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numero 1
del 2 gennaio 199
V i. i
I
SK.n IMANALK DKI.Li: CHIESE EVANGELICHE RATTISTE, METODISIE, VALDESI
NULLA È TROPPO
DIFFICILE PER DIO
«Comprati il mio campo... Infatti
così parla il Signore: “Si compreranno
ancora case, campi e vigne in questo
paese"... “Ah, Signore! Ecco tu hai fatto
il cielo e la terra con la tua grande potenza e con il tuo braccio steso, non c’è
nulla di troppo difficile per te”»
Geremia 32, 7; 15; 17
..TKTULLA è troppo difficile per
V Dio». Questa confessione di fede è nata in una situazione che non fa
ceva sperare niente di buono per il fu
turo. Siamo verso il 580 a.C. e Cerasa
lemme è assediata dall'armata babilo
nese. La disfatta è inevitabile. Geremia
ripete che questa è la conseguenza del
giudizio di Dio sull'idolatria del popolo
e sulla corruzione dei suoi capi. Ma
proprio quando il giudizio sta per com
piersi, Dio contraddice la predicazione
del profeta: «Comprati un campo». «Si
compreranno ancora case, campi e vigne in questo paese». Il profeta è sba
lordilo ma obbedisce, anche se si porta
dietro interrogativi e dubbi, perché ha
imparato a avere fiducia in Dio che vi
gila sulle sue promesse per mandarle a
compimento. Comprare campi, pian
larvi delle vigne, costruire case in un
momento in cui la città sta per essere
travolta dalle conseguenze del proprio
peccato può sembrare un’iniziativa da
incoscienti perché vuol dire compiere
degli atti che significano, in netto contrasto con ciò che sta accadendo, futuro
e avvenire, pace e prosperità.
Quanti dubbi e interrogativi ci accompagnano nella nostra vocazione ad annunciare la riconciliazione,
l’amore, la speranza in un tempo di generale degrado in cui rischiamo di assuefarci alla violenza, all’indifferenza,
all’odio dilagante, a una mercificazione senza più limiti. Altro che perdono,
amore e riconciliazione! Ciò che si invoca da parte di molti è l’inasprimento
delle pene o addirittura il linciaggio o
la pena di morte. Geremia obbedisce al
Signore, ma subito dopo espone a Dio
in preghiera tutto ciò che gli pesa sul
cuore. C'è un tale scarto fra la realtà e
ciò che Dio gli chiede! A un certo momento il profeta riceve la risposta da
parte di Dio, che egli esprime con la
confessione di fede: «Non c’è nulla di
troppo difficile per te». Gli conferma
Dio: «C’è forse qualcosa di troppo difficile per me?». Giudizio e grazia, condanna e perdono, Legge e Evangelo sono facce diverse dello stesso amore di
Dio. Dio dice no, senza attenuanti, al
nostro peccato, ne sanziona la sconfitta, ma è così che ci libera per un nuovo
inizio al suo fianco, per un nuovo progetto ispirato e guidato dalla sua parola. Solo se comprendiamo, se soffriamo
il no di Dio, possiamo scoprire la gioia
del suo sì, del suo perdono.
STIAMO entrando nel nuovo anno
con tanti motivi di incertezza, con
tanti dubbi, e forse con rassegnazione.
Spesso il nostro respiro spirituale di
chiese si è fatto troppo corto, la nostra
passione per TEvangelo si è un po'
smorzata, la nostra comunione fraterna è spesso molto fragile, e c'è chi cerca
di insinuarvi il seme del dubbio e della
divisione. Occorre interrogarci in preghiera sull’autenticità della nostra fede, sulla misura della nostra obbedienza al Signore. Se sapremo farlo con
umiltà, senza indulgenza nei confronti
di noi stessi, senza attenuanti, proveremo indubbiamente un senso di amarezza e di scoraggiamento, ma solo così
potremo poi gustare con gioia il perdono di Dio e la conferma della nostra
vocazione. «Sì, o Signore, non c’è nulla
di troppo difficile per te». Sia questa
certezza a accompagnare la nostra vita
di fede personale e la testimonianza
delle nostre chiese.
Valdo Benecchi
Una valutazione del documento che ha delineato mezzo secolo di democrazia in Italia
Cinquant'anni di Costituzione repubblicana
La Carta del 1948 va certamente aggiornata, per esempio rendendo più rapidi ed efficienti
il circuito decisionale e gli strumenti di controllo e garanzia, ma per altri aspetti rimane valida
STEFANO SICARDI
Espressione degli aspri, incerti, difficili anni dell’immediato
dopoguerra, ma pure delle tendenze del costituzionalismo della seconda metà del nostro secolo, la
Carta del ’48 compie cinquant’anni.
Ogni costituzione scritta non può
che costituire un prodotto dei tempi (con riferimento al nostro paese
ma anche al contesto europeo) in
cui è venuta alla luce. Ma le costituzioni scritte sono anche fatte per
durare, per non essere quindi mera
e fragile registrazione di equilibri
contingenti, ma per esprimere un
ethos, per disegnare un alveo che
dia ordine e senso alla convivenza
civile, politica, istituzionale di una
collettività. È in questa prospettiva,
lontana da pompose celebrazioni
come da supponenti archiviazioni,
che credo ci si debba porre, nel
confrontarci con il documento che
ha delineato i primi 50 anni di democrazia politica in Italia.
La nostra Costituzione è nata
anzitutto per garantire; i cittadini
dall’arbitrio del potere (la cui dura
mano più volte era stata sperimentata nel passato), le forze politiche
in campo dal possibile spadroneggiare di qualcuna di esse sulle altre,
i magistrati dall’asservimento ai governi, ma anche i meno fortunati
dal puro e semplice meccanismo
del mercato come dall’incontrollato
potere dei monopoli privati. Così
pure si è proposta di garantire, almeno entro certi limiti, gli enti territoriali dallo Stato centrale e le situazioni giuridiche da essa disciplinate
dal potere illimitato del legislatore.
E, ancora, essa ha inteso garantire
dai soggetti politici e istituzionali
caratterizzanti il passato regime (il
partito fascista, la monarchia).
In questa prospettiva, la nostra
Costituzione ha privilegiato le dimensioni della rappresentanza e
della partecipazione politica (specie, ma non solo, nella classica forma della democrazia europea del
XX secolo, innervata dai partiti di
massa) rispetto alle esigenze di efficienza e decisione. Ciò ha sicura
La Camera dei deputati
mente cooperato a preservare la
convivenza politica (e civile) dell’
Italia del dopoguerra, contribuendo
però (in concomitanza con i caratteri del nostro sistema partitico) a
ridurre drasticamente le occasioni
di ricambio fisiologico delle classi
dirigenti e delle élites di governo.
Ancora, la nostra Costituzione ha
espresso significative aperture verso
la configurazione di nuovi rapporti
internazionali e sovranazionali (si
ricordino le limitazioni di sovranità
immaginate per l’adesione all’Onu
ma poi impiegate anche per l’adesione alla Comunità europea, e la
posizione di ripudio della guerra offensiva), ha affiancato alle classiche
libertà «liberali» i diritti sociali,
espressione della versione europea
del Welfare State, così come, peraltro, ha riflettuto assetti di compromesso (che hanno fatto molto discutere), dovuti all’incrociarsi di più
0 meno antiche fratture ideali e di
coscienza da ricomporre (si pensi
alla disciplina dei rapporti tra Io
Stato e le confessioni religiose).
Sorge allora spontaneo chiedersi
se la Costituzione del 1948 abbia
fatto il suo tempo oppure conservi,
al di là di aspetti più legati al passato, un significato complessivamente duraturo, adeguato alle condizioni della società a cui oggi si rivolge. Credo che ci troviamo di
fronte alla necessità di cambiare
alcune parti (e non solo di dettaglio) della nostra Costituzione ma
non di archiviarla nel complesso
come espressione del «mondo di
ieri». È opportuno ripensare alcuni
aspetti salienti dell’organizzazione
costituzionale (e i mesi prossimi ci
diranno se e fino a che punto i soggetti e gli organi coinvolti, a vario
titolo, nella revisione costituzionale saranno riusciti in questo intento). Il circuito decisionale va reso
più rapido e efficiente e vanno resi
più decifrabili successi e insuccessi
delle forze che sono state legitti
mate a governare. Allo stesso tempo devono conferirsi nuovi strumenti di controllo e garanzia (ma
non di ostruzione) e adeguate condizioni di visibilità (e responsabilità) alle forze di opposizione. Il
rapporto centro-periferie va ridisegnato, senza indulgere a retoriche
(in questo caso, autonomistiche),
ma proponendosi di conferire davvero più nitide responsabilità (e
possibilità di riscontro) all’azione
dei governi locali. È pure necessario affrontare il delicatissimo problema del rapporto tra potere politico e magistratura (non in una
strumentale ottica di «normalizzazione» ma nemmeno in una acritica glorificazione dell’emergenza) e
tra magistratura e utenti della giustizia, ben consapevoli delle pesanti ombre che si stendono sulla
credibilità della sua quotidiana
amministrazione del nostro paese.
La Costituzione del 1948 non è
invece, io credo, da ritenersi superata nelle sue generali coordinate
di principio, così come nelle parti a
quelle collegate, relative ai diritti e
alle libertà dei singoli e dei gruppi.
Essa non costituisce una bizzarria
italiana ma, ovviamente con le sue
specificità (non tutte da condividere), esprime forme di bilanciamento dei valori in gioco (eguaglianza/
libertà; individuo/pluralismo sociale/collettività nazionale) non
certo in controtendenza rispetto a
tendenze ben radicate nella dottrina, nelle giurisprudenze costituzionali e nelle Costituzioni europee (più o meno recenti). La nostra
Costituzione, da non brandire come un arnese rivolto a «pietrificare» i mutamenti sociali e culturali
in atto, è quindi ancora pienamente idonea a fornire quel quadro di
riferimento e di opzioni di fondo di
cui la società in cui viviamo ha
davvero bisogno.
Non è quindi il caso di mettere la
Costituzione del 1948 su un acritico piedistallo; è però davvero il caso di non sminuirne quel potenziale di regolazione collettiva di cui,
dopo averlo abbandonato, avvertiremmo davvero la mancanza.
Forum ecumenico nel 2001
Le proposte del Cec
alla Chiesa cattolica
Si è svolto a Roma, dal
16 al 17 dicembre, un incontro tra il Pontificio
Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e una delegazione
del Consiglio ecumenico
delle chiese (Cec), per discutere delle implicazioni che la ristrutturazione
interna del Cec, prevista
per il 1999, avrà sui rapporti con la Chiesa cattolica. Si prevede un ridimensionamento della
commissione teologica
«Fede e costituzione»,
che ora consta di 120
membri, di cui 12 cattolici. «Abbiamo assicurato
al Vaticano - spiega Huibert van Beek, responsa
bile per il Cec dei rapporti interecclesiastici e
ecumenici - che anche
all’interno della nuova
struttura ci sarà un’adeguata presenza cattolica.
Abbiamo inoltre ipotizzato di potenziare la partecipazione cattolica alle
attività della commissione del Cec su "missione
e evangelizzazione" e
abbiamo lanciato la proposta di convocare, a
Pentecoste del 2001, il
primo incontro di un
“forum ecumenico mondiale” per far incontrare
tutti le chiese e organismi ecclesiastici che interagiscono nel movimento ecumenico», (nev)
Abbonatevi a Riforma
Il senso di un giornale
per gli evangelici
Quando le chiese battiate, metodiste e valdesi
hanno dato vita a questo
«settimanale comune»
non intendevano soltanto ottimizzare le risorse
e testimoniare la sostanziale unità delle tre denominazioni intereressate. Volevano anche
mettere in comunicazione tra loro le circa trecento comunità sparse
sul territorio nazionale,
facendole uscire dal loro
«orticello» comunitario o
denominazionale e facilitando l’elaborazione di
un «sentire» e una linea
comune nel campo della
testimonianza, della evangelizzazione e del
servizio. Tramite questo
giornale, dunque, per la
prima volta sono entrate
«in rete» tante comunità
e tante persone. Come
quando ci si incontra
nelle assemblee, nei Sinodi, nei convegni, nei
campi studio; finalmente non ci sentiamo più
isolati e condividiamo
con tanti fratelli e sorelle
realizzazioni e fallimenti, gioie e dolori. Ecco il
senso di un giornale come Riforma; un appuntamento settimanale di
condivisione, una «piazza» in cui incontrarci,
crescere insieme e testimoniare la nostra speranza comune.
I NODI IRRISOLTI DELLA LEGGE
SULL’IMMIGRAZIONE
II presidente della Federazione delle
chiese evangeliche in Italia, il moderatore della Tavola valdese, il presidente
dell'Opera per le chiese metodiste, il
presidente dell'Unione battista e vari
aitri esponenti del mondo protestante
italiano stanno inviando in questi giorni dei messaggi ai capigruppo del Senato sulla nuova legge sull'immigrazione
approvata alla Camera e ora in discussione al Senato. Il testo di legge, è scritto nei messaggi, è positivo in molte
parti e dovrebbe «permettere una corretta gestione del fenomeno migratorio e del processo di integrazione di
quanti si trovano legalmente in Italia».
Destano invece preoccupazione le norme relative ai diritti umani fondamentali, al diritto di asilo e al diritto effettivo al ricorso contro misure amministrative, come il respingimento alla frontiera e l'espulsione. Si tratta di nodi irrisolti che il Senato deve sciogliere. Tra questi c'è anche la necessità di «una sanatoria delle posizioni irregolari pregresse, senza la quale la nuova legge non
potrà avere l'efficacia auspicata», (nev)
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RIFORMA
All’Ascolto Della Parola
venerdì 2 GENNAIO 1998
IL libro della Liturgia della
Chiesa metodista unita
(Urne), nell’introduzione al
culto di Rinnovamento del
Patto, riporta alcune informazioni. Si dice, tra l’altro,
che il primo culto di Rinnovamento del Patto fu celebrato da Wesleyl’11 agosto 1755.
Dieci anni dopo, a proposito
del culto tenuto in ottobre,
Wesley annotò sul suo «Journal»: «E stato, come sempre,
un momento di benedizione
straordinaria»; e ancora, nel
1775: «È stata un’occasione
per una varietà di esperienze
spirituali»
Il culto
di Rinnovamento
MI sono chiesto quali
possono essere stati i
motivi del «successo» di questo culto particolare, che si è
così affermato nella consuetudine delle chiese metodiste. Una risposta può risiedere nella sua forma liturgica,
diversa dal solito, e nei suoi
contenuti e richiami specifici. NeH’insieme, doveva essere un’esperienza che lasciava
il segno; stando alle parole di
Wesley, «molti si umiliavano
davanti a Dio e molti trovavano conforto» (1756); «Alla fine del culto, molti desideravano rendere grazie, sia per
un senso del perdono ricevuto, sia per la salvezza piena,
sia per una fresca manifestazione della sua grazia che sana tutti i loro peccati» (1775).
Ma si può anche pensare
che il «successo» del culto
derivi dal fatto che esso aderiva bene alla situazione e alle esigenze delle giovani comunità metodiste. In sostanza, per quelle donne e per
quegli uomini, riconsacrarsi
in un patto con Dio doveva
certamente essere d’aiuto a
riscoprire il senso non solo
della loro conversione e della
loro decisione di essere contati tra la «gente chiamata
metodista», ma anche del loro impegno nella società.
La liturgia dell’Umc aggiunge un’indicazione che mi
sembra interessante: coloro
che avranno la responsabilità
di condurre il culto, devono
preoccuparsi di sensibilizzare e preparare la comunità in
anticipo, per esempio attraverso incontri di studio e di
preghiera. Nella chiesa di
Parma e Mezzano abbiamo
cominciato a fare qualche
esperimento in questa direzione, incoraggiati soprattutto dalla presenza vivace e costruttiva tra di noi di sorelle e
fratelli provenienti dall’Africa, soprattutto dal Ghana. Ci
suddividiamo i compiti e cerchiamo di curare i vari momenti liturgici.
Lo scorso anno abbiamo
IL RINNOVAMENTO DEL PATTO
Per poter essere testimoni del Patto, dobbiamo imparare a rinunciare
a qualcosa di noi stessi, compresa quella parte che chiamiamo «identità^
MASSIMO AQUILANTE
chiesto a un giovane e ad altri
due amici di dare, nel corso
del culto di Rinnovamento
del Patto, una testimonianza
del loro cammino di fede e di
raccontarci come vivono il
rapporto di collaborazione
con la nostra comunità, di
dirci in che cosa la nostra
predicazione, il nostro modo
di interrogare la Bibbia, il nostro modo di essere chiesa li
ha aiutati e sostenuti. L’esperienza è stata bella e positiva,
sia per i diretti interessati, sia
per la comunità.
Ci siamo detti che, in fin
dei conti, tutto ciò che facciamo come chiesa (gli sforzi di
evangelizzazione, la fatica di
costruire sul territorio una
presenza radicata e visibile,
l’impegno di servizio a chi è
nel bisogno, come anche il lavoro di aggregazione interna)
è utilizzare lo «strumento» del
patto. Che cos’altro è la nostra opera se non un muoversi dentro la dimensione del
Patto: servire il Patto e servirsene? Che cosa altro facciamo
se non ricercare incontri, stabilire relazioni, costruire rap
«lo sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo.
Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni
tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. Voi
siete già puri a causa della parola che vi ho annunziata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio
non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così
neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi
siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete
far nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come
il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano; se dimorate in me e le mie
parole dimorano in voi, domandate quello che volete e
vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che
portiate molto frutto, così sarete miei discepoli. Come il
Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi: dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti,
dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi
ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi
e la vostra gioia sia completa. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho
amato voi. Nessuno ha amore più grande di quello di
dar la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se
fate le cose che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma
vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte
le cose che ho udite dal Padre mio. Non siete voi che
avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto
rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre,
nel mio nome, egli ve lo dia. Questo vi comando: che vi
amiate gli uni gli altri»
(Giovanni 15,1-17)
porti; vivere, appunto, il Patto? È dunque cosa buona e
giusta che, proprio nel culto
di Rinnovamento del Patto,
tutto questo patrimonio di
esperienze, di fatiche e di
speranze, trovi uno spazio di
espressione adeguato, venga
in qualche modo presentato a
Dio. Alla luce della parola di
Dio, proprio nel momento
del passaggio dal vecchio al
nuovo anno, ci si volge al passato che ci appartiene tutt’ora
come dono di Dio, e contemporaneamente al futuro, che
ci è promesso, per invocare le
benedizioni del Signore. E
tutto questo la comunità fa
non come se fosse una faccenda privata tra se stessa e
Dio, ma in presenza e insieme a quelle persone con le
quali si è costruito un rapporto vero, un impegno comune,
un patto. La chiesa, cioè, si
pone come ambito aperto a
chiunque desideri approfondire l’impegno della fede ed è
disponibile verso l’imprevedibilità e la sorpresa insite in
qualsiasi incontro autentico.
Stare dentro il Patto
Le testimonianze bibliche
ci annunciano che Dio
ha voluto e stabilito un patto
con noi. Dio si presenta come
il Dio del patto, un Dio che
«prende piacere nel suo popolo»: ci incontra, crea un
rapporto con noi, si impegna,
fa delle promesse e dà delle
assicurazioni. Noi siamo dentro questo patto con Dio, viviamo di questo dono. Quali
conseguenze possiamo trarne? Direi innanzitutto questo:
anche noi, a nostra volta,
prendiamo il nostro «diletto»
in Dio. Dentro il Patto con
Dio troviamo conforto e consolazione. Mi piace molto
l’immagine della vite e dei
tralci. Nella comunione con
Cristo abbiamo tante cose:
una casa, amore, amicizia,
gioia. Tutte cose belle ed essenziali. Tutte cose che ricerchiamo affannosamente nella
quotidianità. Chi se la sente
di dire di non aver bisogno,
per esempio, di pace e stabilità? Nel Patto con Dio, in Gesù Cristo vera vite, le otteniamo. Ma, detto questo, una
volta annunciato che noi siamo in un patto con Dio e che
in questo patto disponiamo
di tutto ciò di cui abbiamo
maggiormente bisogno per la
nostra serenità di credenti, si
tratta poi di agire praticamente, dare una testimonianza concreta consequenziale.
Come trasmettere
il messaggio?
Devo confessare però che
questo passaggio dal
messaggio all’azione comincia a scricchiolare fortemente
dentro di me. Dico meglio. So
bene che Dio è glorificato nel
fatto che noi portiamo molto
frutto, e che noi siamo stati
costituiti per andare e portare frutto. E imparo molto dal
commento di Giovanni Miegge, il quale parla di «trasferimento al piano etico». Ho
l’impressione, però, che ci
siamo abituati a considerare
questo passaggio o «trasferimento» in maniera un po’
troppo automatica. Sempre
più, nel mio lavoro di pastore
e in quello della comunità in
cui sono, mi vado accorgendo che gli automatismi non
funzionano più. lo vorrei che
molte altre persone si decidessero ad accettare il patto
di Dio, vi entrassero per assaporarne i benefici e le potenzialità. E vorrei anche che
l’idea di patto informasse di
sé la società e la politica, perché sono convinto che proprio in questo il nostro paese
troverebbe un via per risolvere i mille guasti che lo affliggono. E tuttavia, il messaggio
non «passa» automaticamente. Non posso non chiedermi
se il difetto non sta in me, e
non negli altri che non vogliono aprire gli occhi.
E se fosse proprio la ricerca
troppo affrettata, mia personale e della società, di dare
una testimonianza lineare e
diretta ad essere d’ostacolo
per gli altri? 11 peccato più
grande non sarebbe proprio
quello di pretendere di avere
in appalto esclusivo la traduzione pratica del messaggio
del patto? Le sorelle e i fratelli
ganaensi di Parma e Mezzano
mi hanno insegnato che possono esserci altri modi di vivere praticamente la ricchezza del patto. E gli amici con
cui da anni abbiamo costruito un rapporto di collaborazione fattiva e con cui condividiamo la speranza e l’impegno per un mondo migliore,
mi fanno spesso presente che
non è il messaggio del patto a
fare problema, ma il modo un
po’ troppo perentorio con cui
noi presentiamo le conseguenze che dal patto si devono trarre. Ciò che per noi è
scontato ed evidente non è
affatto detto che lo sia anche
per gli altri. Probabilmente,
per essere testimoni del patto, dobbiamo imparare a rinunciare a qualcosa di noi
stessi, compresa quella parte
di noi stessi a cui siamo gelosamente attaccati e che chiamiamo «identità».
Non vorrei, però, dare l’impressione di essere un disfattista. Se è vero che molte cose
cambiano oggi e che anche
noi dobbiamo cambiare, è vero pure che un’indicazione
Tabbiamo: l’ubbidienza. Già
questo, per quanto mi riguarda, è sufficiente ad escludere,
da una parte, la tentazione di
ritorni nostalgici a un Dio che
sta soltanto dietro di noi, al
principio del patto e poi niente più; e dall’altra parte, il cedimento alle seduzioni del
«secolo» per le quali è ormai
preclusa ogni possibilità di
trasformazione della realtà.
L’ubbidienza non è un gesto
di eroismo, è la fatica quotidiana di rispondere all’amicizia di Gesù. È su questa amicizia di Gesù, infatti, che la
nostra ubbidienza è fondata.
Noi ubbidiamo perché Gesù
ci stringe a sé in un rapporto
di amicizia. Non è una limitazione della libertà umana, è
invece l’affermazione della libertà. Perché è proprio alTin
terno di questo rapporto di
amicizia con Gesù, dentro
questa particolare traduzione
del patto che Gesù realizza,
che si sperimenta il passaggio
dalla servitù alla libertà. E la
libertà di chi sa di non essere
più costretto a sopportare da
solo il peso delle proprie ansie, della propria fretta, delle
proprie delusioni, esattamente come accade tra veri amici.
E perciò può impegnarsi in
una azione responsabile.
Certo, quest’amicizia è di
tipo particolare: nasce e cresce nel «dare la vita», si sviluppa all’ombra della croce.
L’ubbidienza non può prendere scorciatoie, deve passare per la frattura, l’interruzione, la critica della croce. È
su questo terreno accidentato e rischioso che noi, in realtà, ci giochiamo la possibi. lità di testimonianza autentica e credibile del patto. Non
possiamo gettare un ponte
lineare e diretto sopra le tristezze, i drammi, le ferite
aperte, personali e della società. Possiamo, però, vivere
i contrasti e le contraddizioni
alla luce della promessa contenuta nel Patto, con gli occhi puntati verso il futuro di
Dio; e in questo essere testimoni di una realtà che supera la nostra.
Essere aperti
alla novità dell'incontro
PERSONALMENTE vedo
in questo un compito importante e urgente da assolvere. In forza dell’amicizia
donataci da Gesù, grazie alla
quale possianio impegnarci
in scelte libere e responsabili
perché accettano di passare
per lo scandalo e la pazzia
della croce, a noi (alle nostre
chiese) è data la possibilità di
porci sempre come disponibili alla condivisione e aperti
alla novità dell’incontro. Ciò
che è veramente interessante
e promettente non siamo noi
ma è un patto che si riempie
delle ricchezze dell’amicizia.
È così che mi piace intendere
l’amore a cui siamo chiamati.
Vari anni fa mi capitò di
avere una conversazione con
Valdo Vinay, nel corso della
quale egli mi raccontò le sue
esperienze di giovane pastore
a Fiume. Ad un certo punto
disse; «Imparai ad amare gli
italiani». Quella frase mi è rimasta impressa. Anche perché essa mi fa tornare in
mente là vicenda del movimento metodista nel nostro
paese. C’è altro modo di rendere una testimonianza vera
al Patto al di fuori di una passione sincera per gli italiani,
per l’Italia e i suoi problemi?
E se fosse proprio questa
amichevole passione il nocciolo di cui le nostre città e i
nostri amministratori hanno
bisogno, e che i nostri connazionali si aspettano da noi?
Vale la pena di tentare. E vale
anche la pena di riconsacrarsi nel patto con Dio. Senza
nostalgie e senza timidezze,
affinché «tutto quello che
chiederete al Padre, nel mio
nome, egli ve lo dia».
Preghiamo
Signore, oggi è veramente un giorno speciale per noi. Abbiamo imparato di nuovo che il patto che tu ci hai donato
in Cristo ci fa vivere la vita in modo pieno, e ci impegna
verso di te e verso gli altri. In un mondo in cui sovente i patti di convivenza umana sono traditi, concedici, per la fedeltà di Cristo, di tener fede a questo patto nel nostro lavoro, nella vita comunitaria, nella vita familiare. Di fronte allo
spettacolo della tirannia dell’uomo sull’uomo, di gente oppressa, di nazioni in guerra, toglici dal ruolo di semplici
spettatori che disapprovano e dacci di sostenere le persone
che devono affrontare difficoltà e sofferenze in condizioni
di solitudine e spésso di impotenza. Dona ai governanti
senso di responsabilità e libertà da interessi personali e di
parte. Dona a chi è impegnato in attività sociali la fiducia e
la costanza necessarie per ricostruire rapporti umani giusti.
Dona a tutti amore e responsabilità verso Tambiente che è
creazione tua. Signore, trasformaci, dacci un cuore nuovo.
Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
(Preghiera di intercessione, dalla liturgia di Rinnovamento del Patto, a cura della commissione culto e liturgia delle nostre chiese)
3
venerdì 2 GENNAIO 1998
E
PAG. 3 RIFORMA
Mulheim: consultazione della rete internazionale su lavoro ed economia
Teologìa, etica e futuro del lavoro
Come è stato affrontato il tema del lavoro da parte del movimento ecumenico
Lavoro, valori e giustizia devono essere al centro dell'attenzione delle chiese
ANTONELLA VISINTIN
T L futuro del lavoro» era
stato il tema della passata consultazione promossa dalla rete internazionale
sull’economia e il lavoro
(Wen). Un tema ampio che
riflette il disorientamento generale di fronte alle recenti
strategie messe in atto dal capitale per vincere ogni tipo di
rigidità (capitale senza frontiere). È nato così il soggetto
del confronto di quest’anno;
la teologia del lavoro e l’etica
del lavoro che la vulgata vuole «supporter» naturale ed incondizionato di questo modo
di produzione. Un week-end
nell’Accademia evangelica di
Mulheim dal 28 novembre al
1° dicembre sul nesso tra lavoro e vocazione, in cerca di
ridefinizione e collocazione
in un contesto di disoccupazione strutturale e di spinte
alla valorizzazione delle attività sociali nella vita civile
(volontariato), potenziale
nuovo centro gravitazionale
di senso e di identificazione.
La discussione si è svolta
intorno a due documenti
portanti («Il lavoro umano
nella creazione di Dio» di
Lukas Vischer e «Dall’esclusione alla partecipazione»,
scritto da alcuni membri del
Wen) e, successivamente,
agli elaborati dei singoli/e
partecipanti, provenienti
quasi esclusivamente dal
centro e nord Europa, oltre
all’Italia e alla Romania.
Le chiese e il lavoro
«Che cos’hanno da dire le
chiese sul senso e sui limiti
del lavoro, alla luce della distruzione del pianeta in nome dello sviluppo e dell’occupazione? Possono le chiese continuare a ripetere che
il lavoro è servizio a Dio considerandosi con ciò fedeli testimoni della Bibbia?», si domandava nel 1995 Lukas Vischer, impegnato da anni su
questo tema. Strano a dirsi
ma negli ultimi decenni nel
movimento ecumenico c’è
stato assai poco dibattito sul
lavoro.
Nella Conferenza su Chiesa
e società del 1937 a Oxford
era stata espressa preoccupazione per la crescente difficoltà di trovare lavoro e per la
L'Accademia evangelica di Mulheim dove si è svolta la consultazione
ad Evanston considerava, infatti, il lavoro un aspetto della testimonianza nel mondo
laico «la giusta comprensione
della dottrina della creazione
ci richiama al potere ricevuto
da Dio di cambiare la faccia
della natura attraverso il lavoro». Il punto, perciò, non è radicale (la rifondazione del lavoro) ma riformista (starci
con una visione cristiana di
servizio alla società), senza
peraltro nascondersi i problemi, primo fra tutti la disoccupazione.
sua qualità che impediscono a molti/e di trovare un
senso di vocazione cristiana
nella vita quotidiana, da cui il
compito di colmare la separazione fra un lavoro pagano
e la predicazione della chiesa
attraverso una nuova interpretazione della vocazione
ad essere cooperatori di Dio
nel suo lavoro creativo.
La stessa tensione fra fede
cristiana e ruolo del lavoro è
stata discussa da J. H.
Oldham nel 1948 nei documenti preliminari per la prima Assemblea del Consiglio
ecumenico delle chiese (Cec)
e ripresa in uno scritto del
1950. Figlio del cristianesimo
sociale che inorridiva alla vista delle conseguenze della
prima rivoluzione industriale, egli richiama le chiese
all’urgente responsabilità di
aiutare uomini e donne a
realizzare nel lavoro e nella
moderna società tecnologica
una pienezza di vita e con essa la propria dimensione spirituale, dubitando però del
successo dell’operazione: «Il
lavoro ridotto ad esecutività
ed avulso dalla vita personale
e comunitaria è privo di senso, o meglio collocato su una
differente scala di valori: a
che punto è chiamata la nostra resistenza?».
Mentre il Dipartimento
studi del Cec estingueva in
breve l’attenzione su questi
temi, il Dipartimento laico si
concentrava sulla presenza
delle chiese nei luoghi di lavoro. L’Assemblea del 1954
L'ingiusta distribuzione
della ricchezza
Nei due decenni successivi
il movimento ecumenico si è
misurato con il tema dell’ingiusta distribuzione della ricchezza, fino agli Anni 70 in
cui la disoccupazione tecnologica e la grande ristrutturazione organizzativa inducono
a richiamare la necessità di
resistere attivamente in nome di Cristo alla frammentazione, disumanizzazione e
manipolazione delle persone.
Dalla metà degli Anni 80 si
comincia a ragionare sull’opportunità di identificare il lavoro solo con l'impiego remunerato e di ridefinire il valore e con ciò l’etica del lavoro. Sono sotto accusa tre questioni: la glorificazione dell’individuo, la competitività,
la priorità del lavoro nella vita di una persona, sulla base
della necessaria riscoperta
del senso eucaristico del la
voro (l’offerta del pane e del
vino come frutti del nostro
lavoro) e della relazione fra
lavoro e predicazione. Nel
1985 si ribadisce che ogni
persona deve avere l’opportunità di essere collaboratrice
di Dio, con ciò risolvendo
due problemi, il carico di sofferenza e di ingiustizia legate
alla disoccupazione e la disumanità e distruttività del lavoro. La preoccupazione ecologica aggiunge a questo
quadro un nuovo argomento
critico verso il lavoro, la distruzione del pianeta per eccessivo sfruttamento.
Ridefinire il lavoro
Il documento Wen apre con
una ridefinizione del lavoro
quale attività umana realizzata con l’intenzione di creare
valore materiale e sociale che
trascende la persona del/della
lavoratore. In questo quadro
vengono riviste il mandato alla co-creazione concepita
all’interno di una società
agraria nella quale il lavoro è
visto anche come corresponsabilità sociale verso la comunità; viene attuata la distinzione fra creazione di Dio e
creatività umana, azione di
trasformazione del creato, segnata dal peccato e capace di
distruzione; viene precisata la
differenza fra shabbat (riposo
come contemplazione) e riposo inteso come lavoro nel
«tempo libero»; viene ridimensionato Ü nesso tra autostima e lavoro essendo prioritario riconoscere in esso la
possibilità di servire Dio, gli
altri e la società; e, infine, viene espresso un giudizio pesante su un’economia senza
giustizia, l’economia globale
che mette i popoli gli uni a gara con gli altri, e gli uomini
contro le donne. Lavoro, valori e giustizia devono, quindi,
essere al centro dell’attenzione teologica delle chiese cui si
chiede capacità profetica nella denuncia, neU’orientamento e nelle scelte.
Temi appassionanti che
ognuno/a ha contribuito ad
arricchire, chi come i tedeschi, gli olandesi e gli inglesi
avendo alle spalle anni di
elaborazione delle chiese e
chi, come noi ha davanti a sé
la sfida a condividere questo
cammino.
r* Viaggio fra alcune chiese delia Comunità evangelica di azione apostolica
La riconciliazione della Chiesa evangelica del Gabon
FRANCO TAGLIERÒ
IN questi ultimi venticinque anni la Chiesa evangelica del Gabon è stata travagliata da tensioni interne dovute non solo a problemi di
gestione finanziaria, ma anche e soprattutto a questioni
personali di «potere». Nel
1983 questa chiesa era stata
sospesa dalla Cevaa, per esservi poi reintegrata nel 1990,
in seguito a segni positivi di
riappacificazione tra le diverse componenti dissidenti. Ma
nel 1994 si era verificata una
rottura profonda tra tre gruppi, denominati Baraka, Gros
Bouquet, Foyer, dal nome
delle parrocchie nelle quali
essi si riunivano. Da allora i
tentativi di mediazione della
Cevaa si sono moltiplicati.
Una pastorale comune aveva
dato nuovi segni positivi che
facevano pensare ad un prossima riconciliazione.
La Cevaa infatti aveva inviato sul posto un mediatore,
il pastore beninese Harry
Henry, per coordinare e so
stenere gli sforzi di riconciliazione. Henry aveva anche il
inandato di organizzare il Sinodo nazionale che doveva
eleggere un nuovo presidente
riconosciuto da tutte le parti.
Tuttavia a causa della mancanza di entusiasmo degli
uni, del sospetto degli altri e
della lentezza del processo
messo in atto il Sinodo previsto nel 1996 non aveva potuto aver luogo e il Comitato
esecutivo aveva deciso di sospendere il sostegno della
Cevaa e di non rinnovare il
mandato del mediatore.
In questo modo la responsabilità della desiderata riconciliazione era rimessa totalmente nelle mani dei dirigenti
in carica della chiesa i quali,
per sottolineare la propria
buona volontà, prendevano in
carico il finanziamento dell’opera di mediazione. Nel
corso dei mesi primaverili era
nel frattempo iniziata una
mobilitazione delle donne
della chiesa, le quali si facevano portavoce del disagio della
base delle comunità e denun
ciavano l’intransigenza dei
primi responsabili delle divisioni. Sotto questa pressione
si è finalmente potuto tenere
il Sinodo straordinario, a fine
luglio ’97, preceduto da una
affollata pastorale (più di settanta pastori presenti) che
aveva lo scopo di preparare la
piattaforma di intesa. La Cevaa, su richiesta insistente dei
dirigenti della chiesa, ha accettato di inviare sul posto un
membro del Comitato esecutivo, il pastore togolese Félicien Lawson, il quale ha partecipato alle trattative sfociate
in un testo comune e nella
designazione di una nuova
leadership. Purtroppo il gruppo più radicale, quello denominato Foyer, non ha neanche questa volta partecipato
al Sinodo, il che lascia monca
l’awenuta riconciliazione.
Il pastore Lawson racconta:
«Eravamo da ore riuniti a discutere e a pregare; si avvicinava l’ora della cena e una
delle donne incaricate della
preparazione dei pasti venne
nella sala della riunione a
chiedere a che punto fossimo
giunti. Le fu risposto che non
c’era ancora accordo. Allora la
donna annunciò che la cucina
era chiusa e non ci sarebbero
stati pasti finché non avessimo trovato una forma di riconciliazione».
I pastori rimasero così senza cena e continuarono ad oltranza le discussioni per tutta
la notte e il giorno seguente.
Finalmente l’accordo fu raggiunto e tutti ebbero da mangiare. Dice ancora il past.
Lawson; «Senza l’azione determinata delle donne, la
Chiesa evangelica del Gabon
sarebbe ancora in piena crisi». Il Sinodo ha eletto un
nuovo Consiglio nazionale,
composto da una nuova generazione di pastori, pieni di
buona volontà e di spirito fraterno, scelti tra i componenti
dei due gruppi riconciliati. Rimane però ora il problema
della ricostruzione della chiesa e la Cevaa sarà in prima linea nella ricerca dei fondi necessari a ripristinare gli uffici
e a riprendere le attività.
Dal Mondo Cristiano
Usa: il Web al servizio di tutte le chiese
NEW YORK — La Società biblica americana (Abs) ha deciso
di dare cinque milioni di dollari a un progetto mirante a collegare tutte le chiese del Nord America tramite Internet. Il progetto chiamato How (Houses of Worship, case di culto) si propone di registrare tutte le chiese degli Usa e del Canada, stimate ad oltre 300.000.1 responsabili del progetto pensano di
poter offrire questo servizio in tutto il mondo entro il 2000. Le
chiese che si iscrivono avranno diritto a quattro pagine gratuite sul sito How (http://www.houseofworship.net). Con questo
mezzo, dicono gli autori del progetto, le chiese potranno comunicare meglio con i loro membri e tra di loro. Robert Thibadeau, un laico presbiteriano specializzato in informatica e
principale operatore tecnico del progetto, ha dichiarato
all’agenzia Eni che non c’è «mezzo migliore per raggiungere le
comunità. Ogni comunità ha una chiesa, e le chiese ci sono
per ragioni comunitarie fondamentali». Il progetto è stato lanciato lo scorso anno da una fondazione interconfessionale di
Pittsburg, la Pittsburg Leadership Foundation, che cercava di
rispondere ai bisogni delle comunità e di coordinare una rete
nazionale di organizzazioni analoghe in diverse città degli
Usa. I promotori del progetto intendono offrire questo servizio gratuitamente affinché tutte le chiese, anche le più povere,
vi possano accedere. Per il presidente della Fondazione, Reid
Carpenter, «se questo sistema non funziona per i più poveri
fra i poveri, allora non è valido». (eni)
Il «sostegno pastorale» del l'arcivescovo
Ndungane a Winnìe Madikizela Mandela
EAST LONDON (Sud Africa) — Winnie Madikizela Mandela,
ex moglie di Nelson Mandela, accusata di crimini, torture e rapimenti nei confronti di giovani sudafricani, ha ricevuto il «sostegno pastorale della Chiesa anglicana e delle preghiere»
dell’arcivescovo di Città del Capo, Njongonkulu Ndungane, in
una lettera che le è stata recapitata il 3 dicembre scorso durante i dibattiti della Commissione «verità e riconciliazione». Di
fronte alla Commissione, Winnie Madikizela Mandela ha dichiarato che le accuse portate contro di lei facevano parte di
una campagna di denigrazione portata avanti dal comitato
strategico dell’ex governo dell’apartheid e dalla stampa internazionale. «Durante gli anni di lotta contro l’apartheid - dice
la lettera - lei è stata un segno di speranza per moltissima gente. Le posizioni che lei ha assunto, alcune delle quali le sono
valse di essere perseguitata dal governo dell’epoca, erano rispettate allora dalla grande maggioranza di coloro che volevano farla finita con la nostra vita di oppressione. Nessuno glielo
può togliere né negare il molo importante che lei ha giocato a
favore dei cambiamenti... Presentandosi davanti alla Commissione “verità e riconciliazione" per portare la sua testimonianza su fatti avvenuti in quegli anni difficili, sia assicurata che
tutto quello che dice è una faccenda di coscienza tra lei e Dio».
Winnie Madikizela Mandela non ha chiesto l’amnistia. (eni)
Cec: Fondo per la lotta contro il razzismo
GINEVRA — Oltre 200 milioni di lire per 12 gruppi impegnati
in vari paesi del mondo nella lotta contro il razzismo; è la destinazione per il 1998 del Fondo per la lotta contro il razzismo,
istituito nel 1970 dal Consiglio ecumenico delle chiese (Cec).
Tra i gruppi scelti figurano organizzazioni, religiose e non, in
Africa, nei Caraibi, in Guatemala, Usa, Olanda, Inghilterra,
Perù e Uruguay. «Come per gli anni scorsi - ha specificato il
pastore Bob Scott, segretario esecutivo del Dipartimento per la
giustizia razziale del Cec - si tratta di assegnazioni che hanno
un valore simbolico più che sostanziale: una segnalazione per
le chiese e per tutti gli uomini di buona volontà che si tratta di
gruppi degni di essere sostenuti e incoraggiati». (nev/wcci)
Colombia: le chiese impegnate
nel processo di pacificazione del paese
BOGOTÁ — «Riconosciamo nel Signore la sorgente della
pace e della giustizia ma siamo anche consci che le chiese
non possono restare assenti nel processo di pacificazione
della Colombia. Siamo qui per portare la solidarietà delle nostre chiese e per partecipare alla marcia verso la pace in questo travagliato paese». Così ha dichiarato al termine di un incontro (Bogotá 20-27 novembre) con le chiese, le organizzazioni non governative e le autorità politiche, una delegazione
ecumenica ad alto livello composta da rappresentanti del
Consiglio ecumenico delle chiese, della Federazione luterana
mondiale, del Consiglio latinoamericano delle chiese del
Consiglio delle Chiese di Cristo in Usa. (nev/alc)
Argentina: premiato vescovo metodista
per il dialogo ebraico-cristiano
BUENOS AIRES — «È stato uno dei primi leader protestanti
ad incoraggiare il dialogo ebraico-cristiano nel nostro paese»:
con questa motivazione il vescovo metodista argentino Aldo
Etchegoyen è stato insignito del «premio annuale per la difesa
dei diritti dell’uomo» attribuito dalla sezione argentina del
B’nai B’rith, una delle maggiori associazioni ebraiche mondiali, fondata negli Usa nel 1843. La comunità ebraica argentina è la terza più numerosa nel mondo e negli ultimi anni è
stata spesso colpita da gravi attentati razzisti. (nev/eni)
^ Nuovo tentativo dì riavvicìnamento tra
Chiesa d'Inghilterra e Chiesa metodista
LONDRA — Riprenderanno le «conversazioni formali» tra la
Chiesa d’Inghilterra e la Chiesa metodista, in vista di una possibile «unità visibile». Lo ha stabilito con un voto che ha sorpreso
molti osservatori, il Sinodo anglicano (Londra, 25 novembre)
che è ora in attesa di una risposta ufficiale da parte della Conferenza metodista, prevista nel prossimo giugno. Analoghi tentativi di riavvicinamento erano già falliti nel 1969 e nel 1972. Tra
gli argomenti «caldi» del dibattito: i rapporti chiesa-stato, l’ordinazione delle donne al ministero vescovile, l’ordinamento ecclesiastico e la questione dell’autorità nella chiesa. (nev/eni)
4
PAG. 4 RIFORMA
Cultura
VENERDÌ 2 GENNAIO 1998
Un dibattito a Scicli su un problema di stringente attualità
Il credente, i bambini e la sessualità
L'insegnamento della Bibbia ci obbliga a vedere sotto diversa angolazione
i problemi dei rapporti interpersonali in una società piena di contraddizioni
ARCANGELO PINO
GIUSEPPE ZISA
Venerdì 5 dicembre, nella sala conferenze di Palazzo Spadaro a Scicli, ha
avuto luogo una conferenza
relativa al fenomeno della
pedofilia, relatori lo psicologo Michele Cappello, specializzato in sessuologia infantile e la teologa Erika Tomassone del Servizio cristiano di
Riesi, i quali hanno parlato
sui temi: «Sessualità infantile:
percorso evolutivo fra informazione e educazione» e «Il
credente e la sessualità». La
conferenza è stata seguita da
un numeroso pubblico qualificato di sanitari, parasanitari, genitori, insegnanti di ogni
grado e ruolo, assistenti sociali e associazioni varie.
Dopo la nota introduttiva
dello psicologo Giuseppe Zisa, la pastora Tomassone ha
iniziato la sua esposizione,
affermando che nella sessualità, come evento fondamentale della persona umana,
campo da sempre soggetto a
normative e controlli simbolici variabili, i credenti, rispetto a chi non credej non
hanno particolari vantaggi,
anche se sono chiamati a farsi carico della storia contemporanea e della società e a interrogarsi sul rapporto tra
fede e vita vissuta. Tra gli esempi che abbiamo nella
Bibbia, n sesso viene presentato come cosa buona voluta
e creata da Dio in modo semplicemente naturale. Dalle
analisi di altri testi delle scritture ebraiche sono stati utilizzati per costruire pregiudizi e tabù: il sesso come cosa
Erika Tomassone
vergognosa, la nudità come
merce, il sesso finalizzato soltanto alla procreazione, il
sesso come impurità; definizioni che vanno decodificate
storicamente: essere nudi dinanzi a Dio è segno di essere
senza difesa; la purezza non è
una qualità, né una virtù declamate nella raffigurazione
dei santi e delle sante, con i
gigli in mano.
L’impurità ha a che fare
con l’amore sessuale o la verginità della donna. Nel libro
della Genesi, il sesso è visto
come funzione primaria e
fondamentale della relazione
tra uomo e donna, come appartenenza reciproca. Nel
Cantico dei Cantici, diventa
un inno all’amore con il preciso richiamo alla corporeità.
«Come sei bella amica mia,
come sei bella, i tuoi occhi
somigliano a quelli delle colombe», in una progressiva
enfasi e esaltazione delle parti corporee dell’amata.
Nel Nuovo Testamento (I
Corinzi 7, 1-9) l’apostolo
Paolo contrappone al pensiero delle correnti ascetiche
della comunità, che sosteneva che la vita cristiana era inconcepibile con la vita sessuale, l’idea che il rapporto
sessuale coniugale è un atto
sano e dovuto al partner. Il
matrimonio, considerato e
introdotto come ordinamento fondamentale del mondo,
non esclude che anche il sacerdote, pure se scelto e
chiamato al suo ministero,
possa non essere costretto al
celibato.
Passando al rapporto tra
sessualità e violenza, Tomassone ha rilevato che la Bibbia
comunque condanna rapporti estorti con la violenza,
che possono significare piuttosto una questione di potere, un’oppressione psicologica e quindi la pedofilia non
sarebbe soltanto una questione di sessualità immatura, ma anche un modo di affermare un qualche imposto
potere. La relatrice ha concluso con un invito all’esercizio della libertà responsabile;
il cristianesimo deve saper rivalutare la corporeità della
persona; non associare la
sessualità solo alla giovinezza
e alla bellezza; non associare
a tutti i costi l’istituzione matrimoniale, che può essere
luogo di conflitto, violenza e
disgregazione, oltre che luogo in cui si può creare un
vuoto di comunicazione con
la nepzione della libertà;
perciò i credenti si devono
impegnare a non cadere nelle
trappole di apporre libertà a
regolamentazione.
Lo psicologo Michele Cappello ha sviluppato il suo tema «Sessualità infantile: percorso evolutivo fra informa
zione ed educazione»: «Si
parte dai tragici fatti di cronaca riferiti alla pedofilia - ha
detto - per evidenziare l’importanza di un approccio naturale alla sessualità, soprattutto partendo da quella infantile. In questa fascia è di
fondamentale importanza fin
dai primi tempi l’atteggiamento educativo globale, soprattutto con un atteggiamento positivo rispetto alla
ricerca del benessere per il
bambino e il rispetto assoluto per le sue potenzialità “libidiche”. Verso i tre anni,
contemporaneamente alla
maturazione neurobiologica,
è utile iniziare un’attività
informativa vera e propria,
che si può così sintetizzare;
una completa, esauriente
informazione relativa ai fatti
della sessualità del bambino
e dell’adulto, e dei dati relativi alla riproduzione umana,
inscritte in un contesto di assoluta naturalità e in una visione non solo "biologica”,
ma salvaguardando la specificità umana».
Si è poi sottolineata l’importanza del coinvolgimento
delle istituzioni (scuola,
gruppi religiosi) e soprattutto
della famiglia, come luogo
elettivo di crescita, di benessere e di sano sviluppo psicoaffettivo. Così si costruiscono
famiglie sane fonte di maturazione, di creazione delle
identità della persona e non
fonte di malessere e di abusi
come spesso ora accade. La
conferenza si è conclusa con
interessanti interventi e domande alle quali i due relatori hanno dato competenti e
esaurienti risposte.
Presentato a Torino il libro dell'autore tedesco Peter Hertel
Le contraddizioni della Chiesa alla luce dell'Opus Dei
Organizzata dal Centro evangelico di cultura di Torino, venerdì 7 novembre ha
avuto luogo una tavola rotonda sul tema; «I problemi dell’Opus Dei» con presentazione del libro di Peter Hertel, I
segreti dell'Opus Dei. Documenti e retroscena (Claudiana, Torino, 1997, L. 36.000).
Manuel Kromer, curatore
del libro, sottolinea che la
Claudiana si occupa dell’
Opus Dei per la seconda volta; dopo il libro L'Opus Dei vista dall'interno del 1986. Ambedue i libri sono stati pubblicati dietro appelli di genitori i cui figli erano diventati
membri dell’Opera. Questo
secondo rende pubblici, per
la prima volta in Italia, i testi
interni dell’Opus, riconosciuti autentici dall’Opus Dei
svizzera. Dall’analisi di questi
testi, comparati con gli scritti
di Escrivà, con le dichiarazioni ufficiali dell’Organizzazione e con le dichiarazioni di ex
membri esce un quadro raccapricciante. L’Opus Dei,
quando viene interrogata
pubblicamente, mente senza
scrupoli, o, quanto meno, fa
dichiarazioni ambigue che
travisano i fatti.
Ci si può chiedere a che fine l’Opus si comporti così.
La risposta la danno gli stessi
documenti; «Abbiamo la
grande ambizione di santificare (...) le istituzioni dei popoli, della scienza, della cultura, della civiltà, della politica, dell’arte e dei rapporti sociali. Tutto dovrebbe essere
cristiano». Questo porta ad
un’infiltrazione clandestina
nei gangli direttivi della società; in Italia, ad esempio,
vari professori universitari
sono membri dell’Opera, vari
giornalisti, banchieri, finanzieri, industriali e politici.
Tutto questo senza che nessuno ne venga a conoscenza.
Le opere connesse all’Opus
sono nascoste da nomi fantasiosi, di copertura; la conseguenza è che una grossa
fetta di denaro pubblico affluisce a finanziare queste
opere. Con quali mezzi 1’
Opus realizza il suo disegno?
Escrivà diceva; «Con la santa
coazione». In conclusione il
curatore condivide la definizione che dell’Opus dà il Parlamento belga; l’Opus è «fautrice di un cattolicesimo integrista ed elitario».
Eugenio Costa, gesuita, direttore del Centro teologico
di Torino, ha rievocato la battaglia parlamentare del novembre 1986 quando, in coda
al rapporto conclusivo della
Commissione d’inchiesta sulla P2, il governo fu bombardato di interpellanze che
chiedevano di accertare nei
fatti se esistevano alti funzionari dello stato legati a un
doppio giuramento di fedeltà:
allo stato e all’Opus Dei. Il
ministro degli Interni di allora, Scalfaro, rispose che, in
base agli Statuti dell’Opus
Dei, le scelte non spirituali
dei membri sono libere. La risposta scontentò gli interpellanti perché ritenuta puramente formale: si voleva sapere come stanno le cose in
realtà. Non c’era terreno comune tra le parti perché chi
difendeva l’Opus Dei lo faceva partendo dai principi giuridici, mentre chi lo accusava
lo faceva partendo dai fatti.
La «Prelatura personale», la
forma giuridica tenacemente
richiesta dai dirigenti dell’Opus Dei e finalmente concessa dall’attuale pontefice,
realizza in pratica una «chiesa personale», con estensione
mondiale.
Secondo il decano della
Pontificia Università gregoriana, il gesuita Ghirlanda, è
il principio della territorialità quello che esprime il mistero della chiesa locale, ed è
conforme all’intenzione di
Cristo che nella Chiesa vi siano chiese locali. Inoltre, secondo il codice di Diritto canonico, la «prelatura personale» è un istituto clericale
avente lo scopo di fornire
preti a chiese locali che ne
abbiano carenza. Per questo
l’ordinamento dell’Opus Dei
è in contraddizione con il codice di Diritto canonico perché incorpora dei laici ma li
sottomette all’unico prelato
che è un prete.
Costa passa infine alle reazioni personali. Dalla lettura
dei «documenti segreti» pubblicati da Hertel si limita a citare tre punti in cui, come
cattolico, dice di essere rimasto allibito: 1) le norme interne a proposito della confessione; si dice che «si può ma
non si deve» ricorrere a confessori esterni dell’Opus Dei
che, secondo il Fondatore
Escrivà, sono «cattivi pastori». L’esegesi del cap. 10 del
Vangelo di Giovanni su cui
fonda questa affermazione, è
«folle». 2) La rigida regolamentazione che separa la residenza femminile da quella
maschile è «paranoica». 3)
Sul piano della formazione
del senso morale, i due grandi principi dell’etica: coscienza e legge sono modificati: la
coscienza si trasforma nell’interesse dell’Opera e la legge si riduce agli ordini dei
singoli superiori.
Per il giornalista Luigi Sandri dalla lettura dei documenti segreti emerge tutta una serie di contraddizioni. Ci si trova di fronte a una chiesa rampante che non somiglia per
nulla al regno umile e povero
annunciato da Gesù. Il fondatore Escrivà spinge a un proselitismo senza limiti, mentre
la Chiesa cattolica, nel 1993,
con la Dichiarazione di Balaman, ha detto che il proselitismo non è accettabile. L’ O
pus Dei non parla mai con
senso di amicizia delle chiese
nate dalla Riforma, mentre il
papa attuale ha dichiarato
che l’ecumenismo è una scelta irrevocabile della Chiesa. Il
problema dell’Opus Dei è
dunque il problema della libertà dell’Evangelo. La chiusura in tanti campi dimostra
una scelta decisa di opporsi al
Concilio, di cui danno una interpretazione restrittiva.
Sono accaduti dei fatti gravi come la nomina a successore del vescovo martire
Oscar Romero di un opusdeista, mons. Damas Fernando
Lacalle, poi nominato ordinario militare del Salvador,
cioè graduato di quell’esercito che ha la responsabilità
dell’uccisione del vescovo
Romero. Perché il papa appoggia l’Opus Dei? Secondo
Wojtyla l’Opera di Escrivà è la
nuova schiera di fedelissimi
idonea a sostituire la Compagnia di Gesù che, in passato,
ha sostenuto linee contrarie
al Vaticano. Invece l’Opus
Dei garantisce una radicale e
monolitica obbedienza.
RACCONTO
Luci di Natale
PIERA ECIDI
rossi tossì tossì e poi ancora tossì. Uscendo sul
piazzale deserto del palazzone dov'era l’ufficio, nascose
naso e gola fino quasi agli
occhi, tra sciarpa e berretto.
Dopo una giornata di lavoro
tra le scartoffie, scandita ai
secondi, si apprestava una
ansiosa traversata della città
nel buio del caos prefestivo.
Si fece coraggio e ingobbendosi nei cappotto trascinò
pacchi e cartella piena di pesantissimi plichi verso il parcheggio oltre la cancellata,
in un altro piazzale abbandonato. Cera un vento gelido che vorticava, bruscolini
di smog o forse catrame negli
occhi, una nebbia bassa come tanti spilli pungenti.
Non vedeva l’ora di arrivare
all’auto, provvisorio rifugio
prima del caldo di casa.
Traghettò eroicamente i
suoi pesi, la spesa agguantata di corsa nell’intervallo del
pasto in un discount a basso
prezzo nei dintorni, un passo dietro l’altro negli stivali
inzuppati: aveva piovuto o
nevischiato durante il giorno, chissà. Da dentro gli uffici le vetrate oscurate e il
neon fastidioso non facevano percepire mai le mutazioni di fuori. Si entrava col
buio e si usciva col buio. Era
vita, questa?
Adesso veniva il peggio,
pensò. Identificare la sagoma giusta in mezzo a quelle
lamiere: spesso girava in
tondo affannandosi dei
quarti d’ora salvo trovarsela
davanti all’improvviso dopo
che era passata oltre chissà
quante volte senza vederla,
quell’utilitaria vecchiotta e
un po’ acciaccata simile a
centinaia di altre. Un inferno di simili, sporchi e ghiacciati in quella solitudine. E
intanto sbirciava come poteva di qua e di là che non si
levassero ombre pericolose e
furtive, malandrini 0 pezzenti 0 gente di malaffare 0
estorsori che assaltassero nel
buio una donna sola e indifesa. Un enorme fantasma
nero di mastino le abbaiò
furiosamente addosso dietro
un finestrino, abbandonato
anche lui chiuso lì dentro.
Vicino c’era la sua auto. Si
infilò con precauzione nel
varco della porta, e depositando i suoi pesi nel posto
vuoto vicino rifiatò: almeno
fin lì era arrivata.
Cominciava una diversa
tappa di calvario. Aggirarsi
a nervi scoperti in un inferno in movimento, invece.
Tumultuoso e rabbioso, e ad
ogni momento pensare a come salvarsi la pelle. Era una
donna sola e anziana, protetta da quel guscio soltanto,
e doveva riuscire ogni giorno
a portarsi le sue quattro ossa
a casa tutte intere. A casa
perché? A casa per chi? Aveva smesso da un pezzo di
chiederselo. Non voleva proprio chiederselo, anzi, perché se no quella domanda la
indeboliva. Inutilmente, e a
suo solo svantaggio. Bisognava mostrare i denti, fin
che si poteva, tirare fuori
muscoli e artigli. Poi, quando non sarebbe più stata in
grado, qualcuno ci avrebbe
pensato: la carità pubblica,
lo stato. Si augurava solo di
non esserne cosciente.
Dalle strade ampie e vuote
della periferia, costeggiate di
palazzoni tutti uguali che si
perdevano nella nebbia, era
arrivata sussultando e ansimando nella sua utilitaria
vecchiotta verso le vie più
centrali. Ogni giorno, avanti
e indietro nella città doveva
per forza incanalarsi nel
centro. Forse c’erano altri
percorsi che lei non conosceva, forse c’erano passaggi alternativi. Ogni volta si riproponeva di studiare le mappe,
e ogni volta si ritrovava ineluttabilmente intrappolata
in quel massacro di semafori
lampeggianti, di stridore di
freni, di insulti di fantasmi
dietro i finestrini, di fischietti frenetici e palette di vigili,
di clacson premuti furiosamente a protestare, di sirene
spiegate, di rombi e di freni.
La gente diventava così violenta, dietro la corazza di lamiera, ciascuno poteva tirare fuori il suo veleno, il suo
odio. Buttarlo addosso al
fantasma di un altro e scappava, impunito, non visto.
Ognuno vomitava addosso
all’altro tutta la sua scontentezza, la sua brutalità. E con
chi prendersela meglio che
non con un’auto acciaccata,
guidata con insicurezza da
una donna anziana lenta di
riflessi? Terrorizzata da suo
stesso incerto guidare, imparato tardi per necessità? Non
era certo il simbolo del potere e della forza, lei. Non poteva fare paura o rispetto.
Un blocco stradale di lavori in corso e di auto e sirene e luci azzurre ululanti la
fecero obbligatoriamente
svoltare in una traversa, in
mezzo alla fiumana deviata, e poi in un’altra, e poi in
un’altra ancora, un percorso sconosciuto. Fu sospinta
in una via lunga e diritta
che non ricordava, stretta
tra case d’altri tempi. Un
buffo di vento portò via per
un attimo la nebbia, e vide
tenui ghirlande di lueine di
natale che scintillavano in
una infinita processione,
accendendosi e spegnendosi
come in ondate di gioia, a
perdita d’occhio, e in mezzo
ad ogni ghirlanda una stella
lucente. «Buone feste», c’era
scritto al fondo al fondo
all’imbocco, lo lesse al rovescio. La fiumana si rovesciò
dietro in coda, e lei fu imprigionata, bloccata. Ma
non le importava.
La nebbia giocava tra le
luci leggera, portata dal vento. Lacrime dolci le appannavano gli occhi e le gocciavano sulla sciarpa, una dietro l’altra. Tutti suonavano,
strombazzavano, si agitavano immoti, ma lei non li
sentiva. Sì, certo, era un’idea
commerciale... buone feste, e
venite a comprare. Ma nessuno avrebbe mai saputo che
quello era stato un dono per
lei, un sentiero di luce.
5
venerdì 2 GENNAIO 1998
...j
PAG. 5 RIFORMA
Una singolare mostra al Museo del Duomo di Milano
La croce di Ariberto
Guida spirituale della città nell'XI secolo, l'arcivescovo
operò nel campo politico e militare e promosse l'arte
SERGIO RONCHI
Testa incassata tra le spalle, pettorali e ventre geometrizzati e prominenti, piedi
divaricati, occhi socchiusi: è
la croce monumentale detta
«di Ariberto», prima metà
delTXI secolo; restaurata, può
ora essere ammirata (sino al
25 gennaio 1998) in un’esposizione allestita a Milano
presso il Museo del Duomo.
Arcivescovo di Milano dal
1018 al 1045 (anno della sua
morte), Ariberto di Intimiano
proseguì il cammino del suo
predecessore Arnolfo, diventando per Milano punto di riferimento della vita cittadina,
vera e propria guida spirituale
e politica, tanto da suscitare
timori da parte dell’imperatore Corrado 11. E il prestigio
della sede ambrosiana crebbe
a dismisura. «Punto di snodo
del suo programma - scrive
Graziano Alfredo Vergani nel
catalogo della mostra (Silvana
Editoriale) - furono la difesa e
l’esaltazione delle prerogative
tradizionali della cattedra
ambrosiana, la restaurazione
del patrimonio territoriale
della chiesa milanese e l’affermazione della propria autorità personale.
Per conseguirli, Ariberto intervenne da protagonista nelle vicende religiose, politiche
e militari del tempo». La sua
stessa azione pastorale era
orientata in direzione di un
programma riformatore segnatamente alla vita del clero.
Mecenate commissionò varie
opere, tra cui appunto la famosa croce, posta sopra la
porta d’ingresso del monastero di San Dionigi, da Ariberto
voluta per quella chiesa da lui
ricostruita. Questo Cristo non
è il Cristo vivo e trionfante
della tradizione occidentale,
bensì il Cristo vivo e sofferente (volto aspro e chiodi sanguinanti). Sulla sommità sono
raffigurati con caratteri antropomorfi la Luna e il Sole, partecipazione cosmica alla crocifissione. Agli estremi, la Vergine e Giovanni Battista.
Di Ariberto va ricordata
anche la Pace (coperchio di
cassetta liturgica), dal chiaro programma teologico: l’iscrizione non è Inri, ma Lux
Mundi (universalismo della
salvezza); gli smalti raffigurano la sconfitta della morte e
del peccato (resurrezione e
discesa al Limbo), la redenzione universale garantita
dalla divinità di Cristo (Ascensione. Sole e Luna ed
evangelisti), la salvezza individuale (il buon ladrone); i
santi Ambrogio e Satiro stanno a sottolineare il ruolo della
chiesa all’interno del piano
salvifico divino.
Come scrive nel citato catalogo Sandrina Bandera, «i
doni di oggetti liturgici e tutto il mecenatismo in campo
artistico promosso da Ariberto va inserito nel contesto sacrale medievale, nel quale le
insegne e i gesti avevano un
profondo valore simbolico.
Questa ritualità della società
cristiana si estendeva e improntava di sé la stessa vita
sociale e l’ideologia dominante che si modellavano
sulle funzioni più importanti
praticate dalla chiesa. Questi
riti, questi oggetti, questi
canti non sono fatti isolati
ma vanno considerati come
proprietari e interpreti della
memoria collettiva». La mo
stra è stata allestita anche come occasione per riflettere
sul «simbolo della cristianità». E infatti due contributi
(di Inos Biffi e di Marco Navoni) permettono di documentare quell’evoluzione del
pensiero teologico che trasformò il riferimento di una
fede fondata sull’evento della
croce come croce di Cristo in
una adorazione della croce.
Nei suoi Inni, Venanzio
Fortunato (morto poco dopo
il ’600) vede nella croce «il
vessillo del re», il «legno da
cui Dio ha regnato». Poi abbiamo le Lodi della Santa
Croce di Rabano Mauro (morto nell’856); «La croce è il vessillo del popolo cristiano»; «il
segno della nostra vittoria»,
«il legno vitale», «l’arte delle
virtù». Questa croce è «la sapienza, la luce, la maestra
dell’universo». Pier Damiani
(morto nel 1072) dedica
all’adorazione della croce
una serie di «orazioni». Si
tratta dell’adorazione dell’
umanità del crocifisso, quale
pure emerge dalle Orazioni
di Anseimo d’Aosta (morto
nel 1109). In forza di questi e
di altri testi ritroviamo l’immagine del Crocifisso nei
messali. Vasto è il repertorio
delle opere esposte in mostra: dalle disposizioni testamentarie i Ariberto al Sacramentario di Lodrino (messale
dei secoli X-XI), da un sacramentario romano del secolo
XI (il sangue che sgorga copioso dalla ferita del costato
di Cristo cade sulla Vergine)
alla monumentale croce d’argento di Hildesheim (10101022 circa), scarna e tutta
centrata sulla figura di un desolato Cristo morente.
In scena un lavoro del commediografo Armando Curcio
Il dramma della povertà a Napoli
PAOLO FABBRI
Armando Curcio è certamente uno dei pochi
commediografi che hanno lasciato una traccia, modesta
ma significativa, nel panorama del teatro italiano di questo secolo. Iniziata durante il
fascismo, la sua attività trovò
subito l’ostacolo della retorica di regime a causa della
scelta di usare il dialetto napoletano. Il regime infatti era
tutto a favore della lingua italiana e a scapito dei dialetti,
considerate lingue minori.
C’è inoltre da considerare la
comicità, intento primario di
Curcio, che tende a far relegare in secondo piano chi la
prende come obiettivo.
Queste due scelte però
consentono all’autore di cogliere, con una vivacità espressiva altrimenti assai difficile da realizzare, alcuni
aspetti della napoletanità,
che in qualche misura riguardano chiunque come lato nascosto, come vago desiderio
contraddetto dai dettami di
un’etica che ha bandito l’ozio
in nome di una utilizzazione
rigorosamente globale del
nostro tempo.
Su questa linea si muova la
commedia A che servono questi quattrini?, messa in scena
al teatro Manzoni di Milano
sotto la direzione di Tato
Russo, che interpreta anche il
personaggio principale (prof.
Parascandolo), mentre Leopoldo Mastelloni è Vincenzino Esposito, un «allievo» di
recente acquisizione. Il professore imbroglia i suoi interlocutori, ma non può essere
definito sic et simpliciter un
imbroglione, perché non cerca mai il danno altrui, al contrario si preoccupa che tutto
finisca bene per tutti. Un personaggio la cui filosofia è
quella di galleggiare nella vita, evitando gli impegni che
Tato Russo in scena
(foto Lepera)
derivano dal possesso del denaro, ma anche gli impegni
tout-court. Il suo comportamento diventa così metafora
di un modo di essere della
napoletanità, quello che si
sazia di eterne discussioni sui
problemi senza affrontarli
mai, che al momento di affrontare l’operatività trova
mille scuse per rinviare, che
si compiace di una eterna ricerca della verità e ama salire
in cattedra pontificando su
tale ricerca.
La comicità, la ricerca della
risata fragorosa e liberatoria,
lasciano comunque trasparire l’angosciante dramma della povertà che, trattata con
delicata leggerezza, resta sullo sfondo come i paesaggi
estenuati di Giuseppe Simonelli, allievo di Luca Giordano, in un ambiente che vedeva e vedrà ancor più negli anni della guerra un’opera diaconale condotta dagli evangelici napoletani, come testimonia per esempio la vicenda di Casa materna. La vicenda prende Tawio nella casa
di Vincenzino, che viene rimproverato dalla zia con cui vìve di non lavorare più per seguire gli insegnamenti del
prof. Parascandolo, invece di
utilizzare il suo mestiere di
falegname per mantenersi. La
situazione del povero Vincenzino si complica ulteriormente con l’arrivo del fratello di
Rachelina, che gli rimprovera
di aver guardato con troppa
attenzione la sorella e lui, benestante proprietario di un
pastificio, non può accettarlo.
Arrivato il professore con due
allievi, la zia minaccia di andarsene per sempre e il filosofo provoca allora la donna
scommettendo che, entro
una settimana, lei gli darà ragione. A determinare un cambiamento sconvolgente, arriva un notaio che porta la notizia della eredità di un improbabile zio d’America: dieci
milioni e 25.000 lire, di cui le
25.000 vanno a Vincenzino e
sono pagate subito per essere
rubate poco dopo all’incauto
erede che le prende con sé
per andare a far baldoria.
Nel frattempo però la notizia di un’eredità milionaria si
è diffusa e, come per miracolo, tutti i creditori non vogliono più soldi ma nuove vendite. L’intervento del professore fa sì che il fratello di Rachelina ottenga un prestito
da un usuraio a tasso d’interesse normale grazie all’avallo del nuovo ricco Vincenzino, e solleciti il matrimonio
della sorella con l’ex povero,
a cui viene pure attribuito
l’incarico di direttore amministrativo del pastificio (ovviamente sotto la guida del
professore). È a questo punto
che il prof. Parascandolo rivela di aver ordito un inganno: finta l’eredità, finto il notaio, finto il denaro. La scommessa con la zia è vinta, si dimostra che il denaro non serve, perché il denaro virtuale
ha prodotto quello reale.
Lo spettacolo è condotto
con buona dinamica da parte
di tutti, manca però, pur nella buona interpretazione di
Tato Russo, quella verve che
suscita il riso facile.
L'esposizione delle celebri «tesi» del monaco tedesco
Wittenberg all'epoca di Martin Lutero
MIRELLA LOIK
Quando ì1 si ottobre dei
1517 i cittadini di Wittenberg sono saliti sulle scale del
sagrato della chiesa di Ognissanti per recarsi alla messa
quotidiana, hanno trovato,
affissi ai battenti del portale,
quei pochi fogli scritti a mano e in latino contenenti le
famose 95 tesi che il monaco
agostiniano Martin Lutero
aveva appena appese. Vi erano le famose parole che
avrebbero poi sconvolto il
mondo religioso e politico
dell’Europa moderna. Le tesi
luterane si scagliavano contro una prassi altrettanto
consumata e tipica di questo
piccolo borgo ai confini
estremi del controllo imperiale germanico, il quale
ospitava proprio nella chiesa
di Ognissanti molteplici e
stravaganti reliquie, adorate
da secoli dalla popolazione
locale e da torme di pellegrini
provenienti da tutta l’Europa.
La devozione verso quei sacri resti non soltanto aveva richiesto la costruzione di una
chiesa apposita per contenerli e ammirarli (che fu eretta
verso il 1490), ma aveva innescato un processo di coscienza culturale che in pochi anni
avrebbe radicalmente ribaltato le sue promesse istitutive.
La quantità del personale im
Hai fatto
Tabbonamento^
— '
piegato nel nuovo tempio,
dopo un decennio, era talmente cresciuto di numero
da indurre il monarca ad istituire accanto alla chiesa
un’Università teologico-filosofica, che già nell’anno stesso della sua inaugurazione
contava 400 studenti, su una
popolazione urbana di 2.500
persone. All’inizio l’edificio
ecclesiastico venne usato anche da auditorio (il luogo dove si tenevano le lezioni) e da
quel momento sulle sue porte
si cominciò a affiggere ogni
sorta di biglietti con richieste
e annunci.
Con questa alta istituzione
scolastica (così attesta la storica wittenberghese Sina Dubovoy), la cittadina di Lutero
divenne sempre più nota in
Europa: riceveva numerosi
frequentatori e iscritti, anche
dall’estero, tra cui il danese
Amleto, immortalato poi da
Shakespeare; e in certe circostanze questo abbondante e
incessato afflusso costituì
perfino l’elemento di sopravvivenza della località, come
si verificherà nel 1567, quando la peste ridusse la popolazione a 1.300 abitanti soltanto, per una sua veloce e prospera ripresa. Eppure la reale
importanza di Wittenberg si
deve attribuire alla sua affermazione politica, ricevuta alla fine del ’400 allorché il
principe di Sassonia (uno dei
sette elettori che soli potevano decidere la nomina del
Sacro romano imperatore)
nel 1486 vi insediò la capitale
del proprio regno. Questa serie di circostanze diede alla
cittadina un notevole sviluppo, e Wittenberg divenne an
Tipico edificio tardo-gotico
(da U. Stagnaro, «L'uomo di
Wittenberg», ed. Claudiana)
che la più nota località libraria della Germania, tanto che
Io stesso pittore di corte e poi
della Riforma, Lucas Cranach il Vecchio, dal 1512 vi costruì la propria casa, aprendo
anche la famosa stamperia
d’arte che pubblicò e distribuì moltissimi testi e rappresentazioni protestanti, fino a
che, dopo 200 anni. Francoforte le tolse il primato
editoriale.
È in tale contesto che il monaco, colto «dottore di teologia», professore di Esegesi biblica nella locale Università e
predicatore istituito nella
cappella cittadina, si appella
ai colleghi e ai sapienti, avvertendoli delle sue tesi affisse sulle porte della chiesa di
Ognissanti, per sollecitarli a
una «Disputado pro declaratione virtutis» in un pubblico
dibattito su una questione
che egli vedeva sempre più
degenerare verso una sorta di
devozione bigotta e di pericoloso idolatrismo.
Wittenberg: la città nell'ex Ddr è ora un sito turistico
1989: le «tesi» sui diritti umani
Oggi le Porte della Riforma
originali non esistono più;
essendo state sostituite da
due altri antoni in bronzo
antifuoco (che riportano in
altorilievo il testo delle tesi di
Lutero), dopo la loro distruzione avvenuta durante il
tremendo incendio che aveva rovinato la chiesa e il castello nel 1760, con la Guerra
dei Sette anni tra Francia e
Gran Bretagna; e la scalinata
del tempio tardo-gotico di
Ognissanti è percorso da più
distratti avventori, che non
sempre si ricordano di ripetere un itinerario storico. Anche la stessa cittadina di Wittenberg, che ancora 10 anni
fa non superava i 53.000 abitanti, ha perso molto del suo
antico aspetto tipico; ma
molti esempi di intere zone
urbane o di singole architetture sono rimasti quali siti significativi 0 come monumento determinanti.
Quando vi risiedeva Lutero
era un piccolo borgo sull’Elba tra le località di Magdeburgo e Halle, che erano certamente più importanti sedi
economiche: la sua normale
vita commerciale la assimilava a tanti altri.insediamenti
medievali, dalle tipiche architetture popolari e borghesi elevate e strette, fatte di telai a traliccio ligneo tamponati da muri di mattoni intonacati con calce bianca, e coperti da alti tetti di scandole,
talvolta sagomati negli angoli
con appuntiti volumi conici a
torretta. Diversi di questi caseggiati ancora si ritrovano a
Wittenberg, nel centro storico della città e in certi quartieri antichi. Però con l’occu
pazione napoleonica si verificò una sorta di decadenza
urbana, perché il castello e
gli edifici universitari divennero una postazione militare;
ma con la seconda metà dell’800 la municipalità cominciò a preoccuparsi di risollevarne il contesto tradizionale, decidendo di «conservare
gli edifici storici che hanno
reso unica la città».
Così la casa di Lutero (che
era sistemata nel vecchio Augustaneum, il suo monastero
abolito dai protestanti nel
1522) è diventata nel 1883 un
museo che conserva il salone
del riformatore (Lutherhalle),
le sue stanze residenziali e il
suo studio; e a inizio ’900 il
castello (con il palazzo rinascimentale di Federico il Saggio, protettore dei luterani, e
con la chiesa di Ognissanti)
venne ricostruito secondo le
sue presenze storiche originarie, insieme alla Stadtkirche, la chiesa cittadina dedicata a Santa Maria, diventata
tempio protestante e abitualmente praticata da Lutero
per i suoi sermoni.
Da quella iniziativa Wittenberg continuò con più alacrità a curare i monumenti
più importanti del proprio
patrimonio religioso e culturale, attuando un «turismo
educativo» protestante che si
sostituì all’antico pellegrinaggio; addirittura nel 1922 cambiò il proprio nome in Lutherstadt, e per tutto il decennio
seguente «la conservazione
storica divenne il tema dominante» dello sviluppo cittadino. Anche dopo la seconda
guerra mondiale, con il passaggio al regime comunista, il
rispetto e la protezione dei cimeli storici proseguì efficacemente, e nel 1967 la «imponente casa» di Melantone è
stata restaurata e trasformata
anch’essa in museo.
Il gesto luterano, con differenti intenti politici e ideologici ma nello stesso significato di dissenso nei confronti
di determinati condizionamenti istitutivi non tollerabili, è stato replicato nel 1989,
in conseguenza della Perestrojka gorbacioviana, quando sulla porta della medesima chiesa del castello sono
state affisse 7 richieste sui diritti umani, che subito la polizia segreta rimosse; ma nel
1990, con la fine del regime
totalitario, Wittenberg ha cominciato ad accrescere il
proprio turismo pedagogico
totalizzando anche 120.000
presenze di visita all’anno,
più del doppio della sua popolazione residente. (m.l.)
Wittenberg oggi
6
PAG. 6
RIFORMA
venerdì 2 GENNAIO 1998
Le stime dell'Onu presentano un'quadro inquietante
Minori, bollettino di guerra
La mancanza dì risposte adeguate ai loro bisogni coinvolge
le famiglie ma anche gli operatori scolastici e le istituzioni
FERNANDO lACHINI
1 giornali e i telegiornali ci
ripropongono ancora la
drammatica emergenza che
colpisce i bambini e i giovani.
I dati sulla condizione di questi sono davanti agli occhi di
tutti. Secondo stime dell’Onu,
in tutto il mondo, alla fine del
1997, i ragazzi al di sotto dei
15 anni, portatori del virus
dell’Aids saranno circa un milione. Il 90% ha contratto il virus dalla madre infetta, durante la nascita o l’allattamento. L’Unicef ha riferito
che 190 milioni di ragazzi nel
mondo hanno un peso corporeo insufficiente per carenze di alimentazione e di cure,
130 milioni fra i 6 e gli 11 anni
non frequentano la scuola, il
25% di essi nei paesi in via di
sviluppo lavorano.
Sempre secondo le stime, i
bambini coinvolti nella guerra sono particolarmente in
pericolo, spesso sono bersaglio premeditato dei militari.
Così diventano testimoni di
violenze e di morti, perdono i
loro parenti, talvolta sono reclutati con forza come soldati. Ogni giorno 16 minori sono uccisi o mutilati dalle mine. Negli Anni 80 quasi 2 milioni di minorenni hanno
perso la vita a causa della
guerra. Oltre IO milioni hanno subito gravi traumi per la
fuga, la violenza, il terrore. La
percentuale dei suicidi dei
minorenni è dal 1984 al 1994
più che triplicata. Questo bollettino di guerra non riguarda
solo i paesi asiatici o africani,
ma anche quelli più ricchi,
negli Stati Uniti ad esempio,
circa 5 milioni di minori lavorano illegalmente; in Italia ce
ne sono trecentomila.
Nell’ultimo congresso di
Montecatini, svoltosi in ottobre e organizzato dalla società italiana di pediatria, si è
detto che gli adolescenti sono
«orfani» di cure, di consigli,
assistenza fisica e psicologica.
Purtroppo spesso né in seno
alla famiglia, né a scuola, né
tra i pediatri c’è attenzione
per i problemi degli adolescenti. In Italia il suicidio rappresenta, dopo gli incidenti
stradali, la causa principale di
morte fra i 9 e i 24 anni. I casi
di anoressia sono in aumento
non solo tra le ragazze, ma
anche tra i ragazzi e l’età è
sempre più anticipata. La
droga è un fenomeno che riguarda una larga fetta di adolescenti e giovani. Ma il suicidio. l’anoressia, la droga, l’insuccesso scolastico, la stessa
pedofilia sono anche campanelli d’allarme che indicano il
disagio, la sofferenza, la solitudine, il senso di incapacità
ad affrontare la vita, le scelte
e i problemi che questa impone. Di fronte a questo elenco di dati e notizie drammatiche qual è la risposta di noi
adulti genitori, pastori, insegnanti e politici? Esiste una
cecità sociale nei confronti
dei bambini, degli adolescenti e dei giovani. Oggi come ieri: purtroppo la violenza
all’infanzia e ai minori in genere è una costante che ritroviamo sotto tutte le latitudini,
in ogni tempo, nelle società
storiche, anche progredite.
Che cosa fare per migliorare la condizione dei bambini,
degli adolescenti e dei giovani? Serve un grosso impegno
rivolto principalmente alle
famiglie e alla scuola per incidere sul clima e sull’attività
educativa. 11 disinteresse sistematico per i più giovani
appartiene alla fisiologia del
sistema riguardando i servizi,
la scuola, l’informazione, il
mondo del lavoro, l’ambiente di vita e il modo come so
Bambini a Sarajevo (foto Boccia)
no costruite le città. Il professor Sgritta, ordinario di sociologia, afferma: «Ho il convincimento cbe il tanto agitarsi a cui è dato assistere di
questi tempi, da parte di ministeri e autorità pubbliche,
assessorati e parti sociali,
rientri nel classico “molto rumore per nulla”. E che nessuno sappia bene cosa fare per
venire fuori dalla situazione
in cui siamo, che si proceda a
tentoni... ma che nella sostanza, emerga l’impotenza
dei servizi di provvedere a situazioni che sono sfuggite di
mano alla famiglia, la quale
resta pur sempre la sola e
principale agenzia a cui la
società affida la soddisfazione delle esigenze dei giovani
e la loro protezione».
È necessario e urgente che
i genitori prendano coscienza di essere soprattutto educatori dei loro figli. Si va allargando il gruppo di genitori
che rifiutano l’improvvisazione nell’educazione e cercano di affinare la loro sensibilità e accrescere le proprie
competenze senza trascurare
alcuna occasione per imparare e interrogarsi. È in aumento il numero di genitori
che al proprio senso di ina
deguatezza e di sconforto, di
fronte ai propri errori, reagiscono rivolgendosi allo psicologo. Sono ancora pochi
però quelli disposti a considerare se stessi come parte in
causa nelle difficoltà del
bambino e dell’adolescente e
quindi disposti a mettersi in
discussione, a considerare
l’esperienza genitoriale come
un’occasione preziosa di
condividere l’avventura più
meravigliosa della vita crescendo assieme ai propri figli. A confronto dell’urgenza
delle necessità sono ancora
pochi i genitori che sentono
il bisogno di conoscere meglio il mondo infantile, adolescenziale e quello giovanile,
approfondendo le problematiche e la psicologia di quel
mondo per essere in grado di
svolgere adeguatamente il
compito di educatori.
La comunità e l’ordinamento giuridico si sono resi
conto che il soggetto in età
evolutiva va considerato non
solo un figlio di famiglia, ma
anche un cittadino e quindi
un portatore di una serie di
diritti che gli devono essere
riconosciuti assieme al loro
godimento. Si è così passati
da un diritto di mera tutela ad
un diritto promozionale cioè
ad un diritto garante della libertà e di una liberazione da
tutte le condizioni negative
che possono ostacolare il
completo sviluppo della personalità. Se il processo di formazione dell’identità personale e sociale è legato non solo alle relazioni personali ma
anche all’ambiente in cui il
minore vive, allora il diritto
globale all’educazione significa diritto ad avere un ambiente educante, accogliente,
salubre, vivibile, usufruibile
cioè una città a misura dei
bambini, degli adolescenti e
dei giovani.
Appello al Parlamento
Avviare subito trattative
per il disarmo nucleare
Una recente votazione all'Assemblea generale delle
Nazioni Unite ha approvato
una mozione che invita le
Nazioni Unite stesse ad avviare immediate trattative per
il disarmo nucleare totale, secondo quanto stabilito da
precedenti accordi, a cui l’Italia ha aderito. L’Italia ha votato contro, insieme alle potenze nucleari. Sempre in materia di nucleare, pubblichiamo il testo di una «Lettera
aperta ai parlamentari».
Noi sottoscritti ci chiediamo quanti di voi siano stati
informati, e lo condividano,
del voto che il governo ha
espresso, a nome del popolo
italiano e quindi a nome vostro e nostro, all’Assemblea
generale delle Nazioni Unite
il 9 dicembre scorso, contro
la mozione A/C.1/52/L.37 che
chiede l’avvio, a partire dal
1998, di concrete trattative
per il disarmo nucleare totale.
L’obbligo degli stati di avviare immediatamente trattative per tale disarmo nucleare, sotto rigido controllo internazionale, è previsto dall’articolo VI del Trattato di
non proliferazione delle armi
nucleari (firmato dall’Italia)
ed è riconfermato dal parere
consultivo della Corte internazionale di Giustizia espresso l’8 luglio 1996. La Repubblica italiana avrebbe quindi
dovuto, per quanto prescritto
dalla sua Costituzione, adeguarsi al diritto internazionale riconosciuto.
La mozione L.37 è stata comunque approvata con 116
voti favorevoli, 24 astensioni
e 26 voti contrari. Contro le
trattative per il disarmo nucleare hanno votato le potenze nucleari e l’Italia. Hanno
votato a favore, fra gli altri, la
Svezia, rirlanda, la Nuova
Zelanda, il Sud Africa, la Cina
e San Marino; Austria, Australia, Danimarca, Finlandia, Giappone, Liechtenstein,
Norvegia e Portogallo si sono
almeno astenuti.
Noi sottoscritti chiediamo
agli elettori di sollecitare i
parlamentari da loro eletti
perché venga impressa alla
politica estera italiana una
svolta a favore del disarmo
nucleare, nel nome della sopravvivenza della nostra e
delle future generazioni, minacciate dall’esistenza negli
arsenali del mondo, e anche
in Italia, di armi nucleari aventi complessivamente una
potenza distruttiva alcune
decine di volte superiore a
quella in grado di eliminare
la vita da tutto il pianeta.
Domenico Gallo (giurista),
Joachim Lau (Associazione
internazionale «lalana», giuristi contro la guerra nucleare), Giorgio Nebbia (docente
universitario e ambientalista)
I maltrattamenti e il coinvolgimento delle famiglie
Oltre la retorica delle sentenze sommarie
ROSARIO ANDREA LIO
Nel parlare del maltrattamento e dell’abuso sessuale a danno di minori si
corre il rischio di cadere in retoriche sentenze che fanno
giustizia sommaria dei carnefici e santificano le vittime. Si
semplifica così un fenomeno
complesso in una contrapposizione che vede schierati da
una parte i minori, vittime dei
maltrattamenti, e dall’altra
parte la famiglia, colpevole di
maltrattare. La conseguenza
lineare di un tale ragionamento diventa quella di proteggere il minore e incriminare i familiari
Sebbene il minore rappresenti la parte più debole di un
sistema e vada necessariamente protetto, non possiamo certo limitarci a operare
una distinzione di carattere
giudiziario, che per altro va
fatta, in cui si impone la differenziazione tra il colpevole e
la vittima. Nei casi di maltrattamento e abuso sessuale sui
minori all’interno della famiglia originaria è necessario affrontare il fenomeno da diverse angolature.
Diventa allora indispensabile prendere in considerazione tutta una serie di fattori
che ci permettono di inquadrare gli eventi di maltrattamento in un dato nucleo familiare all’interno di una cornice storica, relazionale e sociale. Il fenomeno del maltrattamento dei minori si può
definire attraverso tre livelli
differenti: i modelli ideologici
e culturali dominanti, l’organizzazione dei servizi pubblici e privati e la relazione che
si instaura tra gli operatori
sociali, giudiziari, il minore,
la famiglia e i servizi.
Il contesto culturale
Il primo livello è quello più
ampio del contesto culturale che propone una certa
«idea», immagine di ciò che è
definito «problema» o difficoltà, delle possibili cause e
naturalmente delle possibili
soluzioni proposte. Il secondo livello è quello dell’organizzazione dei servizi, che offrendo risposte specifiche,
orientano e incanalano le ri^
chieste. Il terzo livello, ovvero la relazione tra chi pone la
richiesta di aiuto e chi offre
la risposta, è lo spazio in cui
una richiesta (si intende per
richiesta, come spesso avviene nei casi di maltrattamento e abuso sessuale, anche la
segnalazione o l’invio da parte di organi di polizia o del
tribunale) e un’offerta di aiuto, fino allora virtuali, diventano «reali» grazie a una reciproca convalida sociale.
Nel momento del primo
contatto, i poli di questa relazione contrattano e definiscono reciprocamente ciò
che può essere considerato
domanda e ciò che può essere considerato risposta all’interno del rapporto stesso. Per
poter svolgere un lavoro che
tuteli e protegga effettivamente il minore è fondamentale costruire un’ipotesi che
attribuisca un significato alla
dinamica sistematica complessiva, che ruota attorno alla domanda, come espressione e contenuto del gioco relazionale in atto tra le persone
(famiglia e minore, famiglia
e/o membri familiari e operatori sociali, operatori sociali e
operatori di comunità). Progetto e lavoro di équipe diventano allora parole chiave
per una buona riuscita sia
nell’attività di valutazione sia
nella fase di trattamento.
Il rischio di una mancata
collaborazione tra i vari operatori che a vario titolo si occupano del minore e della
sua famiglia è quello di applicare una visione parziale o
unilaterale, giungendo a con
Segnali di speranza: clima interculturale fra i bambini del Centro
«La Noce»
clusioni opposte oppure a
una sovrapposizione degli interventi. E noto come qualsiasi immissione di informazione all’interno di un sistema modifichi l’equilibrio fino
a allora creato. Nel particolare caso di un allontanamento
del minore in cui si rende necessario reperire nel più breve tempo possibile un luogo
fisico ove collocarlo temporaneamente, diventa indispensabile ipotizzare quale effetti
può provocare l’affidamento
del minore a un nonno, una
zia o a qualche altro parente
che magari hanno, inconsapevolmente, contribuito al
fallimento delle funzioni genitoriali.
Affidatari e genitori
Consentire l’affidamento a
questi soggetti con tali premesse è il segnale che l’istituzione invia riguardo alla loro
competenza e conseguentemente del fallimento totale
dei genitori. Esiste un’ampia
letteratura che tratta le modalità di funzionamento delle famiglie in questione, che individua molto spesso un invischiamento sistematico tra le
famiglie allargate e le famiglie
nucleari. Siccome ogni formazione introdotta nel sistema
modifica l’intero sistema di
alleanze e coalizioni presenti
in quel dato momento, è opportuno che si dedichi tempo
alla comprensione del gioco
relazionale in atto in quella
famiglia. Allora il collocamento temporaneo in un contesto
neutro, quale è una comunità
alloggio, può risultare funzionale a preservare da una partenza sbagliata, solleva gli
operatori dal dover prendere
decisioni immediate non sufficientemente contemplate
che successivamente potrebbero mantenere inalterato, se
non addirittura rinforzare il
gioco patogeno della famiglia
0 comunque compromettere
il lavoro di ricostruzione delle
relazioni familiari. Valutare le
conseguenze che ogni mossa
può provocare nel gioco familiare è necessario per evitare che interventi scaturiti per
tutelare il minore si trasformino in un boomerang pericoloso. La comunità entra a
far parte allora di un sistema
complesso collaborando attivamente nella funzione di
protezione, cura e sostegno
del minore e valutazione del
suo nucleo familiare.
Le considerazioni fin qui
esposte, relative anche al ruolo e all’importanza che le comunità rivestono nell’affrontare il fenomeno del maltrattamento, hanno spinto il
Centro diaconale «La Noce» a
progettare la costituzione di
una comunità di pronta accoglienza. Tale proposito è stato
esposto pubblicamente in occasione di un seminario organizzato dallo stesso Centro
diaconale, con il patrocinio
della Provincia di Palermo,
avente come tema: «Il bambino maltrattato e la sua famiglia: protezione e cura».
Al seminario sono stati invitati operatori e esperti dei servizi socio-sanitari, del tribunale dei minori, del provveditorato agli studi, degli enti lo
cali. Nel corso dei lavori sono
stati affrontati diversi aspetti
di una realtà nella quale continua tuttora a destare stupore e resistenze l’ammettere
che i maltrattamenti e gli abusi possano accadere soprattutto in seno alla famiglia
di origine del minore. Gli
aspetti trattati hanno tenuto
in considerazione la prevenzione del fenomeno all’interno del mondo scolastico, gli
ambiti d’intervento della polizia e magistratura minorile a
tutela dei minori maltrattati,
l’intervento degli operatori
psico sociali a sostegno dei
minori e della famiglia, la
protezione del minore.
Il ruolo
del Centro diaconale
Ma perché il Centro diaconale ha deciso di occuparsi di
un tema così scottante e problematico? La risposta quasi
ovvia è da ricercare nell’impegno sociale che il Centro
persegue da anni. In particolare l’attenzione va rivolta al
mondo minorile ma soprattutto alla continua ricerca
nell’offrire risposte adeguate
e professionalmente valide a
problematiche che necessitano dell’apporto di diverse
componenti della società,
nella consapevolezza quindi
che l’impegno profuso acquista maggiore valore proprio
in un’ottica di collaborazione
e scambio. Allora non si può
certamente pensare di affrontare il fenomeno del maltrattamento mettendo a disposizione strutture che proteggono il minore e dimenticando che dietro questo minore esiste una famiglia che
va anch’essa trattata.
La spinta a occuparsi del
bambino maltrattato nasce
anche da una considerazione
semplice ma oltremodo significativa: che a ogni bambino
soggetto a maltrattamento
corrisponde con frequenza
importante un adolescente
deviente o comunque a rischio. Per altro sono noti gli
effetti transgenerazionale degli abusi dei minori. È nata
quindi la convinzione che occorra dare un contributo con
la creazione di una comunità
di pronta accoglienza, che si
inserisca in un progetto di intervento globale operante a
vari livelli. Ciò implica il fatto
che un progetto del genere,
proprio per la complessità,
per le implicazione sociali e
per il coinvolgimento di diverse istituzioni che tale problematica comporta, debba
essere fatto proprio dalle amministrazioni pubbliche nell’ottica di collaborazione tra i
privato sociale e la pubblica
amministrazione. Non è proponibile che iniziative del genere siano condotte in maniera autonoma da qualsivoglia ente, sia esso privato o
pubblico. Una prospettiva del
genere conduce inevitabilmente a riprodurre meccanismi che assomigliano a
quell’assistenzialismo così
tanto stigmatizzato, oppure a
proporre interventi tampone
che sospendono il tempo del
problema senza peraltro variare alcunché.
7
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art. 2 comma 20/B iegge 662/96 - Filiaie diTorino
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L'Editore si impegna a corrispondere il diritto di resa.
Fondato nel 1848
1998: TEMPO DI RIEVOCAZIONI — Si apre il 1998:
sarà per il mondo valdese un anno ricco di spunti, di memoria storica, di iniziative collegate al 150° anniversario delle
Lettere patenti. Sono previsti, alle Valli come nel resto d’Italia, momenti di festa, di confronto, di riflessione, sulla nostra
libertà come protestanti e sulle libertà negate ancora oggi.
Domenica 15 febbraio dal tempio valdese di Torre Pellice
verrà trasmesso il culto in eurovisione e dovrebbe arrivare il
Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Anche gli
enti locali, le istituzioni civili e laiche si stanno preparando a
ricordare con varie iniziative l’anniversario del 1848.
VENERDÌ 2 GENNAIO 1998 ANNO 134-N. 1 LIRE 2000
Il prossimo 17 febbraio saranno 150 anni dalla data
fatidica che ricordiamo ogni
anno con falò, pranzo, recita,
ecc. Non è una novità: ormai
sono mesi che si martella con
questa informazione dicendo
che è un’occasione unica che
non dobbiamo lasciarci sfuggire questa opportunità, che è
un momento per riaffermare
il valore civile di questa festività e via discorrendo... ma lo
sentiamo veramente così?
A dire il vero, per quanto riguarda l’attività teatrale, non
sembrerebbe proprio: ci siamo contati, a settembre, e le
dita delle mani sarebbero state
sufficienti per il nostro numero! In ogni caso noi, pochi,
pensiamo che sì, proprio quest’anno bisognerà testimonia
UNA RASSEGNA PER L'ANNIVERSARIO
TEATRO VALDESE
re di esserci e dare il nostro
contributo! Ed ecco che in poco tempo, riuniti attorno a
quel gran coinvolgitore che è
il nostro Claudio Pasquet, abbiamo iniziato le prove di un
dramma storico scritto ex novo proprio dal nostro pastore
titolare. Non possiamo anticipare nulla, solo dire che sarà
una recita che farà piangere
per l’intensità di certi momenti e ridere per altri episodi volutamente «leggeri»: insomma, un pezzo storico serio.
ma senza esagerare troppo.
L’attività teatrale, lo si sa,
non è solo una questione che
riguarda la nostra comunità:
infatti, da Prali a Villar Pellice, da Pramollo a Angrogna,
tutti quanti stanno preparando
qualcosa; in una riunione avvenuta a Pinerolo qualche
tempo fa, raccolti attorno a
Giorgio Tourn, i vari gruppi
teatrali del nostro distretto si
sono confrontati su questo argomento ed è apparsa chiara
a tutti l’importanza dell’even
to; abbiamo così iniziato a lavorare in modo coordinato e
congiunto per dare origine a
una «rassegna» del teatro valdese che, all’indomani del 17
febbraio 1998, in cui tutte le
filodrammatiche si esibiranno
«in casa», probabilmente nelle due settimane intercorrenti
tra il 23 febbraio e l’8 marzo
prossimi, si vedranno alternativamente i gruppi esibirsi nei
vari teatri delle Valli. Di lì,
che ne sappiamo? potrebbe
anche nascere l’idea di portare qualche esempio del nostro
teatro fuori dal solito ambito,
per esempio a Pinerolo, a Torino... a Broadway (?). Perciò,
arrivederci sui nostri palchi.
(da «Carta bianca»,
la voce dei giovani di
San Giovanni, n. 18)
In Piemonte
Stazionario
il mercato
del lavoro
Il mercato del lavoro in Piemonte sembra, secondo i dati
Istat presentati recentemente
dalla Regione relativi al secondo trimestre del ’97, ancora stazionario. Il tasso di disoccupazione infatti resta sostanzialmente invariato all’8,3% su base Eurosat contro
11,7% registrato in Italia e il
6,8% del Nord-Ovest. Sono 1
milione e 700.000 gli occupati nella nostra regione con una
flessione di circa 6.000 unità
rispetto allo stesso periodo del
’96. Dai dati presentati emerge inoltre che ad aver subito
la maggior flessione è stato il
settore del commercio, mentre
paiono in ripresa il settore
agricolo e quello delle costruzioni; rimane negativo anche
se di poco (-1%) rispetto al
recente passato il dato dell’industria manifatturiera.
Positivo, rispetto al ’96, invece il quadro che emerge
dai dati presentati dalle Direzioni provinciali del lavoro,
relativo alle assunzioni effettuate fino a settembre del
’97. Gli avviamenti al lavoro
sono stati in questo periodo
150.000 con un incremento
del 4% determinato dalla crescita sia nei servizi sia
nell’industria. L’aumento di
assunzioni però si è realizzato
in gran parte nel mese di settembre (quando si sono toccati i 22.000 avviamenti al lavoro con una forte crescita
nella provincia di Torino). La
cautela è quindi d’obbligo su
questi dati che potrebbero essere determinati solo da fattori contingenti. È da rilevare la
crescita (25,6%) degli avviamenti a tempo determinato e
delle richieste di operai generici (12%) a fronte di un calo
delle richieste di operai qualificati segno questo, ha sostenuto l’assessore regionale al
Lavoro Giuseppe Gorlio, di
un’aumentata precarietà del
lavoro e della domanda di
manodopera generica.
Il punto sull'agricoltura nel Pinerolese in un periodo di grande attenzione per il settore
La produzione di montagna deve puntare alla qualità
______PIERVAIDO ROSTAN______
Il 1997 si è chiuso con molte vertenze aperte ma la categoria che maggiormente si è
imposta all’attenzione del
pubblico, cioè dei cittadini, è
indubbiamente quella degli
agricoltori. Alcuni settori importanti, nell’ordine latte,
olio, riso, hanno portato alla
ribalta della cronaca, attraverso azioni talvolta anche pesanti (per giorni si è parlato
dei produttori di latte e la cittadina vicentina di Vancimuglio è diventata una specie di
simbolo della lotta) i problemi
annosi di una categoria di lavoratori. In realtà il mondo
agricolo pinerolese non si è
distinto nella protesta sindacale, un po’ perché la questione latte ha toccato marginalmente le aziende montane, un
po’ forse anche per una crisi
di identità del sindacato. Ma
non va dimenticato che, malgrado non semplici problemi
da affrontare, l’agricoltura
montana può ambire a qualche prospettiva se sarà capace
di puntare sulla qualità e su
prodotti capaci di crearsi una
nicchia di mercato.
Così il settore latte sembra
si stia organizzando; la proposta di costituire un unico
ente gestore della partita, capace di mettere insieme le
cooperative della vai Pellice,
della vai Chisone e di Prarostino con la prima nel ruolo
di trasformatrice del latte di
tutte le valli sta andando avanti. Tale progetto potrebbe
permettere ai produttori di
spuntare una cifra per litro di
latte forse superiore alle 610
che oggi i caseifici privati offrono. La legge regionale
sull’agroindustria sembra fatta apposta per sostenere questo progetto, a patto che ogni
agricoltore sappia fare bene i
conti con la necessità di produrre latte di qualità e che le
Ausi riescano a gestire col
buon senso la complessa partita degli adeguamenti dei locali di produzione alle normative europee.
Il settore vitivinicolo sembra aver trovato una sua dimensione; le esperienze di
Prarostino dove il Comune, in
collaborazione con una azienda trasformatrice della zona,
e soprattutto la realizzazione
dei nuovi locali della cantina
sociale di Bricherasio sembrano dimostrare che l’ottenimento della Doc per molti vini non è soltanto un segno di
prestigio ma un punto di partenza per valorizzare una produzione che coinvolge centinaia di ettari e di produttori.
La produzione di frutta (mele,
pere, kiwi, pesche) che coinvolge molti dei Comuni della
fascia pedemontana ottiene
un rispettabile successo grazie alla coltivazione con metodi sempre più naturali. Certo suscita qualche perplessità
la decisione comunitaria di
sostenere con premi nell’ordine di 4 o 5 mila Ecu per ettaro lo spiantamento di pere,
mele e pesche...
I problemi comunque non
mancano. Da tempo si sottolinea il ruolo dell’agricoltore
come manutentore del territorio, specie nelle zone montane; in realtà si fatica a dare
concretezza a tale enunciato;
si sfruttano poco e male i regolamenti europei a sostegno
dell’agricoltura in montagna
e anche a livello normativo
talvolta si trovano discrepanze fra la teoria e la pratica.
Idem per quanto riguarda
opere di silvicoltura e di utilizzo della risorsa legno per
cui oggi si ricorre massiccia
M entre i massacri del 1655 sono
passati alla storia sotto il titolo di
«Pasque piemontesi» per la coincidenza
con questa ricorrenza, nel 1385 in vai
Pragelato avvenne un eccidio ancora
peggiore proprio la notte di Natale.
L’inquisitore Francesco Borrelli, padre
provinciale dei Francescani del Delfinato, ottiene dal balivo di Briançon la mobilitazione di uomini armati per scendere
in vai Chisone e sorprendervi le popolazioni, per la maggior parte valdesi. Per
impedire la fuga verso il fondovalle,
un’altra schiera di armati, partendo da
Exilles, sale al Col delle Finestre e cala
su Usseaux. Mentre Sestrière viene messa a ferro e fuoco con uccisioni, imprigionamenti e saccheggi dei beni, gli abitanti di Pragelato tentano la fuga verso le
pendici del lato destro della valle con
l’intento di raggiungere il Col dell’Al
IL FILO DEI GIORNI
NATALE 1385
ALBERTO TACCIA
bergian (oltre 2.700 metri) e scendere in
vai San Martino per trovare rifugio presso i fratelli di Massello. Ma i fuggiaschi
hanno con loro anziani, donne e molti
bambini. La precipitosa fuga sotto rincalzare dei persecutori ha impedito loro
di munirsi convenientemente di rifornimenti e soprattutto di indumenti pesanti.
La notte di Natale è gelida e la neve sempre più alta impedisce di accelerare il
passo. Lo storico Perrin che narra l’episodio, ripreso da Jean falla nelle sue
«Glanures», ricorda l’impossibilità materiale di proseguire la marcia a causa della
fatica, delle tenebre e della neve alta che
cancella i sentieri. Il gruppo dei fuggia,schi deve fermarsi. «E ai primi raggi del
sole si constata che i più deboli erano
morti di freddo e tra gli altri, una ottantina di piccoli fanciulli nelle braccia delle
loro madri che, essendosi spogliate per
ricoprirli, per la maggior parte erano
morte anch’,esse. Il luogo testimone di
questa scena di desolazione ha conservato il nome Clot di mort».
«E allora Erode mandò ad uccidere i
maschi che erano in Betlemme dall’età di
due anni in giù: un grido è stato udito in
Rama, un pianto e un lamento grande. Rachele piange i suoi figli e ricusa di essere
consolata, perché non sono più» (Matteo
2, 16-18). Il Borrelli reclamò il rimborso
di dodici fiorini per le sue spese.
mente all’importazione. Progetti interessanti come il rilancio della castanicoltura in
vai Pellice sono fermi o perché gli stessi produttori paiono crederci poco o perché gli
enti locali faticano ad essere
promotori attivi. Né, per il
momento, miglior successo
hanno ottenuto le ipotesi di
inserimento pieno del mondo
agricolo in quello turistico o
in sinergia con quello artigianale; del resto il settore agrituristico presenta le sue brave
sbavature se, accanto ad esperienze più che interessanti, incontriamo noti conduttori di aziende agrituristiche
acquistare «pummarola» o
addirittura patate nei supermercati...
Ma l’anno che sta arrivando
porterà anche nuove normative fiscali che potrebbero mettere in difficoltà aziende meno
che solide. La tenuta di una
contabilità Iva per le aziende
con un giro di affari superiore
ai 5 milioni annui rischia di
essere un ulteriore stimolo
all’abbandono per quelle situazioni di conduttori in età
avanzata, così come l’introduzione deirirap, che di fatto
aumenterà il livello dei versamenti sostituendo per la maggior parte delle aziende a conduzione familiare soltanto la
tassa sulla partita Iva.
E su tutto aleggia una crisi
di identità dei sindacati del
settore: la nascita dei Cobas
del latte è segno evidente della crisi di un rapporto di fiducia, ma è anche una espressione di volontà di «fare sindacato», di avanzare proposte
e di garantire un sostegno alle
aziende, al di là del pur lodevole impegno di patronato attualmente svolto.
RADIO
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EVANGELICA
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PAG. Il
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VENERDÌ 2 GENNAIO 1998 VE^
Il municipio di Prarostino
PEDEMONTANA: VELTRI NUOVO PRESIDENTE? —
La crisi nella giunta della Comunità montana Pinerolese pedemontano dovrebbe concludersi col Consiglio del 7 gennaio. Dopo che l’esecutivo del presidente Cavallone era stato «sfiduciato» dai rappresentanti di alcuni Comuni, il confronto fra le parti è stato anche serrato; era possibile recuperare il presidente uscente in giunta? Si sarebbe andati ad
una accellerazione verso quella staffetta Cavallone-Veltri
già ipotizzata al momento di eleggere l’esecutivo? Ora un
accordo sembra trovato e il Consiglio di inizio gennaio dovrebbe ratificarlo; in giunta entreranno gli assessori uscenti
Dosano, di San Pietro Val Lemina, e Rivoira, di San Secondo; i nuovi Romero, di Cumiana, e Minoli, di Roletto; presidente sarà dunque Luca Veltri, di Prarostino.
ANGROGNA: DANNI DELLA SICCITÀ — Gli imprenditori agricoli le cui colture cerealicole e foraggere abbiano
subito danni non inferiori al 35% della produzione a causa
della siccità della scorsa primavera possono presentare domanda di rimborso alla commissione per l’Agricoltura (presidente Albino Bertin) entro il 7 gennaio corredando la domanda delle indicazioni su terreni interessati e coltivazioni.
GUY RIVOIR ESPONE IN SVIZZERA — Nuova esposizione per il pittore Guy Rivoir nella vicina Svizzera; le
opere dell’artista torrese sono ospitate all’Hôtel Magrappé
di Veysonnaz nel Vallese fino alla fine di febbraio del
prossimo anno. Un nuovo riconoscimento dunque per un
pittore capace di essere maestro nei corsi che tiene a Torre
Pedice per giovani e anziani, e nello stesso tempo più volte
ospite di importanti appuntamenti intemazionali.
PRALI: MANIFESTAZIONI INVERNALI — Le abbondan
ti nevicate di metà dicembre hanno consentito l’apertura di
tutte le piste; per il terzo anno consecutivo dunque gli impianti girano al massimo con innevamento naturale. La Pro
Loco ha anche organizzato varie manifestazioni; fino al 15
gennaio, nei locali della Pro Loco è allestita una mostra sui
mulini ad acqua delle valli, fino al 7 gennaio nella sala valdese ci sarà una mostra di tappeti persiani, 1’ 11 gennaio il
trofeo Milanesio di snowboard; lo stesso 11 gennaio ci sarà
anche la «festa della neve» con giornaliero da 28.000 lire.
PINEROLO: CHIUSURA BIBLIOTECHE — In occasione
delle festività di fine anno le biblioteche ragazzi e dei quartieri Abbadia e Riva, resteranno chiuse fino al 6 gennaio.
BOBBIO: GLI ORARI DELLA BIBLIOTECA — La biblioteca comunale ha riaperto i battenti in dicembre nei locali di
via Maestra 33 con una nuova dotazione di libri e riviste. La
biblioteca è aperta il martedì dalle 10 alle 12 e dalle 14,30
alle 16,30, il giovedì dalle 15,30 alle 17,30 e la sera dalle 20
alle 22 ed infine il sabato dalle 14 alle 16. In via sperimentale il giovedì e il sabato pomeriggio sarà possibile utilizzare i
locali della biblioteca anche come Centro anziani.
ACCORDO LUZENAC: IL SÌ DEI LAVORATORI — Dopo il raggiungimento dell’accordo in Regione fra sindacati
e responsabili della Luzenac Val Chisone sulle prospettive
della miniera di Rodoretto e della lavorazione in valle, si
sono svolte le consultazioni nei vari siti e fra gli impiegati.
L’accordo è stato approvato, dicono alla Cgil, con una media del 70% di sì per ogni reparto.
RESTAURATA L’AULA DEL PARLAMENTO ITALIANO — A Torino è stata restaurata l’aula del Parlamento italiano, grazie all’intervento della Consulta per là valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino e al contributo
della Regione Piemonte. Una mostra allestita all’interno
dell’aula permette di ripercorrere i momenti e gli interventi
già realizzati; dal restauro dell’aula del Parlamento Subalpino, in Palazzo Carignano, al restauro della facciata juvarriana dell’Archivio di Stato e relativa mostra documentaria,
dal restauro delle facciate e del campanile della chiesa di
San Carlo, al restauro delle dodici tele con nature morte del
Crivellino, nel castello di Cavour a Santena. L’aula del Parlamento italiano sarà aperta al pubblico da martedì a sabato
dalle ore 9 alle 19 e la domenica dalle 9 alle 12,30.
DALLA REGIONE UNA GUIDA ALL’ORIENTAMENTO PROFESSIONALE — Verranno presto distribuite
agli studenti di terza media della nostra regione le 60.000
copie della nuova edizione della «Guida per l’orientamento
dopo la scuola dell’obbligo» curata dalla regione Piemonte
in collaborazione con il Fondo sociale europeo e il ministero del Lavoro. La guida, nelle intenzioni della Regione,
vuole essere un aiuto per le famiglie come mezzo informativo e per la scuola come supporto al percorso formativo.
«L’edizione di quest’anno - ha sottolineato l’assessore alla
Formazione, Antonio Masaracchio - evidenzia le attività
della formazione professionale regionale e fornisce una più
ricca informazione sulle figure professionali».
Comunità montana vai Pel lice
Agricoltura e servizi
La cantina sociale di Bricherasio e il regolamento per
l’assistenza economica, l’integrazione delle rette e il concorso degli utenti nella copertura del costo dei servizi
socio-assistenziali hanno occupato l’ultima riunione dell’anno del Consiglio della
Comunità montana vai Pellice. Per Bricherasio, dopo la
prima approvazione da parte
della Regione dello speciale
progetto integrato, si trattava
di approvare il quadro di insieme dell’intervento che per
un importo totale di circa 4,5
miliardi prevede una totale
ristrutturazione della attuale
Cantina sociale, aumentando
considerevolmente la quantità di uva lavorata e soprattutto la qualità, la sicurezza e
l’igiene dell’intero ciclo di
lavorazione.
L’intervento della Comunità montana riguarda in particolare l’acquisto degli impianti e dei macchinari, tra cui
12 vinificatori e 27 nuovi serbatoi in acciaio, di varia capacità e caratteristiche, per una
cifra di 1.250 milioni, erogati
dall’assessorato alla Montagna della Regione Piemonte:
le attrezzature rimarranno di
proprietà della Comunità
montana e saranno date in comodato d’uso alla Cantina.
Dopo l’illustrazione del progetto da parte del direttore
Barbero, nella discussione è
stato sottolineato anche il valore politico di questo grosso
intervento che ha visto, accanto alla vai Pellice, l’interessamento delle altre Comunità montane limitrofe, compresa la vai Po: nella medesima direzione occorre lavorare, secondo l’assessore Mauro
Pons, per valorizzare tutti gli
altri prodotti agricoli. Se tutto
procede secondo i tempi previsti, i nuovi impianti potrebbero già essere installati per la
prossima vendemmia, che negli ultimi anni ha visto una
media di conferimento di oltre
1.300 tonnellate di uve nere e
di 48 di uve bianche.
Per quanto riguarda il servizio socio-assistenziale che
la Comunità montana svolge
per delega da parte dei Comuni di Angrogna, Bibiana,
Luserna, Lusernetta, Rorà,
Torre Pellice e Villar Pellice,
in seguito a incontri con i Comuni stessi è stato presentato
dall’assessore Bricco un ampio regolamento, finora inesistente, che riguarda le forme
di intervento, i criteri da rispettare nelle varie richieste,
gli eventuali contributi previsti per gli utenti. Si tratta in
pratica di cose già esistenti
ma non regolamentate: un insieme di contributi finanziari
di varia entità a favore di persone 0 nuclei familiari le cui
risorse risultino inferiori a
quelle ritenute necessarie per
soddisfare le esigenze fondamentali, dal cibo al vestiario,
alle spese generali. Il regolamento descrive le varie possibilità, dal minimo vitale al
minimo alimentare, ai vari
contributi, all’esenzione dai
ticket, alTintegrazione delle
rette per anziani autosufficienti o non ospiti in istituti,
alle rette per i minori in comunità alloggio o simili.
Nel valutare le domande, il
servizio potrà chiedere informazioni ai sindaci, oltre a
una precisa rilevazione dei
vigili urbani e a un’ampia documentazione che attesti l’effettivo bisogno; sono tuttavia
previsti anche interventi di
emergenza e urgenza in casi
particolari.
Norme e problemi per abeti e larici
«Mon beau sapin...»
Ancora una volta, nel periodo natalizio, abitazioni, piazze cittadine e luoghi di lavoro
vengono «allietati» dai tradizionali alberi di Natale; in genere si tratta del classico abete rosso. Non tutti sanno che
per la coltivazione e per la
commercializzazione di questi
alberi vi sono prescrizioni ben
precise; non tutti hanno, potendolo, la sensibilità di reimpiantare l’abete in un giardino
subito dopo l’utilizzo festivo
in modo da consentirgli una
vita regolare all’aperto e di
potersene servire per diversi
anni. Un sindaco in Provincia
di Latina ha addirittura inviato ai suoi concittadini una lettera in cui si indicavano le
modalità di utilizzo dell’albero e di recupero successivo.
Posto che è vietato asportare abeti direttamente dalle foreste, ogni anno nella sola vai
Pellice vengono venduti circa
4.000 abeti destinati a diventare alberi di Natale; essi provengono da alcuni vivai specializzati e devono avere uno
speciale bollino rilasciato dal
Corpo forestale dello' Stato.
Lo stesso bollino deve essere
apposto anche nel semplice
caso di trasporto dell’abete da
un luogo all’altro (ma è prevista una innocua multa di
4.000 lire ai contravventori).
Ciò che non è previsto, né fin
qui è stato organizzato, è un
intervento di gestione del bosco, particolarmente pregiato,
di conifere; restando in vai
Pellice ci sono alcune situazioni particolarmente interessanti (la pineta di abete rosso
al Castelluzzo e quella di abete bianco a Chiot La Sella, per
citarne due fra le più significative) che meriterebbero cure regolari, compreso anche il
reimpianto dei piccoli esem
II progetto è ora diventato legge della Regione Piemonte
Nuovo Piano sanitario regionale
MARCO ROSTAN
Per il triennio 1997-99, la
Regione Piemonte ha finalmente un importante strumento di programmazione e di
indirizzo che con la definitiva
approvazione il Piano sanitario è diventato legge regionale. È ovvio che una simile legge si proponga di tutelare la
salute e di migliorare la qualità della vita sviluppando
sempre meglio i servizi che
necessitano per la prevenzione, la diagnosi, la cura e la
riabilitazione; ma è interessante che, grazie anche all’ampia consultazione che ha
preceduto il testo definitivo, la
legge contenga una certa attenzione al territorio piemontese, cercando di uscire da una
logica «Torinocentrica» e
preoccupandosi in particolare
delle zone montane: per esse
si dovranno individuare caratteristiche organizzative e livelli assistenziali minimi del
«distretto montano» che la
legge considera un «distretto
potenziato», che deve agire in
sintonia con le corrispondenti
Comunità montane, secondo
le finalità contenute nella legge per la montagna.
I principali progetti-obiettivo indicati in questo piano
sono la tutela materno-infantile, quella della salute degli
anziani, dei disabili fisici,
psichici e sensoriali e di quella mentale, la prevenzione
delle dipendenze, la riabilitazione dei tossico e degli alcoldipendenti, la prevenzione, sorveglianza e controllo
delle infezioni da Hiv. All’interno della revisione delle rete ospedaliera, ci si propone
di distinguere i posti ìetto per
malati acuti e quelli per riabilitazione e lungodegenze; di
sviluppare servizi come i day
hospital, le cure domiciliari,
la creazione di posti letto in
strutture residenziale fuori
dall’ospedale per persone
temporaneamente o permanentemente non autosufficienti. Chi farà tutta questa
programmazione? Insieme alla Regione, le aziende sanitarie locali, quelle ospedaliere,
con i Comuni, le Province, la
Comunità montane e TUni
versità.
Proprio il rapporto con le
Comunità montane, che si occupano dei servizi socio-assistenziali, e il buon funzionamento del distretto era stato
una delle preoccupazioni segnalate nei mesi scorsi da vari enti montani. In particolare
il Comune di Angrogna, grazie all’iniziativa dell’assessore Borgarello, aveva suggerito vari emendamenti alla bozza del piano sanitario. Un
certo numero di queste proposte è stato recepito nel testo
definitivo. Ad esempio, il direttore generale dell’Ausl deve acquisire, nella sua programmazione, le linee di indirizzo definite dalla Conferenza dei sindaci, ci deve essere
raccordo tra la programmazione socio-economica delle
Comunità montane e quella
sanitaria dell’Ausl, dove il
territorio del distretto coincide con quello della Comunità
montana, al presidente di
quest’ultima spettano funzioni di indirizzo e controllo verso il distretto: inoltre possono
essere richiesti finanziamenti
integrativi per assicurare i livelli di assistenza sanitaria
già acquisiti e non sostenibili
con le ordinarie quote di finanziamento, per le specifiche necessità delle zone montane, per le quali viene ribadito che i servizi devono essere
quanto più vicini possibile ai
cittadini. Per tener conto del
necessario equilibrio fra risorse disponibili e soddisfacimento delle necessità sanitarie, occorre sviluppare l’attività di prevenzione e soprattutto far ruotare tutto il sistema dei servizi sanitari sulla
rete distrettuale.
Ci sono dunque molte opportunità, che la legge contiene, da far valere sul territorio
pinerolese: naturalmente occorre che vengano attentamente studiate e messe in
pratica soprattutto da parte
della Comunità montana e
della Conferenza dei sindaci.
Secondo un documento del
Comune di Angrogna, se si
lavorerà in questo senso si
potrà far prevalere il soddisfacimento delle necessità .sanitarie della popolazione rispetto a una pura logica dei
costi e ricavi economici e fare in modo che gli ospedali
valdesi di Torre Pellice e Pomaretto siano sempre meglio
parte essenziale dei rispettivi
distretti montani, al cui servizio operano in quanto ospedali della rete pubblica.
plari oggi destinati ad essere
sopraffatti. Analogamente sono privi di cure regolari alcune zone di pinete artificiali
realizzate negli Anni 60, recintate per evitare l’attacco
degli animali al pascolo e poi
abbandonate.
Diverso e per certi versi
meno preoccupante il rinsecchimento notato su ampie foreste di larice; due anni fa era
accaduto in alta vai Chisone;
gli aghi erano caduti in piena
estate e si era temuto una colossale moria di alberi. Per
fortuna l’anno dopo il bosco è
tornato a rinverdire. La stessa
cosa è accaduta l’anno scorso
e nuovamente nel ’97 in alta
vai Pellice: cosa è accaduto?
Responsabile di questi improvvisi rinsecchimenti è una
farfalla che nel suo stato di
larva succhia la linfa alle
piante, la tortrice dei larici. Le
zone di bosco su cui piomba
questo insetto nel volgere di
poche settimane ingialliscono;
quando la farfalla abbandona
il bosco (si tratta di migliaia
di esemplari) i larici riprendono la loro vita e talvolta accade che nel corso della stessa
estate riprendano a germogliare. Certo lo spettacolo di
una foresta di larici compietamente rinsecchiti in piena
estate lascia stupefatti.
Perosa Argentina
Un museo del
settore tessile
LILIANA VIGLIELMO
La Comunità montana Valli Chisone e Germanasca
ha dato l’avvio a un progetto
di recupero di aree industriali
dismesse con lo scopo di costituire un complesso turistico
artigianale, legato all’industria tessile che ha avuto a Porosa Argentina una lunga e
fiorente attività. Anche se le
fabbriche sono ancora attive,
la loro importanza non è più
così rilevante sul piano economico, rimane invece consolidata una tradizione che si
vorrebbe valorizzare. Per questo è nato il progetto di un
museo del tessile, che dovrebbe trovare una sede adeguata
in un edificio ormai in disuso,
dove troverebbero spazio anche laboratori di maglieria e
di tessitura artigianale.
Per il momento, il progetto
è limitato alla predisposizione
di un piano di adeguamento
delle strutture edilizie, che
verrebbe affidato a un gruppo
di lavoro composto di quattro
laureati, iscritti alle liste di
collocamento da almeno due
anni. L’impegno dovrebbe durare un anno, con la retribuzione non molto elevata dei
lavoratori socialmente utili,
ma con prospettive aperte per
un successivo inserimento
nel mercato del lavoro. Le
lauree richieste sono architettura, economia e commercio e
scienze umanistiche. Il progetto (anche se al momento manca la formalizzazione ufficiale) è appoggiato dalla Provincia di Torino che si propone di
creare una rete di musei e laboratori in tutte le zone dove
l’industria tessile è stata veramente vitale per l’economia
locale, con un patrimonio di
memorie ed esperienze che
non deve andare disperso. Per
questo, al progetto iniziale seguirà la ricerca dei finanziamenti necessari per realizzare
l’opera e renderla accessibile
al pubblico dei visitatori.
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MAURO MEYTRE
Che cos’è il sindacato oggi, chi sono i sindacalisti? Lo sappiamo dalle risposte dei lavoratori, spesso sintetiche ma precise: sono quelli
che ci compilano il modello
730, quelli che si interessano
dei problemi dei lavoratori,
gli amici del governo, quelli
che vigilano sul funzionamento degli uffici di collocamento, ma anche quelli che ti possono aiutare ad avere il posto
di lavoro, quelli che ti fanno
pagare la tessera. Risposte
sincere e vere, ma ormai quasi
per nessuno il sindacato è il
proprio sindacato. Nel Pinerolese la crisi di credibilità
nelle organizzazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil è tangibile.
Spesso le questioni vengono
considerate di carattere metodologico, ma anche il metodo
con cui si affrontano i problemi alPinterno delle organizzazioni rispecchia precise scelte
di contenuto politico.
Alcuni eventi vanno ricordati poiché richiamano questioni sia di carattere locale
che generale. La gestione delle elezioni delle rappresentanze dei lavoratori all’interno
della Skf di Villar, di cui si
conoscono i fatti, è stata chiaramente un problema essenzialmente di democrazia, di
negazione della libertà di
espressione per buona parte
dei lavoratori di quell’azienda. Sulle pensioni e sullo stato
sociale si è espressa solo una
parte dei lavoratori, eppure
doveva essere una consultazione da fare in tutte le realtà
lavorative. La proposta sindacale unitaria viene presentata
Pinerolo
Nuove
assunzioni
all'«Agnelli»
Grande fermento all’ospedale «Agnelli» di Pinerolo.
Sono arrivati i 54 nuovi infermieri professionali che il
commissario dell’azienda Usi
10, Ferruccio Massa, ha assunto il 12 dicembre. Si tratta
del secondo importante ingresso in servizio di personale infermieristico, dopo che il
30 novembre scorso erano già
stati assunti 33 infermieri, per
un totale di 87 nuove assunzioni: un record che non ha
eguali nell’ambito del sistema
sanitario pinerolese, che ha
altresì garantito la conservazione dei posti di lavoro infermieristico connessi con
f’acquisto del «Cottolengo».
Con la nomina di 6 nuovi
primari, l’Ausl 10 rafforza gli
«organici», con l’assunzione
dei nuovi infermieri. Ma c’è
un’altra novità nelle procedure: a differenza delle assunzioni infermieristiche del passato, che venivano destinate a
lappare i buchi che si rende)jano volta per volta vacanti,
U dottor Massa ha attuato uno
specifico monitoraggio delle
Carenze in rapporto agli o“lettivi aziendali, de.stinando
Poi conseguentemente i nuovi
u^sunti ai servizi e divisioni
ritenute oggi più carenti rispetto ai bisogni espressi dai
Pazienti. 24 infermieri sono
“Ostinati alle postazioni di
Emergenza sanitaria 118 sul
'oiTitorio, dando in tal modo
* proprio contributo locale
miglioramento di un serrizio di competenza diretta
Regione Piemonte.
come condivisa a maggioranza, anche la televisione è stata
invitata a filmare l’apertura
delle urne. Si coltiva l’immagine, ma la sensazione sui posti di lavoro è quella di un
sindacato che fa funzionare la
sua burocrazia quando lo ritiene opportuno. Un sindacato
sempre più istituzione, invischiato nelle logiche di potere, dove il lavoratore è utilizzato come massa di manovra.
In sostanza si tratta di un sindacato parte integrante di una
società autoritaria del benessere con funzioni di controllore delle tensioni sociali.
Un ulteriore aspetto che si
osserva è il diffondersi di accordi informali spesso in contrasto con gli stessi contratti
nazionali, un segnale di degrado sul piano della garanzia.
Accanto a queste difficoltà,
c’è anche un segnale di speranza. Nell’ambito della politica, si fa strada una parte della sinistra che si pone il problema di riorganizzare la società e non solo di riorganizzare il governo. Sul piano sindacale a livello di base i lavoratori si pongono il problema
di riproporre delle rappresentanze in grado di garantire
partecipazione e solidarietà.
La voce numericamente più
significativa è l’Alp, che si
prefigge di dare fiato a chi
non ce l’ha e si pone da un
punto di vista sindacale il problema del territorio. I lavoratori oggi tendono a un sindacato portatore di idee piuttosto
che di ideologie. La speranza
è racchiusa non nelle strategie
di conquista del potere ma
nella creazione di spazi di democrazia partecipata.
Regione Piemonte
Il molo delle
cooperative
sociali
All’interno del sistema di
protezione sociale in questi
anni si è affermato sempre
più il settore no profit, in cui
soggetti privati agiscono con
finalità di interesse pubblico
e di promozione delle fasce
deboli. Le cooperative sociali
operano principalmente nella
gestione di servizi (socio-sanitari ed educativi) alla persone e nello svolgimento di altre attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone
svantaggiate. Il Piemonte, dai
dati del ministero del lavoro,
con le sue 269 cooperative
sociali e i suoi più di 7.000
soci lavoratori è ai primi posti
in Italia per presenza di cooperative.
Finora i rapporti tra cooperative sociali e pubbliche amministrazioni sono stati regolamentati dalla Regione con
uno schema di convenzione
tipo che prevede l’applicazione del contratto di lavoro
quale parametro per l’affidamento di servizi pubblici. Ora
le organizzazioni sindacali e
le principali rappresentanze
delle cooperative sociali piemontesi hanno firmato l’intesa
per l’applicazione a livello regionale in questo settore del
contratto nazionale del lavoro.
Secondo l’Assessore alle Politiche sociali, lavoro, assistenza e servizi sociali e cooperazione, Giuseppe Goglio, «un
altro aspetto innovativo del
contratto e dell’accordo locale
è dato dalla previsione di accordi di gradualità, andando a
regime entro il 1999».
Intervista al sindaco di Torre Pellice, Marco Armand Hugon
Troppo verde sul torrente
_______MASSIMO ONORE
Con gennaio ogni ente
pubblico o privato può
guardare all’anno passato e
fare il punto della situazione.
L’inizio del nuovo anno è 1’
occasione per affrontare nuovi progett. In questo contesto
ci è parso utile sentire il sindaco di Torre Pellice, Marco
Armand Hugon, a cui abbiamo posto alcune domande in
riferimento a lavori e investimenti che andranno inevitabilmente a interessare i primi
mesi del 1998, coinvolgendo
la vita dei cittadini.
Il primo punto su cui abbiamo chiesto al sindaco di
soffermarsi riguarda l’intervento di manutenzione dell’alveo del torrente Pellice:
questione che ogni anno si
pone, tenendo conto dello
stato di grave degrado in cui
versa il corso del fiume. «I
lavori consistano nel taglio
della vegetazione a partire
dalla confluenza del Pellice
con l’Angrogna fino al ponte
dell’Albertenga. La competenza per questo intervento ricorda il sindaco - è del Magistrato del Po». I lavori sono già iniziati da qualche settimana; sono poi stati interrotti per le precipitazioni nevose di quest’ultimo periodo.
«E previsto anche un disalveo di 30.000 metri cubi di
pietrame: i massi potranno
essere spostati sulla sponda
sinistra per cercare di ricreare l’argine - prosegue il sindaco -. La ceppaglia verrà
lasciata sul posto per la sua
evidente azione di trattenimento del suolo. Oltre a ciò
sarà necessario togliere il
materiale ghiaioso depositatosi nel corso del tempo sotto
il ponte dell’Albertenga».
Una proposta decisamente
vantaggiosa per utilizzare nel
migliore dei modi gli scarti di
legname dell’intervento è il
loro utilizzo per il riscalda
mento: «Grazie a un contributo regionale - spiega il
sindaco - sarà forse possibile, già nel ’98, convertire
l’impianto degli edifici scolastici in un nuovo impianto a
“cippato”». Questo prevede
l’utilizzo di legname di scarto
a scopi energetici: il combustibile è così naturale ed economicamente vantaggioso.
Con il sindaco di Torre abbiamo ancora affrontato il tema dei finanziamenti europei
chiesti alla Regione tramite la
Comunità montana. Le principali richieste avanzate dal
Comune (nuovo ostello e rinnovo deH’impiantistica sportiva) sono state scartate in
quanto non erano compatibili
con gli obiettivi previsti dalla
Regione che dovevano interessare esclusivamente il turismo montano. Il Comune prevede tuttavia di utilizzare il
denaro incassato dalla vendita
della casa adiacente il municipio denominata Casa Bert
per alcune opere di ristrutturazione. I 600 milioni circa
saranno utilizzati nell’ambito
di due direttive principali di
intervento. «La prima riguarda la sistemazione degli stabili, quali l’edificio della palestra del “Filatoio ”, la parte
di Casa Bert rimasta di proprietà comMnale e la creazio
ITA
Nino Geymet
al Granerò
Credo che come me saranno in molti a non dimenticare
Nino Geymet. Non tanto perché fosse un bravo valdese o
una persona con delle particolarità peculiari; era semplicemente Nino, un carattere sicuramente originale e talvolta
dotato di una comunicativa
anche difficile da tollerare,
ma capace di farsi trovare
simpatico per la sua facilità di
dire ciò che pensava.
Lego la sua figura alle mie
prime camminate in montagna quando, salendo uno dei
più consueti sentieri della vai
Pellice, quello che porta al
Rifugio Battaglione alpini
Monte Granerò, dopo Pian
Sineive potevo scorgere qualcuno che con il binocolo
scrutava in basso: era Nino,
che allora custodiva il Granerò insieme alla moglie. E
quando si arrivava sapeva
sempre raccontare di chi era
passato, di chi avrebbe dovuto passare; ti raccontava, tra
epiteti ed espressioni talvolta
colorite, di un gruppo di camosci che la mattina aveva
visto a due passi dal rifugio,
di anfratti rocciosi che solo
lui conosceva, ma che non
avrebbe mai rivelato a nessuno, dove crescevano mitici
genepì e stelle alpine, di imprese compiute da chissà chi
e chissà dove.
Un ricordo, forse uno dei
primi, mi lega in particolare a
lui: avevo sui sedici anni, credo, e con i miei genitori e un
mio amico eravamo saliti al
Rifugio Granerò a inizio stagione; c’era ancora molta neve e Nino si lamentava delle
molte cose da fare per rendere accogliente e confortevole
la gestione del rifugio. Con la
sfacciataggine dell’adolescenza, speranzoso di fare
bella figura con una bella parola e poco sforzo, chiesi a
Nino se c’era qualcosa che io
potessi fare per aiutarlo. Lui
guardò me, poi, ridendo verso
i miei, e mi rispose: «Va a
dess-coatè èl cess da la fiòca!»; fu una fatica improba.
Ora ci rido sopra ma allora lo
odiai per un bel po’.
Ho visto Nino per l’ultima
volta in ospedale un paio di
settimane fa: a letto, la faccia
gonfiata dalla malattia e dalle
terapie, lo sguardo appannato; gli occhi che eravamo abituati a vedere sempre vispi e
ridanciani erano velati e quasi
spenti. Ho creduto che mi riconoscesse per un attimo, ma
le forze per dire qualcosa gli
mancavano; era un Nino sofferente, stanco. Ma malgrado
l’insulto della malattia riesco
solo a ricordarlo come era fino a pochi mesi prima, con
l’aquila d’oro del Cai sempre
appuntata sull’asola, spaccone, gagliardo ma sempre
pronto a salutarti, anche in
mezzo a un mucchio di gente,
come faceva sulla soglia del
Rifugio Granerò al termine di
una bella camminata.
Tullio Parise
Luserna San Giovanni
ne, in una porzione dell’ex
caserma Ribet, di un centro
di documentazione sulla Resistenza - illustra il sindaco -.
La seconda direttiva prevede
di indire un appalto-concorso
per un progetto di risistemazione dell’arredo urbano del
paese, fra cui il riassetto della pavimentazione a blocchetti del paese, ormai in pessime
condizioni».
L’ultima questione che abbiamo affrontato riguarda la
verifica delle superfici degli
immobili per quanto concerne
Liei e la tassa rifiuti: «Una
prima ricognizione è stata
compiuta all’inizio del 1997
per avere una schedatura di
base del territorio - spiega
ancora Armand Hugon -;
l’opera risultava però troppo
gravosa per l’Ufficio ragioneria del Comune. Si è quindi
scelto di affidare questo compito a una società privata che
già si occupava dei Comuni
di Angrogna e Villar Pellice.
Non si tratta soltanto di andare ad acciuffare gli evasori, ma di creare una base solida per un Ufficio tributi
informatizzato e finalmente
funzionante, che sappia far
fronte alle esigenze del Comune, dei professionisti del
settore e dei cittadini».
Val Pellice
Corsi di sci
al Rucas
Anche quest’anno la Comunità montana vai Pellice organizza un corso di sci di discesa presso la stazione di Rucas
per ragazzi dai 6 ai 14 anni; il
corso inizierà sabato 24 gennaio e comprenderà 12 ore di
lezione di sci impartite da
maestri qualificati. Il corso si
articolerà su tre sabati per
l’intera giornata con pranzo al
sacco e trasporto in pullman.
La quota di iscrizione (entro il
16 gennaio presso la Comunità montana a Torre Pellice)
è di 130.000 lire.
Contemporaneamente viene
organizzato anche un corso di
sci e snowboard al Sestriere.
La durata è di 12 ore (4 sabati
o 4 domeniche consecutivi) a
partire dal 14 o 15 febbraio.
Il costo varierà dalle 165 alle
185.000 lire a seconda del
numero di partecipanti; in
ogni caso vi saranno riduzioni per i bambini e i giovani
della vai Pellice. A questi costi va aggiunto quello dello
skipass giornaliero che per i
piccoli fino ad 8 anni è gratuito; si andrà da un minimo
di 30 iscritti a un massimo di
45; iscrizioni mediante apposito modulo e pagamento di
un acconto di 100.000 lire entro il 30 gennaio.
La prossima ostensione a Torino
Una melassa sìndonìca
CLAUDIO CANAL
C9 è una certa agitazione in giro, a Torino e
dintorni, per la prossima
ostensione della Sindone.
La grande kermesse si preannuncia strepitosa. Anche
localmente gli ambienti cattolici più avvertiti stanno
sulle spine (vedi «La Sindone in una Chiesa ecumenica: un problema», V. Morero. L’eco del Chisone, 11
dicembre ’97). Personalmente non mi scandalizza il
culto del lenzuolo, forse è
meglio di quello della Borsa
valori e dell’indice Mibtel.
Il cattolicesimo ha sempre
tratto grande forza dalla costruzione di simbologie popolari o dal loro riconoscimento, e oggi questa integrazione tra messaggio cristiano e culture è, ad esempio in America Latina, F
unica resistenza effettiva
contro il diffondersi di un
certo fondamentalismo cristiano e della Iglesia electrónica dei predicatori telematici. In Africa ha contribuito alla nascita e allo sviluppo di una teologia cristiana non coloniale. E così
via. Naturalmente resta il
problema di che cosa abbia
a che fare con l’annuncio
evangelico. A suo tempo la
Riforma protestante ha detto
autorevolmente la sua. Il
confronto (ecumenico?) è
tutt’ora aperto, come si sa.
Ma ciò che mi sembra offuscato è il ruolo pervasivo
del culto laico della Sindone. Quando Torino era la
città della Fiat era chiaro
che questa sintesi era presunta. Si sapeva che c’era
un conflitto in atto, che
l’onnipotenza della Fiat si
doveva misurare con una resistenza operaia diffusa.
«Città della Fiat», al solo
pronunciarla, segnava una
divisione, tra chi lo riteneva
un complimento e chi una
disgrazia; creava contrapposizione e dunque anche riconoscimento. Pensavi la
città e dovevi collocare an
che la Fiat. Linee di avversità si creavano tra torinesi:
sane marche di pensiero che
rendevano gli uni identifica
bili dagli altri. Ciascuno con
proprie immagini della città,
fors’anche del mondo. Contrapposte, ma confrontabili.
Con Torino, città della
Sindone, tutto questo scompare. Una melassa sindonica
si diffonde dappertutto e
ciascuno fa a gara per essere
in prima fila. Gli enti pubblici, «laici», sborsano fior
di miliardi perché hanno intravisto il business turistico,
cioè affari e immagine; i più
dotati pensano che va anche
bene come canovaccio simbolico. Nell’assenza di idee
forti laiche, nella povertà di
riti socialmente presentabili
(lo stadio e lo shopping lasciano un po’ a desiderare),
nello svaporamento delle
memorie, niente di meglio
che raccogliersi attorno ad
un lenzuolo che almeno di
storia ne ha tanta, ancora
meglio se un po’ controversa. Tutti civilmente uniti,
chi ci crede, chi no, chi va
bene così. Nessun conflitto,
nessuna contrapposizione,
nessuna differenza. Il Sacro
Lino steso sulle divisioni e
sugli antagonismi; una polis
giubilante e rintronata; una
brodaglia unica che non riesci a staccarti di dosso. Mastro Lindo pulirà facciate e
strade, trombe e tromboni
allieteranno torinesi e pellegrini, cerimonie sontuose
commuoveranno i cuori.
Tutti alla ricerca del più alto auditel sociale.
Una laica ostensione di
uniformità sociale e mentale
da far paura. Cardinali a canonici a far finta che si tratti
di onore reso a Dio, politici
e assimilati a raccontarsi
che così si fa democrazia. In
una città che sulle differenze mal vissute si sta dilaniando, una città che avrebbe bisogno di un progetto
conflittuale, di parte, ma fecondo, in cui identità e tensioni non fossero dissimulate, ma confrontate.
10
PAG. IV
Valu "^lLdesi
VENERDÌ 2 GENNAIO 1998
VEN
V
E uscito un libro sul «mito» della Valpe
Settant'anni
di hockey su ghiaccio
PIERVALDO ROSTAN
Ci sono in Italia intere generazioni di ragazzini
che collezionando le «mitiche» figurine Panini conoscono a memoria ogni particolare
dei giocatori della squadra del
cuore; si parla, naturalmente,
di calcio. Quel che può apparire incredibile è che in vai
Pellice, la stessa conoscenza e
la stessa passione si possano
provare per uno sport come
¡’hockey su ghiaccio, disciplina sportiva praticamente sconosciuta in Italia ad esclusione dell’Alto Adige, di una
parte del Veneto, della Valle
d’Aosta e della Lombardia.
Quella dell’hockey in vai
Pellice è una storia di quasi
settant’anni, intrecciata con
una guerra, una crisi industriale drammatica negli Anni
60, tre impianti (Blando, Sea
di Torre e infine la patinoire
di via Filatoio); momenti di
grande intensità agonistica alternati a periodi bui: nell’ultimo decennio basti pensare al
crac Candellero oppure alla
lunga chiusura delio stadio
per i lavori di copertura.
E sul piano sportivo ci sono
stati clamorosi alti e bassi, dai
sette anni vissuti pericolosamente ma entusiasticamente
in serie A a cavallo fra gli
Anni 70 e 80, a epiche vittorie
nelle serie minori sempre vanificate da momenti di follia
negli incontri decisivi. Siamo
stati di fronte a una vicenda
agonistica che ha messo insieme alcune delle famiglie più
importanti della valle e semplici operai o studenti; e, in
ogni epoca, l’hockey di Torre
Pellice ha coinciso con la famiglia Cotta Morandini.
Tutto questo è raccontato
ora in un libro* realizzato da
Mauro D’Eusebio e Daniele
Arghittu, cronisti, in epoche
diverse, di questo sport. Per
chi ama l’hockey, permette di
penetrare nei segreti di quel
mondo che storicamente fa
da contorno, composto di
tifo, ma anche di fanciulle innamorate, di difficoltà economiche, di paure, di arbitri
sempre «avversi»... di aneddoti. Una storia di paese letta
attraverso uno sport.
(*) Mauro D’Eusebio-Daniele
Arghittu: Hockey Valpe. Storie e
leggende di un mito. Lar editore,
1997, 224 pagine. £ 20.000.
ATLETICA LEGGERA
Si sono disputati a Torino i
campionati regionali individuali di corsa campestre valida quale terza prova del trofeo Piemonte. La partecipazione alle gare è stata di buon
livello sia qualitativo che
quantitativo; la formazione
del 3S Luserna Sangermanese
si è presentata al via con molte assenze e comunque ha ottenuto importanti risultati.
Negli Esordienti 2° posto
dell’ottimo Alessandro Clot;
fra i Ragazzi coraggiosa gara
di Mattia Martin, 12“; nei cadetti 10“ posto per Niccolò
Martin. Nella categoria Juniores-Seniores conferma per
Eederica Bertin, 12“ assoluta
e 5“ fra le Juniores. Ultimi a
partire i Seniores maschili
con Fabrizio Cogno 12“ assoluto e 3“ fra gli universitari.
PREMI CONI '97
Il Coni, nell’intento di riconoscere gli sforzi delle società sportive e di incentivare
la pratica delle varie discipline, assegna annualmente
provvidenze di carattere economico. A livello pinerolese i
premi di quest’anno sono andati al Motoclub Gentlemen’s, al Tiro a segno di Pinerolo, al 3S Luserna, alla
polisportiva Body sistem,
all’Atletica Pinerolo e al 3S
Pinerolo. Sabato 20 dicembre
sono stati premiati gli sporti
A colloquio con Giovanni Peyrot, presidente di «Urania>
Un nuovo osservatorio
FEDERICA TOURN
Salendo fino al Bric del
Colletto di Luserna San
Giovanni si incontra una curiosa costruzione che sorge su
una collina circondata dalle
vigne e dai boschi: si tratta dei
primi due moduli del nuovo
osservatorio astronomico voluto dall’associazione astrofili
«Urania». I lavori sono cominciati a giugno scorso e ora
è arrivata anche la parte più
delicata, la cupola costruita
appositamente a Nîmes. Ma
non è tutto: gli aderenti all’associazione, con un notevole
lavoro di volontariato, hanno
già spianato parte del terreno
sottostante e costruito un comodo parcheggio. Il nuovo
osservatorio, che dovrebbe essere operativo a metà dell’anno prossimo, ospiterà i cinque
telescopi (due sono portatili)
di proprietà dell’associazione
e permetterà a tutti di osservare con più chiarezza il cielo
notturno. Gli astrofili però
non si accontenteranno di questo: tra i progetti spicca quello
di costruire sul Col Barant,
dove non c’è inquinamento luminoso, un altro osservatorio,
che invii via radio le immagini a quello di Luserna.
1 soci astrofili, in questi 8
anni dalla fondazione dell’associazione, si sono riuniti in
una scuoletta Beckwith lasciata loro dal Comune in
cambio di alcuni lavori di ristrutturazione; lì hanno riunito i loro strumenti (c’è anche
uno spettroscopio, oltre al
bellissimo miniplanetario),
costruito dei pannelli illustra
L’Eco Delle Valli Valdesi
Via dei Mille, 1 - 10064 Pinerolo
tei. 0121-323422; fax 323831
redazione Torre Pellice
tei. 0121-933290: fax 932409
Sped. In abb. post./50
Pubblicazione unitaria con Riforma
non può essere venduto separatamente
Reg. Tribunale di Pinerolo n. 175/60
Resp. ai sensi di legge Piera Egidi
Stampa: La Ghisleriana Mondovì
Una copia L. 2.000
tivi per le scuole e tutti i visitatori interessati all’astrono
mia, e messo insieme una ncca biblioteca sull’argomento.
Il 10 novembre è iniziato un
corso di astronomia per animatori planetaristi: «Lo scopo
- spiega il presidente dell’associazione, Giovanni Peyrot è innanzitutto divulgativo: abbiamo una ventina di iscritti e
speriamo che almeno 3 o 4 di
loro si fermino a fare del volontariato alla fine delle lezioni». I nuovi «educatori» così
formati dovranno offrire la
propria disponibilità per alcune ore la settimana per svolgere attività didattica a scuole e
gruppi organizzati. Infatti
l’osservatorio è una tappa interessante, soprattutto per le
scuole; peccato che la valle
per ora non abbia colto fino in
fondo questa opportunità: arrivano infatti scolaresche da Savona o dalla pianura ma meno
dai Comuni della Val Pellice.
Il progetto educativo dell’associazione è comunque interdisciplinare, perché prevede
per il prossimo anno anche
una serie di conferenze di storia e meteorologia, oltre che di
astronomia in senso stretto».
- Ci sono anche spazi per
la ricerca in un’associazione
come la vostra ?
«Certo: tutti gli asteroidi
sono stati scoperti da astrofili;
è ovvio che per scoperte più
importanti si ha bisogno di
strumenti più sofisticati. Comunque il ruolo degli astrofili
non è indifferente, non fosse
altro che nella battaglia contro
l’inquinamento luminoso, di
cui si preoccupano in pochi
ma che impedisce di vedere il
cielo nella sua bellezza».
- «Urania» è cresciuta notevolmente in questi anni: come si finanzia?
«Essenzialmente con le
quote dei soci, che ammontano a 70.000 lire all’anno, e
poi con i doni degli appassionati. Adesso siamo stati in.seriti nei progetti del regolamento Cee 2081/93 per lo sviluppo turistico locale: se la
nostra “manifestazione di interesse’’ sarà accettata dovrebbero arrivare circa 25 milioni,
il 50% delle spese previste
per il nuovo osservatorio, che
ci permetteranno anche di
avere un museo che ospiti diverse apparecchiature e molti
libri die ora non sappiamo
dove mettere, una sala conferenze e una nuova stanza per
il planetario, oltre ovviamente
ai servizi igienici per essere in
regola con le leggi Cee».
L’associazione «Urania» è
ovviamente aperta a tutti e gli
astrofili sono sempre contenti
di far visitare agli interessati
il materiale raccolto e la notte
stellata che a occhio nudo
non siamo in grado di .vedere.
Potete trovarli sempre il sabato dalle ore 16 alle 18 nella
vecchia scuoletta Beckwith,
dove si continua la tradizione
di insegnamento e oggi si fa
«lezione di scienze».
vi che si sono distinti per il
loro impegno. Primo fra tutti
va citato l’avv. Giorgio Cotta
Morandini al quale è stata assegnata la stella a merito per
la sua attività cinquantennale
nel mondo dell’hockey su
ghiaccio. Per il loro impegno
a favore dello sport sono stati
anche premiati Eros Gonin
del 3S, Adriano Richiardone
della Pesca sportiva Baghero
e la società Arcieri della vai
Chisone.
CAMPO SQUALIFICATO
PER L'HOCKEY VALPE
Proprio nel momento decisivo per l’approdo al girone finale della prima fase del campionato di hockey su ghiaccio
la Valpellice dovrà scontare
anche una giornata di squalifica del campo. A seguito di intemperanze che l’arbitro Costa ha registrato nei suoi confronti nel dopo partita di Valpellice-Orsi Varese, la pista di
Torre Pellice è stata squalificata per una partita (Valpellice-Lariana). Si giocherà probabilmente a Como; la lotta
per le prime quattro posizioni
(le quattro squadre si affronteranno fra loro per determinare
le prime tre che accederanno
ai play off con le formazioni
del girone orientale) vede impegnate Palchi, Valpe, Bergamo e Chiavenna, mentre il
Como è ormai fuori dalla portata di tutti.
Il miniplanetario «Gato» all’Osservatorio di Luserna San Giovanni
Alimentazione
La ciotola
d'argilla
Mele alla mia maniera
VALERIA FUSETTI
Prendete 4 mele della
qualità che preferite, 2
tazze da tè di acqua, 2
cucchiai di zucchero di
canna, 1/2 cucchiaino di
cinnamomo (cannella macinata), 1/2 baccello di vaniglia, 2 cucchiaini di
margarina di mais, yogurt
magro a piacere, due cucchiai di germe di grano.
Procedimento: lavate le
mele e con l’apposito levatorsolo scavatele per bene. Sbucciate la calotta superiore, per non più' di 1/3
delle mele e mettetele in
una pirofila da forno con
la margarina fusa. Mentre
il forno si riscalda sino a
raggiungere i 180 gradi fate bollire in un pentolino
l’acqua con lo zucchero, il
baccello di vaniglia e la
cannella. Quando lo zucchero si è sciolto versate
lo sciroppo sulle mele,
avendo l’accortezza di
riempire il buco centrale.
Mettete nel forno e lasciate cuocere per 40 minuti/1
ora, sinché tutta l’acqua
non sia evaporata e le mele non siano cotte. Se si
dovesse rendere necessario aggiungere un po’
d’acqua ricordatevi di aggiungerla ben calda. Prima
di servirle spolverizzate le
mele con il germe di grano
e accompagnatele con una
ciotola di yogurt magro
freddo da cui ci si potrà
servire a piacere. Nei dolci
lo yogurt magro sostituisce egregiamente la panna.
Se avete problemi con lo
zucchero in molti negozi e
nelle erboristerie si trova
il succo d’acero: potete
sostituire lo zucchero con
questo sciroppo il cui potere dolcificante è accompagnato da 0 calorie!
AGAPE — Dal 2 al 6
gennaio week-end teologico
sul tema della conversione.
Dal 2 al 6 gennaio week-end
«Donne e macchine», riflessioni sulla tecnologia e la
conoscenza scientifica.
CEVAA — Martedì 6, alle 15 al presbiterio di Torre
Pellice incontro con il past.
F. Taglierò, membro del comitato esecutivo Cevaa.
CULTO ALL’OSPEDALE — Giovedì 8 gennaio
culto all’ospedale di Torre
Pellice a cura della chiesa di
Villar Pellice.
ANGROGNA — Martedì
6, alle 20,30 riunione quartierale a Buonanotte sul tema conduttore del secondo
ciclo di riunioni «La storia
valdese nel 150“ anniversario dell’Emancipazione».
BOBBIO PELLICE —
Domenica 4, alle 10,30 nella
sala: culto di inizio del nuovo anno con Santa Cena.
LUSERNA SAN GIOVANNI — Sàbato 10 gennaio alle 19, alla sala Albarin, bagna caoda comunitaria, a favore della ristrutturazione del tempio. Prezzo
lire 25.000; prenotarsi presso l’Asilo o i pastori.
PERRERO-MANIGLIA
— Giovedì 8 gennaio incontro dell’Unione femminile
alle 14,30. Scuola domenicale e catechismo riprendono regolarmente a partire
dal 10 gennaio. La corale riprenderà dal 12 gennaio.
PINEROLO — Il culto
del 1/1 non avrà luogo.
POMARETTO — Riunioni quartierali: venerdì 2
gennaio alle 15 all’Inverso
Clot, lunedì 5 alle 20 ai
Masselli, mercoledì 7 alle
20 ai Pons, giovedì 8 alle 15
all’Inverso Paiola. Giovedì
8, incontro di cultura religiosa per l’Unitrè sul tema
«Risveglio del secolo scorso», a cura del past. Bellion.
PRALI — Sabato 3 gennaio alle ore 21, al tempio,
grande concerto del coro Eiminal a favore della ristrutturazione del museo. Lunedì
5 gennaio prove del teatro
dalle 17, seguirà cena. Riunioni quartierali: 9 gennaio
venerdì alle 19,30 a Malzat.
PRAMOLLO — 1“ gen
naio culto al presbiterio con
Santa Cena. Riunioni quartierali: martedì 6 gennaio
alle 20 borgate Ruata e Bosi, mercoledì 7 alle 19,30
alle borgate Bocchiardi e
Sappiatti.
PRAROSTINO — Giovedì 1“ gennaio alle 10 nel
tempio di San Bartolomeo
culto di Capodanno con
Santa Cena.
RORÀ — Da giovedì 8
gennaio riprendono gli incontri di studio biblico alle
20,30 presso la sala Morel:
gli incontri avranno cadenza
quindicinale e l’argomento
sarà deciso durante rincontro dell’8 gennaio. Giovedì
15 gennaio riunione quartierale alle Fucine.
TORRE PELLICE —
Riunioni quartierali: martedì
6 gennaio all’Inverso, venerdì 9 alla Ravadera. La
.scuola domenicale riprende
il 10 gennaio, il precatechismo il 9. Lunedì 5 gennaio,
e nei tre lunedì successivi,
alle 20,45 al presbiterio, discussione sulla bozza sinodale sull’ecumenismo.
VILLAR PELLICE —
Lunedì 5 gennaio alle 20,30
festa per i bambini della
■scuola del Teynaud, tutti .sono invitati a partecipare.
VILLAR PEROSA —
Non ci sarà il culto del l/l.
VILLASECCA — Domenica 4 gennaio alle 10
culto di inizio anno con Cena del Signore. Giovedì 8
gennaio alle 14,30 incontro
dell’Unione femminile.
:rvizi
VALLI
CHISONE - GERMANASCA
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
Ospedale di Pomaretto, tei. 81154
Guardia farmaceutica:
DOMENiCA 4 GENNAIO
Ferrerò: Farmacia Valletti Via Montenero 27, tei. 848827
MARTEDÌ 6 GENNAIO
Porosa Argentina: Farmacia
Termini - Via Umberto I, telef.
81205
Ambulanze:
Croce Verde, Perosa: tei. 81000
Croce Verde, Porte : tei. 201454
VAL PELLICE
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
telefono 932433
Guardia farmaceutica:
DOMENICA 4 GENNAIO
Bricherasio: Farmacia Ferraris - via Vitt. Emanuele 83/4,
tei. 59774
MARTEDÌ 6 GENNAIO
Luserna San Giovanni: Farmacia Gribaudo - Via Roma
19 (Airali), tei. 909031
Ambulanze:
CRI - Torre Pellice, tei. 953355
Croce V. - Bricherasio, tei. 598790
PINEROLO
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
Ospedale civile, tei. 2331
Ambulanza:
Croce Verde, tei. 322664
SERVIZIO INFERMIERISTICO
dalle ore 8 alle 17, presso le
sedi dei distretti.
SERVIZIO ELIAMBULANZA
telefono 118
8 gennaio, giovedì — TORRE
PELLICE: Alla biblioteca della
Casa valdese, alle 15,30, conferenza sul tema «La cultura barocca in generale» con la prof.ssa
Annia Albani, per l’Unitrè.
9 gennaio, venerdì — PEROSA ARGENTINA: Alle 21, al
Centro anziani, per «Videoforum» proiezione di «Fino all’ultimo respiro», di J.-L. Godard. Ingresso lire 10.000.
9 gennaio, venerdì — LUSERNA SAN GIOVANNI: Alle
17,15 alla scuola media De Amicis, Marcello Garino parlerà su
«La riabilitazione di Bartolomeo
Vanzetti», per il corso di aggiornamento «Piccole storie, grandi
storie».
10-11 gennaio — BAGNOLO
PIEMONTE: La compagnia
«Sergio Tofano» presenta «Cuore
di cane» di M. Bulgakov, in scena alle 21 al teatro Silvio Pellico,
ingresso lire 15.000 intero, ridotto lire 12.000.
11 gennaio, domenica — PINEROLO: All’Auditorium comunale, alle 16, per «Di festa teatrando» in scena «L’acchiappastreghe», presentato dalla compagnia «Pandemonium teatro», liberamente tratto da «Le streghe» di
Roal Dahl. Ingresso lire 6.000.
Cinema
BARGE — Il cinema Comunale ha in programma, giovedì
1° gennaio, ore 15, 17, 19, 21
Vulcano: venerdì 2, ore 21, Missis Dalloway, sabato 3, ore 21.
Cop Land: domenica 4, ore
14,30. 16,45, 19 e 21,15 Donnie
Brasco, un uomo diviso in due.
PINEROLO — Per tutto il
periodo delle festività di fine anno la multisala Italia propone, alla sala «5cento» La vita è bella
di Roberto Benigni: feriali 19,45
e 22,20 prefestivi 19,45 e 22,30,
fe.stivi 14,45, 17.15, 19,45, 22,20
e alla sala «2cento» Il matrimonio del mio migliore amico, feriali 20.15 e 22,20 prefestivi
20,15 e 22,30; festivi 14,15.
16,15, 18,15,20,15,22,20.
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Vita Delle Chiese
L'itinerario della Fcei nelle zone terremotate di Umbria e Marche
Il municìpio nel campo sportivo
Una tendopoli a Sellano ospita le attività del paese che ora non esiste più
La scossa si è prodotta mentre era in corso una seduta del Consiglio comunale
PAG. 7 RIFORMA
EUGENIO RIVOIR
SULLA strada che da Foligno va verso Camerino,
un po’ prima del valico di
Colfiorito, c’è un paesino che
si chiama Casenove; di lì, lasciando la strada statale, si
prende a destra seguendo le
indicazioni per Norcia e per
Cascia e si comincia a salire.
Sono zone bellissime: non
hanno l’incanto della vai di
Chienta ma si respira un’aria
del sapor dei boschi: in tempi
diversi (e in un’altra stagione) questa parte dell’Umbria
deve aver attirato molta gente. Salendo verso Sellano si
incontrano solo Rasiglia e
Verchiano, poi case sparse
qui e là. Ma i segni del terremoto sono evidentissimi sin
da prima di Casenove. Arriviamo in fondo alla valle e,
scendendo verso la vai Nerina, ci appare il cartello se; gnaletico di, Sellano. Ci fermiamo per chiedere a un vigile il percorso per rintracciare il sindaco. «Non entrate a
Sellano - ci risponde il nostro
interlocutore - perché Sellano non esiste più». Non c’è
tono di rassegnazione in chi
ci parla, né c’è aria di rassegnazione fra quelli che sono
lì vicino: c’è anzi grande animazione: è giorno di mercato
e il mercato, naturalmente, si
svolge con le sue bancarelle e
l’animazione le grida e le voci
di ogni mercato.
Siamo ai margini del paese
e si è trovato un posto per
poter riprendere la vita di
opi giorno. Ma il paese non
c’è più; lo si intravede oltre lo
spazio che è stato creato per
venditori e frequentatori del
mercato. Continuiamo la nostra strada e arriviamo al vecchio campo sportivo; lì è tutto pieno di tende: c’è la sede
del Comune, ci sono le scuole (di vario grado), ci sono alcuni spacci: quasi tutto sotto
le tende. In un angolo della
grande tendopoli i servizi
igienici allineati a gruppi di
tre o quattro (belli, puliti ma,
appunto, agli angoli dell’accampamento). Immaginiamo
la pena di chi a ogni ora del
giorno o della notte non ha
altre possibilità che quella di
attraversare il fango e il freddo e approfittare dei gabinetti e delle docce.
Il sindaco ci accoglie con
grandissima cortesia e ci fa
da guida in due posti importanti. Prima, con lui, visitiamo quel che resta del centro
abitato, restaurato con cura
da poco. Il sindaco ci racconta della scossa avvenuta
mentre il Consiglio comunale era in seduta, e la torre
della casa comunale è crollata sul tetto (ma il tetto ha resistito), e qualcuno istintivamente ha chiuso le porte e
quando tutti sono usciti hanno trovato le automobili davanti al municipio compietamente distrutte dai cumuli
caduti dall’alto («Fossimo
»
usciti, saremmo morti tutti:
si vede che ci troviamo davanti a un terremoto che ci
vuol bene, che vuole poche
vittime», commenta il sindaco). E vicino alla casa del Comune c’è l’archivio con documenti che risalgono al dodicesimo secolo, in una casa
distrutta («Non possiamo
neppure controllare che cosa
è rimasto, perché il pericolo
è troppo grande»).
Poi, sempre accompagnati
da sindaco, andiamo a vedere le «nuova Sellano» a Villamàgina, a pochi chilometri
da centro. Lì è già preparato
quasi tutto, prima le abitazioni per la popolazione, poi
verranno i negozi, l’ospedale,
la banca, la posta e gli uffici
del Comune. Ma oggi è giorno di grande festa, ci dice
una signora vicino a un modulo abitativo, perché lasciamo le tende e troviamo un
container; almeno questo è
caldo, almeno abbiamo la
cucina e i servizi igienici in
casa. Ecco, gente che è contenta di aver riconquistato
qualcosa. Tutti, oggi, potranno trasferirsi qui. E intanto,
un camion dopo l’altro arrivano portando materiale e
portando via terra. La nuova
Sellano comincia a nascere,
con i suoi problemi; quando
sarà finito tutto, anche in
questo nuovo insediamento,
ricominceranno i problemi:
le distanze, l’adattamento a
una struttura completamente
diversa, le cose che sono rimaste nelle case distrutte,
ma anche i nuovi vicini di casa, le nuove amicizie e un
paese che conserva l’aspetto
del provvisorio.
Chiesa battista di Gioia del Colle
La testimonianza di Gianni
durante la sua malattia
EDOARDO ARCIDIACONO
Non c’è più. Gianni Orfino ci ha lasciati, all’età
di 45 anni, il Signore lo ha
portato via con sé. La sua
esistenza sembrava promettere una più lunga vita, ma
un male incurabile lo ha
stroncato immediatamente.
La sua vita è cresciuta costantemente nella fede nel
Signore, una fede vissuta
imitando Gesù Cristo in modo particolare. Sì... Gianni è
stato un credente particolare, un uomo giusto. Tutti noi
cristiani dovremmo essere
giusti, coerentemente imitatori di Gesù Cristo, ma spesso non lo siamo; Gianni è
stato fino all’ultimo respiro
un discepolo di Cristo, un
uomo di Dio, personalmente
ne sono testimone. Di lui
conservo un ricordo molto
caro. Ho conosciuto Gianni il
26 giugno del ’93 giorno del
suo battesimo. La pastora
Anna Maffei, che allora curava la comunità battista di
Gioia del Colle, mi invitò per
questa occasione particolare.
Mi colpì la disarmante lealtà
e sincerità con cui Gianni testimoniò quel giorno la sua
fede. La sua è stata una testimonianza forte, gioiosa, ricca, intensa: il suo battesimo
era frutto di una maturata
decisione.
Due anni fa Gianni veniva
colpito inesorabilmente da
un tumore all’esofago e nella
malattia mi diceva: «...il battesimo è la mia testimonianza di fede cristiana e io ho
impegnato la mia pur breve
vita per Gesù, perché lui è
colui che ci salverà dalla
morte e dal peccato». La
morte non lo spaventava, e
mi diceva; «È assurdo che un
Liguria e Basso Piemonte
Le chiese evangeliche
e la questione dei giovani
ERMINIO PODESTÀ
SABATO 14 novembre si è
svolta a Genova, presso la
Chiesa valdese di via Assarotti, l’Assemblea delle Chiese evangeliche della Liguria e
del Piemonte meridionale
(Felp). Alla Felp aderiscono
le seguenti chiese; battiste:
La Spezia, Chiavari, Rapallo,
Genova, Sampierdarena, Albisola; metodiste: Alessandria, San Marzano, Sestri Ponente; valdesi: Genova, Sampierdarena, Imperia. II presidente della Federazione,
Adriano Bertolini, ha letto la
relazione sull’attività svolta
durante l’anno, che è stata
Approvata daH’Assemblea.
La discussione si è poi focalizzata su due punti dell’
azione comune.
Il primo, l’intensificazione
del progetto giovanile Charbe Brown: il problema del
Slovani interessa tutte le co•nunità ed è importante
'^Feare nuovi strumenti di agSfegazione. Secondo argo•bento il Centro di solidabetà, ancora in fase di orgabizzazione: questa iniziativa
boti è rivolta solo agli extrabotnunitari, ma vorrebbe indirizzarsi a tutte le persone
dbe si trovano in difficoltà. A
Ibesto progetto hanno già
Aderito chiese che non fanno
Porte della Federazione, co^0 la chiesa della riconcilia‘lone di via Digione, e l’asdiiiblea dei fratelli di via
^Orin. Si tratta dunque di
^ attività molto importante
fdf allargare 1 confini della
munità che in passato hanno
mostrato diffidenza nei suoi
confronti.
Si è anche proceduto all’elezione del presidente e
dei consiglieri. Adriano Bertolini, valdese, è stato riconfermato come presidente;
consiglieri sono stati eletti
Mirella Corsani, Ilaria Scaramuccia (battiste), Francesca
Giaccone (metodista), Teodoro Fanlo y Cortés, Giacomo Grasso, Saro Solarino
(valdesi).
Ci sembra opportuno che
anche la Federazione ligurepiemontese, nella sua futura
attività, faccia tesoro delle
parole conclusive della predicazione tenuta dal pastore
Paolo Ricca al culto d’apertura dell’Assemblea nazionale della Federazione delle
Chiese evangeliche italiane:
«Credere in un Dio “atteso"
più grande, significa in ultima analisi fare più posto
all’amore nella nostra vita,
nelle nostre chiese, nella nostra Federazione, nel nostro
impegno ecumenico, nel nostro sforzo per costruire una
città più umana».
Una tavola rotonda all'Ospedale evangelico di Napoli
Curare la persona nella sua globalità
ANNA MAFFEI
,,O COPO fondamentale
>'»3 di un ospedale è istituzionalmente quello di “dare tempo alla vita”, ossia di
offrire ai pazienti cure e terapie perché siano limitati i
danni e le devastazioni delle
malattie e la vita ne venga
prolungata. L’incontro di oggi vuole riflettere da un altro
punto di vista, ossia su come
un’istituzione ospedaliera,
di stampo evangelico, come
Villa Betania, possa contribuire a “dare vita al tempo”.
Si passa da un’ottica quantitativa a un’altra più attenta
alla qualità della vita, guardando al paziente non solo
come corpo da sanare ma
come persona da curare nella sua globalità».
Con queste parole del pastore Massimo Aprile e con
un saluto del presidente della
Fondazione «Betania», Sergio
Nitti, si è aperto lo scorso 12
dicembre un incontro promosso dalla cappellania dell’Ospedale evangelico di Napoli sul tema appunto: Dare
Ulta al tempo. Vivere la fede
in una struttura ospedaliera.
Questo incontro, tenutosi
nella mattinata e conclusosi
'sderazione verso altre co
Per i vostri acquisti, per gii abbonamenti ai periodici evangeiici
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con un pranzo offerto dalla
Fondazione, era stato progettato come indirizzato soprattutto al personale ospedaliero, medici e infermieri che lavorano nell’ospedale, che
avrebbero potuto giovarsi, su
un tema cruciale come quello
indicato, di un’autorevole riflessione a due voci.
L’argomento è stato infatti
trattato per parte evangelica
dal prof. Paolo Ricca della Facoltà valdese e per parte cattolica da monsignor Agostino
Ubano, vescovo di Nocera e
delegato per l’ecumenismo
della Conferenza episcopale
italiana per la Campania.
Tuttavia le aspettative di partecipazione del personale interno all’ospedale sono andate in gran parte deluse. Buona
invece la partecipazione di
persone, in buona percentuale pastori della zona, provenienti dalle chiese fondatrici
dell’ospedale.
II professor Ricca è partito
dal considerare l’origine stessa dell’idea di ospedale, ossia
del prendersi cura collettivamente e non più solo privatamente degli ammalati, come
frutto dell’idea cristiana, che
si è concretizzata per la prima
volta nel monacheSimo benedettino, del servizio reso agli
ultimi, come rappresentanti
di Cristo sulla terra, nello spirito di Matteo 25, 36: «Fui ammalato e mi visitaste». La percezione biblica della unità del
corpo e dello spirito, nell’interezza della persona umana,
indirizza poi i credenti che
hanno, per lavoro o per altra
ragione, una responsabilità
verso l’ammalato, in primo
luogo all’«esserci» fisicamente accanto a chi soffre. «11 dire
di non avere tempo, o di avere poco tempo per le visite
agli ammalati, soprattutto
quelli gravi - ha affermato
Ricca - nasconde in realtà
una menzogna. Non noi, ma
l’ammalato ha poco tempo. E
quando si ha veramente poco
tempo da vivere tutto assume
una dimensione diversa».
Il vescovo Ubano ha costellato la sua relazione di testimonianze pastorali che hanno posto l’accento sull’importanza dell’ascolto e del
donare tempo d’ascolto all’altro. «La malattia - ha detto può essere il momento in cui
la persona, anche lontana
dalla fede, si pone le domande sull’esistenza e presenza
di Dio. Le laceranti domande
come quella posta da un uomo straziato dalla malattia
grave della sua unica figlia,
“perché proprio a me?” sono
al centro della pastorale cristiana. La sofferenza può essere una scuola di vita».
Un ampio e appassionato
dibattito ha ampliato e problematizzato, se possibile,
ancora di più l’ambito di riflessione. E la morte una sorella o una nemica? Quanta
distanza o quanta vicinanza
sono possibili accanto all’ammalato? Non dovremmo affrontare seriamente la questione della nostra parcellizzazione del tempo? E come?
Sono state queste ed altre le
domande emerse insieme a
quella cruciale sul significato
del patire. Un’occasione importante per vivere l’ospedale, come ha detto nella sua introduzione il pastore Aprile,
come zona di contiguità fra le
domande sulle terapie e quelle sul senso della vita.
cristiano che ha accettato
Gesù Cristo con il battesimo
abbia paura della morte; con
il battesimo il cristiano sa
che l’uomo vecchio non c’è
più ma c’è una nuova creatura, sa che la morte non c’è
più ma c’è una nuova speranza, una nuova vita». Questa fiducia non veniva da lui
stesso, ma la trovava nel Signore che è un Padre d’amore e di misericordia. Questi
sono stati i colloqui che ho
avuto continuamente con
Gianni negli ultimi due anni
della sua vita.
C’era ancora speranza per
la sua guarigione e lui continuava a dire: «Ho accettato
Gesù, ho risposto alla sua
chiamata leggendo l’Evangelo di Giovanni e in particolar
modo sono stato affascinato
dalle parole che Gesù ha detto al versetto 32 del cap. 8:
“Conoscerete la verità, e la
verità vi farà liberi". Sì, perché conoscere la verità è
molto importante, diceva
Gianni e se questa poi ti farà
libero vale la pena viverla intensamente. Quest’estate,
nel mese di agosto, mi disse;
«Mi manca un libro per poter
dire di aver letto tutta la Bibbia». Scherzosamente gli risposi: «Questo vuol dire che
conoscerai la verità e la verità ti farà libero». E con la
solita disarmante serenità e
sincerità che lo distingueva,
mi risposò: «È bello conoscere la verità, essere libero dal
peccato, dalla sofferenza,
dalla malattia, è bebo sapere
per un credente che Cristo lo
libererà dal peccato e dalla
morte... io sono sereno e fiducioso, se il Signore vuole
che sia questa la volontà, sia
fatta la sua volontà!»
Ho tanti ricordi di Gianni,
tante sue intense testimonianze, ma questa è quella
più forte quella con cui
Gianni ha vissuto la sofferenza, l’agonia, conservando la
forza della fede, perseverando, obbedendo alla parola di
Dio fino all’ultimo respiro,
senza mai temere la morte.
Ha voluto che il suo funerale fosse tenuto in una chiesa cattolica sia per Io spazio,
ma ancora di più perché
quel giorno fossero portate
per l’ultimo volta le parole di
Gesù, con le quali aveva accettato Gesù: «Conoscerete
la verità e la verità vi farà liberi», e soprattutto che queste fossero ascoltate dai familiari, amici, compagni di
lavoro di fede cattolica. Così
il 30 novembre nella parrocchia di San Rocco si è realizzato il desiderio di Gianni.
Per la sua dipartita la chiesa
era gremita, non ce la faceva
ad ospitare le 700 persone e
più che erano presenti. Chi
ha conosciuto Gianni anche
per una sola volta non è
mancato. La liturgia è stata
tenuta da chi scrive queste
righe, mentre la pastora Elizabeth Green ha predicato
su II Corinzi 4, 16-18 e 5, I10. Alla moglie Grazia che è
stata molto vicina a Gianni
nella malattia giorno per
giorno fino alla fine, e ai figli
Marco, Domenico e Silvano
vanno la solidarietà e l’amore fraterno della comunità; e
il Signore, che conosce ogni
cosa, li consoli e dia la certezza che Gianni «dorme»
nel Signore.
12
PAG. 8 RIFORMA
VENERDÌ 2 GENNAIO 1998 VENI
Chiesa battista di La Spezia
Una «Domenica liturgica»
nella linea di Graz
ANNA SINIGAGLIA
Domenica 30 novembre
alcune sorelle della chiesa di La Spezia hanno tenuto
il culto organizzato per «Domenica liturgica», secondo le
tematiche scaturite dall’Assemblea di Graz soffermandosi, in verità, solo su alcuni
punti: ecumenismo, superiorità dell’Europa, disoccupazione al femminile, ebraismo, ecologia e il punto B22
riguardante la competenza
delle chiese, che recita «...la
chiesa appartiene a tutte le
persone che sono discriminate». Noi sentiamo che è
questo il nostro posto d’onore, poiché sappiamo che è lì
che si trova anche quel Dio in
cui crediamo; «Le chiese - dice ancora il testo del docu
Graz. «Café chantant» per le
pause dei lavori
mento di Graz - riconoscano
l’opzione preferenziale per i
poveri (...) e si impegnino in
tal senso». Alcune giovani
hanno poi letto la raccomandazione di Graz per l’anno
2000: proprio queste raccomandazioni rivolte ancora alla chiesa presente hanno suscitato una certa perplessità.
E possibile chiedere a una
quarantina di persone, di cui
forse solo la metà realmente
interessate e motivate, di im
Un convegno a Torino
Contro il razzismo
testimoni del nostro tempo
pegnarsi a un carico ancora
maggiore?
Le perplessità ci hanno posto di fronte a un interrogativo; la liturgia che di solito
viene usata è soltanto la «scaletta» del culto? Invocazione,
Salmo, inno, sermone. Santa
Cena, saluto? Il Signore, credo, ci parla attraverso varie
forme se ci poniamo all’ascolto: se con l’esegesi del testo biblico, bene. Se con letture di «situazioni» gravi a
cui dobbiamo aprirci, bene:
tutto può diventare predicazione quando siamo insieme.
Alla Santa Cena servita con
garbo dai fratelli con lo spezzare al momento una pagnotta fragrante, il coro ha
cantato insieme alla comunità creando finalmente
quell’aspetto gioioso che essa
aspettava. Una domenica liturgica, dunque, un esperimento buono che è stato accolto e richiesto con l’auspicio di una sua riproposizione.
«Contro il razzismo, testimoni del nostro tempo»:
questo il tema del convegno
promosso il 13 dicembre dalla Chiesa valdese di Torino al
quale hanno partecipato oltre 150 persone. «Prima che
finisca l’anno europeo contro
il razzismo - ha detto il parlamentare europeo Rinaldo
Bontempi - occorre chiarire
che ogni giorno occorre essere non solo contro ma oltre il
razzismo».
Tra gli interventi significativi quello del responsabile
del Servizio migranti della
Caritas di Torino, Predo Olivero, che ha insistito sulla
necessità di «lavorare insieme, in modo particolare i cristiani torinesi, sui grandi temi dell’immigrazione in questi tempi in cui alcuni nella
nostra città soffiano sul fuoco della xenofobia creando
una finta emergenza». Annemarie Dupré del Servizio rifugiati e migranti della Fcei
ha analizzato la nuova legge
sull’immigrazione, attualmente al vaglio del Senato,
per coglierne i limiti ma anche la grande carica di novità. Il Convegno, ricco di interventi e moderato dal pastore valdese di Torino Giuseppe Platone, è stato anche
occasione per lanciare una
sottoscrizione cittadina per
alimentare il fondo borse di
studio a favore di giovani migranti che la diacona valdese
La manifestazione si è svolta a Torino, il 27-28 novembre
Gli «incontri di guarigioni» di Benny Hinn
LOREDANA RECCHIA
PIETRO ROMEO
La Bibbia ci ha forse abituato a discepoli troppo
sprovveduti o ingenui apostoli ma niente di tutto ciò si
è visto al Palastampa le sere
del 27 e 28 novembre, in occasione della visita in Italia
del famoso telepredicatore
americano Benny Hinn. Qui
niente è stato lasciato al caso:
un coro di duecento elementi
dietro un palco adorno quanto basta per lasciare spazio di
movimento all’animatore
dell’«Incontro di guarigioni»;
una «security» efficiente che
comprendeva guardie del
corpo ai lati del palco; un’orchestra con strumenti musicali e operatori che permettevano la precisa sincronia delle musiche con le parole del
predicatore; uno staff di sorveglianza di decine di persone; posti riservati ai disabili
con tanto di cartello; impianto di luci comandato a seconda dell’atmosfera. Insomma,
chi si aspettava una manifestazione di «colore» si è trovato in mezzo a uno spettacolo,
di hen 4 ore, organizzato nei
minimi particolari. Hinn è il
promotore di un’immensa
catena di reti televisive, la
«Trinity brodcasting network»
(che in Europa aggiunge la
lettera «E» alla sigla) la cui
emittente italiana è l’organizzatrice delle due,serate.
Eravamo migliaia a riempire i palchi del palazzetto della
Stampa (forse cinquemila) e
chi pensa a un pubblico di
anziani doloranti si sbaglia di
grosso: i giovani erano numerosissimi. Un mondo pentecostale immenso, quello
presente, proveniente da tut
Regala
un abbonamento
ta Italia e qualcuno anche
dall’estero (anche dal Sud
Africa). Sul palco, insieme a
molti ospiti, c’è anche il vicario del cardinale e tutti, o
quasi, i pastori pentecostali
di Torino.
La serata comincia con la
musica. I brani sono tutti
presenti sulla locandina,
stampata in carta patinata,
che illustra rincontro e sono i
pezzi più conosciuti del repertorio «evangelica!». Del
resto la musica e il canto rimangono l’elemento essenziale di tutta la manifestazione, musica alla quale partecipa lo stesso Hinn cantando
personalmente (molto ben
intonato e con una bella voce) molti degli inni; questa
parte è importante perché
prepara emotivamente (spiritualmente?) all’evento della
guarigione. Si prosegue, dopo la presentazione degli
ospiti, con alcune testimonianze dello stesso Hill, tra
cui la conversione di Daniel
Ortega (ex presidente sandinista del Nicaragua) e i colloqui con re Hussein di Giordania, al quale sembra aver
«strappato» la promessa di
una rete televisiva nel suo
paese in cambio di pellegrini-turisti. La predicazione sul
passo di Luca al capitolo 4,
38-39 (la guarigione della
donna...) è lunga e ripetitiva:
Hinn ci tiene a spiegare che
lo scopo dell’incontro non è
trovare la guarigione ma il
guaritore, che il protagonista
non è lui ma Gesù Cristo, insomma non corriamo il rischio di spostare l’attenzione
sul soggetto sbagliato. Prima
del momento più importante, però, non può mancare la
raccolta delle libere offerte e
anche qui l’organizzazione
non delude: migliaia di buste
preventivamente distribuite
sulle sedie sono destinate allo scopo. Non ci sono problemi; si può offrire anche in assegni. La promessa è che
neanche una lira uscirà dall’Italia e tutto sarà utilizzato
per l’emittente: «Siamo venuti a dare, non a ricevere», ribadisce l’oratore, citando anche Luca 6, 38 (...date e vi sarà dato in egual misura).
La parte più importante
e spettacolare arriva dopo
una abbondante mezz’ora di
preghiere e canti: migliaia di
persone in piedi e con le
braccia alzate invocano Gesù
e cantano accompagnati dal
coro. Il predicatore invita, a
un certo punto, ad appoggiare la mano sul punto malato
del corpo e pregare intensamente; al suo urlo «now!»
(ora!) il male è passato. Si
sentono alcune urla e l’invito
successivo è quello di andare
a testimoniare di questa guarigione direttamente sul palco, pena la perdita della guarigione stessa. Ecco che allora
decine di persone si mettono
in fila; Hinn le invita a salire
una alla volta e a dire ad alta
voce i disturbi che li tormentavano, un tocco del guaritore e il malato cade a terra,
svenuto, sostenuto dai ragazzi dello staff. Ci sono guarigioni (o almeno tali vengono
chiamate) di varia natura; dal
mal di schiena al cancro,
all’Aids: per tutti la sensazione è queila di un gran calore.
Perfino una bambina, la cui
madre dice che non camminava fino ad allora, muove
passi incerti insieme al guaritore e sviene al suo tocco.
La nostra sensazione, invece, è decisamente diversa.
Forse guardiamo con occhi
prevenuti ma, lasciando il
palazzetto torinese ancora
pieno di fedeli che osservano
incantati gli svenimenti provocati da Hinn, non possiamo evitare di provare un
profondo senso di disagio:
¡’atmosfera a tratti angosciante, le urla dei «miracolati», l’organizzazione grandiosa, ci lasciano in un grosso
dubbio, forse lo stesso di coloro che, entrati con la carrozzella, ne usciranno con la
medesima. È vero: lo Spirito
soffia dove vuole.
Immigrati il 1- maggio a Torino
Elena Vigliano, scomparsa
nel marzo scorso, ha gestito
con passione. Alcuni interventi, nel corso delTincontro,
anche a nome di organizzazioni cittadine, hanno voluto
ricordare il grande lavoro
della Vigliano «pioniera a Torino del lavoro tra i migranti», condividendo l’iniziativa
di sostenere il fondo borse di
studio. Chi volesse contribuirvi può farlo versando la
propria offerta sul ccp n.
17736109 intestato alla Chiesa valdese di Torino specificando, al momento del versamento, «per Elena». Le risorse raccolte saranno gestite direttamente dalla Commissione diaconia della
Chiesa valdese di Torino a
favore di giovani immigrati e
immigrate.
Chiesa valdese di Perugia
Il battesimo di Nicole
fiume d'acqua viva
La piccola Nicole Alexis
Garoui, nata a Marsciano
(Perugia) il 29 gennaio, è stata battezzata domenica 23
novembre nella chiesa valdese di Perugia. I genitori, Akim
e Adele Atkinson, portando
Nicole all’acqua battesimale,
hanno testimoniato la loro
vocazione a guidarla al Cristo
vivente, nella consapevolezza che «i vostri figli sono santi» (I Corinzi 7, 14), perché
appartenenti al Signore. Il
sacramento è stato amministrato dal pastore Paolo Ricca il quale, con elevate parole, ha ricordato che il battezzato appartiene a Dio che, in
Cristo, lo riscatta e lo chiama
nella sua chiesa. Antonella
Violi Sagripanti ha recato il
saluto e l’augurio più affettuoso e fraterno della comunità perugina. Una bambina
è stata portata al fonte battesimale: che cosa significa? Significa che Dio ha chiamato i
bambini alla salvezza prima
che essi ne siano coscienti.
Battezzare un bambino significa riconoscere cbe la
grazia di Dio precede ogni
conoscenza e ogni decisione
umana. La comunità evangelica perugina, stringendosi
festosa intorno ai genitori, ai
nonni pastore William Terence e Catharina Adriana
Atkinson, e a tutti i parenti, è
certa che dalla piccola Nicole, come dice l’evangelista,
«sgorgheranno fiumi d’acqua
viva» (Giovanni 7,38). (e.c.)
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Il battesimo delia piccola Nicole
La guarigione viene dopo l'invito alla conversione
Folle stanche, come pecore senza pastore
Cor
che
EMMANUELE PASCHETTO
Manifestazioni come
quelle che si sono svolte
al Palastampa di Torino con
la presenza del telepredicatore Benny Hinn non sono rare
nella Babele religiosa del
mondo evangelicale nordamericano e destano sensazione nel nostro paese. Tuttavia
da un punto di vista cristiano
non sono condivisibili: nonostante si faccia appello al Gesù che predicava alle folle,
che guariva gli ammalati e
scacciava i demoni, ci troviamo in una atmosfera che è
agli antipodi di quella che ci
viene testimoniata dagli evangelisti. Gesù non cercava
la pubblicità, non proclamava «questa sera c’è un miracolo per te», non chiedeva
soldi, non viaggiava freneticamente come un uomo di
stato o l’amministratore delegato di una holding, non era
accompagnato da cori ben
addestrati, da giochi di luci,
non dava spettacolo. E non si
dica che oggi bisogna stare al
passo con i tempi e quindi
l’annuncio dell’Evangelo e la
preghiera per gli ammalati richiedano queste cose.
«Lo Spirito è qui, qui davanti a voi in questo momento», si afferma, e centinaia di
persone corrono, si accalcano, si spintonano, ansiose e
affannate per accaparrarsi un
briciolo della sua presunta
presenza. L’esaltazione del
sensazionalismo che attira
migliaia di persone venute da
mezza Italia, per lo più cattolici carismatici, e poi pentecostali evangelici e curiosi,
tanti curiosi. Vengono in
mente le parole di Matteo:
«Gesù, vedendo le folle, ne
ebbe compassione, perché
erano stanche e sfinite, come
pecore senza pastore». Ma
non è onesto speculare sulle
debolezze, sulle frustrazioni,
sulle malattie, sul disorientamento dell’umanità. Prima
venga l’annuncio dell’Evangelo della Grazia e del perdo
I
do
ta
Un evento a cui tutti partecipano da
no, l’invito alla conversione,
prima si portino le persone al
vero Pastore e poi, se il Signore vorrà, potrà esserci anche la guarigione fisica.
La forza, la grandezza, la
novità e la bellezza dell’Evangelo sono qui ridotti a
emozionalismo e isterismo
collettivo, a soddisfacimento
dell’esigenza personale, privata. Certo, chi è mediamente sano non conosce l’impatto devastante che la malattia
può avere sul fisico e sulla
psiche di una persona, la sua
ansia di guarigione, ma l’impatto con l’Evangelo deve
essere totale. Abbiamo criticato la presentazione di un
Evangelo monco, che dimenticava le nostre necessità fisiche e ora si cade nel
pericolo opposto.
Vorremmo ricordare ai
tanti fratelli evangelici e cattolici affascinati da persone
come Benny Hinn le parole
di Gesù sui «falsi profeti, che
faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti» (Matteo
24, 24). Con questo non affermiamo che Hinn sia un
«falso profeta», diciamo solo
che occorre stare in guardia.
Né ci riteniamo «gli eletti»,
anzi riconosciamo che il suc
cesso di questo tipo di messaggio può essere un’accusa'
per noi. Non abbiamo saputo per tanti anni e non sappiamo ancora oggi portare
con potenza, con coerenza,
con umiltà il Cristo alle masse assetate e la nostra asserì;
za, i nostri colpevoli ritardi
vengono colmati in qualche
modo. È per noi un duro e
salutare richiamo a riprendere con maggior impegno e
fedeltà la testimonianza al
Cristo che salva, che libera,
che chiama alla sua sequela,
che ritorna.
Quanto ai pagani e ai cat;
tolici in malafede che sui
giornali e alla televisione
hanno scaricato il loro disprezzo e il loro sarcasmo sa
queste manifestazioni, diciamo loro con franca durezza
che li prenderemo in considerazione solo quando si libereranno dalla loro doppiezza e dal loro servilismo
ipocrita. Quando cioè avranno il coraggio di sferzare eoa
la stessa energia le analogh®
manifestazioni di fanatismo,
di religiosità de-viata, di denaro che corre intorno alle madonne che lacrimano o sanguinano, alle «Sindoni», f
sangue di San Gennaro e W
dicendo.
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1998 venerdì 2 GENNAIO 1998
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Vita Delle Chiese
Importanti lavori di adeguamento a Tramonti di Sopra
Il Centro «Menegon» ristruttura
Lo stàbile nsponderà di più recenti recjuisiti di sicurezzd, si doterà di càmere
e secessi per portatori di handicap e potrà essere utilizzato tutto Iranno
PAG. 9 RIFORMA
RENATO COÏSSON
CRISTIAN PRADOLIN
DOPO due campi di lavoro volontario ben riusciti, che hanno consentito il
recupero di infissi, sanitari e
quant’altro potrà essere riutilizzato, la ditta appaltatrice
ha finalmente dato inizio ai
lavori di ristrutturazione del
Centro ecumenico «Luciano
Menegon» di Tramonti di Sopra. Questa ristrutturazione
si è resa necessaria per adeguare il Centro ai requisiti di
sicurezza, secondo le normative delle leggi vigenti, realizzando al tempo stesso una
struttura più funzionale e più
rispondente alle necessità
dell’opera.
L’odierno prefabbricato,
costruito vent’anni fa, presentava sempre più dei problemi di manutenzione e la
concessione di un sostanzioso contributo da parte della
Regione ha incoraggiato il
Comitato a predisporre un
progetto complessivo di ristrutturazione. Saranno, fra
l’altro, realizzati una scala
interna che collegherà i tre
piani dello stabile, la rampa
d’accesso e due camere per
portatori di handicap, dodici
camere con servizi e un parcheggio.
I tempi di realizzazione non
dovrebbero superare l’anno,
per consentire di non interrompere l’attività, e dovrebbero terminare entro giugno
1998. A fronte di una spesa
preventivata di circa 550 milioni, le disponibilità finanziarie attuali ammontano a 441
milioni (178 milioni di contributo a fondo perduto della
Regione Friuli Venezia Giulia,
220 milioni di mutuo agevolato a 15 anni e 43 milioni di
prestito Eclof a 6 anni).
Importantissimo sarà il
ruolo che quest’opera potrà
svolgere nel futuro. Oltre a
compiti di aggregazione per
gli evangelici di tutto il NordEst, non soltanto per le nostre comunità battiste, metodiste, valdesi, luterane ma
anche per i numerosi gruppi
evangelici della zona, sviluppando l’organizzazione di
campi studio, campi per cadetti, famiglie, autogestiti, il
Centro punta a diventare un
luogo di incontro tra le popolazioni e le culture del
, Chiese metodiste del Nord-Est
Comunità impegnate
che guardano al futuro
ANDREAS KÖHN
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3 e vie
IL Nord-Est vive. Ne è rimasto convinto il pastore Valdo Benecchi dopo la sua visita alle chiese evangeliche
metodiste di Gorizia, Trieste
e Udine, svoltasi in un clima
molto fraterno intorno alla
seconda domenica d’Awento; «Vado a casa veramente
edificato. Ho trovato delle
comunità provate ma fiduciose, molto impegnate e
molto coraggiose. Volevo incoraggiare e sono stato incoraggiato. La burrasca è finita,
andiamo avanti».
Durante la sua visita il presidente dell’Opcemi ha preso
atto della netta ripresa di tutte le attività delle chiese metodiste del cosiddetto NordEst; oltre a ciò ci sono segni
concreti che lasciano sperare
molto. Il travaglio ha fatto
spazio a una nuova grinta su
tutti i livelli della vita delle
chiese: «Come Opeemi abbiamo vissuto questi ultimi
tempi con dolore e preoccupazione; adesso bisogna andare avanti, dobbiamo rafforzare la nostra identità metodista all’interno della Federazione, dobbiamo essere
più metodisti - afferma BeOecchi Talvolta abbiamo
tilancato a dare il nostro
contributo specifico, e pensiamo soltanto all’importanza dei predicatori e delle
Ptedicatrici locali, al ruolo
dei circuiti. E bisogna essere,
soprattutto, dei buoni ammidistratori». Come già dichiatato al Sinodo, l’Opcemi dedicherà i prossimi cinque andiin particolare al risanadtento dei bilanci, impepando specialisti e metodi
fenici adatti a tale scopo.
I viaggi di Valdo Benecchi
Notizie evangeliche
agenzia stampa
abbonamento annuo L. 60.000
da versare sulccp 82441007
intestato a Nev - Roma
negli Usa, dove c’è da osservare un interesse crescente
per il metodismo italiano,
non sono soltanto serviti a
ottenere sostegni economici
per alcuni pastori all’opera in
Italia. Benecchi ha spiegato agli amici d’oltreoceano
anche le situazioni di crisi
che si sono create nel NordEst e a Casa materna. Situazioni che, ovviamente, non
hanno contribuito a fare crescere la fiducia nei confronti
delle chiese metodiste in Italia. Perciò ha affermato più
volte la ferma volontà di fare
aumentare i controlli all’interno delle opere diaconali:
«Desidero massima trasparenza - ha detto Benecchi per ciò che riguarda la vita
delle nostre chiese».
Di fronte alla difficile situazione finanziaria dell’Opcemi
il pastore ha richiamato le
chiese alle proprie responsabilità, citando i ritardi nelle
contribuzioni, che non sono
una «tassa», ma una «caratteristica protestante che esprime la propria spiritualità, la
riconoscenza per i doni che
abbiamo ricevuto e continuiamo a avere. Forse dobbiamo riflettere sul livello
della nostra spiritualità».
Significativi per il futuro
del metodismo italiano sono
i due nuovi poli di evangelizzazione a Vicenza e a Porto
San Giorgio (Marche), nonché la presenza di due studenti metodisti alla Facoltà
valdese di teologia a Roma,
fatto nuovo dopo sette anni
di «siccità vocazionale» in
campo metodista: «Questi segni contraddicono le Cassandre che annunciano la fine
del metodismo italiano», ha
detto Benecchi. Infatti ci sono molti segni di speranza,
basta percepirli: a Udine per
esempio è appena iniziato un
nuovo progetto con i numerosi metodisti del Ghana che
sono da tempo nella città. A
Natale si è svolto il primo
culto in lingua inglese. Anche
questo, certamente, è un
contributo al futuro del metodismo in Italia.
Procedono i lavori al Centro
«Menegon»
l’area dell’Europa centrorientale: Austria, Slovenia,
Croazia, Cechia e Slovacchia.
Per questi motivi, pur consapevoli delle difficoltà anche economiche in cui si dibattono attualmente un po’
tutti, ci permettiamo di chiedere un gesto di generosità
concreta, per modesto che
sia, che contribuisca a realizzare questo progetto e a saldare regolarmente in futuro i
debiti che stiamo contraendo con il mutuo. La vostra risposta sarebbe per noi anche
grande motivo di incoraggiamento. A lavori conclusi, grazie all’impianto di riscaldamento di cui vogliamo dotare il Centro, questo potrà
funzionare tutto l’anno, rivolgendosi anche alle scolaresche o a gruppi sportivi
che vogliano approfittare del
clima favorevole della valle.
Invitiamo tutti a venirci a
trovare per conoscere meglio la nostra attività e a collaborare con noi per una testimonianza evangelica in
questa regione. Ci auguriamo così che tutti possiate
sentirvi parte integrante di
questa iniziativa. Le somme
potranno essere versate con
la causale «Sottoscrizione
Centro L. Menegon» o sul cc
n. 7170500192 della Banca
commerciale italiana, filiale
di Pordenone, o sul ccp n.
12168597 intestato a Pradolin Cristian, -via S. Caterina 3
- 33170 Pordenone.
Si ricorda che le somme
versate tramite i cassieri delle proprie chiese possono essere defiscalizzate.
Donne battiste in Sicilia
I problemi della bioetica
tra scienza e teologia
DORA LORUSSO
Domenica26 ottobre si
è tenuto a Catania, nei
locali della comunità di via
Capuana, il Convegno regionale delle donne battiste. L’
incontro ha approfondito alcune tematiche riguardanti la
bioetica, argomento di indubbia attualità. Oltre alle
donne battiste provenienti
dalle chiese siciliane, ne erano presenti anche alcune filippine (appartenenti alla
chiesa etnica di Reggio Calabria) nonché delle rappresentanti del Movimento dei
focolarini di Catania.
Gli aspetti tecnico-scientifici del tema sono stati illustrati da due sorelle della
chiesa di Catania, Flora Roiti e Lea Barreca, operatrici
presso un ospedale della
città. Gli argomenti trattati
hanno spaziato dal trapianto
di organi alla fecondazione
artificiale, dall’accanimento
terapeutico alla clonazione. Il
pastore Cristopher Mattock
ha affrontato il tema dal punto di vista etico, affermando
che l’etica cristiana non detta
normative che si prestino a
equivoci, non agisce su presupposti dogmatici, ma basa
la propria autenticità sull’
Evangelo che libera l’uomo e
la donna da costrizioni morali, conferendo loro responsabilità e esigenza di confrontarsi costantemente sul Comandamento di Dio.
Infine la pastora luterana
Almut Kramm ha affrontato
la questione etica sotto l’aspetto biblico-teologico, facendo osservare come la Bibbia, pur non essendo un manuale di regolamenti etici,
ci può essere d’aiuto. È stato
scelto come testo di riferimento il brano dell’Antico
Testamento relativo all’episodio della torre di Babele; nel
racconto si è vista l’esemplificazione primordiale dell’aspirazione dell’essere umano
verso la libertà e l’unità. Il
tempo in cui viviamo ripropone questi motivi, poiché la
libertà da ogni sistema di au
torità (politica, spirituale,
morale) e dalla globalizzazione (politica, scientifica, economica, sociale) sono obiettivi a cui miriamo. Certo il nostro sogno di un mondo ricondotto a unità non è del
tutto sbagliato, ma la Bibbia
ci vuole mettere in guardia
dal fatto che anche l’umanità
unita può fare delle scelte
sbagliate se asservite e frutto
dell’ambizione: lo dimostra il
progetto della torre di Babele,
gigantesca espressione dell’ambizione umana. In questo senso l’accelerazione del
progresso tecnologico, senza
volerne negare i meriti, fino a
che punto avviene in misura
adeguata e a misura umana?
Nel racconto della torre Dio
reagisce al progetto di ambizione dell’uomo, confondendone le lingue, quasi a volerlo
proteggere da se stesso.
La relatrice ha evidenziato
il fatto che oggi, come chiesa,
dovremmo agire da elementi
moderatori, dando spazio anche a quelle voci che si sentono minacciate dal progresso
tecnologico: dare voce agli
handicappati, i quali temono
che il diritto alla vita sia concesso solo ai bambini in perfetta salute; dare ascolto alle
voci che temono sia lecito
praticare l’eutanasia nel caso
di handicap o intelligenze minorate, con la legittima convinzione che queste situazioni portino a sofferenze umanamente non sopportabili. La
pastora Kramm ha tenuto a
precisare che queste considerazioni non intendono ostacolare la scienza, bensì approfondirne gli aspetti inquietanti delle applicazioni
pratiche: quindi, paradossalmente, occorre essere sabbia
nell’ingranaggio piuttosto che
olio, che lo fa funzionare in
modo più scorrevole.
Il dibattito seguito alle varie
relazioni è stato molto partecipato e ha suscitato molti interrogativi che rivelano la vastità del problema ma anche
il senso di responsabilità e la
sensibilità sempre attenta che
è richiesta ai credenti.
Agenda
7 gennaio
AOSTA — Alle 18, nella Sala conferenze della Biblioteca regioriale, la rivista «I valdostani» presenta un ciclo di articoli
per il 1998 sulla realtà delle valli valdesi, in continuità con il
legarne stabilitosi con la Carta di Chivasso. Introduce Luisa
Aureli Bergomi, direttore della rivista. Intervengono Eligio
Milano, coordinatore delle ricerche, e Alberto Corsani.
10 gennaio
MILANO —Alle ore 17, presso la Libreria Claudiana, mons.
Gianfranco Ravasi e il past. Giorgio Tourn discutono del libro «Italiani e protestantesimo: un incontro impossibile?».
Presiede il pastore Giovanni Carrari.
FIRENZE —Alle ore 17, presso la Chiesa metodista (via de’
Benci 9), il prof. Giorgio Spini parla sul tema «Storia degli
evangelici italiani dall’Unità d’Italia».
11 gennaio
MESTRE — A partire dalle 10 (culto) e fino alle ore 17, in
via Cavallotti 8, si tiene il primo dei tre incontri di formazione organizzati dal Consiglio del 7“ circuito e dalla Federazione delle chiese evangeliche del Nord-Est rivolti a predicatori locali, catechisti, monitori e giovani. Tema della
prima giornata, che prevede la relazione di Sergio Cozzi, è
«Verità e salvezza dentro e fuori il cristianesimo».
ROMA — Alle ore 17, alla Facoltà valdese di teologia (via P.
Cossa 42), per la celebrazione della giornata dell’ebraismo.
Amicizia ebraico-cristiana e Sae organizzano un incontro
sul tema «Che cos’è l’uomo, che ti ricordi di lui (Salmo 8,5)».
!2 gennaio
■
TRIESTE — Alle ore 18,30,presso la sede in via Tigor 24, il
Gruppo ecumenico propone una conversazione di Sergio
Cozzi sul tema «Teologia cristiana ed ebraismo».
NAPOLI — Alle ore 18, alla sede del Goethe Institut (Riviera di Ghiaia 202), l’associazione Partenia invita alla conferenza sul tema «Cristiani ed ebrei alle soglie del terzo millennio». Relatori Daniele Garrone, docente alla Facoltà valdese di teologia, e Paolo Gamberini, docente alla Facoltà di
teologia dell’Italia meridionale. Tel. 081-668846.
Radio e teleuisio
ne
CULTO EVANGELICO: ogni domenica mattina alle 7,27 sul
primo programma radiofonico della Rai, predicazione e
notizie dal mondo evangelico italiano ed estero, appuntamenti e commenti di attualità.
PROTESTANTESIMO: rubrica televisiva di Raidue a cura
della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, trasmessa a domeniche alterne alle ore 23,40 circa. Domenica
11 gennaio: «25 anni di Protestantesimo in tv; Brevettiamo
aiiche la vita? (una riflessione etica sulla direttiva del Consiglio europeo); Riforma, un settimanale evangelico; Incontri
(rubrica biblica)». Replica lunedì 19, ore 9,30 circa.
AVVERTENZA: chi desidera usufruire di questa rubrica deve inviare i programmi, per lettera o fax, quindici giorni prima del venerdì di uscita del settimanale.
Cronache
PRAROSTINO — La corale, accompagnata dal suo direttore
Silvano Calzi, si è recata a Gap nei giorni 29-30 novembre,
ospite della locale comunità della Chiesa riformata di Francia. Questo invito ha fatto seguito alla visita a Prarostino da
parte di un gruppetto di giovani lo scorso agosto. I coralisti
ospitati presso le famiglie hanno ricevuto un’accoglienza
veramente calorosa; già il sabato sera era stato organizzato
un incontro allo scopo di conoscersi meglio (alcune persone della chiesa di Gap sono originarie di Prarostino) e naturalmente per cantare insieme. La domenica, dopo il culto
con Santa Gena al quale la nostra corale ha contribuito con
il canto di alcuni inni, ha avuto luogo un’agape fraterna.
Poi la partenza con il desiderio e l’impegno di dare vita a
nuovi incontri per il futuro.
• Felicitazioni a Dario e Claudia Fornerone per la nascita
del loro secondogenito Luca.
• Fraterne condoglianze alla famiglia di Olinto Gardiol che
ci ha lasciati.
TORRE PELLICE — Domenica 21 dicembre una bella assemblea ha partecipato al pomeriggio comunitario preparato
dai vari gruppi musicali (corale, coretti, gruppo flauti). La
colletta è stata destinata alla Casa delle diaconesse sulla cui
ristrutturazione è intervenuta la direttrice Judith Elliot. Al
termine rinfresco per tutti alla Foresteria.
• Si sono svolti in questi ultimi tempi i funerali di Giovanni
Vigna, Albina Jourdan, Giovanna Debernardi ved. Tagliaferro, Ada Malan Costantino, Anna Gönnet ved. Meynet,
Fiammetta Rostan Pons, Dora Longo ved. Massa. Con cristiana simpatia la comunità è vicina alle famiglie in lutto.
GIOIA DEL COLLE — Tre lutti nel giro di poche settimane
hanno messo a dura prova la piccola chiesa battista. Il 18
novembre un tragico incidente ha troncato la vita del fratello Donato Lopiccolo, di 68 anni, uomo sempre fedele,
puntuale e attento ai culti domenicali. La liturgia è stata
condotta dal pastore locale Edoardo Arcidiacono, mentre il
sermone è stato tenuto dalla pastora Anna Maffei, che ha
ricordato la figura mite e obbediente davanti al Signore del
fratello Donato. Alla moglie Maria, al figlio Gino e alle figlie
Angela e Anna vanno l’affetto della comunità e le benedizioni del Signore. Il 29 novembre, dopo un atroce malattia
è venuto a mancare alla giovane età di 45 anni il fratello
Gianni Orfino, mentre il 6 dicembre si è spenta serenamente la sorella Carmela Favaie, di 98 anni, zia dell’anziano Francesco Favaie. Il pastore locale, durante il servizio
funebre, ha ricordato ai presenti che solo chi crede in Gesù
Cristo ha la speranza cristiana della vita eterna. Ai familiari
vanno la solidarietà e il conforto del Signore.
14
PAG. 10 RIFORMA
venerdì 2 GENNAIO 1998
I valori da condividere
Alberto Corsani
La decisione di Gianfranco Fini di rinnovare il suo partito, superando ogni residuo del fascismo e di Salò, ha il
merito di costringere il mondo politico-culturale italiano
a riflettere sui cosiddetti valori. Mi sembrano infatti poco
pertinenti le prime reazioni alla «svolta bis» di An e alle
dichiarazioni del presidente della Camera Violante, che a
questa operazione guarda con favore e richiede per la
medesima il sostegno delle altre forze politiche. Non mi
sembra centrata l’accusa di voler seppellire il passato.
Nessuno ha proposto questo: si è proposto un percorso di
ridefinizione della memoria storica collettiva: tutto sta
nel come si compie l’operazione; saranno da rifiutare i
revisionismi opportunistici che collocassero sullo stesso
piano chi combatteva per la libertà e chi per mantenere
una situazione di oppressione e dittatura.
Ancora meno pertinente è lo sdegno di chi. Bottiglione
in testa, lamenta che siano post-comunisti e post-fascisti
a gestire questa fase di rinnovamento della democrazia,
legittimandosi a vicenda, loro che dovrebbero imparare
dagli altri che cosa sia la democrazia. Qui bisogna intendersi: il pensiero e la politica dei cattolici e dei liberali, a
cui si riferisce Bottiglione, ha proposto in questi 50 anni
dei modeUi importanti ma Dossetti, La Pira, Jemolo e Gonella sono altra cosa rispetto a Tambroni e Sceiba; un
Bozzi o un La Malfa, o un Pertini, o ancora l’eredità culturale del Partito d’Azione hanno ben poco da spartire con i
fasti del Pentapartito e del Caf.
Piuttosto: qualora si ritenga che abbia un senso (io
penso che ce l’abbia) pensare a una elaborazione di alcuni fondamenti del vivere comune, condivisibili da tutti i
nostri concittadini, bisognerebbe fare una discussione
per una volta di merito su questi cosiddetti valori. Poco
importa quanti cromosomi di fascismo restino nei discorsi di Fini e dei suoi; importa invece sentire e giudicare le sue proposte di valori. Perché ci saranno quelli buoni e quelli meno buoni: se si tratta di alcune parole sentite in tv, come patria e onore, non ci siamo. Non perché ci
stia dietro il fascismo, ma perché sono concetti non condivisibili, chiunque li proponga.
Il concetto di appartenenza è importante, purché non
lo si intenda in maniera totalizzante e vincolante la persona. L’appartenenza di per sé non può legittimare alcun
comportamento, che deve invece essere regolato dal rispetto delle norme comuni e dalla coscienza individuale.
Se per patria si intende amor patrio, difesa della patria,
fierezza, parliamo di qualcosa che richiama episodi spesso indifendibili; se a questo poi associamo il concetto di
onore non si può non rimarcare che l’onore, in Italia, si
tira dietro due tristi connotazioni: quella, sinistra e perturbante, dell’«uomo d’onore» e quella del delitto d’onore di non troppo lontana memoria. Non per questo
l’amore per la propria terra è da liquidare, nemmeno da
parte di chi ha condotto finora battaglie in nome dell’internazionalismo o del pacifismo.
Se invece si tratta di riallacciarsi a un’idea complessiva
dei rapporti con le molteplici tradizioni culturali, artistiche e creative del nostro paese (di cui sarebbe bene essere più consapevoli, magari andando a visitare le basiliche
delle nostre regioni invece che alle Maldive), allora il concetto di patria è riduttivo. Dovrebbe comprendere la capacità di legare una tradizione culturale e quei fondamenti del vivere insieme (che informano la prima parte
della Costituzione in vigore e non mi sembrano anticaglie) alla presa di coscienza di far parte di una collettività,
non per appartenenza «divina» o etnica e immutabile,
ma perché giorno per giorno, anno per anno, si decide di
rinnovare l’adesione a questo patto: i protestanti, e in
questi primi giorni dell’anno il metodismo mondiale,
hanno molto da dire in proposito. Pochi, in Italia, discutono di valori: la cultura cattolica ha più certezze che
dubbi; i «laici» parlano quasi sempre in quanto tecnici, se
parlano; i protestanti potrebbero farlo, subordinando
ogni valutazione sui valori alla reinterpretazlone degli
stessi, a cui la Bibbia ci costringe.
Riforma
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Croce, Paolo Fabbri, Fulvio Ferrario, Giuseppe Ficara, Giorgio GardioI, Maurizio
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Riforma è il nuovo titolo della testata La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con il
n. 176 del 1® gennaio 1951. Le modifiche sono state registrate il 5 marzo 1993.
Il numero 48 del 19 dicembre 1997 è stato consegnato per l’inoltro postale all’Ufficio
CMP Nord, via Reiss Romoli 44/11 di Torino mercoledì 17 dicembre 1997.
Un tema centrale del dialogo ecumenico
La riconciliazione delle memorie
Non si tratta tanto di chiedere perdono per il passato quanto
di ravvedersi per l'oggi, rivedendo molte posizioni dottrinali
ALBERTO TACCIA
UNO dei temi che ormai
non è più possibile eludere nel dialogo ecumenico è
quello denominato «riconciliazione delle memorie». Se
capisco bene si tratta di affrontare, di comune accordo,
l'analisi critica di quei fatti
storici considerati devastanti
nel rapporto tra le chiese e, in
particolare, tra la Chiesa cattolica e le dissidenze minoritarie. Fatti che hanno largamente contribuito, non solo
a dividere le chiese ma, in un
rapporto di diffidenza, renderle reciprocamente nemiche, fino a non molti anni fa.
Le motivazioni della
repressione
In questa ricerca appare
necessario non solo limitarsi
a un semplice confronto con
espressioni di generico riconoscimento, ma risalire alle
motivazioni di fondo che
hanno giustificato, o quanto
meno determinato, l’azione
repressiva. Lasciando da parte le ragioni di opportunità
politica o di potere legate al
tempo, occorre mettere allo
scoperto le radici teologiche
o meglio ecclesiologiche, che
sono alla base del conflitto e
che ancora oggi possono
condizionare il cammino
ecumenico.
Il canonico Gabriele Mercol di Pinerolo, in un pregevole libretto' dedicato all’argomento, pubblicato recentemente, puntualizza il problema in una citazione tratta
da Grado Merlo": «Ciò che
importa è la differenza di
proposte cristiane. Il contrasto è in primo luogo a livello
etico religioso, con riflessi oggettivi sul diverso modello di
chiesa rispettivamente realizzato. Le finalità erano le stesse e i modi per conseguirle assai contrastanti». Tanto contrastanti che pur di non rinunciarvi vale la pena di farsi
ammazzare e pur di affermarli vale la pena di ammazzare. La fedeltà (o la rigidità)
nelle rispettive posizioni ha
scatenato la violenza. Filippo
Gentiioni scrive: «Il rapporto
tra violenza e sicurezza delle
verità è confermato dalla constatazione che, al loro interno, le religioni sono tanto più
violente nei confronti dei dissidenti, quanto più sono dogmatiche. Il primato, triste,
sembra che spetti proprio al
cristianesimo e, nell'ambito
del cristianesimo, al cattolicesimo. Primato, si noti bene,
non esclusivo»^.
Questo sembra coinvolgere la natura stessa della chie
I \ questa patte del tnotido
che suole denominarsi cristiana, nessuna festività è
tanto pagana quanto il Natale. È un inno al consumismo
più sfrenato e irresponsabile,
anche se tutti si lamentano
di non avere soldi. Intanto, ci
informano le compagnie aeree, dal 1" dicembre non c’è
più un posto disponibile per
i voli verso i Caraibi, le Maldive, le Bahamas e così via.
Le città sono piene di addobbi sovente di cattivo gusto e
le vetrine scintillano.
Tanto più amara questa visione, quanto più tragiche le
notizie che continuano a
giungerci dall’Africa centrale:
migliaia di profughi fuggono
dalla guerra nel Congo, una
colonna interminabile di
gente disperata che ha perso
tutto, casa, terreni, bestiame;
si accampano la sera su una
stuoia, sperando che non
sa, capace di azioni nefaste,
nell’affermazione della sua
autorità spirituale.
L'ecclesiologia
Eppure «la società costituita da organi gerarchici e il
corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale, la chiesa terrestre e la
chiesa ormai in possesso dei
beni celesti, non si devono
considerare come due cose diverse, ma formano una sola
complessa realtà risultante di
un duplice elemento umano e
divino. Per una non debole
analogia, quindi è paragonata al mistero del Verbo incarnato (...). Questa è l’unica
chiesa di Cristo che nel simbolo professiamo: una, santa,
cattolica, apostolica (...). Questa chiesa, in questo mondo
costituita e organizzata come
società, sussiste nella Chiesa
cattolica, governata dal successore di Pietro...»\ Nel riconoscere gli errori della chiesa,
ci sembra di cogliere un elemento di esitazione nel tentativo, da parte cattolica, di distinguere la chiesa dai figli
della chiesa a cui pare meno
impegnativo attribuire gli atteggiamenti devienti, introducendo una distinzione che,
se ulteriormente sviluppata,
potrebbe condurre a una visione diversa dell’ecclesiologia cattolica. È indubbio che
le «porte inferi» (Mat. 16, 18)
hanno largamente prevalso
nella storia della chiesa di
Roma il demonio che essa vedeva incarnato negli eretici
messi al rogo, era largamente
presente e vincente all’interno della chiesa stessa! (vedi
anche il v. 23 dello stesso capitolo di Matteo).
Mi pare che una riflessione
su questi aspetti non possa
non condurre a riconsiderare
proprio la natura stessa della
chiesa di Roma nel rapporto
con le altre chiese cristiane
nelle quali, senza pretesa di
esclusività e di identificazione, è pure presente la chiesa,
il corpo di Cristo.
Il perdono
Ma l’esito della «riconciliazione delle memorie», anziché a una revisione dottrinale sembra condurre a una richiesta di perdono, da parte
cattolica, agli odierni eredi
delle dissidenze perseguitate
nel passato. A questo riguardo le dichiarazioni appaiono
forti e coraggiose nel riconoscimento della violenza esercitata. Questo onora la Chiesa cattolica di oggi e non
possiamo non cogliere autentici elementi di pentimento e di fraternità in questo atteggiamento.
Ma da qui emerge un altro
elemento di perplessità derivante dalla natura stessa del
perdono. Nella Scrittura il
perdono è essenzialmente invocato da Dio («Ho peccato
contro te e contro te solo e ho
fatto ciò che è male agli occhi
tuoi, lo confesso affinché tu
sia riconosciuto giusto». Salmo 51) e nei rapporti interpersonali il perdono deve essere offerto dalla parte offesa
(Mat. 6, 12). Non solo, ma si
tratta anche di un atteggiamento limitato personalmente ai soggetti interessati
(«se il tuo fratello ha peccato
verso di te», «e Pietro disse:
Signore quante volte peccando il mio fratello contro di
me, gli perdonerò io?», Mat.
18, 15-21). L’iniziativa e
l’onere di perdonare sta dunque a chi personalmente ha
ricevuto l’offesa. Ma nel nostro caso coloro che hanno
ricevuto l’offesa sono morti,
non sono più in grado di perdonare o se hanno avuto il
coraggio di dire prima di salire al rogo: «Padre, perdona
loro...» non lo sapremo mai.
Oggi, in una situazione di
tranquillo distacco, noi non
possiamo perdonare per conto loro. Non credo che ne abbiamo l’autorità, né il diritto.
Un altro elemento di perplessità sta nel rischio che il
perdono, anziché stimolare
la volontà di scavare per evidenziare le motivazioni ecclesiologiche che hanno portato al dissenso violento, tenda invece a coprire o, come si
usa dire, metterci una pietra
sopra. Mi sembra dunque, al
fine di una maggior chiarezza
nell’attuale dialogo ecumenico, di dissociare la ricerca del
confronto critico delle memorie storiche dall’offerta o
dalla richiesta di un perdono
che può prestarsi a incomprensioni e ambiguità. Qonfldiamo gli uni e gli altri nel
perdono e nella grande misericordia di Dio che ci chiama
tutti al pentimento e alla
conversione. Davanti a noi
non sta dunque un perdono
che per le realtà passate non
ci appartiene ma il ravvedimento e la vera riconciliazione per le generazioni presenti
e future.
(1) Gabriele Mercol: Verso un
traguardo di riconciliazione. Per
una visione ecumenica dei rapporti tra cattolici e valdesi nel
Plnerolese. Pinerolo, ed. L’eco
delChisone, 1996.
(2) Grado G. Merlo: Valdesi e
valdismi medioevall. Torino,
Claudiana, 1984.
(3) Filippo Gentiloni: La violenza nella religione. Torino, ed.
Gruppo Abele, 1991, pag. 39.
(4) Concilio Vaticano II: Lumen Gentium, cap. 1,8.
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PIERO bensì
piova. 200.000 bambini si sono smarriti e i nostri commissari cercano di ricongiungerli alle famiglie; altri
bambini non ce la fanno e
muoiono al ritmo di 22 ogni
minuto, a causa della denutrizione oppure della fame
spaventosa patita dalla madre durante la gravidanza.
Eppure il messaggio del
Natale è un messaggio straordinario. Non ha nessuna importanza sapere se Gesù è nato il 25 dicembre o in qualsia
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Cattolici e tv
Sta nascendo la televisione
«dei vescovi»; un’emittente
che si servirà della diffusione
satellitare e a cui si sta lavorando da parecchio tempo. Il
settimanale (10-16 dicembre)
dedica un ampio servizio di
Elaminia Morandi al progetto, che coinvolge fra l’altro il
regista Pupi Avati. Forti gli
antecedenti: «La Rai era cominciata cattolica e con un
programma cattolico, creare
un linguaggio comune in
un’Italia che parlava dialetto
e (...) una cultura dalle radici
cristiane. Ma poi la macchina
aveva avuto la meglio sul
progetto; i cattolici erano diventati soprattutto democristiani». Poi ancora «meno democristiani, più socialisti.
Meno Rai, più Berlusconi (...).
Frammentazione dei linguaggi televisivi, orgia di pubblicità. Fine del progetto culturale cristiano». Ma l’attenzione per il medium continuava
con solide ragioni: «Cinque
secoli fa l’invenzione del medium stampa era servita per
diffondere la Bibbia. La stampa crea un rapporto personale e privato con quel che si
legge e fu proprio l’interpretazione personale della Sacra
Scrittura a contribuire alla
frattura della Riforma».
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Un’intervista di Leonardo che que;
Servadio all’architetto con- duca in
temporaneo Philip lohnson corpo ei
affronta (16 dicembre) la di- chiese, ;
versa natura dei locali di cui- particoh
to negli Usa. Spiega lohnson: cessano
«Il committente congregazio- tazioni c
naie (...) richiede ampi spazi contenu
per vaste assemblee che seguono forti predicatori... La bertàdii
chiesa di cristallo che ho prò- fratelli e
gettato a Garden Grove [Los prevalgi
Angeles, ndr] è di questo ge- ™c) spir
nere. Si tratta di un tipo di erispettc
edificio adatto a ospitare
grandissime assemblee, la
cui esistenza dipende dalla
personalità del predicatore; ^
questi è il proprietario della 1
chiesa e grazie alla sua predicazione riesce a raccogliere
molti fondi dai fedeli. Oppure può essere orientata al servizio liturgico, come le chiese
cattoliche. Mi vengono jj ®t)Diamo
mente le chiese barocche o le
chiese medievali che avete in ®
Italia. Io preferisco questo se- ^
condo tipo di chiese perché fr
non sono solo contenitori P® _
ma edifici che esprimono
qualcosa. La chiesa è destina- °
^ - Stazione
La 1
del
Caro d:
ta a qualcosa di più grande»
si altro giorno dell’anno: l’importante è sapere che Gesù è
venuto in questo mondo e
questo significa che Dio è
dalla nostra parte, che Dio è
per noi, che Dio ama quest’
uomo con tutto il bagaglio
della sua malvagità. Questo il
messaggio meraviglioso del
Natale, il dono di Dio. Fin dal
Medio Evo siamo stato abituati a figurarci Dio come un
giudice sempre pronto a punire l’uomo. Non è così: Dio è
dalla nostra parte!
uendo ris
q quanti l’I
v^desi e
Come si spiega allora l’in’
finita sofferenza umana? Dio
è con noi nella nostra sofft'
renza: perciò Gesù non na- * PuUi
sce, come Giovanni Battista
da una famiglia di sacerdoti artic
ma nasce da poveri in un»
povera stalla, non certo al pertr
trezzata come le nostre stalli enuti
modello di oggi. E il male, i j. ^
peccato? Dio è con noi, ne!
nostro peccato, non coffl*
complice certo, ma pr^”'
dendolo su di sé nella crod,
di Cristo. Se abbiamo capii®
questo, se abbiamo afferrai® ® e lo
che Dio è dalla nostra partt ^ *
non possiamo più essere g® ®
uni contro gli altri. Quest® '
significa veramente celebra . do». (
re il Natale. r®!Cei
^*'6 Violati
(Rubrica «Un fatto, un co4*'®l>n signii
mento» della trasmissione di W' Ula solo e
diouno «Culto evangelico» curdt ei
dalla Federazione delle l9KifQj.^g
evangeliche in Italia andata in o«'
da domenica 21 dicembre 1997)-
15
VENERDÌ 2 GENNAIO 1998
1998
Pagina Dei Lettori
PAG. 1 1
RIFORMA
Il «buon nome»
metodista
O
Il comunicato della Tavola
valdese e dell’Opcemi relativo a «Il nome metodista», apparso su Riforma del 28 novembre ha suscitato in me
varie impressioni e corrispondenti reazioni riconducibili, nel migliore dei casi, a
profondo disagio. E ciò sia
dal punto di vista formale per
certe espressioni quali per
esempio «le sedicenti Società
cristiane metodiste» di inquisitoriale memoria sia dal lato
sostanziale, nel ricordare
l’assunto dell’art. 52 relativo
al Patto di integrazione fra le
nostre due chiese. Se la volontà degli estensori di tale
articolo voleva tutelare il
«buon nome» sia valdese che
metodista, di fatto si è tradotto, in questo particolare caso,
in un attestato grave contro
la libertà, termine che è giustamente da noi particolarmente sentito, quale eredità
precipua della Riforma.
Ricordo, senza peraltro voler estendere la disamina ad
altre realtà nel variegato
mondo evangelico, che negli
Usa esistono le chiese battista del Sud (Southern) e del
Nord, divise sì, ma entrambe
«Baptist» e per non andare
troppo lontani la nostra renuava alta italiana annoverava le
inque chiese metodiste «episcopael me- le» e «wesleyana».
Nel caso in esame poi, che
si riferisce alla circolare stilata da fratelli e sorelle di Trieste e Gorizia, devo ricordare
erpre- che gli stessi «non si prefigSacra gono di dar corso ad una
e alla ' •
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chiesa» ma accentuano un
«servizio missionario» considerandosi «in linea con i
principi wesleyani di fede cristiana adottati dal Consiglio
mondiale metodista».
Pur nel vivissimo auspicio
nardo che questa vicenda non pro) con- duca fratture insanabili nel
hnson corpo ecclesiale delle nostre
la di- chiese, credo che in questo
di cui- particolare momento sia nemson: cessario non esprimere valugazio- fazioni così perentorie, come
i spazi contenute nel citato «comuhe se- nicato», nel giudicare la liri... La bertà di testimonianza di altri
o prò- fratelli e sorelle, e che in tutti
e [Los prevalga sempre e soltanto
;to ge- spirito di vera fraternità
ipo di e rispetto.
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lee, la
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) della
prediigliere
Oppaal serchiese
Alberto Cane
San Lazzaro (Bo)
La necessità
della chiarezza
Caro direttore,
pare che il Comunicato che
ino i» ®frfriamo pubblicato sul nube ole eli Riforma del 28 nóvete ia '^®fffbre abbia sollevato qualsto se- perplessità e alcuni disajerché forse la pena precisa
litoti ehe Tavola e Opeemi sono
mono f^sponsabili della corretta
jstina- Bastione del «Patto di Intende». §f®zione» rispettando e facendo rispettare la volontà di
j quanti Thanno sottoscritto:
valdesi e metodisti, tutti ina l’in- decisi a condividere in
a? Dio fraternità e solidarietà il futusoffe- loro chiese, superan
m na Í particolarismi denomiittista '^^zionali. E, fintantoché esierdoti l’articolo 52 del Patto di
n un* pl®grazione, Tavola e Comirto af permanente Opeemi so; stallo tenuti a farlo rispettare,
lale, il 5?*^ elementare esigenza
nfll Correttezza e riisrinlina
oi, n0 p ^Oftattezza e disciplina,
t-onie è noto (o dovrebbe es
COfflO
preH' noto) l’art. 52 recita: «Le
croci "®uominazioni “valdese” e
capito tietodista" disgiunte o abbiFerrato^®!® e lo stemma valdese,
parte assono essere usati da enti
ere gL®'/^gole persone solo per
)uesto ®?Pliclta autorizzazione del
ilebra ®"todo». Quindi, basta chie®®tlo! Certo, si possono anfre violare i patti, ma questo
” m «essere liberi»,
' »a h? assere scorretti. La
curm libertà, eredità precipua del
è proprio un’altra
997).
cosa, come del resto altra cosa è l’inquisizione!
Siamo d’accordo che il modo metodista di vivere la fede
e di concepire la testimonianza dell’Evangelo non portano
un marchio di appartenenza.
Nell’integrazione stiamo appunto lavorando perché questo diventi un patrimonio comune. Altra cosa però è una
organizzazione ecclesiastica
che nasce e si situa fuori della
comunione con le chiese metodiste e valdesi in Italia e
che ha una propria confessione di fede. Qui si tratta non
solo di un uso illegittimo del
nome «metodista» dal punto
di vista del nostro ordinamento (e il nostro comunicato lo chiarisce), ma della divulgazione di un elemento di
confusione rispetto alla nostra testimonianza evangelica
in questo paese già così confuso e disinformato sulla
realtà evangelica.
Dunque nessun giudizio,
nessuna scomunica, nessun
processo dell’inquisizione
ma chiarezza accompagnata
dalla speranza di una fraterna ricomposizione che però,
anche dopo Tultima iniziativa di cui sopra, sembra farsi
sempre di più complicata.
per il Comitato permanente
Opeemi il presidente
Valdo Benecchi
per la Tavola valdese
il moderatore
Gianni Rostan
Finanziamo
pace e giustizia
Torno dal convegno sull’otto per mille (Opm) soddisfatto e con molte idee nuove. La
proposta del pastore Paolo
Spanu di creare una Fondazione, separata daU’Unione e
dall’ente patrimoniale, che
gestisca i proventi dell’Opm,
credo vada presa in considerazione non tanto e non solo
per il suo carattere mediatorio, ma soprattutto per la sua
carica creativa. Correttamente il pastore Spanu faceva notare che la decisione di prendere TOpm 0 meno va inserita in una scelta sul senso della
presenza delle chiese battiste
nella società italiana e, doma
ni, europea.
Esistono due modi della
chiesa di essere presente
nella società, che ereditiamo
da Israele: quello sacerdotale
e quello profetico. Il sacerdote è preoccupato di consolare il popolo e di accompagnarlo nelle sue scelte, il
profeta è preoccupato della
fedeltà del popolo e di spingerlo verso il Signore. Il secondo corrisponde al comprendersi come minoranza
significativa della società, il
primo a comprendersi come
E il cammino che sta davanti alla nostra generazione
Riscoprire una spiritualità nutrita dalla Bibbia
FRAtICO A. BONO
M I è piaciuto T«Elogio della debolezza» nel n. 40. Mi hanno colpito
particolarmente le riflessioni dell’ultimo paragrafo. Con l’accenno ai giovani
d’oggi mi è tornato in mente il tempo in
cui noi, allora giovani, eravamo assidui
al tempio pieni di interesse e di domande. Tanto per precisare, sono della generazione cresciuta cantando: «Oh,
quanto mi sei cara, o scuola del Signore!...», che alla generazione successiva
ha insegnato «Gesù m’ama: questo so;
la mia Bibbia ha detto ciò...». L’articolo
di Antonio Adamo ha provocato in me
riflessioni che sono venute fuori come
le ciliegie: una tira l’altra. Alcune sono
riuscito a fermarle su carta.
Sono d’accordo, nessuno potrà mai
essere capace di vivere l’Evangelo della
grazia di Dio. Se così non fosse non sarebbe più grazia, ma merito, perché risultato delle nostre capacità. E sono
anche d’accordo che questa realtà non
deve diventare un alibi per celarvi la
rtostra infedeltà e la nostra pigrizia spirituale. Ma mi chiedo: allora che fare?
Se la nostra riflessione teologica è debole e piena di incertezze, che fare?
Nalla colonna accanto, il sottotitolo corninciava così: «Bisogna cambiare
mentalità». Ecco, forse è quello che anche noi dobbiamo fare per uscire dal
tunnel. Forse cominciare con l’umile
ammissione che da qualche parte abbiamo sbagliato? Ma dove?
L’insistenza con cui Paolo Ricca, a ragione a parer mio, promuove e insiste
sul ritorno alla lettura quotidiana della
Bibbia mi spinge a pensare che forse è
da qui che dobbiamo cominciare. Forse bisogna tornare a considerare la Bibbia quello che è: la parola di Dio, cioè
un assoluto sul quale confrontarsi e
misurarsi e quando siamo trovati mancanti, invece di cercare giustificazioni o
nuove interpretazioni in armonia con i
tempi, tornare a attingere alla forza di
Dio che è certamente un dono, ma non
ciecamente distribuito ad arbitrio del
donatore, bensì disponibile per tutti
coloro che davvero vogliono esserne
investiti, perché Dio dà a tutti volentieri e generosamente.
E poi? Se la nostra riflessione teologica rimane ancora debole e piena di incertezze, che altro fare? Ogni viaggiatore sa che quando ci si accorge di avere
sbagliato direzione si deve consultare
una buona carta geografica, individuare
dove si è sbagliato e tornare indietro fino a quel punto per riprendere il viaggio nella direzione giusta. Forse dovremo cominciare con il confrontare senza
pregiudizi, con umiltà, la nostra riflessione teologica con la Bibbia per vedere
dove abbiamo lasciato la strada stretta,
per ritrovare la porta angusta, gli assoluti di Dio, le pietre miliari che indicano
la strada. Forse dovremo riscoprire la
potenza dello Spirito Santo che non è
monopolio di alcuni, perché Dio ce Io
ha dato ordinandoci di esserne pieni
(Efesini 5, 18). Forse dobbiamo riscoprire che la fede per la quale siamo
chiamati a vivere più che una reazione
intellettuale, un sentimento, è una
realtà che ti prende per portarti a essere
in dimestichezza con Dio, è il «passepartout» che apre tutte le riserve dei doni di Dio ai quali egli stesso vuole che
attingiamo liberamente, abbondantemente, senza limiti: con fede, appunto.
Per la fede vale la regola: «La funzione,
l’uso sviluppa l’organo».
Con degli assoluti, con la fermezza
della fede che ti riporta a Dio mo padre
(Giovanni 1, 12; I Giovanni 3, 1), con
una strada ben tracciata da pietre miliari inamovibili, allora, forse siamo ancora
in tempo a coinvolgere i nostri giovani,
dando loro dei valori assoluti invece di
quelli fragili, effimeri, mutevoli che offrono il mondo e la società di oggi. Torniamo a offrire loro un ambiente, degli
insegnamenti e, soprattutto, degli esempi di coerenza dimostrando praticamente, non a parole (non lo accetterebbero), che i valori indicati nella Bibbia,
parola di Dio, sono Talternativa a quelli
offerti dalla società moderna. Loro torneranno a noi e attraverso di noi torneranno a Cristo. Questo conta, anche se
può sembrare un’espressione vecchia,
desueta. Ma il «da chi andremo» non vale forse ancora oggi? Come non vale forse anche la seconda parte della domanda-affermazione di Pietro su cui tutti
certamente concordiamo: «Tu solo hai
parole che danno la vita eterna»?
sua componente. Il profeta
Samuele, al popolo che chiede un re (1 Samuele 8), dapprima si oppone e poi, dopo
aver reso consapevole il popolo di ciò a cui andava incontro, accoglie la richiesta e
unge Saul re di Israele. A mio
avviso chi interpreta il senso
della presenza delle nostre
chiese come una minoranza
significativa, quindi profetica, può accogliere TOpm in
modo profetico. Come?
L’Unione dovrebbe, sull’
onda del processo Giustizia,
pace e integrità del creato, individuare tre partner laici,
ognuno impegnato in una
delle tre aree di interesse (a
mo’ di esempio: Wwf, Amnesty International e il Mir). La
erigenda Fondazione, controllata dall’Unione, gestirebbe insieme ai partner i
proventi delTOpm e altri
fondi che potrebbe ricevere
daU’esterno. Credo che questo davvero sarebbe un progetto alternativo: non solo
perché non finanzia la chiesa ma anche perché non finanzia neppure la diaconia
della chiesa. Dal carattere
profetico: perché non tanto
e non solo contesterebbe il
carattere privilegiarlo del sistema delTOpm, ma anche
sarebbe un cavallo di Troia
Nella «Piccola biblioteca teologica» è uscito il n. 43
Karl Barth
L’UMANITÀ DI DIO
Nuova introduzione di Sergio Rostagno
pp. 128, L. 20.000
Che vuol dire: Dio è umano? «La sua libera affermazione
deil’uomo, la sua libera partecipazione alla sua esistenza, il
suo libero intenrenire per lui, questa __
è l'umanità di Dio». Noi la riconosciamo in Gesù Cristo in cui è avvenuta la reale trasformazione del
mondo. Se siamo testimoni effettivi
di questa trasformazione del mondo in Gesù, noi siamo uomini che
lottano, perché per Barth Dio ha voluto come suo partner un uomo libero le cui azioni sono autentiche e
valide. Un omaggio a 30 anni dalla
morte del grande teologo. |
H mmetBtiìce
Claudiana
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http://www.arpnet.it/-valdese/claudian.htm
che permetterebbe di far entrare nel sistema privilegiarlo clericale il mondo laico
ora escluso. Assolutamente
laico perché rappresenterebbe un modo nuovo di gestire
che non semplicemente dà,
ma permette di decidere insieme ai partner.
Infine sarebbe chiaramente caratterizzato e non polverizzato. Anche il problema
della pubblicizzazione dell'
intervento sarebbe superato,
perché potremmo affidarla
alla «rete» stessa delle organizzazioni coinvolte e forse
attirerebbe tutto un mondo
ecumenico che ancora contribuisce alla Chiesa cattolica italiana.
Mi immagino quali interventi potrebbe sostenere una
tale Fondazione non solo nel
campo degli aiuti, ma anche
nel campo della cultura della
pace e quale salto di qualità
per la nostra diaconia che
non verrebbe concepita come supplenza allo stato sociale, ma come coscienza
profetica operante. Certo le
chiese battiste non guadagnerebbero in soldi, ma certamente in fedeltà e la Fondazione avrebbe anche un
carattere di forum laico che
potrebbe lanciare nella società l’idea del processo Jpic
(giustizia, pace, integrità del
creato) nata nella chiesa. La
sua rilevanza potrebbe essere
davvero per tutta l’Europa.
Vorrei aggiungere un’ultima nota. Non credo che potremo accedere alle caselle
del 740 con la dicitura «Ucebi» o «Chiese aventi parte
nell’Unione...», le sigle non
comunicano niente. Forse
dovremo avviare una discussione nelle chiese per arrivare ad una dicitura del tipo:
«Chiesa battista italiana».
to sue opere, ricevendo sempre attestati di stima e riconoscenza. Nel campo artistico il maestro ha poliedrici interessi, sempre immerso nella natura così meravigliosa e
mutevole, con i suoi colori
infiniti che fissa nelle proprie
tele; la gradualità dei verdi
sembra afferrarlo nella mente, negli occhi e nei polsi. Ma
anche con i metalli, fusi e
plasmati, il suo approccio ha
prodotto voli di uccelli radenti il prato, in un geniale
incontro tra il duro ferro e il
fragile vetro.
Da molti anni mi ritrovo
con Marcello Silvestri per affrontare i temi della Rivelazione: molto suo lavoro si
ispira ai temi biblici; il lavoro
con lui è dunque proficuo
anche nel suo aspetto «ecumenico»: si tratta dell’opera
di un artista a cui auguriamo
di essere sempre più conosciuto e apprezzato, perché
la sua arte è predicazione del
messaggio biblico recepito
dal nostro essere: mente, occhi e sensi.
Luigi Spuri - Civitavecchia
La sorella
Alice Speiden
Italo Benedetti - Roma
La mostra
di Marcello
Silvestri
In questi giorni il maestro
Marcello Silvestri espone a
Roma, alla Basilica Santi
Apostoli. Si tratta di 14 icone
sviluppate e ispirate sul commento al Magnificat di Martin Lutero. Marcello Silvestri
richiama sempre la propria
ricerca biblica: in questo rapporto c’è tutta la coerenza
dell’uomo artista che con la
sua arte predica la gloria della creazione. In monti paesi
del mondo Silvestri ha porta
Sabato 6 dicembre scorso si
è spenta la sorella Alice Speiden Moore. Aveva 93 anni,
moltissimi dei quali passati in
Italia insieme al marito pastore dr. Moore e ai quattro
figli. Missionaria del Foreign
Mission Board della Southern
Baptist Convention, legò la
sua vita in modo particolare
alla direzione dell’Istituto «G.
B. Taylor», specialmente negli
anni più tumultuosi, difficili e
poveri del dopoguerra. Il suo
contributo fu instancabile e
prezioso: fu grazie al suo interessamento e ai suoi contatti
internazionali che il Taylor fu
arricchito di nuove costruzioni e giunse alla forma che noi
oggi conosciamo.
La sorella Alice Speiden
Moore spese la sua vita non
solo per l’Istituto, che sotto
la sua guida arrivò a ospitare
fino a 180 ragazzi, ma anche
in favore di molte sorelle battiste, dando un notevole impulso al lavoro del movimento femminile. Ultimamente,
benché ormai consumata
dagli anni, il suo cuore era
per la Casa di riposo e il progetto di sviluppo per accogliere anche gli anziani non
più autosufficienti, chiedendo che alla sua morte non si
spendessero soldi in fiori ma
si facessero offerte da destinare a questo progetto.
Ho conosciuto Alice Moore
sono negli ultimi anni della
sua vita, quando il suo dinamismo e la sua gioia erano
contenuti da un corpo che
non la assecondava più. Ricordo la sua gentilezza, la sua
serenità e la sua disponibilità
a offrirsi a tutti, a testimonianza di un’esperienza delTEvangelo che diventa partecipazione alla vita degli altri.
Come è stato ricordato al funerale, aveva sempre delle
parole positive verso chi incontrava, anche per la prima
volta: «...che begli occhi che
hai, che bei capelli». A me per
esempio diceva sempre: che
bel sorriso che hai, come la
tua mamma. Ho sempre apprezzato questo suo modo di
porsi nei confronti degli altri,
così in contrasto con un
mondo caratterizzato dall’invidia o dall’indifferenza.
Il funerale è stato celebrato
dal pastore Blasco Ramirez
martedì 9 dicembre e mi ha
colpito il fatto che, nonostante la sua generazione sia
ormai scomparsa da tempo,
la chiesa fosse piena di persone partecipi e commosse,
a segno della traccia profonda che la sorella Alice Moore
ha lasciato nella vita di tanti.
Irene Vianello - Roma
Errata
Nella lettera di Michele Foligno sul n. 48/1997 («La
scomparsa di Giovanni Gönnet e Severino Zotta») è contenuto un errore. Dove è
stampato «La sua fraternità si
esprimeva nella lettura della
Parola, nella preghiera, in
una breve e bella meditazione, edificata e fortificata»,
leggasi invece «...Eravamo
edificati e fortificati».
RINGRAZIAMENTO
"...io ti invoco, abbi pietà
di me, e rispondimi»
Salmo ZI, 7
Quasi al compimento del suo
97® anno di età, ora riposa nella
pace del Signore
Rita Alimonda
Lo annunciano le nipoti Elena e
Maria Peyrot, parenti e amici tutti.
Si ringraziano quanti sono stati
vicini in questa circostanza: parenti, amici e comunità.
Genova, 16 dicembre 1997
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RIFORMA
venerdì 2 GENNAIO 1998
Nel 1997
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