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ASNO XI-N. 12. Ill SERIE j^jrSCLvcLio 18C2
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LA BUONA NOVEiLA
GIORNALE DELLA EVANGELIZZAZIONE
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Andate per tutto il mondo e predicate l’Evangelo
(la Buona Novella) ad ogni creatura.
Matteo xvi, 1-5
PREZZO DI ASSOCIAZIONE l LE ASSOCIAZIONI SI RICEVONO
Per II llegno [franco a destinasione] ....£. 3 00 S In Firenze, da Uopoldo Pinzili, via Tomabuoni
^ ^ * al Deposito di libri religiosi.
' la Ljvoeno, via San Francesco, idem.
® ^ In Torino, via Principe Tommaso dietro ilTcm*
5 50 f Valdese.
^ Nelle Provjscib, per mezzo di franco-bolli postali, che dovranno essere inviati fninco in Fl
Per la SriiKera e Francia, id.......
Per r Inghilterra, id...............
Per la Germania id..............
Non si ricevono associasioni per meno d
un anno. renee, via Tomabuoni al Deposito libri religiosi.
All’estero, a’seguenti indirizzi: Parigi, dalla libreria C. Meyrueis, rue Kivoli;
Ginevra, dal signor E. Beroud libraio ; Inghilterra, dal signor G. F. Mulk*r,
General Merchant, 26, Leadenhall street. K. C.
SOMMABIO
Chi è priusto è nato da Dio. — Controversia biblica. — CoiTi¿pond«nza della Bvona NovtUa.
CHI E GIUSTO E NATO DA DIO
« Se voi sapete che Egli è giusto, sappiate che chiunqtie
opera la giustizia è nato da Lui » (1 Giov. ii. 29).
Tn questo versetto l’Apostolo ripreude il concetto superiormente
sviluppato, che cioè, la comunione con Dio esclude il peccato. Qui
la comunione con il Signore non è più considerata solamente come
uno stato ddl’anima, d’altronde indicata con le parole, aver comunione con il Padre, (Cap. i, 3, 6,) o, essere in Lui, dimorare in Lui,
conoscerlo, vciB, com-Q una divina vocazione, una nascita dall’alto,
una rigenerazione; comunione espressa con le parole, essere figli di
Dio, (Cap. Ili, 1).
San Giovanni sviluppa questa idea, che colui il quale opera in
giustizia è nato da Dio, è figlio di Dio, e die vieppiù si santifica,
mentre che al contrario, colui che si dà al peccato è del diavolo.
Quindi l’amore e l’odio caratterizzano i figli di Dio, e i figli del dia
■•h.'
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volo,, da die ne viene njiturale la conseguenza, che noi dobbiamo
.sviluppare la carità nel nostro cuore, e manifestavla nella nostra vita.
San Giovanni considera sempre Gesiì Cristo come quello che ha ristabilita la comunione fra l'uomo e Dio, che ci ha fatti divenire suoi
figli : ma la sorgente della nuova vita, è io Dio: è perciò che chiama
il cristiano come nato da Lui.
La verità espressa in questo versetto sotto una nuova forma, è la
medesima che l’Apostolo mostra in tutta la lettera. Tutto ha relazione alia sua origino: chi vien da Dio è santo come Lui, il male che
esiste nelli uomini non può nascere che da una cattiva sorgente, dal
diavolo, del quale sono figli. Coloro che camminano nelle tenebre,
che vivono non osservando i comandamenti di Dio, e nella ingiustizia, sono è vero progenie di Dio, (Atti xvit, 28;) ma progenie degenerata, che ha repudiata la sua origine, ed ha fiitto getto dei suoi
diritti. Non possiamo piii reclamare la qualità di figli di Dio, non
lo dobbiamo, non l’osiamo, perchè il peccato ci separa da Lui, e siamo
a Lui ribelli. Per riacquistare i diritti di figli, è necessario che i
nostri rapporti con Dio sieno cambiati. È quel che Dio stesso opera
in noi, facendoci nascere di nuovo, per virtù del suo Spirito.
Noi dimentichiamo, la comunione con Dio, è il privilegio del cristiano: Questa comunione è la vita cristiana, ravvisata nei suoi
principii nascosti. Considerata bene, questa comunione è la nostra
salvazione sotto un altro nome. Ora la comunione con Dio ha un
principio, e questo principio è il gran fatto della nuova nascita: è
l’interno cambiamento per cui si diviene cristiani. È perciò necessario avere giuste idee della rigenerazione. Non è un semplice cangiare
di opinioni, neppure un riformar della vita, abbenchè la rigenerazione produca l’una, e l’altra; è una rivoluzione nei nostri affetti,
che dà alla nostra vita un nuovo centro; è la formazione di un nome
nuovo, una nuova nascita spirituale. È vero che siamo salvati per
fede, (Efes, ii, 8), ma la fede non è una semplice opinione; è il
contatto dell’auima col Salvatore, l’adesione del cuoVe a Gesù Cristo;
di guisachè la fede è il principio o una parte sostanziale della nuova
nascita.
Qual’è dunque la causa di un tal cangiamento? La risposta è in
Ezec. xxxvr, 2(5, ove Dio ci dice per la bocca del profeta; “ Vi
darò un cuor nuovo, e metterò uno spiritò nuovo dentro di voi. ”
Leggiamo pure nella prima lettera di San Pietro (Cap. i, 23): “ Essendo rigenerati, non di seme corruttibile, ma incorrnttibile per la
parola di Dio viva, e permanente in eterno. ” Ciò dunque non viene
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dall’uomo, ma dallo Sjìirito di Dio, (Griov. iir, 5). Non che lii rigenerazione crei ia noi un uomo senza rapporto alcuno con il precedente, e che noi cessiamo di essere quello che siamo. L’uomo nuovo
non è una creazione del tutto nuova; è uu altro die il precedente ;
non è un altro; è lo stesso uomo, ma trasfigurato per la jx)tenza di
Dio: Paolo non diviene un Pietro, ma un kSan Paolo.
E come accade questo? La Scrittura c’insegna che vi è in noi un
resto della divina immagine, come la coscienza e una certa conoscenza di un Dio; un residuo della nostra primitiva natura, che era
luce, fede e carità della vera natura, che protesta nel peccatore contro
la falsa, e ci fa rammentare, anche malgrado noi, del nostro stato originale e della nostra destinazione. Da ciò le interne lotte che finiscono
in nuovi smarrimenti; da ciò le risoluzioni, i sospiri, i bisogni non
soddisfatti di un che migliore; tutto ciò, sebbene sempre vinto, rende
continua testimonianza. Possiamo soffocare questa voce interna, e
anche quando vorremmo seguirla, non basterebbe. Felice chi l’ascolta,
imperocché riconoscerà Dio, che si rivela alla sua anima. L’immagine
di Dio ci unisce alla rivelazione divina che viene dal di fuori ; la
smarrita primitiva natura si rivela, il divino prigioniero si libera,
l’uomo è rinnovato. Tutto contribuisce a questo ristabilimento; tutto
essendo sozzo, tutto si purifica. La vita per il peccato è terminata,
la vita per Iddio comincia. Dovrà però far progressi, ma il punto di
partenza è dato; e per l’influenza dello Spirito, ma non senza dolori,
un uomo nuovo è nato, un uomo creato secondo Iddio, in giustizia
e santità di verità (Efes, iv, 24).
CONTROVERSIA BIBLICA
La Vera Buona Novella, nel suo N. 31, 14 m.aggio anno corrente, raccomanda ai suoi abbuonati le lettere teologiche del rev. P. liemigio Buselli
31. 0., intorno al Protestantismo e la Volgata latina, e ne perora la lettura
con queste parole: « Parlammo altra volta di queste dvfti,isime lettere: ahliamo sott’occhio la lettera 3, 4 e 5, in risposta ad un tal Luigi Tecchi, pover’uomo che non è nè dottore, ni teologo, nè prete, nè cattolico, nè protestante
che si chiama, efani/eZisia, e ministro cristiano!! e calzolaro!!! e non sa
nemmeno scrivere, poiché non conosce nè la ortografia, nè la grammatica.
Non intendiamo prendere la difesa del signor Tecchi, sapendo che egli
noi vorrebbe, ma non possiamo però dispensarci di far sentire alla Vera
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Buona. Novella, che quando si pretende esser vera, primo dovere è il dire la
verità: ora, se il sig. Tecchi non è nè dottore, nò teologo, nè prete, nè protestante, non è neppure calzolaro, nè ignorante della ortografia e della grammatica, ma nato da famiglia civile, agiata, e onorata, è istruito non solo nella
ortografia e nella grammatica, ma pur anche nelle scienze; nè a smentirci ci
si obietti la lettera del 29 novembre 1861, stampata dal Buselli, poiché evidentemente tutti quelli errori, sono del copista di Massa Marittima, non del
signor Tecchi : e se il Padre Buselli avesse avuto un tantolino di buona
fede, non gli avrebbe fatto questo addebito, poiché ha in mano lettere del
signor Tecchi che non contengono errori nè ortografici, nè grammaticali.
Letta quella raccomandazione, ci venne voglia conoscere la dottrina del
valentüsimo Padre Buselli, è il moltissimo, che ha dimostrato in modo trionfale, e in poche parole. Non neghiamo, abbiamo trovata molta erudizione,
in mezzo a moltissime parole; siamo però rimasti scandalizzati, come quasi
a sostegno della spiegata erudizione, il Padre Buselli abbia usato i soliti
argomenti dei frati e preti controversisti, cioè ingiuriose parole : i titoli di
impostore, imbroglione, falsario, sfacciato, spudorato, iniquo, sono elargiti
in quelle lettere a larga mano : sono queste parole decenti per la materia
in controversia, convenienti nella bocca di un Padre Minore Osservante ?
« Progenie di vipere, come potete parlar cose buone essendo malvagi? conciossiachè la bocca parli di ciò che soprabbonda nel cuore » (Hatt. xii, 34).
L’esame di quelle dottissime lettere, ci ha fatto venire la voglia di dare una
replica al wfeiiis.simo Padre Buselli : lo faremo pacificamcnt«, senza scagliare ingiurie, e lo ripetiamo non per difendere il signor Tecchi ministro
evangelico a Pisa, che non ha bisogno di noi, ma per amore della verità, e
per mostrare che la dottrina del valentissimo Padre Buselli non è tanta,
quanto appare al direttore della Vera Buona Novella.
La controversia fra il Padre Buselli Minore Osservante, professore di
teologia e filosofia nel seminario di Massa Marittima, e il sig. Luigi Tecchi
ministro evangelico a Pisa, si raggira sulla parola greca Kixapirtùfiévi}
(checaritomene) del vers. 28, Cap. i, del Vangelo di S. Luca tradotta da
S. Girolamo (Volgata) — Gratia Plena. — Dal Diodati—Favorita. —
Dal Martini — Piena di Grazie. — Prima di mostrare ai nostri lettori
chi dei due campioni ha ragione, è necessario schiarire un punto importante, 0 come direbbero i legali, risolvere una questione pregiudiciale.
Il Buselli sostiene cho la Volgata è autentica, cioè che ha la medesima
autorità dell’originale, e che si debba considerare quella traduzione di San
Girolamo come inspirata, al pari deH’originale greco.
Il Tecchi nega che la traduzione debba avere il medesimo valore dell’originale, e sostiene che la Volgata non 5 autentica, cioè non inspirata, e
che in molte parole ha errato il significato della parola greca, e fra le molte
quella in disputa.
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Il Buselli in tal questiono pregiudiciale ai difende dietro una fortezza
che crede inespugnabile e dice ;
Il Concilio di Trento nella sua sessione iv, (tenutada 53 individui!!!!!!)
stabilì che la Volgala si avesse per autentica (prò autentica habeatur) quando
l’ordinario ne avesso esaminata la edizione. Terminato il Concilio, Sisto V
uel 1590, poi Clemente VII nel 1592 e nel 1593, pubblicarono la Volgata,
dunque quella è rawieititco, e il cristiano deve attenersi ajei, pena, la
scomunica.
Il Tecchi coi dcemil.4 erkoki della Volgata di Sisto V, con i quatiroMiL-i di quella di Clemente VII apre un vivo fuoco contro la fortezza del
Buselli, vi fa una larga breccia, vi entra dentro, grida vittoria e proclama il
testo greco solo insijiralo, pena, la follia.
Il lettore risolva e giudichi la questione incidentale; eccone le autorità,
con le quali può fare i motivi della sentenza, come dicono i legali.
Dicasi quello che voglia dirsi, Voriginale è sempre preferibile alla traduzione.
San Girolamo dice: « Come la fedeltà dei libri antichi, o dell’antico Testamento si ha da procurare dai codici ebrei, così quello dei libri del Nuovo
dai greci » : e questo canone di verità fu inserito nel decreto di Graziano.
E relativamente al Nuovo Testamento S. Girolamo nel suo Prologo a
Damaso, chiama il testo greco, « greca verità » e dimostra che bisogna ricorrere assolutamente a quel testo, come ad un puro ed unico fonte, nella
moltiplicità ed imperfezione delli esemplari latini.
Sant’Agostino dice: «Per correggere i testi latini, si adoperino i greci».
E tralasciando di riferire le opinioni di Andrea Vega, e del Bellarmino,
riporteremo quello che dice, il dottissimo alla materia, il Dc llossi, famoso
per i suoi confronti de’ manoscritti ecc., nella sua introduzio-ne alla Sacra
Scrittura pag. 88, 89 e 90, intorno alla sessione quarta del Concilio Tridentino. « Non si parla dei testi originali, ma si paragonano, non si po« spongono, non si escludono, come taluno, tanto dei Protestanti quanto
li dei nostri cattolici hanno malamente creduto. L’autorità dei fonti, lungi
« dall’essere diminuita o compromessa, viene anzi manifestamente confer« mata, dichiarandosi autentica o sostanzialmente loro conforme quella vcr« sione, ed eseguendosi sui fonti medesimi a tenore della regola giustissima
« di S. Girolamo e S. Agostino, adottata dalla Chiesa, la correzione che
« veniva ordinata. Questo stesso ordine mostra pure ad evidenza che era
« ben lontano il Concilio dal crederla o dal dichiararla eseìite da ogni errore
« ma solamente dall’errore di fede, come era prima, e come portava il
« grado di autenticità che ella aveva ».
Le attuali edizioni della Volgata sono in molti luoghi discordanti dal testo,
ne fan fede il Bellarmino e il Bandini. Scrive il primo a Luca De Bnigos;
« Scias velim, Biblia Vulgata non esse a nobis .^cci-eaxissime castigata,
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multa enim de industria, iustis caussis, pertransvimus, quae cokeectionb
iNDiGBHE viDEBANTtm. Sappi chc la Volgata non è stata da noi accuratamente corbetta e molte cose abbiamo tralasciate e cue avevano bisogno DI correzione, per giuste ragioni ». E quali erano queste giuste ragioni? E facile indovinarlo, mostravano le differenze di Roma. Dietro questa
ingenua confessione, riportiamo il corollario del canonico Taihoni nel sito
Misticismo libico pag. 321, dicendo come lui: « Se nella versione Volgata
« ritrovansi alcuni luoghi, ambigui, oscuri, e discordi dal testo, conseguita
« necessariamente che questi si debbono col testo ori^nale rischiarare ed
« emendare, altrimenti l’interprete, interpreterà lo sbaglio del traduttore, e
« il teologo edificherà sulla menda della traduzione, piuttosto, che sulla
« dottrina inspirata »; e coroneremo questo corollario col rammentare al
Padre Buselli che nell’opera del Taiboni può riscontrare indicati li errori
della Volgata, e leggere che Luca De Bruges ha mostrato più di qtjattroMrtA mooni che si potrebbero correggere nelle Bibbie edite su quella di
Clemente Vili, onde il De Rossi nell’opera succitata scrive : « È da desi« derare, e vivamente desideriamo, per decoro e splendore della religione
« e della Volgata medesima, che sorga un nuovo pontefice, il quale ce ne
« dia una nuova più corretta e accurata edizione, e renda più compito
« e più perfetto il beneficio di que’ due suoi predecessori ». Vano augurio.
« Papa habet plúmbeos pedes » dice Bellamare; e il Boario: « P.apa est tamquam columna et saxura immobile ». Il papa ha i piedi di piomboi II papa
È COME UNA colonna ED UN SASSO IMMOBILE.
L’inqidento dunque può esser risoluto contro il Padre Buselli. Discutiamo
il merito, come dicono i legali.
Posto fuori della discussione la infallibile autenticità della Volgata, e
ammessa la necessità di ricorrere al testo greco, debbono risolversi le due
questioni che appresso :
1° La Volgata, traducendo la parola greca, cìiecaritomene, gratia
piena, ha reso il vero significato?
2° Diodati, traducendo quella parola favorita, ne ha reso il giusto
concetto, quello che non ha fatto nè San Girolamo, nè il Martini, nè altri ?
L’imparziale lettore giudichi da se stesso.
E necessario premettere : fino a che si accordò a Maria la beatitudine,
che ebbe per esser prescelta a madre di Gesù, la versione gratia piena,
passò inosservata : ma quando si volle farla dispensatrioe di grazie, vi fu
bisogno riempirla di grazie; si fondarono allora su quelle parole, messe giù
da S. Girolamo, con tutt’altro scopo per il quale lo veggono i Mariolatri.
Ciò premesso torniamo alla questione.
I. La Volgata, traducondo la parola greca cìiecaritomene, gratia piena,
ha reso il vero significato? Vediamolo :
Nou vi è dubbio, il Padre Buselli ha l’appoggio di altre versioni oltre
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la Volgata: e le versioui latine dal siriaco, dal persiano, dall’arabico,
hanno 'piena gratia : ma per le cose che appresso esporremo, ei resta un
gran dubbio, e si è quello, che coloro che dal siriaco, persiano, arabico
tradussero in latino, o non esaminarono attentamente il vero significato
della parola greca, persiana, ecc. ecc., o si lasciarono imporre dalle precedenti traduzioni, imperocché come avremo luogo di mostrare, davver davvero la parola gratia lìlena, non rende il significato della parola greca
cìiecaritomene. — In mezzo a quelle versioni ci fa gi-ave impressione la versione latina AaXi.'etiopico : gaiwle gaudio, godi per gaudio, che neanche sforzando e travolgendo lo parole cd il significato arriveranno mai a indicare:
piena di grazie.
La questione è della competenza dei Filologi. Ascoltiamoli :
La parola checaritfimeiie, ha la sua derivazione da Kapiróoi, charitvu,
verbo passivo.
Lo Screvelio nel suo Lessico greco-latino a quella parola rende questi
significati : « Facio ut aliquis sit acoeptus, gratiosum facio ; faccio che alcuno
« sia accetto, gradito, faccio grazioso, gradito: » quindi indicando alcuni
derivativi, pone « checaritomenos, gratiam consecutus, ricercato iu grazia ».
Il liudeo, il Costantino nei loro lessici gi’eco-latini alla parola « charitoo »
dicono: « gratiosum facio, gratum sive charum reddo. Gratiosa, vertitur ab
« Erasmo checaritomene. Cap. i, Evang. S. Lue», qui haec annotai. « Non
« est, inquit, gratia piena, sed ut ad verbum reddam, giiatifioata. Faccio
« grazioso, gi’ato rendo o caro ». Checaritomene si traduce da Erasmo, gra
« ziosa, nel Cap. i, dell’Evang. di S. Luca e nota; «non piena di grazie, ma
« GRATIFICATA, dcve dirsl litteralmente traducendo ».
I medesimi Budeo e Costantino alla parola « checaritomene » dicono :
« Gratuito non meritis acceptus, gratiam consecutus, id est gratis animo,
« quod amo, gratio et favori tribuo, non meritis: dt dictum est de Deo.
(Efes. Cap. i. Lue. Cap. i). « Accetto gratuitamente non per meriti, cioè
« con animo grato, che amo, che gli accordo grazia e favore non UEitiTi :
« COME È DETTO DI Dio uell’Efes. Cap. I, Luca Cap. i. ».
Lo Stefano: « Kapirów: Gratia afficio ; Facio ut quis gratia prseditus sit,
« seu grati» valet. Redditur etiam, reddo seu efiicio, noe non gratificor...
« Participio checaritomenos, quo usus est Lucas Evangelii. Cap. i. Ibi
« enim Angelus dicit Maria; chere, checaritomene, ubi reddi fortasse queat
« qua) gratia donata es. Vult autem significare: Deum pro sua gratuita bo(i nitate gratam illam et acceptam habuisse. Unde quidam interpr.: Gratis
« dilecta. At Erasmus reddidit gratiosa; votus interpres, gratia piena. Ac« cordo gi-azia, faccio sì che alcuno sia ornato di grazia, o stia bene in graft zia. Può dirsi anche, do o faccio, nò sono gratificato. Il participio checa« ritomenos, è usato da Luca nel Vangelo, Cap. i. Ivi l’Angelo dice a Maria,
« cime checaritomene, che può forse tradursi; Che sei munita di grazia.
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« Quindi vuol significare che Dio per la sua gi'atuita bontà, la teneva grata e
« accetta. Per il che qualcuno interpreta diletta di grazia: ed Erasmo tra« dusse graziosa : un antico interprete, piena di grazia ».
La questione è pure della competenza dei critici sacri. Ascoltiamoli :
Valla. « Neo duo verba sunt graìce, piena gratia, sed unum, checarito« mene, quod si verbum transferatur e verbo, diceretur gkatieicata, quod
« videlicet in gratiam recepta est. Unde Paulus cum alibi tum ad Efes, i, 6.
« In laudem glorise suae in qua gratificavit nos in dilecto. — Nel greco,
« checaritomene, non sono due parole, piena di grazia, la quale se tradotta
« litteralmente, deve dirsi, gratificata, cioè rice\Tita in grazia. Per il che
« Paolo altrove, Efes, i, 6 : alla laude della sua gloria, per la quale egli ci
« ha RENDUTI GRAZIOSI (¿^ripiriDtrsy) ».
Erasmo. « Nec est gratia piena, sed ut ad verbum reddam, gratificata
« verbo hoc participium deductum est, utitur Paulus, Eph, Cap. i, 6. Tra« durrò letteralmente; non piena di grazia, ma gratificata. E il participio
« di questo verbo usato da Paolo, Efes, i, 6.
Vatablo. « Gratificata, id est Deo grata s. Gratificata o grata a Dio.
Stefano. « Quao donata est gratia, id est favore, vel consecuta gratia. »
A cui è stato fatto grazia, favore o conseguita grazia.
Priceo. « Vertunt alii, gratia piena, alius, gratiosa, alius gratis dilecta.
« Nemo melius autem judicio mco istam circumloquitur vocem quam mystes Opuleianus : Te felicem ! te beatam, quem propitia volúntate Nu« men Augustum tantopere dignatur. Augustis beneficiis gratiosa ». Alcuni
traducono piena di grazia, altri graziosa, altri gratamente diletta. Nessuno
a parer mio ha spiegata questa parola meglio deH’Opuleliano: Te felice! te
beata, che per la propizia volontà dell’augusto Dio, sei stimata degna di
tanto. Graziosa per augusti beneflcii.
La questione è anche della competenza dei traduttori. Ascoltiamoli:
Volg .a, 0 San Girolamo Graiia piena.
Pagnini e Vatablo Gratis dilecta. (Basilea 1564).
Beda Gratia dilecta.
Erasmo Gratiosa.
Malermi Piena di yrazia.
Brucioli Fatta degna di grazia.
Erberg Che sei ricevuta in grazia.
Diodati Favorita.
Martini Piena di grazia.
La questione entra pure nella competenza dei contesti, cioè nell’esaminare
se nel Nuovo Testamento .sono state usate altre parole consimili, e che abbiano il medesimo significato, le quali siansi tradotte diversamente, da mostrare e confrontare la miglior versione dell’una o dell’altra.
Un’altra parola, la di cui radice sta nel verbo « charitoo » si trova noi
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Nuovo Testamento, essa spiega il medesimo concetto di quello recato dall’Angelo; è nel Cap. i, 6, della lettera alli Efesi, ove dice San Paolo, che
Dio cl ha « predestinati ad adottarci per Gesù Cristo, a se stesso, secondo
il beneplacito della sua volontà, alla laude della gloria dejla sua grazia, per
la quale ci ha rendüti graziosi a so, in Colui che ò l’Amato s. Ora quel
« rendati graziosi » 5 dotto dal greco, con una sola parola t^apiruxréy (ccaritosen) che la Volgata traduce gratificavit, Jlartini, resduti accetti, e
Diodati RENDUTI GRAZIOSI, BrucioH EEJJDUTI grati, Erberg renduti graziosi.
Malermi, « rese accetti ».
Altra parola (checaritomenos) simile a quella usata da San Luca si trova
nel Cap. xvra, 17, dell’Ecclesiastico, che la Volgata traduce a justificato d
e 3I;irtini « uomo giusto », Diodati « uomo grazioso ».
Oltre a ciò nel Nuovo Testamento si è dato il concetto di « pieno di
grazia », ma non si è usata la parola « checaritomene », ma due parole.
Giovanni nel Cap. i, 14, dice: « E la Parola è stata fatta carne od è abitata fra noi, (abbiamo contemplata la sua gloria: gloria come dell'unigenito,
proceduto dal Padre, piena di grazia, e di verità ». Ora, il greco per le
parole « piena di grazia », non ha « checaritomene », ma due parole corrispondenti a quei due concetti, 7rX);/j;jc ^^ápí-oc, (pleres caritoa), che la Y^olgata traduce, « plenum gratiae » Diodati e Martini; « Pieno di grazia ».
La questione è del pari di competenza dei commentatori.
Ascoltiamoli :
Teofilatto sui quattro Evangeli, al versetto in disputa traduce : « In« gressus Angelus ad eam dixit » gaüde gratiosa: e quindi esposte lo ragioni por le quali Maria è divenuta «gratiosa a Dio, » conclude. « Porro id
« quod supra dixi gratiosa : quasi intorpretans dicit. Invenisti enim gratiam,
« coram Domino. Hoc enim gratiosam esse vel plenam gratia, quod invenerit
« gratiam apud Deum, hoc est placuerit Deo. Veruni hoc commune habet
« cum multis. Multae enim et alias invenerunt gratiam coram Deo ». Superiormente disse « gratiosa » quasi interpretando: Hai trovato grazia
presso di Dio. E veramente graziosa è esser piena di grazia, aver trovato
grazia presso di Dio, esser piaciuta a Dio. Ma ciò è comune con tutti. Imperocché molte pure hanno trovato grazia al cospetto di Dio.
Il Padre Emanuel Sa,gesuita,nei suoi «scolia» (brevi commenti)dice sulle
parole gratia piena: « checaritomene, valde gratiosa, scilicet per apud Deum;
« seu valde Deo grata: caritoo, gratum facio, sic solemus dicere, sermonom
« plenum gratiae », molto graziosa presso Dio, o molto grata a Dio: « caritoo » faccio grato, così suol dirsi, discorso pieno di grazia.
G. Rosenmullori Schol. in Lucam Cap. i, 28: « Favoris divini compo.
« facta. Hoc verbum quod apud profanos non roporitur peculiari deriva« tiono est factum «ttiÍ yapiTvbi, quo nomini favor et gratia signiiicatur ».
Che ha ottenuto, fatta partecipe del diviuo favore. Questa parola chc uoii
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si trova nelli scritti profani, ha una speciale derivazione da « caritoo »,
voce che significa favore e grazia.
I 3Iacdoaati Societ. Jesus Comm. in quatuor Evangelia; riporta le divei-so traduzioni date alla parola « checaritomene », e dice : 1 Alius gratiosam; 2 alius gratam; 8 alius acceptam; 4 alius gratiam consequtam; 5 alius
dilectam ; 6 alius in gratiam acceptam ; 7 alius gratia justificata ; 8 alius
gratis dilectam.
II Malermi al vers. 28, fa questa nota; Beza, traduce la parola greca
«checaritomene», gratuitamente eletta, Erasmo graziosa. Ma de’Santi
Padri alcuni traducono gratificata, altri fatta graziosa, altri ricolma di
grazie. Imperocché Maria per essere stata eletta madre di Dio, doveva essere adorna di ogni celeste dono come dicono tutti li espositori.
Il Diodati alla parola favorita, pone la seguente nota, che toglie la maliziosa insinuazione con la quale il Padre Buselli cerca infamare quell’illustre
italiano. « Cio6, che sei stata gradita da Dio, ed hai ricevuta questa singolare grazia, di essere stata fatta degna di questo sovrano onore, d’esser
madre del Messia 5).
La edizione della Bibbia del Colineo, Parigi 1541, alle parole « gratia
piena », vi è in nota « gratiosa ».
La edizione dello Stefano, Parigi 1541, ha in nota « gratificata, idest
Deo grata ».
Le edizioni dell’ Hertzel, Venezia 1740, ha in nota « Deo grata ».
La Bibbia del Du-Hamel, Venezia 1797 ha in nota; «gratissima Deo».
Crediamo avere esaurita completamente la prima questione, innanzi di
passare alla seconda, vogliamo interrogare il Padre Buselli.
Padre Buselli, siate sincero, dite la verità, lo sapete, Dio è verità. —
Immaginate che la parola checaritomene sia scomparsa da tutti i testi del
Vangelo, e che non sian rimaste che le sole latine « gratia piena », e che
voi foste chiamato per mettere la voce greca a quelle corrispondenti; prima
di farlo, certamente esaminereste se il Testamento Nuovo ha parole greche
esprimenti quel concetto; v’ imbattereste in Giov. i, 14 e leggereste; irXí;pije * pleres charitos, » pieno di grazia e porreste queste parole,
e non pensereste le mille miglia a « checaritomene ».
Ora fate il caso inverso, e supponete che sieno scomparse le parole « gratia piena, » e che voi foste chiamato a tradurre la parola greca in latino ;
che cosa fareste? consultereste i Lessici e in «tutti» trovando, «gratiosum
« facio, gratum facio, gratiam consecutus, » non mettereste davvero, « gratia
piena » per timore di aver la baia. Risolviamo la seconda questione.
(continua)
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CORRISPONDENZA DELLA B. NOVELLA
Il Olivuzza, 20 giugno 1862.
« Pregìatiss. sig. Redattore e fratello,
« Alcuni mesi addietro vi mandai una serio di lettere indirizzate ad un
distinto professore di questo Seminario, e che formano ora un volumetto
di 210 pagine, sotto il titolo di Roma e la Scrittura. L’avversario mio, .si
è subito accinto a rispondere alla prima delle mie lettere, ed il 17 del
corrente mese, mi venne consegnato dall'Agente della Società Biblica
Britannica uno scrittorello, rimesso per me al medesimo da un prete di
questa città, associato del vostro giornale; eccone il titolo:—Risposta
al signor Giorgio Appia valdese, in occasione del suo opuscolo Roma c la
Scrittura, pel can. Domenico Turano, prof, di scrittura, e di teologia polemica, nel Seminario arcivescovile. A spese dei fedeli. Palermo 1862. —
« Una risposta di 75 pagine, di cui 27, non sono altro che la riproduzione
testuale, sia della prima mia lettera, sia di squarci interi del libro del P. Turano dame confutato, non merita guari contro-risposta, ma siccome, ad
onta della melata perorazione, mi sono imputati nel corpo del discorso atti
degni del più vile sbirro, anzi degni d'un assassino, ho creduto far cosa
opportuna di emettere una breve undecima lettera al can. Turano, di cui
mi farete piacere d’inserire nel vostro pregiato foglio alcuni brani. L’introduzione dello scritterello, al quale rispondo, è la seguente:
« Gentiliss. sig. Appia,
« Non avrei curato il vostro opuscolo Roma e la Scrittura, se esso non
contenesse, specialmente nella prima lettera, alquante calunnie sul conto
mio : però mi affretto a rispondervi por giustificarmi dalle vostre imputazioni. E perchè ognuno abbia sott’occhio le vostre accuse e le mie discolpe,
e possa giudicarne maturatamentc ; pubblico la vostra lettera insieme alla
mia. In altra mia scrittura poi, noterò categoricamente tutte le alterazioni
che fate dei passi della Bibbia, le interpolazioni maligne, insieme alle false
cita-iioni dei Padri della Chiesa, lo falsificazioni della Storia, le contorsioni
dei varj tratti dol mio libro, gli sfuggimenti continui delle più salde argomentazioni deiravversifrio c tutti i sofi.smi che s’incontrano ad ogni pagina
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delle altre nove lettere (tacendo degrimiumerevoU insulti), nelle quali voi
credet« rispondere al mio opuscolo : — Il Cattolicismo esposto ai Valdesi.
« Palermo, 30 maggio 1862.
« Vostro servitore
« Can. Domenico Turano ».
Premesse alcune considerazioni, ho risposto al conosciuto
controversista palennitano nel modo seguente :
« Reverendo sig. Canonico,
...... « Il rimprovero generale cte fate alla mia persona, più ancora che
al libro mio, è di aver mancato di carità; e riconosco che una tale accusa,
venisse anche da un giudice poco competente in simile materia, è grave per
chi vuol seguire i principii del Vangelo; e siccome la polemica ci espone
facilissimamente a peccare contro la carità, conviene domandare a Dio
ch’Egli mantenga il cuor nostro scevro da ogni sentimento d'egoismo, d’orgoglio o d’animosità, mentre rispondiamo ad un avversario; e banche sappia che nè oggi, nè prima ho avuto l'intenzione di offendere nè voi, nò
chicchessia, pure sono pronto a domandarvi perdono se Tho fatto. Pure,
confesso che mi reca meraviglia, che da voi mi venga fatto un tale rimprovero, poiché ognuno può a suo agio paragonare il libro mio col vostro, e
per esempio accertarsi, se abbiate voi, o abbia io scritto parole come le
seguenti (opera vostra, pag. 233): « Voi assomigliate a quei ladri che
» chiamano assassini, che spogliano i poveri viandanti », e tante altre.
« Il tuono generale del mio libro è stato moderato, ne giudichi chiunque
lo leggerà, non ho fatto grandi dichiarazioni di carità, nè saputo introdurre
quei vostri « distinguo » rigorosi tra l’uomo ed il ministro; non ho detto
uel medesimo essere, amava l’uno e odiava l’altro, perchè l'avrebbero potuto ripetere ancora quegl'inquisitori di Roma, i quali, or sono 300 anni,
condannarono alla morte il nostro ministro valdese di Calabria: Gian Luigi
Pasquale, e dire che ardevano di carità verso l'uomo, mentre bruciavano
« ad majorem Dei gloria-m » il ministro ; per altro le personalità sono state
sbandite dalla mia risposta; non sono io che mi sono occupato, come voi
delle cameriere, del pranzo di famiglia, del salario, del vestiario, della prò
nunzia dell’avversario. Se in mezzo ad una simile polemica vostra vi aggrada di stampare (pag. 12) « che dopo avermi convinto della verità cat» tolica, mi mostrate lo spirito che la governa in qualunque pagina e su
» qualunque verso, e com'è tutto carità per la custodia dei fedeli, carità
» per la salute dell'anima mia ». Se dopo ciò andata sino a domandare a
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Dio di morir per me, dicendo : « se ù mestieri, elie sia versato il mio sangue
» in redenzione di quest’anima che mi avete inviata, io vi consento pur
il volentieri, e con tutto il trasporto del mio cuore...... ciò che non hanno
» fatto le mie parole, i miei scritti e le mie preghiere, lo farà il mio sangue,
» che unito a quello del vostro diletto Figliuolo nostro lledentore, parlerà
» assai meglio di quello di Abele a prò del traviato fratello » ; Io vi dirò,
signor Canonico, non siate troppo prodigo del vostro sangue, riserbatclo
pel giorno, quando l'iddio vostro ed il mio ce lo domanderà. Voi siete in
una strana illusione sul merito delle opere, e sulla giustificazione d’un peccatore dinanzi a Dio. Non v’è mestieri del sangue vostro per riscattare
l'anima mia; non siete voi il Redentore dei peccatori; vorrei che aveste più
scolpito sul cuore il prezzo infinito e unico del nostro riscatto : il sangue
dell’Agnello, perchè allora non avreste l’ambiziosa pretensione di aggiungervi il vostro. Invece di guadagnarmi alla Chiesa romana con un martirio
fittizio, sarebbe stato meglio raccomandarmi i principii vostri, usando inverso me colla lealtà che ordinariamente corre fra galantuomini, non dico
fra cristiani o ministri del Vangelo, e specialmente risparmiarmi rimproveri ingiusti e sospetti maligni contro la mia veracità, come i seguenti.
n Ho scritto nella Buona Novella, e citato nell’operetta mia, una lettera
al prof. Galeotti, nella quale diceva ch’egli mi fece proporre una conferenza privata; ciò mi valse il vostro seguente rimprovero; « Ecco nella
ì> lunga narrazione del sig. Appia, nella presente lettera una prima menzo« gna, dicendomi : mi facesie proporre di aver seco voi una conferenza pri» vaia ». Ho scritto nella medesima lettera che aspettai anco due volte il
prof. Galeotti, ciò mi vale il secondo rimprovero da parte vostra; « Ecco
» una seconda menzogna del sig. Appia valdese, che asserisce avermi aspet» tato una a due volte in vano » (pag, 41). Ho scritto al professore Galeotti
che il suo processo verbale era qualche volta falso, ciò basta perchè scriviate subito che questa spontanea confessione che credete strappatami dalla
mano di Dio, compensa la mancanza di stenografi, ed accredita il vostro
racconto in tutto il vostro libro (pag. ).
4 Ho dimostrato nel mio opuscolo, che mi accusaste a torto di esser capace di dire una bugia, imputandomi di aver finto un viaggio a Torino, per
andare invece a nascondermi dinanzi a voi al paese di Bagheria, e perciò
vi ho mandato stampati gli atti del nostro Sinodo tenuto a S. Giovanni,
provincia di Torino, per dimostrarvi che, dopo avervi detto che andava a
Torino, vi andai in fatti. Questo è chiaro; la dimostrazione è senza replica,
dichiarate (pag. 47): « Non v’incomodate più, vi voglio credere senz’altro documento ». Ma ecco come vi piace evitare il peso della prova, dite (pag. 47) ;
« di che si tratta adunque? Di avere io asserito che voi invece di Torino,
» andaste a Bagheria! Novum crimen, C. Cassar, et ante mine dievi inauD ditum, Qiiintum Ligarium- fiiisse in Africa ! Così Cicerone derideva altra
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» volta Q. Tubero che accusava Ligario di non esser rimasto in Roma! »
No, signore, nè Cicerone, nè Cesare, giovano in questo argomento; la qnistione non è di sapore se sono andato a Torino o a Bagheria; ma se voi
aveste il diritto di suppormi capace d’una indegna e vile bugia. Ma ciò non
è che il preludio degli argomenti vostri, non basta darmi del bugiardo, bisogna che io sia un omicida. La prova è inaudita.
« Ho dimostrato' nel mio opuscolo chc mi accusaste a torto in tanti passi
del vostro libro, di predicare contro la verginitÈi di Maria; e siccome,
quando un pugno di mal’indotti invase il nostro locale di Ponticello per
disturbare i cittadini che esercitavano il loro diritto, il pretesto fu quella
stessa vostra accusa, cioè aver io predicato, che Maria avesse avuto molti
figli, conchiusi che voi eravate risponsabile delle conseguenze dell'atto vostro; forse ciò mi pare logico; non mi venno l'idea di dire che volevate attentare alla mia vita, di che vi credo del tutto incapace. Comunque sia, la
posizione essendo un poco imbarazzante per voi, bisognò uscirne alla me^io; anzi far l'impossibile a dimostrare che la vittima foste voi, e l’aggreaBore io. Non bastò nemmeno aver ragionato come il lupo, che volle recare
a colpa alla pecorella di essere stata mangiata, ad ogni costo bisognava
che i lettori vostri si sentissero inteneriti, udendo i grandi pericoli che correste voi, quando volevano ammazzarmi, e si persuadessero che voi foste
vicinissimo al martirio, poiché vennero con coltelli e pistole contro me.
Fin qui la cosa avrebbe avuto del comico ; ma qual nome dare al rimanente? « Un giorno, scrivete pag. 69, mi vedo presentare una lettera veì) nuta dalla posta, contrassegnata col solo bollo postale di Palermo, del 5
3 dicembre 1861. Apro e leggo. Graziosissimo imitatore serafico di Save» rio dei tempi andati. L’ora della vendetta divina sta per suonare. Rimanti
i in casa sino a nuovo ordine, con le imposte sprangate, e se possibile, se» polto vivo, se non vuoi che la tua fetida e proteiforme anima fosse pasto
» di Belzebù. Con altra saprai quale inesorabile sentenza dovrà pesare sul» l'empio tuo capo. Ubbidisci e trema.»—Questa lettera vi pare subito un
Deus ex machina, e senz’altra prova che l’ardente vostro desiderio, non
temete di metterla ipso facto sul conto mio, e di continuare dicendo; « si» gnor Pastore, è questa la spada dello Spirito che giudica i pensieri e le
» intenzioni del cuore? È questa l’unica arme che voi o i vostri conoscete?
» V’ha dato Iddio la libertà di usarla contro colui, che odiando i vostri
» errori, ama l’anima vostra? È questo lo spirito di Gesiì Cristo che vi fa
» appartenere a lui? ».........Mi fermo, signor Canonico, mi avete messo
neH’impossibilità di rispondervi, poiché si deve combatlere oon armi eguali;
ed un galantuomo non conosce l’uso di simili armi vostre; rammentano
troppo i pessimi tempi della pessima politica dell’Ordine dei Gesuiti.
M’avvilirò io sino a provare che non sono un sicario? Mi metterò forse
nel caso di provarvi, chc mentre i vostri m’assalivano al Ponticello, il
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lutto era*in casa mia, e che nella notte tlel G al T dicembre, Iddio chiamara a sò la mia figlia, cosicchò se il Vangelo non avesse bastato per insegnarmi di amare il mio nemico; se le abitudini di galantuomo non mi aves
sero garantito dalla viltà di scrivere lettere anonime, la natura m’impediva
di farlo? No, signor Canonico, simili argomenti non si confutano: basta ri
ferirli e rimandarli a chi l’ha inventati. Non vi ho attribuito le insulse c
stupide lettere che mi manda di tempo iu tempo qualche giovine prete, se
debbo giudicare dai citati latini della Volgata; non vi dirò che tuttociò è
uu ritrovato o una finta; ma ciò che mi prende maraviglia 6, che dopo aver
adoperato a carico mio un modo di procedere, contro il quale potrei invocare la giustizia de’ tribunali, perchè la legge tutela la riputazione del cittadino vilipeso dalla calunnia, voi mi parlate ancora della vostra carità I
Non v'è bisogno della spada dello Spirito, basta un po' di senso comune per
distinguere la carità non finta, che non sospetta il male, secondo San Paolo
(1 Cor. xiir, 5) da un sentimento talmente aberrato o malato, che dichiara
voler sofl’rire il martirio per l’avversario, mentre conculca, nel parlargli, i
principii che rispettano i Pagani ed i Slusulmani. Signore, prima della carità v'è la giustizia; e prima del martire v’è il galantuomo, foss’anche il
pagano inconvertito, che sa distinguere il bene dal male. Il suggello pratico
della carità è stato stabilito dal nostro Salvatore col comandamento seguente; «Tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele altresì a loro, questa è la legge ed i profeti s (S. 5Iatt. vii, 12).
« Voi volete illuminare i traviati; impiegate per dimostrare ciò che credete vero, le armi della scienza, della stampa, della discussione; questo è
leale; vi ho seguito sopra un tale terreno; e quando avete stampato il vostro libro; « Il Catlolicismo esposto ai Valdesi, » ho risposto col mio:
« Roma e la Scrittura ». Nel secolo nostro che è corroso dallo scetticismo,
snervato daU'indifferentismo materialista, ed egualmente incapace di dubitare con energia, e di credere con energia, gli uomini persuasi che si occupano delle verità eterne della religione, rendono un servizio a tutti coloro cho credono e desiderano di possedere la verità. Voi credete ai dogmi
delle Chiesa romana, avete fede e zelo per ciò cho credete esser vero; io
credo alla religione di Cristo purgata da ogni aggfttnta, da ogni falsificazione fatta dai Concilii, dai papi e dalle tradizioni; l’uno e l'altro abbiamo
dunque un terreno comune, cioè che noi crediamo alla necessità della religione, alla realtà eterna della religione, all’immenso prezzo di avere la vera
religione; ecco la base soprala quale conviene discutere; ma attribuire all’avversario vostro una lettera anonima che voi non vorreste ch’egli vi giudicasse capace di scrivere, questo è fare agli altri ciò che non vorreste fosse
fatto a voi. Voi dichiarate di desiderar la mia salvazione e di aver pregato
per me. Ve ne ringrazio; faccia l'Onnipotente scendere sopra voi e sopra
me queste preghiere sincere, come duraturo benedizioni; ma la prima che
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io gli domando, è cli’Egli, il quale B l’iddio della verità, faccia cadere ogni
specie di bugia. Vi è iu molti fratelli della Chiesa romana una strana illu.sione, intantochè non fanno consistere la carità in quell’ardente e verace
sentimento del cuore, che S. Paolo ci ha descritto, quando diceva; « Avvegnaché io spendessi in nudrire i poveri tutte le mie facoltà, e dessi il mio
corpo per essere arso, se non ho la carità, quello niente mi giova. La carità
sofFerisce ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sostiene ogni cosa »
(1 Cor. xm); e di cui il perfetto modello umano e divino è Cristo, il secondo
Adamo, che strinse tutti sul cuor suo, e riscaldò la nostra povera umanità decaduta, amandola sino nella morte; ma un non so che di gretto e di
meschino, l’amore cioè della Chiesa cattolica romana, ed il desiderio di farvi
entrare tutti; ma siccome la Chiesa Cattolica romana è sinonimo di clero,
ed il clero sono essi; non si sono accorti che han chiamato carità un sentimento che è un prolungato e mascherato egoismo. Ed eccone il perchè; la
dottrina vostra avendo ristretto l’amor di Dio, deve necessariamente ristringere eziandio quello dell’uomo; voi avete surrogato l'unica condizione di
salvezza, di pentirsi delle sue colpe, di credere con piena fiducia nell’efficacia del sacrificio di Cristo, e di vìvere per glorificarlo, con una condizione del tutto eterna, cioè di appartenere alla Chiesa romana, di riconoscere il papa, i concilii e l’autorità del clero; cosi per voi un ladro cattolico,
ha la condizione per esser salvato, mentre il più savio e il più morale fra
noi evangelici, sarà dannato se non si fa ascrivere alla Chiesa del papa;
sopra una base cosi falsa d’intolleranza e d’errore, la vera carità non alligna, perchè l’unico fondamento della carità cristiana è l’amor di Cristo, il
quale, quando Giovanni volle impedire un discepolo di far miracoli, perchè
non camminava colla società degli Apostoli, rispose ; « non gliel divietate...
chi non è contro di noi, è per noi » ; e dice a tutti egualmente : « Iddio ha
tanto amato il mondo, ch’Egli ha dato il suo Figlio unigenito, affinchè chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna.
« Il vostro dev. servitore
« G. Appia, Pastore evangelico ».
Leopoldo Piselli gerente
FIRRNZK — Tipografia CLABDIANA, diretta <]a lìafliielc Trombetta.