarietà umana, a cui cattolicismo e socialismo debbono il loro pertinace vigor di vita Ma nell'orbita dello Stato, devono prevalere le idealità della patria e il sentimento della nazione. A chiunque riconosca questa supremazia —la patria non contro, ma prima della Chiesa; la patria non contro ma prima dell'umanità — il liberalismo italiano deve essere aperto. Come prima vi convennero, vi converranno poi, giova sperarlo e procurarlo, gli elementi migliori, i più assimilabili delle
27
——————
---------------------------»------------------RELIGIONE. CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA 23
altre zone politiche. Ma il partito liberale deve rimanere quello che esso è; può assorbire, non essere assorbito o snaturato (i).
» * »
Salito al governo alla vigilia della più grande crisi che il mondo abbia mai attraversato, Antonio Salandra non ha dimenticato le sue idee; si è sforzato anzi di realizzarle. La guerra italiana, la sua preparazione politica, i fattori determinanti di essa, le « storiche giornate del maggio 1915 » hanno dato più di una smentita a molte previsioni, a molti programmi, ed il Salandra vide naufragare il suo sogno di raccogliere tutte le frazioni del partito liberale intorno al suo programma. Ma egli non lo ha dimenticato. Anzi, dopo sei mesi di guerra lo ha riaffermato nettamente, a Milano, il 5 novembre 1915. in un ricevimento all'Associazione liberale.
« Il partito liberale in questo anno memorando — egli disse — come fece la monarchia liberale italiana nel ’59, deve riunire tutti gli italiani sotto un solo vessillo che guidi al compimento, alla grandezza della Patria nostra.
« Ritornerà l'ora dei partiti. E sarà bene che torni perchè anche ai partiti spetta una nobile e alta funzione. Riprenderemo allora le nostre battaglie, civili battaglie. Ma vi torneremo migliorati. Il partito liberale sarà — lo spero — ringagliardito, ringiovanito, mondo dei suoi rami secchi, epurato dalle scorie ingombranti e malsane, più forte, più largo di idee, somatutto più popolare, e cioè con la coscienza che ormai sul campo di battaglia, con ¡/sàngue loro, tutti gli italiani han conquistato il diritto al potere ».
E il giorno dopo, ponendo la prima pietra per gli edifìci dell’Alta Coltura, dinanzi al cardinale arcivescovo Ferrari, dichiarava:
« Un grande poeta antico osservava con dolore come, nel momento dell’apice della civiltà pagana, si potesse presentirne la decadenza giacché ogni generazione era più viziosa della precedente. Ben diversa è la constatazione che noi possiamo fare in questi giorni: una constatazione la quale dimostra come la civiltà cristiana si rinnovi perennemente e resti indistruttibile’compagna dei maggiori progressi c delle maggiori idealità sociali: la constatazione che i nostri figli sono migliori di noi » (2).
Qualche mese dopo, a Torino, il 31 gennaio 1915, Antonio Salandra diceva: « In un’aula ove ha parlato Camillo Cavour, noi non possiamo che adorare c unire la nostra modesta anima all'anima sua ». E aggiungeva in un altro discorso, come al partito « liberale-monarchico » spetti la direzione e il governo della nazione.
(1) La politica nazionale, pag. XXXI.
(2) Il Secolo. 7 novembre 1915, in un commento a quel discorso scriveva:
• II Salandra seppe sollevare il suo discorso a quelle altezze nelle quali si incontrano le idealità di tutti gli uomini la cui coscienza A informata e sollecitata dalle più pure aspirazioni sociali. Non passò senza commenti la lode data, in presenza dell'arcivescovo Ferrari, alia perpetuità della civiltà cristiana. Meglio forse il sindaco avv. Caldara potè qui parlare di una civiltà moderna che si svolge dalle antiche tradizioni. Ma mettiamo l’affermazione del cristianesimo indistruttibile in conto di una personale concezione della storia, non di un’intenzionale e opportunistica indulgenza alle opinioni di uno degli eminenti ascoltatori ».
28
24 BILYCHNIS
Il discepolo di Cavour è chiamato oggi a completarne il programma.
Assumendo l’eredità di Cavour, all’indomani di quei due discorsi del 25 e del 27 marzo i86i, in cui il grande politico aveva proclamata Roma capitale d’Italia, affermando che, dichiarato decaduto il potere temporale, l'Italia avrebbe proclamato il principio della separazione, Bettino Ricasoli, fatto suo il programma di Cavour, diceva: « Vogliamo andare a Roma non distruggendo, ma edificando, porgendo modo, aprendo la via, alla Chiesa di riformare se stessa, dandole quella libertà e quella indipendenza che le siano di mezzo e stimolo a rigenerarsi nella purità del sentimento religioso, nella semplicità dei costumi, nella severità della disciplina (1).
Il pensiero espresso dai nostri maggiori in quell’ora storica costituisce ancora una sorgente alla quale si può attingere utilmente da coloro ai quali sono affidati i destini d’Italia in quest’ora non meno grave di quella. La tradizione italiana afferma che nessuna transazione può esser compiuta nel campo politico con il Vaticano.
L’allocuzione pontificia del 6 dicembre 1915, con la quale si lamentavano gli inconvenienti in cui la Sede Apostolica era venuta a trovarsi durante il conflitto europeo, per la sua situazione rispetto all’Italia (2), ha riaperto il dibattito sulla « internazionalizzazione » della Legge del 13 maggio 1871 delle guarentigie pontificie, e sulla possibilità di un intervento del Pontefice al futuro Congresso della Pace, nel quale dovrà essere definitiva la Nuova Europa. Già, alla vigilia della guerra, un insigne maestro del diritto ecclesiastico, Francesco Scaduto, aveva esposto brevemente e limpidamente le ragioni per le quali l’Italia debba opporsi ai due «desiderata » del Vaticano (3). Ma la questione, come ha opportunamente ricordato un alto magistrato, Tommaso Mosca, fu risolta dai medesimi uomini che gettarono le basi della politica ecclesiastica italiana, primo fra tutti, Camillo Cavour. Al principio del 1861, il grande statista, esaminando un progetto del dott. Pantaleoni, da sottoporre al Vaticano, al punto in cui era detto: « In caso di difficoltà potrebbe anche invocarsi la guarentigia delle Potenze cattoliche », egli scrisse: « Accetto buoni uffici, mediazione; ma non posso ammettere garanzia, nè altro simile legame che possa dare pretesto a conflitti 0 interventi stranieri » (4). E, durante la discussi F. Scaduto, o/>. al., pag. 64.
(2) Ecco le parole di Benedetto XV: «Se consideriamo gl’inconvenienti che dal conflitto europeo son derivati alla Chiesa cattolica ed alla Apostolica Sede, ognun vede quanto gravi essi siano e quanto lesivi della dignità del Sommo Pontefice. Certo non fece difetto a coloro che governano l’Italia la buona intenzione di eliminare gl’inconvenienti: ma questo stesso dimostra chiaramente che la situazione del Sommo Pontefice dipende dai poteri civili, e che, col mutare degli uomini e delle circostanze, può an-ch’essa mutarsi ed anche aggravarsi. Nessun uomo sensato potrà affermare che una condizione sì incerta e cosi sottoposta all’altrui arbitrio sia proprio quella che convenga alla Sede Apostolica ».
(3) Prefazione di F. Scaduto al libro: G. Quadrotta, 77 Papa, l'Italia e la Guerra, Milano, Ravà e C., 1915.
(4) Questa nota del Cavour è stata resa nota da L. Luzzatti, in una conferenza al Circolo Giuridico di Roma, tenuta nel febbraio 1912, Cfr. Bollettino del Circolo Giuridico di Roma, 1912, pag. 16.
29
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA
25
sione della Legge delle guarentigie alla Camera, l’on. Mordini, a nome di molti suoi colleghi, propose un ordine del giorno così formulato: « La Camera dichiara che i principii e le disposizioni contenute nella presente legge non debbano formare soggetto- di patti internazionali »; esso provocò dichiarazioni rassicuranti in argomento del relatore della legge, Ruggero Bonghi, e del ministro degli esteri, Emilio Visconti-Venosta.
Appare evidente, dunque, lo spirito della legge, che esclude qualsiasi possibilità di ricevere un carattere internazionale.
Intorno all’intervento del Papa ad un congresso europeo, la tradizione liberale italiana ha un precedente, non meno importante. Quando nel 1899, lo Zar di Russia propose la Conferenza della pace all’Aja, e invitò ad essa Leone XIII, il Governo italiano, chiese ed ottenne l’esclusione del Papa dal Congresso, non senza notevoli difficoltà. Era ministro degli Esteri allora il vice-ammiraglio Canevaro, al quale succedette il Visconti-Venosta che mantenne il divieto, confortandolo con nuovi argomenti, in risposta alle obbiezioni della Russia e della Francia. Il Governo italiano fu indotto a prendere la deliberazione, in seguito alla minaccia del Vaticano (come, al solito, per via indiretta), di riaprire la « Questione Romana » al Congresso. Anche allora i giuristi liberali-conservatori si manifestarono contrari all'intervento del Papa. Domenico Zanichelli, l'illustre professore di diritto internazionale, scrisse allora un articolo che, nei riguardi del Vaticano, ha un valore che si potrebbe dire, attuale.
« Quale risulterebbe il valore pratico di una Conferenza internazionale — egli osservò — nella quale, insieme ai rappresentanti autorizzati dai sovrani e dagli Stati, sedessero e deliberassero i rappresentanti di una potestà che non ha carattere politico, ma religioso? A noi pare che ne sarebbe infirmato, non solo il valore pratico, ma anche l’importanza morale della Conferenza stessa, e che contro di essa potrebbero essere autorizzati a protestare gli spiriti liberali del mondo civile. L’Italia opponendosi a quest’intervento quando nel pontefice si volesse vedere il sovrano territoriale, facendo rilevare il pericolo insito nell’invito rivolto anche solo al capo della Chiesa Cattolica, darà prova, non di spirito antireligioso o di intolleranza settaria, ma di capire e seguire le tradizioni politiche del suo risorgimento e di mantenersi sempre degna di esse » (1).
Le medesime ragioni, in sostanza, vengono oggi addotte da un altro giurista conservatore, il Mosca, sostenendo l’esclusione di Benedetto XV dalla futura Conferenza per la pace. Se la situazione è mutata per l’Europa, non lo è per il Vaticano.
Scrive, infatti, il Mosca:
« L’Italia deve, per la tutela suprema della sua indipendenza, della sua esistenza e del suo avvenire, opporsi risolutamente e recisamente a qualsiasi tentativo o proposta di partecipazione del Sommo Pontefice al futuro Congresso della pace. E ciò non per mancanza di deferenza o di riguardo al Capo della Chiesa cattolica, non per
(1) D. Zanichelli, Il Papa e la Conferenza internazionale pel disarmo, nella Nuova Antologia, 16 febbraio 1899.
30
26 BILYCHNIS
disconoscimento della sua alta autorità morale, o della sincerità dei suoi sentimenti, o dell’efficacia dell’opera sua in favore di una pace giusta e durevole, ma perchè il semplice fatto dell'intervento di un rappresentante del Sommo Pontefice in quel Congresso, rendendo possibile a lui, o agli Stati avversi all’Italia, di presentare come una questione internazionale da risolvere quella delle guarentigie della Santa Sede in Roma — questione che ha solo l'apparenza .forviale, ma non ha, nè avrà mai, almeno finché la natura e gl’interessi sommi del popolo italiano e della Chiesa cattolica non si sovvertano completamente, la sostanza ed il valore di una questione -rappresenterebbe per l'Italia una sorgente di difficoltà ed un pericolo » (i).
Il « pensiero liberale » è dunque — in tutte le sue gradazioni — avverso alla internazionalizzazione della legge delle guarentigie e all’intervento del Papa alla Conferenza europea.
Questo pensiero, che discende da Camillo Cavour, Antonio Salandra realizzerà; sono queste le conseguenze non arbitrarie che ci sembra di poter trarre dall’esame che del pensiero religioso-politico del Salandra abbiamo fatto con la maggiore precisione possibile.
Antonio Salandra è fedele alle sue idee. Poiché a lui e a Sidney Sennino è affidata la direzione dello Stato, noi ci auguriamo, e auguriamo all Italia, che egli sia fedele anche a quanto scriveva nella prefazione del.suo libro da noi largamente messo a profitto in questo saggio, a proposito delle finalità internazionali della Chiesa. Con la risposta aH’Allocuzione pontificia del 6 dicembre 1915. data alla Camera dei Deputati dal ministro dei Culti, Vittorio Emanuele Orlando, il ministero Salandra ha dimostrato di voler resistere alle pressioni e alle minaccie -siano pure accompagnate da blandizie — del Vaticano politico. Lo stesso Orlando, discutendo altra volta della Legge delle Guarentigie, che da taluni si voleva affermare avesse carattere internazionale, osservò come l’interesse internazionale non basta ad imprimere il carattere internazionale, ed infatti anche altre leggi di natura indubbiamente nazionale hanno interesse internazionale, come quelle sulla libertà della stampa, sulle associazioni ed altre (2).
Benedetto XV non si arresta nella sua attività politica: la sua aspirazione a voler restituire al Vaticano un prestigio politico, diverso da quello territoriale, e non pertanto meno pericoloso, trova sostenitori anche nel campo detto liberale (3). Le parole seguenti che Antonio Salandra scriveva nel gennaio del 1912 ricevono ora dagli avvenimenti un nuovo valore. È perciò che ci sembrano le più indicate a chiudere proficuamente queste pagine.
Scriveva Antonio Salandra:
« I cattolici italiani non vedono, e hanno ragione, alcuna contraddizione tra la loro fede e l'amor di patria. Ma il cattolicismo politico potrà sciogliersi da ogni
(.’) T. Mosca, art. cil.
(2) V. E. Orlando, / Tribunali Vaticani, nel « Circolo Giuridico >■ di Palermo, voi. IV. 1883.
(3) Basterà ricordare M. Missiroli. // Papa in Guerra. Bologna. N. Zanichelli, 1916. e G. Bellocci. in varii articoli sui Giornale d'Italia.
31
RELIGIONE, CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI ANTONIO SALANDRA
27.
dipendenza dall’autorità ecclesiastica? li, se non potrà, come mai si affiderebbe ad esso una parte della direzione suprema della politica nazionale, ufficialmente proclamata « estranazionale »? Non nel loro sentimento, ma nella ragion di Stato a cui anche il Vaticano, come gerarchia politica, s’inchina e s'ispira e nelle scorie della politica antipatriottica, accumulatesi per secoli e dalle quali il Vaticano non sa distrigarsi, i cattolici, come tali, troveranno un insuperabile motivo d’incompatibilità » (1). E ancora: • I deputati cattolici prendano coraggiosamente il loro posto, che potrà essere a canto a noi. non in mezzo a noi ; perchè non potrebbero disciogliersi da un rapporto di dipendenza, anche politica, verso un’autorità e una gerarchia, alla quale noi ogni potere politico dobbiamo apertamente negare» (2).
Ecco indicata limpidamente la ragione — negare ogni potere politico alla Chiesa -per la quale il Governo italiano dovrà opporsi all’intervento del Papato alla Conferenza europea per la pace. Antonio Salandra, che alla Chiesa ha concessi, durante la guerra, privilegi religiosi non tutti compatibili con la legislazione del Regno— ma che nel loro carattere spirituale possono trovare una giustificazione — non potrà dimenticare — senza compromettere le più gelose prerogative dello Stato e il suo avvenire — la sua formula: «La Patria non contro, ma prima della Chiesa».
Guglielmo Quadrotta.
(1) La politica nazionale, pag. xxvh.
(2) Op. cil., pag. 12.
32
MORALE E RELIGIONE
(Continuazione e fine. Vedi Bilyeftnis, novembre-dicembre 19x5).
IH.
Indagine psicologica.
L’origine psicologica della religione venne definita da Lucrezio con parole rimaste poi celebri: « Primus in orbe timor fecil deos ». A primo aspetto questa definizione non piace, ma dopo più attenta indagine vi troviamo un fondo di vero, giacché pensiero e sentimento religioso sono stati sempre associati, nell’intimo nostro, al senso della nostra fralezza.
Non è quando siam vigorosi nelle fisiche energie, forti nella prosperità economica, fortunati negli eventi della vita, sicuri e soddisfatti de’ nostri successi, non è allora che Dio ci sembra più vicino e più fervidamente noi l’invochiamo. Ma quando l'avversità s'abbatte su di noi, e più vivo abbiamo il sentimento della nostra miseria, allora siamo più inclini alla preghiera: « 0 Dio, salvaci: soccorri Tu alla nostra debolezza! ». E la stessa invocazione che ci prorompe dal petto se si tratta dei nostri propri affanni, siam presti a ripeterla a prò degli altri che soffrono, commovendoci della loro desolazione. Parimenti, dinanzi allo spettacolo delle immense, schiaccianti forze della natura, che ci fan tanto sentire la nostra piccolezza ed impotenza, dinnanzi alla moltitudine delle stelle fulgenti nel cielo che narrano la gloria del magnifico Creatore.. Ogni volta che noi ci sentiamo più piccoli. Iddio grandeggia al nostro cospetto, diviene maggiormente presente allo spirito nostro; e il sentimento dell’umana fragilità in connessione coll’onnipotenza divina è dovunque l’elemento fondamentale della religione.
Ma questo sacro timore, ch’è l'elemento fondamentale della religione, non si riscontra pure nella morale? Nella vita morale il nostro io perde importanza in cospetto della maestà del dovere. È il dovere che conta, piaccia o non piaccia a noi di adempirlo. Dice Emanuele Kant, che la legge morale, la quale soltanto è veramente oggettiva, cioè sotto ogni rispetto oggettiva, esclude completamente l'influsso dell’amor proprio sul principio pratico supremo, e reca un danno infinito alla presunzione, la quale prescrive come leggi le condizioni soggettive dell’amor proprio. Ora ciò che reca danno alla nostra presunzione, ci umilia: dunque la legge morale inevitabilmente umilia ogni uomo, quando egli paragona con quella legge la tendenza sensibile della sua natura. E dopo questa analisi psicologica, Emanuele Kant prorompe nella commovente invocazione al Dovere: « Dovere! nome sublime e grande, che non contieni niente di piacevole implicante lusinga, ma desideri la sommissione; che, tuttavia, non minacci niente donde nasca nell’animo naturale
33
MORALE E RELIGIONE ?9
repugnanza e spavento che muove la volontà, ma esponi soltanto una legge, che da sé trova adito nell’animo, e anche contro la volontà' si acquista venerazione (se non sempre osservanza): innanzi alla qual legge tutte le inclinazioni ammutoliscono, benché di nascosto reagiscano ad essa; — qual’è l’origine degna di te, e dove si trova la radice del tuo nobile lignaggio, che ricusa fieramente ogni affinità con le inclinazioni?... » (i).
Qualunque sia l’obietto cui ci sentiamo obbligati — l’organismo sociale, o la maggior felicità del pili gran numero, o la perfezione dell'individuo o della razza, o il comando di Dio medesimo, — nói siam chiamati a riconoscere la nostra piccolezza dinnanzi a qualche cosa che ci s’impone come più grande ed importante di noi. Che a noi sovrasta, ed a cui noi dobbiamo obbedire.
Religione e morale hanno dunque questo elemento comune, nella loro essenza psicologica: il timore. Ma si distingua: timore non è paura. Il mostro, il periglio infonde paura; l’eccellente, il maestoso inspira timore. La paura esclude la riverenza; il timore conduce alla riverenza. Or la religione contiene qualche elemento psicologico anche più importante e nobilitante del timore. Nei Salmi (CXI, io) e nei Proverbi (IX, io) si legge che « il timor del Signore è il principio della sapienza »: il principio, non tutta Vessenza della sapienza. V’è, per esempio, il sentimento ottimistico (e l’ottimismo ripugna alla paura).
Nel suo volume su II fondamento psicologico della religione, Luigi Valli giustamente osserva che, se questo fondamento non avesse da fare che con gli errori e le emozioni del selvaggio primitivo (terrore, ammirazione, e simili), la religione avrebbe dovuto sparire nei secoli posteriori, come l’organo che si atrofizza quando sono cessate le condizioni di ambiente che l’avevano reso necessario. E se anche potesse spiegarsi una persistenza costante di questo prodotto di condizioni scomparse, come spiegare il rinnovarsi e l’ingigantire della religiosità in momenti storici così vicini a noi? « Il sorgere del Buddismo, il fiorire del Cristianesimo, il dilagare dell’islamismo, il sollevarsi di tutte le sette nuove, la Riforma, rappresentano altrettante fiamme di viva religiosità che hanno divampato dall’intimo dell’anima umana, non dalla lenta e morta tradizione, e non sarà mai possibile ricondurle a quella favilla di sentimento religioso dello spirito primitivo che non avrebbe potuto aver vita o alimento se non in quello stesso ambiente di ingenua fantasia incontrastata nel quale sarebbe sorta un giorno » (2). La continuità, dunque, della religiosità prova che essa poggia sopra un fondamento psicologico universale, che deve ritrovarsi sotto tutte le forme positive e storiche che la religiosità ha assunte. Dall’agi-tarsi delle innumerevoli idee religiose par che confusamente esca una voce sola, una voce affermante, nel linguaggio fantastico delle genti diverse, che il bene è più forte del male. « L’idea universale contenuta nelle religioni può definirsi — secondo il Valli — l’idea che il bene è più forte del male inquantochè, nel contrasto
(1) Emanuele Kant, Critica della Ragion Pratica, p. 87 e 101 (Laterza, Bari, 1909).
(2) Luigi Valli, Il fondamento psicologico della religione, p. 12 (Loescher, Roma, 1904).
34
30 BILYCHNIS
delle forze, quelle giuste e favorevoli all’uomo sono rappresentate come più potenti, e. nella successione degli stati, quelli che debbono subentrare al presente son considerati come destinati ad attuare la felicità e la giustizia » (i).
Siamo fin qui d’accordo col Valli. Ma bisogna proseguire l’analisi psicologica. ¡1 principio che il bene trionfa — fondamentale nell’attività etica e nell’attività religiosa dèll’uomo — trasforma evidentemente il timore in amore. Quando si trova qualcuno che, di noi più grande, vuol nella sua suprema possanza e benevolenza rendersi solidale con noi e soccorrerci nella miseria, nella desolazione, nel periglio nostro, non può non sorgere, dalle ime profondità del nostro spirito, un sentimento di gratitudine, di adorazione, di amore. In questa identificazione dell’uomo con Dio è l’essenza dell’amore. L’infinita maestà del Signore, che prima ci sgomentava, ora ci esalta. Quel che è eccellente, infatti, o ci avvilisce o ci esalta, e l'amore è appunto l’unico scampo all’avvilimento. Agostino, il rinnovatore della pietà cristiana e quegli che ha intimamente analizzato la coscienza religiosa, ha ben descritto questi due momenti della crisi spirituale, ammonendo che, per salire fino a Dio, bisogna prima discendere dalle «alture dell’orgoglio » (2). E secondo questi due diversi momenti potremmo distinguere le varie religioni. Nelle primitive, Iddio sembra alieno al credente: Egli è un essere potente, ma irrazionale, capriccioso, che incute timore c tremore: non v’ha intimità tra Lui e l’adorante. Nelle religioni evolute si riconosce l’inerente simiglianza fra Dio e l’uomo, fra il Padre celeste ed i figliuoli terreni, fatti ad immagine di Lui. Fra Dio e l’uomo non v’è distinzione che di grado, e per divenire veramente uomo bisogna accostarsi sempre più alla Divinità. Il timore è il principio della sapienza o religione, l'amore ne è la realizzazione.
Qual’è poi la natura della moralità? Nelle obbligazioni del dovere troviamo noi qualche cosa che identifichi la vita morale con la religiosa? Abbiamo già visto che un sentimento di timore è implicito nel (’obbligazione. L’educazione del fanciullo va gradualmente compiendosi a misura ch’egli si libera dalla presunzione, dall’orgoglio. dall'egoismo, e si persuade che. lungi dall'essere il centro del cosmo, egli è sottoposto a leggi che deve osservare. Nasce dapprima in lui il senso dèlia propria limitazione, anzi un senso di oppressione: la sua obbedienza contiene, sull’inizio, un elemento d’ignobile timore, — è l’obbedienza servile. Ma in seguito egli va sempre meglio persuadendosi che l'obbedienza non è limitazione, ma realizzazióne della personalità; che la disciplina non opprime, ma rende liberi; e il suo timore della legge si trasformerà in dilezione della legge. La legge non sarà più qualcosa di esterno e di alieno, ma diverrà l’intima esigenza del suo sviluppo personale.
Seguendo gli Stoici, Emanuele Kant fu rigido assertore dell’austerità del dovere, tanto che il suo imperativo categorico parve allo Schiller una morale da schiavi . e non da figliuoli di Dio. Egli ammise l'amore di Dio come comandamento e non come inclinazione, nondimeno soggiunse che il semplice amore alla legge è lo scopo
(i) ibid., p. 64.
(2) Agostino, Concessioni. I IV, c. XIL
35
MORALE E RELIGIONE
31
permanente, quantunque irraggiungibile, dei nostri sforzi. « Quella legge di tutte le leggi presenta, come tutti i precetti morali del Vangelo, l'intenzione morale nella sua intera perfezione, come un ideale di santità non raggiungibile da nessuna creatura, e che tuttavia è l’esemplare, a cui dobbiamo procurare di avvicinarci e diventar pari in un progresso ininterrotto, infinito» (i).
E su questo rapporto psicologico ira la religione e la morale ci piace riferire qualche considerazione del Pfìeiderer: « La legge dell’evoluzione, alla cui luce siamo oggi avvezzi a considerare ogni vita naturale e storica, vale tanto per la religione quanto per la morale. Così Luna come l'altra non sono esistite sempre fin da principio quali grandezze già belle fatte e finite, ma dovettero a poco a poco sgrossarsi e salire dalla servitù’ dei sensi alla libertà dello spirito. La ragione umana attraverso un faticoso lavoro ed una lunga educazione, di età in età, deve giungere alla coscienza ed al dominio. In quest'educazione, così gl’individui come la specie devono percorrere certi determinati gradi, ed ogni educatore sa che non si può pretendere altrettanto nei gradi inferiori e nei gradi più alti. Nello stadio puerile dcll educazione il Bène non può essere riconosciuto come un giudizio della ragione, nè può essere desiderato e compiuto per libera elezione, ma è piuttosto concepito come un ordine esteriore, che richiede la sottomissione della volontà propria alla volontà imperante. Questo primo grado di evoluzione corrisponde perfettamente alla forma teocratica della religione e della morale. Il bene è rappresentato dal comando di una volontà divina esteriore all’uomo, la volontà del Signore supraterrestre. In questa forma la coscienza religiosa non ha verso Dio maggior libertà che il servo verso il suo signore e il fanciullo verso il suo precettore. Questa forma di coscienza religiosa, se è inevitabile nei gradini più bassi dell’evoluzione, non può però esser duratura. Giunta che fu la stagione, cadde la rigida disciplina della legge e l'umanità fu chiamata alla libertà dei figli maggiorenni di Dio. Fu una nuova coscienza della prole di Dio: la coscienza cristiana... Ma questa libertà non è arbitrio. Essa sta tanto al di sopra della licenza pagana senza legge e senza freno quanto della rigida e cieca ubbidienza ebraica. È la libertà in Dio, nella coscienza di essere legati a Lui, che libera l’uòmo dalla schiavitù del mondo, e gli uomini avvince col dolce vincolo di amore, come Lutero dice del perfetto cristiano, che è per là fede signore di tutto, e per l’amore servo di tutti... Negli stati di coscienza inferiori, quando il Bene si presenta ancora come il comandamento ab exlcrno di una volontà estranea, sono naturalmente inevitabili i motivi del timore e della speranza. Ma a misura che l’uomo sale dallo stato di minorità alla libertà vera dei figli di Dio, quei motivi perdono il loro significato, e ad essi sottentra il felice abbandono al Bene, che è lo scopo di Dio e ad un tempo lo scopo ragionevole della nostra vita, subentra il ragionevole servizio di Dio, che è insieme amorevole e disinteressato servizio dell’umanità » (2).
Il dovere implica fede in un ideale, il bene; implica speranza nella realizzazione di questo ideale; implica reciproco amore tra gli uomini, anche perchè il bene
(1) Emanuele Kant. Critica della Ragion pratica, pp. 95 e segg. (Laterza’, 1909).
(2) O. PPLEIDERER, Religione c Religioni, pp. 33 c segg. (i«l. Bocca, 1910).
36
32
BILYCHNIS
va compiuto non da un individuo soltanto, ma esige la collaborazione dei molti. Ora, se queste disposizioni di fede, di speranza, di amore sono naturali, nel senso che si manifestano nella natura e si traducono in fenomeni empiricamente osservabili, non lo sono nel senso strettamente scientifico del termine, poiché la natura non è altro che l’insieme delle cose che sono state, sono e saranno percettibili mediante i sensi, e non può quindi esser fondamento alla fede, alla speranza, all’amore presupposti dalla morale. La fede morale si poggia ad obietti che non esistono materialmente; la speranza morale concepisce possibile la realizzazione di fini indifferenti alla natura, con mezzi che la natura sembra escludere; e quell’amore, così forte da indurre l’individuo a darsi, a sacrificarsi, non potrebbesi fondare nè sull’istinto dell'individuo, ch’è di farsi centro del mondo, nè sul diritto della specie, che non ha maggior valore del diritto del singolo. Onde giustamente il Boutroux rileva, nel citato saggio, che le primissime condizioni della vita morale rispondono all’idea che gli uomini comunemente si fanno della religione. La fede, la speranza, l’amore sono essenziali al Cristianesimo, la religione più perfetta; e sono essenziali all’attività etica. Nella nostra vita morale è indispensabile la fede, ossia una determinazione della volontà in rapporto al dovere; e il dovere — l’abbiam notato — implica una realtà superiore di fronte a cui l’uomo assume atteggiamento di rispetto, di venerazione, di obbedienza. Necessaria è la speranza, determinazione della intelligenza in virtù della quale noi concepiamo ciò che nel tradizional linguaggio chiamasi Dio: l’unione immediata della perfezione e dell'esistenza. Necessario infine è l’amore, determinazione del sentimento che sorpassa il potere puramente naturale della volontà, giacché, secondo natura, si ama come si può, non come si vuole, e il comandamento dell’amore, se ha un significato, viene da un potere più alto che non sia la natura lasciata a sé sola.
37
MORALE E RELIGIONE
33
IV.
* Esame di alcune obiezioni.
Rispondiamo, adesso, brevemente ad alcune obiezioni.
Il Buchner, ed altri con lui, dice che l’incredulità non equivale affatto all’immoralità. «La religion, au contraire, et l’immoralité marchent souvent la main dans la main, sourtouf dans les pays ou l’absolution de l’Eglise débarasse le criminel de son crime, — tandis que les athées ou les incrédules sont souvent les gens les plus moraux. Combien de philosophes de l’antiquité qui, sans enseigner le dogme d’une récompense après la mort, tiraient de leurs doctrines des préceptes moraux faits pour commander l’admiration de leurs contemporains et de la postérité! » (i). E non si può lealmente negare che fra coloro che sono o credono di essere increduli, in religione, vi siano uomini altamente morali, caratteri degni di stima, che si distinguono per fedeltà al dovere e per zelo verso il bene comune. Ma, innanzi tutto, occorre osservare che i loro principi e la loro condotta sono il frutto d’una lunga educazione, che fin dall’infanzia ha impresso in quelle anime generose l’amore del bene, ed ha in esse destato il senso del dovere: e tale educazione è stata loro impartita da una società che si è evoluta sotto l’influenza delle concezioni etiche religiose. In secondo luogo, questo contrasto fra una pratica altamente morale ed una dottrina materialistica o per lo meno atea, può avverarsi talora nella sfera individuale, non mai nel dominio della collettività. La condotta di una moltitudine sarà l’esatta risultante, il prodotto puro, degli errori che regnano nell'ambiente. La solidarietà fra principi e costumi, che l’individuo riesce a rompere qualche volta con uno sforzo vigoroso, signoreggia invece la folla nella misura che questa è più numerosa, di guisa che la condotta di un popolo varrà in proporzione dei suoi principi etico-religiosi. In terzo luogo, la irreligiosità di questi valentuomini non è molte volte più apparente che reale? Essi rifiutano la religione esibita in certi dati dogmi ecclesiastici, ma non perciò possono dirsi alieni da ogni fede religiosa. T. H. Huxley dicea d’aver appreso dal Sartor Resartus che « a de&p senso of religion was compatible with thè en-lire absence of theology » (un profondo senso religioso era compatibile con l’assenza
(i) L. Buchner, Force et Matière, p. 315 (Paris, Schleicher Frères, 1906).
38
34
BILYCHNIS
d’ogni teologia) (i). L’uomo onesto ch’è fervidamente interessato non solo nelle apparenze del bene o nell’esteriore legalità e rispettabilità, ma nel bene medesimo, non può — dice il Pfleiderer — non attribuire al bene il supremo diritto nel mondo, e ne vuole quindi il trionfo ed il pieno compimento nella pratica realtà. Ma chieder questo, e sentir la giustizia di tal richiesta, e credere nella sicura e legittima vittoria del bene nel cosmo,—la fede, insomma nella moralità dell’ordine cosmico, — è già un principio di religione: è la religione del Fichte, dell'Arnold e tanti altri idealisti (2). Dalla fede nell’ordine morale del cosmo alla fede in Dio, qual supremo principio del vero e del buono, il passo è breve; ed è per questa via che il Fichte stesso ed altri idealisti sono giunti all’affermazione teistica. Che se il bene è il fine dell’universo, dev’esserne altresì il fondamento; e se è fondamento e fine dell’universo, deve parimenti regolarne l’intero corso; e deve rivelarsi non solo in un lontano avvenire, ma in tutta la realtà storica, come energia spirituale che progressivamente si realizza.
Quanto poi a coloro che, pur professandosi credenti, non osservano in pratica i principi della morale, conviene distinguere tra professione religiosa e realtà di vita religiosa. Si può accettare un credo e compiere dei riti senza sperimentare quel sentimento cui quel credo e quei riti corrispondono: ed allora l’assenza di moralità non prova che non vi sia intimo e necessario nesso fra morale e religione, ma dimostra che, in quei dati casi, non v’è realtà di vita religiosa. Che cos’è religione? Sincera, fedele alleanza con Colui ch’è la causa ed il governatore di quanto esiste; ma questa alleanza, ch’è derivazione ed espressione del desiderio di tendere a Dio e goderne la comunione, implica un definito e diretto rapporto di sommissione ed ubbidienza a Lui. E poiché il cosmo è espressione del volere e dell’attività divina, l’alleanza dell’uomo con Dio implica la simpatia dell’uomo verso il cosmo, la solidarietà sua con ogni essere vivente. Non si può essere ad un tempo — come pretendeva Attila — amico di Dio e nemico degli uomini: religione vera risulta in vera moralità.
Si obietta, inoltre, che, fondando la legge morale sulla nozione di Dio, quella perde tutti i caratteri di certezza, evidenza, necessità, universalità che invece avrebbe se fondata sui dettami di coscienza, e diviene incerta, oscura, instabile, caduca, come agli avversari sembra la nozione stessa di Dio. Premettiamo che i sistemi morali che pretendono fondarsi sui dettami della coscienza, mentre escludono la concezione di Dio, son pur essi diversi, ripugnanti fra loro. « Plaisante justice! qu’une rivière ou une montagne borne! Vérité au deçà des Pyrénées, erreur au delà ! »— potremmo amaramente sciamare col Pascal (3). E poi, non intendiamo affatto fondar la morale sui dogmi teologici, farne un’ancella della teologia, ma fondarla su quella pura e semplice nozione di Dio qual datore e legislatore della vita universa, ch’è nozione insita ed immanente nella natura e nella ragione umana.
(1) Cfr., il saggio di L. Stephen su Thomas H. Huxley in The Nineteenth Century, dicembre, 1900.
(2) Cfr. O. Pfleiderer, Philosophy and Development of Religion, vol. L pp. so-6o.
(3) B. Pascal, Pensfys, I part, art. VI.
39
MORALE E RELIGIONE
35
— Ma la morale religiosa potrebbe anch’essere insana, perchè subordinata alla volontà di Dio, la quale può imporre ciò ch’è male. Il pio Gerson sosteneva infatti — e così pure Duns Scoto — che Dio non compie certe azioni perchè queste son buone, ma queste son buone in quanto volute da Lui (i). — Rispondiamo, col Lotze e col Franchi (2), che Dio è intrinsecamente buono. Il suo comandamento è la sua stessa volontà, come la sua volontà è la sua stessa ragione, e la sua ragione è la sua medesima essenza. Dal dire che il bene è bene, perchè Dio lo comanda, al dire che Dio lo comanda, perchè è bene, non c'è affatto la differenza che vi sarebbe, ove si trattasse del comandamento di un uomo, o se la sua natura fosse simile all’umana. Posto che Dio è Dio, le due formule, non che escludersi quali membri d’un dilemma, sono in realtà fra loro equivalenti come i due termini di un’equazione. Obbedire dunque a Dio è lo stesso che volere il bene. Vincenzo Gioberti diceva: « Pensare il pensiero di Dio è la verità, come volere la volontà di Dio è la bontà » (3).
(1) Cfr. Dictionnaire des Sciences Philosophiques, art. Gerson.
(2) H. Lotze, Philosophy of Religion, pp. 137-140; A. Franchi, Ultima Crilica, v. II, pp. 167-169.
(3) V. Gioberti, Del Bttono, c. VI, p. 271 (ediz. Capolago, 1848).
40
36
BILYCHNIS
V.
Divergenze e convergenze.
Ci sembra così dimostrato che, lungi dall’opporsi Luna all’altra, morale e religione, sia sotto l’aspetto storico che sotto l’aspetto gnoseologico e psicologico, si svolgono in essenziale armonia ed integrazione. Lo sviluppo, anzi, della vita morale si connette in qualche modo anche con le esplicazioni teologiche ed ecclesiastiche del sentimento religioso, quantunque non sia lecito confondere — come ha fatto spesso il Voltaire — la religione con la dommatica, la fede con la teologia.
Ma non v’ha differenza alcuna fra queste due attività dello spirito umano?
Sì; e vi son persino dei momenti della nostra emozione religiosa, nei quali noi siamo rimossi dall’adempimento, dalla preoccupazione stessa de’ nostri doveri morali. Quando l’impulso religioso è più forte, noi siamo stornati dalle cure della vita quotidiana.
Rileviamo brevemente queste divergenze.
Abbiam notato che, tanto in morale quanto in religione, la persona umana sente la propria piccolezza dinanzi all'infinito, all'Ente perfetto. Ma in religione il rapporto della creatura finita e imperfetta vien considerato dal punto di vista dell’Ente infinito e perfetto, laddove in morale questo rapporto si considera dal punto di vista della creatura finita, imperfetta. Mentre la religione è la nostra ópoioàt tw Wsw, il nostro assorbimento in Dio — secondo il pensiero platonico e mistico, — la morale studia invece gl’infiniti principii in quanto hanno un’espressione finita.
Per Emmanuele Kant, la religione è la moralità considerata qual comando di Dio; e questa definizione s’accorda con quel che noi abbiamo osservato dianzi, giacché distingue le due attività, pur ritenendole omogenee e inseparabilmente unite.
Per lo Schleiermacher, la religione è concepita come sentimento di dipendenza da Dio, ed anche questa definizione collima con le nostre indagini, riconoscendo che la morale si trasforma in religione, quando noi sentiamo la nostra insufficienza ed invochiamo l'aiuto, il soccorso da una più alta Energia.
Matthew Arnold dice che la religione è la morale toccata, scossa, esaltata dall'emozione (« religion is morality touched wiih emotion »). La definizione pecca d’ambiguità. Di che emozione si tratta? di paura, di timore, di abnegazione e sacrificio?... E che significa esattamente quel « touched » ? Nondimeno il concetto fondamentale dell’Arnold s’accorda con quello del Kant e dello Schleiermacher, e collima con le indagini nostre. Anche più felice ci sembrerebbe la definizione dell’Arnold, se fosse
41
MORALE E RELIGIONE
37
intesa in questo senso: la religione è la morale esaltata dall’emozione dell’amore. Risponderebbe allora alla interpretazione del Boutroux nel saggio menzionato. Secondo il filosofo francese, la religione è lo slancio dell’anima, là quale ritemprandosi alle sorgenti dell’essere concepisce un ideale trascendente e per tendervi acquista forze sorpassanti la natura: è essenzialmente creatrice di modelli dell’esistenza e di energie capaci di tradurli in pratica; e si riconosce al segno, che va dal dovere al potere e non dal potere al dovere. Nemo ultra posse tenetur: è il grido della natura. Ciò che tu devi, tu lo puoi: è la buona novella recataci dalla religione. L’azione delia religione nella società traducesi in manifestazione di tipi ed esempli di perfezione, che oltrepassano le forme date; e il principio e mezzo di propagazione di questi modi di esistenza è la comunione degli uomini con Dio. La morale è lo sforzo della ragione per formulare in termini intellettuali queste creazioni d’una vita superiore, e dedurne le regole applicabili a tutti i membri d’una data società ed anche, senza eccezione, agli uomini tutti. La religione crea gli elementi sui quali si esercita il lavorio critico della morale; la morale mette in evidenza gli elementi della religione più propri a fissarsi nella universalità dell'umana coscienza.
42
BILYCHNIS
VI.
Conclusione.
Riassumendo: inspirata dalla religione, la morale si dischiude più ampio orizzonte. Ogni singolo atto umano, visto sub specie aelernitalis assume un valore infinito: un sorso d’acqua donato per amore, un semplice sguardo di sincera simpatia ti spalanca le porte de’ cieli; ogni singolo uomo, per modesto che sia, è degno di rispetto e d’affetto, come figlio del comun Padre celeste. Come le cose grandissime di questo mondo sono un nulla considerate in sè medesime, così le piccolissime acquistano, rispetto all’eterno, un pregio infinito; e per tal modo la sola diversità dei rispetti, con cui le cose si riguardano, ne muta intrinsecamente il valore; e la morale teistica, mettendo l'eterna in riscontro alla vita presente, ha date alle cose di questa quel pregio che agli occhi del moralista incredulo non potrebbero avere. Veggasi dunque quanto male si appongano coloro che accusano l’etica religiosa di pregiudicare agli interessi temporali degli uomini, mettendo in loro considerazione la vita avvenire; quasi che là terra possa parer bella e degna di stima, anche solo umanamente, a chi non levi di tempo in tempo gli occhi verso il cielo!
Sotto l’alito del divino la morale acquista autorità e stabilità. Ricordate il discorso di Robespierre nella tumultuosa seduta del 7 maggio 1794? Fu il suo capolavoro: egli v’era tutto intiero. Il dittatore voleva che di bel’ nuovo si decretasse una religione di stato, religione astratta, poco grave di dommi, ma nettamente definita e tale da essere ufficialmente professata nel paese; esclamava: « Rianimate, esaltate tutti i sentimenti generosi che s’è voluto spegnere. Qual vantaggio trovasi a persuader l'uomo che una cieca forza presieda ai suoi destini e colpisca a caso la virtù ed il crimine? L’idea del nulla gl’inspirerà forse sentimenti più puri ed elevati che quella della sua immortalità?... L’idea dell'Ente supremo e dell'immortalità dell'anima è un continuo richiamo alla giustizia; essa è dunque sociale e repubblicana... 11 capolavoro della società sarebbe di crear nell’uomo, per le cose morali, un istinto rapido che, senza il tardivo soccorso del ragionamento, l’inducesse a compiere il bene ed evitare il male. Ora ciò che produce o sostituisce tale istinto prezioso, ciò che supplisce alla insufficienza dell’autorità umana, è il sentimento
43
MORALE E RELIGIONE 39
religioso che imprime nelle anime l’idea d’una sanzione data ai precetti dell’etica da una possanza superiore all’uomo » (i).
E, neW Antigone, Sofocle ha dato magnifica espressione all’autorità Che la morale guadagna, appoggiandosi alla religione, in contrasto con le vane passioni dell’uomo. Un editto del re Creonte commina la morte a chiunque seppellisca il traditore Po-, linice, caduto in un attacco contro Tebe, la città natia. Ma non sono esplicitamente prescritti dei doveri verso i morti, specie verso i parenti defunti, doveri che nessun editto reale può abolire? Antigone crede che questi doveri rimangan sacri malgrado ogni divieto, e seppellisce le spoglie del fratello. È catturata e trascinata al cospetto del re; e un dialogo si svolge fra i due:
« Creonte: — E tu, tu che abbassi a terra il capo, confermi o neghi d'aver ciò fatto?
« Antigone: — Confermo d'averlo fatto e non intendo punto negarlo.
« Creonte: — Ebbene, tu puoi andartene ove credi, affatto libero della grave accusa... — E tu dimmi, non già in lungo ma brevemente, conoscevi tu il divieto di far questo?
« Antigone: — Ix> conoscevo. E come no? Era a tutti manifesto.
« Creonte: — E nullameno t’ardisti a violar questa legge?
« Antigone: — Non era Giove colui che mi bandiva l’editto, nè la Giustizia ch’è presso i Numi infernali: non essi avean sancita fra gli uomini siffatta legge. Nè valer cotanto io credetti gli ordini tuoi, che le non mai scritte ma incrollabili leggi degli Dei potesse un mortale trasgredire. Chè non da oggi o da ieri, ma dall'eternità vivono queste, e niuno sa dire ond’apparvero. Di queste io non volli, paventando l’animo di alcun uomo, pagare la pena agli Dei. Del resto io sapeva di dover morire, e come no? anche se tu non l’avessi proclamato. Che se morrò anzi tempo, e questo io lo chiamo guadagno. Poiché chiunque in molti lutti si vive al pari di me, come non direbb’egli guadagno il morire? E però goder questa sorte a me non reca certo molestia. Ma se il cadavere d’un figlio della madre mia avessi lasciato insepolto, di quello, sì, proverei dolore; di questo non m’incresce. Or se a te sembra, ch’io abbia per avventura stoltamente operato, da un quasi stolto son io di stoltezza accusata ».
A vicenda non possono comprendersi. Per Creonte, il dovere è materia di decisione umana; volontariamente è imposto e accettato. Per Antigone, è legge divina, irrevocabile, eterna. Ma una fede come quella di Antigone ha così vaste conseguenze sociali, che molti legislatori, preoccupandosi della sola stabilità delle umane istituzioni, han creduto che, se venisse meno la fede nelle sanzioni religiose, la pubblica morale perderebbe ogni base sicura.
Terzo vantaggio, che la morale deriva dalla religione, è la speranza del trionfo. L’uomo religioso è legittimamente e profondamente ottimista; ed E. Kant ha insistito nell'asserto che niuno può agire moralmente, se non presume che la costituzione
(i) Cfr. Ed. De Pressensé, L’Eglise et la Révolution Française, pp. 292-3 (Paris, Meyrueis et C.ie).
44
40
BILYCHNIS
del cosmo fornisca un campo adatto all’azione morale. Ora, noi siamo religiosi nella misura in cui riconosciamo in Dio la causa incondizionata dell'esistenza e della attività nostra; siamo morali in quanto nelle libere nostre azioni mostriamo che Dio ci è l’unica suprema norma della vita. In religione, Dio si manifesta a noi; in morale, Dio si manifesta in noi e per mozzo di noi. La coscienza di questa intima comunione con Dio intensifica, moltiplica il nostro entusiasmo, la nostra efficienza. Ond’è che T. Carlyle nella prima delle sue Letture su gli Eroi dice che saper qual sia la religione d’un uomo, d’un popolo, gli è sapere in gran parte che cosa siano quest’uomo, questo popolo, e che specie di fatti essi siano per compiere. « I loro pensieri generano le azioni, i sentimenti generano i pensieri; la spiritualità dell’invisibile ch’è in essi ne determina la forma attuale: la loro religione è il maggior fatto che li riguardi! ».
Eduardo Tagliatatela.
45
Affinchè ESSI non siano morti invano’
HI, Essi?
Oh! certo, Essi, i soldati che la guerra mondiale ha ucciso.
Come Italiani, Essi, i nostri connazionali caduti sulle Alpi e sul mare: come uomini. Essi, i nostri simili mietuti ormai quasi su ogni terra d’Europa e del mondo come messe matura, mentre erano appena sul fiorire della giovinezza!
Vorrei che questa nostra conferenza assumesse un carattere
e un significato speciali, il carattere ed il significato di un rito educativo, il carattere e il significato di un atto quasi religioso.
Quelle che potevano essere pel gran pubblico le ore di istruzione dilettevole, di uno svago d’ordine superiore, mi pare che oggi debbano rivestire aspetto speciale, adatto alla solennità dell'ora storica che è scoccata per l’Europa e per la umanità. Le quiete, piacevoli serate di discorsi di scienza, di lettere o di arti, seguiti senza sforzo troppo gravoso della mente; e ad ogni modo seguiti senza fatica superiore a quella ch’èra sufficiente a farci comprendere il grande divario che c’è tra una serata alla Università Popolare ed una al cinematografo, mentre il diletto, in quella è, se non maggiore, certo uguale al diletto porto da questo, per poco che si abbia gusto pel sapere, le quiete e piacevoli serate, ripeto, ci parrebbero ora quasi una frivolezza, od una manifestazione di egoismo, nell'ora in cui tanti nostri fratelli combattono e muoiono, o quanto meno sono esposti a tutti i rischi e i pericoli che una vertigine di odio e di ira ha scatenato sull'Europa.
Ben fece la Federazione delle Università popolari a suggerire che l’attività presente di questi ottimi istituti avesse da essere istruttiva sì, come sempre, ma in modo speciale educativa; intesa sì, certo ancora ad aprire alla mente i grandi orizzonti del sapere, ma intesa sopra tutto ad infiammare il cuore e la coscienza pei grandi ideali morali.
* Conferenza tenuta all’università Popolare a Genova, la sera del 6 dicembre 1915.
46
42
BILYCHNIS
E però il carattere ed il significato di questi convegni di istruzione e di educazione sia ora saturo di quel senso di serietà e di reverenza che emana dai convegni sacri.
Anzi a dare maggiore risalto a questo carattere speciale d’ambiente, che l’ora volgente richiede, evochiamo col pensiero e convochiamo qui con noi la memoria di Essi, di coloro dei quali non vogliamo che sia stata vana la morte.
Guardate! Vedeteli! Venivano a gruppi, a schiere; venivano dalle ridenti terre dell’isola di fuoco, dalla conca dolce di Palermo, dal paesaggio di sogno del seno siracusano, dalle aspre e belle giogaie della Calabria; da tutte le regioni di questa terra italica di cui ogni panorama, nella sua rinnovantesi varietà, è bellezza. Venivano dalle città e dai campi; all’appello venivano dagli sconfinati orizzonti del mare, e in molti, in troppi era l’ansia di un alto ideale; in molti, in troppi era un proposito deliberato di sacrificio, se fosse stato necessario; in molti, in troppi era un vibrar di sensi così elevati che esso non poteva non conquidere i cuori e provocare ¡1 rispetto e la simpatia di tutti per questa gioventù pronta per nobili motivi ad accettare anche l’estremo sacrificio, e ciò qualunque fosse stato il nostro pensamento a riguardo della terribile cosa ch’è la guerra.
Evochiamo, o Signori, e convochiamo in quest’ora quelli che conoscemmo personalmente, che forse salutammo col saluto augurale pel ritorno, nel momento in cui il treno carico d’armati sferrava dalla città densa di opere, in tumulto di lavoro.
Evochiamo e convochiamo forse il parente nostro, il figlio, il fratello, lo sposo, di cui portiamo in cuore l’amaro rimpianto e la dolorante ferita; rievochiamo i figli di tante madri italiane, cui ci sentiamo legati da un vincolo di nuova parentela etnica.
Rievochiamo i figli di tante madri belghe e francesi, di tante madri inglesi, di tante madri serbe e russe, che il lutto e la comunanza di sacrifici, che l’ansia di un proposito di rivendicazione di giustizia avvince ora a noi con una trama di fili fatti di simpatia dolente e commossa.
Rievochiamo e convochiamo i figli di tante madri germaniche ed austriache — sì, anche di loro, — gettati nella morte per soddisfare un torvo sogno di dominio di quella classe colta e dirigente tedesca su cui peserà domani, e già pesa oggi, l’esecrazione di tutto il mondo civile.
Rievochiamoli tutti; quelli cui va in modo speciale il nostro affetto perchè caddero per gli ideali di giustizia che noi sentiamo essere sacri e santi, e quelli cui, pur essendo stati essi strumenti ciechi e violenti del sopruso e dell’orgoglio, va ora la nostra pietà, per la strage della loro giovinezza, pel dolore della loro madre, per quello della loro sposa.
Rievochiamoli tutti, e presieda ai nostri cuori in questa ora il senso di reverenza che si prova nel trovarsi nel recinto di un camposanto, anche se le sue zolle ricoprano degli ignoti a noi. Presieda, o Signori, ai nostri cuori il senso di reverenza commossa che è richiesto dal fatto di essere nel più grande camposanto della storia della umanità, accogliente, non degli ignoti, ma quelli che caddero per le cose buone, per le cose giuste per le quali il nostro spirito è tormentato ed ansioso, e la nostra coscienza chiede riparo e tutela.
Siano essi presenti; e siano essi in folla in cospetto del nostro spirito; e ciò allo
47
AFFINCHÈ « ESSI » NON SIANO MORTI INVANO 43
scopo di farci misurare tutta la mostruosità di un supposto ch’io desidero per un momento di esaminare qui con voi, e che certo ha travagliato il cuore di ognuno di voi quando vi accadde di arrestare la mente sulla immensità dei dolori prodotti da 16 mesi di guerra mondiale.
Il supposto mostruoso è questo: « e se essi fossero morti invano? »
Perchè nella selva dei «se», ci sono anche quelli riguardanti possibilità che farebbero dire vana la morte di Essi.
Attendete qui.
Se si dovesse ricominciare la trama politica priva di senso morale per cui uno Stato tendeva a trarre nel faccio l’altro ed a creare alleanze e legami e situazioni, a suscitare perturbamenti e difficoltà sì che ad un dato momento il ministro dello Stato A potesse dire a quello dello Stato B di avergli infine dato scacco matto, mentre i pezzi della scacchiera sono i milioni di vite della generazione che si affaccia appena all’esistenza sociale; se si dovesse ricominciare la feroce caccia all’uomo ed al denaro che fu la politica coloniale delle grandi e delle piccole Potenze, niuna eccettuata, certo Essi, i milioni di giovani dalle svariate uniformi e dalle diverse favelle, sarebbero morti invano.
Se si dovesse tornare ai trattati sottoscritti e giurati, e poi, con restrizione mentale e con cinico disprezzo, lacerati e calpesti; se si dovesse di nuovo riconoscere che il diritto dei piccoli popoli è abbandonato al beneplacito di bruti assorti nei sogni pazzi della « welt politik », Essi, i fratelli che abbiamo convocato in cospetto all’anima nostra, da tutti i campi insanguinati d’Europa, perchè ci facciano meglio comprendere la solennità di quest’ora storica, sarebbero morti invano!
Se il mercato delle coscienze che era diventato l'arte di governo di quei che erano giudicati i migliori politici, se la caccia all’affare e la cupidigia dei grossi guadagni immoralmente procacciati sotto l’egida di leggi addomesticate, avesse da rifiorire come pel passato; se i turpi compromessi morali per cui le piaghe cancrenose dell’alcoolismo e del mal costume rimanevano sopportate benignamente, rispettate anzi da una società che poi condannava con disprezzo le vittime da essa stessa volute e prodotte; se tutto questo avesse da ricomparire domani come la morale corrente, la morale che ottiene le commende, guadagna i seggi politici alle due Camere e consegue le pubbliche cariche nelle Amministrazioni, Essi, i nostri giovani fratelli di ogni favella, sarebbero morti invano!
Se la durezza della vita economica avesse da ricomparire in tutto il fiero e stridente contrasto che, di liberi di nome e per legge codificata, fa in realtà degli schiavi economici; che nella legge della sfrenata concorrenza, nella concezione amorale del commercio e dell’industria crea insanabile abisso tra le classi sociali, se avesse da rinnovarsi la fallace illusione della capacità della organizzazione economica della società, socialista o sindacalista, a togliere da sola e per azione automatica, le eredità di male e di odio che sono nella società; se questo avvenisse. Essi, i nostri giovani fratelli di tutte le classi sociali, borghesi o proletari, sarebbero morti invano!
E se l’educazione delle generazioni che vengono, e già urgono e battono alla porta della giovinezza uscendo dall’infanzia, avesse di nuovo da fornire il con-
48
4!
BILYCHNIS
cetto leggero e superficiale della vita, mostrandola come un turbine febbrile dove è bravo chi afferra l’ora di godere, dove è posto come meta alla capacità ed alla sagacia il saper riuscire, senza chiedere come e per quali vie si riuscirà; se l'educazione avesse in fondo da risultare quello che in massima parte fu ieri, talché al giovane quasi dovunque, quando cadono le ingenuità fiduciose e le costruzioni un po’ convenzionali della prima giovinezza e svaniscono i sermoncini della pedagogia della fanciullezza, al giovane quasi dovunque si faccia sentire l’imperativo categorico di una realtà dura e selvaggia, « fatti largo, fatti largo, ad ogni costo! », se tutto ciò avesse da tornare ad essere la essenza e il frutto della educazione dei giovani di domani. Essi, ve lo protesto, o Signori, i giovani di oggi, che dovettero colla vita strapparsi di dosso d’un colpo tutte le leggerezze, tutte le frivolità e tutte le falsità di una educazione superficiale, sarebbero caduti invano!
E se la concezione filosofica di un progresso scientifico ignaro di quel che è bene e di quel che è male, avviato per la sua via senza curarsi se su di essa calpesta cuori e corpi di umani; se le aspirazioni religiose avessero di nuovo da essere inceppate nella vita pratica da ogni specie di vincoli e di limitazioni che ne annullino, per un larvato farisaismo, il valore etico e sociale; se il cristianesimo, questa eccelsa tra tutte le vedute religiose, avesse nell’azione pratica delle chiese, nella vita vissuta di quanti si vantano cristiani, da essere ancora e sempre lo sforzo dialettico di snaturare con dei « ma » e dei « però » un complesso di norme di vita che vogliono essere faticosa e gioconda realtà, e non ammirata e compatita utopia; se questo avesse da ripetersi, lo dico ancora una volta. Essi, i milioni di caduti, che potevano essere le speranze di una scienza rinnovata, gli apostoli di una religiosità e di un cristianesimo fatti vita vissuta, sarebbero morti invano!
E noi non vogliamo — nevvero? o Signori — non vogliamo che Essi siano stati mietuti da questa terra vanamente e inutilmente come erba dei prati.
♦ ♦ ♦
Signori, un mondo vecchio è sprofondato nel momento in cui, 16 mesi fa, scoppiava l’immane conflitto; e l’umanità da 16 mesi — e per quanto ancora? — si dibatte nelle doglie e nel sangue della gestazione di una società nuova. Perchè non sono solo dei nuovi confini politici di Stati che si stanno elaborando — che piccola e misera cosa! — ma sono nuove idee, nuove vedute; nuove basi del vivere civile.
E così deve essere, se la morte dei milioni di uomini che qui convocammo in ispirilo per creare in noi il senso della missione da compiere, non deve essere stata vana.
Un mondo vecchio è sprofondato allo scoppiare del conflitto mondiale.
Udite! Fra alcune centinaia d’anni — e nessuno di noi più sarà e anche i nostri figliuoli saranno passati da questa terra — sui terribili avvenimenti presenti sarà calato il velo vaporoso della leggenda. Gli studiosi, in una società Che avrà trovato il modo — ne abbiamo salda e incrollabile fiducia — di non più fare la guerra, e di rivolgere la formidabile potenza di organizzazione che è nell’uomo ad alleviare i mali fisici che lo travagliano, ed a sanare in gran parte le piaghe morali del pau-
49
AFFINCHÈ « ESSI » NON SIANO MORTI INVANO 45
perismo e del vizio, gli studiosi, dico, si rivolgeranno indietro a ricercare nelle vecchie carte, nei documenti, le impressioni vive della grande tragedia che sul principio del secolo xx insanguinò da un capo all’altro la vecchia Europa e i mari e l’antico e il nuovo continente.
Mi pare che allora un fatto, avvenuto qualche tempo avanti del gran conflitto — secondo le vecchie carte sarebbe stato tre anni e mezzo prima — dovrà apparire ai ricercatori come confuso col conflitto stesso, quasi simbolo leggendario del vero significato di quello.
Là, in sull’alba del secolo xx, diranno le vecchie carte, una nave meravigliosa aveva un dì salpato dalle coste d’Europa. Era essa lo stupore di quelli che l’avevano potuta ammirare; si chiamava II Titano. Misurava qualche cosa come un 300 m. di lunghezza, e 30 di altezza, e dislocava 96.000 tonnellate. Una vera città galleggiante!
E nelle vecchie carte lo studioso che allora, fra centinaia d’anni, raccoglierà la leggènda, troverà raccontato che sulla nave meravigliosa erano bagni, giuochi d’ogni genere, così da credersi sulle piazze o nei saloni delle più lussuose città alla moda; e poi erano biblioteche, vasche, zampilli e piante rare; e poi appartamenti splendidi, ad intarsi, a bronzi, a lacche costose, a dorature, a dipinti fantastici. Tutto lindo, tutte nuovo, riassumente l’ultima parola della tecnica — e che tecnica! — l’ultimo e più completo e più accurato compendio della multiforme potenza dell’intelletto dell'uomo.
Tutto vi era forte e poderoso; ogni eventualità avversa vi era stata discussa, pesata, scontata.
E la nave meravigliosa aveva salpato.
v Come avanzava impetuosa e trionfante sotto i raggi del sole! Come fendeva sicura l’onda nera, essa vivida e scintillante di luce nel cuore della notte profonda! Come tagliava netto lo specchio delle acque tranquille! E come nella tempesta rompeva e vinceva, sotto la prora alta e superba, il flutto spumoso!
Forza, bellezza, sicurezza e dominio della natura, ecco la forinola esprimente in sintesi razionale l’apparizione sull’oceano della nave meravigliosa, salpata pel suo primo viaggio.
E due giorni dopo — leggerà lo studioso nelle vecchie carte — due giorni dopo, a sera, col fianco squarciato, la meravigliosa nave calava nell’abisso fra un immenso grido di angoscia di 1600 persone morenti.
Ma non vi ingannate, dirà lo studioso, riferendo delle ricerche fatte e parlando del grande conflitto mondiale, i cui contorni, a distanza e negli effetti, appariranno colossali, non vi illudete, è questa probabilmente una leggenda simbolica fiorita al tempo della grande guerra. La nave meravigliosa ben raffigura quella che era allora la civiltà europea, la civiltà cristiana, la civiltà in una parola; è questa il Titanio perdutosi nel più spaventoso naufragio che la storia ricordi. E si comprende facilmente come sia sorta la leggenda a simboleggiare e condensare in un fatto terribile e grandioso e pieno d’orrore, quello che fu l’immensa tragedia degli anni della guerra immensa.
Non era dessa una meravigliosa nave quella che avanzava sull’oceano del tempo, la civiltà umana!
50
46
BILYCHNIS
Era salpata dalle rive del passato, costrutta e contesta con tutto quello che di meglio avevano prodotto le civiltà tramontate. Nelle murate, nei ponti, nelle paratie, nelle stive, nelle costole, nei boccaporti, nelle macchine di questa nave della civiltà erano elementi del sapere dei Caldei, degli' Egizi, degli Arabi; c’era il segno del Rinascimento scientifico, così bene come il prodotto dell’ultima scoperta della chimica industriale e della fìsica applicata.
La meravigliosa nave della civiltà moderna raccoglieva in sè la luce di pensiero recato al mondo da tutti i popoli; non uno di questi mancava all’appello. Il sonnolento e torpido sognare dell’oriente estremo, le poetiche spiritualizzazioni dell’india, la forte filosofia greca, il severo senso giuridico romano, l’alto sentimento religioso ebraico, avevano concorso a formare questa civiltà terribile di potenza, terribile di audacia, e terribile di pazzia. E s’erano riversati in essa i nuovi, i dolci e puri clementi della buona novella recata al mondo dal Profeta di Galilea.
Dove trovare accolta più complessa e più completa? Come immaginare maggior ricchezza di elementi, maggiori forze di riparo, maggiori riserve di energie di contrasto contro avverse azioni demolitrici? Come poter concepire maggior luce di ragione, maggior fiamma di sentimento, maggiore norma di dovere?
E sulla meravigliosa nave avevano tutti, chi più chi meno, imbarcato qualcuna delle loro più care speranze, delle loro più profonde convinzioni. Si trattava per gli uni di dottrine economiche, per gli altri di conquiste scientifiche, per altri ancora di affermazioni di diritto; e poi di organizzazioni democratico-sociali, e poi di disegni politici, e poi di vedute filosofiche e di interpretazioni sociologiche, e di influenze spirituali, e di principi cristiani.
Certo stonature, contrasti, elementi spuri, elementi superflui, certo ve n’erano; ma che era questo di fronte all’imponente fusione di quanto di meglio era stato pensato, costruito, previsto, immaginato?
Del resto la nave meravigliosa della civiltà avanzava così sicura, smentendo con tale e tanta facilità le previsioni dei profeti di malaugurio, che non pareva troppo audacia riportare su essa, a più forte ragione, le parole di sintesi definiente che la leggenda aveva espresso in riguardo della nave « Il Titanio sforza, bellezza, sicurezza e dominio della natura, ecco l’equazione matematica, l’espressione limpidamente razionale e ragionata, il titolo scritto a prora dello scafo mirabile.
Ad un tratto — noterà lo studioso indagatore, fra alcune centinaia d’anni — proprio come raffigura la leggenda, s’aperse l’abisso sotto i fianchi squarciati per l’urto contro il gelido banco dell'antica fatale passione del cuore umano; s’aperse l’abisso e la nave meravigliosa discese, tra l'immenso angoscioso grido di milioni di uomini stroncati dalla vita da un capo all’altro d’Europa e del mondo!
Così, forse, tra alcune centinaia d’anni sarà volto in leggenda simbolica della grande guerra il tragico fatto del « Titanica. Ma forse avverrà pure questo; qualcuno riconoscerà che nel tragico fatto non v’era finzione di leggenda, e per dati e ricordi controllerà la realtà dell’evento; e pure non potrà separarlo dall’altro ben altrimenti tragico fatto del naufragio della civiltà europea e cristiana nel grande conflitto; ma si chiederà pensoso se non fu quello una specie di simbolo premonitorio, dopo il quale la gente che avesse ben guardato addentro nella reale essenza della
51
AFFINCHÈ « ESSI » NON SIANO MORTI INVANO 47
compagine sociale, là nei primi anni della seconda decade del xx secolo, avrebbe potuto presentire che la splendida costruzione sociale di queiralba di secolo, più splendida che solida, sarebbe andata in breve a sfasciarsi per un mostruoso disegno di prepotenza e d’imperio ideato da una classe di persone colte, di politici e di militari, che là, nel centro di un’Europa incurante del pericolo, aveva preparato lo strangolamento della libertà dei popoli.
* • »
Un mondo vecchio sprofondalo; ma gestazione di civiltà nuova!
Se si afferma questo, non è, o Signori, non è un gettarsi per leggerezza in una speranza allettante ma infondata; non è un puerile figurarsi di quello che si desidererebbe; ma è la convinzione che va radicandosi nell’animo di tutti che soffrono del conflitto, perfino nell'animo dei responsabili e colpevoli di esso, che debbono vedere con spavento malcelato il fallire dei primitivi fulminei sogni di conquista dell’Europa, nei quali soltanto si acquetava e cercava giustificazione, l’iniqua scelta dei mezzi per raggiungere lo scopo; è la convinzione, dico, che sta diventando verità assiomatica questo, che bisogna, in modo assoluto, far sorgere un novus ordo dal selvaggio ordine attuale.
Ahimè! Sembra dolente destino della umanità di dover dare la vita tra le sofferenze!
Risalite il corso dei secoli. Per quante volte un’idea grande e giusta si affermò, per altrettante volte l’affermazione avvenne tra il sangue e le lagrime; sicché tutte le volte che, nello svolgimento storico umano ci si trova in presenza di un cumulo di sofferenze e di lutti, quasi quasi, per moto istintivo, si è tratti a chiedersi quale sia la nuova prossima conquista della umanità. Pare che avvenga come quando Tacque del fiume salgono, salgono e premono contro l’argine dietro il quale si trova al sicuro — così essa crede — spensierata la gente che dice a sè stessa « non cederà, l’abbiamo fatto tanto saldo! » E l’acqua intanto sale; ed a nulla valgono i mille piccoli indizi del lavorio demolitore da essa compiuto nella poderosa scarpata del terrapieno; « l’abbiamo fatto tanto saldo! » Fino a che, con impeto tumultuoso le onde irrompono per la breccia aperta!
Così prima della Grande Rivoluzione, contro la diga del passato era andata accumulandosi la piena dei rancori, degli odii, delle vendette, delle giuste ire, dei fieri propositi, finché la diga fu rovesciata. Così in tante altre vicende grandiose della storia, sempre quando era per nascere il mondo un « novus ordo » contro l’antico.
Se risaliamo col pensiero al mese di giugno dell’anno scorso — storia d'oggi, nevvero? —chi avrebbe detto che non si sarebbe più potuto avanzare se non passando per una crisi, e la più spaventosa, di quante mai furono?
Certo mille indizi erano là per avvertire che il livello dei rancori, delle cupidigie. delle ambizioni frenetiche, saliva e premeva contro la diga — debole diga invero! — dell’orrore della civiltà per la strage, e dell’interesse di quella ad evitarla. Ma pareva infine impossibile — lo parrebbe ancora ora, e a momenti crederemmo di sognare se non fosse la realtà che tocchiamo — pareva impossibile che, giunto
52
4S
BILYCHNIS
il momento di premere il bottone che doveva provocare il grande schianto, si potesse trovare la mano di un coronato pazzo o delinquente, che, invece di trarsi indietro con invincibile ripugnanza, avrebbe lanciato il segnale della proclamazione omicida, « muoiano dunque, poiché io, io ho deciso, muoiano i milioni dei miei simili! » Gestazione di sangue di una civiltà nuova; non moto inconsulto e sanguinario di una demente umanità. Se fu delinquenza pazza quella dei provocatori del conflitto, non può essere stolta illusione risibile la pensosa decisione per cui tanti e tanti dei caduti, che pure amavano e volevano le gioie della vita, accettarono la guerra e la sua dura conseguenza, il possibile sacrificio della vita, per un elevato ideale di giustizia e di libertà da rivendicare.
E poiché la loro non può essere stata stolta illusione, diciamo gagliardamente a noi stessi, proponiamo solennemente e individualmente alla nostra coscienza, questo, che il sangue di quei che sono morti deve essere il seme di una nuova civiltà, di cui, noi rimasti, siamo verso di loro debitori per debito sacro. Essi che morirono, lo sentirono dando la loro vita; oh! possiamo, noi sentirlo con maggior impeto di consacrazione, possiamo noi sentirlo per le loro sofferenze e pel sacrifizio della loro giovane vita; e sia in noi il giuramento santo e pio di cooperare quindi innanzi a creare una civiltà nuova; affinchè Essi,, gli innumerevoli caduti su ogni terra d’Europa, non siano morti invano!
• * *
Perchè Essi non siano morti invano, o Signori, bisogna anzitutto che siamo in grado — bisognerà farlo — di ridare alla società- futura, ora in embrione, costituita dai bambini che crescono ed ancor non sentono i nostri odii ed i nostri rancori, occorrerà ridare ad essi il sentimento della fraternità di tutti gli uomini che, per la maggior parte di noi, è ora perduto.
Affinchè Essi non siano morti invano, occorre che, quel che ancora non seppero fare le chiese cristiane organizzate, quel che non seppe fare l’arte politica, la pedagogia, la scienza, sappia fare la scuola dura del dolore, ridare cioè ai nostri figli il senso della solidarietà umana.
Un bellissimo libro, pubblicato or non è molto per i ragazzi, portava nella prima pagina una vignetta che è visione messianica della società che deve venire. Una lunga teoria di fanciulli, che ai diversi costumi caratteristici si riconoscono pei rappresentanti di tutti i popoli — e coi grandi popoli sono fra essi anche i piccoli — sembra venire verso il giovanetto contemplatore del bel quadro; e il sorriso e la serenità di ogni volto di bimbo sembra completare il profondo e grave significato delle paróle scritte a piè di pagina: ecco i tuoi- amici!
Ahimè! anche dopo deposte le armi, per moltissimi di noi che sentimmo e soffrimmo di questi anni di lotta, e ne soffrimmo in noi, nel nostro spirito, e nelle carni dei nostri figli e fratelli, per moltissimi di noi quelle parole rappresenteranno una impossibilità; ma perchè Essi non siano morti invano bisogna che pei nostri figli quelle parole esprimano una realtà.
Attendete qui; vorrei mostrarvi perchè credo che in questo momento noi,
53
AFFINCHÈ « ESSI » NON SIANO MORTI INVANO
49
come Italiani, siamo degni — notate che dico degni — di riproporci questa visione messianica della società che deve venire.
Accade agli eserciti, nella ferrea legge delia disciplina militare, di recare talvolta ai disegni degli uomini politici un consentimento passivo, fatto di una fermezza che non ha però base di consenso di volontà dettato da motivi elevati e nobili, anche per chi da essi dissenta. Si videro eserciti avventati ad opere di conquista inique ed infami, mostrarsi fermi, saldi ed impavidi, pur verificandosi il fatto che nessuna delle ragioni dell’azione guerresca e di sangue potesse trovare scusa o pretesto men che ignobile, men che materiato di sentimenti di prepotenza e d’orgoglio.
Così non è dei soldati nostri che combattono sulle Alpi e sul mare. Qualunque sia l’amarezza che può essere in noi di vedere l’umanità, e l’umanità che più ci tocca da presso, applicata alla distruzione ed all’uccisione, ci è di saldo conforto il sapere che le ragioni per cui i nostri combattono, muoiono e vincono sono ragioni irradiate da giusti motivi di libertà voluta per popoli della nostra famiglia duramente e lungamente oppressi. Più ancora, ci è saldo conforto il sapere che essi combattono, muoiono e vincono per un ideale di giustizia tra i popoli che fu violato dagli imperi centrali nel modo più ripugnante ad anima che abbia senso del diritto e della equità. Ci è di saldo conforto il sapere che essi combattono, muoiono e vincono per un ideale di rispetto dovuto dai grandi popoli, non solo ai loro uguali, ma anche ai popoli piccoli e deboli. Ci è di saldo conforto il sapere che essi combattono, muoiono e vincono per un ideale di pace, diciamolo pure alto e forte — tra il rumore delle armi — per un ideale di pace, che l’imperialismo teutonico insidiava profondamente ed irrimediabilmente nei torvi disegni di una classe dirigente e di una classe colta, nelle cui mani il popolo tedesco, il popolo che forse più di tutti aveva nel passato mostrato uno spirito di libera critica, ha in questo ultimo mezzo secolo abdicato ogni criterio, ogni atteggiamento ed ogni diritto di libero esame e di libero giudizio — Liebeneckt infatti è solo o quasi ed odiato dai suoi connazionali.
Ci è di saldo conforto il sapere che nella terribile ed orribile cosa ch’è la guerra, il diritto e la giustizia, che entrano anche negli atti umani da dove sembrano esulare la carità e l’amore, il diritto e la giustizia riposano di gran lunga a preferenza sul campo degli Alleati coi quali è l’Italia.
È per questo che, nel momento in cui la lotta è nel pieno, e, a sostenere gli animi, sembrerebbe doversi parlare solo di ira e di vendetta, noi sentiamo di potere già fin da ora rivolgere gli spiriti della nostra gente, di voi, egregi uditori, a quei grandi principi di fraternità che sappiamo essere, in ultima analisi, l’anelito di ogni essere umano; e verso i quali, per la coniraddizion che noi consente, non potremmo tendere, se fosse stato in noi e fosse ora lo spirito della « coltura » germanica, in quello che essa si è rivelata come valore morale e sociale.
È per questo che, riguardando alla nuova società che deve uscire da questa gestazione di sangue e di lagrime, e salutandola con fede fin da ora, sentiamo che prima opera di essa deve essere, ripetiamolo dunque, quella di ridare alla generazione che viene, come faro direttivo, quel senso della fraternità che ora sembrerebbe piuttosto doversi attribuire alle fiere delle foreste che non agli esseri « nati a formar V angelica farfalla *\
54
50
BILYCHNIS
E noi vogliamo in quest’ora, pel debito che abbiamo verso i caduti sotto ogni cielo, per. il dovere di cooperazione che si richiederà da noi per costituire un nuovo vivere civile, riguardare ad esso che viene, e discernerne e fissarne alcuni dei grandi lineamenti morali.
Seguitemi, o Signori, ancora in questo; intendiamo lo sguardo nella foschia che ancor vela il domani e cerchiamo di scorgere i tratti principali, morali e sociali, necessari alla fisonomía della nuova civiltà, affinchè Essi, i milioni di nostri fratelli, non siano morti invano.
Avverrà nella sfera della filosofia, dove — e la realtà presente Io rivela anche ai ciechi — sulla incudine del pensiero si martellano e si forniscono idee che, non inutili giostre combattute su libri astrusi ed incomprensibili ai piti, ma diventano poi armi taglienti ed incidenti nella viva carne degli uomini, avverrà che l’immorale ed antisociale principio della «lotta per la vita» applicato al consorzio umano ed alle relazioni tra gli uomini e tra i popoli, debba essere tolto di mezzo.
Un’acuta mente di dotto (l’on. Sanarelli), in un recente discorso, .che ebbe larga eco pubblica, rilevava giustamente come questo principio scientifico, dato come spiegazione geniale, e in molti casi fondata, di fenomeni naturalistici, penetrato con vesti ed aspetti differenti in tutti i campi del pensiero e della umana attività, fin nel campo religioso, abbia portato al pervertimento morale di quella che appariva dianzi come la più alta sintesi di sapere e di dottrina, la coltura tedesca.
Ma l'infiltrazione avvenne non soltanto là dove più erronea e deleteria apparve l’applicazione di esso agli ideali morali; e non sarebbe difficile rintracciare nello spirito delle classi dirigenti, presso tutti i popoli, in certe degenerazioni del sentimento patriottico, in altre del sentimento religioso, in certe forme imbastardite di democrazia sociale, non sarebbe difficile rintracciare l’applicazione, o il tentativo di applicazione di un principio filosofico che, a chi ben guardi, reca nella compagine umana, come elementi direttivi, le tendenze ferine e predatrici.
E però fissiamolo fin da ora, come uno dei lineamenti della società civile della cui costruzione siamo debitori verso Essi, i nostri morti, fissiamolo il lineamento filosofico che deve diventare norma etica, e quindi prassi attiva, per le relazioni tra uomini, tra classi sociali, tra popoli e Stati, cioè la solidarietà per la vita.
La società civile che ha fatto e sta facendo naufragio era ed è predatrice e ferina nella politica, nei commerci, nelle industrie; bisogna che quella che nascerà dalla sanguinosa gestazione abbia la chiara visione che. per la china del passato, si va ad una ecatombe sempre maggiore dei popoli; che lo sforzo della umanità per dominare ed asservire la materia e saperne guidare le leggi formando i più meravigliosi meccanismi, se si accetta e si perpetua il principio filosofico della lotta per la vita per le relazioni umane di qualsiasi ordine, ritorna a questo, che l’uomo sulla terra sarà distrutto dalla produzione stessa del suo intelletto; spaventosa rivincita della materia conquistata sul suo conquistatore!
Questo deve essere, affinchè Essi, i caduti, non siano morti invano; e deve poi il concetto politico delle due morali obbligative, una per gli impegni tra individui, retta dai codici, l’altra per gl’impegni tra popoli, retta dai siluri, dai gas venefici e dalle bombe aeree, quel concetto dev'essere gettato nel più profondo dell’oceano del passato.
55
AFFINCHÈ « ESSI » NON SIANO MORTI INVANO
51
Deve costituirsi e sussistere una legge delle nazioni (1). « La forza regna ora padrona sul mondo, e sappiamo che detterà le condizioni della pace; perchè sappiamo che il conflitto formidabile in cui l’imperialismo ha gettato l’Europa non può essere arrestato da formole e da voti di pace. Sarebbe follìa infatti di pretendere di affrettare di un giorno la soluzione del conflitto, la cui fine è ora tra le mani di quelli che hanno la forza. Sarebbe forse anzi pericoloso cessare la lotta nel momento in cui gli avversari non deporrebbero le armi che colla segreta speranza di prender la loro rivincita tra 5 oppure io anni... Ma poiché la forza deve regolare le sorti dell’Europa, possiamo lavorare affinchè questa forza si metta a servizio del diritto.
« Che è il diritto in materia internazionale? Esiste esso questo diritto pel quale lottammo con ardore, questo diritto che diede luogo a tante conferenze e di cui portano le tracce tante convenzioni? No, non esiste!
« Senza dubbio si è costruito un edificio notevole sotto più rapporti. Le Conferenze dell’Aja hanno dato origine a trattati internazionali che regolano fin nei minimi dettagli le condizioni della guerra. Altri avevano timidamente tentato di risolvere pacificamente i conflitti tra le nazioni.
« Ma a questo edificio mancava la base. Dei dotti, dei filantropi, degli « utopisti » lavoravano a dargliela; quando il ciclone bruscamente ha travolto l’opera appena abbozzata.
« Avrebbero essi dunque lavorato invano? Mai no! Ma è necessario di dare all’edificio di domani la base che mancava a quello di ieri.
« La base del diritto è la volontà ferma dei contraenti di osservare i loro impegni. Ora come si può lealmente fondare un diritto internazionale, quando l’uno o l'altro dei contraenti si riserva di violare i suoi impegni il giorno in cui l’osservarli gli sembrerà (notate bene, sembrerei a luì!) incompatibile coi suoi interessi vitali? — « Noi kennt kein Gebol! » (necessità non conosce comandamento), diceva Betmann-Holwèg al Reichstag. È questa la formola che spiega ogni ricorrere alla forza. E questa for-mola vizia in modo assoluto ogni impegno contrattuale ».
Tra i lineamenti della nuova civiltà dobbiamo fissare anche questo — e ne siamo debitori verso quelli che sono morti appunto per la sua mancanza, —- l’esistenza cioè di una legge delle nazioni, come esiste già una legge degli individui.
Allora potrà essere corretto e imbrigliato quel sentimento patrio che, così nobile al suo punto di partenza, può diventare così deleterio al suo punto d'arrivo, quando culmini in orgoglio di popolo e di razza, e la cui conseguenza immediata è lo spirito di dominio e di conquista, l'imperialismo superbo e brillante per manti imperiali, ma grondante lagrime e sangue di popoli.
E sarà corretto — mi arresto e correggo me stesso—sarà distrutto quel concetto blasfema e ripugnante della divinità nazionale, che se ha lasciata l’apparenza antropomorfica e grossolana che aveva presso i popoli antichi, è nella sua essenza rimasto inalterato nella mentalità moderna di molti nostri contemporanei, pei quali invano fu un giorno, 19 secoli fa, eretto un infamante patibolo sulla vetta del Golgota.
• (1) « Les États-Unis d’Europe », numero di aprile-giugno 1915.
*
56
52 BILYCHNIS
♦ » ♦
E se avverrà che queste nuove basi sociali abbiano da uscire dalla strage europea, mi pare, o madri, o padri, o spose, o dolenti, o voi che trepidate pei vostri cari al pericolo, pur essendo fieri di essi, mi pare che qui debba trovarsi il balsamo che può lenire l’angoscia vostra. Essi sono morti, ma dai loro sangue sorge una società migliore! Allargate, allarghiamo l’orizzonte -nostro; lasciamoci compenetrare da questo spirito di missione per cooperare all’avvento del nuovo vivere civile.
Uno dei caduti, una delle personalità della immensa ecatombe, una delle più ragguardevoli, e il cui ricordo andrà lontano fin che duri l’umanità, miss Cavell, spezzata da piombo assassino, ebbe, e vi addita, o dolenti, questa larga visione dovuta allo spirito di sacrificio. Prima di essere fucilata, in modo Che rimane ignominia per lo Stato che ne è responsabile, diceva: « Trovandomi, come sono, in presenza di Dio e dell’eternità, mi rendo conto che non mi basta avere il patriottismo, e che occorre che io non abbia nè odio nè rancore verso chiunque ».
E dinanzi a voi, o invisibili spiriti la cui memoria qui evocammo da tutti i campi insanguinati, dinanzi a voi vogliamo, in un sentimento di inflessibile dovere civile, in un sentimento di sacro e puro amor patrio, in un sentimento di sacra e pia missione sociale, giurare l'impegno nostro di essere cooperatori di questa società nuova, che nasce tra il sangue, ma deve nascere, affinché voi, o caduti, non siate morti invano/ e noi, noi che qui ancora rimanemmo, non rimaniamo a vivere invano!
Mario Falchi.
57
PADRE GAZZOLA
>ICHÈ è morto silenziosamente e serenamente — ad onta che l’eccessivo rigore dei suoi superiori non gli avessero acconsentito di comporre in pace il suo corpo in un clima meno dannoso a lui che non fosse quello di Livorno — e non possiamo nuocergli, parliamo di lui. Ma chi l’ha conosciuto? Pochissimi e molti. Pochissimi di quelli che fanno le fame e le disfanno nel campo religioso come in quello politico e letterario, moltissimi di quelli che non ostentano una finezza spirituale che
non hanno — invocando Iddio e i Santi dopo avere accesa l’ultima fiammella della loro debosciata umanità a qualche femmina galante, — ma ne possiedono una sostanziale e vera e la coltivano e perfezionano con silenziosa fatica di ogni ora e d'ogni giorno. Così ai pochi è noto che questo religioso, dotato d’una cultura straordinaria, aveva affrontato in tutta la sua ampiezza il problema religioso quale è posto nel nostro tempo — problema non essenzialmente di cultura — e dopo avere rassicurato se stesso della validità del pensiero umano nella filosofia di Antonio Rosmini, s’era posto ad indagini lunghe e pazienti sui documenti biblici che leggeva nell'originale, vagliando le difficoltà critiche dei dotti, conoscitori delle lingue moderne. Ma ai moltissimi che furono da lui beneficati di consiglio e di assistenza tutte queste cose apparvero. Perchè egli non s’era proposto di utilizzare la sua cultura e la sua meditazione personale sui problemi nella maniera manifesta dei maestri, ma s’era attribuito un compito più modesto: di illuminare le menti e confortare gli animi nel silenzio e nel raccoglimento. Onde fu che neppure quando dalla chiesa di S. Alessandro in Milano, nella quale fu per venti anni parroco, predicava dottamente, pretese di essere maestro, ma volle essere padre e consigliere, da che l’età e l’esperienza gli permettevano di essere ritenuto tale. E se la sua predicazione fu un modello di oratoria pastorale — in quanto che questa non deve essere una esercitazione stereotipata su le tradizionali ed ufficiali interpretazioni dell’Evangelo, ma sforzo personale di cavare dalla parola del Cristo la eterna verità, tenendo conto delle esigenze di chi la richiede — si può dire che egli non se ne accorse. Avete mai trovato difatti raccolte le sue prediche presso qualche libraio? Era a lui sufficiente di completare dal pulpito il suo ministero pastorale incominciato altrove. Di quel che si pensava della sua abilità e della sua capacità non si preoccupava, ma di quello che poteva apparire il suo zelo e poteva essere l’efficacia della sua opera di sacerdote, sì. Onde è che egli fu un modello di sacerdote e di pastore. Onde fu anche che la sua attività si inserì fruttuosamente nella linea del modernismo. Come modernista egli fu costretto a lasciare la sua parrocchia di S. Alessandro in Milano, a pe-
58
54 BILYCHNIS
regrinare di convento in convento, finché non gli si impose di fermarsi a Livorno, donde datava le lettere « dall’esilio » e si firmava « exul Christi ». A esaminare così da storici il fatto, non è da dirsi che il provvedimento dell’autorità fosse senza ragione e senza perspicacia. Oramai si possono sceverare da quel fenomeno non molto semplice che fu il modernismo gli elementi essenziali e si può dare su di esso un giudizio spassionato. Mantenendogli le caratteristiche di movimento inteso a mettere la Chiesa a contatto della Società e della cultura moderna con una riforma interna di essa (dogmatica, disciplinare, e, a guardare a certe manifestazioni come furono le Lettere di un prete modernista, morale), che le permettesse di accettare invece della trascendenza l’immanenza, dell’assolutismo dogmatico il relativismo, della gerarchia a forma monarchica la forma democratica, della fissità dei precetti morali, la evoluzione dei costumi secondo l’influenza dell’ambiente, ecc.), a me pare che modernismo, non fosse sostanzialmente se non quello di Padre Gazzola e di pochi altri. Da questi soli era dato mantener fede al loro proposito senza urtare contro delle difficoltà interne ed esterne che compromettessero l’esito della loro opera. Non era possibile persuadere a forza di ragionamento la Chiesa — intendo nel concetto cattolico romano quella parte di essa che assomma le volontà degli altri e parla per tutti — che il suo sistema dogmatico era fallace, la sua filosofia un anacronismo, la sua disciplina un sopruso e che la Bibbia doveva essere lasciata al libero campo delle competizioni critiche e letterarie come qualunque altro libro. La logica interna di essa smontava l’argomentazione modernista fin dalla sua prima posizione, molto semplicemente. La Chiesa non sentiva il disagio intellettuale nè le esigenze spirituali dei modernisti, poiché la maggior parte del clero in alto e in basso continuava a predicare integre le sue verità e i fedeli, nella loro maggioranza, a credere integramente con la sua fede. Era la premessa di un sillogismo, la conclusione del quale doveva affidarsi ad un atto di autorità. Perciò l’enciclica Pascendi che esagerò il pericolo di quella forma di modernismo proposto alla sua polemica, perchè la vittoria fosse più rumorosa, aveva facile giuoco. Tutto quello scritto fu un àbile artificio della superfluità del quale la prima ad essere persuasa doveva essere l’autorità, mentre era ad ognuno manifesto che la via alla riuscita se l’erano preclusa i modernisti stessi nella fretta di una elaborazione sistematica. Nè doveva sfuggire fin da principio la visione degli effetti che la condanna avrebbe prodotti. I modernisti dovevano o ridursi al silenzio della sottomissione o disperderei per le vie della filosofia e della cultura moderna, ritornare alla fede o mettersi al di fuori e al disopra di essa. Non fu perciò sconfitta della Chiesa se i preti che scrissero la risposta all’enciclica Pascendi continuarono, ad onta della scomunica fulminata a celebrare la messa e ad esercitare il loro ministero. Tutti sanno che essi sono e saranno pel patrimonio dogmatico e disciplinare della Chiesa degli innocui; potranno essere forse come quei figli che pur avendo ripudiata in un crocchio d'amici l’eredità paterna perchè furono continuamente molestati, vivente il genitore, dalla sua arcigna autorità non rifiutano di coglierne i frutti legali, se un laico magistrato glieli fa cadere finalmente in grembo. L’errore del metodo che il Gentile notava in essi era anche la loro debolezza. Perchè il modernismo riuscisse allo scopo prefìssosi d’una riforma interna della Chiesa e potesse riattaccarsi agli altri tentativi consimili che registra la storia della Chiesa bisognava che esso si procurasse il consenso della massa dei fedeli. Ma
59
PADRE GAZZOLA
55
per fare questo doveva procedere diversamente nel suo ragionare. Presso a poco così: Se’ la religione fosse unicamente una teoria della divinità, la ragione certo potrebbe intervenire, interloquire efficacemente. Ma la religione non è solamente nè principalmente una teoria, un concetto di Dio, bensì è una fede, un sentimento. Ora la ragione, può criticare il concetto di Dio, lo può correggere, ma non può produrre la fede. Ed è per questo che tutte le critiche religiose, le critiche delle credenze popolari effettuate dai filosofi greci, ad esempio, non produssero mai alcun moto religioso nell’umanità. Guardate Socrate: Socrate critica, corregge la concezione di Dio che trova nel popolo greco. Si è iniziato da questa critica un moto religioso? No, in nessuna maniera. La sua religiosità Socrate la portò con sè nella tomba, non l’ha comunicata a nessuno. Non spetta perciò alla ragione di criticare il sentimento religioso in vista degli interessi della vita religiosa. Ma spetta alla religione stessa. In che maniera? Ecco, il sentimento religioso non è cosa semplice, ma complessa, la religione è adesione all’assoluto reale, e in quanto è adesione all’assoluto reale essa è moralità, ed è felicità perchè l’assoluto reale è fonte di vita, è fonte e principio di virtù. Il sentimento religioso risulta quindi di due elementi: dalla fusione della moralità con la felicità; non è semplice, è composto. Che cosa accade allora? Quello che tutti sanno, che tutti esperimentiamo: la tendenza alla felicità prevale sulla tendènza alla virtù, e allora il sentimento religioso si corrompe. Ma la tendenza ai. piaceri non può distruggere, non può annientare totalmente la tendenza alla virtù, l’aspirazione alla moralità; quindi deve avvenire, presto o tardi, una reazione della coscienza morale. È appunto questa reazione che critica il sentimento religioso corrotto e guasto dalla prevalenza del piacere.
Questo ragionamento è uscito un giorno dalle labbra di Padre Gazzola e l'ho trovato in un breve volumetto senza titolo, del quale non egli volle la pubblicazione, ma pietà di figli al padre lontano, pietà di fratelli ai fratelli, cui l’eco pallida della sua bontà conforti nei giorni che più triste è il vuoto e più vivo il desiderio dà lui lasciato. Io mi sono domandato una volta quando il fervore delle polemiche era più aspro e il consenso come un sogno cui manchi anche la più lieve linea di consistenza, mi domando ancora, mentre la logica insita in ogni movimento ha fatto giustizia delle polemiche, se non ci sia in questa pagina il lievito ed il fermento per quanto di utile è ancora possibile tentare nel campo d’una riforma religiosa. Con essa il problema fondamentale del modernismo non è soppresso come qualcuno potrebbe superficialmente credere, ma è spostato verso una via di ricerca nella quale la competenza dell’autorità non può raggiungere. Perchè se il problema critico — checché ne pensi la filosofia cattolica la quale ha costruito un suo castello di finzione filosofica che sfascia ài primo contatto della sua religione — non ha ragione di essere nei riguardi della religione, la esigenza morale sta invece alla base di tutto il problema religioso. Non è dunque da credere che l’accordo tra la religione e la società moderna debba avvenire più tosto sul terreno etico che su quello esclusiva-mente metafisico? A me pare evidente se si pensi alle soluzioni dei problemi metafisici Che dònno la religióne e la filosofia.
Riprendendomi, è in questo senso che io ritengo il modernismo di Padre Gazzola più pericoloso dal punto di vista cattolico e piti proficuo dal punto di vista riformatore. Forse anche lui ha avuto dei momenti di indulgenza a quella forma par-
60
56
BILYCHNIS
ticolare di intellettualismo dalla quale erano presi parecchi dei suoi amici di battaglia: « Io vorrei, diceva, che le mie predicazioni rispondessero alle difficoltà dell'intelligenza ». Ma in fondo, alle difficoltà rispondeva forse con dei ragionamenti? No, egli le superava facendole dimenticare. Tuffava le anime dubbiose e in pena in un bagno di misticismo, le illuminava di tutte le bellezze morali della sua religione ed esse ritornavano piò buone, più desiderose di bene, più amanti, più caritatevoli, più tolleranti. La loro sicurezza morale li salvava dai dubbi dell’intelligenza, ed egli poteva anche illudersi di aver messo a disposizione dei suoi compagni di fede la esperienza della sua vita intellettuale.
Ci sono nelle brevi pagine del Gazzola altre testimonianze che provano la costante sua preoccupazione morale. Nei riguardi del sacerdozio il P. Tyrrell aveva posto seccamente il problema: Da Dio o dagli uomini; e lo svolgimento — checché appaia in alcune pagine — è piuttosto ab extra, per giustificare dinanzi ad una coscienza moderna resistenza del sacerdozio, così come aveva cercato di giustificare nella famosa lettera ad un professore d’antropologia, la fondamentale po izione religiosa. Nessuno ha pensato che posto e risolto così il problema rischiava di essere senza efficacia, donde il fraintendimento nel senso di una ricerca spirituale interna delle intenzioni del modernista inglese per parte di quelli stessi che si occuparono con deferenza del pensiero di lui. Invece chi non vede che per uno il quale non sia nell’ambito d’una confessione religiosa il problema del sacerdozio, della sua origine, della sua storia, della sua efficacia è un problema accademico? Guardiamolo nella sua luce più vera. Ci sono delle anime che hanno fatto della religione il fulcro della loro vita, sono e vogliono essere di una determinata religione perchè al di fuori di essa non saprebbero dare non soltanto una spiegazione del mondo e di sè soddisfacente, ma un indirizzo alla loro vita pratica. Per gente così fatta il sacerdozio è elemento indispensabile della loro religione. Evidentemente il problema della sua origine e della sua storia non li preoccupa. Non c’è di vero che questo: il sacerdozio è indispensabile. Se non che nello spirito di attualità che li assorbe essi notano una discordanza tra la loro dottrina e i loro sacerdoti. Senza distendere qui le norme religiose che sono sempre norme morali dalle quali i sacerdoti discordano, noi possiamo dire che essi non li sentono più presenti. Ora questa lontananza per delle anime che sentono la necessità continua del contatto e della comunicazione religiosa non può non essere senza effetto. O le porta a superare ogni forma particolare storica di sacerdozio e farsi sacerdoti esse stesse, oppure a non aver più fiducia nella religione che non sa fare migliori neppure i suoi ministri. Questa è la preoccupazione di chi entra nel campo della Chiesa con spirito riformatore, e cioè guidato da un singolare senso storico. Egli può quindi e deve essere persuaso che per buona parte della società moderna il sacerdozio non dico non ha ragione di essere ma non ha un interesse. È per l’altra parte che egli lavora. Il riformatore tende a dare della religione la forma più pura e più spirituale. Ma non importano la purezza e la spiritualità, l’esclusione del sacerdozio? Chi ponesse così il problema lo porrebbe inesattamente. Trasformiamo la domanda in un’altra equipollente — dice P. Gazzola: — abbiamo noi oggi ancora bisogno di uomini spirituali, divini?... Cioè, abbiamo ancora bisogno di chi dall’intimo commercio del mondo superiore della verità sussistente trae la norma costante della vita, la regola assoluta dei giudizi sulle azioni e sugli avveni-
61
PADRE GAZZOLA 57
menti umani ; di chi dall’intimo commercio col mondo superore della felicità completa trae pazienza nelle prove, coraggio nelle avversità, speranza nella morte; di chi dall'intimo commercio col mondo superiore della bontà infinita trae un senso ineffabile di paternità divina, di fratellanza universale? Ponete così il problema e voi ve lo vedete assumere delle proporzioni meravigliose. Capite come possa arrivare ad interessare anche coloro che erano restati insensibili alla prima posizione di esso, capite come non soltanto da uomini che vivono una loro fede, ma da altri possa concludersi: di sacerdoti « la povera stirpe di Adamo non può far senza mai; essi nòn sono mai troppi ».
E il modernismo avrebbe raggiunto per una via più propria lo scopo di raccostare la società moderna alla religione.
Io mi sono attardato ad illuminare alcuni lati della attività di un frate quasi ignoto, perchè in essa mi sono parsi riflessi degli aspetti, i più caratteristici, del modernismo. Il quale non è morto, ma vive perchè, anche se pochi, degli uomini come Padre Gazzola ci sono ancora nella società religiosa.
Se non fossimo persuasi di questo vi sarebbe forse uno scopo nella passione degli uomini liberi al problema della religione?
Ferruccio Rubbiani.
Nota. — Queste pagine pensate e scritte prima dell'articolo di lite Ego apparso nell’ultimo fascicolo di Bilychnis, non pretendono evidentemente di dare tutta la soluzione del problema modernista. A me pare che ponendosi da un punto di vista esterno al movimento stesso sia possibile e — in un certo senso — necessario dare una spiegazione storicamete plausibile dell’insuccesso — altri ritiene definitivo, io no — di esso. E si capisce che il giudizio non può essere dato se non sugli elementi che a noi cioncamente constano. Pur troppo c’è una parte, ed è da un suo punto di vista la più interessante, che ci è sconosciuta: l’esperienza personale che i modernisti— parlo di quelli che hanno caratterizzato il movimento — vi hanno portato. Su quella mi pare prematuro ed irriverente portare un giudizio definitivo. Di qui il mio dissenso dall’interpretazione che di tutto il fenomeno modernista dà lite Ego, prendendo occasione daU’/ltttoòzqgra/fl del P. Tyrrell. Questa doveva avere un immenso valore di documento spirituale, perchè dischiudeva una prima finestra per vedere dove più sopra affermavo ci è ancora vietato di vedere. In questo senso il libro andava interpretato. Il torto di lite Ego è di avere con un’estrema facilità Chiusa quell'unica finestra. Naturalmente Tyrrell, Murri, Loisy finiscono in tal modo per essere presi per uomini che hanno sbagliato strada. Ma l’averli rimpiccioliti così è inutile, perchè il problema non è soltanto spostato, nell’interpretazione di lite Ego. è soppresso addirittura.
E allora ad quid questo nostro occuparcene?
Senza dubbio vi riscontriamo un valore che trascende gli uomini, siano essi Tyrrell, Murri o Loisv e che va mantenuto vivo.
R. F.
62
CRISTIANESIMO E STORIA
(ad A. GHIGNON1)
o letto e riletto la risposta che A. Ghignoni mi dedica — la lettera che non mi ha spedito! — nel numero di ottobre di Bilychnis; ed ho letto anche quel che egli scrive nell’ultimo numero del Coenobium. E il dissenso rimane, intiero. Ho scandalizzato G. e debbo tornare a scandalizzarlo. Ma intendiamoci. Il dissenso verte, e insanabile, nella sostanza; perchè quando, ad esempio, G. si scandalizza credendo, a proposito della mia frase « dal deserto non nel deserto » che io voglia
far dello spirito sulla solitudine e sul raccoglimento, sbaglia. Guardi il G. in una carta d'Italia o in un annuario del Touring dove è Gualdo, e vedrà che è quasi come se io parlassi dal deserto, anche se non ho nessuna voglia di parlare nel deserto, o, meglio, al deserto.
E lasciamo altre brevi divagazioni del G. per venire alla sostanza. G. mi accusa di essermi fatto, per mia comodità, due schiere: l’una di quelli che, prendendo le mosse dai precetti e dallo spirito del cristianesimo, nega la guerra; l’altra che, esaminando le ragioni ideali della propria guerra trova che esse stanno nella difesa e nello sviluppo di quei beni spirituali che ci vengono appunto dal cristianesimo e quindi in nome di questi accetta e benedice la guerra. Ed aggiungevo: l'antitesi è irreducibile; tutte e due le parti hanno ragione e torto; bisogna dunque cercare la sintesi delle due mezze verità, la verità piena. E collocavo questa nel cristianesimo-storia.
Io non sono, dice G., da nessuna delle due parti. Ho negato che la questione possa esser posta a quel modo poiché, in quei termini, essa è insolùbile. E scrivevo che per uscirne bisogna...
— Bisogna, che cosa?
— Negare la storia, questa storia e questa società, e contrapporre ad esse il nostro ideale cristiano, il cristianesimo nella sua integrità.
— E dunque il mio torto polemico verso di te, o G., sarebbe quello di averti messo nella categoria di coloro che dal cristianesimo deducono la condanna della guerra; perchè non solo questa tu ne deduci, ma e della società in cui questa guerra è stata possibile e degli Stati che l’hanno decisa e di tutta quanta la storia, in quanto essa ha messo capo alla guerra e mette capo alle guerre. Perchè non ho preso atto
63
—7.---------CRISTIANESIMO E STORIA 59
di questa tua logica tanto più radicale? Per due buoni motivi. Primo perchè, quantunque proprio il tuo articolo mi decidesse a scrivere, io non mi proposi di rispondere a te ma di riesaminare la questione per mio conto. Secondo perchè... io mi rifiutavo, dentro di me, di attribuirti una tesi che ritengo paradossale e pericolosa per la concezione stessa del cristianesimo. Ma ora tu sei reo confesso. Tanto meglio; potrò esser più spiccio.
Dunque, tu dici, cristianesimo non è guerra e guerra non è cristianesimo.
Uno, due, tre, Er papa nun è re Er re nun è papa e
con quel che segue. Diremo, anzi, che il cristianesimo è il paradiso e la guerra, secondo la definizione di un generale inglese, è Finferno. Ma bada, G.; questo è vero delle nozioni, dei concetti, dei punti di vista dai quali si osserva e nei quali si rifrange il blocco compatto della realtà. A guardare un poco più addentro in questa, i tuoi regazzini romani sarebbero forse più saggi, certo più filosofi, se cantassero
Uno, due, tre, Er papa è anche re Er re è anche papa, ecc.
Ti farei torto mettendomi a provarlo. Se lo provassi, potrei anche mostrarti che tanto meglio si comprende l’una cosa, quanto più si trova che è l’altra; che il papato è diventato quel che è a forza di voler farsi re e che la monarchia, quanto più ha perso di potere effettivo e concreto, tanto più è divenuta simbolo e rito, sacerdozio di una sovranità spiritualmente elevata sopra i contrasti e la responsabilità del potere effettivo, a rappresentare ed attuare quella specie di comunione d’anime e di generazioni che è la patria.
Il papa è re od il re è papa. Guglielmo II, lo' Czar delle Russie, il sultano son papi-re. Il cristianesimo è guerra, se è negazione pratica vivace risoluta del male, violenza che incarna una volontà di bene, quando questa volontà, non agendo, diverrebbe simile ai dugento citrulli del Giusti. La guerra è cristianesimo se, sovvertendo e rifacendo la storia, essa, ci avvicina ad una concreta società umana in cui ci sia più e più attuoso amore fra gli uomini. Io ammettevo esplicitamente che la dottrina di Cristo, per quanto ci è dato ricostruirla, esclude e condanna la guerra, in sè e nelle sue cause. Dal punto di vista religioso, la storia è la vittoria dello spirito ottenuta mediante il distacco e la rinunzia ai beni che fanno gli uomini cupidi ed egoisti; mediante la dedizione volonterosa di sè, il perdersi nel secolo per ritrovarsi nell’Assoluto. Ma il -punto di vista religioso, come ogni altro punto di vista, il giuridico, il politico, l’economico, l'estetico, non è che forma e momento dello spirito; il quale nella sua concreta realtà, che è la storia, li pone e li svolge tutti a un tempo, perchè pone e svolge se stesso in tutta la ricchezza de’ suoi motivi; e il progresso sta nel coordinarli secondo il loro effettivo valore, fra oscillazioni ed alternative e contrasti. Tanto ciò è vero che appena il punto di vista religioso di_............. • - ---—-rr----—-
64
6o
BILYCHNIS
venta religione, cioè società di uomini concreta e storica, irrompono dentro tutti gli altri motivi, e ogni papa, califfo e Ihama diventa re (i).
E quanto buon senso, contro di te, in quel tuo Dante, il quale scrive
... nella chiesa
Coi santi ed in taverna coi ghiottoni.
Chiesa e taverna, non due società, ma due aspetti della medesima società umana. Nè certo Dante avrebbe immaginato una società tutta chiesa e tutta santi.
Nè io sono dell'opinione di quelli i quali dicono che l’individuo, il singolo, può applicare nella sua integrità il precetto cristiano, la società no. Ciò può esser vero nel senso che l’individuo può spingersi molto più innanzi della società nell’anticipazione pratica di una vita più cristiana; ma i motivi etici che possono e talora debbono spingere uno Stato alla resistenza armata e che, più in generale, fanno della violenza uno dei suoi attributi essenziali, hanno valore per se stessi, e quindi per l'individuo e per la società umana egualmente. Se ne persuase anche Tolstoi, il quale, assicura Gino Ferretti (La guerra nel mondo dello spirilo, L. 0.50, presso Bilychnis) in uno dei suoi scritti più recenti, rinunziò alla sua teoria dell’assoluta non resistenza al male.
Questa divisione, che molti fanno, di società e individuo per legittimare cristianamente la guerra ci riporta alla concezione ascetica della società naturalmente cattiva, paesano briaco a cavallo, secondo la frase di Lutero; e va sino alla sottile anarchia tua, Ghignoni, che in Coenobium (agosto-4 settembre, pag. 48) lasci al tuo contradittore « tutta la responsabilità delle sue affermazioni circa la necessità per l’uomo di una vita nazionale, per essere veramente uomo».
Il cristianesimo, quindi, come tu sembri intenderlo, 0 l’assolutezza dei valori religiosi convertita in norma concreta di tutta l’attività umana e sociale, ad esclusione di tutti gli altri motivi, è semplicemente un errore logico: un motivo convertito in dottrina, un punto di vista convertito in cosa. Una società e una storia cristiana, come tu le intendi, non sarebbero nè società d’uomini nè storia; anche solo per questo che, per provarsi a farle, bisogna uscir dal mondo, non resistendo al male, non accettando le leggi che questa resistenza impongono e sanciscono, rinunziando al diritto, che è sanzione ed imposizione di valori non religiosi, alla produzione della ricchezza secondo i presenti sistemi industriali, che sono la fonte di questa guerra, isolarsi dai benefici civili di una società della quale non si accettano gli oneri. Più, quel tuo cristianesimo ci conduce, per la via ben nota e da molti percorsa del più conseguente ascetismo, alla rinuncia a ogni piacere e gioia della, vita, anche più umanamente legittima, alla mortificazione dura e feroce, alla infecondità: perchè esso deve esprimere ed attuare l’inanità dell'effimero dinanzi all’Assoluto, la dissoluzione delle parvenze ingannevoli nell’Uno. E allora, meglio la grande messe di vite
(i) Vedine, se vuoi, la dimostrazione palmare in un tedesco: George Simmel, Die Religion. Rutten u. Loening. Frankfurt a M.
65
CRISTIANESIMO E STORIA
6l
nelle guerre e nelle sterminate battaglie d’oggi, episodio relativamente breve e crisi risolutrice, che non questa fosca rinunzia ascetica e il monacale suicidio del mondo.
Bada adunque, Ghignoni, che la tua via è errata, per una sottile insidia logica che te la consigliò. La dottrina del Cristo è un assoluto religioso; ma un assoluto che non esiste, non si fa, non è realmente afferrato, non dà frutti di vita se non nella storia, nella quale immane come spirito e tendenza e conquista lenta, applicandosi via via diverso a situazioni diverse, penetrando elementi dissimili e giovandosi del loro stesso contrasto, ascendendo nelle coscienze che, pur fra unilateralità ed eccessi e passioni umane, si muovono al suo soffio, si chiamino Huss o Lutero, Calvino o Bruno, Cromwell o Pascal.
E, con questo, io avrei quasi risposto alla tua replica; ma conviene forse, se non per te che potrai ora vedere dove è che divergiamo, e che divergiamo proprio alle origini, per altri che leggeranno questo mio scritto, che io ti forzi ancora, con più piane parole, a vedere la portata logica e le conseguenze ultime delle tue affermazioni. Tu, lo confessi, vuoi porre il cristianesimo fuori e contro la storia; per condannare la guerra alle radici, trovi che bisogna condannare tutta quanta questa società impastata di volontà di dominio e di cupidigia della ricchezza e di odi e di ipocrisia. Ma allora dove collocherai il tuo cristianesimo? Che cosa può esserci fuori della storia? Tu rispondi: una idea e una volontà che la trascendano e la neghino. Ma questa idea e questa volontà debbono forse sbocciare miracolósamente un bel giorno — di dove? — e pervadere le coscienze come domani, poniamo, la luce e il calore di un sole più grande, nella cui orbita entrasse il nostro sistema solare, invaderebbero la terra? Ma c’è un altro sistema solare fuori della coscienza umana? Dio? Ma se c’è cosa al mondo che sia storia, che sorga e si svolga lentamente e segua tutte le variazioni della cultura e si adatti a ogni mente e ad ogni anima, che sia, direi, intimamente fusa e confusa con la storia è proprio Dio: intendo il Dio di questo nostro mondo della coscienza, il Dio che conosciamo e veneriamo e seguiamo, ciascuno secondo i tempi ed i luoghi e secondo se stesso.
Puoi, sì, tradurmi Dio in formule e concetti e nozioni, e mostrarmi che, dentro certi limiti e per certe sfere di esperienza religiosa, egli è una « invariante »; ma, se insisti nell’esame, tu ti troverai dinanzi nozioni astratte e vuote, e non il Dio vivo e reale che è tutto una cosa con l'atto della tua volontà buona.
Porrai Cristo sopra e fuori la storia? Ma con che diritto? Dove comincia e dove finisce questo Cristo unico? Se togli tutto quello che. per farlo, addusse, e non sola, la storia del popolo ebreo, e rinunzi a tutto il Vecchio Testamento, storia di nazionalismo sanguinoso e feroce, se cerchi di ricostruirti il suo pensiero quale dovè veramente essere, se togli tutto quello che aggiunse e modificò, dal principio, l’esperienza religiosa dei suoi seguaci, che cosa ti rimane di soprastorico, di concreto e definitivo? A me torna in mente l’ingenua frase di un inglese: il mio Cristo, oggi, è vestito in kaki.
Nel Cristo io ho, dici, dei valori religiosi assoluti. Te lo ho concesso. Non potevi credere che io lo negassi. Se negassi, sarebbe stato vano discutere fra noi due. Ma ti ho detto che questi valori assoluti non sono realtà in sè, nè attuali nè immaginabili, ma sono soltanto uno spirito, una tendenza, una valutazione che appare via via
66
62
B1LYCHNIS
in concrete situazioni di fatto e ne emerge e le rimuove e le preme, perchè qualche cosa che era già negli animi divenga consapevolezza e si impossessi, lentamente e con molta pena, della realtà che vuol dominare.
Il cristianesimo è ancora l’anima umana; quel che c’è di più puro, di più alto e di più divino in essa, una vocazione che lo spirito porta con sè e non può dimenticare ed è assurdo che voglia dimenticare e trascurare, se essa non è poi altra cosa dallo spirito stesso, vertice che si accende in luce. Questo tuo cristianesimo collocalo alto sinché vuoi, ma purché non me lo distacchi dalla viva realtà ed anima umana, purché mi sia permesso di ritrovarlo, in diversa misura, in tutta la storia, come Ruskin trovava nel fango delle vie gli elementi dello zaffiro, dell’opale e del diamante.
Per elevare il cristianesimo tu deprimi e deprezzi troppo la storia. La guerra ti ha troppo commosso. Mentre dovevi notare che essa ha grande importanza per chi guarda la superficie della storia, le mutazioni dei commerci e delle classi e dei regni, ma offre pochissima novità al filosofo e al mistico. Se il maligno che è nelle coscienze avesse sempre a sua disposizione la spada... l'umanità sarebbe finita da un pezzo; ma benché solo dall’agosto del 1914 milioni di uomini si aggrediscano e si straziino, non c’è da allora, al mondo, più malvagità di quel che ci fosse prima. La bestia che era dentro si è fatta bestia visibile; tutti gli appetiti di male han preso un altro corso; e anche l’angelo che era nell’uomo si è fatto angelo con la spada, come S. Michele; e lotta per le cose che degnamente apprezzava prima.
Tu hai un gran torto a scandalizzarti del nostro parlare di giustizia e di libertà e di ideali a proposito della guerra. Nella guerra c’è tutto quel che c’era prima nella pace. Lo scenario è diverso ma la compagnia che recita è la stessa. C’erano prima quelle cose al mondo? Credo che non negherai. Se neghi, vorrei chiederti per che cosa, allora, ci fosse al mondo, da 2000 anni, il cristianesimo, e tanta gente che, se non in Italia, almeno altrove ci credeva sul serio; e se valga la pena di occuparsi di una dottrina che registra al suo passivo un così colossale fallimento.
Leggo nel libro di un teologo inglese: « È uno dei paradossi della vita che noi siamo spesso forzati a scegliere fra due alternative ciascuna delle quali in sè è male, ma una delle quali essendo il solo mezzo di liberarsi dall’altra, può diventare una necessità. La guerra, come ho ampiamente mostrato, è un male di enorme e ampissima mole. Ma che dite del disonore? Questo è anche un male e un male più grande della guerra. Fra le due cose noi dovemmo scegliere, nell’agosto 1914, e scegliemmo la guerra con non dubbioso animo. E quando un male come la guerra diviene necessario, non è più un male, moralmente. È la sola strada verso la giustizia e la libertà e la trionfante vendetta del debole contro il forte che l’ha oppresso ». E sarebbe ingiusto negare che è questo pensiero che ha conciliato il popolo inglese con la guerra.
Ma c’é di meglio. Inorridisci. Non solo nella guerra c’è la somma di bene e di male che c’era prima in quell’altra guerra senza sangue, ma più sfaccettata e diffusa, e abile e perversa, che empieva il tempo di pace; ma c’è, parlo di questa guerra, in molti e sotto molti aspetti, un enorme avvaloramento di bene. Dal punto di vista morale, io preferisco immensamente l’Europa di oggi all’Europa di prima della guerra. Il Belgio e la Francia sono stati, dinanzi ai nostri occhi, trasfigurati in una
67
CRISTIANESIMO E STORIA
63
luce di grandezza morale indicibile. La generosità, il fervore di dedizione, la serietà, la stretta faternità di anime, il raccoglimento religioso che la guerra ha suscitato, commuovono di ammirazione sincera più che non commuova di terrore il pensiero dei campi di battaglia.
Intendilo come vuoi, ma tu devi pure spiegare questo; e lo spiegheresti ingegnosamente, da par tuo, se non avessi voluto prima e di proposito deliberato chiudere gli occhi, per... veder tutto nero. La pace di ieri, la sicurezza interna, l’ozio, la ricchezza, la lotta per la ricchezza e per il piacere andavano corrompendo l’Europa. Se guerre internazionali fossero state impossibili, avremmo assistito — cominciavamo già — a violentissime dilacerazioni intestine dei singoli popoli. E la guerre civili sono enormemente peggiori di quelle fra popoli diversi. Se la guerra ti dispiace tanto, volevi in quella pace predicare il tuo cristianesimo?
E parliamo dell’Italia. Tu mi ricordi il mio giudizio dell'Italia di ieri. Ebbene, vuoi che te lo confessi, anche a costo di farmi dar sulla voce? Per la nausea di questa Italia di ieri, diventata tutta una canea famelica contro gli animi liberi e sinceri, dove parlar di Dio senza mercanteggiarlo era. un delitto, dove Chiesa e Stato parevano essersi stretti in combutta per dominare a mezzo della servilità e della ipocrisia e per non concedere i loro favori che contro il prezzo delle più corrompitrici umiliazioni morali, contro questa Italia — che non era, per fortuna, tutta l’Italia ma era quella con la quale avevamo da fare ed appestava tutta la casa — io ho voluto la guerra. Di continuare a vivere a quel modo non valeva la pena. Se, nel maggio, fosse tornato al potere Giolitti, con Cirmeni ministro degli esteri, io e molti altri, credo, avremmo riparato dall’Italia in un qualche paese in guerra.
— E che speri dalla guerra?
— Caro Ghignoni, dalla rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche vennero, nel continente, le libertà civili. Dalle nostre guerre d’indipendenza — piccola grande cosa — è venuta per noi l’unità d’Italia e la libertà religiosa; e non è poco, almeno per me, se è addirittura la pelle salva. Questa guerra di oggi è unica, per vastità e gravità e pregnante fato, nella storia del mondo. Che cosa verrà da essa non lo sappiamo. Ma, vedi, di quel che è venuto io sono già a bastanza contento.
A molti è parso, e pare anche a me, che in questa grande tragedia dei popoli si agiti e sia stato posto storicamente, per la risoluzione, un grande problema morale e quindi anche cristiano: come assoggettare alla volontà umana, come eticizzare, la macchina, trionfatrice del secolo scorso; la macchina orgogliosa e potente disu-manatrice e meccanicizzatrice dell’uomo, che ha scatenato sul suo cammino tutte le cupidigie e gli orgogli nascosti nella coscienza umana, che ha creato la Germania moderna e il suo sogno di dominio. Contro la macchina e la materia e la natura, che si eran rifatto schiavo l’uomo, oggi il cristianesimo, mediante la guerra, prende la sua rivincita.
Non oso chiederti, dopo ciò, di riconciliarti con la guerra. Si è quel che si è: e tu senti l’orrore della strage quando io, ad es., sento la nausea dell’intima viltà di certi neutralismi dietro i quali si nasconde quella istessa anima procacciante e bottegaia.che spinse la Germania alla guerra: ma con assai più ipocrisia.
Salviamoci dalla storia, tu dici, se essa è questo. Come se fuori dalla storia ci fosse
68
64
BILYCHNIS
un romitaggio. Si salvarono dalla storia certi monaci, nel secolo quarto; e, poveracci, mai uomo trovò sulla sua strada il demonio così goffamente fastidioso e procace. In sostanza, nel nome di un tenace individualismo religioso, tu ti metti, anarchicamente, contro la società. E non imagini, forse, che cosa c’è in quell’« arrangiatevi » che consigli a chi è chiamato soldato. Oh, no. Mai atteggiamento spirituale fu più intrinsecamente perverso di quello che tu consigli. Arrangiarsi, significa, per un soldato, combattere e uccidere senza adesione interiore alla volontà che ti comanda la guerra, senza un fine di giustizia e di divina vendetta che giustifichi, agli occhi della tua coscienza, la dura bisogna. No, quella tua parola non può appartenere al tuo cristianesimo. Se volessi andare sino in fondo, dovresti dire: resistete, lasciatevi giudicare come disertori e imprigionare e fucilare, se occorre, piuttosto che divenire assassini per viltà. E tu stesso di uscir dalla storia che condanni avresti vie aperte, che il tuo buon senso pratico, più forte dei tuoi principi, ti ha fatto rifiutare.
No, caro Ghignoni. Dalla storia non si esce. E la storia non è nè bestiale nè divina, e una storia divina è così impossibile come una storia bestiale. Il cristianesimo siamo noi, che andiamo rifacendo il nostro mondo, nei nostri momenti e coi nostri beni migliori. E nulla è più evangelico, osserva un altro teologo inglese, della guerra di oggi. Ricordate la parabola del buon pastore? Quale è il buon pastore che, quando il lupo si avvicina, scappa e lascia che il lupo azzanni e strazii le pecore? Il lupo, questa volta, era la Germania, e le pecore non sono mancate. Chiedi al card. Mercier — un cristiano — che te ne indichi una. E il buon pastore evangelico è uscito dalla capanna e non è scappato, ma si è fatto innanzi al suo gregge ed affronta il lupo. E se di una cosa si rammarica, è di non essersi preparato a tempo il bastone che menasse il colpo decisivo.
Uccidere il lupo, ecco il cristianesimo. Lupi colpiti, lupi che scappano, lupi che, per nascondersi, belano come pecore, ne sappiamo anche in Italia. Dagli!
E abbiamo visto, fuori di metafore, anche se evangeliche, numerosi uomini pei quali la pace non aveva che appelli per misere cose o misere passioni e cupidigie, ascoltare un appello eroico ad uscir dalle file per morire. E le cose per le quali si muore, quelle sì, sono al disopra della nostra vita e al disopra della storia di ieri e fanno la storia di domani. L’età dei sacrifici redentori non è — sembra! — finita col Cristo.
R. Murri.
69
MMENTI
AUGURI!
Il redattore per l’estero di Bilychnis, senza assumersi l’ufficio di profeta, augura per i nostri lettori-in Europa non un nuovo anno felice, il che sarebbe impossibile, dato lo stato tragico in cui tutto il mondo versa, ma un anno meno triste di quello passato. I nostri auguri sono infattis peranze che possono non difficilmente trasformarsi in realtà, almeno in parte, in un più fausto avvenire.
Naturalmente i nostri primi auguri sono per l'Italia. Speriamo che riacquisterà non solo il territorio che etnicamente e geograficamente le spetta, ma anche il suo antico prestigio strappatole dai suoi egoistici vicini; che il nuovo patriottismo si svilupperà sempre più per il benessere materiale e spirituale della nazione, senza detrimento alcuno o danno per gli altri popoli ; che all’arte, alla musica, alla letteratura ed alla civiltà italiane saranno riserbate maggiori conquiste di quelle che attualmente si attendono dalle armi; che le immense ricchezze della chiesa nazionale potranno tornare al popolo, il quale ne farebbe migliore uso che non la chiesa stessa; che l’Italia vorrà invitare una volta per sempre il Papa, se non vuole contentarsi
dello stalu quo, a cercarsi un altro ambiente dove egli non sarebbe « privo di quella libertà tanto necessaria per l’esplicazione dell’opera sua»; che un altro Cavour sorgerà per contribuire alla grandezza [dèlia Pàtria tanto quanto il primo; ed'infine che l’Italia tornerà alla fede pura e semplice del suo primo apostolo Paolo.
Speriamo che la Germania durante quest’anno potrà liberarsi tanto dal « Prussianesimo » quanto dalla falsa kul~ tur\ che, pentitasi della sua premeditata malvagità, convinta del suo grande errore d’aver scatenato la guerra europea, cercherà di riparare i danni per quanto le sarà possibile; che i trattati non saranno più da essa considerati come semplici «pezzi di carta», ma quali pegni d'onore; e che, accortasi della « grande * illusione» militare, vorrà rimettersi nelle vie della pace, riprendendo di nuovo con umiltà il suo posto come maestra di storia, di scienze e di filosofia.
Speriamo che la Russia imparerà dall'esempio della Germania che la burocrazia e l’autocrazia non sono adatte per il secolo ventesimo ; che la Duma, aumentata di potere, sarà restituita al popolo ; che la grandezza del popolo russo, dimostrata dalla letteratura, dalla musica.
70
66
BILYCHNIS
dall’arte e dalla profonda religiosità sua, potrà esplicarsi liberamente nell’avvenire; che la internazionalizzazione’dei Dardanelli darà agio alla Russia di poter sviluppare il suo commercio e migliorare le sorti dei milioni di contadini tenuti in ¡schiavitù economica; e che gli Ebrei, gli Standisti, i Battisti ed altri • eretici » politici e religiosi, potranno godere quella libertà di cui sono degni.
Per l’Inghilterra, campione della libertà politica in Europa, auguriamo che continuerà ad insegnare alle altre nazioni come si debbono governare i popoli soggetti con giustizia, ritenendo allo stesso tempo la loro amicizia e lealtà ; che non vorrà prendere il posto della Germania, dopo la guerra, « militarizzando il mare » con la sua potente flotta ; che il sistema di casta che vige fra la nobiltà ed il popolo sarà abbattuto, come avvenne in parte nell'india per opera della stessa Inghilterra; che le sorti economiche degli operai saranno migliorate da un più giusto uso delle ricchezze e delle risorse del paese; e infine speriamo che la campagna, condotta abilmente per diversi anni da Lloyd George e da altri, contro i due più grandi mali che affliggono l’Inghilterra, cioè l’alcoolismo ed il pauperismo delle classi umili, sarà coronata di lieto successo.
Speriamo che la Francia, malgrado le crudeli ed ingiuste perdite inflittele dalla Germania, sarà in grado di poter ringraziare questa d’aver distrutto il corrotto e gesuitico imperialismo di Napoleone III. il che rese possibile la nascita della Repubblica; che tutti i Francesi, senza distinzione di fede e di classe sociale, coopereranno a riedificare la Repubblica su basi più solide, affinchè diventi un modello di libertà, di eguaglianza e di fratellanza per tutta l’Europa; ed in ultimo che la separazione della chiesa dallo Stato, felicemente compiuta di re
cente a vantaggio dell'ima e dell’altro, servirà di esempio alle altre nazioni.
Per l'Austria non abbiamo molto da dire. Speriamo che avrà il coraggio di domandare scusa per tutti i torti fatti alle nazioni limitrofe, e che godrà tutti i beni che merita dopo aver scontato le pene dei suoi peccati.
Speriamo che la Turchia, dopo secoli di malamministrazione in Europa, si ritirerà in Asia, sua naturale sede, e che l’Europa sarà liberata per sempre da questo flagello; che la donna mussulmana per mezzo della civiltà europea sarà emancipata dai costumi maomettani; che alla scuola, alla stampa ed alla religione cristiana sarà dato il privilegio di istruire e sollevare il popolo intero ad un grado più elevato di civiltà ; e che i responsabili, non il popolo innocente, delle stragi indicibili compiute contro gli Armeni per molti anni non troveranno giammai la pace finché non abbiano scontata l’ultima pena delle loro diaboliche gesta.
Per l’Europa intera speriamo che si attuerà una lega internazionale, o meglio ancora una federazione mondiale, per il mantenimento della pace senza stereotipare gli siala quo o senza impedire la sopravvivenza dei più adatti; che le nuove divisioni d’Europa saranno segnate da linee umane e non geografiche e che i confini comprenderanno popoli omogenei; che per mezzo del plebiscito la Polonia, la Finlandia, l’Alsazia, la Lorena, il Lussemburgo, la Schleswig-Hol-stein, l’Albania, la Bosnia e ¡'Erzegovina sceglieranno il governo che più a loro piace; che il Congresso della pace ridarà ài Belgio, alla Serbia ed al Monte-negro il proprio governo insieme coll'indennità per i danni causati dalla guerra ; che la guerra contro l’alcoolismo, portata avanti con tanta efficacia in Russia, in Francia ed in Germania durante questo
71
NOTE E COMMENTI
67
conflitto, sarà continuata senza tregua finché questo terribile nemico dell’umanità non sia definitivamente vinto; che tutti i governi nell'avvenire prossimo vorranno spendere per salvare i propri popoli la decima parte della somma che hanno spesa per distruggere il prossimo durante gli ultimi due anni ; che gli Stati Balcanici impareranno da questa guerra, ciò che Gesù insegnò due mila anni fa, che una casa divisa contro se stessa non può reggersi in piedi, e che la loro salvezza per l’avvenire dipenderà da una confederazione nella quale i diritti ed i
privilegi di tutti saranno riconosciuti.
Speriamo pure che tutte le nazioni si libereranno delle chiese nazionali, il che emanciperà le chiese stesse dalla schiavitù nella quale si trovano dal tempo di Costantino in poi; per la quale schiavitù si sono rese impotenti a scongiurare questa orribile guerra, e finalmente speriamo che, dal mezzo di tutti i popoli oggi così straziati, uscirà una intesa, non solo quadruplice, ma universale, che condurrà l’umanità intera verso il regno di Dio.
D. G. Whittinghill.
LUTERO “ATEO E MATERIALISTA”?
Leggiamo sul Giornale d’Italia nel resoconto della conferenza tenuta il 26 dicembre nella sala del Palazzo Maddaloni dal prof Paolo Orano su « L’illusione tedesca », fra altri giudizi un po’... sommari, anche questo: « Martin Lutero gittò la tonaca per vestire l’ermellino del professore razionalista, e più che altro ateo e materialista».
Chi conosca l’avversione profonda di Lutero per il razionalismo aristotelico-scolastico; chi sappia come dell’idea, e pili del sentimento religioso sia impregnata tutta la pedagogia di Lutero e tutta l’etica individuale e nazionale; chi ricordi come la Storia umana non sia da lui concepita che come un permanente « giudizio universale » di Dio sulle na
zioni, e le Scienze della natura che come gl'interpreti della grandezza e della gloria di Colui che tutto muove; chi senta risuonarsi- nel profondo dell’animo quel « clamor mentis intimae » di un’anima genialmente e poeticamente religiosa: « Avere un Dio è possedere qualche cosa in cui il nostro cuore si confida tutto intiero », dubiterà che la « volontà di dominio » di un Kaiser, e diciamo anche di un popolo, — illusione che si è impadronita, volta a volta, nella storia, di tutte le nazioni colte da vertigini nell’apogeo della loro grandezza materiale, — possa avere anche l’efficacia retroattiva di « Prussianizzare » e Goethe e Kant e Martin Lutero...
G. Pioli.
72
L'ITALIA IRREDENTA
TRENTO: LA CATTEDRALE
[ La facciata è dell’ X! e XIII secolo ; il campanile del XVI ]
73
Cambio colle Riviste
Atene e Roma, Firenze. Anno XVIII, n. 202-4, ottobre-novembre-dicembre 1915. Giovanni Costa: « Il Dalmata fatale » - Maria Mondini: « Lettere di soldati » - Aristide Cal-derini: « Testamenti di soldati ■ - Giuseppe Procacci: • Jugur-tha di G. Pascoli « - F. Scerbo: « Postilla etimologico-fonetica» - Recensioni - Libri ricevuti in dono - Necrologio.
PROFANAZIONI NATALIZIE
Non parliamo delle « caricature * a tipo « Natività », che infestano tutti i giornali « popolari » e « umoristici » di tutti i paesi del mondo incivile: esse non profanano, in fondo, l’idea mistica, la poesia, l'idillio, perché' non abbisognano e non intendono che di sfiorarne la forma, di prenderne a prestito fugacemente la popolarità, per fissare per un giorno, putacaso, la scena di Giolitti e di Ferri che in veste di bue e di asinelio alitano sul volto assiderato di Guglielmo II tra le fasce. Altre sono le profanazioni e le caricature: quelle che intaccano l'intimità del simbolismo divino, e deformano l’idea nell’atto di prostrarsi a venerarla, come i manigoldi che s’inginocchiavano innanzi al coronato di spine e lo invocavano « Ave, rex ludaeo-rum » mentre ne sputacchiavano e schiaffeggiavano il volto divino. Solò, i caricaturisti cristiani sono degli incoscienti...
Che gli angeli di Betlehem, dopo aver cantato l’inno «gloria suprema a Dìo: pace alla terra: benevolenza tra gli uomini », debbano funzionare da « chauffeurs » di automobili carichi di doni e di munizioni per i soldati combattenti, e debbano affaccendarsi ad accender moccoli per gli alberi di Natale nelle trincee tedesche, poteva già sembrare un po’ di cattivo gusto: ma di raggiungere il « non plus ultra » di questo, e sorpassarne il limite, era riservato al Lustige Blàtter di Berlino. Esso ci presenta una scena notturna nel grande Tiergarten (giardino zoologico) di Berlino. Le stelle sfavillano innumerevoli nel firmamento. Nello sfondo si erge la « Colonna della Vittoria », e su di esso giganteggia quel monumento di volgarità che è l’idolo colossale di legno rappresentante Hin-denburg tempestato continuamente dai chiodi degli adoratori. Ritto, presso uno degli stivaloni giganteschi del Feldmarschall, sta in punta di piedi una figura qual di angelo ben paffuto, con un'aureola luminosa intorno al capo. Egli brandisce con una mano un},marArchivio storico per la Sicilia orientale, Anno XII, fascicolo III. Ciccagliene F.: • Il diritto in Sicilia e nelle pro-vincie bizantine italiane durante l’alto medio-evo • - Salenti Concettine: ■ Venerando Gangi. favolista •>-Basile G.: « L’anello di S. Gregorio Magno e la corona di Riccardo Cuor di Leone nei tesoro di S. Agata alla Cattedrale di Catania >• -Catalano M.: « Il primo lettore d’istituzioni nello studio di Catania » - Catalano M.: « Manoscritti siciliani nelle biblioteche di Roma, Firenze e Venezia - Bollettino di Bibliografia siciliana ».
Rivista integrale, Catanzaro, Anno IV, n. 1. Francesco Ma-cry Correale: « Le Elegie romane di Wolfango Goethe » (versione metrica) - F. Ma-cry Corrcale: « Saggio Filosofico sull’errore ■ - Domenico Correale: « Làtinae poesis exer-citationes ».
La Cultura Filosofica, Firenze. Anno IX, n. 6, novembre-dicembre 19x5- A. Aliotta: «Il nuovo realismo in Inghilterra e in America; Parte III. Valutazione critica del nuovo realismo » - G. Stepanoff: « I fatti storici e la loro realtà » - A. Ferro: « Cenni sulla gnoseologia di Fries » - Alessandro Levi: « Rassegna critica di Filosofia del diritto».
74
70
BILYCHNIS
Rivista di Filosofia, Torino, Anno VII, fase. V, ottobre-dicembre 1915. A- F?ggi: * Il Primato del Gioberti e i Discorsi alla nazione tedesca del Fichte »-G. Rensi: «Il principio delia Conoscenza e della Morale * - G. Salvadori: « Il problema della vita»-G. Rizzo: « Le leggi dell’attività pura secondo A. Rosmini » - P. Tol-do: « L’ora estrema: alcuni pensieri del Montaigne » - Discussioni: - Immanentismo e umanità » (B. Giuliano e gì. vi.)
Realtà, verità, fenomeno » (Gatti Casazza a Gazzolo) - Recensioni, ecc.
Rivista di Filosofia Neo-scolastica, Milano. Anno VII, fase. 6, 30 dicembre 1915. G. A. Elrigton: «L’interpretazione della vita » - M. Stur-zo: ■ La psicologia della conversione » - A. Gemelli: « Patriottismo c coscienza nazionale » — F. Olgiati: « L'organicità del reale • - A. Gemelli: • L’esperimento in estetica. II: I metodi » - Note e discussioni: « La guerra e la pace » (M. Stur-zo) - « A proposito d’una filosofia del come se • (C. Olivieri) - « Conoscenza e realtà » (L. Bordello) - Analisi d’opere -Notiziario.
Conferenze e prolusioni, Roma, Anno Vili, n. 24, 16 dicembre 1915. La Direzione: • Un po' di bilancio » - C. Ber-tacchi: • La nostra guerra e le sue ragioni geografiche ed etniche ■ - Ghino Valenti: « La guerra e l'economia nazionale dell’Italia.-G. Rosadi: «Il gran libro della nazione: Il vocabolario » -1. del Lungo: « La giusta guerra di là dagli ingiusti confini » - Guido Mazzoni: « La lingua d'Italia fra il rombo del cannone» - S. Sennino: « L’Italia e il patto di Londra ».
Eco della cultura, Napoli 13 dicembre 1915. Ribezzo
tello, e con l’altra stringe un chiodo in forma di stella fiammante. Alcuni versi interpretano la scena: eccoli tradotti letteralmente, ma senza pretesa di poter riprodurre tutto l’aroma poetico dell’originale: « Il Bambino Gesù ha estratto, con perfetto silenzio, nella notte di Natale un chiodo stellare dalla sublime volta del cielo, e lo ha portato giù sulla terra. Per rendere omaggio al genuino eroismo che è pronto a sagrificare il proprio sangue, il Bambino Gesù infigge col martello il chiodo stellare nella divisa d’onore del Maresciallo, alla gloria delle armi germaniche ».
Non resta che sprofondarsi nella contemplazione del mistero di umiliazione della « Sapienza Incarnata », e ripetere con Paolo: ■ Egli umiliò se stesso fino a prendere la forma di servo »: o più semplicemente, meditare la ricchezza di comprensione del « Deutschland über alles... ».
G. Pioli.
MESSAGGIO NATALIZIO DELLE CHIESE
E “GIORNO D’INTERCESSIONE,,
Si attendeva con un certo grado di ansiosa aspettativa, di sapere quale sarebbe stato il messaggio natalizio dei pulpiti cristiani di Londra dopo un anno e mezzo di guerra accanita e alla vigilia della rottura dell’ ultima riserva pacifista e liberale della coscrizione; e quali voci sarebbero salite da milioni di cuori straziati, di volontà strenue, e decise al trionfo della causa, per l’esponente dei ministri di tutte le Chiese e Religioni, nel «Giorno d’intercessione», su, verso il gran Padre, che è nei Cieli. Ecco un saggio di questi messaggi e di queste voci, e dello spirito nuovo che in esse si esprime.
Nella Cattedrale di S. Paolo, di Londra, il Decano Jnge parlò, nel giorno di Natale, della vocazione della nazione inglese, quale si va maturando attraverso le torture di un nuovo parto. « Noi dobbiamo vivere e non morire: ma la nostra vera vocazione ha assai poco che fare con la nostra enorme ricchezza e prosperità: essa non consiste nello « sfruttare i due mondi », bensì nell’in-trodurre in tutti i rapporti della vita quello spirito di libertà nella legge e nella giustizia, quella equità e cortesia che noi ammiriamo e in cui abbiamo fiducia, e che sono le caratteristiche della nostra razza nei suoi elementi migliori... E se noi dobbiamo sempre più realizzare la nostra unità nazionale, ciò non è per renderci più forti nell’attaccare gli altri; ma perchè solo così possiamo conservare la nostra posizione di nazione Sandc e libera, e dare al Mondo il meglio che possiamo.
• bene che il Cristianesimo riprova l’eccesso di patriottismo, che i cittadini delle altre nazioni sono anch’essi nostri fratelli: ma sembra al presente troppo chiaro, che il miglior modo di promuovere la fratellanza umana
75
LA GUERRA
[Cambio]
7i
si è quello di associarsi e cooperare con quelle nazioni che hanno di già un forte senso di vita nazionale ed una fisionomia loro propria. Noi dobbiamo inoltre guardare bene in faccia la prospettiva ormai certa, che non usciremo fuori delle ‘angustie presenti che grandemente impoveriti come nazione. Di già molti di noi hanno conosciuto famiglie scese rapidamente dalla ricchezza, alla povertà: e in molti casi ciò è stato per il loro meglio, giacché il bisogno di darsi un aiuto vicendevole, la necessità in cui si è venuto a trovare ogni membro della famiglia di fare qualche cosa di utile, il desiderio comune di compensare i danni sofferti; hanno trasformato queste famiglie in una scuola assai più salubre di educazione della generazione ventura, che non fosse quando dominava l’agiatezza.
« Appunto l’educazione del fanciullo è la preoccupazione che noi più sentiamo e la cosa che più valutiamo al presente. Come noi tutto ciò che siamo lo dobbiamo al passato, così siamo risoluti, con l’aiuto di Dio, di « mantenere sane le giovani generazioni, e di non trasmettere loro una casa rovinosa ». Ecco la ragione vera per cui noi combattiamo: fare di questo mondo una dimora decente, in cui i nostri figli possano vivere: lasciare ad essi non le nostre ricchezze, che anzi stiamo sagrifi-cando, ma qualchecosa di meglio, cioè la libertà e la speranza. E noi abbiamo abbastanza fede nell’avvenire, per potere, anche in mezzo ad un Mondo in guerra, sollevare l’inno che gli angeli intuonarono intorno alla culla di Gesù ».
La lezione che alla nascita di Gesù volle chiedere il Canonico Carnegie, nella Chiesa di Santa Margherita di Westminstr, nel suo discorso sulla « Democrazia e Personalità dirigenti», fu quella della necessità di guide della nazione, e della presenza in esse di qualità « cristiane ». * L’idea fondamentale del Cristianesimo » — egli disse — « è che la salvezza del genere umano non può ottenersi che per mezzo di un Salvatore personale. Tutta la storia della Chiesa è una testimonianza resa all’idea incarnatasi neH’avvenimcnto che oggi festeggiamo: essa è una lista successiva di insigni personalità: tutte le fasi del suo progresso sono state percorse sotto l'ispirazione e dietro la guida di uomini eminenti dotati del suo spirito genuino. Ora, l’odierno movimento democratico se può vantarsi della sua origine cristiana, ha però in questi ultimi anni mostrato una forte tendenza a fare a meno delle direttive personali, per conformarsi alla volontà popolare, con la conseguenza di obbligare le personalità dotate di qualità superiori, a professioni di adattamento al sentimento popolare e di ubbidienza al mandato popolare, che li hanno impediti dal darci le guide nazionali di cui abbisognavamo, e hanno favorito il successo di oratori seducenti e di abili manipolatori e organizzatori di masse.
«Quando sedici mesi or sono noi fummo coinvolti in una lotta di vita o di morte in difesa di tutto ciò che ci è caro, dovemmo avvederci con un senso di pena, che sia nella Chiesa che nello Stato, le condizioni non
Francesco: « Teorie vecchie e osservazioni nuove sull’origine del linguaggio » - Zagaria R.: « Studi e studiosi nelle Tre Puglie. In terra di Bari » - Hrand Nazariantz: « Midi ».
La Cultura dello Spirito, Napoli, Anno V, fase. 3, 15 dicembre 1915. Covignola E.: « Kant nella Storia della pedagogia e dell’etica ■-F. P. J.: a L’insegnamento della lingua» - C. di T: « La storia nelle scuole elementari : Storia romana >> - G. Saitta: « La filosofia e la vita (II) ».
La nostra scuola, Milano, Anno III, n. 3, 15 dicembre 1915. B. Varisco: « Scuola e religione » - G. V. : « Parole gravi » - V. Cento: a Disciplina tedesca c disciplina latina » -F. G. Ippolito: « Identità e personalità » - G. Vitali : « Note sull’educazione morale-in Inghilterra » - G. Gabrieli: « l giovani esploratori d’Italia » -Faria y Vasconcellos : «I fanciulli e la guerra » - Recensioni.
Voci amiche, Milano, AnnoV, nn. 11-12, 22 dicembre 1915. « Natale » - Padre G. Semeria: « Date e lavorate » - Etelka: « Il miracolo » - Guido di Mon-tefiore: « Lettera ad una signorina sui pubblici spettacoli » -B. P.: « La voce dell’America » - G. A. « Nervosismo femminile » - Nella Ciapetti: « L’auriga misterioso » - P. Ghignoni: «Un eroe nella pienezza dell’uomo e del cristiano » - Recensioni.
Fede e Vita. Torre Pellice, Anno VII, n. 13, ottobre-no vembre, 1915. Rinnovando il saluto — Scritti pel tempo di guerra - Le cose che perdureranno - Dolori ed elevazioni -Risposte ad ardui problemi - I novelli crociati - Parole di sorella - No, non è morto! - Fra feriti e prigionieri - Per la morte - Antichi titoli di nobiltà militare italiana-Vita della Fede*
76
72
BILYCHNIS
razione - A voi! - Da ogni trincea - Vedendo l’invisibile - Per la nostra vita religiosa - Un augurio, ecc.
La nuova riforma, Napoli, Anno III, fase. XI-XII,novembre-dicembre 1915. La N. R.: « Il nostro programma dell’ora presente» - Dino Fienga: «La Siestione armena » - G. Consi-io: « Ecce homo: Studio intorno al Cristo secondo la carne » -M. Cesario: « La filosofia religiosa di Carlo Renouvier » -A. Geiger: « La religione », ecc.
La Riforma italiana, Firenze, Anno IV, n. 12, 15 dicembre 1915. A. Loisy: « La guerra c il risveglio religioso in Francia » R Murri: « La guerra e il risveglio religioso in Italia » - P. V.: « L’infallibilità della Bibbia alla luce degli studi moderni » - C. Bianchi: ■ La guerra e la democrazia » - » Una società per la protezione dell’infanzia maltrattata » - L. Giulio Benso: « Corriere femminile » - Il dubbio - Fatti e commenti.
Vita e pensiero, Milano, Anno I, voi. II, fase. 6, io dicembre 1915. - F. Meda: « S. Colombano e il monachiSmo » -B. Galbiati: • Giosuè Borsi » -E. Vcrcesi: « Leone Harmel » -A. Gemelli: « L’Omero degli insetti: J. H. Fabre » - M. Sturzo: « Il Natale e la guerra » - P. Pa-nighi: « I nostri giovani e la guerra » - A. Corna: « Le pitture del Pordenone in S. Maria di Campagna in Piacenza » — F. Olgiati: « La questione romana: dal discorso Orlando all’allocuzione del Papa » - Viator: « Il discorso dell’on. Meda » - U. Gilberti: « Il precettore di Vittorio Emanuele III» - Specta-tor: «Battaglie, fatti e commenti » - Lector: « Ciò che si deve leggere ».
— Fase. 7, 30 dicembre 1915. F. Olgiati: « Dopo un anno » -L. Bietti: « Giovanni Bertacchi, poeta della natura » - C. Meda:
erano state favorevoli allo sviluppo delle qualità necessarie a guide di uomini, che sappiano imprimere la loro iniziativa sulla volontà popolare... E questo uno dei principali problemi che la democrazia deve risolvere, se vuol mostrarsi fedele alle sue origini e ai suoi ideali cristiani. La festa odierna ci ricorda una delle principali condizioni di questa soluzione: essa è espressa da una parola: « Cristo », il « consacrato ».
<1... Fu in quanto « consacrato » al servizio del suo Padre, che il fondatore del Cristianesimo si attribuì la missione di guida della razza umana: e così, è sempre stato ad uomini santificati da Dio quali strumenti volenterosi per l'adempimento dei suoi piani che la coscienza cristiana ha accordato la sua fedeltà leale. In altri termini, la prima qualità per un duce di popoli è la ricognizione dell’assoluta supremazia della coscienza e un’obbedienza volenterosa ai comandi di essa. Noi abbisognamo, per nostre guide nella Chiesa e nello Stato di uomini che considerino la vita come un dovere, anziché come un’opportunità di soddisfare interessi egoistici. Altre qualità saranno necessarie, ma questa è la prima ed essenziale... »
L’arcidiacono Wilberforce, nella preghiera che nel suo discorso propose per l’umanità intiera, ebbe le parole : « Noi non escludiamo dalla nostra preghiera la Germania, benché noi non domandiamo che sia essa preservata dalla sconfitta nella presente guerra, o che sia ad essa risparmiata la punizione che ha meritata coi suoi delitti. Se nulla ci ha insegnato la « benignità e l’umanità del Salvatore nostro »; noi pregheremo quindi perchè la Germania ritorni ad essere se stessa dopo avere raccolto ciò che essa ha seminato. Pregheremo, perchè i Tedeschi siano emancipati dalla maledizione del Prus-sianismo, e possano spezzare i ceppi del crudele dispotismo militare che li opprime ».
Una nota di speranza risuonò sulle labbra del Reverendo Meyer alla Christ Church. «... L’oceano dell’umanità è in una tempesta di passioni, e rottami di naufragio galleggiano per ogni dove. Ma non vi è per questo motivo di allarme. Tutte le grandi epoche dell’umanità si sono sollevate in questo stesso modo ad altezze maggiori. Così fu dell'età nella quale il Cristo apparve. La terra era coperta di tenebre, e la caligine avvolgeva i popoli; ma pure è da quell’ora che datano i secoli. Lo stesso della « Rinascenza »-.essa nacque dalla distruzione di Roma e poi di Costantinopoli. La Rivoluzione Francese condusse a quella civiltà dell’Europa moderna, nella quale ci trovavamo prima che scoppiasse la guerra. Lo stesso avverrà anche questa voltarla crisi presente c’introdurrà in quello stadio superiore di esistenza umana, in cui la guerra non sarà più possibile e la giustizia regnerà sul Mondo. Fu una « pienezza dei tempi » quella in cui Cristo apparve in una mangiatoia: sarà un’altra « pienezza di tempi » quella che lo vedrà Re sul suo trono ».
A questi « messaggi natalizi » ricolleghiamo, benché abbia anticipato di qualche settimana il Natale, quello
77
LA GUERRA
[Cambio]
73
del « Leader » e « Profeta » Battista John Clifford, del quale ci occuperemo di proposito altra volta.
In un recente discorso nella chiesa Battista di West-bourne Park, della quale egli è stato ministro per circa sessantanni, ha additato il Cristo che resta, pegno di speranza e di progresso, e sopravvive a tutti gli elementi caduchi che sono e saranno spazzati via dalla bufera sanguinosa.
Dopo tracciato il quadro delle indicibili sofferenze, delle rovine, delle distruzioni, si domandò: < Quale sarà il risultato di tutto questo? » E rispose: «Quanto a me, io non esito a dire che alla mia vista si offre un mondo nuovo e migliore. La Giustizia e la Pace si daranno di nuovo l’amplesso e ci addurranno giorni più luminosi e felici. La verità sgorgherà dalla Terra, e la Giustizia ci riguarderà dal Cielo, e un nuovo spirito nascerà, sotto il cui dominio uomini e donne inaugureranno una nuova vita sociale ed internazionale per tutta l’Umanità. Il Belgio non ha già perso la sua anima: esso rinascerà ed entrerà in una vita più ricca, più profonda, più piena, più indipendente di quella che abbia mai conosciuta. La Francia ha ricevuto di già un nuovo battesimo dello spirito, e sta producendo frutti di verità e di giustizia. La Russia si aprirà un nuovo cammino: essa evocherà le sue risorse spirituali, non solo per la propria emancipazione dalle tirannie di secoli, ma anche per illuminare ed arricchire il mondo intiero. L’Italia ancora, raggiungerà un nuovo grado di libertà spirituale, e avanzerà più rapidamente verso la meta che Mazzini e Garibaldi già vagheggiarono mezzo secolo fa. La Serbia, certamente, troverà il suo posto nell’Europa, e il suo eroico valore non sarà senza premio. E la Germania, sì, la Germania nascerà a una nuova vita. II suo rinnovamento giungerà fino al cuore della nazione e dalla distruzione attuale sorgerà un ordine nuovo, più alto è più divino di qualunque ordine conosciuto per l’innanzi. La Polonia spezzerà i suoi ceppi e vivrà la sua propria vita di libertà. Anche l’Inghilterra uscirà dalla crisi rigenerata e resa atta di nuovo alla sua missione di messaggera e missionaria di libertà universale.
• E il Cristianesimo gettato nella fornace, provato ad un calore sette volte maggiore di quello sperimentato nella sua storia anteriore, ne uscirà più puro che non sia stato negli ultimi quindici secoli, libero dalle superfetazioni e pastoie del tempo, alleggerito del fardello delle tradizioni e convenzioni, atto a respirare la pura atmosfera di Dio, e bene equipaggiato per rendere all’umanità servigi più grandi che per l’innanzi. Su tutto questo, io non ho alcun dubbio! Io credo in Dio; credo nella sua grande opera di redenzione del Mondo, nel suo amore per l’uomo, nella sua essenziale ed intrinseca giustizia e nella sua sovranità assoluta ed invincibile, e perciò tutto questo mi attedo e ben altro e ben meglio ancora... *
A una settimana di distanza dal messaggio natalizio, i Cristiani inglesi sono stati chiamati ad una nuova giornata di profondo raccoglimento religioso. La prima
.< G. Oberdan » - G. Grondona: « Gli acquafortisti » - E. Gilardi: « Il Natale in trincea » - E. Vcr-cesi: « L’Italia, la Serbia e l’Albania » - A. Gemelli: < La moderna assistenza ai mutilati in guerra » - I. Rosa: « Il cattoli-cismo nell’ordinamento sociale» - E. Bianchi: « L’eloquenza sacra al campo », ecc.
Ultra, Roma, anno IX. n. 6. 31 dicembre 1915. C. E. Woods: " Il Cristo di S. Paolo » - G. Luz-zatti: « L’igiene nella Bibbia » -V. Walter: « Il monaco di Amalfi » - L. A. Villari: « Alchimia. Satanismo, Cagliostro » - Ultra'. - Il nemico, nostro prossimo » - Q. T.: « La teosofia in Giordano Bruno » — Pagine da rileggere - Rinnovamento spiri tualista-Associazione« Roma » della lega teosofica - I fenomeni - Per le ricerche psichiche - Rassegna delle Riviste - Libri nuovi.
Luce e Ombra, Roma, Anno XV, n. 12, 31 die. »915. V. Cavalli: « Giustizia » - E. Carreras: « L’antiveggenza dei numeri » - G. Fiocca-Novi: « L’e-nergia-pensiero » - E. Lucci: ■ Piccole sedute con Eusapia Paladino » - A. Bruers: « Il so-vranaturale e la metapsichica ■ - A. Tibcrti: « I cremazionisti moderni # - P. Raveggi: « Nel campo medianico » - I libri --Sommari di Riviste - Libri in dono.
Revue Chrétienne, Anno LX li. tomo I, serie IV, fase, novembre-dicembre 1915- •< Service religieux en mémoire de Miss Edith Cavell » - Hall Caino: < En mémoire de Miss Cavell • -E. Monod: « Lettres de jeunesse de Ed. de Pressensé » - Ch. Bruston: « A deux monarques • (Poésies) - Henry Dartigue: • L’iniluence de la guerre de 1870 dans la littérature française » - Fanny Darfeuil: « Soldats français » - « Les protestants français au feu » - André
78
74
BILYCHNIS
Jalaguier: - Notes du temps de la guerre » - Michèle Andree: « Art et guerre« - W. Monod: « Vers l’Evangile« (Poésie), ecc.
' Foi el Vie, Paris, i6 novembre- lodicembre 1915. Cahier A J. L. Pierson: « La neutralité de la Hollande « - H. B.: « Solei! d’Orient, Lumière de Grèce « -Vallotton B.: ■ Le second départ « - Doumergue E.: « Propos de guerre ».
Cahier B. - Abel Lefranc: • Le patriotisme en France au temps de la renaissance ».
— 16 dicembre 1915. Cahier J. - Paul Doumergue: « La lumière dans la nuit. Noël » -E. H.: « Noël dans la tranchée »’
Emile Doumergue: « La Suisse et la France. Histoire d’une légende » - Philippe de Félice: ■ La Statue de sel. Conte de Noël » - Aimée Ranaïvo: « La guerre vue de Madagascar * -Notes et Documents: L’allocution consistoriale du Pape -Appel aux neutres du Comité protestant de propagande française.
Cahier B. - Emile Doumergue: « En Arménie » - F. Ma-cler: • L’extermination d’un peuple » - F. Macler: « Les origines du mouvement arménien ».
The modem churchman, London, vol. V, n.9, dicembre 1915. Signs of the times: Clergymen as combatants. The neutral vicar of Christ. A time of theological stocktaking. Practical steps towards re-union. The threefold mission of english churchmen. False rationalism and true r « How to preserve the national church » - Prebendary Parsons: « The training of the clergy • - W. B. Gordon: « The laity and the councils of the church » - F. D. Cremer: « The feast and those who are bidden » - K. M. Emery: « The representation of church-women » - J. F. Moore: • The promise of his coming » - Redomcnica del nuovo anno è stata consacrata, come quella deiranno scorso, in tutte le Chiese sia Anglicane che Cattoliche, o di Chiese Cristiane libere, alla « intcrces-sione del divino favore verso la Nazione e l’impero nella {resente guerra ». Lo stesso avevan fatto le Sinagoghe sraelitiche nel primo Sabbato dell’anno. « I servizi religiosi » furono dapertutto presenziati da autorità governative e municipali, specie in Londra, alla Cattedrale di San Paolo e all’Abbazia di Westminster, mentre le campane facevano risuonare lugubri rintocchi per esprimere « i sentimenti della nazione per la perdita sostenuta con la morte degli eroi che diedero la loro vita per la difesa di una causa da essi creduta quella della verità e della giustizia ».
Anche in questa occasione, come in quella del « Messaggio Natalizio», la voce cristiana seppe assorgere dalle preoccupazioni, dagli affanni, dalle speranze nazionali, e dalla visione dell’obbiettivo immediato della vittoria della causa per cui l’Inghilterra combatte, a visioni e a speranze d’interessi spirituali, morali ed eterni, e non dell’Inghilterra soltanto, ma di tutto il Cristianesimo e di tutta l’umanità. Il tono della voce del Cristianesimo inglese è rimasto, nella maggioranza, degno insieme del Cristianesimo e dell’Inghilterra. ■
Nella Cattedrale di San Paolo di Londra, nel Servizio del mattino, il Vescovo di Londra, dopo aver tracciato uno degli aspetti, quello pessimistico, con cui un osservatore potrebbe mirare l’ingresso nel nuovo anno dal punto di vista inglese, oppose ad esso la visione che sola è possibile • sotto il duomo di San Paolo tutto pieno di eternità »; là visione che tien conto di un fattore trascurato dal « pessimista », di Dio stesso. « Che cosa pensa Dio della guerra? È questa la sola domanda che sia lecito porsi all’aprirsi di un nuovo anno. Dio non conosce favoritismi: egli non è il Dio dell’Inghilterra più che il Dio della Germania: egli è il Dio della Terra, e le sue norme di governo sono note, e gettano raggi di iuce sopra l'avvenire. Nel suo piano di educazione dell'umanità egli non lascia mai che una nazione o un individuo sfuggano alle conseguenze dei loro errori, nè sostituisce mai la sua azione alla loro. Se questo si comprende bene, apparirà chiaro tutta l’assurdità dell'idee, che, perchè non abbiamo vinto la guerra-, siamo caduti in disgrazia di Dio. Se di miracolo si potesse parlare, si potrebbe dire che esso ha consistito nel fatto che abbiamo scampato un disastro molto maggiore di quello che ci è toccato, e nel sorgere di un osecito di tre milioni di uomini in soli diciotto mesi, col sistema dell’arruolamento volontario, in una nazione che il nemico s’immaginava fosse mollemente avvolta nel lusso e nel benessere. Ciò che è accaduto non è stato che l’inevitabile: e non entra nei disegni divini di scongiurare l’inevitabile. Ma un altro motivo di conforto, e questo positivo, è quello che Dio non ha mai permesso che nel suo Mondo trionfasse definitivamente la malvagità, la lussuria, il dispotismo, e che una nazione per essere lo strumento della sua giustizia deve essere una arma degna delle sue mani. Ora neppur noi possiamo van
------------------ -
79
LA GUERRA
(Cambio]
75
tarci di essere un tale strumento, certi di non spezzarci nelle sue mani. Basta pensare al’’immoralità delle presenti vie semioscure di Londra, peggiore adesso che non sia da venti anni in qua, e alla sorte toccata al disegno di legge nazionale per la riduzione delle bevande alcooliche, per persuadersi che, se la vittoria dovrà albeggiare, essa non potrà essere che l’aurora di un giorno più spazioso c più bello. I nostri figli sarebbero morti invano se, a guerra finita, noi dovessimo ritornare a vivere la nostra vita di un tempo... Per entrare fiduciosi nel nuovo anno, non occorre che una gran dose di fiducia in Dio: e non v’è bisogno d’ignorare la realtà della situazione. Che la nazione si sollevi sulle ginocchia della preghiera e della penitenza, e con la fronte eretta si cimenti con le difficoltà dei suo compito. Il diritto è diritto, ed è potere ».
Nella medesima cattedrale di San Paolo, nel « Servizio • della sera, l’arcivescovo di Canterbury, Primate d’Inghilterra, fece risuonare una vóce di cristiana perplessità e sbalordimento di fronte allo scandalo di tanto dolore e di tanta miseria in un Mondo figlio dell’amore di Dio.
« E perché noi crediamo che dietro agli orrori c alle tenebre Gesù Cristo è sempre il re, che noi siamo oggi adunati sotto questa cupola sormontata dalla croce, e che in ogni Chiesa, in tutto '«’Impero, uomini e donne e fanciulli si raccolgono alla stcss’ora. Eppure, penso che non vi sia una persona capace di riflettere, che non si senta perplessa di fronte al contrasto acuto tra il proposito amorevole di Dio per l’uomo, e la deformazione che l’uomo ne ha fatto con il cumulo immenso di infelicità accumulato in questa lotta spaventosa. Non è questa una difficoltà nuova, nè abbiamo una nuova risposta da darvi: si tratta di una contradizione resa acuta dal Vangelo di Cristo, Vangelo di fedo nell’amore di Dio, negato e insultato dall’uomo.
« È vero che. qualunque siano stati gli effetti e le rovine della guerra, essa ha avuto per effetto di collegare in una maniera affatto nuova gli uomini, le donne e i fanciulli dell’impero, in un proposito strenuo e concorde non mai prima sognato: e che questa comunione di spinto non potrà mai più scomparire, ed anzi con l’aiuto di Dio, potrà divenire sempre più intima e completa. I- vero che noi abbiamo da ringraziare Dio per le migliaia di uomini su cui la nazione contava con fiducia per la conservazione delle migliori e più nobili tradizioni dell’impero, e che ora giacciono freddi e rigidi su suolo straniero... Ma il pensiero angoscioso rimane: Come mai può avvenire questo? E la presenza di Dio se ha ciato a questa angoscia una parola di calma, non ha dato una risposta al problema. Attraverso le tenebre e le afflizioni, riempiamoci anzitutto dell’idea sublimante che Dio sa tutto, che egli regna, e che egli possiede la chiave del problema: ciò calmerà le nostre lapidazioni. E in risposta alla preghiera, verranno i suoi doni di energia, di perseveranza, di abnegazione, di calma rimessione: i doni per compiere la grande e sacra missione
views-Church men’sunion news - Correspondence.
7'he biblical world, Chicago, vol. XLVI, n. 5, novembre 1915. Editorial: « Worldliness» - George II. Gilbert: « Christianizing the Bible • - H. Churchill King: « Difficulties concerning prayer. II■ - L. Hopkins Miller: « Bergson and religion. Some preliminary observations» - J. A. Montgomery: «The caracteristic of sublimity in the Old Testament » - " Did Jesus favor militarism?» (A symposium on Mtt. 10. 34) - C. Weber Vo-taw: « The ethical teaching of Jesus. II» - H. L. Willett: «The religious and social ideals of Israel. II -.
N. 6, dicembre 1915. Editorial: « The Will to get » - E. J. Goodspeed: « Recent discoveries in early Christian literature i- - H. Churchill King; « Dif ficulties concerning prayer. Ill» - P. Marion Simms: « Modern methods in church work » - F. Aubrey Starratt: « Ethical and mystical religion » - Ph. G. Van Zandt: « The creed of the reunited church » - C. Weber Vo-taw: « The ethical teaching of Jesus. Ill » - H. L. Willett: The religious and social ideals of Israel. Ill ».
Record of Christian -work. Northfield. vol. XXXIV, n. 12, dicembre 1915.' Religious thought and activity - The mission field - Life’s lie and life’s truth - C. M. Alexander : « Miracles of Grace. Il»- John Me Dowell: «The foundation of Christianity » - T. R. O’ Meara: « The law of the new life •> - C. E. Jefferson: «The uniting power of prayer » - J. H. Jowett: « The creek and the ocean: a Christmas meditation » - J. A. Hutton: « The big way of looking at life •. ecc.
80
—
BILYCHNIS
Pubblicazioni pervenute alla Redazione
Estratti, Opuscoli, Libri.
R. N. D’Alfonso: Il seppellimento di Ofelia. (Dalla Nuova Antologia). Roma, 1015.
a a a
Augusto Lonzi.: Attilio Pro-sini (Martiri del Risorgimento). Tip. Ed. La Speranza. Roma, 1915. Pag. 43. Cent. 30.
A A A
Paul Sabatier: Lettres d'un français à un italien. Paris, « Entretiens des Non-Combattants », Union pour la Vérité, 21, rue Visconti (VI«).
AAA
Edoardo Giretti: La guerra perla pace. Lettera al Comitato promotore del Congresso internazionale per lo studio delle basi di un trattato di Pace durevole (Berna, 14-18 dicembre 1915). Pinerolo, Tip. Sociale, >9*5A A A
Giorgio Del Vecchio: Le ragioni morali della nostra guerra. Firenze, Tip. Domenicana, via Ricasoli. 63, 1915. Pag. 22. Cent, io (a beneficio della Croce Rossa).
A A A
E. Buonaiuti: Il Cristianesimo nell’Africa romana. (Inau-! tirando il corso di Storia del-ristianesimo nella R. Università di Roma, il 23 novembre 1915). Roma, Tip. del Senato, 1915. Pag. 30. L. 1.
A A A
Louis Henry Jordan, B. D.: Comparative religion. Its adjunctsand allies - Humphrey
alla quale il nostro popolo si é consacrato, per la difesa e conservazione dei diritto e della giustizia... »
Dai pulpiti delle Chiese Cristiane libere raccogliamo solo due voci: Nella cappella Metodista Wesleiana di Westminster, il Rev. Dinsdale Young dichiarò che, a suo parere, la questione più importante collegata con la presente guerra si è se la religione ha avuto da ossa danno o vantaggio. Ed egli crede che a dispetto di tutta l’enormità della tragedia, al Cristianesimo ne ha derivato grando vantaggio. « Se alcuni han perduto la loro fede, in numero maggiore l’hanno ritrovata: l’immortalità è tornata ad essere ■ la luce che guida gli uomini,» Gli orbati c desolati non possono indursi a credere che i loro eroici morti abbiano fatto capo al nulla, ed è la fede che essi sorgeranno di nuovo, quella che li ha confortati come nulla il potrebbe. Dal punto di vista morale, poi. la religione ha molto guadagnato dal lato della terribile disciplina imposta dalla guerra. II sacrifizio ò apparso rivestito di nuova aureola di gloria: sul cupo sfondo della falsità Germanica, la veridicità è apparsa in una nuova grandezza; alla fosca luce delle atrocità avversarie, la misericordia ha acquistato un nuovo incanto: e la semplicità ha in gran parte riconquistato quella posizione nella vita sociale, che aveva perduto. Si aggiunga fra i guadagni manifesti della religione in questo tempo di guerra, il forte desiderio di unità che ha acceso le diverse frazioni del Cristianesimo, e la brama di evangelizzare il popolo ».
Al contrario, nella Christ Church di Westminster, il Rev. Meyer, all’ unisono col discorso del Vescovo di Londra, ha proclamato che « se é giusto e necessario che tutti i fedeli si stringano in un’opera di « confessione e di intercessione », è indispensabile compiere un altro dovere se si vuole sfuggire alla taccia d’ipocrisia: la nazione intiera dovrebbe estirpare radicalmente maliche vengono deplorati da tutte le persone oneste. L’aumento di 200 milioni di lire di spesa in bevande alcooliche verificatosi nell’anno 1915. il rilasciamento della morale, l’abbandono delie vecchie abitudini religiose della nazione, i torti e le disuguaglianze sociali, tutto dovrebbe essere rettificato: e tutti convengono che qualcosa bisogna fare ». Ed egli propose la costituzione di un comitato per la riforma della pubblica moralità, che indichi « in che modo porre rimedio a questo cancro che va minando i gangli della vita nazionale ».
T.a voce dei ministri israeliti non fu meno elevata di quella dei loro fratelli cristiani. Nella «Grande Sinagoga»' il Capo Rabbino Dr. Hertz parlò della glande tragedia che sarebbe passata, e dei tipi superbi di devozione e di eroismo da essa creati, che resterebbero eternamente nel possesso e per la ispirazione di tutta la razza». « Questo » — egli disse —• « è il gran paradosso della religione. Dalle tenebre e dalle ombre di morte, dalle sofferenze più profonde e dai dolori più sconfinati, l’uomo può raccogliere una messesi larga di forza spirituale e di valore trascendente, da sentirsi spinto a rendere grazie e benedizioni a Dio per la nuova luce seminata sulla sua nuova via. Non abbiam noi da ringra-
81
LA GUERRA
[Pubblicazioni]
77
ziarc Dio, pur in mezzo a questa enorme tragedia, per lo spirito di strenua risoluzione che ha pervaso gli uomini e le donne di questa nazione, per la loro prontezza al più completo sagrifizio dal momento in cui si compresero le mire dei nostri nemici?... Con la vittoria dell’Inghilterra, saranno gli antichi idoli e ideali pagani — l’adorazione della forza bruta e la religione del valore — che verranno frantumati ».
E nella Sinagoga di Hampstead, in Londra, il Rabbino Rev. Green dichiarò che « una sola cosa può ornare di dignità un < giorno d’interecessione », e giustificare il coraggio di un appello diretto all’intervento divino in nostro soccorso, cioè la convinzione che la nostra causa è fondata non già sul bisogno, per quanto grande, o sul prestigio della nazione, per quanto pericolante, bensì sulla coscienza morale della nazione che sola può giustificare il nostro ingresso nella grande guerra e fornire l’energia per condurla ad un termine altrettanto onorevole che vittorioso ». A lui fece eco il Rabbino Rev. Morris Joseph nella Sinagoga di West London. « Il giorno di oggi » — egli disse — « trova un’intiera nazione inginocchiata in atto di preghiera. Essa aspira ardentemente ad alcuni obbiettivi, è vero, ma il suo desiderio predominante è di prostrarsi innanzi al Cielo, di confessare la sua impotenza di fronte alla onnipotenza divina, di stendere le sue mani brancolanti verso Colui presso di cui risiedono le sorti della vittoria e della sconfitta e della vera vita della Britannia. Noi ringraziamo Dio perchè dalla guerra ha saputo trarre la redenzione della nazione ».
È la coscienza dei Profeti e non quella dell’antico Israele che ha risuonato in queste voci, che mostrano più eloquentemente che qualunque confronto, quale grande tragitto si sia compiuto verso il ravvicinamento delle grandi religioni monoteistiche, sulla base dell’intimità spirituale e della coscienza morale. Ad esso ravvicino un passo della circolare indirizzata dall’arcivescovo di York alla sua diocesi, all’aprirsi del nuovo anno:
« ... Solò una nazione dotata di grandi energie morali e spirituali può riuscire ad aprirsi una via attraverso a questo terribile cimento. Ma dove troveremo noi questa forza? In noi stessi? Che venga la memoria di ciò che noi eravamo prima della guerra, a dare la risposta. Vi è una sola ed ultima sorgente di forza morale e spirituale, ed essa è Dio. Ma noi non otterremo questa forza neppure da Dio, se la cercheremo al solo scopo di poter vincere la guerra. Vi è un certo modo di pensare, di parlare, e sembra anche di pregare, comune, fra i nostri nemici, ma non sconosciuto neppure tra noi: quello cioè che considera l’Altissimo come se egli fosse un qualche grande alleato tenuto in riserva, il cui potere può venire « mobilizzato • a nostro vantaggio dai nostri scongiuri. In tale atteggiamento dello spirito non si scorge alcuna speranza di energia morale e spirituale. « L’energia per diportarsi rettamente in questa crisi solenne della sua storia, e per compiere i disegni di Dio, verrà alla nazione dalla sua conversione a Dio, al Dio rivelato in Gesù Cristo... Noi dobbiamo
Milford, Oxford University Press, 1915. Voi. di 580 pp. rilegato. Prezzo 12 s.
A A fi
Gius. Locateli! Milesi: Ergi-sio Bezzi. Il poema di una vita. Milano, Sonzogno, 1916. (Pubblicazione fatta per auspicio del Comitato per le onoranze ad E. Bezzi). Voi. di pp. 447. L. 6.
A A A
G. Vidari: Elementi di pedagogia. U. Hoepli, Milano, 1916. Voi di pp. 400, rii. L. 3,50.
John Viénot: Paroles françaises prononcées à l’Oratoire du Louvre. Paris, Fischbacher, 1916. Vol. di pp. 1S0. L. 2,50.
A A A
Paul Stapfer: Les leçons de la guerre. Paris, Fischbacher, 1915. Vol. di pp. 180. L. 3.50.
Wilfred Monod: Vers I'Evan-S"e. Soils la nuée de guerre.
urtes méditations pour commencer chaque semaine. Paris, Fischbacher, 1915. Première et deuxième partie. 2 voli, di pagg. 200 ciascuno. Prezzo dei due voli, uniti L. 5,75.
DAI QUOTIDIANI
Versi sacrileghi
Il Nuovo Giornale ha accolto là protesta contro un opuscolo sparso infamemente tra malati, indegno di suonare come parola di qualsiasi italiano: oggi dobbiamo additare una vergogna...poetico-relìgio-
82
BI LYCHNIS
sa, che <leve rivoltar l'animo di credenti veri e non credenti.
Ci capita un fogliettino volante dato una di queste sere nella chiesa di Santa Maria Maggiore (precisiamo lealmente cose e luoghi senza timore di smentite, e perchè non dileguino nel generico i responsabili): un lucido fogliettino, che contiene « L’inno degli Italiani durante la guerra » c - Cantici a Maria SS. ».
Letto il primo, tutto amor di patria (anch’esso volto alla Vergine), sentiamo come riecheggiar volentieri, sia pure in versi...così così, voci che cantano
Per le riunita l'Italia intera Tutta di un animo, tutti un sol cor, Dispieghi ai venti la tua bandiera
Ea che ritornino i tuoi soldati, Cinti del lauro de' vincitor
allontanarci con disgusto, vergogna e contrizione di cuore, da ogni forma di Cristianesimo fittizio e convenzionale, da ogni avidità di beni materiali, da ogni egoismo c brama di dominio... cose tutte giudicate e condannate fin dallo scoppio della guerra ». «t
1! «Messaggio Natalizio» delle Chiese e il «Giorno d’intercessione » hanno, così, chiamato a raccolta tutte le forze spirituali della nazione, in un grande sforzo per sollevarsi su, verso Dio, sulle ali del dolore c dell’adorazione. G. P.
Deh! benedici, o Madre
1.' Italica virtù.
ecc. ecc.
Leggiamo il secondo, e..f alla terza strofa l’eco pio sentiamo mutare in menzogna sacrilega per il Ciclo, per la Patria, per una delle nostre più belle glorie: la scuola. Questa strofa dice:
Tradita è la scuola. Spogliato l’altar, Oppressa la stola: Ci vieni a salvar.
Chi canta queste parole? Sacerdoti e popolo del Belgio oppressi, conculcati, feriti a morte dalla barbarie tedesca? Sacerdoti e popolo della parte di Francia, che geme sotto gl’invasori ?
No! Clero e popolo pio di Italia. Ma quale altare vedono essi spogliato? quale stola oppressa? quale scuola tradita?
G. Carducci, in un suo nobilissimo discorso, pur lodando la scuola anteriore al ’48, dalle cui cungiure erano esciti gli spirati nobilissimi che avevano compiute Curtatone e Montanara prima, poi altre gesta
“MERRY NEW YEAR” (Buon capo d’anno)
Ecco una lettera indirizzataci da distinta signora inglese, tipica di milioni di lettere di augurio, e dei sentimenti elevati da cui esse sono ispirate, e che ispirano in coloro che le ricevono in ogni angolo del Globo.
«... La lotta fra le nazioni è terribile e lunga, e la via è ancora tenebrosa, ma la luce non potrà tardare, e la nostra fede in Dio e nella Giustizia è più forte che mai. È straziante pensare a ciò che sta soffrendo il Belgio, la Polonia, la Serbia, l'Armenia, ed è dovere per le altre nazioni di associarsi a tante sofferenze: ma •se tutte le nazioni potessero veramente elevarsi ad un’altezza superiore, morale c spirituale: se noi potessimo, nella prova, sviluppare veramente il nostro carattere, chi sa che col tempo non riusciremmo perfino a riconciliarci con queste sofferenze, pensando che il guadagno valga la spesa che ci è costato? Finora noi ci siamo tutti quanti lasciati cullare dal benessere, e ci siamo proposti obbiettivi troppo materiali: ogni nazione deve dire il « mea culpa » per le sue proprie colpe, per quanto noi riguardiamo le Potenze Centrali come degli arci-peccatori...
« E bisogna riconoscere che tra noi la guerra ha già avuto una notevole efficacia risanatrice ed clevatrice: si pensa un po’ meno ai propri comodi e piaceri, e un po’ più alle sofferenze altrui e al modo di alleviarle: la vita è divenuta una cosa seria: il sagrificio, l'altruismo, la generosità, sono divenute l’atmosfera che.tutti respiriamo. Poiché non vi è quasi famiglia che non abbia nel suo cerchio di parenti o di amici qualche vittima della guerra, il mondo di là va popolandosi, e divenendo una realtà tangibile che occupa i nostri pensieri anche più del mondo di qua... Il mio figlio minore è in India a formare e istruire un corpo d’indiani (Maomettani) che sarà probabilmente destinato aH’Africa Orientale. Invece il mio figlio maggiore sta ancora combattendo senza tregua... contro la guerra, nel Sud Africa: e, com’è naturale, raccoglie una buona messe di persecuzioni per la sua opera. Io credo che egli abbia torto; ma come madre sono contenta, per quanto angustiata a suo riguardo, che egli sia disposto a soffrire qualchecosa per i suoi principii.
83
« A SARZANA, la piccola e antica cittadina ligure, per iniziativa della Croce Rossa e dellaJRassegna L’Eroica della Spezia, si è bandita una Esposizione d’arte, alla quale han partecipato, con tele e bronzi donati, i maggiori artisti d’Italia. Le opere, dopo che sono state esposte, verranno sorteggiate, una ogni venticinque numeri tra i possessori di una tessera da lire cinque che qui riproduciamo. Essa è una squisita incisione in legno di Emilio Mantelli, e dimostra come l’esposizione, per la operosità di Ettore Cozzani, abbia in tutte le sue forme e i suoi modi l’aristocratica finezza di gusti della magnifica rassegna spezzina. Anche il biglietto d’ingresso sarà una delicata xilografia e di xilografie sarà tutto adornato il bellissimo catalogo dell’ Esposizione. Della quale daremo, appena sarà inaugurata, altre notizie, poiché l’avvenimento merita di essere celebrato come una festa della Carità e della Bellezza ».
84
BILYCHNIS
magnanime, cooperando efficacemente a redimere e costituire l’Italia: il Carducci, volgendosi al Ministro dell’istruzione nel luglio 1892 (era Ferdinando Martini) invocava il rifacimento della scuola, che doveva essere classica veramente italiana, per utile proprio e della patria.
Pur in mezzo agli eccessi del feticismo di certuni alla filologia, e alla scuola tedesca, per opera specialmente di uomini nutriti degli spiriti carducciani, come d’altri maestri italianissimi, la scuola ha dato ora tali prove di generosità, d’operosità, di sacrifici all’altare della Patria, che il Poeta, rivivendo, dovrebbe benedicendola. cantarla sacra, come l'esercito bellico e civile in cui essa s’è mutata. Quanti suoi giovani e maestri caduti, o combattenti lassù'. Quanti Sronti a partire fino al trionfo ella giustizia e della libertà!
Sapendo e sentendo profondamente queste cose, noi siamo sdegnati contro l’anonimo poeta...sacro che alle preghiere vuole su labbra di madri, padri, sorelle, spose, del popolo credente nostro insomma: vuole mista la bestemmia della menzogna e dell’odio.
Tradita è la scuola ccc. ccc.
Ci vieni a salvar.
Di chi deve umanamente servirsi la Vergine per tale salvezza? Del popolo in cui la scuola è tradita, che spoglia l’altare, opprime la stola? o di chi s’annunzia difensore, pur essendo luterano e alleato al Turco, d’un papato regio, conculcatole a suo piacere e che non ha niente che fare col regno di Dio, che non è di Ìuesto mondo? (son parole del-Evangelo: se lo ricordi l’anonimo poeta...sacrilego!).
Lasciando altre domande, che, e lo sdegno, e l’amore della verità, e il rispetto così alla
« Quest’anno gli augurii individuali debbono restare sommersi in quelli generali, nazionali e umanitari. Che la vostra nazione e quelle degli alleati traducano in realtà il programma del vostro Mazzini, di autonomia delle nazioni, e quello Cristiano di affratellamento di tutti i popoli c di tutti gl’individui, è l’augurio non di quest’anno solo ma di tutti i tempi e luoghi: e non è vano sperare che tanto sangue e tanti dolori dell'umanità non siano stati sparsi invano... ». G. P.
I “ FRIENDS ” E LA COSCRIZIONE
Contro la coscrizione militare obbligatoria va ogni dì aumentando in Inghilterra l’opposizione in nome di principii morali e religiosi, a proporzione che il militarismo incalza e tenta di distruggere questo baluardo fondamentale della dignità della personalità umana e dell’autonomia della coscienza individuale. Beniamino Kidd, il noto scrittore divenuto famoso venti anni or sono per la sua Evoluzione Sociale, in una lettera al Daily Chronicle ha fatto sentire da sua vigorosa protesta contro questo attentato alla dignità umana: «Per un gran numero di cittadini della nostra nazione», egli dice, « il motivo per opporsi alla Germania e quello per resistere alla coscrizione obbligatoria nella nostra nazione è uno ed identico: in ambedue i casi, ò l’onore della Bretannia e la preservazione dell’Europa dal dispotismo militare che è in gioco... Il chiaro significato della recente decisione del Partito del Lavoro, contrario alla coscrizione... e la protesta indirizzata ai membri del Gabinetto dal Comitato Generale della Chiesa Metodista Primitiva, rappresentano altri elementi miportanti... Io credo di esprimere l’intimo pensiero di molte migliaia di cittadini, quando dichiaro che non vi è altra situazione in tutta la storia della Bretannia in cui mi sembra che avrei così fiduciosamente e serenamente incontrato la morte in difesa di una causa, come mi sento ora disposto a farlo per oppormi alla coscrizione. E dico questo mosso dai più santi motivi che possano influire su di un uomo: la convinzione religiosa e la convinzione intellettuale... ».
Il Congresso delle * Trade Unions » inglesi rappresentativo di circa tre milioni di operai organizzati, ha anche esso formulato una vigorosa protesta contro « i biechi sforzi di partiti reazionari per imporre sulla nazione il servizio militare obbligatorio che. oltre ad implicare un gravame speciale per gli operai, scinderebbe la concordia della nazione in un periodo in cui è indispensabile l’assoluta unanimità, senza che sia stato affatto dimostrato che il sistema di arruolamento volontario non è sufficiente a provvedere ai bisogni dell'impero ».
85
LA GUERRA
[Estratti]
81
Ma l’opposizione più forte e tenace, perchè basata su principi religiosi e morali e spalleggiata da una costante tradizione di circa due secoli e mezzo è quella fatta dalla società religiosa dei « Friends » (Quakers).
L’ultima conferenza dei « Friends » in Londra ha inviato ai membri delle due Camere, dei Comuni e dei Lords, il seguente Memorandum :
< La Società dei " Friendsche da oltre 250 anni ha propugnato la libertà di coscienza, ed in particolare ha costantemente protestato contro la guerra, desidera di far presente alla S. V. nel modo più vigoroso la sua avversione per la adozione anche in questa nazione del servizio militare obbligatorio, che viene ora minacciata. Noi non entriamo in merito agli argomenti militari e politici: nè basiamo la nostra opposizione su alcune teorie astratte dei diritti dell’individuo all’autonomia dall’autorità dello Stato. Noi crediamo che sia dovere di ogni cittadino di servire la sua patria con mezzi pacifici, in maniera che essa possa compiere la propria missione di vero servizio dell’umanità. Ma ciò che noi contestiamo è il diritto di alcun governo a costringere i propri sudditi a fare azioni che siano disapprovate dalla loro coscienza. La nostra persuasione che la guerra è immorale è basata sulla natura di Dio e il valore della persona umana quali ci sono stati rivelati da Gesù Cristo: e noi sentiamo che la nostra fedeltà a Lui richiede da noi che ci ricusiamo di partecipare alla strage del nostro prossimo. Noi sappiamo che questi sentimenti sono condivisi da altri, pronti come noi a fronteggiare qualunque conseguenza che possa derivare da questo nostro rifiuto. Vi scongiuriamo pertanto di rigettare qualunque proposta di rendere obbligatorio il servizio militare ».
L’opposizione dei • Friends » al servizio militare risale, infatti, fino al periodo della guerra civile inglese alla metà del secolo decimosettimo, quando Giorgio Fox, stimolato ad accettare l’ufficio di capitano nell’armata di Cromwell, si ricusò, perchè, come egli riferisce nel suo Giornale, • Io dichiarai loro che sapevo bene da quale spirito tutte le guerre sono provocate... e che io vivevo in virtù di quel potere e di quella vita che sopprimeva tutti i motivi di guerreggiarsi... Io proclamavo la purità, la giustizia, la perfezione ». E Fox stesso dovè subire aspre persecuzioni per questo rifiuto e per questi principi. È anche noto che William Peni» formulò, tra i primi, la proposta di un Parlamento europeo per decidere le controversie fra nazioni, e che fu appunto nel vasto territorio dell’America del Nord a lui concesso per impiantare una colonia di Friends — poi da lui detto Pennsilvania — che per la prima volta i principi di non-resistenza dei « Friends » furono applicati, e con successo completo, nell’occasione degli assalti delle tribù Indiane alla nuova colonia.
Ora che la tempesta si addensa ed avanza, e che la coscrizione obbligatoria, da fortemente improbabile, è divenuta di probabile adozione anche in Inghilterra, la società dei Friends sta facendo un profondo esame di
preghiera come alle anime Fic, farebbero erompere dal-animo: abbassiamo il tono per chiedere pacatamente, ma a voce alta e chiara: chi ha scritto la strofa bugiarda? l’han fatta proprio coloro, che la distribuiscono con altre ai fedeli? E, se sì, devono, essi fedeli, ripeterla, insultando caduti e cadenti cari, per i quali vogliono pregare? Devono, sposi e padri di donne, figlie e figli credenti, consentire che nella chiesa, labbra di consan-fuinei bestemmino la preghiera?
uò chi ha il dovere di schiacciare la menzogna pubblica. Serturbatrice, eccitante alla iscordia: può insomma il magistrato tacere?
Non lo crediamo; e non credendolo, abbiamo additati i versi nefasti con la prosa dettata dall’indignazione.
(Dal Nuovo Giornale del 21 dicembre 1915.)
Estratti dalla Rivista “ ßilychnis ”
(In vendita presso la nostra libreria)
Giovanni Costa : La battaglia di Costantino a Ponte Milvio (con 2 disegni e 2 tavole). . . . 1,00
Giovanni Costa: Critica e tradizione (Osservazioni sulla politica e sulla religione di Costantino) . 0,50
Giovanni Costa: Impero romano e cristianesimo
(con 3 tavole). . . . . 1,00 Salvatore Mi nocchi : I miti babilonesi e le origini della Gnosi....... 0,60 Luigi Salvatorelli : La storio del Cristianesimo ed i suoi rapporti con la storia civile ...... 0,30
86
82
B1LYCHNIS
Calogero Vitaliza: Studi
commodianei (I. Gli anticristi e l’anticristo nel Carmen apologelicum di Commodiano; II. Com-modiano doceta?) . . . 0,30 Furio Lenzi: Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con 1 tavola e 4 disegni)..................0,30
Furio Lonzi : L’autocefalia della Chiesa di Salona (con 11 illustrazioni) . . 0,50 F. Fornari: Inumazione e cremazione (con 6 illustrazioni)................0,30
C. Rostan : Le idee religiose di Pindaro...........0,30
C. Rostan: Lo stato delle
anime dopo la morte, secondo il libro XI del1’ «Odissea»............0,30
C. Rostan: L’oltretomba
nel libro VI dell’« Eneide» ....................0,50
Alfredo Tagliatatela : Fu il Pascoli poeta cristiano ? (con ritratto e 4 disegni) .....................0,30
F. Biondolillo: La religiosità di Teofilo Folengo (con un disegno).... 0,30
F. Biondolillo: Per la religiosità di F. Petrarca (con 1 tavola)..............0,30
Giosuè Satatiello: Il misticismo di Caterina da
Siena »con 1 illustraz.). 0,25
Giosuè Satatiello: L’umanesimo di Caterina da
Siena (con 1 illustraz.). 0,30
Calogero Vitanza: L’eresia
di Dante ....... 0,30
Antonino De Stefano: Le origini dei Frati Gaudenti ..............0,40
A. W. Muller: Agostino Favoroni e la teologia di Lutero...........0,30
Arturo Pascal: Antonio Caracciolo, vescovo di Tro-yes.................0,80
Silvio Pons: Saggi Pasca-liani (I. Il pensiero politico e sociale del Pascal: IL Voltaire giudice dei - Pensieri » del Pascal ;
coscienza e una rassegna completa delta situazione per regolare la propria condotta come Società e per illuminare i suoi membri nell.a decisione che saranno eventualmente chiamati a prendere.
Essi hanno presenti le difficoltà e le persecuzioni subite dai Friends nella Nuova Zelanda ove il servizio obbligatorio è stato adottato nello scorso anno: non ignorano il trattamento inflitto ai loro fratelli Russi delle sette dei Standisti e Dukhor, e ai Nazareni dell’Austria di cui parecchie centinaia sono stati posti a morte, mentre nella Norvegia e nella Danimarca tutti i « Friends » in età da servizio militare che si son ricusati di arruolarsi han dovuto abbandonare la loro patria, c nella Germania ed in Francia sono stati praticamente soppressi. In Inghilterra stessa, molti • Friends » ed altri con essi simpatizzanti, hanno di già sofferto la perdita d’impieghi, di occupazioni, ed altri danni. Cito i recenti esempi dei due direttori dello stabilimento chimico Albright e Wilson, i quali per essersi ricusati di eseguire le commissioni di materiale da guerra richieste dal Governo alla loro casa, han dovuto ritirarsi dalla direzione di essa dopo quaranta e venti anni, rispettivamente, di tale ufficio.
Altro esempio notevole è quello della famiglia Sellar, i cui membri hanno nel periodo di tre anni sofferto cinque condanne, da quelle alta prigionia e ai lavori forzati in Nuova Zelanda a quelle di multe ed altre in Inghilterra per il rifiuto ad ottemperare alla < Registrazione Nazionale » intesa quale preparazione alla eventuale coscrizione.
È da notare che su circa 5000 « Friends « in età da servizio militare solo due centinaia — di cui la gran maggioranza erano membri appena di nome — si sono arruolati: e di essi solo cinquanta han dato le dimissioni, da membri delta Società. D’altra parte, parecchie centinaia di giovani « Friends » prestano la loro opera negli ospedali sub fronte e nella croce rossa; molti di essi servono la patria nel pericolosissimo compito di spazzare le mine vaganti che infestano il Canale: parecchi di essi prestano servizio nel corpo di Ambulanza inviato dall’Inghilterra sul fronte italiano; e un numero molto maggiore sì di giovani che di adulti; uomini e donne, lavorano attivamente, contribuendo coi loro mezzi personali all’assistenza e al mantenimento dei profughi Belgi e di persone appartenenti a nazionalità nemiche, all’assistenza morale dei prigionieri tedeschi concentrati in campi militari, e ad altre svariate opere benefiche in servizio della loro nazione, degli alleati e dei « fratelli nemici ».
Notevole che l’opera dei Friends ha ricevuto, fra altri, l'omaggio delta « Società Positivista » francese, la quale, per bocca di Emile Corra, in un documento ufficiale le ha reso questo tributo: «... Tra queste opere di misericordia umanitaria non si deve lasciar sotto silenzio l’attività commovente dispiegata dalla società inglese dei «Friends», che si è dedicata alla missione di ricostruire i villaggi distrutti dal fuoco, di rimettere in coltivazione le terre devastate, di in-
87
LA GUERRA
[Estratti]
83
tradurre sui campi di battaglia misure e istallazioni sanitarie, di prevenire e combattere le epidemie, accampandosi in mezzo a rovine, dietro le armate, allo scopo di assistere, curare, confortare i vecchi, i malati, le donne e i fanciulli che non poterono essere ricoverati negli ospedali ed in altre simili istituzioni ».
E il manifesto ne trac auspici per augurarsi che dopo la guerra e attraverso ad essa, sorga spontaneamente in tutto il mondo l’idea della superiorità della forza morale su quella materiale, c il senso della necessità di creare e di organizzare su tutto il nostro pianeta l’opera «Iella forza spirituale.
Alle svariate e intense forme di attività di * servizio sociale e umanitario •• dei Friends ha corrisposto una rinnovata, intensa vitalità interna, attraverso una inevitabile crisi da cui la società è uscita corroborata. Molteplici congressi locali e generali hanno posto in contatto i membri e le idee, c il risultato più sorprendente, posto in evidenza nel congresso di Londra dal Littleboy, è stato che « laddove là vecchia generazione ha avuto delle esitazioni c cercato dei compromessi— specie sotto l'impressione dei metodi barbari dei Tedeschi — la generazione giovane è rimasta salda e decisa, e nelle loro adunanze e per mezzo dei loro organi hanno reso testimonianza allo spirito genuino dei Friends ». Si prevede anzi, che se la coscrizione diverrà obbligatoria in Inghilterra, un grandissimo numero di giovani Friends darà le dimissioni dalla società per un nobilissimo desiderio di solidarietà nella lotta e nelle sofferenze con tutti coloro che, pur aderendo allo stesso spirito dei Friends su questo riguardo, non potranno come questi godere dell’esenzione o del trattamento più mite che si prevede sarà concesso alla società per rispetto ai suoi principi religiosi.
Già il congresso dei « Giovani Friends », tenuto a Manchester nel maggio scorso, aveva offerto lo spettacolo di una freschezza vigorosa di cristianesimo radicale, di un calore e di una vitalità spirituale, che sarebbe stato diffìcile immaginare ancora possibile nel periodo di Cristianesimo addomesticato, in cui da più generazioni viviamo. Risuonarono voci, giovanili per vivacità e robustézza, ma ricche di tutta la maturità della secolare esperienza cristiana. «La guerra è in noi », disse l’uno, « iniqua, diabolica, anti-cristiana, Sr quanto ministri di religione si sforzino di mostrarci visione di un Cristo in uniforme militare. Ma dire che noi professiamo la non-resistenza, è solo metà della verità... Ciò che noi vogliamo è un lungo corso di resistenza al male — ai falsi principi e ai rapporti immorali da cui son prodotte le guerre... ».
■ E la fede che opera », continuò un altro, « è il silenzio che parla, è la pace che conquista. La guerra, siamo noi: ma non è men vero che siamo noi, o dovremo essere, la pace; ognuno di noi, con queU’atteggiamento individuale e con quello spirito con cui alcune persone riescono facilmente a sedare le contese e i «liverbi. La pace è talmente pacifica, che non si deve c«>mbattcre per ottenerla: ma si richiedono dei mediums atti.
III. Tre fedi : Montaigne, Pascal, Alfretl di Vigny) con 2 tavole..........0,50
T. Neal: Maine de Biran. 0,30
F. Rubbiani: Mazzini e
Gioberti..............0,50
Paolo Orano: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita e ritratto) ....... 0,40
Angelo Crespi: L’evoluzione «Iella religiosità . 0,30
Paolo Orano: La rinascita dell'anima ....... 0,30
Angelo Crespi : Il problema dell’educazione religiosa Jntroduzione)..........0,30
Angelo Gambaro: Crisi contemporanea..........0,15
Giov. Sacchini: Il Vitalismo ...................0,30
R. Murri: La religione nel-l’insegnamento pubblico in Italia..............0,40
Ed. Taglialatela : Morale c Religione...............1 —
Mario Puglisi: Il problema morale nelle religioni primitive........ 0,50
A. Taglialatela: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 5 disegni di P. Paschetto) . . 0,20
G. Luzzi : L’opera Spence-riana...................0,15
M. Rosazza: La religione del Nulla (con 6 disegni). 0,30
R. Wigley: I metodi della speranza (Psicologia religiosa). . . • '........0,30
R. Wigley : L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa) .......... . . . 0,50
James Orr: La Scienza c la Fede cristiana. . . . 0,25
G. E. Meille: Il cristiano nella vita pubblica. . . 0,30
F. Scaduto: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa ........ . 0,30
E. Rutili : Vitalità e vita nel Cattolicismo (Cronache: X912-1913-1914) 5 fascicoli ......... 1,50
88
84
B1LYCHXIS
E. Rutili: La soppressione dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi..................o.»5
Paolo Orano: Gesù e la guerra...................0,30
Edoardo Giretti: Perchè sono per la guerra. . . 0,20
Romolo Murri : L’individuo e la Storia. (A proposito di cristianesimo e di guerra).............0.40
LIBRERIA EDITRICE " BILYCHHIS1 '
Via Crescenzio 2, ROMA
(Novità] John Viénot: Paroles Françaises prononcées à 1’0-ratoire du Louvre.
Sommario:. La France nouvelle - Les « bons Français » -L’Allemagne et le Protestantisme - • Il faut opiniâtrer » -La Vitalité française - L’oubli des Morts - « La race élue, la nation sainte »
Vol. di pp. iSo. In ïtalia: L. 2,50.
000
(NovitàJ. Paul Stapfer: Les leçons de la guerre.
Fins de mondes - Ère nouvelle - Le Dieu de l’Allemagne - La liberté humaine révélée parla guerre-Question de conscience - Sincérité - Mon dernier petit sermon de guerre-L’origine du mot • boche » -Sois bon.
Vol. di pp. 180. In ïtalia: L. 3.50.
000
(Novità]. Wilfred Monod: l'ers l Evangile sous ta nuée de guerre. Courtes méditations pour commencer chaque semaine.
Première série: Vers l’Evan-gile - Entre crucifiés - Elévache agiscano per lampi luminosi della loro personalità, con subitanee rivelazioni del genuino spirito di pace. E il mondo, credetelo, è più disposto ad accoglierci che non sembri. Attraverso alle trincee stesse corrono guizzi di fratellanza; nei brevi intervalli in cui i cannoni tacciono, un’allodola leva il suo canto c i soldati odono il suo messaggio ». E la sezione femminile delle giovani « Friends » spediva ai centocinquanta giovani dello stesso congresso un fraterno, elevato, patetico messaggio, che fu letto con grande emozione.
«Noi riconosciamo in questo grave momento il bisogno di rendere una solenne testimonianza a favore della pace. È perciò necessaria piena fiducia degli uni negli altri, ed essa potrà essere completa e intensa soltanto se noi tutti, uomini e donne, concorderemo nei punti essenziali. E ciò è possibile fra noi, a causa della libertà di cui godiamo nella nostra Società dei «Fricnds», c dello spirito di cameratismo, di amicizia e di uguaglianza fra uomini e donne. Ora noi vi domandiamo di non usar mai la forza per difendere le nostre vite, se fosse questa la sola ragione determinante che dovesse indurvi a brandire le armi: ma di riporre la vostra fiducia in Dio per riguardo a noi non meno che per riguardo a voi. Non ci eravamo sapute decidere a volgervi questa domanda, prima dì avere noi stesse presa questa decisione: ciò che noi adunate qui a Manchester, abbiamo fatto in questo stesso pomeriggio. Noi sentiamo ora che la fiducia in Dio non è uno sguardo passeggero gettato nelle vicende della vita, ma è una.forza intensamente attiva. Sembra che sia compito e missione della donna di dover sperare mentre essa vede gli altri soffrire. Ora i nostri uomini dovranno forse dividere con noi questi stessi sentimenti, e nel chiedervi di accettare questa comunione, sentiamo di chiedervi una cosa veramente grande... ».
Per formarsi un’idea del livello di spirito con cui la società dei • Friends • si prepara ad affrontare in Inghilterra la probabile eventualità di trovarsi fuori della legge, sarà opportuno ascoltare alcune voci e suggerimenti partiti dal congresso recentissimo tenuto da uno speciale comitato in Londra, allo scopo di studiare l’atteggiamento da prendere in quella eventualità. 1 re ipotesi furono considerate: I « Friends » potrebbero chiedere l’esenzione legale dalla coscrizione; ovvero insistere sul diritto di scelta fra il servizio militare e altre forme ’di servizio sociale; oppure decidere di non fare alcuna pratica per ottenere l’esenzione, e fronteggiare le conseguenze del loro rifiuto, al pari degli altri protestatari mossi da motivi di coscienza. Dopo lunga discussione, si addivenne alla conclusione che il partito più atto a conciliare lo spirito di solidarietà con gli altri oppositori fuori della Società dei « Friends », col vantaggio che a quelli stessi e a tutta la causa verrebbe dall’esenzione dei « Friends », sarebbe quello di ottenere una clausola di esenzioni per tutti coloro che sono opposti al servizio militare obbligatorio per motivi di coscienza; non riuscendo in questo programma massimo, di accettare l’esenzione per la
89
LA GUERRA
[Libreria]
85
Società dei « Friends », se venisse offerta (anche in vista di ciò che recentemente è avvenuto nella Nuova Zelanda, ove l’esenzione prima accordata ai soli « Friends « è stata poi estesa a casi analoghi di coscienza); ed infine, di lasciare i giovani « Friends » liberi di seguire la propria ispirazione nell’accettarc o no l'esenzione, — esponendosi nel secondo caso alla sorte degli altri protestatari — appoggiando la loro decisione qualunque delle due potesse essere. L’idea di facilitare l’emigrazione dei giovani « Friends », nell'eventualità di coscrizione obbligatoria, non trovò alcuna approvazione nell'adunanza, sembrando a tutti che sarebbe atto vile quello di abbandonare la patria per motivo di sicurezza personale e per sfuggire la responsabilità delle proprie azioni. Alla obbiezione che può sembrare un atteggiamento vile ed abbietto quello di lasciare che gli altri cittadini espongano la propria vita per difendere la Satria dall’invasione nemica, c starsene al sicuro dietro loro usbergo anziché affrontare con essi il pericolo, Edward Gruob ha eloquentemente risposto sulla rivista The Friend: « Si, sarebbe atto vile, se noi in tempo di pace avessimo agito c vissuto, animati da quello spirito che causa le guerre; si, se ci fossimo appagati di trattare le questioni di politica nazionale e di giustizia nazionale sulla base degli ordinamenti politici vigenti; si, se non avessimo proclamato un ordine di rapporti internazionali assai più alto di quello della comune politica; si, se noi ci fossimo contentati di professare i nostri principi sulla pace, soltanto come un bagaglio tradizionale, che ci lasciasse poi liberi di accarezzare quei sentimenti ed esprimere quelle parole che conducono alla guerra: solo allora sarebbe stato abbietto e vile di ricusare di subire le conseguenze della nostra condotta. Giacché, a meno che la nostra resistenza alla guerra per motivi religiosi non investa profondamente tutte le nostre vite, come avvenne con George Fox e i suoi compagni; a meno che essa significhi che tutte le nostre vite sono pacifiche e che sono tutta una protesta contro le cause delle guerre — vite di giustizia, di sincerità, di amore per gli uomini della nostra e delle altre nazioni, — noi non possiamo arrogarci nessun titolo all’esenzione dai servizi comuni. Se invece noi abbiamo seriamente mirato a incarnare nella nostra vita le nostre dottrine di pace in tutti i rapporti, — personali, sociali, commerciali, non meno che negli internazionali, — noi possiamo ragionevolmente presumere, che se la nostra patria avesse tutta intiera agito ugualmente, non vi sarebbe ora pericolo di invasione. E se, non ostante i nostri sforzi, questo pericolo è sorto, noi possiamo con ragione argomentare che noi non vi abbiamo alcuna responsabilità, e perciò non dobbiamo essere forzati contro la nostra coscienza. Mentre noi ardentemente desideriamo di servire la nostra patria in tutte le maniere lecite, non possiamo larlo col mezzo delle armi: ed in questo ci sentiamo solidali con tutti quelli che per motivo di coscienza si oppongono al servizio militare. L’esempio della fedeltà nostra e di altri ai nostri principi di pace.
tion du matin - De profundis - « Mais moi je vous dis » -L’effondrement - Acte de foi -Adoration - Ecce homo! - Tenir bon - Forces perdues - Vue et vision - Autels - Une feuille verte et rouge - Le monde vaincu - A genoux - « L’esprit soupire » - Au bord du préci-Î>icc - L’Esprit contre la vio-snce - Résurrection - Le prix du sang - Le sang profané -Perennitas - Comment durer-Quand même ! - Les signes des temps - La barrière de feu -Le message de l’Eglise - A l’horizon - Sous les étoiles -Vers la cité future - L’Idéal social - Présence réelle.
Deuxième sèrie: Prières nationales - u Non la paix mais l’épée » - L’Evangile moral et social - L’Evangile de l’unité -Succession apostolique - Devant la moisson - Vers Golgo-tha - Alea jacta est - Retour au Christ - Les douleurs consolées - Per crucem ad lucem -Crucifiés avec Lui - Visions matinales - L’idéal dans l’avenir - L’idéal dans le présent - En prière - Nos morts - En Serdition - La centième bre-is - Le « nom nouveau » -Prière d’intercession - Credo: Dans .le torrent.
I due voli, uniti, di pp. 200 ciascuno: L. 5,75.
000
[Novità]. È uscita — per le cure della Libreria Editrice Milanese e trovasi in deposito presso la nostra libreria — la tanto attesa traduzione italiana daìV Autobiografia e Biografia di Giorgio Tyr-rel. È un grosso volume di 6S0 pagine, con illustrazioni. Prezzo L. 15.
Sommario. — Autobiografia (1861-1884). 1. Dublino; Nascita; Primi ricordi - 2. Po-tarlington e Bray - 3. L’età della ragione-4. Vita scola-
90
86
BILYCHNIS
stica e collegio di Rathmines -5. Infingardaggine e incredulità - 6. Recite drammatiche; Collegio di Middleton - 7. La « Analogia » di Butler e Gran-gegorman — 8. La * Chiesa alta » e influenze cattoliche; Morte del fratello - 9. Lo sforzo di credere; Amicizia con Roberto Dolling - io. Londra; Conversione e vocazione - 11. Vita in Cipro - 12. Malta; Prime impressioni della Compagnia di Gesù-13. Casa di Manresa; Noviziato dei Gesuiti - 14. Stonyhurst; L’enciclica « Aeterni Patris >• e l’accoglienza fattale dalla Com-Bgnia - 15. Gli amici di Stonyrst -16. Tomismo e Suare-zianismo.
Biografia (1884-1909): 1. Carattere e temperamento - 2. Il periodo centrale della sua vita nella società e gli scritti dal 1885 al 1900 (Sacerdozio - Tomismo - Primi scritti) ; « Nova et Vetcra »; « Hard Sayins»; « External Religion •; Incertezze;« Gli esercizi spirituali » -3. Una lunga amicizia-4. Liberalismo conciliante -5. « A perverted Devotion » - 6. Richmond (Il presbiterio e le sue adiacenze; Attività repressa) - 7. La lettera pastorale collettiva - 8. Lavori compiuti nei suoi ultimi anni di Gesuiat -9. Il distacco da Ncwman - io. Rottura con la Compagnia di Gesù-11. La storia intima della separazione -12. I suoi rapporti coi Gesuiti - 13. Azione militante - 14. La sospensione « a Divinis » — 15. Pio X e la « Pascendi » — 16? La scomunica- 17. Modernismo - 18 • La chiesa del suo battesimo » - 19. Il problema cristologico -20. La Chiesa dell'Avvenire -21. La fine del viaggio - 22. • In pace erat locus ejus » -23. Conclusione.
000
[Novità], Pendant la guerre.
Discours prononcés à l’Oraanche sotto la pressione e la coercizione legale, potrà influire più che qualunque altro argomento alla disfatta del militarismo ».
Tra gli altri che per motivi morali, anche se non esplicitamente religiosi, sono all’unisono coi « Friends » nell’opposizione alla coscrizione obbligatoria, la stessa rivista citava in un numero recente il noto romanziere inglese Jerome K. Jerome, il quale scriveva recentemente sulla Weslminster Gazetle-. « Io ho trascorso parecchi anni in Germania e ho studiato il funzionamento del sistema prussiano, e ne sono tornato con la convinzione che nessun altro male fra tanti che minacciano la civiltà moderna è paragonabile a quello della coscrizione. Esso strangola addirittura la libertà, soffoca ogni indipendenza di pensiero, fissa stereotipamente il governo di alcune classi sopra le masse; la risorgere tutti gl’inconvenienti del sistema feudale senza alcuno dei suoi vantaggi, favorisce l’arroganza, l’orgoglio dei censo, il disprezzo di un uomo per un al-tr’uomo. Essa incanala l’energia di un’intiera nazione, l’intelligenza, le speranze, i timori, le aspirazioni in direzioni perverse, nei canali della cupidigia e voluttà di.conquiste, della deificazione della forza bruta, della rinunzia all’onore, della canonizzazione del materialismo, qual solo Dio dell’umanità: essa deliberatamente ritorce gli occhi di una nazione verso la barbarie; esalta la brutalità e ne fa un dovere;iscusa la crudeltà selvaggia quali espedienti giustificabili. Essa espone lo spirito umanitario al ridicolo, e trasforma gli uomini in bestie.
« Coloro che se ne fanno i fautori sono dei senza patria: il Patriottismo nelle loro mani non è che uno strumento. È proprio la Coscrizione che ha la responsabilità della guerra presente».
Dopo una condanna sì severa fatta in nome di un’esperienza civile, sociale, morale, umana, quanto mite non sembra la protesta religiosa non meno ferma e decisa, che un « Friend » espresse nel congresso di Londra: « Fino a che noi non potremo immaginarci un Cristo sulla linea del combattimento in altra funzione che in quella di pacificatore e di medico, non crederemo che sia permesso ad un suo discepolo di trovarvisi in altra funzione. Non è concepibile che egli il quale pregò per i suoi crocifissori possa ordinare ai suoi seguaci di mutilare ed uccidere i loro fratelli ». Così l’economista Norman Angeli, il sociologo Benjamin Kidd, il romanziere Jerome, s’incontrano con la calma, semplice intuizione religiosa degli «Amici». Giovanni Pioli.
ULTIMI MOMENTI DI MISS CAVELL
Il Ministro degli Stati Uniti a Bruxelles ha consegnato al Ministro degli esteri inglese copia del resoconto del Rey. Gahan, il cappellano inglese che assistè nei suoi ultimi momenti Miss Cavell. Da esso estraggo una parte.
91
LA GUERRA
[Libreria] 87
«... Alla luce di Dio e dell’Eternità », essa mi disse, «io non sento timore nè raccapriccio: ho visto troppe volte la morte perchè ora mi riesca spaventosa ed ostile. Ringrazio Dio per le dieci settimane di tranquillità che mi ha concesso qui in prigione prima della mia fine ultima. Questo riposo è stata una gran misericordia che egli mi ha usato: la vita era stata sì tempestosa e piena di difficoltà... Qui sono stati tutti pieni di gentilezza verso di me. Al cospetto di Dio e dell’Eternità come mi trovo, devo dire che io son persuasa che il patriottismo non è sufficiente, e che non debbo sentire odio o amarezze per alcuno ». Al termine del breve servizio religioso, io cominciai a ripetere le parole dell'inno: « Resta con me, o Signore », a cui ella si associò... « A Dio! • furono le mie ultime parole, a cui essa sorridendo rispose: « Arrivederci di nuovo! »
II cappellano militare tedesco che l’assistè nell’ultimo istante, mi disse di lei: « Essa mostrò coraggio e serenità fino all’ultimo momento, professando la sua fede cristiana e dichiarandosi lieta di morire per la sua patria. Essa morì come un’eroina ».
È noto che Miss Cavell aveva prodigato le sue cure d’infermiera indistintamente a numerosi soldati tedeschi feriti nell’ospedale inglese di Bruxelles. Nel « servizio funebre » che ebbe luogo nella cattedrale di S. Paolo di Londra in memoria di Miss Cavell, risuonò lungamente, a nome di tutta la nazione, iì » Resta con me, o Signore! • G. P.
“ ET ULTRA! ”
Preceduta da un’introduzione del Senatore Manassei è comparsa sulla Rassegna Nazionale la lettera del nobile giovanetto Enzo Valentini, da lui lasciata alla sua madre, quale testamento spirituale nell’atto di arruolarsi, volontario diciottenne. La morte che lo « liberò » sul Col di Lana il 21 ottobre, dissuggellò anche il testamento da cui stralciamo una parte.
«... Molte persone mi hanno voluto bene... voglio che qualche cosa resti anche a loro dell’amico scomparso per salire sempre, come la fiamma oltre le nuvole, oltre la carne (.« et ultra! » ricordi il motto ?) nel sole, nell’anima del tutto...
« Cerca se puoi di non piangermi molto. Pensa che, se anche non torno, non per questo muoio. Lui, la parte inferiore di me, il corpo, soffre, si esaurisce, muore. Io no; io, l’anima, non posso morire, perchè son di Dio ed in Dio devo tornare: sono stato creato per la gioia, che è in fondo ad ogni dolore: alla gioia eterna debbo tornare. Se alcun tempo fui prigioniero del corpo, non perciò io son meno eterno: la mia morte corporale è una liberazione, è un principio della vera vita; è il ritorno
toire et au Nouveau Temple de Lyon.
Volumetto 5®, contenente queste prediche: La Prière qui rend vainqueur, di E. Gonnelle; Comment durer, di W. Monod; Devan l’avenir, di H. Monnier; Les « bons français », di J. Viénot; Garde-moi! di A. W. d’Aygalliers; L’invisible, di L. Maury.
Volumetto 6°: La Parole de Vérité, di J.-E. Roberty; Vers la Démocratie, di W. Monod; La Guerre est-elle un châtiment de Dieu? di H. Barbier; L’Allemagne et le Protestantisme, di J. Viénot; L’Appel aux Moissonneurs, di W. Monod; Heureux les Morts, di J.-E. Roberty.
Volumetto 7®: En rançon pour plusieurs (C.-E. Babut) -« Il faut opiniâtrer » (John Viénot) - La guerre et la bonne conscience (H. Bois) - Le courage qui ne se perd pas (H. Barbier) - Source au désert (Ch. Wagner).
Volumetto 8°: Où est ton Dieu ? (G. Boissonnas) - I.e rameau (Ch. Wagner) - La France d’hier et celle de demain (Ch. Vernes) - La garde du coeur (Frank Puaux) - Le Monde vaincu (W. Monod) - Pour la théologie (J.-E. Roberty).
Volumetto 9®: Les deux paix (H. Barbier) - Le désir de mourir (J.-E. Roberty) - La branche d’amandier (Ch. Wagner) -L’homme mort revivra-t-il ? (J. Viénot) - Lumière de Paques (Ch. Wagner) - Pas dè Saix hors de la Justice (E. oulier).
( Novità]
Volumetto 10®: Le Message de l’Église en temps de guerre (W. Monod) - Les Causes ultimes. I. (L. Monod) - A la Lumière de l’invisible (H. Mon nier) - Les Mains sur la Montagne (A. Wauthier d’Aygalliers) - Prières nationales (W.
92
88
BILYCHNIS
Monod) - Les Causes ultimes. II. (L. Monod).
Ogni volumetto di pag. 100: L. 1.25.
000
(Novità) Jean Lafon : Evangile et Patrie. Discours religieux. (2® volume). Pag. 360. L. 3.75.
Sommario : 1. Renouvellement - 2. Maîtrise de soi -3. L’héritage des Pères - 4. Ce que Dieu vent - 5. Aux affligés - 6. La tentation des représailles - 7. Un bon soldat - 8. Les armes du soldat - 9. La défaite - 10. La victoire - 11. Le doute d’un prisonnier - 12. La grâce qui suffit - 13. En avant!
000
H. Bois, Patrieet humanité. Conférence. Volumetto di pagine 73. L. o,75 (A benefìcio delle vittime della guerra)
all’infinito. Perciò, non mi piangere. Se tu penserai alla immortale bellezza delle idee a cui la mia anima ha voluto sacrificare il mio corpo, non piangere! E se il tuo cuore profondo di madre piangerà, versale pure le tue lacrime: saranno sante, perchè son sante, sempre, le lacrime di una madre. Che Iddio le conti: saranno stelle per la tua corona.
« Sii forte, mammina. Dall’al di là, ti dice addio, — a te, a Papà, ai fratelli, a quanti mi amarono — il tuo figlio che dette il suo corpo per combattere chi voleva uccidere la luce ».
Quindici giorni prima di morire, egli, scriveva ancora: « Noi dobbiamo alimentare con quanto è in noi di più forte la lampada del nostro amore e della nostra fede... ».
Il Senatore Manassei così commenta questi pensieri e sentimenti del giovane idealista.
« ... Crediamo che questi pensieri meritino di esser raccolti e riprodotti come bella dimostrazione della tendenza spiritualistica della nuova generazione dei giovani intelligenti e colti, i quali disgustati da una falsa scienza materialistica, positivistica, subdolamente atea ancora dominante nella caterva dei'semidotti, ricerca e ritrova nello spiritualismo dei nostri Sommi la luce del vero e del bello e delle più alte idealità, la fede nell’anima immortale che si ricongiunge con Dio... ».
G. P.
. ----------- .
CROCE ROSSA ITALIANA
Bisogna che i cittadini SI RENDANO SEMPRE MEGLIO CONTO DELL’ENTITÀ DEI SERVIZI AUSILIARI DELLA CROCE Rossa, sentano l’orgoglio di questa Associazione, cresciuta CON LE LORO CONTRIBUZIONI SPONTANEE E CON LE LORO PRESTAZIONI PERSONALI, E COMPRENDANO LA NECESSITÀ E LA UTILITÀ DI ALIMENTARNE IL PICCOLO TESORO PER RENDERLO PROPORZIONATO ALLE GRANDI FINALITÀ.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma. Tipografia dell*Unione Editrice, via Federico Cesi, 45
93
BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA
DI STUDI RELIGIOSI © © ©
VOLUME VI.
ANNO 1915 - II. SEMESTRE
(Luglio-Dicembre. Fascicoli Vll-Xll)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
95
INDICE PER RUBRICHE
INDICE DEGLI ARTICOLI.
Allier R. e Schlatter W.: Sarà cristiana la Cina?, p. 204.
Bridget S. : Per la storia di un terribile dogma, p. 258.
Carliol I. W.: Il monopolio in religione. Pan -ecclesi asticismo e Fan -germanesi mo. Il pensiero di un vescovo inglese, p. 325.
Cento Vincenzo : Il Cristianesimo e la guerra, p. 13.
Costa Giovanni: Impero Romano e Cristianesimo, p. 18.
Ilio Ego: Che no è del «Modernismo»? o meglio: che cosa fu il «Modernismo»?, p. 334.
Liabooka Ivan: Messianismo e religiosità in Russia nelle loro relazioni con la guerra odierna, p. 5.
Id.: Le origini dei battisti inR ussia, p. 262.
Id.: I nuovi orizzonti della teologia ortodossa russa. La teologia dell'adomma-tismo, p. 334.
Me Glothlin W. J.: La crisi della teologia cristiana, p. 95.
Mei Ile Giovanni E.: Intorno alla immortalità dell’anima, p. 389.
Murri Romolo: L’individuo e la storia (A proposito di Cristianesimo e di guerra), p. 85.
Natali Giulio: Il pensiero religioso di Giuseppe Panni, p. 355.
Pascal Arturo.: Antonio Caracciolo, vescovo di Troyes, p. 41.
Pioli Giovanni: Sulla via dell’Unione delle Chiese (Il Congresso delle Chiese Cristiane libere d’Inghilterra), p. 118.
Puglisi Mario: Il problema morale nelle religioni primitive, p. 103, 184.
Rossi Mario: Giovanni Hus, l’eroe della nazione boema (A proposito del V centenario della sua morte : 14-15-1915), p. 165.
Rostan C.: L’oltretomba nel libro VI del-V Eneide, p. 245.
Rutili Ernesto: Vitalità e vita nel Catto-licismo, p. 401.
PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Conferenze - Prediche - Sermoni.
Chiminelli P.: Una santa laica: Teresina Ravizza, p. 280.
Fallot T.: Sulla soglia, p. 268.
Monod Wilfred: La cultura della vita interiore, p. 123.
Paschetto Paolo A.: A quelli che restano (disegno). Tavola tra le pagine 272 e 273.
Pioli Giovanni: Invocando il Profeta, pagina 208.
Wigley Raffaele: L’autorità del Cristo. Psicologia religiosa, p. 56.
SULL’ARA DELLA PATRIA.
C-: Renato Serra, p. 132.
Ghignoni p. Alessandro: Eugenio Vaina, P- 134’
CRISTIANESIMO E GUERRA.
Ghignoni p. Alessandro: Lettera a Romolo Murri, p. 285.
Pfeiffcr R.: Il problema dell’odio, p. 214.
TRA LIBRI E RIVISTE.
A) I libri.
Anile Antonino: La salute del pensiero (A. Fasulo), p. 75.
Barbagallo Corrado: La Catastrofe di Nerone (Gio. Vanni), p. 139.
Begey Attilio: La Polonia nella Storia, p. 297.
Borgese G.A.: Italia c Germania (F. Rub-biani), p. 292.
Caine Hall: La donna che tu m’hai data, p. 297.
Capranica Luigi: I moderni farisei, p. 298.
Carbone mons. C.: Perchè il primato della filosofia tomista, p. 299.
De Bacci Venuti T.: Dalla grande persecuzione alla vittoria del Cristianesimo (Giovanni Costa), p. 217.
96
IV
BILYCHNIS
Del Giudice Vincenzo: Le condizioni giuri- ¡ diche della conciliazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica in Italia (R. M.), | p. 294.
De Michelis E.: Il problema delle scienze ! storiche (Giovanni Costa), p. 138.
Ferrabino A.: Kalypso (Giovanni Costa), p. 220.
Galli G.: Kant e Rosmini (Gali, e B. Va-risco), p. 432.
Genocchi p. Giovanni: Piccola vita di Gesù, | p. 298.
Giovannozzi p. Giovanni: La Creazione, p. 298.
Keller Helen- Mon Univers. p. 299.
Lamanna E. P.: La religione nella vita ; dello spirito. La religiosità come prodotto della funzione contemplativa (U. Janni), p. 428.
Lugaro E.: Pazzia d’imperatore o abnegazione nazionale? (S. Bridget), p. 300.
Mackenzie William: Il significato bio-filosofico della guerra, p. 299.
Marsiglia D.: Il martino cristiano, p. 298.
Melegari Dora: Il destarsi delle anime, p. 298.
Nazariantz Hrand: Bedros Turian, poeta armeno (T. Grandi), p. 76.
Pellegrini Maria Cleofe: I lunedì della scuola. Conversazioni sui doveri e diritti (S. Bridget), p. 139.
Perin G. : Onomasticon totins latinitatis (Giovanni Costa), p. 223.
Pistelli A.: I documenti costantiniani negli scrittori ecclesiastici. Contributo per la fede storica di Eusebio (Giovanni Costa), p. 223.
Rinieri p. Bario: Il trasformismo e l’embriologia secondo la scienza e secondo la Genesi, p. 298.
Saintyves P.: Les responsabili tés de l’Al-lemagne dans la guerre de 1914 (A. D. S.), p. 297.
Scnuré E.: 1 grandi iniziati e santuari di Oriente (A. Fasulo). p. 295.
Tolstoi Leone: Guerra e pace, p. 299.
Turchi Nicola:. La civiltà bizantina (A. De . Stefano', p. 69.
Van Houtte Paul: Le crime de Guillaume II et la Belgique (A. D. S.). p. 300.
Vindex: La Basilique devastée, p. 299. Windelband Guglielmo: Platone (F. Rub-biani), p. 74.
fi) Le riviste.
Barzelletti Giacomo: Il carattere degli ! Italiani (F. Rubbiani), p. 141.
Cirilli Renato: La storia del profeta Giona ¡ (F. R3, p. 436.
Coulange L.: Le Christ Dieu (C. Vitanza), p. 435De Lorenzo G.: San Francesco e Buddho (F. Rubbiani), p. 140.
Fracassini Umberto: L’Escatologia cristiana e le sue fonti (C. Vitanza), p. 223.
Gaultier Paul: Le origini della barbarie tedesca, p. 300.
Lanzoni Francesco: Le fonti della leggenda di Sant’Apollinare di Ravenna (F. Rubbiani), p. 437.
Loisy Alfred- L’E vangile de Jésus et le Christ ressuscité; L’Évangile de Paul; I.’initiation chrétienne (C. vitanza), pagina 224.
Trombetti Alfredo: La monogenesi del linguaggio (F. Rubbiani), p. 78.
Varia: (S. Bridget), p. 80, 144, 297, 302, 440.
LA GUERRA.
Notizie - k'ocl - Documenti.
Francia, p. 145, 305.
Germania, p. 152. 225, 314, 441.
Inghilterra, p. 151, 238. 305, 319, 447.
Italia, p. 234.
ILLUSTRAZIONI.
Gli imperatori benemeriti del Cristianesimo (Settimio Severo e Gallieno). Tavola tra le pagine 24 e 25.
I rappresentanti delle più opposte direttive religiose romane nel iv secolo (Diocleziano e Costantino). Tavola tra le pagine 32 e 33Ritratto del Rev. J. H. Shakespeare. Tavola tra le pp. 120 e 121.
Gesù nella trincea. Tavola tra le pagine 152 e 153Giovanni Hus (Ritratto). Tavola tra le pp. 168 e 169.
Id. (disegno di Paolo A. Paschetto, da una stampa boema). Tavola tra le pp. 176 e 177.
A quelli che restano (disegno di Paolo A. Paschetto). Tavola tra le pp. 272 e 273.
Cappellani militari in Francia. Tavola tra le pp. 312 e 313.
Auguri agli amici (disegno di Paolo A. Paschetto). Tavola tra le pp. 324 e 325.
Albero vecchio (disegno di Paolo A. Paschetto). Tavola tra le pp. 344 e 345.
Albero Nuovo (disegno di Paolo A. Paschetto). Tavola tra le pp. 388 e 389.
Sovranità e... Sovranità (disegno di Paolo A. Paschetto) p. 421.
97
INDICE GENERALE
Adommatismo: La teologia dell’A., p. 334.
Allier R., p. 204.
Amore: L’A. dèi nemici, p. 309.
Anile Antonino, p. 75.
Anima: Intorno Gl’immortalità dell’A., pagina 389.
Apollinare (S.): Le fonti della leggenda di Sant’Apollinare di Ravenna, p. 437.
Autorità: L’A. del Cristo, p. 56.
Battisti: L’origine dei B. in Russia, p. 262;
I B. inglesi e la guerra, p. 313.
Bedros Turian, poeta armeno, p. 76.
Begey Attilio, p. 297.
Benedetto XV: La politica di B., p. 405.
Bibbia: La B. e la Chiesa esaminate dalla ragione e dalla storia, p. 139; L’escatologia cristiana e le sue fonti, p. 223: ! L’Évangile de Jésus et le Christ ressu- ■ scité, p. 224: La storia del profeta Giona, 1 p. 436.
Bisanzio: La civiltà bizantina, p. 69.
Borgese G. A., p. 292.
Bridgèt S., p. 80, 139, 144. 297. 3<>2.
Buddho: S. Francesco e B., p. 140.
Caine Hall, p. 297.
Capranica Luigi, p. 298.
Cappellani: C. militari in Francia. Tavola tra le pp. 312 e 313.
Caracciolo Antonio, vescovo di Troyes, p. 41.
Carattere: Il C. degli italiani, p. 141.
Carbone C. (mons.), p. 299.
Carliol J. W., p. 325.
Cattolicismo: Vitalità e vita nel C., p. 401.
Cento Vincenzo, p. 13.
Chiesa: Sulla via dell'unione delle C., p. 118: La Bibbia e la C. esaminate dalla ragione !
e dalla storia, p. 139; Le condizioni giuridiche della conciliazione tra lo Stato e la C. cattolica in Italia, p. 294.
Chiminelli Pietro, p. 280.
Cina: Sarà cristiana la C.?. p. 204.
Cirilli Renato, p. 435.
Civiltà: La C. bizantina, p. 69.
Clero: I cleri e la guerra, p. 305.
Congressi: Il C. delle Chiese cristiane libere d’Inghilterra, p. n8.
Costa Giovanni, p. 18, 138, 217, 220, 222, 223.
Costantino Imperatore: Busto di C., illustrazione a p. 32; I documenti costantiniani negli scrittori ecclesiastici, p. 220.
Coulange I.., p. 435.
Cristo: L’autorità del C., p. 56 Le Christ Dieu, p. 435.
Cristianesimo: Il C. c la guerra, p. 5, 85, 214, 285: Impero romano e C., p. 18: Pedagogia cristiana, p. 139; Sara cristiana la Cina?, p. 204; Dalla grande persecuzione alla vittoria del C., p. 217; La moratoria pel C., p. 445.
Cultura: Per la C. dell’anima, p. 56, 123, 208: La C. della vita anteriore, p. 123.
De Bacci Venuti T., p. 217.
Del Giudice Vincenzo, p. 292.
De Stefano Antonino, p. 69, 145, 225.
Diocleziano (Medaglia), p. 32.
Dogma: Per la storia di un terribile D., p- 258.
Eneide: L’oltretomba nel libro VI dell’E.' P- 245.
Escatologia: L’E. cristiana e le sue fonti I> 223.
Estetismo: L’E. idealistico dello Schleier-macher, p. 429.
98
VI
BILYCHNIS
Fasulo Aristarco, p. 75» 295.
Fallot T., p. 268.
Ferrabino A., p. 220.
Filosofia: Platone, p. 74; La salute del pen- [ siero, p. 75; Kant e Rosmini, p. 432.
Fracassini Umberto, p. 223.
Francesco (S.) d’Assisi: S. Francesco e i Buddho, p. 140Fries, p. 428.
Fuoco eterno: Per la storia di un terribile | Dogma, p. 258.
Galli G.. p. 432.
Gaultier Paul, p. 300.
Genocchi p. Giovanni, p. 234.
Ghignoni Alessandro, p. 134, 285.
Giona: La storia del profeta G.. p. 436.
Giovannozzi Giovanni, p. 298.
Grandi Terenzio, p. 76.
Guarentigie: Le G. nel discorso Orlando, p. 418.
Guerra: Messianismo e religiosità in Russia nelle loro relazioni con la guerra odierna, p. 5; Il Cristianesimo e la G.» p. 5. 13, 85, 214; L’individuo e la società (A pro-Eosito di Cristianesimo e di G.), p. 85;
a G. (Notizie, voci, documenti), p. 145, 225, 305, 441; La G. e la religione nel pensiero di Alfredo Loisy, p. 145: La grande scoperta (bozzetto), p. 151; La religiosità del soldato, p. 160: Il problema dell’odio, pagina 214; L'aspetto religioso della guerra secondo Giovanni Müller, p. 225: Vangelo e G. secondo p. Genocchi, p. 234: La religione dopo la G., p. 234, 462; I cleri e la G., p. 305; Il papa e la G., p. 311 ; I pulpiti cristiani e la G., p. 447.
Guyau Georges, p. 431.
Harnack Adolfo, p. 441. 443.
Hartmann, p. 430.
Hus Giovanni: Giovanni Hus, l’eroe della nazione boema. (A proposito del V centenario della sua morte, 1415-1915), p. 165.
Janni Ugo, p. 428.
Immortalità: Intorno all' I .dell’anima, p.389. Individuo: LT. e la Storia, (A proposito di Cristianesimo e di guerra), p. 85
Kalypso, p. 220.
Kant: K. e Rosmini, p. 432.
Keller Helen, p. 299.
Kemme Landels W., p. 151.
Lamanna E. P., p. 428.
Lanzoni Francesco, p. 437Liabooka Jvan, p. 5, 262, 334.
Linguaggio: La monogenesi del L., p. 78.
Loisy Alfredo, p. 145» 224, 443Lugaro E., p. 300.
Mackcnzie William, p. 299.
Marsiglia D.. p. 298.
Me Glothlin W. J„ p. 95.
Melile Giovanni E., p. 389.
Melegari Dora, p. 298.
Messianismo: M. e religiosità in Russia, nelle loro relazioni con la guerra odierna, P- 5Modernismo: Che ne è del M.? o meglio: che cosa fu il M.? p. 345.
Monod Wilfred. p. 123.
Monogenesi: La M. del linguaggio, p. 78.
Morale: Il problema morale nelle religioni primitive, p. 103, 184: M. e religione, p. 364.
Mailer Giovanni, p. 225.
Murri Romolo, p. 85, 285.
Natali Giulio, p. 355.
Nazariantz Hrand, p. 76.
Nerone: La catastrofe di N.. p 139;
Odio: Il problema dell’O., p. 214.
Oltretomba: L’O. nel libro VI de\V Eneide, P- 245Ottimismo: L’O. espansivistico di Guyau, P- 43*Papa: Il P. e la Guerra, p. 311; Il P. e il Congresso della Pace, p. 416.
Parini Giuseppe: Il pensiero religioso di P-» P- 355Pascal Arturo, p. 41.
Paschetto Paolo A., p. 176, 272, 324, 344. 388, 421.
Patria: Sull’ara della P., p. 132.
Pedagogia: P. cristiana, p. 139.
Pensiero: La salute del P., p. 75.
Perin G-, p. 223.
Pessimismo: Il P. quietistico di Schopc-nauer; Il P. espansivistico di Hartmann, P- 430.
99
INDICE
VII
Pfeiffer R„ p. 214. ,
Pioli Giovanni, p. 118. 208, 238. 305. 447.
Pistelli A., p. 222.
Platone, p. 74.
Profeta: Invocando il P., p. 208; La storia ì del P. Giona, p. 436.
Psicologia: L’autorità del Cristo — P. reli- j giosa, p. 56.
Puglisi Mario, 103. 184.
Ravizza Teresina: Una santa laica, T. R„ j p. 280.
Religione: Il problema morale nelle R. primitive, p. 103, 184; La guerra e la R. nel pensiero di Alfredo Loisy, p. 145 ! L'aspetto religioso della guerra secondo Giovanni Mailer, p. 225; La R. dopo la j guerra, p. 238, 462; Il monopolio in R„ p. 325; Morale e R., p. 364; La R. nella | vita dello Spirito, p. 428.
Religiosità: Messianismo e R. in Russia nelle loro relazioni con la guerra odierna, } p. 5; R. del soldato, p. 160; La R. come prodotto della funzione contemplativa, j p. 428.
Rinieri p. Ilario, p. 298.
Rosmini: Kant e R-, p. 432.
Rossi Mario, p. 165.
Rostan C., p. 245.
Rubbiani Ferruccio, p. 74, 78, 140, 141. 292, 437Russia: Messianismo e religiosità in R. j nelle loro relazioni con la guerra odierna, • E. 5; Le origini dei Battisti in R., p. 262;
nuovi orizzonti della teologia ortodossa 1 russa, p- 334Rutili Ernesto, p. 401.
Saintyves P.» p. 297.
Schlatter W., p. 204.
Schleiermacher, p. 429.
Schopenauer, p. 429.
Schuré E., p. 295.
Serra Renato, p. 132.
Shakespeare rev. J. H. (ritratto), p. 120.
Spirito: La religione nella vita dello S.,-p. 428.
Storia: L’individuo e la S. (a proposito di Cristianesimo e di guerra), p. 85; Il Croblema delle scienze storiche, p. 138;
a Bibbia e la Chiesa esaminate dalla ragione e dalla S., p. 139; Come si studia la S. religiosa, p. 217.
Storia del Cristianesimo: Impero Romano e Cristianesimo, p. 18; La catastrofe di Nerone, p. 139; Come si studia la storia religiosa, p. 217; I documenti costantiniani negli scrittori ecclesiastici, p. 222; L’Escatologia cristiana e le sue fonti p. 223: L’Evangile de Jésus et le Christ ressuscité - L’Évangile de Paul - L’initiation chrétienne, p. 224.
Tagliatatela Eduardo, p. 364.
Teologia: La crisi della T. cristiana, p. 95;
I nuovi orizzonti della T. ortodossa russa. - La T. deH’adommatismo, p. 334.
Teologismo: Il T. etico del Fries, p. 428.
Tolstoi Leone, p. 299.
Trombetti Alfredo, p. 78.
Turchi Nicola, p. 69.
Vaina Eugenio, p. 134.
Varisco Bernardino, p. 432.
Vangelo: L’Evangile de Jésus et le Christ ressuscité - L’Evangile de Paul, p. 224; V. e Guerra secondo p. Genocchi, p. 234.
Van Houtte Paul, p. 300.
Vanni Gio., p. 139Vitalità: V. e vita nel Cattolicismo. p. 401.
Vitanza Calogero, p. 223, 224, 435.
Wigley Raffaele, p. 56.
Windelband Guglielmo, p. 74.
102
Prezzo del fascicolo Lire 1 —