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LI BUONA NOVELLA
GIORNALE RELIGIOSO
PREZZO D’ASSOCIAZIO.IÌE
U domietlio
Torino, per un anno L. 6,00 L.7,00
— per sei mesi » 4,00 » 4,SO
Per le provincie e l’estero franco sino
ai confini, un anno . . L. 7,20
per sei raesi, » 5,20
A)>i6eùovt»{ iè ev àyann
SegDcndo la Tcrità nella canti
Efes. IV. 45.
La Direzione della BUONA NOVELLA è
in Torino. casa Bellora, a capo del Viale
del Re, N'12, piano 3“.
Leassuciazioni si ricevono dalla Direzione
del Giornale, e da GIACOMO BIAVA
via della Provvidenza N* 8.
Gli Associati delle Provincie potranno provvedersi di un vaglia postale,
inviandolo franco alla Direzione.
mmmùmm
Libertà di coscienza. IV. — Critica degli Evangeli di A. Bianchi-Giovini VIIII
— Lettere intorno allo ipirito religiono in Italia" Vili. — I »ette Sacramaati.
— Carità pretina. — IVotìiie religiose, — Cronachetta politica. |
bIBERTA DI COSCIENZA
IV.
La religione di Gesù Crislo condanna altamente l’intolleranza religiosa. Noi abbiamo vedulo che la
intolleranza è contraria allo spirito
del Cristianesimo, non sarà dunque
meraviglia di vederla espressamente
condannala da Gesù Cristo istesso e
da’ suoi Apostoli. Non si dovrà che
aprire il Nuovo Testamento per vedere
ad ogni pagina condannata la intolleranza e gl’intolleranti. Il mio regno
non i di queslo mondo, dicea Gesù
Crislo innanzi a Filalo, e volea con
ciò dimostrare che il suo impero era
lutto spirituale. Spirituali in conseguenza debbono essere le armi che lo
sostengono.
« Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore » diceva altra
volta il Redentore, Mail, xi, 29. Ma
come avrebbe potuto ciò dire senza
menzogna se egli avesse autorizzata
la persecuzione? Qual mansuetudine
è quella deirinquisizione? Qual (nati-
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sueludine è quella dei nostri clericali
che eccitano tutto giorno le famiglie,
ie popolazioni, i governi, a perseguitare tutli coloro che non pensano o
non credono come essi fingono di pensare 0 di credere? « Beali i misericordiosi, beali i pacifici, beati coloro
che sono perseguitali » (Matt. v) dicea
Gesù Cristo: ma chiamando beati i
perseguitati, non è egli chiaro che
abbia voluto riprovare i persecutori?
I cristiani evangelici sanno bene
applicare a loro stessi, ed interpretare senza bisogno di un tribunale infallibile quelle parole di Gesù Cristo:
« Amale i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate bene a
coloro che vi odiano, e pregate per
coloro che vi fanno torto e vi perseguitano » Matt. v, 44. Ma i clericali
col loro tribunale infallibile, come
possono, perseguitando, intendere questo precetto?
Gesù Cristo insegnava ai suoi discepoli che doveano essere perseguitati,
e giammai persecutori, anzi vietava
loro anche la difesa ia via di fatto
quando erano perseguitati. « Quando
vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra » Matt. x, 23. Non
diceva già loro, eccitate rivoluzioni,
fatevi capi di partito, sollevate i bigotti in vostro favore, carpite le eredità per rendervi potenti, ed accendete la guerra civile; ma fuggite allor
chè siete perseguitati; « lo vi mando
siccome agnelli in mezzo ai lupi » e
non come lupi a divorare gli agnelli.
Gli Apostoli ignoranti e materiali
non aveano ancora compresa la dottrina di tolleranza del divino loro
Maestro, perciò allora quando videro
che in untai castello non si era voluto
ricevere nè la dottrina, nè la persona
stessa di Gesù Cristo, Giacomo e Giovanni voleano che col fuoco del cielo
si punissero que’ terrazzani; ma Gesù
li sgridò fortemente per tale pensiero
d’intolleranza, e gli disse; « Voi non
sapete di quale spirito siete « Lue. ix,
55. Clericali intolleranti! voi vi dite
cristiani, ma il rimprovero di Gesù
Cristo è diretto a voi: l’intolleranza è
propria di Maometto, non di Cristo:
voi siete non dello spirito di Cristo,
ma dello spirito di Maometto.
Ma dove si mostra veramenle lo
spirito di tolleranza che animava Gesù, si è quando videsi abbandonato
da molti de’ suoi discepoli, i quali,
non persuasi di qualche articolo di
sua dottrina, gli volsero le spalle. Se
Gesù Cristo fosse stalo intollerante
avrebbe potuto in mille maniere costringere quei ribelli a ritornare a lui.
Ma egli invece dice a’suoi Apostoli:
« Non ve ne volete andare ancora
voi? Il Giovan. vi, 67. Egli è dunque
evidente che Gesù Cristo ha voluto
lasciare inviolabile il dirilto di eia-
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scuno intorno all’abbracciare liberamente ed a seguire quella religione
che la coscienza gli delta. Chiunque
pertanto pretende costringere il suo
simile ad abbracciare od a seguire
piuttosto una religione che un’altra,
si eleva orgogliosamente al di sopra
dello stesso Dio.
É lo stesso Gesù, il quale annuncia
alla Samaritana che la legge di Jiosè,
che era legge d’inlolleranza, andava
a cessare, e che al culto di iUosè subentrava allora il culto in ispirito e
verità. Egli non potea esprimere meglio la differenza che passa tra l’uno
e l’altro culto. Il culto mosaico trattava l’uomo come si traltano i fanciulli i quali hanno bisogno di cose
esteriori e materiali; quindi era composto di pompe e di eeremonie esteriori onde far diversione alla propensione che i Giudei aveaao per l’idolatria. 11 culto ch’è venuto a stabilire
Gesù Cristo tratta l’uomo comc un
essere ragionevole, e anziché prescrivere forme, eeremonie e pompe esteriori, non domauda che la sommissione dello spirito e il sacrificio del
cuore. 11 culto mosaico imprimea sul
corpo il segno dell’alleanza, ed era
alcune volte ¡obbligato di costringere
i ribelli afiìnchè restassero nell’ alleanza esteriore: ma il culto cristiano
imprime non sul corpo, ma nell’anima i caratteri della nuova alleanza, e
non cerca se non che gli omaggi spirituali e volontari. E per dire tutto in
una parola, la legge di Mosè facea
gli uomini schiavi per il timore; il
Cristianesimo fa gli uomini figli di Dio
per l’amore. 1 clericali dunque che
sotto pretesto di religione predicano
l’intolleranza, distruggono l’opera di
Gesù Cristo, e vogliono ricondurre gli
uomini ad una misera schiavitù. Ma
che? i clericali amano forse il Vangelo? Amano essi la vera liberlà? La
religione che essi insegnano è la religione in ispirito e verità, o non piuttosto una religione tulla esteriore?
Siate pure incredulo, ma non vi opponete ai clericali, e sarete loro amico;
annunziate il Vangelo come lo ha annunziato Gesù Cristo, come lo hanno
predicato gli Apostoli, e grideranno
all’erelico.
Non la Dniremmo mal se volessimo
citare tutte le lezioni che Gesù Cristo
ha dato sulla tolleranza: ci bisognerebbe copiare interamente i quattro
Evangeli. Ci limiteremo ad indicare
alcuni fatli degli Apostoli, dai quali
apprendiamo che la dottrina di tolleranza, predicala dal divino Maestro,
fu allresi messa in pratica dagli Apostoli, lo che faremo in un seguente
articolo.
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CRITICA DEGLI EVANGELI
DI A. BIANCHI-GIOVINI
Caro fratello — Ancor più che Giuslino,
prossimo agli apostoli fu Papias. Ecco
ciò cbe ne dice il sig. Giovini : n .... Il
« primo a farci sapere che Matteo e
« Marco scrissero un Evangelio è san
« Papias vescovo di Jerapoll nella Frigia,
« il quale non può aver fiorito prima
Il dell’anno 120 e forse anco più lardi (i),
<1 se è vero che sia morto fra il 160 ed
« il 180. Il più singolare si è che Papias
« era stato discepolo di Giovanni pre<1 sbilero, discepolo di Giovanni Evangeli lista, fcd aveva conversato con allri
« discepoli ed amici degli apostoli, di
« cui in un libro raccolse le sentenze;
« con tutto ciò non fa parola nè dell’E« vangelio di Luca che doveva essere
Il conosciuto da 60 anni, uè di quello di
Il Giovanni che doveva essere sparso per
<1 tutta l’Asia» (Lih. 1, cap. 8). Ed in piè
di pagina pone questa nota: «Su Papias
vedi Eusebio, Ist. Elcces. HI, 89». Chi
leggendo quel brano del n. A. non crederebbe, eh’ egli avesse scritto, avendo
sott’occhio i libri di Papias e che chiaramente risultasse da questi il silenzio
su Giovanni e Luca? Eppure ci parla di
Papias con tanta sicurezza, mentre non
si tratta che di due pagine incirca che
(1) Ciò che spiace veramente a chi ha delia
stima per l’iagegno del Gioviai è di vedere come
egli in date o falti cosi importanti per le deduzioni a farsi se n’csce con un non può^ o nn forse
seuza ragioni di sorta.D'altronde cfaecch<3 si voglia
pensare su’ numeri del Giovini j certo è che Papias , secondo il generai conaentiinenta, aveva
toccato il periodo apostolico.
Eusebio uella sua Sloria ecclesiastica ha
scrilto su di poche cose che si trovavano
nei libri or perduti di Papias. Abbia la
bontà il sig. Giovini di rispondere alle
seguenti domande: Eusebio trattava forse
la questione dell’autenticità degli Evangeli, perchè il suo silenzio su Giovanni e
Luca ove parla di Papias debba attribuirsi anche a costui? 1 libri di Papias
potevano esser compendiali in due pagine
e mezzo? Non è giusto quindi di non cavare alcuna conseguenza dal silenzio di
Eusebio, mentre si vede chiaro aver egli
citalo Papias per tull’allro motivo che
per confermare un’autenticità non posta
in dubbio che in epoca molto moderna?
È egli possibile, che, dopo parecchi secoli,
perdute opere e memorie, vorrà qualcuno
negare la legge Siccardi p. e., perchè il
sig. Giovini non la nomina in un’opera
scritta contro i vescovi del Piemonte?
Che non vogliate permettere a noi di ca
var profitto dal silenzio d'un aulore, sta
bene, ma potrete voi cavarne un’obbiezione? Eppur quanto sarebbe più naturale
il dire: Eusebio ha voluto cavare da
Papias notizie riguardanti gli Evangeli di
Matteo e di Marco per dirci cose che da
quesli non risultano, cioè che l’uno scrisse
in ebraico e l’altro sotto la direzione dell’apostolo Pietro; ma per l’Evangelo di
Giovanni non v'era nulla da aggiungere
all’ opinione generalmente ammessa di
esser cioè opera di quell’apostolo ! Senza
di ciò, come non credere che avrebbe
fatto ad Eusebio lo stesso senso che a
Giovini il silenzio di Papias. Non è giusto
di stiracchiare gli autori, di dar loro le
nostre esigenze e quindi cavarne delle
deduzioni. Ove dovrebbe correr la critica,
se il silenzio degli autori dovesse menare
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a negar de’ fatti comprovabili altronde,
come gli astronomi negano co’ loro calcoli infallibili un ecclissi per errore notalo io un dato anno? Fedro, liberto di
Augusto, è cilato la prima volla nel 4” secolo ; Tibullo non nomina mai Orazio, e,
se non m’inganno, Quinto Curzio non è
mai citalo da alcuno. Neghereste perciò
autori e libri? Ne riderebbe il mondo e
Don mancherebbe chi coi caratteri interni
degli scritti vi porrebbe a silenzio. Ma per
non allontanarci da Eusebio, egli non cita
Atenagora giammai ■. lo neghereste perciò,
mentre lo trovate citalo fin dal secolo 3“
da Melhodio? Il silenzio dunque non fa
prova. —Ma se il sig. Giovini riconosce
l’attestato di Papias per gli Evangeli di
Matteo e di Marco, perchè non ne ha
cavato quelle legittime conseguenze cbe
ne derivano ? Con Papias noi siamo trasportali al primo secolo ; sin d’allora si
trovano libri autentici e fatti riconosciuti
dei Cristianesimo. E non basterebbe un
solo Evangelo, anzi un’epistola sola per
avviluppar qualunque critico che volesse
negar la legittima e comprovata origine
del Cristianesimo? Il Giovini deve ben
conoscere che non si nega l'autenticità,
come ha fatto lo Strauss ed allri, che per
poter mettersi sulla via di spiegare la
formazione progressiva del Cristianesimo;
in caso diverso non avrebbe scopo. Sino
a che non ruinate l’intero ediOzio, troverete in cammino diflìcoltà così serie a
spiegare la genesi de’ fatti che invano le
vorrete saltare a piè pari. Voi restate inchiodato al primo secolo ; mostratemi
come senza fatti, senza un Messia, senza
risurrezione è surta la dottrina, come
son nati quegli Evangeli o quelle epistole,
come generalmente sono siati attribuiti a
certi dati uomini. Il sig. Giovini, bisogna
pur confessarlo, pressato dalla circostanza, ha scrilto senza un piano ben fissato,
con un metodo a caso; ha votato un
sacco che avea pieno di dubbii, ma non
s’è curato di valutare le difflcollà che gli si
parano ad ogni pagina e le ha saltale con
una negligenza non degna di lui che conosce sicuramente lo stalo della quistione
in Germania. Qualunque minima parte si
ammetta del N. T. rende indifferenle per
l’incredulo l’accettare o no il resto; ha
sempre le stesse diiRcoltà da superare.
Nello stesso capitolo dice il sig. Giovini: n Nè sant’Ignazio vescovo d’Antio« chia, che visse quando viveva Giovanni
« Evangelista, nè san Policarpo vescovo
« di Smirne che fioriva poco dopo il
t martirio alla metà del secondo secolo ;
« nè san Clemente Romano, nè san Bar» naba, uè san Giustino martire conver<1 tito verso ìM 30 e morto verso il 167 (1),
« parlano dell’Evangelo di san Giovanni
« citato la prima volta da san Teofilo ve« scovo d’Antiochia che scriveva verso
« l’anno d70. E quantunque fosse già
« conosciuto nell’Egitto, perchè lo cita
« san Clemente d’Alessandria che fioriva
« intorno al medesimo tempo o pochi anni
« dopo, è notabile che nel 196 per
<1 quel che sembra fosse sconosciuto ad
« Efeso, cioè nella citlà medesima ove si
« suppone che Giovanni lo abbia scritto;
« perchè san Policrate vescovo d’Efeso,
« chiamando Giovanni dottore, vescovo
<4 e martire, e dicendo che ebbe l’onore
« di riposare sul petto del Signore, e
« che come gran sacerdote portava uua
« lamina sulla fronte, non dice che fos.se
(4)Qnantoa Ginttipo, t. UletteraiDUcedente.
6
* anco evangelista, che di tulti ititeli era
« ii più utile ed il più opportuno al suo
« scopo»; pria di tulio ricordiamo al
sig. Giovini che la letlera di Barnaba è
generalmente riconosciuta per non autentica, 0 gravemente posta in dui)bio. Dei
così detti Padri apostolici, si hanno al
presente seite piccole lettere d’ignazio,
una di Policorpo ai Filippesi ed un’altra
di Clemente Romano, essendo negata
l’autenticttà di una seconda che a queslo
ullimo si attribuiva. Dice il n. A. che in
questi scritli non si cila l’Evangelo di san
Giovanni, ma si citano gli altri due, per
i quali ammette l’autorità di Papias. Lo
scopo delle lettere di quei Padri era tulto
esortativo; vorreste metterli nella vostra
posizione e giudicarli come se si fossero
posti a discutere sull’autenticilà? Se il
loro silenzio non si oppone a due Èvangelii, perchè s’opporrebbe agli allri? Non
sentite anzi che il silenzio attcsta la mancanza d’ogni quislione e cbe per ispiegar
naturalmente la citazione di Teofilo alla
seconda metà del secondo secolo, bisogna
ammettere una ricognizione non mai opposta per l’innanzi ? Clemenle scrive ai
Corintii per alcune divisioni esistenti tra
loro, e cita chiaramente la prima epistola
di Paolo a quella Chiesa (|. "14]; Policarpo scrive ai Filippesi e cita l’epistola
loro diretta da Paolo (gg. 5,12J ; Ignazio
scrive agli Efesi e cita la corrispondenle
dello stesso Paolo (agli Ef. §. 12). Ecco
delle citazioni molto naturali e che mancando potrebbero significar qualche cosa,
perchè que’ cristiani scrivevano a chiese,
cui già aveva scritto l’apostolo Paolo, ma
non bisogna richieder di più. Studiando
per que’ piccoli scritti si trovano continue
citazioni 0 reminigcenze del N. Testa
menlo. Nella sola leltera di Policarpo,
Ruchat ne conta quaranta incirca. Ignazio
parla già d’una raccolta di scritti apostolici, chiamandola Evangelo in opposizione ai profeti. Nella sua lettera agli
Smirnei (§. 5), parla di coloro che non si
son potuti persuadere, né per i profeti, nè
per la legge di Mosé, né per l'Evangelo.
Un corpo di scritti esisteva adunque: le
citazioni ne sono abbondanti: e se il sig.
Giovini ha voluto cavar qualche cosa dal
silenzio non sentirà la diflìcollà a spiegare
il fcitlo che noi indichiamo? Ecco de’testi
d’Ignazio : « Lo spirito sa da dove viene
e dove va — Gesù Cristo è la porla . ..—
Il Signore non fa nulla senza il Padre —
L’acqua viva che parla in me m’ha delto
interiormenle: Vieni al Padre —Io auguro il pane celeste ch’è la carne di G.
Cristo». Non sono delle evidenti reminiscenze dell’ Evangelo di san Giovanni ?
(V. rif, 8; V, 9; 19; IV, 14; VI, 32,
5S, 51). Sarebbero d'un Evangelo apocrifo? Or come .s’è perduto, mentre doveva essere in gran venerazione, e quando
si sa la tenacità delle chiese a con.'ei vare?
L’autore deli'Evangelo di Giovanni sarebbe
posteriore ad Ignazio ; or come , senza
temere che fosse scoverta la frode, accrebbe presso de’ passi dalle lellere di quel
padre? D’altronde non può negarsi cbe
tutta la dottrina de’ Padri apostolici è
conforme all’Evangelica. Negale ora tutto
il Nuovo Testamento, ma spiegatemi
com’è sorta quella dottrina, che i Padri
stessi non danno qual propria. Voi siete
in un ginepraio sempre, perchè (pensateci, ve ne prego), se noi, come cristiani
abbiamo altre cose da sostenere e credere
sul canone del N. Testamento, come critici ci basta che ammettiate le lettere di
7
Ignazio, di Clemente e di Policarpo per
attestarvi un Cristo morto e risorto, riconosciuto pel Signore, per adorabile e
per maestro sin dalla fine del primo secolo, cioè nell’epoca apostolica. Cangerete
i testi, ma non i fatti; ed il crisíidnesimo
sì presenta come un fatto intero sin dal
principio, non di formazione progressiva.
Ci potreste spiegare per quale inconcepibile stranezza gli uomini avvezzi alle
scuole d’Atene e di Roma s’adagiarono
cosi bene a quel fatto? Mirabile egli è pur
troppo, che se ammettendo l’autenticità
de’ Vangeli può solo completamente spiegarsi, pur negandola resta incrollabile!
San Policrate chiama Giovanni dottore,
vescovo e marlire ; non lo dichiara Evangelista: dunque non lo è stato. Ma a
questo modo si potrebbero fare delle
strane conclusioni su tutti i personaggi
della storia. Percbè quel titolo sarebbe
stato più conveniente per lo scopo di Policrate? Scriveva forse per combattere
chi avesse negalo l’Evangelo di Giovanni?
lo potrei dirvi Policrate non lo chiama
apostolo, dunque non lo è stato : conchiuderei a vostro modo e pure assennatamente mi direste che nelle qualilic.he
delle persone il silenzio non significa
esclusione. Ma se Policrate dice che Giovanni ebbe l'onore di riposare sul petto
del Signore, non vi accorgete che quel
fatto non risulta se non dalTEvaogelo di
Giovanni stesso? Policrate stava io Efeso
e qual meraviglia che abbia omesso cosa
generalmente nota? Il troppo noto non
passa già per volgare e quindi si tralascia
facilmente negli scritli.
Non vogliamo lasciar di dire che presso
gli eretici e presso Celso incredulo del
«coodo secolo si trovano obbiezioni do
gmatiche e non mai critiche sull’autenticità dei Vangeli : onde il Crisostomo gli
appella testimonii del Nuovo Testamento
(llum, 6-I SII la I Cor.j. Si vegga lalaquier.
A me pare adunque che prove interne
ed esterne concorrano tutte a provare
l’autenticità de’ Vangeli. Il sig. Giovini
ha gittato giù de’ dubbii, ma senza considerarne la portata, senza spiegar nulla
e con un’aria di facilità da far credere veramente che gli uomini per diciotto secoli non han fatto che sonnecchiare. Non
convinto dell’autenticilà de’ Vangeli, avrebbe dovuto pensare almeno cbe con
pochi tratti non si può ruinare uo ediOzio che ha coperto il mondo. La vivacità
del suo ingegno lo trascina ad una facilezza molto notevole, ma cbe necessaria-,
mente deve condurlo al vuoto ed al leggero, comunque egli stesso abbia gran
capacità di correggersi volendo.- Nel secolo passato il facile era molto in voga:
lo sarà anche adesso per alcuni, ma la
coscienza d’un uomo come Giovini deve
chiaramente dirgli non bastare oggimai,
anzi esser ben poca cosa. Ripigli il suo
lavoro: siam certi che dovrà farci molte
concessioni od almeno sentirà l’obbligo
di darci mollissime spiegazioni. Sia pur
severo col Cristianesimo, ma mostri quel
buon senso che gli è naturale, nè neghi
senza prima badare alle ditlicolià che
da tali negazioni derivano. Gli avvenimenti slorici vi si legano, si spiegano, e
si sostengono a vicenda: quale assurdo
sarebbe di negarne alcuni per render cosi
inesplicabili gli altri?
Ma io non ho esaurito ancora le obbiezioni del Giovini e vi ritornerò colla lettera successiva.
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LETTERE
ISTORI &LLO SPIRITO RELIIilOSO
IN ITALIA.
Vili.
Il basso clero.
Entrando in un villaggio, sia pur povero e modesto, perduto nella ampiezza
remota delle campagne, o nicchiato sul
dosso d’un monte o nel seno d’una valle,
voi osservate inalzarsi fra i pochi ed aggruppati casolari una torricella, la quale
sovrasta ad un edificio quadrato che si
prolunga, e che è destinato ai riti del
culto divino. Il governo religioso di questo scarso numero d’abitanti è affidato
ad un sacerdote che tiene l’ultimo anello
della gerarchia romana ovunque diffusa
ed attiva.
L’organizzazione della Chiesa i V ho
già replicatamente detto, è tale che per
la sua indole tende a dominare la società nel suo assetto esterno, e se la
forza non la confina entro le mura del
tempio, tali efletti non mancano mai di
palesarsi ovunque ed in ogni circostanza.
In virtù di questa tendenza il sacerdozio
assunse le forme di vera casta e si fortificò organizzandosi secondo il principio
esclusivo del privilegio, per il quale domandava per sé solo, ed usufruttava a
suo vantaggio, tutte le liberlà che la natura e il diritto assicura indistintamente
a tulti gli enti sociali. La tanto proclamata repubblica ecclesiastica, e le liberlà
ecclesiastiche ne dicono abbastanza; poiché in reallà non altro suonano se non
esenzione in favore del prete da ogni
peso che la società impone al cittadino,
leggi e foro particolare. Ma questa condizione eccezionale del clero si è andata
gradatamente modificando in quasi tutti
gli Stati d’Italia, se vogliansi eccettuare
i dominii pontificii, nei quali'però se i
privilegii in favore del prete vi sono
mantenuti, esso per contro ha di altrettanto perduto nella coscienza pubblica
che lo spregia e detesta.
Questo movimenlo morale che portò
l’eguaglianza giuridica nelle file del clero
è da notarsi come un avvenimento importantissimo che conduce alla liberlà
di coscienza, in cui il problema religioso
troverà la sua soluzione finale non solo
conforme all'umana ragione, ma più ancora conforme all’Evangelo che è la ragione divina.
Ad ogni modo il potente ascendente
del clero sulle masse è ancora incontestabile, e quest’ascendente egli lo deve
all’indole della religione di cui è ministro.
La dottrina di Roma è mirabilmente
ordinala per esercitare questo impero
che doma la ragione e la volontà. Sia
che tratti l’intelligibile o si elevi al sovrintelligibile , essa è in ogni caso vigorosamente formulata; i suoi decreti
sono immutabili ; la sua scienza è delineata entro limiti certi, cui non è concesso trascendere all'audacia logica dell'interpretazione. Questo suo atteggiamento pratico ed invariabile porta seco
un altro vantaggio, poiché ripugnando
essa ad ogni trasmutamenlo nell' avvicendarsi dei tempi, si acquista fede non
solo nella sua durala, l’assicura e protrae, ma comunica inoltre per tal modo
un’aria di veracità alle sue dottrine
come quelle cbe non possono venir
presentate con un carattere subbiettivo. Il prete che non parla mai in
proprio nome, non può a meno di-
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apparire animato da pieno disinteresse,
ed il popolo non ha motivo di revocare
in dubbio la sua parola. Ma questo carattere essendo pure comune alle altre
sette religiose, ne viene che per esso
unicamente non si possa intendere qual
sia lo spirito intimo del clero cattolico,
specialmente in Italia,
Sebbene il cattolicismo invochi come
suo codice la Bibbia, esso non ne lascia tuttavolta libera l’interpretazione;
nè il prete meglio che il laico può liberamente pronunciarsi sui sensi che
essa racchiude. 11 prete deve accettare
anche intorno al libro divino il pensiero
e la decisione di Roma; il menomo atto
d’indipendenza di spirito lo porrebbe al
bando della comunione caltolica, e lo
farebbe riguardare siccome eretico e
degno deU’anatema. La scienza di cui
egli può valersi gli è anticipatamente
fissata; nè per lumi di ragione o per
superiore ispirazione potrà leggere nella
sublimità de’ biblici sènsi diversamente
da quanto Roma vuole e sancisce
Ma la sua missione non si limita al
sottoporre ciecamente la propria ragione
ai decreti del pontefice ; essa consiste
propriamente nel togliere la Bibbia di
mano ai fedeli per supplirvi colle cognizioni e colle interpretazioni che esso
intorno a quella, uniformandosi alla volontà infallibile del capo della gerarchia,
dispensa e propaga. La Bibbia fu quindi
fatta possesso esclusivo del clero che
solo può apprenderla; ma per meglio
assicurarsi contro i timori e le possibilità di un rivolgimento, la si mantiene
ancora nascosa aH’occbio volgare sotto
il velame d’un idioma ignorato.
^ Questa necessità che imponeva a Ro
ma di sottrarre al popolo la conoscenza
della Bibbia, e di imporne al clero forzatamente la interpretazione da essa adottata, contribuì a fare di questo libro
il terreno di astruserie indecifrabili, il
hiogo comune della dottrina la più sofistica che abbia mai esistito, onde giustificare e provare con essa la legittimità
del dominio che la gerarchia pretende
esercitare sul mondo e sulle coscienze,
il governo delle quali Dio abbandonava
all’uomo come la più nobile proprietà,
e come condizione fondamentale ed unica del merito e della virtù.
Il cavillo della scolastica fu ed è tuttora la vera ed esclusiva scienza del
prete; questa è l’arme che gli pose in
mano Roma per signoreggiare sul pòpolo, al quale s’imputerebbe ad attentato
colpevole il pretendere di portare la ragione propria in quella fede ed in quelle
verità, le quali però la viva voce del
Cristo insegnava ai fanciulli ed alle turbe
ignoranti seriza il tortuoso viluppo dei
romani commenti.
Ma a questo popolo che non poteva
seguirli nell’intricato labirinto di quelle
ambiguità di sensi, in quella oscurezza
di reticenze, in quel prunaio di interminate distinzioni, conveniva apprestar
altro cibo e tenerlo soggetto per altri
accorgimenti. .Se alla sua mente era negata la salubre nutrizione della Bibbia,
se gli si chiudeva l'accesso a que’sensi
schietti e sublimi, se gli si negava la
meditazione, conveniva per altro modo
occuparne queirinteriore attività di ragione che mai non posa. Quanto si negava al raziocinio era necessario con- ’
cederlo all’immaginativa, e dare al senso
quanto all’intimo dell’anima si toglieva;
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lo menti restavano così non illuminate
ma soggiogate, non aiutate a sollevarsi,
ma fatte proclivi a degradazione. La
condizione morale dei popoli italiani,
dove maggiormente è liliera l’azione sacerdotale, porge una prova, che niuna
argomentazione può distruggere, delia
verità delle precedenti asserzioni.
Ma questa dottrina che il prete comunica ai popolo, essa è pure la sua,
tranne che per esso è professione abituale, ed insieme è il limite della sua
scienza, l’ideale della sua mente, come
pure la fonte delle sue materiali utilità.
La condizione invariabile in cui è
poslo il prete di piegare sempre la sua
ragione all’altrui decisione, di non portar mai nelle cose che esso tratta e
svolge Tautorilà deH’opinione individuale, contribuisce a dargli alcune caratteristiche tutte suo proprie. Come la
sua dottrina non è lale da attrarre la
meditazione, ma solo di promuovere
Ja sottigliezza che può essere soddisfatta
da uno sforzo primo con cui impadronirsi di alcuni principii invariabili e
posti fuori di discussione, così egli viene
tratto naturalmente in un disamore dello
studio, che è fatto anche più gagliardo
dalla sconfidenza nell’umana ragione.
L’incuria e l’ignoranza generale del clero
italiano, lo pone assai al di sotto di
tulte le altre classi d’uomini di scienza. L’immutabilità dottrinaria die si
accompagna alla negazione dell’ intelletto gli dà un carattere di esclusività
e di intolleranza, che gli fa guardare
con orrore ogni uomo che non sia
della sua comunione. 11 fanatismo religioso s’incontrerà in ogni setta ; ma
nulla pu^ eguagliare l’intolleranza di
Roma, la quale in ciò è giùnta a porre
l’Evangelo al di sotto del Corano.
Trincierato nella sua cerchia esclusiva,
povero di scienza, celibe obbligatoriamente, il prete romano vive la sola vita
materiale, dacché gli è contesa quella
dello spirito e della famiglia. Misto di
non curanza e di assolutismo , esso ripone l’idealità della sua condotta pubblica, 0 nella separazione compiuta da
quel mondo che egli combatte senza
conoscerlo, o nel parteciparvi per l'insinuazione e l’intrigo. Questo ebbi ad
osservare nelle varie provincie d’Italia,
e ovunque il prete m'apparve come un
essere in cui sono intervertiti i sentimenti dell’anima, ignorante degli affetti
domestici, inclinato a taccagnerie, tortuoso e flessibile, rigido nelle sue pratiche esterne ed assiduo al rito; ma
ben diiRcilmente si potrebbe asserire,
esaminandone la vita intima , a quali
convinzioni egli obbedisca. È proverbiale fra il clero italiano questo motto:
doversi osservare ciò che esso insegna,
non quello che opera. Ma quando a
giustificare una dottrina si ha bisogno
nella pratica di ricorrere a tale principio , conviene conchiudere che i convincimenti sono distrutti, la corruzione
profonda, e che quella dottrina si sente
irrevocabilmente sconfitta dalla logica
dei fatti.
I SETTE SACRAMEMI
IL
Abbiamo veduto che fino aH'ullinio
dei Padri, cioè fino a Bernardo di Chiaravalle, nel XII secolo non era stabilito
ancora il nutnero dei 6«tte sacnuuenti,
11
ma nel secolo Xlll vennero gli scolastici
e stabilirono una tale dottrina. Pietro
Lombardo , chiamalo altresì il maestro
delle sentenze, fu il primo clic stabilì
il numero settenario dei sacramenti; gli
scolastici seguirono il loro maestro. Ma
su quali ragioni si basarono onde stabilire un tal numero? forse sulla Bibbia ? forse sulla tradizione ? Nulla di tutto
questo ; si fondarono invoco sopra alcun« ragioni, che noi daremo compendiate affinchè i nostri lettori comprendano su quali basi poggia una tale
dottrina.
Alcuni scolastici han detto che i sacramenti non possono essere nè più nè
meno di sette, imperciocché sette sono
le virtù, a ciascuna delle quali deve
corrispondere un sacramento; il battesimo è il sacramento della fede, la confermazione della speranza , l’eucaristia
della carità, la penitenza della giustizia,
l’estrema unzione della perseveranza ,
l’ordine della prudenza, il matrimonio
della temperanza. Si vede bene che
questo teologo era un prete, imperciocché l’umiltà, il disintere.sse, la mortificazione , noi le crediamo altrettante
virtù, e perchè non è stato trovato un
sacramento anche per esse? Allri teologi dicono chei sacramenti non ¡wssono
essere nè più nè meno di sette, perchè
sono stati istituiti contro i selle mali
spirituali chc allliggono l'anima; il battesimo, essi dicono, è contro il peccato
originale, la penitenza contro il peccato
mortale, l’estrema unzione contro il peccato veniale, l’ordine coniro l’ignoranza,
l'eucaristia contro la malizia , la confermazione contro la debolezza, il matrimonio contro la concupiscenza. Ma
contro i peccati propri dei clericali, superbia, avarizia gola, essi non hanno inventato alcun sacramento?
Tommaso d’Aquino, chiamato l’angelo
delle scuole, dice che siccome una socielà Iw bisogno di sette cose, cosi la
Chiesa ha bi.sogiio di sette sacramenti
nè più nè meno : la società ha bisogno
che nascano individui , e perciò nella
Chiesa vi deve essere il battesimo che
è il sacramento della rigenerazione. La
società ha bisogno chc gli individui
crescano e si fortifichino, a tale eiTetto
la Chiesa ha il sacramento della confermazione. La società ha bisogno che
gl’individui mangino onde conservarsi
in vita , perciò la Chiesa ha il sacramento della eucaristia. La socielà ha hisogno di medici e di medicine onde
guarire i malati , e la Chiesa ha il sacramento della penitenza, cd i confessori che sono i medici spirituali. La società ha bisogno d’incoraggiare coloro
che si preparano al combattimento , e
la Chiosa per tale effetto ha il sacramento dell’e.strema unzione. La società
ha bi.sogno di magistrati, e la Chiesa
ha perciò il sacramento dell’ordine. La
società finalmente ha bisogno di sostituire nuovi individui a coloro che muoiono, e la Chiesa ha il .sacramento del
matrimonio.
Però gli scolastici stessi conoscevano
che per appoggiare un dogma quale si
vuole essere quello dei sette sacramenti,
vi volevano dei passi scritturali, e non
delle ragioni ridicole: ed essi cou au-*
dacia senza pari hanno cercato nella
Scrittura, cd hanno preteso di trovare
il numero dei sacramenti. 1 sacramenti,
es»i dicono, non sono nè più nè meno
12
di sette, imperciocché sette sono i suggelU del libro delPApocalisse, sette le
trombe che suonarono gli angeli : Gesù
Cristo apparve a s. Giovanni con sette
stelle nella mano destra, ed in mezzo
a sette candelieri ; non è egli dunque
evidente che sette debbano essere i sacramenti ? Ma chi vorrà altre ragioni di
simile tempra, non le avrà molto a desiderare ; imperciocché altri teologi aggiungono che G. Cristo satollò le turbe
con sette pani, ed in conseguenza sette
debbono essere i sacramenti che nutriscono la Chiesa figurata in quelle turbe:
sette erano le lampade che ardevano sul
candelabro posto nel santuario, dunque
sette debbono essere i sacramenti nel
vero santuario della Chiesa. Ma questi
reverendi hanno dimenticato un’altra ragione. La bestia sulla quale sedea la
meretrice dell’Apocalisse, avea anche
essa sette teste: chi sa il perchè non
hanno fatto sette sacramenti delle sette
teste di quella bestia, che pure deve essere di loro conoscenza?
1 nostri lettori crederanno che tali
scempiaggini fossero state dette dai teologi del medio evo, ma che poi dopo che
informatori le aveano messe giustamente
in ridicolo, i clericali si fossero ravveduti
ed avessero riprovato una tale teologia.
Ebbene, noi ne appelliamo al Cattolico:
ammettono i reverendi del Cattolico tali raziocinii? Devono dunque assumerne tutta
la responsabilità. Li ripudiano? Debbono
dunque repudiare tutti i teologi, e perfino quelli del Concilio di Trento, che si
sono serviti e si servono di tali ragioni.
Diffatti dice lo storico del Concilio di
Trento fra Paolo Sarpi, (e il Pallavicini
non lo nega) che tali furono le ragioni
che determinarono il Concilio di Trento
a stabilire come dogma di fede il numero
di sette sacramenti. Ma citiamo le parole
dello stesso storico, come le traduciamo
letteralmente dalla versione francese di
Pier Francesco Le Courayer (edizione di
Amsterdam 1751 tomo 1“ pag. 419), non
avendo ora alle mani il testo italiano:
« Per istabilire la proprietà, o come si
esprimono gli scolastici, la sufficienza di
questo numero di sette, si posero a fare
un noiosissimo dettaglio intorno alle convenienze di un tal numero: tali convenienze le traevano dalle sette cose naturali per le quali si acquista o si conserva
la vita, dalle sette virtù, dai sette vizi capitali, dalle sette conseguenze del peccato
originale, dai sei giorni della creazione
del mondo, ai quali se si aggiunge il sabato divengono sette, dalle sette piaghe
di Egitto, dai sette pianeti, dalla dignità
del numero sette, e da altre simili convenienze impiegate dai principali scolastici onde autorizzare il numero dei sette
sacramenti ».
Tali ragioni furono stimate cosi buone
dai venerandi padri tridentini, da stabilire
come un dogma il numero dei sette sacramenli.
Tanto è vero che un tal numero prima
del Concilio di Trento non era definitivamente stabilito, che nello stesso Concilio,
come dice il medesimo storico, vi erano
di quelli che voleano si dichiarassero sacramenti le consecrazioni delle chiese,
dei vasi sacri, de’vescovi, degli abati,
delle abadesse, delle monache: voleano
che fossero dichiarati sacramenti l’acqua
benedetta, la lavanda dei piedi, il martirio, la creazione dei cardinali, e la coronazione del papa (Loc. cit., pag, 420j.
13
Tali cose dimostrano, che (ino al Concilio di Trento il numero di sette sacramenti non era un dogma, e che tal
dogma fu stabilito soltanto in detto Concilio. E i reverendi del Cattolico hanno
ancora il coraggio di provocarci, dicendo
che da Gesù Cristo in poi essi hanno
avuto sempre sette sacramenti, nè più nè
meno?
CARITÀ_PRETIN1
I teologi del Cattolico e dellMrmonta
sono arrahiati eccessivamente contro la
Biwna Novella perchè ha ardito di registrare alcuni fatti tolti tutti da giornali
francesi, per dimostrare lo zelo, la carità,
il disinteresse dei missionarii evangelici.
l’Armonia ed il Caltolico credono d’essere lecito a loro di calunniare, siccome
fanno continuamente i missionarii evangelici, e non vogliono che sia lecito a noi
di registrare que’ fatti pubblici che li fan
vedere menzogneri e calunniatori. Allorché narrano qualche fatto che fa onore a
qualcuno del loro missionarii, ci provocano a pofer dire altrettanto dei nostri :
ma quando noi, non per private corrispondenze, ma sulla fede di pubblici
giornali registriamo tali fatti, ci dichiarano mentitori. La Buona Novella nel
n" 41 tolse ÚM’Avenir i\ fatto di que’due
missionarii evangelici che si sono andati
a rinchiudere nel lazzaretto dei lebbrosi
in Affrica per giovare spiritualmente e
temporalmente a quegl’infelici: il Cattolico e VArmonia dichiarano falso un tal
fatto, e l’-lrnionia specialmente ne fa un
lungo articolo nel suo n" 100, e ve ne
dà per ragione che il coraggio in tali circostanze è sulo dalla parie del preti,
mentre dalla parte degli evangelici non vi
è che vigliaccheria ed egoismo; io prova
di ciò, il pio giornale cila la peste di
Ginevra del 1543. A meraviglia, signori
clericali, qui vi volevamo, e forse ci avrete
costretti a svelare al popolo la vera ragione per cui sono ora pochi giorni, mostravate desiderare il cholera.Voi ci adducete la peste di Ginevra del 1543, ma
cosa accadde allora in GinevraVoi dite
che i pastori evangelici « ricusarono I religiosi conforti agli infelici lottanti Ira le
angosce dell’agonia,« ma non dite che
Pietro filanebet pastore evangelico mori
di peste per servire gli appestati nell’ospedale.
Dopo la morie di questo primo ministro, altri doveano andare in suo luogo;
i ministri esitarono , è vero, e confessarono la loro debolezza innanzi al Gran
Consiglio e ne domandarono perdono. Ma
sapete voi chi erano quei ministri ? erano
tulti c.\-preti, e ritenevano ancora le reliquie del prelismo : però neppure un
istante mancò chi rimpiazzasse il martire
Blanchet. Il paslore Malico Geneston si
ofTri immediatamente ad andare fra gli
appestali. I,a sua moglie volle accompagnarlo, cd ambedue presero la peste.
Leggete nei frammenti istorici del barone De-Grenus, e vedrete che nella peste del 1570 il governo ordinò che si dasse
un’indennità ai minislri evangelici N'iccola Colladon, Giovanni Pinaut, e Giovanni Trembley I quali avevano servito
gli appestati nell’ospedale, ed aveano volontariamente sostenute spese gravissime
per consolare quegli infelici. Questo lo
leggerete alla pagina 42 dell’opera citata,
ed alla pagina 43 leggerete che fu proibito
ai ministri di andare a visitare gli appe-
14
siati nell’ospedale, siccome facevano per
lodevole zelo, afiìnchè non propagassero
la pesle nella cillà, bastando per l’assistenza dpgli appestali i tre spprannominati. Questo è in quanto ai pastori riformati di Ginevra ; vediamo se accadde lo
stesso riguardo ai preti callolici. Noi non
vi citiamo giornali protestanti oè particolari corrispondenze, ma vi citiamo pubblici documenti. Leggete un’opera inlitolala Mémoires et documents puhliés parla
Societé d'Histoire et d’Archéologie de Genève, e al tomo terzo pagina 277 troverete il fallo seguente che dimoslra la singolare carilà dei preti vostri colleghi.
Nel non vi erano ancora gli evangelioi in Ginevra, la peste faceva stragi
•c mentre una mollitudine di appestati
erano stesi nei loro letti coH’atiima in
preda a quella crudele ansietàche cagiona
Ja gravezza dei male e l’avvicinarsi della
elernitàu. I.’arcivescovo di Tarso Tommaso
De Sur amministratore deJ vescovado di
Ginevra per Pietro di Savoia vescovo fanciullo «ordinò a tutli coloro che avessero
nelle loro case, o cbe potessero avere
nell’avvenire persone aitaccate dalla malatlia epidemica, di cacciarle dalle loro
case, di chiudere poscia le loro abitazioni,
di uscire dalla città, sollo pena della
confisca dei beni ». Trovate un fallo simile nella storia dei protestanti ? eccovi
la carità vescovile!
Nello stesso tomo a pagina 289 è riportata una bolla di papa Innocenzo Vili del
■1484, nella quale ¡Ginevrini sonoautorizali a fabbricare (a proprie spese s’intende) un ospedale per gli appestali. In
della bolla il papa dice (attenti bene,
signori dell’Armonia) « Noi abbiamo saputo cbe in Ginevra citlà popolata.......
si trovano persone altaceale da malattie
epidemiche, le quali non avendo luogo
ove rifugiarsi, ed essendo scacciate dagli
alberghi, dimorano sovente sulla pubblica
via, private di tutti i soccorsi spirituali
e temporali; i loro cadaveri restano abbandonati, e la peste cbe da trenta anni
regna in codesta città, prende ogni giorno
nuove forze ecc.». Allora non vi erano i
pastori evangelici, ma Ginevra era dominala dai preti : è un papa iu una holla
che rende una tale testimonianza; sarà
anch’essa una menzogna della Buona
Novella ?
Ma ecco un altro fatto che dimostra la
grande carità' di quei preti, registralo
nello stesso volume alla pagina 301. Nel
1494 fino al 1496 in occasione della pesle
i canonici di Ginevra abbandonarono tulti
la citlà, si dispensarono essi stessi per un
decreto capitolare dalla residenza, raa seguitavano però a prendere le loro prebende. Ecco la carilà dei canonici !
Ada pagina 298 dello slesso volume si
parla delle immense difficoltà che avea
il governo di trovare qualche prete per
assistere gli appestati, e dopo lanle diiBcollà, non trovava che degli scellerati ehe
doveva tosto castigare e cacciare via per
immoralità. Ecco la carità dei preti!
Ma dice ¡’Armonia, che la peste o il
cholera è la più grande apologia del clericalismo. È vero, e lo vediamo negli stessi
preziosissimi documenti che abbiamo sott’occhio. Anche in quei lempi vi erano
dei preti simili ai reverendi dell’jlrmomo
e del Cattolico, che desideravano la peste
per pescare nel torbido ed arricchirsi.
Alla pagina 322 si narra che il governo
dovè cacciare via il cappellano ed il rettore dell’ospedale perchè la pesie che essi
15
desideravano non esisteva-, ciò accadde
nel 1522. Ma nel 1530, poco lempo prima
della riforma, dicono gli slessi registri
alla pagina 350 «che furono prese cinque
persone le quali avevano giurato di mettere la pesle a Ginevra, ed avevano giuralo di lencre il segreto: costoro ne avevano già fatti morire parecchi di un veleno che assomigliasse alla pesle, somminislrato da Michele Cado ginevrino. Gli
allri erano forestieri, e sono, il prete cappellano dell’ospedale, il rettore ecc.
Dopo carcerati costoro la peste cessò e la
cilti ebbe occasione di ringraziarne Iddio». Questi miserabili desideralori della
pesle per esercitare la loro pretesa carilà
lasciarono la testa sul palco. Ecco la carità dei preti !
Ecco I vostri fasti, o clericali; avete
avuto il coraggio di calunniare i pastori
di Ginevra, e ci avete costretti a smascherarvi. Continuate pure a calunniare, e noi
continueremo a strapparvi la maschera.
Voi desiderate il cholera in Piemonle,
perchè desiderale dare la caccia alle eredità come facevano i vostri colleghi in
Roma nel 1847, quando bastava la dichiarazione di un prete per togliere l’eredità
ai legiliimi eredi ed appropriarla a se
stessi. E dopo (ali fatli, avrete ancora la
sfrontatezza di parlare della vostra carità?
NOTIZIE KElilCilOSE
Toscana. — Scrivono da Firenze al Cristian Times in data del 10 agosto quanto
segue; «Mentre scrivo la presente ho il
piacere di sapere che Guarducci è stato
fallo uscire dalla prigione nella scorsa
BOlte. L’ordine di rilascio doveva essere
eseguilo oggi ¡ ma ieri sera al tardi la
povera moglie avendo saputo che l’ordme era stato dalo realmente, corse alla
prigione e tanto seppe dire, e lanto seppe
pregare che ottenne l’immediata liberazione del marilo. È slato permesso al
Guarducci di restare in Firenze per una
settimana onde accomodare i suoi inte
ressi; ma non gli è permesso di uscire di
casa,ed è guardalo a vista dai gendarmi:
egli desidera andare in Inghilterra, ove
sento che sarà occupalo in una casa di
commercio per le raccomandazioni di un
suo buon amico«.
Il Guarducci era stato condannato a due
anni di prigione, senza processo, ed iu
forma economica, per il gran delillo di
aver letta la Bibbia.
Ar.vie.ni.\. I missionari americani hanno
il loro stabilimento centrale a Oarmiak
nel centro deH’Armenia, e di là fanno
le loro corse missionarie fra i selvaggi
del Kurdistan : ecco ciò che scrive uno
di questi missionari dalla stazione di
Memikan : « Sono già sette seltimane
che noi siamo qui come sepolti nella
neve, non avendo che un piccolo spazio
bene angusto , e sempre infettalo dal
fumo pestifero del combustibile che siamo obbligati di bruciare. Le nostre riunioni si fanno ordinariamente nelle stalle
fra i bovi e le buffale; ma non è in una
staila che è nato il Signore ? Iddio ci ha
dalo un piccolo gregge di anime preziose.
Vedendo l’aft'ezione che ci dimostrano,
e l’attenzione colla quale ascoltano la
divina parola, non possiamo che sentire
una grande affezione per quesli luoghi
all’occhio del mondano cosi orribili. La
nostra scuola cominciò con due soli fanciulli, ma già ne abbiamo 14. Il vescovo
avendo loro proibito di frequenlare la no-
16
stra scuola e le nostre riunioni , essi
gettarono immediatamente i nostri libri; I
padri di famiglia essendosi riuniti decisero
di obbedire al vescovo, ma passato quel
primo timore, il giorno dopo tutti tornavano alla scuola a pregarci di riammetterli, e la domenica seguente neppure
uno mancò al culto. Ogni domenica noi
abbiamo una scuola e due predicazioni,
oltre una riunione di preghiere la sera.
Vicino ad Ourmiah un diacono indigeno
in quattro giorni ha tenuto i6 riunioni
ciascuna di 3S persone circa. L’Evangelo
è predicalo altresì a Erzerum capitale
deH’Arraenia turca ; vi sono state stabilite due scuole : ogni domenica vi sì
fanno tre servizi. A Mossoul in Assiria
sul Tigri, è stala fondata una comunità
evangelica diretta dal D. Lobdel : questo
paese, dice quest’ultimo , è ciò che vi
può essere di peggio per i comodi
della vita ; ma per compiere l’opera di
Dio, io non desidero un luogo migliore».
Ecco i segni dell’agonia del protestantismo, non è vero signor D. Ferrando?
(continua)
CROXACHETTA POLITICA
Torino, (eri S. M. il Re passava in rassegna in piazza d’armi il reggimento cavalleggieri di Saluzzo.
— Ieri S. M. ha presieduto il consiglio dei Ministri.
— Siamo informati che S. M. il Re ha
nominato a suo ufiìziale d’ordinanza il
cav. Luigi Ferdinando Balbo, capitano
del reggimento cavalleggieri di Saluzzo,
intendendo onorare in tal guisa nel bravo
uflfiziale la cara ed illustre memoria del
padre.
PABicr. Un dispaccio elettrico di ieri
(23 agosto ore 9 e min. 32 ant.) contiene
quanto segue:
(I L’imperatore d’Austria, ed il re d’Olanda hanno inviato a Parigi alcuni ufficiali superiori per rappresentare le loro
armate alle manovre del campo di Satory >.
Niuna notizia di Costantinopoli dopo il
giorno 13 conferma quanto si è detto ultiraamente dalla stampa tedesca.
Affari d'Oriente. Si legge in una corrispondenza da Costantinopoli, riportata
da ir Opini (me, quanto segue;
n A quanto dicesi vengono sparsi tra’
soldati russi proclami e fogli volanti coi
quali si infìammano alla santa guerra
contro gli infedeli. All’incontro temesi
nel campo turco lo scoppio del furore religioso e si fa intendere a’ soldati eh’ essi
sono in campo unicamente per l’integrità
del paese, e che la guerra non ha a far
nulla eolia fede. Probabilmente temesi
qualche disgusto colle potenze occidentali ove dovessero venire commesse crudeltà contro i cristiani ».
Inghiltefra. Il giorno 20 la sessione
del Parlamento inglese fu prorogata : il
Lord cancelliere pronunciò il discorso di
chiusura. Riguardo alla questione d’Oriente, il discorso della corona diceva
che li S. M. ha motivo di sperare ehe ben
presto si addiverrà ad onorevole accomodamento ». Il sig. Milnes nella Camera dei
comuni interpellò Lord Palmerston sulla
quistione •' se nelle attuali circostanze
egli potesse assicurare la Camera che la
fiducia del governo relativamente allo
sgombramento dei Principati Danubiani
fosse tale da permettergli di prorogare il
Parlamento senza inquietudine veruna».
Lord Palmerston rispose che in breve si
avrà una prova della fiducia del Governo
nel prorogare il Parlamento: in quanto
ai Principati Danubiani disse essere sua
opinione che lo czar lì avrebbe sgombrati alla prima occasione.
Trovasi vendibile da G. BIAVA legatore
libraio, nia Carlo Alberto, locale anticamente della Libreria patria.
siKicESMnpflsmici
Estratta dalla Buona Novella.
Prezzo cent. 25.
Direttore G. P. MEILLE.
Giuseppe Mirapel gerente.
TIP. SOC. DI A. PONS B COMP.