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ECO
DELLE VALU VALDESI
BIBLIOTECA VALDESE
10060 TORRE PEIL ICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Aono 109 - Nom. 23
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¿^1
TÜRKE PELUCE - 9 Giugno 1972
Amm. : Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellìce ■ c.c.p. 2/33094
UNA LETTERA APERTA DEL SEGRETARIO GENÌRALE DEL C.E.C.
I diritti deiruomo calpestati nel mondo
Quale può essere l’opera delle Chiese per affermarli e sostenerli efficacemente ?
Al Sinodo generale
delle Chiese riformate d’Olanda
Cari amici,
qualche tempo fa ho ricevuto la lettera nella quale manifestavate la vostra inquietudine circa lo scarso rispetto per i diritti dell’uomo in Europa orientale e nel Sudan. Già vi ho
espresso la mia riconoscenza, ma vi
avevo chiesto un po’ di pazienza in
quanto una delle nazioni delle quali
vi preoccupavate era in pieni negoziati per metter fine a un conflitto interno.
Ora che è stato trovato un accordo assai positivo nel Sudan, posso rispondere con libertà alla vostra domanda. La nostra Commissione di assistenza scambievole e di servizio delle Chiese e di aiuto ai rifugiati ha un
programma per il rilancio del Sudan
meridionale, nel quale possiamo tutti contribuire a consolidare la pace
ristabilita con il nostro aiuto.
Bisogna scusare il fatto che la partecipazione del CEC ai negoziati sudanesi sia stata tenuta assolutamente segreta durante un lungo periodo,
ma certo vi rendete conto, dal risultato, che un’organizzazione come la
nostra è spesso più utile, in fatto di
diritti dell’uomo, agendo senza chiasso dietro le quinte.
La vostra seconda domanda concerne l’Europa dell’est e quel che la vostra Chiesa può fare. Rispondo ciò
che il CEC ha sempre risposto in casi
analoghi:
a) le Chiese rappresentano un’importante fonte d’informazioni degne
di fede;
b) il movimento ecumenico ci offre l’occasione di visite e scambi;
c) ogni Chiesa deve protestare con
tutta l’efficacia possibile e rivolgersi a
chi di dovere, quando ritiene di doverlo fare.
Permettetemi alcuni particolari. Una
informazione degna di fede concernente la vita della Chiesa nell’Europa orientale, le sue forze e le sue prove, è cosa rara. Nelle nazioni occidentali e nel Terzo mondo la maggior
parte delle persone non hanno, che
una visione parziale della vita del popolo di Dio nei paesi socialisti. Sono
spesso vittime di una propaganda da
guerra fredda, la quale ripete fatti
che datano dal peggiore periodo staliniano, oppure sono indotti in errore
da resoconti entusiasti sulla forza della fede in una data Chiesa e credono
quindi che tutto vada nel migliore dei
modi. Altri sono ideologicamente influenzati a un punto tale da non vedere alcun male in certi paesi. Sono
spesso stupefatto nel constatare quante sono le persone che ignorano le
differenze notevoli, sul piano religioso, fra i nove paesi socialisti europei:
segno degli effetti disastrosi della formazione di blocchi politici isolati.
Temo che un contributo effettivo
delle nostre Chiese al miglioramento
dei diritti dell’uomo nell’Europa orientale non sia possibile se non lo basiamo solidamente su uria strategia assai più rigorosa e differenziata della
informazione. Le Chiese che ritengono che i cristiani siano perseguitati
in certi paesi dell’Europa orientale
dovrebbero essere pronte in rnodo
particolare a pagare il prezzo di un
tale servizio d’informazione. Vi sono
abbastanza centri « sicuri », specializzati negli studi sull’Europa orientale,
da permettere alle comunità di essere
meglio informate sugli eventi terribili
della persecuzione religiosa. Le numerose restrizioni nei confronti delle
Chiese nell’Europa orientale rendono
diffìcile il chieder loro di pubblicare
maggiori dettagli sulla loro vita, ma
gli studi svolti e comunicati m Occidente possono aiutare a gettare una
base solida per una conoscenza, una
comprensione e un aiuto reali.
Tuttavia l’informazione non e che
un primo passo.
Pare che l’aiuto più consistente che
possiamo dare alle nostre Chiesemembro dell’Europa orientale, come
pure alle altre comunità viventi nei
paesi socialisti, come gli Ebrei, sia
prendere maggiormente sul serio le
possibilità che abbiamo sul piano ecumenico. Se non riusciamo a conoscere
davvero le Chiese nei paesi socialisti,
l’espressione della nostra protesta sarà gratuita e non potrà essere capita,
in questi paesi, che come una dichiarazione politico-ideologica, cioè anticomunista.
Il grande dono del movirnento ecumenico è che ora, per la prima volta,
dopo un lungo periodo di alienazione
Varie Chiese che fanno o meno parte del Consiglio ecum^ico manifestano la loro viva preoccupazione per il dispregio in cui sonoiienuti, in varie
parti del mondo, i diritti dell'uomo. Alla fine dello scorso'anno il Sinodo
generale delle Chiese riformate d’Olanda aveva inviato al post. E. Carson
Blake, segretario generale del CEC, una lettera per chiedergli il suo parere sul modo in cui le Chiese potrebbero esprimere la loro inquietudine
nei confronti delle violazioni dei diritti dell’uomo nel Sudan e nell’Europa
orientale. Dopo alcuni mesi — in particolare per permettere che i negogiati nel Sudan, con l’apporto efficace del CEC, giungessero a termine —
il past. Blake ha risposto con un’ampia lettera aperta, che pubblichiamo
perché, al di là di taluni accenni specifici alla richiesta riformata olandese, affronta questioni che si pongono a tutte le Chiese e risponde a interrogativi avanzati anche nelle nostre comunità. Il documento, nella sua
franchezza realistica e limpida, è di notevole valore e merita un’attenta
riflessione (red.).
e d’isolamento, possiamo giungere a
conoscerci gli uni gli altri. Un certo
numero di Chiese l’hanno capito e
hanno istituito relazioni con una
Chiesa sorella in un’altra parte d’Europa. La formazione di un programma comune nei consigli nazionali di
Chiese offre la possibilità di stringere relazioni con le varie tradizioni dei
vari paesi. Tali relazioni sono assai
apprezzate nei paesi deH'Est e le Chiese occidentali hanno imparato dai fratelli ortodossi, cattolici romani e protestanti dell’Est più di quel che sperassero. Nutro la speranza che il Consiglio olandese delle Chiese potrà istituire un tale programma di comunicazioni, di visite e di scambi regolari.
E questo mi porta a un secondo
punto. Le relazioni con le Chiese dell’Europa orientale — ed eventualmente, lo spero, con i cristiani della Repubblica popolare cinese — sono diventate ancora più necessarie perché
la filosofia marxista comincia ad assumere tanta importanza nelle Chiese occidentali. Pare a volte che, fra
tutte le correnti filosofiche, il mar
xismo sia diventato il più popolare e
persuasivo nelle nostre nazioni, soprattutto fra i nostri giovani intellettuali. Quest’evoluzione — che la consideriamo da un punto di vista critico o positivo — merita che le Chiese
vi prestino un’attenzione maggiore
che per il passato. La riflessione teologica sul marxismo è oggi una necessità corrente per tutte le Chiese,
Se le Chiese dei paesi socialisti fossero tenute fuori da questo studio e da
questa riflessione, ci priveremmo dell’esperienza e della testimonianza di
Chiese che vivono e lavorano nei paesi nei quali la secolarizzazione non è
solo un processo culturale, ma un
programma governativo. Faremmo bene a vegliare con attenzione anche
maggiore al contributo che quelle
Chiese possono darci.
Spero perciò che la vostra Chiesa,
come le altre che costituiscono il Consiglio olandese delle. Chiese, rifletteranno su questo pmblema e agiranno. Il programm» “Si CEC, di dialogo con gli adepti delle credenze e ideologie contemporanee trarrebbe pure
molto frutto da una tale iniziativa e
offrirebbe un quadro nel quale queste questioni potrebbero essere studiate e approfondite in comune. Possiamo basare le nostre dichiarazioni e
le nostre azioni nel campo dei diritti
dell’uomo su questi contattK-^llargati
e validi con le Chiese dell’Europa
orientale, nel quadro di questo nuovo centro d’interesse per una riflessione cristiana sul marxismo. Non entro nei dettagli sui diritti dell’uomo
in ciascuno dei paesi dell’Est. La situazione in Polonia è totalmente diversa da quella della Repubblica democratica tedesca e la Jugoslavia presenta un quadro ben diverso da quella deirURSS. Attualmente questi paesi hanno però un elemento comune;
la fede cristiana vi è considerata incompatibile con la dottrina marxista
e, di conseguenza, la Chiesa e lo Stato non possono non vivere in una tensione costante, malgrado la separazione ufficiale fra Chiesa e Stato e malgrado una cosidetta politica di noningerenza. In ognuno di questi paesi
li Chiese cristiane sono sottoposte a
restrizioni severe, almeno da un punto di vista occidentale, anche se i lo-'
ro membri sono cittadini leali. La libertà religiosa è garantita in tutte le
costituzioni dell’Est, ma ne differisce
l’interpretazione. Ciò che in Occidente è considerato la base della libertà,
spesso è vietato in Oriente. La libertà
di stampa, l’attività giovanile, il lavoro sociale, l’evangelizzazione pubblica,
la libertà di fondare organizzazioni,
di costruire luoghi di riunione, di
creare scuole, monasteri o seminari,
la libertà di criticare apertamente il
governo, di recarsi all’estero o di par(continua a pag. 8)
Eugene Carson Blake
Lettera aperta al Direttore, sul programma di lotta contro il razzismo promosso
dal Consiglio Ecumenico delle Chiese
In concreto riferimento a no ponto oggi nevraigico,
ia qoestione delia presenza dei cristiani nella società
l.T Trtnc» Hmria ì rritoTii cti Hi crvnr» ali ctpcci cfriittati viri
Caro Gino
il programma di lotta contro il razzismo promosso dal Consiglio Ecumenico, appoggiato dalla Federazione
delle Chiese Evangeliche italiane e
fatto proprio dalla EGEI, è stato occasione di numerose e interessanti discussioni sul giornale che tu dirigi.
1. A projrosito della « tribalizzazione » dei sudafricani bianchi.
Ho letto anche i due interventi in
merito del Prof. Alberto Soggin, che
richiedono un breve commento. Da
alcuni anni a questa parte il nostro
amico Alberto Soggin si è assunto il
compito, assai impegnativo, di correggere la disinformazione, i pregiudizi, le valutazioni a un tempo ingenue
e faziose di coloro che, nel protestantesimo italiano, hanno un certo orientamento politico. I mezzi che egli utilizza per questo compito sono del tutto discutibili. In tema di oggettività
della informazione per esempio non
si capisce bene perché, a parere di
Soggin, non ci si deve fidare di quanto dice un giornale come Le Monde a
proposito della Palestina e viceversa
si deve far fede a un giornale come
il Basler Anzeiger quando tratta delle vicende del Fronte di Liberazione
del Mozambico (FRELIMO). Forse
che a Basilea, città della neutrale Elvezia ma sede di banche e di altre imprese operanti a livello internazionale, non esistono connessioni di sorta
tra quello che viene scritto su giornali «indipendenti» da una parte e
d’altra parte gli interessi di chi fa investimenti in molte parti del mondo
e magari anche nelle colonie portoghesi? Che poi il FRELIMO abbia subito divisioni e crisi al suo interno è
senz’altro vero: come osserva giustamente Soggin, si tratta purtroppo di
fenomeni comuni a tutti i movimenti
di liberazione (ivi compreso quello
del Risorgimento italiano nel secolo
passato). Che in conseguenza di queste crisi interne l’azione del FRELIMO sia ormai in declino o che addirittura questo movimento abbia cessato di esistere, è viceversa clainorosamente smentito dalla recente ripresa delle azioni di guerra proprio nel
la zona dove i colonialisti cercano di
costruire la diga di Cabora Bassa.
Questo per ciò che concerne le informazioni e le loro fonti.
Quanto alla interpretazione dei fatti a cui si riferisce il programma del
CEE, Soggin ci ha fornito ancor più
di recente sulla « Luce » una chiave
per comprendere il razzismo nel SudAfrica. Secondo il parere di taluni
suoi interlocutori sudafricani (naturalmente bianchi) l’atteggiamento razzista sarebbe qui una conseguenza
della regressione dei civilizzati coloni
boeri a una mentalità tribale tipicamente « negro-africana ». L’allucinante universo segregazionista in cui solio costretti a vivere i sudafricani neri sarebbe dunque il prodotto (sia
pur indiretto) della loro stessa barbarie!
L’argomento suggerito da Soggin è
illuminante e ci aiuta finalmente a capire le ragioni di tante vicende spiacevoli degli ultimi anni. Perché gli
americani stanno distruggendo freddamente e sistematicamente le città,
i villaggi e le campagne del Vietnam
e i loro abitanti, a Nord come a Sud
del 17® parallelo? Ovviamente perché
l’aviazione americana è vittima di un
processo di « vietnamizzazione ». Perché i ’paras’ del generale Massu hanno torturato e massacrato algerini
per sei anni, dal 1954 al 1962? Ovviamente perché i francesi, stando per
più di un secolo a contatto con la medioevale civiltà araba del Maghreb,
erano regrediti al fanatismo mussulmano. Perché, trent’anni or sono, i
nazisti hanno escogitato « soluzioni finali » nei confronti degli ebrei e di
altri « popoli inferiori » dell’Europa
orientale? È chiaro: i tedeschi, avendo dovuto subire per molti secoli la
presenza delle comunità giudaiche
della diaspora, ne avevano (volenti o
nolenti) risentito l’influenza ed erano
tornati indietro nel cammino della civiltà fino allo stadio documentato da
certi libri dell’Antico Testamento:
guerra santa e « interdetto » sulle città dei vinti.
La Scienza antropologica occidentale si è spesso adoperata a farci comprendere che i veri responsabili e colpevoli dello sfruttamento e della vio
lenza sono gli stessi sfruttati e violentati. L’argomentazione non è granché nuova. Quello che lascia sconcertati è invece che venga autorevolmente riproposta da un valente semitista
e per di più professore di teologia.
Ma bisogna sempre partire dal principio che « la réalité dépasse la fiction », e non stupirsi di nulla sotto il
sole.
2. A proposito della testimonianza
cristiana e delle compromissioni politiche.
C’è poi un altro tipo di obbiezioni
al programma di lotta contro il razzismo promosso dal CEC, delle quali
tu stesso ti sei fatto interprete in più
occasioni, con la consueta modestia e
franchezza. Sono cioè le obbiezioni di
chi desidera evitare pericolose confusioni tra la testimonianza a Gesù Cristo da una parte e certe scelte necessariamente compromesse con la violenza di questo mondo dall’altro.
Vorrei cercare di individuare alcuni atteggiarrienti, molto diversi gli uni
dagli altri, in relazione a questo problema.
Ci sono delle persone che intendono
(o pretendono) preservare la fede e la
testimonianza cristiana da ogni ’contaminazione’ mondana. Questi uomini
possono seguire due vie.
La prima via è quella di distinguere, separare e nello stesso tempo lasciar coesistere due diverse « parti » o
« elementi »: da un lato Io spirito,
1’« uomo interiore », la « libertà del
credente » e la purezza delle intenzioni; dall’altro lato la carne, 1’« uomo
esteriore », la servitù del suddito o i
doveri del cittadinOj e la dura © incontrollabile necessità dei fatti. In
questo quadro avverrà per esempio
che il « credente » rifiuta di contribuire a un programma di lotta contro il
razzismo promosso da altri cristiani,
perché c’è una, sia pur minima, eventualità che una parte dei soldi offerti
dai credenti si trasformi in pallottole
nelle canne dei fucili dei guerriglieri
fcontinua a pag. 5)
Mario Miegge
umanodisumano
Razzismo
nel Burundi
Il razzismo non ha colore : discutendo um
libro recente di Roger Bastide, Giorgio Tourn
lo ricordava, su queste colonne, alcune settimane fa. La cronaca degli ultimi giorni lo ha
tristemente confermato, per quanto frammentarie siano le notizie che filtrano dal Burundi,
dove si può, probabilmente, parlare di genocidio del gruppo etnico wahutu da parte dei
watutsi : le vittime sarebbero comunque alcune decine di migliaia, forse cinquantamila,
forse più ancora.
Alcuni dati. Vasto poco più della Sicilia
(27.834 kmq), il Burundi è uno dei più piccoli Stati africani, nella regione dei grandi
laghi proprio al cuore del eontinente; è invece il secondo dell’Africa, per densità di popo
lezione (3.340.000 abitanti). L’economia, po
vera, è essenzialmente agricola; il paese è scarso di risorse, quindi di interesse per altri. Vi
convivono (in qual modo!) due gruppi etnici
quello bantù dei wahutu (87%) e quello camita dei watutsi (13%), con qualche piccola
minoranza, fra cui alcune migbaia di pigmei
twas. Questa composizione etnica è analoga a
quella del Sudan meridionale e a quella del
Ruanda; analoghi i feroci conflitti razziali.
Alcune date. Il Burundi, insieme al Tanganika, al Ruanda e a parte del Niassa (oggi Malawi) eostituiva fino alla prima guerra mondiale la colonia tedesca dell’Africa orientale.
1918 : alla sconfitta della Germania, la Società delle Nazioni lo affida, unito al Ruanda,
al Belgio, che lo continua ad amministrare come territorio autonomo (Ruanda-Urundi), di
fatto unito al Congo (oggi Zaira), anche dopo
la seconda guerra mondiale.
Ottobre 1961 : il principe Louis Rwagasore,
considerato dai coloni belgi un pericoloso progressista, è assassinato da un oriundo greco,
poi impiccato senza aver dato una spiegazione
convincente del suo atto; inizio di una lunga
serie di assassini, complotti, colpi di Stato, eliminazioni illegali e “legali”, massacri nei quali si scatenava l’odio fra i due gruppi etnici.
In questa atmosfera, l’indipendenza : 1° luglio 1962; il Ruanda diventa repubblica, il
Burundi sceglie in un primo tempo la forma
monarchica. Una guerra eivile insanguina il
Ruanda (come il confiijante Sudan meridionale), con Taffermazione del gruppo tutsi; nel
Burundi la tragedia è solo rimandata, o meglio assume la forma di accessi febbrili ricorrenti : periodicamente la maggioranza hutu,
di fatto estromessa dal potere (malgrado la loro altissima percentuale, 87%, all’avvento della repubblica, nel 1966, gli hutu hanno 3 dicasteri sui 14 che formano il governo, nell’amministrazione statale il loro rapporto con i
tutsi è di uno a cinque, i giovani hutu sono
meno della metà della popolazione studentesca), cerca di farsi spazio, ma è duramente
repressa.
Maggio 1965 : le elezioni confermano e manifestano la forte maggioranza hutu; ciononostante il re nomina primo ministro un tutsi e
tutsi sono tutti i membri del Senato che egli
nomina, per controbilanciare l’influsso dell’altro gruppo etnico alla Camera. Nell’ottobre
gli hutu si ribellano, con un tentativo di colpo
di Stato che fallisce ed è seguito da una repressione sanguinosissima che falcidia l’élite
hutu. L’uomo forte è l’allora capitano Michel
Micombero (tutsi, ovviamente), oggi colonnello e capo dello Stato.
Luglio 1966 : il re Mwambutsa IV viene detronizzato e sostituito dal figlio, Ntaré V, un
giovane di 19 anni considerato portavoce dell’ala "rivoluzionaria" dei tutsi, che propugnava una profonda trasformazione del sistema
statale e sociale. Dopo nemmeno due mesi è
deposto, è proclamata la repubblica e Michel
Mieombero assume i pieni poteri (che a tutt’oggi detiene).
Nel 1967 : durante la rivolta nel Kivu e la
prova di forza fra Kinshasa e la provincia
orientale del Congo dominata da mulelisti e
mercenari, Micombero appoggia Mobutu; questi lo ha ora ricambiato, mandando i soldati
zairani a coUaborare con i tutsi burundiani nel
“ristabilimento dell’ordine’’.
Ottobre 1969; viene denunciato un nuovo
complotto hutu; nuova repressione sanguinosa.
Marzo 1972; secondo una versione (le notizie sui fatti filtrano a fatica e parziali, dal
segreto e isolato paese) i governanti di Bujumbura montano una doppia trappola. L’ex-re
Ntaré V, deposto ed esiliato, è autorizzato a
rientrare come privato cittadino; ma appena
lo fa è assegnato in residenza coatta nell’expalazzo reale. Cominciano a circolare voci su
un' progetto di restaurazione monarchica, e
sulle montagne esplode la rivolta bantù, di'
sorganica e improvvisata come le precedenti
I capi tribù guidano alcune centinaia di guer
rieri verso la capitale, trovando via strana'
mente libera fino al palazzo reale, dove Ntaré
è linciato; nelle violenze iniziali alcune migliaia di tutsi sono uccisi; pare tuttavia che
le più gravi responsabilità siano da addossare
a sbandati mulelisti provenienti dal Kivu, aggregatisi all’insurrezione. Ciò dà buon gioco
al governo per il bagno di sangue : questa
volta il massacro è su larga scala e colpisce in
modo particolare, oltre i^’élite dei capi e a
quella culturalmente e politicamente già for
(continua a pag. 3)
Gino Coote
2
pag. 2
N. 23 — 9 giugno 1972
* PAROLA DI DIO * PAROLE DELL’UOMO ♦
M peccato oYiginàlè ’iH^^^ si fa dio - Gesù, maestro nella controversia contro l’incredulità e la durezza dei capi giudei - Il commento
° Caino, essere custode del fratello” - La speranza tra fede e utopia - Quel che la Chiesa crede si vede da ciò che fa
Capire l'AntiGo Testamento: la Caduta deirUOlUO
Abbiamo visto la volta passata che
l’Antico Testamento conosce ai suoi
inizi due racconti della creazione, racconti che diiferiscono in alcuni dettagli anche importanti, ma che sono sostanzialmente d’accordo nel contenuto fondamentale. Per il resto l’Antico
Testamento, come del resto anche il
Nuovo, non s'occupa molto della creazione; e così pure sono poche le
uìlusioni e le citazioni della preistovia
in senso assoluto. La concretezza stessa dell’Antico Testamento fa sì che
si polarizzi anzitutto sull Iddio salvatore e redentore, poi sull’Iddio creatore, un evidente allargamento delle prospettive. Ed anche
l episodio della caduta dell’uomo, episodio che continua la seconda narrazione della creazione, è un elemento
al quale l'Antico Testamento non farà
più praticamente riferimento; sarà più
tardi S. Paolo nel Nuovo Testamento
che vi costruirà sopra tutta la propria teologia della croce e della redenzione.
In cosa consiste la caduta? La risposta volgare, repressiva, diffusissima parla di sesso. Volgare perché sempre accompagnata da allusioni o barzellette di dubbio gusto, repressiva
perché suppone che il sesso sia “il
peccato’’ per eccellenza, nonostante la
ovvia circostanza che alla fine di
Gen. 2 si parla del matrimonio della
prima coppia, senza che nessuno si
sogni neanche di affermare che si sia
trattato di un matrimonio dal quale
il sesso fosse escluso (anche la fine
della prima narrazione della creazione, col suo "Crescete e moltiplicate”
presuppone evidentemente rapporti
sessuali completi tra la prima coppia); e sulla diffusione del concetto
in questione non è purtroppo il caso
di dilungarsi. Ma la risposta esatta
non è difficile da dare, se uno legge il
testo con un minimo di attenzione:
all’inizio di Gen. 3 il serpente dice alla donna che, mangiando del frutto,
l’uomo diverrà “come un essere divino” o “come un dio” (non come Dio,
il che è escluso dall’originale ebraico).
“Conoscere il bene ed il male” altro
non è che avere potere decisionale su
ogni cosa: spesso infatti l’ebraico usa
termini contrari (del tipo “entrare uscire” o “alzarsi - coricarsi” etc.) per
indicare una totalità: “entrare - uscire” equivale alla vita dopo il lavoro;
“uscire - entrare” alla giornata lavorativa e lo stesso vale per “alzarsi coricarsi”. Similmente “bene e male”
equivale ad “ogni cosa” e, dato il senso che “conoscere” ha talvolta nel
VAntico Testamento, non abbiamo a
che fare qui con una scienza che l’uomo prima non aveva (e che, sottinteso, Iddio illegittimamente gli vieterebbe di ottenere), né l’acquistare maturità, bensì chiaramente avere poteri
su ogni cosa, dunque poteri divini, come il serpente giustamente afferma.
Quanto il serpente dice non è dunque
falso, è una mezza verità. E l’uomo
cade: l’idea di potere andare oltre la
propria umanità e diventare’'Un dio è
attraente, lo è troppo. Si vede bene
che l’antico autore sapeva di cosa pariavai Dopo di questo, ci dice il testo.
Iddio si vede costretto ad allontanare l’uomo dall’albero della vita, e quindi dal giardino di Eden, per evitare
che acquisti anche l’immortalità, mangiando dell’albero della vita.
L’antica narrazione, ricca in elementi che potremmo oggi considerare mitici o favolosi, riesce dunque a farci
comprendere qualcosa: che l’uomo,
per quanto immagine di Dio, non può
essere divino lui stesso, che qui gli
viene posta una barriera insormontabile. Può essere poco inferiore di un
essere divino, come dice il Salmo 8
(che l’Ep. agli Ebrei traduce “degli
angeli”), ma non uguale.
Scoperto, l’uomo cerca immediatamente di scaricare le proprie responsabilità: l’uomo sulla donna, la donna sul serpente; tutti in realtà su Dio
che ha messo la donna accanto all’uomo e che ha creato il serpente. Rotta
dunque la relazione con Dio, si rom
pe anche la relazione comunitaria tra
l’uomo e l’uomo: il caso di Caino ed
Abele ne sarà l’esempio più tragico e
brutale. Da allora il lavoro sarà maledizione, fatica, il parto sarà doloroso, la solidarietà umana sarà interrotta. In questo dunque l’antico scrittore vede l’origine dei mali che travagliavano, ed affliggono ancora oggi,
l'umanità e per i quali solo il Nuovo
Testamento proporrà una soluzione.
Alberto Soggin
UTOPIA E FEDE
La differenza sta nella speranza cristiana
I II 2 giugno rUniversità di Ginevra ha
. conferito il dottorato honoris causa al prof.
Edmond Jacob, docente di Antico Testamento
airUniversità di Strasburgo. Egli è noto, fra
gli altri lavori, in particolare per la prima
Teologia dell’Antico Testamento scritta di recente in francese (Delachaux et Niestlé,
1957, 2“ ediz. 1968), pubblicata quando ancora non vi erano , in lingue neolatine, sintesi di teologia veterotestamentaria. Il prof. Jacob collabora pure al Commentaire de l’Ancien Testament (edito ancora da Delachaux
et Niestlé, ne sono usciti finora cinque volumi fra cui uno dedicato dal prof. A. Soggin al
libro di Giosuè), per il quale ha scritto
(1960) il commento al libro di Osea.
H Continua, soprattutto in Francia (ma
cominciano a giungere interventi anche dall’estero, fra l’altro dall’est europeo, come documenta la stampa protestante) la discussione
sul rapporto diffuso dalla Federazione protestante di Francia su « Chiesa e poteri ». L’ultimo numero (2-3/1972) della rivista « Foi
et vie » (126 p., 6 F.) è quasi interamente dedicato a un dibattito su questo tema, da vari
punti di vista.
Il 24 maggio ha avuto luogo a Torino nella sede delTIstituto S. Paolo,
indetta dal Centro ecumenico « Maran
athà », una conferenza tenuta da Padre Ernesto Balducci sul tema « Utopia e fede ». Gli argomenti presentati
sono di notevole attualità e ripropongono gravi problemi in cui ognuno di
noi si è già più volte imbattuto.
Inizialmente, egli ha dato una valutazione della nostra epoca; stiamo vivendo un momento di crisi generale
che coinvolge la nostra civiltà senza
darle possibilità di scampo. Mentre assistiamo al suo sgretolarsi, noi uomini prendiamo due diverse posizioni:
alcuni si lasciano andare alla deriva,
assumendo un atteggiamento passivo
ed esprimono soltanto un profondo
scetticismo sul futuro, altri •— dice
padre Balducci — ringraziano Dio di
poter vivere questo tempo, guardando
con letizia al futuro, per scoprire i
frutti che ne nasceranno, attenti ai
segni dei tempi e aH’appello di Gesù
che ci invita alla speranza e al ravvedimento. Così, oggi ci sono solo due
partiti che, con sfumature diverse, agiscono sia nella vita sociale e politica
sia nella chiesa: quello della paura e
quello della speranza.
Una prima conseguenza della crisi
della nostra civiltà tradizionale è la
scoperta della inconsistenza delle ideogie, con le quali l’uomo progetta il fu
La lettera e lo Spirito; Ezechieie 3: 1>7
di Renzo Turinetlo
i altri possono dormire, la sentinella no
« Ho stabilito te come sentinella sulla
casa d'Israele; quando dunque udrai qualche parola dalla mìa bocca, avvertili da
parte mia ».
La settimana passata abbiamo detto che
una sentinella deve stare all'erta. In attesa
del giorno ha da vegliare nella notte.
Tutti possono dormire, la sentinella no
Non può farsi assorbire da pensieri perso
naii, deve farsi assorbire dalla preoccupa
zione per gli altri. La sentinella non appar
tiene a se stessa, è caricata d'una responsa
bilità troppo impegnativa. Se se ne scorda,
compromette la vita del suo prossimo.
Tuttavia la sua concentrazione non la isola né dalla vita comune né dal rapporto con
gli altri. Anzi, proprio in virtù della sua missione, la sentinella è legata a più giri sia
con la consegna ricevuta, sia con quanto
succede vicino ad essa, sia con quanti le
stanno intorno. Legata alla consegna ricevuta : può quindi conoscere dei momenti di
debolezza, causati da fatica o paura, ma essi
non possono farle dimenticare gli avvertimenti e le assicurazioni contenuti nella consegna, non sono più forti di essa. Legata con
quanto le succede vicino: la sua veglia non
è quindi una superba solitudine, un aristocratico isolamento intellettuale o spirituale
Vive invece nelpieno delle realtà, altri
menti come farebbe'a capire se dare Tal
larme, e per che cosa darebbe l'allarme?
Legata a quanti le stanno intorno: non ve
glia solo per suo beneficio esclusivo, e questo scopo dovrebbe stringere ancor più i
legami della solidarietà fraterna.
Il credente ha una consegna estenuante,
ma non è abbandonato alle sue stanchezze
e alle sua sfiducie, rion per esse egli deve
arrendersi e desìstere. Non può disinteressarsi del mondo, con i suoi peccati e le sue
lotte, le sue crisi e ì suoi fallimenti : perché
nel mondo è chiamato a vivere e testimoniare di Dio. Non può stimarsi maestro degli
uomini ma loro servo e fratello: deve avvertirli da p^rte di Dio, non da parte della sua
propria personale sapienza. La sentinella è
il « custode di suo fratello », in senso attivo
e positivo.
Capire II Nuovo Testamento: il Gesi dei primi cristiani
Abbiamo visto le scorse settimane
alcuni esempi di antichissime testimonianze rese a Gesù dalla comunità
primitiva. È possibile andare oltre e
accrescere la nostra conoscenza di
quello che Gesù ha significato per i
prirni credenti? Testimonianze dirette, m genere, non ne abbiamo; non
c erano ancora servizi di informazione che li intervistassero. Notizie dirette le abbiamo solo per un convertito d’eccezione, Saulo di Tarso. Ma i
suoi scritti, come abbiamo già detto,
ci portano verso l’anno 50 d. C. Da
un accurata lettura dei vangeli possiamo dedurre quel che Cristo ha significato, venti o trent’anni dopo, per
ciascuno dei loro autori nonché le caratteristiche particolari delia testimonianza che gli hanno reso con il loro
modo di pres^tare la sua persona, la
sua attività, il suo insegnamento. Ma
prima?
Qualcosa possiamo tentare di scoprire prendendo come punto di partenza il vangelo più antico; Marco.
Ci sono delle buone ragioni per pensare che esso sia stato scritto almeno nella sua forma definitiva, qualche
anno prima oppure immediatamente
dopo la conquista romana di Gerusalemme nel 70 d. C.
In Marco possiamo riconoscere almeno tre gruppi di episodi o di insegnamenti che con molta probabilità
erano già stati riuniti in precedenza
e che sono giunti fino all’evangelista
come delle piccole antologie: si tratta delle parabole del cap. 4 (il seminatore; la lampada e la misura; il seme che cresce da sé; il grane! di senape) e di due raccolte di episodi di
conflitto o dibattiti tra Gesù e i suoi
oppositori. La prima si trova al cap. 2
e nei primi versetti del cap. 3; contiene il dibattito sull’autorità di rimettere i peccati, sorto a proposito del
paralitico di Capernaum; il dibattito
sulla familiarità di Gesù con le persone più disprezzate e odiate del suo
tempo (i « pubblicani », come dicono
le nostre bibbie imitando il termine
latino usato dalla vulgata per indicare gli agenti incaricati della riscossione delle tasse imposte dagli occupanti romani. Oltre ad essere odiati per
il loro collaborazionismo, lo erano anche perché — forse con una certa generalizzazione — li si accusava di approfittare del loro mestiere per trarne un profitto personale, cfr. Le. 19: 8.
Infine, il continuo rapporto di lavoro
con i romani — pagani — li metteva
in uno stato di impurità rituale che
impediva loro di avere parte alla vita
religiosa del loro popolo. Erano così
praticamente degli scomunicati sia
su! piano rituale che su quello sociale); il dibattito sul digiuno, non osservato dagli «amici dello sposo»; i
dibattiti sul rispetto del sabato (a
proposito dei discepoli che coglievano
delle spighe lungo il sentiero e della
guarigione dell’uomo dalla mano rattrappita).
La seconda raccolta di dibattiti è ai
capitoli 11 e 12; in essi Gesù affronta
successivamente obiezioni o domande poste dai membri del sinedrio
(11; 27), dai farisei con gli erodiani
(12: 13), dai sadducei (12: 18) e dagli
scribi (12: 28).
Queste raccolte sono state esaminate recentemente dal prof. E. TrocMÉ di Strasburgo (lésus de Nazareth
vu par les témoins de sa vie, Neuchâtel 1971). Gli episodi di Marco 11 e 12
presentano Gesù come un esperto ragionatore che non si lascia imprigionare nelle sottigliezze delle discussioni rabbiniche ma si mette sullo stesso terreno dei suoi avversari e impone loro non la sua interpretazione
della tradizione ma un’autorità personale senza precedenti.
Alcuni dei dibattiti di Marco 2 e 3,
invece, e alcuni dei sei ricordati solo
da Luca (9: 51-56; 12: 13-14; 13: 1-5;
1-3: 10-17; 14: 1-6; 17: 20-21) sono più
virulenti; spesso è Gesù a prendere
l’iniziativa e a denunciare con veemenza i peccati e le pretese dei capi religiosi del suo tempo; il suo tono è più
spesso quello di un profeta indignato
che quello di un sottile ragionatore
(op. cit., p. 65-67).
Negli uni e negli altri episodi affiora un ricordo dell’attività di Gesù reso attuale dalla situazione della comunità dei discepoli nei primi decenni dopo la risurrezione: una situazione di contrasto con il giudaismo e di
progressiva estraniazione delle due
cornunità, fino ad arrivare alla persecuzione dei cristiani e alla loro espulsione dalle sinagoghe, menzionate nei
vangeli di Matteo e di Giovanni.
Si comprende facilmente che discepoli posti continuamente in condizione di render conto della loro fede —
alle persone con cui erano in contatto, prima che ai persecutori o ai magistrati — abbiano affidato anzitutto
alla tradizione orale, poi a piccole raccolte scritte, una testimonianza di Gesù che lo ricordava maestro nella controversia contro l’incredulità e la durezza dei capi dei giudei. È un’espe
Ricerca della Chiesa;
confessione di
Uno degli aspetti caratteristici e allo stesso tempo critici della attuale
situazione della chiesa è il progress'vo allontanamento di molti cristiani
(non di rado assai consapevoH) dalla vita della comunità, dai suoi culti,
dalle sue assemblee. Il fenomeno è
generale, tutti lo conoscono, molti ne
soffrono. Bonhoeffer lo giudica severamente. Considera « una perversione » il fatto che il singolo si senta autorizzato ad appartarsi dall’assemblea
cultuale, appellandosi forse alla sua
pietà individuale (« il mio culto me lo
faccio da me »), e definisce « mortale » la domanda che molti si pongono
apertamente o tacitamente: « Che ci
guadagno (a frequentare il culto)? Per
quale motivo vado alle assemblee? »
D'altra parte è indispensabile che la
chiesa, cercando le cause di tante diserzioni, esamini anzitutto se stessa.
Fra le domande che essa si deve porre ci sono queste: « L’Evangelo è predicato male?... La Chiesa è afflitta da
una malattia mortale? »
Certo, per i primi cristiani, sarebbe
stato inconcepibile vivere la propria
vita lontano dall’assemblea dei fratelli e in particolare dall’assemblea cultuale. E nell’assemblea che si ha l’effusione dello Spirito con tutte le sue
manifestazioni; è nell’assemblea che
mediante la profezia e Vinsegnamento
si ode la viva parola di Dio; è nell’assemblea che accadono i miracoli. Insomma, allora « succedeva qualcosa
nell’assemblea. Dio era presente nella
sua rivelazione. Lì si discerneva la volontà di Dio ». Ma oggi? L’assemblea
cultuale non risponde alle attese di
molti, le quali a loro volta sono inferiori alle promesse di Dio. Solo « i settari e i gruppi politici » sembrano non
conoscere il disagio che come cristiani avvertiamo nelle nostre assemblee.
Che fare? Una cosa è certa: non basta una riforma liturgica a risolvere
questa crisi.
. * * *
La chiesa nasce dalla parola di Dio.
La chiesa della Parola è una chiesa
comunitaria. La comunità nasce dalla
rienza che si è ripetuta nella storia di
tutti i movimenti di risveglio e di ritorno alle fonti della fede; che si ripete ancora oggi nel contrasto fra le
strutture istituzionali e talune concezioni profetiche della fede cristiana.
Bruno Corsani
nel mondo la nostra
fede è l'azione
parola di Dio come comunità confessante. Se non è confessante vuol dire
che non nasce dalla parola di Dio perché il primo obiettivo di quest’u't ma
è di suscitare la confessione di fede,
che è il segno distintivo della chiesa.
« È la confessione di fede che distingue la comunità da un uditorio. La
comunità deve confessare o rinnegare; non può restare indecisa come un
uditorio ». Confessando la sua fede,
la comunità deve dire una parola
chiara e univoca, sia per i credenti
che per gli increduli. Oggi non è più
possibile considerare il Simbolo apcstolico come una formulazioni adeguata della nostra fede. Tra l’altro,
secondo Bonhoeffer « il simbolo degli
apostoli non è conforme alla confessione protestante ». Il problema è più
che mai aperto: bisogna formulare
una nuova confessione di fede. Il compito di redigerla spetta ai sinodi.
Bonhoeffer aggiunge una precisazione che contraddice i pensieri di molti fU noi sulla confessione di fede. Comunemente riteniamo che il contesto
appropriato per la confessione di fede sia il mondo. Per Bonhoeffer è la
chiesa: la confessione di fede « ha il
suo posto nell’assemblea dei credenti
e non può essere sostenuta in nessun
altro luogo ». Ma allora, come si presenta la comunità cristiana al mondo? Ecco la risposta: « La prima confessione della comunità cristiana di
fronte al mondo è l’azione. Essa si interpreta da sé. Se accade che l’azione
diventi una potenza, il mondo avrà
voglia di conoscere anche la confessione verbale. Piuttosto che essere annunciata con scoppi di voce come lo
sarebbe da parte di un propagandista,
essa dovrà essere preservata come un
br«-!e sacro della comunità. Essa ha il
suo posto tra Dio e la comunità, non
tra quest’ultima e il mondo... Di fronte al mondo, l’azione è la nostra unica confessione ».
Così dunque la chiesa si presenta al
mondo: vivendo una certa vita, percorrendo una certa via. È più che sufficiente. L’intento di Bonhoeffer non è
certo di rendere muta la testimonianza cristiana nel mondo ma è di scongiurare il pericolo di una confessione
di fede a buon mercato. Egli perciò
ricorda che le nostre opere sono la
prima confessione della nostra fede e
che quel che la chiesa crede si vede
da ciò che fa.
Paolo Ricca
turo dell’umanità.
Una volta il futuro era uguale al
passato; poi, dopo la conquista della
tecnologia, l’uomo si rese conto che
era in grado di prevedere e di programmare il futuro; la speranza nelItí nuove capacità deiruomo divenne
una forza creatrice e modellatrice del
futuro. Ma ora la pretesa delle ideoI^ogie di prevenire e di soggiogare il
futuro deH'uomo è sfumata: ci stiamo rendendo conto che tutte le ideol^ie sono vecchie e che esse devono
affrontare fatti nuovi che si susseguono con un ritmo sempre più incalzante, non previsti, i quali vanno ben oltre alla capacità di comprensione della ragione umana.
Ma la crisi non ha eliminato le ideologie; anzi, esse sono sempre più dogmatiche, astratte, massimalistiche,
producono la disperazione. Su questa
crisi, soprattutto, nascono e si sviluppano le nostre paure.
Di fronte a questa situazione allarmante^ possiamo prendere tre posizioni diverse:
a) rinunciare alla nostra vita e accettare di essere « gestiti » da altri,
rinchiudendoci in un profondo individualismo: il futuro del mondo non ci
interessa;
b) rifiutare la ragione, perché essa è uno strumento per mantenere la
nostra società in crisi e dare se stessi all’immaginazione e aWutopia; ma
anche questa via non ha futuro. Tutti
ricordiamo il movimento degli hippies
amerirani i quali criticano la nostra
società denunciandone i vizi e reagiscono ad essa con la fuga, l’evasione,
ricercando il sogno e l’illusione. Il loro comportamento però non è un indice di speranza ma di disperazione e
di paura: una realtà che si giudica
negativamente non può essere vinta
fuggendo ma solo opponendovisi;
c) scegliere la ragione critica. La
ragione o serve a mantenere la situazione attuale o serve alla liberazione
deH’uomo; in questo secondo caso diventa critica, perché ci aiuta a scoprire le forme di schiavitù in cui ci troviamo, ci obbliga a sciogliere i nodi
della falsa coscienza che ci opprime
in modo subdolo. La ragione critica
anticipa allora con l’immaginazione
nuovi modi di essere dell’uomo, stabilisce strategie e metodi in modo che
il possibile diventi reale.
Dopo queste valutazioni, padre Balducci è passato a considerare la condizione attuale della Chiesa: o l’uomo
si converte — e questa è l’unica possibilità per entrare in un tempo nuovo
— alla sua umanità oppure per lui
non c’è più futuro: sembra che Dio
abbia costruito l’Apocalisse con le mani dell’uomo stesso.
Non c’è quindi nulla di strano se
anche la chiesa è in crisi, data la situazione generale. Non c’è dubbio che
nella nostra civiltà l’Evangelo è stato
più volte piegato secondo i desideri
degli uomini e che è diventato anche
uno strumento per mantenere certe
posizioni di comodo; come dicono alcuni, è stato fatto un nuovo « Vangelo per i potenti »: in questo caso però, la chiesa non ha futuro.
Tuttavia, se la chiesa vive ancora,
malgrado le sue gravi manchevolezze,
questo miracolo è dovuto solo alla fedeltà della promessa di Dio. Questo
momento di crisi che noi viviamo,
apre alla chiesa due possibilità: rimanere tale e quale e guardare al futuro
con paura, oppure convertirsi e guardare al futuro con speranza.
La speranza cristiana, libera dalle
deformazioni del sistema, conduce alla Parola e alla verità dello Spirito
santo; in tal caso la fede torna ad
essere un principio di vita e ci fa
sperimentare la libertà più grande.
Noi stiamo vivendo l’anno zero del
cristianesimo: Bonhòffer disse che la
chiesa aveva bisogno di un lungo periodo di silenzio; pare, ora, di sentire
un nuovo balbettio.
La speranza cristiana indica a queste nuove voci tre vie che si intrecciano l’un l’altra:
a) la via teologica: conoscere Dio.
Vuol dire sconfessare il dio dell’ideologia, idolo e menzogna che dà sacralità
e intangibilità al . sistema vigente, e riconoscere Dio, padre di Gesù Cristo,
il quale sulla croce ha manifestato il
suo amore per gli uomini fino a morire per loro;
b) la via antropologica: conoscere l’uomo; non quello della cultura
umanistica né quello della scienza e
della tecnologia, ma quello che è stato cercato e amato da Dio; l’uomo
che soffre, che non conta nulla, l’emarginato a cui Gesù si è rivelato;
c) la via cosmologica: conoscere
il mondo. Esso non è il luogo della
concupiscenza dal quale bisogna fuggire. ma è il luogo della nostra conversione, il luogo in cui si compie la
nostra liberazione di figli di Dio. Innamorarsi del mondo vuol dire accettare e credere nella promessa disarmante di Dio, vuol dire cercare già
nel mondo il futuro di Dio nell’attesa
piena di speranza.
In questo diverso atteggiamento
consiste la differenza tra utopia e fede.
A cura di Evelina Pons
e Andrea Ribet
3
9 giugno 1972 — N. 23
pag. 3
I lettori ci scrivono
Notiziario Evangelico Italiano
Contro-informazioni
Caro direttore.
Ti sarò grato se vorrai ospitare questo
scritto, che sento la nece«sil'\ di indirizzare ai lettori ed a te allo scopo, non di difendere o giustificare quanto ormai da
anni vado dicendo nella rubrica Uomini,
fatti, situazioni, ma di chiarire malintesi
ed incomprensioni che vanno via via creando, anzi, allargando quel fossato che pare
dividere.le comunità.
Quando ho accettato l’incarico di commentare brevemente (e quindi in modo a
volte incompleto e troppo conciso) avvenimenti e situazioni del nostro tempo sono
partito dal principio che tutti o gran
parte dei nostri lettori leggono giornali cosiddetti « di informazione », riviste e rotocalchi, ascoltano la radio e vedono la
televisione. Di conseguenza, essi dispongono di un gran numero di notizie e relativi commenti aventi una notevole uniformità e tendenti ad escludere o a minimizzare tante altre, perché non « in linea »
colle idee e colle finalità dei titolari delle
varie « testate ». Di qui, mi sono proposto
di offrire, a chi legge la rubrica da me
curata, una serie di contro-informazioni,
un cc contro-notiziario » per cercare di ristabilire, attraverso la lettura di varie altre pubblicazioni (e questo naturalmente
in coerenza alle mie idee) un certo qual
« equilibrio », così largamente turbato dai
grandi « mass media ».
Basterà scorrere qualcuno degli argomenti più spesso trattati per meglio rendersi conto della cosa.
In campo internazionale : la corsa agli
armamenti e lo spaventoso spreco che il
mondo intero vi fa a scapito di una maggior giustizia sociale e di una solidarietà
internazionale, basata sulla fiducia e la
comprensione e non sui blocchi militari
e sull’equilibrio del terrore; la guerra indocinese, che a mio avviso costituisce una
delle più grosse infamie che una nazione
civile abbia potuto commettere; lo sfruttamento da parte del mondo capitalistico
(certo, la cosa avviene anche nel campo
socialista ma in proporzioni neppure paragonabili) di numerose nazioni del terzo
mondo, sfruttamento che per di più viene
fatto apparire come un valido « aiuto » e
come una « civilizzazione » di paesi arretrati; la situazione razziale e coloniale dell’Africa australe. Ma non abbiamo neppure « dimenticato » di parlare di argomenti preferiti dalla grande stampa, quali l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del patto dì Varsavia; i fatti di Polonia; il costantinianesimo delle
chiese dell’est; la situazione degli ebrei e
di altre minoranze in URSS, ecc.
In campo nazionale : La tragedia degli
emigranti interni ed esterni, spinti dalla
necessità a cercare lavoro altrove a causa
deirimprontitudine colpevole della nostra
classe politica e deU’inflessibile « logica »
di quella padronale; il dramma degli
(c omicidi bianchi » ovvero degli incidenti
mortali sul lavoro di cui iTtalia detiene il
primato europeo, contemporaneamente al
primato delle paghe più basse; l’urgente
necessità di riformare profondamente esercito e polizia basati ancor oggi su regolamenti borbonici e antidemocratici; l’obiezione di coscienza e il suo pieno riconoscimento per realizzare il diritto dei giovani
di poter compiere un servizio alternativo
e non punitivo, in nome delle sue convinzioni religiose, morali o socio-politiche;
l’opposizione alla indiscriminata campagna
di calunnie, di repressione e di incriminazione ai gruppi « gauchistes », le cui idee
potranno essere discutibili finché si vuole,
ma che hanno tutto il diritto di farsi sentire, mentre per contro il fascismo risorgente viene blandamente « redarguito » e
mai severamente punito.
Sono partito dal concetto che, se è necessaria un’autorità, essa deve essere concepita, da chi ne e investito, come un servizio e non come un potere : un’autorità
verso cui si ha il dovere di essere critici
finché prevarrà la tentazione del potere (e
quindi sempre!) per di più a svantaggio
della collettività.
Certo, il mio può essere interpretato anche come un « senso unico » in quanto
contrasta un altro senso unico. Né d’altra
parte la neutralità (così apprezzabile in
campo militare!) nel commentare fatti e
avvenimenti è pensabile, in quanto non
esiste, come altrettanto fasullo e farisaico
è il cosiddetto « giusto mezzo », che è giusto solo per chi lo pratica.
È con questo spirito « politico » e non
« partitico » che ho assunto il mio incarico ed è con questo spirito che intendo continuarlo (a meno che non mi venga chiesto di lasciarlo), nella convinzione che, di
fronte a tante drammatiche situazioni, di
fronte alle così numerose ed insopportabili ingiustizie che si verificano a livello
plonetario, il nostra posto di uomini e di
credenti non possa essere che vicino ai deboli, agli oppressi, alle vìttime di ogni so
pruso. per la crescita e per la liberazione
del nostro fratello. Roberto Peyrot
Ti sono grato per queste precisazioni ai
lettori: quanto a me so con quale animo
dai la tua collaborazione; soltanto, come il
ho detto pure a voce, ritengo che la ru^
brica acquisterebbe più largo ascolto (e ciò
che presenta va ascoltato) se tenesse maggiormente conto (in qualche misura ciò
già avviene) del fatto che nelle nostre
comunità, anche se in proporzioni diverse,
non esiste un unico « senso unico » di
fronte al quale è utile e necessaria una
« contro-informazione ». Con stima e riconoscenza, Gino Conte
Acido corrosivo
(un appello
airamor fraterno)
Una lettrice, da Roma:
Signor direttore,
noto con stupore che questo vostro giornale presuntuosamente si ostina a definirsi « settimanale della Chiesa Valdese » e
ancora più presuntuosamente inalbera accanto al suo titolo « La Luce » (ironia dei
nomi!) una evangelica — da voi calpestata — definizione.
Che Gesù Cristo sia ancora-la luce del
mondo non appare — difatti — molto sicuro sfogliando le pagine di questo settimanale che, per la sua capacità di seminare odio, razzismo e violenza, non ha nulla da invidiare agli scritti di a quella valorosa e distinta giornalista » ispiratrice
di cristiana bontà, che è la Cederna, a
quella indiscutibile bocca della verità che
è « l’Unità », a quegli edificanti scritti del
« Manifesto » e di « Lotta continua », che,
per la loro potenzialità dì distruzione di
ogni sentimento umanitario e religioso,
hanno pieno diritto dì essere ospitati nel
vostro giornale. Poiché nel nostro libero
e democratico paese non grava sulla stampa quella ferrea e spietata censura che
vige nei paesi asserviti al Comunismo, fate bene a pubblicizzare gli scritti che vi
sono più congeniali. Perché, anzi, vista
la tragica coriclusione della « pia, benefica
associazione del multimiliardario Feltrinelli » (che sembra vi stia a cuore), non
contribuite e completare il di lui esemplare disegno, pubblicando i nomi di quanti
ancora dovranno essere martirizzati per
placare la vostra sete di giustizieri? Sarebbe opera a voi congeniale, come è stato
per voi logico e congeniale pubblicare le
grottesche strofette di quella tragica canzonetta che spinge gli incoscienti al massacro dei propri simili. Un tempo questi
simili venivano chiamati « fratelli » e morivano amandosi nel nome di Cristo.
Un tempo, quando non èra ancora nata
quella profetessa di sventura che è la vostra Cassandra, uno Sconosciuto dai miti
occhi sereni, pochissimo impegnato, ascoltava indulgente i due discepoli sulla via di
Emmaus che gli descrivevano gli infiniti
mali che travagliavano la loro città. Ma
Lui aveva gli occhi rivolti al Cielo : le sue
parole erano il sale della terra, il lievito
che accresce il pane della vita.
Le parole del vostro giornale, invece,
sono acido che corrode le anime nostre.
Per questo voi siete liberi di gettare in
questa brutta copia dell’« Unità » tutto il
fiele che volete, ma dovreste avere il buon
gusto di non pubblicare articoli di carattere religioso. Qualcuno una volta disse :
« Non si può servire a Dio e a Mammona ». Sono parole superate, è vero, ma per
qualcuno sono valide ancora.
E non dovreste nemmeno definire questo vostro giornaletto « organo ufficiale
della Chiesa Valdese ». A leggerlo vien fatto dì credere che la Chiesa Valdese abbia
concluso la sua missione evangelizzatrice.
Non ho quella traumatizzante carica di
« Cristianità » della Cederna, né quella
sconvolgente acutezza chiarificatrice della
vostra Cassandra, tuttavìa vi prego di ospitare questa mia lettera nel vostro giornale. Non perché ci tenga a ribattere le vostre opinioni politiche. Non mi interessano
minimamente. Ma perché mi sembra giusto, prima che siano del tutto avvelenate He
anime dei nostri giovani, fare il punto
della situazione, in poche parole sapere
(mi rivolgo a quelli che possono definirsi
fratelli) vorrei personalmente sapere quanti evangelici ci sono ancora che sappiano
solo amarsi nel nome del Signore e che
cosa pensano che sia urgente fare perché
il messaggio d’amore del Cristo non venga
distrutto in noi.
IsA Briante Tacliarini
La nostra babele
e lo Spirito
Una lettrice, da Riclaretto:
Caro direttore,
desidero ringraziare per l’assenso al mio
scritto da parte dei signori Alma Calvino
NOVITÀ' CLAUDIANA
Annuario Evangelico 1972 - 1973
— Informazioni, indirizzi, orari, responsabili di tutte le Chiese Evangeliche in Italia
(federate e non), delle Chiese italiane all’estero ed estere in Italia.
— I dati essenziali degli Istituti ed Opere da esse dipendenti.
— Programmi dei Centri per la gioventù e per vacanze.
— Trasmissioni radiofoniche — Periodici evangelici — Statistiche.
— Indirizzario completo di tutti i pastori e responsabili di Chiese.
Una miniera di notizie. Indispensabile per ogni famiglia evangelica.
Volume tascabile di pp. 336, copertina plasticata L. 1.400.
e Valdo Vinay; non solo nella mia chiesa,
ma anche in altre vecchi e giovani pensano che non sia paganesimo se partecipiamo al dolore della famiglia in lutto e per
ossa oreghiamo.
Mi preoccupa Tavvenlre della nostra
Chiesa, da tutte lo parti si sentono 'amentele, molti abbandonano la Chiesa, non
danno più la contribuzione ; ricordo a
questi fratelli che ci sono opere di bene,
asili per i veechi, ease per ragazzi senza
famiglia, missioni ecc. Stiamo distruggendo ciò che i nostri padri hanno edificato
con infiniti sacrifici. C’è una gran confusione, e non so come ne usciremot ma dopo la tempesta il sole torna rempre a risplendere e spero che sia così anche per
la nostra Chiesa. Cerchiamo l’unione non
in quello che può offrirci il mondo, ma
nella preghiera: Dio solo potrà indicarci
la via giusta. Egli che è sempre vicino a
noi per guidarci, se lo invochiamo. Ovunque si stanno costruendo ijellissimi castelli,
ma su terreno mobile, e all’urto della pioggia e del vento...; come un bel fuoco di
paglia, che cessata la bella fiammata resta solo un pugno di cenere che il vento porta via. L’Evangelo che abbiamo creduto, esso solo è valido, e nulla potrà separarci dal Signor Gesù, nel quale abbiamo creduto, accettandolo come Salvatore e
promettendo di restargli fedeli. Con questo
non voglio giudicare nessuno, Dio solo è
colui che giudica tutti gli uomini e la vittoria finale sarà la sua soltanto, quando vi
sarà un solo gregge e un solo pastore, Gesù Cristo.
Riguardo a ciò che avevo scritto, certo,
il compito dei pastori non è solo quello di
battezzare, sposare e far funerali; il buon
samaritano si è occupato fino a guarigione completa dell’uomo che si era imbattuto nei ladroni; e non solo i pastori, ma
ogni credente deve vedere nel prossimo un
fratello da aiutare conducendolo a Gesù,
se ancora non crede. E anche se non sempre possiamo recarci al capezzale di un malato, possiamo pregare per questo fratello
chiedendo a Dio la guarigione, la preghiera è più di ogni liturgia. Nella Bibbia è
scritto : « Andate, ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo »; il battesimo
è un atto che fa parte della vita di una
faniiglia cristiana, genitori e padrini devono non solo promettere, ma mantenere
la promessa di pregare per quel bambino
allevandolo nella conoscenza del Signor
Gesù; il pastore battezza con acqua, ma
Dio battezza con il suo Spirito Santo e
noi dobbiamo pregare perché lo mandi a
noi e al bambino. Se avessimo lo Spirito
Santo, la chiesa sarebbe più unita.
Fraterni saluti Enbichetta Clot
Una
testimonianza
Un lettore, da Laigueglia:
Signor direttore,
mi permetto di scriverle in merito agli
articoli apparsi relativi alla consacrazione
di pastori metodisti al Sinodo Valdese. Premetto che, facendo parte della diaspora di
Sanremo, frequento, tempo e salute permettendo, i culti valdesi di Alassio (detto
fra noi mi sento più valdese di certi valdesi di antichissima origine) e i culti metodisti di Albenga. Pertanto conosco il « Pastore )) Becchino e non trovo in lui nulla
da ridire. Sono consenziente con il regolamento della nostra Chiesa, che prescrive
una frequenza in una Facoltà di Teologia
e un esame di fede molto approfondito;
ma non trovo nulla di strano e anomalo se
la consacrazione a Pastore del Sig. Becchino avvenisse nella chiesa di Torre Pellice, con Conferenza metodista e Sinodo
valdese riuniti. Pastore o no, il Sig. Becchino continua a fare il pastore molto egregiamente e nella chiesa di Albenga si alternano pastori e non pastori metodisti e
perfino valdesi. Perciò a mio avviso ritengo opportuno che detto riconoscimento
avvenga anche attraverso la Chiesa Valdese, fermo restando che esso rimanga per la
Chiesa Metodista, oppure nel caso che in
qualità di pastore metodista dovesse reggere le sorti di una chiesa valdese sprovvista di pastore. E’ ovvio che nell’eventualità
di una fusione fra Valdesi, e Metodisti, allora e solò allora si potrà vedere e giudicare, sotto l’aiuto di Dio, quale sarà la
giusta via. Tanto più che quando fosse
giunto quel momento sorgeranno difficoltà
molto maggiori che il riconoscimento del
pastorato del Sig. Becchino.
Scusando per il disturbo, saluto distintamente, Mario Marchiano
Pubblichiamo con piacere questa testimonianza, precisando comunque che la
persona, le capacità e la vocazione di
Franco Becchino non sono state e non
sono in discussione. Il dibattito verteva
sugli ordinamenti delle due Chiese.
1 ciau
I dìa
T na
EDITRICE CLAUDIANA c.c.p. 2/21641
Via Principe Tommaso, 1 - 10125 Torino
Dna Casa di riposo a Bologna
Esiste a Bologna, ad opera dei Fratelli, una piccola casa di riposo per persone aniane, diretta da Pietro anseimo.
Questa attività si svolge in un appartamento al 7° piano, ma il fratello Anseimo desidererebbe costruire un piccolo
edificio su un terreno già acquistato, a
15 chilometri dalla città, a S. Lorenzo
in Collina. Già è stata posta la prima
pietra e i Fratelli confidano di proceder nell’opera.
Voce della Bibbia annuncia una nuova trasmissione radiofonica da Radio
Montecarlo (mt. 205, Kc. 1466): « Parliamone insieme » ogni venerdì ore 22.
Domenica 11 giugno ricorre l’annuale giornata di preghiera per le trasmissioni delTEvangelo nel mondo. La Voce della Bibbia chiede di pregare per
il ministerio della Radio e della Televisione nel mondo. Inda Ade
Riunito a Ecumene
il Consiglio della FCEI
Con un denso ordine del giorno si
è riunito a Ecumene, nei giorni 3 e 4
scorsi, il Consiglio della Federazione
delle Chiese Evangeliche in Italia. Nel
corso dei lavori è stato fatto un esame dell’attività svolta dai diversi Servizi, quindi sono stati analizzati i rapporti con l’ASE, la EGEI, la Federazione Femminile, la Società Biblica.
Poche le novità emerse dal rapporto del Servizio Stampa Radio Televisione. Il Consiglio, infatti non ha potuto far altro che prendere atto delle
difficoltà di carattere tecnico-burocratico che hanno ulteriormente rinviato l’inizio della rubrica televisiva. Valutando poi l’attività del Servizio Studi, il Consiglio ha deciso di designare il segretario di questo Servizio quale corrispondente italiano dell’Istituto ecumenico di Bossey. NelTesaminare l’attività della primavera, il Consiglio ha considerato positivamente i risultati dei due convegni: quello di Villa S. Sebastiano sull’azione sociale e
quello biblico di Ecumene. Nel corso
dei lavori i membri del Consiglio, che
nelle loro discussioni avevano sempre
tenuto presente il contesto nel quale
si sviluppa la testimonianza delle
Chiese italiane, si sono orientati verso una sempre più intensa presenza
della Federazione nella vita sociale
italiana. A conclusione dei lavori il
Consiglio ha dovuto suo malgrado accettare le dimissioni del past. Giorgio Bouchard, il quale ha motivato la
sua rinuncia in considerazione dei numerosi impegni assunti entrando a
far parte della Tavola Valdese e perii sempre crescente impegno a Cinisello Balsamo. Al past. Bouchard subentra il past. Salvatore Ricciardi.
In merito alle prospettive di collaborazione con la Società Biblica, il
Consiglio ha preso in considerazione
la possibilità che esso si concretizzi,
tra l’altro, nel lanciare e sostenere insieme corsi biblici per corrispondenza.
...e il Convegno biblico
sulia^ lettura che
E. Kàsemann fa
del Nuovo Testamento
Dal 1° al 3 giugno si è svolto nel centro metodista di Ecumene il convegno
biblico organizzato dal servizio studi
della FCEI. Il tema dell’incontro era,
come noto, centrato sulla lettura del
Nuovo Testamento inteso come appello alla libertà seguendo la proposta, del
volume di E. Kàsemann edito recentemente dalla Claudiana.
Erano presenti un buon numero di
pastori, il Movimento cristiano studenti di Roma, un certo numero di laici impegnati ed interessati ad una ricerca
biblica.
Una presentazione introduttiva di
Aldo Comba metteva subito in rilievo
le conseguenze del metodo storico-critico applicato al Nuovo Testamento, le
reazioni immediate a cui inevitabilmente si va incontro passando da uno
studio acritico ad uno studio critico
della Bibbia; dall’altra veniva sottolineata l’assoluta necessità di servirsi di
questo metodo di studio e di interpretazione senza il quale risulta praticamente impossibile comprendere un testo e l’interrogazione che ne deriva per
la chiesa nel presente. Ma è giustamente stato fatto notare come l’uso
del metodo storico-critico non sia sufficiente per garantire una retta e vivente comprensione della Bibbia; in
altre parole, non basta essere dei professori di teologia ed usare rigorosamente questo metodo per essere automaticamente dei credenti con in mano
Tunica ed ortodossa interpretazione. E
questo fatto viene più volte sottolineato con lucidità nelle pagine di Kàsemann non certo schiavo, come altri vorrebbero, di una metodologia umana di
cui si servirebbe in modo acritico.
Sergio Rostagno ha successivamente inquadrato storicamente e teologicamente la figura e l’opera di Kàsemann,
dalla sua lotta nella chiesa confessante
contro il nazismo all’attuale disputa
con il movimento « nessun altro evangelo » che tenta, come allora contro i
nazisti ed i loro sostenitori, di lanciargli contro la scomunica di falso profeta e denigratore della fede evangelica.
Questo fatto non è una novità per
noi; come in Germania, anche in Italia
quanti nel periodo della Resistenza erano uniti per vari interessi in un fronte
unico contro il fascismo si ritrovano a
distanza di 25 anni su posizioni diametralmente opposte, teologicamente
e politicamente.
Scrive Kàsemann: « non è più possibile continuare a separare evangelo
e politica, come se il primo fosse affidato ai cristiani e la seconda ad altra
gente, o magari anche ai cristiani ma
come affare di seconda importanza...
oggi dobbiamo partire dal fatto che per
oltre 1500 anni le chiese sono state
quasi sempre un puntello dell’ordine
costituito... oggi non possiamo più fingere di ignorare che tutta la vita è iinpregnata di politica e che anche la cristianità è coinvolta... non è necessario
essere profeti né andare a caccia di
fantasmi per convincerci che nel Terzo
Reich non abbiamo avuto che un assaggio di ciò che ci spetta... non possiamo certo mettere sullo stesso piano la croce di Gesù e le 8000 croci che
i Romani eressero sulla Via Appia dopo la rivolta degli schiavi. Ma può il
cristiano passare davanti a queste croci senza riflettere che il suo Signore
ha subito la stessa tortura? ». Queste
brevi citazioni prese qua e là per chiarire per chi non ha letto questo libro
che la teologia di Kàsemann non è discorso astratto, speculazione, ma parola di un uomo che soffre e che lotta
per gli abusi e le speculazioni che via
via si propongono da parte di una certa teologia che è, volutamente o no,
benedizione dell’ ingiustizia e dell’oppressione. L’esame esegetico di Matteo 15: 1-20, I Corinzi 6: 19-20, Tito
3: 4-7 hanno confermato, nella discussione a gruppi, la validità della prospettiva teologica seguita dal Kàsemann, nonostante non siano mancati
degli appunti critici.
Forse si può dire che attorno alla
problematica dell’appello alla libertà
sollevata dal libro di Kàsemann si potranno confrontare le posizioni di
quanti, nelle nostre comunità, hanno
intenzione di lavorare seriamente per
una riforma della chiesa e quanti invece han solo voglia di parlarne. gie
Razzismo nel Burundi
(segue da pag. 1)
mata, anche l’élite in formazione : le testimonianze infatti parlano di eliminazioni in massa di studenti hutu prelevati dalle scuole e dai
convitti. « Così — ha scritto un osservatore
— in un colpo solo il gruppo al potere si sbarazza delle nostalgie monarchiche e prende lo
spunto per la strage antìbantù ». L’a ordine »
è ristabilito? Per quanto tempo?
L’orrore di queste settimane, della carneficina che testimoni oculari hanno descritta come compiuta spesso all’arma bianca, ha la sua
lontana origine cinque secoli fa, quando i
watutsi scesero dal nord e si stabilirono, fra
l’altro, nel Burundi, assoggettando la stirpe
bantù dei wahutu. U'Herrenvolk, il popolo di
signori dominatori non è certo un’invenzione
nazista. È quindi errato fare risalire sempre e
tutte le lotte razziali, in particolare in Africa,
alla dominazione bianca e ai suoi postumi.
Quando nessun bianco aveva ancora messo
piede nel cuore dell’Africa nera, il razzismo
dominatore dei watutsi già era operante e già
maturava il razzismo di reazione dei wahutu.
Certo, in molti casi la dominazione coloniale, costringendo in una medesima entità politica etnie diverse e avversarie, ha aggravato
la situazione, lasciando un’eredità di odi e
tensioni agli Stati che hanno via via preso il
posto delle colonie : ciò si è constatato in misura terribile nel Kenya insanguinato dai maumau (a molti anni dall’indipendenza ancora
conflitti etnici tormentano il paese), nelle varie
provincie antagoniste del Congo-Zaira, nella
Nigeria dilaniata dallo scontro fra haussa e
ibo; questi sono solo i casi più gravi e appariscenti, fra molti altri.
Tuttavia, proprio l’esempio del Burundi
(fórse, sebbene in termini diversi, anche i conflitti nel Madagascar) pare mostrare che il
razzismo è davvero un fenomeno endogeno della natura umana, indipendentemente da apporti esterni. Esso ha senz’altro evidenti componenti economiche, sociali, politiche; ma —
forse qui una valutazione cristiana differisce
da quella marxista —^ è lungi dall’esaurirsi in
queste motivazioni e scaturisce da una più
profonda e oscura volontà di potenza, che è
al tempo stesso forza di autodistruzione. Certo,
siamo lontani dalla gelida, razionale perversione dei Lager antisemiti o dell’apartheid, ma
come “soluzione finale” il carnaio del Burundi ha una sua orrida efficienza e una sua assurda follia.
I tutsi al potere stanno distruggendo, se già
non hanno distrutto per lungo tempo, il futuro del loro paese: sia scavando più irreparabile il fossato dell’odio e della vendetta, sia
annientando o comunque decimando le braccia e soprattutto i cervelli dei bantù, il corpo
vivo della nazione.
Non c’è solo il razzismo indigeno, però.
C’è il razzismo bianco. Difficile dire in che
misura il Belgio ex- (o neo-)coloniale abbia
giocato nel conflitto. Certo, il 100% del cotone e dei pochi minerali prodotti dal Burundi
sono acquistati dal Belgio (e il 100% del caffè dagli USA; e questa è tutta l’economia burundiana). Resta tuttavia il fatto che il regime di Bujumbura non manca occasione per
proclamare la sua volontà "rivoluzionaria” (?!),
e che è senza dubbio legato a quello del col.
Mobutu, il quale se continua a trattare affari
con il Belgio, ha però stroncato ogni insurrezione fiiercenaria e secessionista dietro la quale c’erano se non il governo belga, certo forse interessi belgi e altri. Ambigua rimane
quindi la parte delle potenze coloniali; ma altrettanto si può dire di quella della Cina, la
cui penetrazione politica (e militare?) nell’Africa orientale è nota (si ricordi fra l’altro
la recente e sanguinosa tensione, a Zanzibar).
Comunque, lasciando aperto questo problema,
pensiamo anche a quel razzismo bianco che
può presentarsi sotto Luna o l’altra dì queste
forme : l’indifferenza (sono solo dei neri, solo
dei selvaggi, e poi non c’è petrolio, non c‘è
rame, non c’è sostanziale importanza strategica...), indifferenza che, conscia o inconscia, è
risultata dalla assai scarsa risonanza che la
tragedia ha avuto nei nostri mezzi d’informazione di massa; oppure la faziosità, carica di
un cieco, ottuso senso di superiorità (lo vedete, sono proprio dei selvaggi, ecco quel che
capita a lasciarli liberi di scatenarsi...).
E c’è anche il razzismo nero, panafricano.
Non si è levata una. sola voce africana, contro
il genocidio nel Burundi. Governi, Stati, l’organizzazione panafricana, spesso duramente •—
e giustamente — crìtici nei confronti del razzismo bianco, hanno taciuto. Il solo intervento,
come abbiamo detto, è stato quello del colonnello Mobutu che ha mandato al collega Micombero le sue truppe, perché dessero man
forte ai massacratori governativi. Gli altri hanno taciuto: si trattava di “affare interno” di
uno Stato africano. Ma vedere e denunciare il
male nei bianchi, e non nei neri, è ancora
razzismo.
Per questo razzismo, attivo o permissivo, a
molte facce, a più colori, decine di migliaia
di uomini, donne, giovani, ragazzi strappati
dalle loro aule sono stati massacrati. Il loro
sangue grida a Dio dalla terra del Burundi,
dalle sue fosse comuni. Dio lo ascolta e ci
guarda, tutti. GI^o Conte
4
pag. 4
N. 23 — 9 giugno 1972
NOTE DI STORIOGRAFIA VALDESE
Quando e perché l'iniziatore del movimento
del peri di Uone venne chiamato Pietro Valdo?
LE VALLI VALDESI CINQUANT’ANNI FA - 1
Di fronte airaffermarsi del fascismo
Non mi hanno sorpreso le due prime reazioni negative al tentativo di
Giorgio Tourn di « riscrivere » la storia valdese (cf. i numeri di questo
giornale del 10 marzo e del 28 aprile
scorsi): esse esprimono con sufficiente chiarezza uno stato di disagio tra
intellettuale e spirituale che è piuttosto diffuso presso molti dei nostri
membri di chiesa e, pur aggrappandosi per il momento a qualche questione di dettaglio (come il nome del noto mercante di Lione o gli episodi
connessi alla sua conversione), investono tuttavia un problema di fondo,
che è di natura squisitamente storio^
grafica.
Paolina Bert (cf. n. del 10 marzo) si
stupisce che « dopo parecchi secoli e
dopo che non pochi uomini di coscienza, di fede e ben informati hanno
scritto la nostra storia valdese », oggi
si osi mettere in dubbio la veridicità
di dati fin qui indiscussi, come il nome di Pietro Valdo, la morte improvvisa di un suo amico (al quale — tra
parentesi — un recente storico francese, Paul Leutrat diede addirittura
un nome, quello di Gönnet! cf. il suo
volumetto Les Vaudois, Paris 1966,
p. 59), o la risposta datagli dal teologo lionese ecc.
Lo stesso più o meno dice Maria Di
Paolo (cf. n. del 28 aprile) quando si
domanda: « Ma come? La storia valdese scritta e riconosciuta finora veritiera non è più valida?... Chi ci assicura che le ricerche fatte di recente
siano verità assoluta?,,, Chi ha soffiato per primo il dubbio sul nome di
Pietro Valdo? Con quale intenzione? »
È vero che poche righe sotto la nostra
lettrice concorda sostanzialmente con
la postilla della redazione del giornale al precedente scritto di Paolina
Bert, quando conclude che « l’essenziale ñon è il nome del capo del movimento... ma è importante l’opera di
lui, la predicazione della Parola eterna », ma sta il fatto che, tutto sommato, i nostri studiosi valdesi sono
cordialmente invitati a « lasciare la
storia valdese così com’è scritta » e,
se vogliono scrivere « un nuovo libro »,
scelgano « un titolo adatto ai nuovi
studi, un libro diverso che non sia la
Storia Valdese corretta, ma serva semplicemente ad arricchire quanto hanno scritto gli storici precedenti ».
Ora queste due reazioni, indubbiamente vibrate e sincere, testimoniano
con evidenza di un’acuta insofferenza
verso la ricerca critica, tacciata spesso di deleteria per la purezza della fede o, peggio, come « astuzia di Satana »! Chi vuole che oggi non si riscriva la nostra storia, ma ci si limiti a
rileggerla con maggior attenzione e
magari ad arricchirla, parte dal presupposto che le cose scritte in passato da storici scrupolosi e veridici siano intangibili, tanto più che — aggiunge Maria Di Paolo — « non possiamo controllare con esattezza l’origine di tante notizie, né possiamo parlare con lui, Valdo ».
La questione è ben diversa. Poiché
di « ricerca scientifica » si parla, è bene ricordare brevemente come lavora
10 scienziato, sia egli storico o archeologo o teologo o geofisico poco conta.
Tutti sanno quante noie dovette subire Galileo p>er essersi professato difensore delle teorie copernicane, osando contestare nell’Italia del Seicento
e della Controriforma una verità accettata da secoli e sulla quale poggiava il magistero della Chiesa trionfante! Prima di lui un altro illustre scienziato italiano, l’umanista Lorenzo Valla, riuscì a dimostrare con soli argomenti filologici la falsità della donazione di Costantino, che pure era stata ammessa come autentica da Dante
e da tutti gli eretici a lui contemporanei, tra i quali anche i Valdesi. Per
tornare a cose e a tempi a noi più vicini, basti menzionare quanto dovette faticare il nostro storico Emilio
Comba — oggi riconosciuto universalmente come uno dei più seri e preparati — per sfatare le leggende di cui
ancora, solo 70 o 80 anni fa, erano
piene le nostre storie valdesi, prova
quella che faceva risalire le origini
valdesi all’epoca dell’imperatore Costantino o addirittura ai tempi apostolici! Tutte cose sbagliate, ma scritte in buona fede e da nostri scrittori
ritenuti allora come veridici e scrupolosi.
La ragione di tutto ciò è evidente:
le ricerche storiche progrediscono come ogni altra scienza in questo mondo,
nella misura in cui si allarga il campo delle investigazioni e si affinano i
metodi della critica e della interpretazione del testi: come la scoperta dei
famosi rotoli del Mar Morto ha aperto orizzonti nuovi per una conoscenza più esatta dei tempi di Gesù, così
11 felice ritrovamento in archivi spagnoli e francesi di documenti sulla.
« religio » di Valdesio e del suo compagno di fede Durando d’Osca ci hanno permesso di veder meglio e di collocare con maggior puntualità storica
i fatti inerenti alla vita e al messaggio del mercante di Lione. E così ci
siamo accorti in parecchi che il nome
di Pietro Valdo era doppiamente falso.
Ammessa la non rilevanza della questione ai fini dell’interpretazione complessiva dell’opera dell’iniziatore del
movimento, è tuttavia interessante
domandarci perché per tanti secoli lo
si è chiamato con un prenome, Pietro, che appare solo in documenti posteriori di un secolo e mezzo, mentre
in fonti a lui contemporanee egli è citato solo col nome di Valdesius, e la
comunità da lui fondata viene pochi
anni dopo la sua morte ricordata come societas valdesiana. Oggi gli storici più avvertiti, siano essi cattolici o
protestanti o neutri, sono unanimi nel
rigettare il prenome Pietro e, se qualcuno ancora preferisce la forma Valdo
a quella da me usata di Valdesio, lo fa
solo, e lo ammette anche apertamente, per adeguarsi all’uso corrente. Lo
stesso fanno gli storici di lingua tedesca o inglese, quando persistono a
chiamare i Valdesi col nome anglosassone di Waldenser o di Waldenses
(ed io stesso ho intitolato certi miei
contributi Waldensia!), dove la W corrisponde alla trascrizione neo-latina
Gu che troviamo presso qualche polemista italiano, come gualdensis citato
nel 1235 da Salvo Burci nel suo « Liber supra Stella » o come gualdese ricordato nella « Summa contra heréticos » del contemporaneo Pietro Martire.
Poiché sarei uno di quelli che avrebbero « soffiato » per primi « il dubbio
sul nome di Pietro Valdo », la mia
non venga considerata come unà facile auto-difesa, ma solo come un tentativo di chiarire come stiano effettivamente le cose. Non si tratta soltanto di « rileggere », ma anche di « riscrivere » la nostra storia. Essa storia
non è un documento calato dal cielo,
ma è opera nostra, fatta su testi che
dobbiamo anche interpretare. Ogni
documento nuovo può anche demolire, in parte o totalmente, le conclusioni acquisite nel passato. Questo lo
storico Io sa, è la sua umiltà. Da qui
ad affermare che così operando si corre il rischio di « diminuire o annullare del tutto l’importanza del movimento valdese e far crollare l’edificio
secolare della testimonianza evangelica » (Di Paolo), ci corre parecchio!
Tutt’al più resta la curiosità di sapere quando e perché l’iniziatore del
movimento valdese venne chiamato
Pietro Valdo. Sul quando, è facile rispondere, sul perché ci dobbiamo accontentare per il momento di sole
congetture.
Il prenome Pietro appare la prima
volta in un carteggio del 1368 intercorso tra valdesi lombardi e loro confratelli austriaci ritornati allora nel
girone della Chiesa romana. Alle obiezioni degli avversari che i Valdesi
mancherebbero non solo di sapere o
di condotta irreprensibile ma anche
di autorità, i Lombardi rispondono
che, lungi dall’essere privi di un qual
siasi fondamento,) essi ed il sodalizio
valdese che rappresentano discendono
direttamente dagli apostoli, di cui si
stirnano i veri continuatori dal giorno in cui ì loro predecessori osarono
opporsi al papa Silvestro che aveva
accettato la donazione fattagli dall’imperatore Costantino. Per questo
rifiuto del compromesso allora consumato tra Stato e Chiesa, i poveri di
Cristo vennero crudelmente perseguitati attraverso i secoli,'finché sul finire del sec. XII non sorse un certo Petrus de Valle, che gli estensori della
lettera considerano non come il principium ma come il reparator delt’ordine dei Poveri di Cristo, da allora
chiamati Poveri df Lione o Valdesi.
Inoltre, questo « restauratore » del sodalizio valdese non viene più presentato sotto la figura consueta di un ricco mercante diventato povero per seguire il consiglio di Gesù, bensì come
un sacerdote regolarmente consacrato, un dato questo che era già stato
contrastato più di un secolo prima
dal polemista Moneta di Cremona.
C’era dunque tutta una tradizione, viva soprattutto presso i valdesi lombardi, intesa a contrastare sul terreno storico l’accusa che Roma lanciava contro tutti gli eretici di essere dei
novatores, e nella difesa apologetica
che ne venne fuori spuntò ad un certo momento il nome di Pietro, che da
allora in poi dominò quasi incontestato tutta la posteriore storiografia valdese. Perché tanta fortuna? In mancanza di dati precisi, ripeto una congettura fatta fin dal 1953 e ripresa più
tardi nel 1962 e nel 1966 (1): può darsi che, in quel clima di rimostranze
e di polemiche suscitato nella seconda metà del secolo XIV dal ritorno in
seno alla Chiesa romana di alcuni
esponenti della comunità valdese di
St. Peter in der Au in Austria, si sia
sentito il bisogno da parte lombarda
di dare al presunto restauratore dei
Poveri di Cristo un nome che apparisse non solo come contraltare al
Pietro primo papa secondo Roma, ma
forse anche come testimonianza e
omaggio al Pietro degli Atti degli Apostoli che, come ripetè dodici secoli più
tardi il suo tardo seguace di Lione,
aveva avuto il coraggio di opporsi al
Sinedrio di Gerusalemme pronunciando le fatidiche parole: « Bisogna ubbidire a Dio anzicché agli uomini ».
Giovanni Gönnet
Rabat, 13 maggio 1972.
(1) Chi volesse più ampi ragguagli veda —
e mi si perdoni l’auto-citazione — i miei Waldensia in « Rivista di Storia e Letteratura Religiosa » 2 (1966), pp. 461-484.
ADAGIO RELIGIOSO
« La vita spirituale della Chiesa nel
suo insieme è stata buona. Ne sono
prove — se non infallibili, tangibili almeno ed incoraggianti — la frequentazione dei culti, i progressi nella liberalità cristiana ed il desiderio ardentemente manifestato di veder crescere il numero delle anime veramente passate dalle tenebre alla luce e ripiene dell’allegrezza della loro sauté...
Nelle mutate circostanze della vita
del nostro paese, in mezzo alla apparente religiosità priva per lo più della verità salutare che sola può ispirare una religióne sostanziale e benefica, ci sembra che sia venuto il momento di riprendere e di rianimare
quell’attività evangelistica in vista della sola vera ed efficace , edificcz’one,
cioè la formazione di Cristo nel cuore degli individui e della odierna Società... ».
Con queste parole la Tavola concludeva il suo « rapporto » al Venerabile
Sinodo del 3-7 settembre 1923; in quello dell’anno precedente, al Sinodo 4-8
settembre 1922, manca qualsiasi accenno alle « mutate circostanze della
vita del nostro paese ». Immutati in
ambedue i « sentimenti di profonda
gratitudine verso il Capo supremo della Chiesa ».
La Chiesa Valdese vive in « mutate
circostanze della vita » italiana. Con
somma prudenza (evangelico serpente?) e innocente semplicità (evangeliche colombe?) il Moderatore Bartolomeo Léger ed i suoi colleghi alludono
all’irruzione improvvisa e brutale del
Fascismo nella vita sociale, religiosa
e politica italiana.
MARCIA FUNEBRE
Cinquant’anni fa si prepara il funerale della democrazia italiana; vorremmo dire: funerale solenne; purtroppo l’aggettivo sarebbe fuori luogo; muore malamente, forse più per
colpa sua che per forza altrui. La lettura dei nostri settimanali valligiani,
e in un certo senso valdesi, è suggestiva.
Abbiamo il Pellice, diretto da Emilio Eynard con la collaborazione di
Mario Falchi; è l’organo di quello che
potremmo oggi chiamare social-democrazia progressista; Edoardo Giretti
vi combatte le sue coraggiose battaglie contro il prepotere dei monopoli
e le manovre di Giolitti.
Accanto al Pellice, \’Avvisatore Alpino, diretto da Attilio Jalla; è l’organo
della borghesia valligiana, valdese e,
parzialmente, cattolica; liberale, nel
senso di conservatore più o meno illuminato, è il difensore di Giolitti e
Facta.
L’Echo des Vallées è il settimanale
più o meno ufficiale della Chiesa; lo
dirige Giovanni Bonnet che verrà so
"Le Valli" (valdesi) henna ancora una lem individualità,
u si pud solo più parlare dell'» area eGologiGa»,
del {{comprensorio)) dei Plnerolese?
Al di fuori del legame religioso le
Valli stentano a ritrovarsi. A cosa è
dovuta questa inerzia? Qualcuno obietterà che al di fuori del legame religioso « Le Valli » non esistono, non
costituiscono o non costituiscono più
un’unità. Ci si deve interessare invece dell’« area ecologica » di Pinerolo,
del « comprensorio », del « circondario », religione o no della « diocesi »
di Pinerolo, del pinerolese insomma,
c si osservi con che pudore, con che
cautela di solito si scriva pinerolese
con la P minuscola. Ma se si vogliono
trattare insieme i problemi delle Valli del Pellice, del Chisone e della Germanasca si incontra l’imbarazzo, il
sorrisetto, l’invito perentorio: se parliamo sul serio..., calate dalle nuvole,
bisogna guardare la realtà. E il discorso di solito si ferma lì. Q si arricchisce con qualche variante: non vorrete mica il ghetto? Cosa interessa ai
pendolari? La montagna può restare
il luogo di residenza di chi lavora vicino nelle industrie da mettere vicino a Pinerolo e magari a Saluzzo,
quindi se si vuole arrivare a un’autonomia (la parola è però di solito accuratamente evitata) questa deve
comprendere anche la pianura e Piroio. Sono obiezioni che hanno il loro peso. Sono problemi effettivi e che
vanno affrontati. Ma che non vanno
presi isolati. Il discorso deve cominciare, come si dice oggi, « a monte ».
È altrettanto vero che la montagna
esiste, che la frontiera (anche se chiusa come un muro) esiste, che una tradizione occitana o pfovenzale esiste —
o si parli ipvece di un fondo culturale « popolare » occitano —, che una
storia valdese esiste, che una tradizione internazionale e internazionalista esiste, che la lingua francese nelle Valli esiste ancora, che ci sono e
ci saranno ancora dei campi, dei pascoli e dei boschi, che esistono delle
industrie e altre attività economiche
nelle Valli e altre possono venire, che
c’è gente che va e che andrà a lavorare a Torino, che c’è gente che abita lontano ma fa riferimento alle Val
li dove viene più o meno sovente e
ha interessi di ogni genere, insomma
che c’è tutto un piccolo mondo. Un
piccolo mondo che se è unito può difendersi, progredire, se è necessario
contrattare, collaborare con gli altri,
servire anche agli altri.
Il problema è innanzitutto politico,
di organizzare la « polis ». Guardiamoci da un miope economicismo. A furia di essere pratici una volta si benediva l’industriale tessile che condizionava tutta una valle. Qra che non
c’è più, chi si vuole benedire?
Impariamo a essere noi, e non a rimorchio. Esiste una geografia che è di
constatazioni, ed esiste anche una
« geografia volontaria ». Impieghiamole
entrambe. Nella pianificazione si interviene. Le nostre Valli hanno una
tradizione di apertura, conserviamola,
aperti agli influssi di fuori, ed è così
che possiamo anche influenzare fuori,
disposti ad andare a lavorare fuori,
non del tutto passivamente, ma contribuendo a decidere dove e come.
Impegnati dentro e fuori.
Non dobbiamo essere passivi. Dobbiamo informarci ed essere informati. Non dobbiamo scambiare il nostro
Paese per una Shangri - la, un Paradiso Perduto che non deve essere contaminato dalla politica, perché questo è peggio che farne un ghetto, è
farne una nostalgia di ghetto, è confermarlo in un destino di rnuseo, dando a questa parola un significato peggiorativo.
Ha qualcosa da dire in proposito la
Chiesa Valdese? Ha un ruolo di chiarificazione? Come chiarisce la sua posizione? Che vuol dire « date a Cesare quel che è di Cesare »? Questo Io
chiede una persona che — deve ricordarlo — non appartiene alla Chiesa
Personalia
In casa di Camillo e Leila Vellano. a Torino, è giunto il quartogenito. Filippo. Il più
cordiale augurio a tutta la famiglia.
Valdese. La Chiesa ha ereditato di
quando dalle Chiese dipendevano molte opere, e di preoccupazioni che non
sono solo opere istituite. C’è una teologia di intervento. E i pastori sono
anche cittadini.
Dobbiamo informarci ed essere informati. Che ne sappiamo come cittadini, ad esempio, delle Comunità
Montane? Il testo della legge lo si può
trovare, ma niente affatto facilmente.
Raimondo Genre ha scritto su questo
giornale. Gli ho risposto. Nessuno ha
continuato. La Regione ha convocato
separatamente i sindaci della Val Pellice e quelli della Val Chisone per
consultarli sulle delimitazioni territoriali delle Comunità Montane. Chi ne
ha saputo qualcosa? Quanti sindaci
della Val Pellice sono andati? Due o
tre? Quel che si sa viene da « si dice », « pare ». Beh, poi si saprà, a cose fatte, o pre^udicate, o avviate.
Come struttura in Val Pellice è il
Consiglio di Valle che cambia di nome. Ma i poteri e i doveri dovrebbero essere diversi, così è previsto.
Per la Val Chisone la situazione appare assai più complicata. Alla Regione, pare, basta che sentano i sindaci.
La « base », la « partecipazione », una
vera « autonomia » sono solo parole
per leggi, statuti e discorsi? Adesso
le Regioni parlano di « distretti scolastici », Ne parlano loro. Ne parliamo anche noi? C’è chi non crede più
alle iniziative che vengono dallo Stato, dalle Regioni. E anche per ciò può
finire con il subirle passivamente. Qppure? Vogliamo ancora tentare? Qccorre che ci svegliamo. Ancora una
volta.
Si è costituita recentemente un’associazione: Nouzautre Libre — Unione degli autonomisti Valli Occitane.
Farà quel che farà. Ma l’interesse per
questi problemi deve essere di tutti.
Gustavo Malan
N.d.r.: a proposito degli incontri sulle Comunità Montane, leggere una corrispondenza a pag. 6, nella Cronaca
delle Valli.
stiluito nel corso dell’anno da Giovanni Cdisson, il quale avrà come collaboratore Alberto Sibille.
Falchi, Jalla, Cdisson, Sibille: quattro professori del Collegio Valdese!
Dobbiamo poi tener presenti: La
Luce, diretta da Mario Falchi che nel
corso dell’anno verrà sostituito da Davide Bosio, settimanale impegnato di
evangelizzazione; La Lanterna del Pinerolese: diretta da Pittavino, politicamente sinistra indipendente, ma
combatte violentemente il deputato
socialista Matteo Gay; è sostanzialmente un foglio violentemente anticlericale con sfumature massoniche;
L'Eco del Chisone settimanale cattolico, di stretta osservanza, fedele senza deviazioni alla Democrazia Cristiana (allora P.P.I.),
Sulle colonne di questi settimanali
possiamo leggere i tempi della marcia
funebre della democrazia italiana nel
1922 e comprendere, anche se non giustificare, l’atteggiamento della Chiesa
Valdese (ed è questo l’argomento che
ci interessa); cosa ha detto e cosa ha
fatto la Chiesa di fronte al mutare
delle circostanze?
Perché dobbiamo distinguere: la
Chiesa (cioè l’istituzione: la Venerabile Tavola, le Conferenze distrettuali, i
Concistori, le Assemblee di Chiesa) e
i Valdesi (i laici che sono membri di
Chiesa, ma impegnati nella lotta politica); dobbiamo distinguere tra i giornali laici valdesi {Pellice - Avvisatore
Alpino) che sono espressione di determinati gruppi di potere locale, e
L’Echo des Vallées il quale ci dovrebbe permettere di cogliere il pensiero
della Chiesa (in questo campo però
la linea di demarcazione è molto incerta; dove finisce la interpretazione
personale del factiano-liberale prof.
Giovanni Cdisson e comincia quella
dell’interprete del pensiero... tavolare?). (I maligni potrebbero obiettare
che la demarcazione non c’è, e che la
sola differenza consiste nel fatto che
il professore è un piccolo elettore di
Facta, mentre la Venerabile Tavola ne
è la Grande elettrice!).
LE VOCI DEL CORO
Nel coro funebre che accompagna
al Campo del Riposo la democrazia
liberale vogliamo quindi ora cogliere
le singole voci dei valdesi, di quei vaidesi che costituiscono, allora come oggi, la « maggioranza silenziosa » nella
Chiesa, anche se fuori della Chiesa
si agitano, parlano, operano. Una
« maggioranza silenziosa » che sul p'ano politico viene ora chiamata « qualunquista », perché si agita, parla e si
muove senza una visione chiara della
complessità dei problemi ed è materia che si presta facilmente ad essere
plasmata da tutti gli avventurieri
grandi e piccoli della politica.
E Mussolini la sa sfruttare, e come, questa materia prima qualunquista. Nel suo discorso alla Camera, il
16 novembre, dopo aver solennemente riaffermato il suo rispetto per il
rispetto della libertà in tutti i campi,
egli proclama: « ...Non bisogna dimenticare che al di fuori delle minoranze che fanno della politica militante ci sono quaranta milioni di ottimi italiani i quali lavorano, si riproducono, perpetuano gli strati profondi della razza, chiedono ed hanno il
diritto di non esser gettati nel disordine cronico, preludio sicuro de’la generale rovina... Prendiamo impegno
formale e solenne di risanare il bilancio, e lo risaneremo... Vogliamo fare
una politica estera di pace, ma nel
contempo di dignità e di fermezza, e
la faremo... Non gettate, signori [deputati] altre chiacchiere vane alla
Nazione. Cinquantadue iscritti a parlare sulle rnie comunicazioni sono
troppi... Così Iddio mi assista nel condurre a termine vittorioso la mia ardua fatica ».
Lunga è la citazione, ma ha il merito di permetterci di identificare i
temi della sinfonia qualunquista che
risuona nelle Valli: non fascista, o meglio, non ancora, ma pronta all’inno
trionfale:
1) Gli « ottimi Italiani » i quali lavorano, si riproducono ecc. ecc.
2) Chiedono ed hanno il diritto
ecc. ecc.
3) Il preludio sicuro della generale rovina.
4) Risanare il bilancio.
5) Le chiacchiere vane.
6) Che Dio mi assista.
Sono questi i temi che riassumono
gran parte della discussione ValdeseValligiana e sui quali vorremmo soffermarci se ci assisteranno la pazienza benevola dei lettori e le esigenze
di una ferrea legge di rispetto dello
spazio prezioso delle colonne del nostro settimanale.
L. A. Vaimal
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiii
La scomparsa
del past. Davide Pons
Il 28 maggio è deceduto in Svizzera, dovè
da anni risiedeva, il pastore emerito Davide
Pons; rìnumazìone è avvenuta a Bordighera
il 1° giugno, nella zona da lui più a lungo
servita quale pastore della Chiesa e direttore
della Casa Valdese di Vallecrosia. Il past. G.
Mathieu ha annunciato l’Evangelo e il past.
R. Nisbet ha recato il pensiero di gratitudine
a nome della Tavola e della Chiesa Valdese
tutta. Ricorderemo prossimamente le tappe di
questo operoso ministero; pensiamo con viva
simpatia ai familiari colpiti da questo lutto.
5
■9 giugno 1972 — N. 23
pag. 5
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
UNA LETTERA APERTA DI MARIO MIEGGE
m evangelici italiani e il programma
di lotta contro il razzismo, del CEC
Notizie dall’Africa australe
(segue da pag. 1)
africani. Ma contemporaneamente il
« cittadino » che coabita col « credente » nella stessa persona fisica continuerà a mantenere con i suoi soldi
(sotto forma di tasse) un certo apparato amministfà-tìvo e militare, nel
quale, per esempio, le forze dell'ordine hanno licenza di uccidere (e nella
fattispecie di massacrare sulla pubblica via un orfano di venti anni); se
poi egli vive in un paese che fa parte
della NATO, i soldi delle sue tasse o
quelli che spende per procurarsi taluni beni di consumo, serviranno anche a finanziare la produzione di armi che vengono utilizzate dal governo
fascista portoghese contro i popoli
dell’Angola e del Mozambico, e così
via. Ma questo fa parte dei doveri del
« cittadino » e delle dure necessità
della vita dell’uomo esteriore.
La via della « divisione e coabitazione » è stata seguita per secoli da
molti cristiani, delle chiese costantiniane ma anche delle sette pietiste.
La contraddizione lacerante tra le due
« parti » dell’uomo o non è affatto percepita o è accettata, sia pure con sofferenza interiore, senza alcun tentativo di cambiare la realtà. Lfn atteggiamento di questo tipo è riproposto per
esempio dalla predicazione di un falso pastore come Billy Graham (che
oggi dovrebbe piuttosto esssere denunciato come complice dei crimini
di guerra del suo ammiratore Richard
Nixon).
La seconda via è invece quella seguita dai cristiani che, in diversi tempi e occasioni, hanno optato per un
deciso « distacco dal mondo » e hanno abbandonato le città e la convivenza degli Stati organizzati per andare a vivere la loro avventura ascetica nel deserto (come i monaci egiziani del IV secolo, S. Antonio, Pacomio e tanti altri, i quali hanno manifestato in questo modo anche il loro
rifiuto della chiesa costantiniana) o
per andare a vivere la loro avventura
comunitaria nelle terre vergini della
Russia o dell’America del Nord (come
i mennoniti, discendenti degli anabattisti). Questo secondo tipo di scelta
è stato frequentemente considerato
con sospetto dalle Chiese costituite
ma, per la sua coerenza, è degna di
grande rispetto.
Oggi che non esistono piti territori
sottratti alle potenze della società e
alla giurisdizione degli Stati, una simile scelta potrebbe esprimersi soltanto in forme di radicale obbiezione
di coscienza, col rifiuto non soltanto
del servizio militare ma anche del pagamento delle tasse e così via. L’esito
di tale condotta di « obbiezione integrale » sarebbe, per chi la mette in
pratica, la segregazione permanente,
in carcere o in un ospedale psichiatrico.
Le due vie di cui abbiamo parlato
sono per molti aspetti opposte. Hanno però alcuni elementi in comune;
da una parte, appunto, partono da
una esigenza di purezza nella espressione della fede e nella testimoniarla,
d’altra parte non aflTontano il problema di una trasformazione del «mondo », della città terrena, o considerano tale trasformazione impossibile.
Ma c’è poi un altro tipo di atteggiamento e un’altra via, non meno e non
più pericolosa delle precedenti, ma
che parte da presupposti molto diversi. Quelli che la seguono pensano che
la distinzione tra il « credente » e il
« cittadino » (e così via) non è tanto
semplice e comunque non deve diventare separazione. Pensano che, da un
lato, una « pura » testimonianza cristiana non esiste nella storia, e, d’altro lato, il « mondo » e la città terrena non debbono essere considerati come qualcosa che non cambierà mai o
non può essere da noi modificato; e
di conseguenza il « credente », in quanto tale, non può sottrarsi all’azione e
alle scelte politiche che essa implica.
Da questo punto di vista è anche evidente che la violenza e il ricorso alle
armi sono un male e non possono
mai essere chiamati un bene: la violenza, di per sé stessa, non è affatto
« liberatrice », al contrario non fa che
rendere più arduo e complicato il
cammino della liberazione. Ma è altrettanto chiaro che in certe situazioni di oppressione e di violenza imperante non sembra esserci altra strada, in vista della liberazione, se non
quella di una « contro-violenza » e magari della lotta armata, la quale peraltro può avere successo soltanto se
è fondata sulla autodecisione politica
e sulle risorse morali di grandi masse di uomini oppressi: così è stato
nella lotta contro il nazismo, così è
oggi nella guerra del popolo vietnamita contro l’imperialismo americano.
Credo che la via della consapevole
assunzione delle proprie responsabilL
tà politiche, da parte di coloro che si
dicono cristiani, non sia, per un verso, una novità: è stata percorsa in
molti modi diversi, bene e male, soprattutto nella storia della Chiesa latina, nel Medioevo, e nella storia delle chiese sorte dalla riforma calvinista, fino a Karl Barth. Rispetto al passato c’è però una differenza: la nostra esperienza politica è oggi assai
più ricca e articolata, conosciamo un
po’ meglio le strutture che dominano
la vita associata e con maggior precisione le contraddizioni e i conflitti
che travagliano la « città terrena ». E
di conseguenza, rispetto alle generazioni passate, siamo anche più consapevoli del fatto che qui non c’è spazio
per la neutralità; chi rifiuta di scegliere ha già scelto; per esempio chi
Si astiene dal dare aiuto alle vittime
del razzismo e del colonialismo, ha con
ciò stesso dato aiuto ai ràzzi'sti e ai
colonialisti.
3. Un « servizio » consapevole delle
divisioni del mondo.
Qra però io penso che anche tu, caro Gino, condividi in larga misura
queste considerazioni. Il tuo problema forse è un altro: saresti probabilmente disposto a impegnarti in un
programma a favore dei movimenti
di liberazione, purché questo fosse
fatto in modo del tutto « laico » e
senza una sovrascritta cristiana. Questa posizione si può ben capire. Solo
che di fatto oggi, per chi voglia contribuire, sia pur minimamente, alla
lotta contro il razzismo ecc., non ci
sono molte possibilità di azione organizzata a livello mondiale. Per esempio: a chi dovrà rivolgersi e cosa potrà fare un cittadino italiano che non
abbia il privilegio di vivere in una
città democratica in cui si esprime
una concreta solidarietà con le lotte
di liberazione in Africa e altrove? In
Italia le città di questo genere sono
poche e per lo più localizzate in una
zona che sta a Sud del Po e a Nord
del Tevere. Ma mi pare che lo stesso
discorso valga per molti altri paesi,
anche quelli transalpini che tu stimi
autenticamente democratici (e riguardo ai quali io ho un’opinione abbastanza diversa). Dunque bisogna riconoscere che in questo caso il programma del Consiglio Ecumenico è
la risposta ad una carenza di azione
organizzata e si colloca in uno spazio
lasciato provvisoriamente scoperto
da forze e organismi « laici ». L’ini
viativa del CEC è dunque per questo
una vera e inequivocabile testimonianza cristiana? Non lo so. E sicuramente un modesto tentativo di
esprimere solidarietà e fornire aiuto,
fatto stavolta con chiara consapevolezza che, in un mondo diviso e ineguale, il « servizio del prossimo » implica delle scelte, e non si può certo
aiutare nello stesso tempo gli oppressori e gli oppressi. Molto spesso negli ultimi anni abbiamo mosso severe
critiche al Consiglio Ecumenico, perché ci sembrava che la sua condotta
fosse ispirata a criteri di universale
conciliazione, al mito ingannevole della unanimità dei cristiani, insomma si
muovesse su di una linea opposta a
quella della predicazione profetica,
che produce necessariamente delle divisioni. Ebbene ora, come ha già detto Daniele Rochat in imo degli ultimi
numeri della « Luce », il Consiglio
Ecumenico ha preso una iniziativa
che divide le chiese, perché pone i
cristiani di fronte alla necessità di
una scelta. Può darsi che non si tratti di un gesto profetico ma è sicuramente una grossa novità nella vita
delle chiese. Molti l’hanno percepito,
anche tra i lettori della « Luce », che
stanno positivamente rispondendo all’opera paziente e convincente di Roberto Peyrot.
E infine vorrei porre una domanda: ci può essere una testimonianza
cristiana che non sia immediatamente un tentativo di servizio, necessaria^
mente compromesso con le presenti
circostanze storiche? Devo confessare
che non sono ancora riuscito a ben
capire in cosa consista quella testimonianza cristiana « intera » e inequivocabile, a cui si fa riferimento in tante pagine e colonne scritte negli ultimi anni in polemica con le deviazioni
«sociologiche» e «attivistiche» che
starebbero minacciando la vita delle
chiese.
Con affetto, tuo
Mario Miegge
Reggio Emilia, 22 maggio 1972.
Di^coltà della scelta
Caro Mario,
ti ringrazio per il tuo contributo. Avrei
molte cose da dirti, continuando il colloquio;
le avevo anche buttate giù, ma ho preferito
accantonarle perché in sostanza quel che avevo
da dire Vho già scritto a più riprese, senza
riuscire a essere veramente chiaro. Il fatto è
che sono, sul problema specifico, diviso; e
per il momento questa è forse la sola scelta
che posso fare in coscienza.
Da un lato, infatti, mi sento vivamente partecipe del Programma di lotta contro il razzismo: non è solo Roberto Peyrot a sostenerlo
sulle nostre colonne. Nel caso specifico delVAfrica ^’’portoghese'\ c chiaro anche per me
che 0 i Portoghesi accettano di essere solo
una parte, e minoritaria, della popolazione, o
se ne dovranno andare, anche con tutte le ingiustizie individuali che questa seconda alternativa ha comportato, ad es., per molti
Francesi costretti a lasciare VAlgeria; e con
Vauspicio che i vecchi padroni non siano subito sostituiti da nuovi, cornee accaduto in
Libia dove molte leve del potere sono passate
dagli Americani, ancor più che dagli Italiani,
agli Egiziani, un modo come un altro di concepire la fraternità araba. Il fine, dunque, del
PLR del CEC lo accetto e lo sostengo con tutto il cuore, anche per ciò che concerne VAfrica ^’portoghese^\
D'altro lato, però, mi chiedo se come cristiani possiamo accettare facilmente i mezzi
proposti e utilizzati a tale fine: sia su un piano di principio, sia su un piano pratico. Certo, se si trattasse di un iniziativa ’Haica^’, sarebbe almeno evitata la sovrascrittura cristiana. il nome di Cristo non sarebbe coinvolto in
mezzi di lotta che sinceramente non riesco a
fare risalire al suo insegnamento. Questo riguarda la testimonianza esterna. Ma per ognuno di noi il problema personale resta comunque il medesimo. Ora, mi rendo conto che
vi sono situazioni in cui la violenza, la lotta
armata è imposta: i Valdesi hanno sentito
profondamente questo laceramento nella loro
storia, e credo che per ogni cristiano che ha
partecipato alla guerra partigiana (ad ogni
guerra, ma quella partigiana è stata libera
mente scelta) questo sia stato travaglio quotidiano. Invece che fa il CEC, nei confronti
dei movimenti armati di liberazione africani? Come prima cosa, versa loro del denaro
non ha pienamente, buona coscienza, e li im
pegna a utilizzarlo a fini umanitari, ma per
me questo è un alibi che non regge. Questa
era l'ultima, terribile possibilità; accettabile
se davvero si fosse prima tentata ogni altra
iniziativa che la fantasia avesse suggerito: se
le Chiese fossero state mobilitate a far pressione sui loro governi e su quello portoghese in particolare, se avessi visto dei cristiani
digiunare e parlare (pagando il prezzo) davanti al Parlamento di Lisbona, o al nostro
Ministero degli esteri, se la documentazione
fosse diffusa a piene mani (guardandosi da
utilizzazioni a fini di parte, che è un altro modo, odioso, di sfruttare gli oppressi), eie. Il
recente convegno di studio di Arnoldshain. di
cui abbiamo dato notizia, a proposito del progetto di imbrigliamento del Cunejie, ha dato
ora alcune indicazioni, sollecitando cristiani e
chiese a vigilare ed agire ad es. dissociandosi
Durante una riunione del Consiglio
federale delle Chiese riformate del
Sudafrica è stato deciso di creare un
comitato di unione permanente fra
queste Chiese.
Il Consiglio Federale delle Chiese riformate è composto dai rappresentanti della « Chiesa-madre bianca » e da
sette « Chiese-figlie di colore ». Scopo
di questo nuovo organismo è quello
di stabilire una più stretta collaborazione fra le diverse Chiese: ogni Chiesa che senta il bisogno di discutere di
qualsiasi problema potrà sottoporlo a
questo gruppo di unione.
e negando ogni partecipazione azionaria a imprese che direttamente o indirettamente appoggiano lo sfruttamento razzista. Anche a
livello di efficacia pratica, ritengo che azioni
di questo genere, a largo ventaglio, sarebbero
assai più efficaci che non la fornitura di aiuti
quantitativamente modesti ai movimenti in
questione. La via del conflitto armato è veramente Vestrema ratio; e — VIndocina insegni — rischia di trascinarsi orribilmente, per
decenni, magari complicata e avvelenata da
una guerra civile. Le nostre regioni italiane
più colpite hanno conosciuto ”soZo” un anno e
mezzo di occupazione e di guerra civile; e
non erano ancora d’uso il napalm e consimili
ritrovati. È con angoscia che imboccherei questa strada, quando proprio ogni altra fosse risultata chiusa.
Ecco perché sono interiormente diviso. L’importante, tuttavia, è restarlo, in tensione. La
questione delle scelte, cui accenni ripetutamente, è infatti un ginepraio. Anzitutto, accade che si compie una scelta, LA grande scelta
— in un senso o nelValtro — e poi, di fatto,
non si sceglie più (i fini, i mezzi), ci si limita a trarre deduzioni; solo che la vita non è
un’equazione e i conti spesso finiscono per
non tornare. E ancora: è verissimo che chi
rifiuta di scegliere in realtà ha pur scelto, di
fatto; ma in che misura si riesce a scegliere
veramente, oggi? Tu puoi dirmi che, non facendo nulla contro il governo portoghese, di
fatto lo sostengo. Ma quando mi dici: « Non si
può certo aiutare nello stesso tempo gli oppressori e gli oppressi »j posso obiettarti: non
è invece esattamente quello che fai? non dai
forse, da un lato, il tuo aiuto materiale e di
pensiero al FRELÌMO, e dalValtro, volente o
nolente, il tuo apporto di lavoro e di tasse a
uno Stato la cui politica va esattamente in
senso opposto? In questa situazione di profonda solidarietà nel peccato, ci troviamo sempre tutti e non c’e scelta che ce ne liberi.
Comunque, come individuo e come direttore del nostro settimanale sai che non desidero certo smorzare questo travaglio, confondere le carte, rifiutare le decisioni; e in questo senso ti sono sinceramente grato di questo tuo contributo alla riflessione di tutti noi.
Quanto alla tua domanda finale, il discorso
sarebbe lungo. Qui posso dirti soltanto che,
secoììdo me, non è in questione il fatto che la
testimonianza cristiana debba manifestarsi anche in un servizio, necessariamente compromesso con le circostanze storiche presenti (testimonianza e servizio non si identificano, però. così come non c’è identificazione fra Cristo e noi, fra VEvangelo e la Chiesa, fra il Regno e la storia; il testimone parla di un altro,
non presenta sé, attenta ciò che ha visto o
udito, non ciò che ha fatto). In questione, nel
dibattito attuale, è il fatto che a vecchi conformismi all’epoca se ne sostituiscono di nuovi, col mutare dell’epoca; ne consegue, oggi
come ieri, una povertà, una evanescenza di
testimonianza che anche tu riconosci, nell’ultimo punto della tua lettera. E questa è,
per me, la più inquietante verifica nella prassi. Non lo è anche per te?
DaU'EsI europeo
Praga. - Il Comitato centrale del partito comunista cecoslovacco ha pubblicato un l'apporto sulla situazione e funzione delle eomunità
religiose in Cecoslovacchia. Secondo detta pubblicazione, lo Stato eecoslovacco riconosce attualmente 18 comunità religiose fra le quali
la Chiesa cattolica romana è di gran lunga la
più numerosa. D’altronde è anche ad essa
che viene rivolta la maggior parte di aecuse.
Quanto alla seconda comunità religiosa del
paese, la Chiesa hussita di Cecoslovacchia, la
relazione dice essere quella che si è maggiormente « consolidata ». Alla Chiesa ortodossa
viene attribuito « un atteggiamento ragionevole di fronte ai problemi nazionali ed internazionali ». Per contro, sempre secondo il predetto documento, « la Chiesa dei fratelli cèchi persegue i suoi sforzi per ottenere dallo
Stato delle concessioni inaccettabili ». Il documento non precisa di quali concessioni si tratti. D’altra parte, le Chiese protestanti non danno luogo a critiche particolari. Eccezion fatta
per i Testimoni di Geova, le sette religiose si
sono per lo più decimate.
* * 4:
Berlino - L’unione delle Chiese evangeliche
in Germania (EKU) sarà per il futuro suddivisa in una sezione orientale ed in una occidentale per quanto attiene alla sua direzione,
il sinodo e l’amministrazione. La cosa è stata
decisa a Magdeburgo dai 59 membri tedescoorientali del sinodo (con tre astensioni). Questa decisione necessita la ratifica del sinodo
EKU della Germania federale.
Dopo tre giorni di discussioni, il sinodo è
andato oltre quanto gli era stato suggerito dal
comitato ad hoc. Per il futuro, non vi sarebbe più un consiglio comune come organo direttivo dell’insieme della EKU; tuttavia, la
legge ecclesiastiea approvata prevede la costituzione di due consigli regionali tenuti a vegliare costantemente al mantenimento ed all’incoraggiamento della comunione fraterna in
seno all’Unione delle Chiese evangeliche in
Germania. Essi prenderebbero delle decisioni
in comune per facilitare uno scambio di informazioni dirette e il voto su progetti delle
due sezioni. Anche la cancelleria, fin qui unica amministrazione dell’EKU, verrà scissa in
due cancellerie, ognuna competente per la
sua sezione. Tuttavia, la legge ecclesiastica di
Magdeburgo non prevede la divisione dell’EKU. (soepi).
Durante la riunione del suddetto
Consiglio è stata presa in considerazione la decisione dell’Alleanza Mondiale delle Chiese riformate la cui assemblea ebbe luògo a Nairobi (Kenya)
nel 1970: essa ebbe fra l’altro a dichiarare che le Chiese riformate del SudAfrica dovrebbero avere delle consultazioni sulle relazioni razziali.
Ma al Sinodo generale della Chiesamadre, che ebbe anch’essa luogo nel
1970, questa aveva deciso di non prender parte a tali discussioni. Ciononostante il Consiglio federale decise che
non avrebbe potuto impedire ai suoi
membri di partecipare a quelle discussioni. È anche stata ipotizzata una
eventuale ristrutturazione della Federazione, come la creazione di un Sinodo generale che riunisca tutte le
Chiese in una unione a carattere sinodale.
Dalla pubblicazione dell’accordo che
poneva fine al conflitto che durante
sei anni ha opposto il regime di lan
Smith alla Gran Bretagna (n.d.r.: si
legga al riguardo nella rubrica Uomini fatti situazioni la reazione delle popolazioni locali), l’opposizione degli
africani della Rhodesia (Zimbabwe) si
è organizzata attorno alla persona del
vescovo metodista Abel T. Muzorewa.
Grazie al suo coraggio, alla sua probità, egli ha rapidamente acquistato
una reputazione internazionale.
A nome dei suoi fratelli neri, il vescovo Muzorewa si oppone radicalmente a un accordo che dà alla minoranza bianca di poco più di 200 mila
persone maggior potere politico, che
non alla maggioranza africana di oltre 5 milioni di persone (n.d.r.: con
un rapporto quindi di 1 a 25!).
Qra tutti i movimenti di opposizione pacifica sono riuniti nel Consiglio
nazionale africano sotto la direzione
del vescovo Muzorewa. Durante una
conferenza stampa tenuta ad Atlanta
(USA) il leader del Consiglio naz. africano ha rivolto un appello ai cristiani e ai responsabili politici della Gran
Bretagna e degli Stati Uniti, invitandoli a « ristabilire la bilancia della
giustizia in Africa ».
Il consiglio dei vescovi metodisti ha
ora dato il suo incondizionato appoggio all’azione di Muzorewa. In un messaggio, essi hanno chiesto alle Nazioni Unite e in modo particolare alla
Gran Bretagna e agli Stati Uniti di
«concedere ai neri della^Rhodesia gli
stessi diritti, gli stessi privilegi e le
stesse possibilità dei bianchi ».
In un altro messaggio, inviato al governo rhodesiano, i vescovi metodisti
hanno informato il premier lan Smith
che essi non avrebbero esitato a raccomandare sanzioni economiche se il
governo di Salisbury non accorderà
agli africani i loro diritti fondamentali. (noi. Bip)
IL C.E.C. POTENZIA IL SUO PROGRAMMA
DI LOTTA CONTRO IL RAZZISMO
Ricordiamo ai iottori ii "foodo di soiidarietà"
Con pari affetto, tuo
Gino Conte
Nel n. 12 di questo giornale abbiamo
dato notizia del simposium di Arnoldshain (Germania) svoltosi sotto l’egida
del Consiglio ecumenico delle Chiese ed
alla presenza del direttore del programma di lotta al razzismo (PLR), B. Sjollema e del segretario generale, pastore
Blake. Al suddetto incontro hanno preso parte oltre 60 delegati, rapresentanti vari gruppi d’azione e Chiese-membro, in maggioranza euròpee e statunitensi. I vari suggerimenti scaturiti sono successivamente stati sottoposti alla competente commissione, che si è
riunita a New York dal 23 al 28 aprile
scorsi.
Il n. 13 del soepi — il bollettino del
servizio ecumenico di stampa e di informazione — dà i particolari di questa
riunione, di cui a nostra volta informiamo i lettori.
Come prima cosa, la Commissione ha
vivamente raccomandato il ritiro di
tutti gli investimenti nelTAfrica del
sud: se questa raccomandazione verrà
accettata, la cosa rappresenterà un nuovo orientamento del pensiero del CEC
che, in occasione della quarta Assemblea di Upsala nel 1968, si era detto
d’accordo per il ritiro degli investimenti « da tutte quelle istituzioni che perpetuano il razzismo ».
I membri della Commissione, originari di 13 paesi di tutti i continenti,
hanno incaricato il PLR di informare il
pubblico dell’ampiezza e della natura
della partecipazione delle società e delle banche multinazionali all’economia
dell’Africa australe. La Commissione ha
deciso di « selezionare gli obbiettivi per
una azione appropriata condotta dal
CEC, dalle sue Chiese-membro e dagli
organismi affini ». Prima di procedere
al ritiro degli investimenti, si è convenuto che occorreva prima considerare
un’azione e un confronto cogli azionisti.
L’esame e l’analisi dell’attività del
PLR durante la prima parte del suo
mandato quinquennale dimostrano che
occorre nuovamente insistere sulle misure da prendersi con carattere di priorità nei seguenti campi: I) Qppressione
degli indigeni deH’America latina sul
piano razziale; II) Liberazione degli
africani in Africa australe; III) Diritto
alla terra per gli aborigeni e i maori
d’Australia e di Nuova Zelanda e IV)
Analisi sugli investimenti fatti dal CEC
e dalle Chiese-membro.
La Commissione ha aggiunto un quinto punto e cioè uno studio dell'assieme
delle strutture economiche « provenienti principalmente dalle potenze occidentali, in modo particolare dagli Stati
Uniti... e che rafforzano il razzismo
bianco ».
I membri della Commissione sono
stati informati che l’ammontare iniziale di 500 mila dollari (ca 300 milioni di
lire) destinato al Fondo speciale-del
PLR è stato superato. Di conseguenza
è stato deciso di richiedere al Comitato centrale di portare questo amniontare alla cifra minima di un milione di.
dollari. Fin’ora sono state fatte sovvenzioni per 400 mila dollari a programmi
umanitari di 32 gruppi oppressi sul
piano razziale e a organizzazioni che
aiutano le vittime dell’ingiustizia razziale.
Durante questa riunione, padre Verghese, della Chiesa ortodossa siriana,
ha presentato degli studi quotidiani della Bibbia. Ponendo l’accento sull’universalità dell’Evangelo, egli ha fatto notare che una discussione sulla questione
razziale doveva ruotare attorno a due
poli; una netta distinzione fra i gruppi
razziali, quali i neri e i bianchi, affermante ognuno la propria identità, e
« una unità fondamentale per tutte le
razze dell’umanità che Dio ha creato,
perché ognuno di noi è Adamo ».
La Commissione ha anche chiesto al
CEC di iniziare delle pratiche affinché
i disertori e i renitenti portoghesi vengano considerati sul piano internazionale come rifugiati politici; con preghiera di agire presso le Chiese membro onde sostengano ed incoraggino la assistenza in tal senso, analogamente
a quanto è stato fatto dalle Chiese canadesi e svedesi per i renitenti americani.
Fin qui, le notizie. Come i lettori sanno, anche l’attuale iniziativa del « fondo di solidarietà » del giornale è vòlta
ad appoggiare il programma di lotta al
razzismo del CEC. Ricordiamo che le
sottoscrizioni possono essere inviate al
conto corr. postale n. 2/39878 intestato
a Roberto Peyrot, corso Moncalieri, 70
- Torino.
6
pag. 6
N. 23 — 9 giugno 1972:
Sempre più grave la crisi solidarietà
Cronaca delle Valli
occupazionale in Val Peliice
Il Consiglio di Valle
discute e propone
Martedì 30 maggio si è riunito a
Torre Peliice nella sala consigliare il
Consiglio di Valle, per esaminare la
situazione delle Aziende tessili e manifatturiere della Valle e della O.P.L.
di Luserna San Giovanni.
Vediamo la situazione di questa
azienda: da quando si è impiantata a
Luserna con vantaggi non indifferenti,
rappresentati dalle esenzioni fiscali
dovute alla legge sulle aree depresse,
a) concorso della Provincia nello spianamento del terreno (lavori per oltre
10 milioni di lire), all’intervento della
amministrazione comunale presso i
proprietari per far vendere i terreni
a prezzo molto basso (poco più del
prezzo di terreno agricolo) ci sono
stati molti cambiamenti nella conduzione della fabbrica, ma non si sono
mai avuti sintomi di crisi.
Ora, improvvisamente, 80 persone
su 120 che lavorano alla O.P.L. sono
state sospese dal lavoro con la motivazione di « ragioni commerciali ».
I motivi non sono troppo convincenti anche perché avrebbero potuto
valere anche un anno o due fa, e non
possono essere, certo, eliminati in poco tempo (come dicono i dirigenti).
Anche la situazione delle aziende
tessili e manifatturiere (confezioni) si
è fatta sempre più grave a partire
dall’autunno scorso.
I posti di lavoro sono così calati:
Crumière, da 105 a 85; Vaciago, da 80
a 50; Marini, da 500 a 320; Turati, da
200 a 100.
II Consiglio di Valle, convocato su
richiesta del gruppo di minoranza ha
ascoltato le denunce dei vari sindacalisti e ha fatto suo un o.d.g. presentato dal capo gruppo della minoranza
Aldo Charbonnier nel quale la giunta
si impegnava:
1) convincere la Marini e Turati a
chiedere l’intervento G.E.P.I. (ente che
dovrebbe « soccorrere le aziende in
difficoltà »);
2) convocare i dirigenti della
O.P.L. e della Turati per conoscere le
loro reali prospettive ed assumere di
fronte a loro la difesa delle richieste
dei sindacati e dei lavoratori;
3) convocare al più presto un convegno economico per trovare una soluzione alla crisi;
4) sollecitare la Regione perché
convochi al più presto la conferenza
tessile regionale dalla quale deve scaturire il piano di ristrutturazione del
settore: .stabilire cioè quali aziende
devono essere sacrificate alla « razionalizzazione » e trovare con quali altre aziende « sostitutive » deve essere
risolto il problema dei disoccupati che
ne risulteranno.
B. Peyrot
Consiglio Comunale
a San Giovanni
Lunedi 5 giugno si è riunito il Consiglio
Comunale di Luserna S. Giovanni. In apertura di seduta il Sindaco ha riferito sulla situazione delle aziende industriali del Comune
ed in particolare sulla situazione alla O.P.L.
Nel pomeriggio gli amministratori avevano
avuto un colloquio con i dirigenti della Azienda : costoro pur non negando che la situazione è critica si sono dichiarati convinti che a
breve termine (verso l’autunno per la verità)
vi sarà una ripresa dell’attività e che anzi le
maestranze dovrebbero essere « potenziate ».
Tramite i sindacati i lavoratori della O.P.L.
avevano fatto alcune richieste precise (come
si era già appreso nel corso del Consiglio di
Valle tenutosi martedi 30 maggio) ma la risposta dei dirigenti non è stata altrettanto
precisa : hanno promesso di fare il possibile
per « venire incontro a tali richieste ».
L’amministrazione comunale di Luserna San
Giovanni non ha trovato per il momento una
linea di azione a sostegno delle maestranze
O.P.L. che non sia quella delle dichiarazioni
di solidarietà.
Fra -i numerosi punti all’ordine del giorno
(quasi tutte ratifiche di delibere già prese e
rese esecutive dalla giunta) figurava un punto al quale vale la pena di dare un po’ d’attenzione : « Approvazione del regolamento per
i piani di lottizzazione ». Fino ad ora i proprietari di grossi appezzamenti di terreno potevano venderli a lotti senza chiedere alcuna
autorizzazione e cosi sono sorti nuovi quartieri in cui villette costruite su 500 o 600 mq.
si alternano a enormi condomini, naturalmente senza lasciare il benché minimo spazio libero (per verde pubblico o piazzette o parchi
ricreativi per i bambini). La legge prevede
ora che queste speculazioni non possano più
verificarsi : il proprietario deve presentare al
Comune un « piano di lottizzazione » nel quale specifica come il terreno verrà suddiviso,
quali costruzioni vi si edificheranno, non solo,
ma egli dovrà versare somme cospicue alla
comunità per le spese di « urbanizzazione »
(fognature, acquedotto, scuole, illuminazione,
ecc.). Il regolamento approvato a Luserna S.
Giovanni è abbastanza serio e varrebbe la pena che i cittadini se lo andassero a leggere
all’albo pretorio. Una lottizzazione già presentata all’amministrazione per la cascina degli
Appia (72.000 mq. sui quali dovrebbero crescere una ventina o più villette) è stata rimandata ad altra data non essendo stata predisposta secondo le linee indicate dal regolar
mento comunale, « occorre — è stato detto .—
che ognuno sacrifichi un po’ più di giardino
privato a favore del verde pubblico! ».
R. Gay
ALLE CHIESE
DEL DISTRETTO
Frali, 31 maggio 1972
Cari Fratelli,
nella notte fra sabato e domenica
u. s. è andata completamente distrutta una casa colonica all’Inverso di
Torre Peliice. Non ci sono stati morti
ma tutto è andato perso, comprese le
galline ed il gatto!
Si tratta della casa della famiglia
Leger composta dai nonni (lui 78 anni), dalla figlia sposata Avondet col
marito e con due figli.
L’incendio è stato causato da un trasformatore elettrico che era stato posto, provvisoriamente, dalla Coop.
Elettrica di Torre in una legnania e
che è andato a fuoco a causa di cortocircuiti sulla linea causati dal vento Questi fatti ed alcune inadempienze tecniche della Società installatrice
(sembra che non ci fossero valvole di
protezione) renderanno molto complessa e lunga la pratica per la liquidazione dei danni da parte della assicurazione contro gli incendi. Per queste ragioni la famiglia Leger-Avondet
si trova e si troverà per parecchio
tempo in difficoltà veramente molto
gravi.
La Commissione Distrettuale invita
perciò tutte le Comunità Valdesi delle
Valli ad intervenire con fraterna solidarietà in favore di questi Fratelli
nella distretta con una raccolta di fondi che non sia solo simbolica, ma che
sia vero aiuto e vera solidarietà di
Fratelli.
Ogni Comunità ed ogni Concistoro
considerino quali sono i mezzi più
adatti per raggiungere questo scopo.
Poiché a Torre Peliice è stato costituito un comitato di aiuto, la nostra
azione non ha il carattere di primo
aiuto di emergenza. Abbiamo quindi
il tempo di organizzare le cose per
bene e di raccogliere le somme fino
alla Conferenza Distrettuale (28-29
giugno). Il denaro raccolto deve essere inviato alla Commissione I Distretto Torre Peliice: c.c.p. 2/25167.
Franco Davite
Lettera aperta di
170 dipendenti in cerca
di amministrazione
O.P.L. s.p.a. — stabilimento in Val Pellice, zona depressa (eon relativi benefici economici di impianto) — 170 dipendenti, tra i
quali persone che hanno lasciato posti di lavoro sicuri. La ditta dalla sua fondazione (gennaio 1967) non ha ancora trovato una vera
continuità di risorse produttive.
La Direzione O.P.L. ha dei rapporti non
ben definiti con la Direzione Microtecnica.
dalla quale non ha mai goduto piena autonomia.
Venerdì 26 maggio : presentazione del nuovo procuratore generale di amministrazione.
Annuncio della cassa integrazione a zero ore
per 81 operai e previsione di un rimpasto per
gli impianti (scaduto l’orario di lavoro).
La Direzione motiva questo provvedimento
come diretta conseguenza di una grave crisi
di mercato.
Tutte le maestranze si riuniscono immediatamente in assemblea permanente (tutt’ora in
corso) chiedono alla direzione precisi chiarimenti e garanzie circa :
1) La durata della C.I., quindi la completa riassunzione dei sospesi;
2) il non licenziamento di alcun dipendente;
3) l’integrazione da parte della ditta delle
10,45 ore retribuite dalla C.l. con altre 20 ore.
Le maestranze quindi, tramite le 00.SS.
chiedevano un incontro con la Direzione, accordato per il 30/5. Durante rincontro la Direzione, nella persona dell’Amm. Delegato, rispondeva di non essere al corrente delle modalità del caso. Si fissava un altro incontro per
il giorno seguente. Durante quell’incontro, la
Direzione rispondeva di non poter dare garanzie senza interpellare gli azionisti. Veniva
fissato un successivo incontro per il 5/6 durante il quale la Direzione avvisava di non essersi potuta consultare con tutti gli azionisti.
Le maestranze davano come terrhine per una
risposta concreta il 6/6, entro il quale termine
non è stata data risposta.
Ciò premesso, le maestranze chiedono :
E’ possibile che quelle persone che si sono
ritrovate per decidere la sospensione di una
parte dei dipendenti, non si siano poi preoccupate di tenersi in collegamento di fronte
alla paralizzazione dell’azienda e di tutto ciò
che ne può derivare alla ditta e soprattutto ai
lavoratori, che ancora una volta pagano gli errori di una fatitomatica amministrazione?
Assemblea generale delTO.P.L.
(seguono 59 firme)
Il gruppo responsabile della Scuola
Materna di Pomaretto ha inviato un
questionario con alcune domande tendenti a stabilire un maggiore dialogo
con le famiglie. Eccone alcune:
A che serve a voi la Scuoia Materna? Le risposte hanno indicato le seguenti ragioni: per alcuni la Scuola
crea una maggiore socialità per i loro
figli, per altri consente di lavorare, nei
casi frequenti in cui marito e moglie
lavorano. Per altri infine la Scuola dà
quello che a casa purtroppo non si
può dare.
Quale cambiamento avete notato nei
-figli che frequentano la Scuola Materna? Le risposte hanno indicato un certo ordine, un maggiore senso altruistico, una socievolezza e comunicatività,
una generosità spiccata ad esclusione
dei parenti (sic). Alcuni, normalmente sereni e calmi alla Scuola, diventano come temporali in casa, per ragioni non sempre dovute alla legge del
compenso, ma a cause collocabili soprattutto nella famiglia.
Alla Scuola i bambini pregano spontaneamente, cantano molto, seguono i
racconti biblici con Tausilio delle tecniche moderne. In casa, continuate il
dialogo in questa linea? Le risposte
sono uscite timidamente, con dei sì e
dei no attenuati: un poco, qualche
volta, non abbastanza; tranne qualche
sì limpido e qualche no sincerissimo.
I bambini, dichiarano le risposte, parlano anche di questo tema in casa e
talvolta il loro discorso cade nel silenzio gelido, nella colpevole ignoranza.
I bambini traggono le conseguenze e
formulano nel loro intimo dei giudizi
verso i loro cari che ormai hanno
scordato la via della chiesa, non sanno
più compiere lo sforzo di aprire la
Bibbia coi loro figlioli. Poi, più tardi,
avviene la rottura, il distacco e quindi
l’angoscia dei genitori che « non capiscono » più i loro figli, dopo averli
sfamati, aver dato loro una posizione,
un’avvenire, ma senza aver dato loro
la Parola che unisce, apre il dialogo,
rasserena, risolve le crisi più profonde.
Avete letto dei libri sull’educazione
dei figli? La maggioranza delle risposte sono: no; alcuni sì e l’indicazione
dei libri letti. Per aiutare i genitori
nella lettura di libri facili e moderni
la Scuola Materna ha iniziato l’acquisto di opere di natura pedagogica,
psicologica, sessuale, in modo da facilitare il compito dei genitori; i libri
sono presentati alle riunioni mensili
alle quali purtroppo sono assenti i genitori più sprovveduti. Qualche genitore ha dichiarato di non aver tempo
di leggere. Possiamo accettare questa
giustificazione; d’altra parte il termo
Consiglio delle Valli Chisooe e Germanasca
Raggiunta una intesa per
Comunità
la formazione della nuova
Montana
Venerdì 26 maggio presso la sede
della Regione Piemonte a Torino ha
avuto luogo una riunione dei sindaci
delle Valli del Chisone e della Germanasca al fine di definire e concordare
i limiti territoriali della costituenda
Comunità Montana in adempimento
di quanto previsto dalla nuova legge
per la montagna (Legge 3 dicembre
1971, n. 1102). La riunione, convocata
dal Comitato Interassessorile per la
Montagna, era presieduta dal geom.
Mauro Chiabrando di Pinerolo che del
Comitato stesso è Presidente.
Come abbiamo già detto in un precedente articolo, entro un anno dalla
entrata in vigore della legge dovranno costituirsi in ciascuna zona omogenea delle valli alpine le Comunità
Montane, enti di diritto pubblico, che
dovranno sostituire, là dove esistono,
i Consigli di Valle. Si trattava quindi,
il 26 maggio, di decidere d’intesa con
la Regione quali possono essere i confini di una zona « omogenea » per quel
che riguarda le valli Chisone e Germanasca. La seduta era particolarmente attesa in quanto nella seduta
del Consiglio di Valle tenuta a Perosa
non solo non si era raggiunto un’intesa, ma si era prospettata la possibilità
che la valle si dividesse e si sgretolasse in varie zone. Per fortuna nella seduta di Torino, grazie anche alla estrema abilità con cui il Presidente ha
saputo condurre in porto la delicata
trattativa, hanno prevalso il buon senso e la responsabilità degli amministratori e si è in breve raggiunto un
accordo con cui si prevede di formare
la nuova Comunità Montana delle Valli Chisone e Germanasca entro confini
geografici ben netti comprendenti tutti i comuni delle due valli fino a Porte
Convegno pastorale
del Primo Distretto
I pastori del primo distretto sono
convocati per lunedì 12 giugno alle ore
9,30 presso il Castagneto di Villar Pellice.
Si spera nella presenza del Prof. Amedeo Molnar di Praga.
Inchiesta in nna Scania Materna
metro di ciò che si legge l’abbiamo
scoperto in occasione della raccolta
della carta per aiutare finanziariamente la Scuota. Il quadro dei libretti per
bambini, riviste, giornaletti vari è dei
più squallidi. Si comprende allora che
molti genitori non abbiano nulla da
dare ai figlioli, rivelando, al momento
giusto, l’incapacità, l’ignoranza di fronte a figlioli che non cercano le parole
difficili o la cultura liceale ma una
parola intelligente che sgorga dal cuore dei semplici credenti che si nutrono del Libro della Sapienza di Dio.
Le risposte positive date dai genitori per i prossimi incontri e su temi
dell’adolescenza spero siano mantenute affinché la Scuola Materna sia luogo di incontro, di discussione, di apertura, di rinnovamento della vita delle
famiglie e soprattutto di ricerca della
Parola di Dio.
Gustavo Bouchard
incontri per genitori
ed educatori
Un gruppo di persone che da tempo
si occupa, conducendo esperienze concrete, dei problemi dei ragazzi, organizza una serie di incontri per approfondire aspetti dello sviluppo della personalità infantile.
Questi incontri mirano a fornire agli
adulti gli elementi fondamentali per
agire nel rispetto dei bambini, e costruire con loro un autentico rapporto educativo, nella famiglia e nella società.
Si svolgeranno ogni lunedì a partire
dal 12 giugno, alle ore 21 precise presso l’Asilo di S. Lazzaro; le relazioni saranno tenute dallo psicologo Caterina
Mattalia.
Il programma è il seguente :
12 giugno : I primissimi stadi dello sviluppo psichico. Formazione dell’Io e del Super-Io;
19 giugno : La vita affettiva originaria.
Disturbi legati all’ inadeguatezza
della figura materna;
26 giugno : Lo sviluppo deU’intelligenza dalla nascita ai 5 anni. Interdipendenza delle sfere intellettiva e
affettiva;
3 luglio: La socialità nel bambino. Importanza del gioco nell’evoluzione
della socialità;
10 luglio : Il ruolo omeostatico del bambino nella dinamica familiare;
17 luglio : Interventi psico-pedagogici.
Si segnala che questa iniziativa vuol
essere il primo momento di una attività finalizzata ad avviare esperienze
concrete nel campo della prevenzione e
del recupero dei ragazzi cosiddetti
« difficili ».
A TORRE PELLICE
Solidarietà per le faoilglle Léger e Avendetto
Presso il Comune si è costituito un
Comitato Cittadino, al fine di coordinare e sollecitare ogni forma di solidarietà nei confronti delle famiglie danneggiate dall’incendio dell’Inverso Rolandi.
Come è ormai noto, queste due famiglie hanno praticamente perso tutto ciò
che possedevano nell’incendio, che ha
distrutto le loro abitazioni.
Perciò, mentre il Comitato ringrazia
il Sottocomitato Croce Rossa e quanti
altri hanno immediatamente preso iniziative in favore dei danneggiati, rivolge un vivo appello a tutta la popolazione, affinché ognuno partecipi, secondo
le proprie possibilità, alla formazione
di un Fondo di solidarietà, che permetta ai concittadini colpiti dal sinistro di
ricostruire nel più breve tempo possibile ciò che la fatalità ha distrutto.
A tale scopo verranno raccolte le offerte presso l’Ufficio Comunale, presso
la C.R.I. (tramite i rhembri del Sottocomitato ed il negozio Toja, sull’angolo
di Piazza Libertà e Via Roma), presso
le Chiese, presso il Peliice e presso i
centri spontaneamente costituiti nei
Quartieri: gli elenchi delle offerte verranno trasmessi tutti al Comune, ove
rimarranno a disposizione di chiunque
voglia prenderne visione, mentre l’ammontare delle offerte verrà reso noto
COMUNICAIQ
compreso, mentre i comuni della fascia collinare da Prarostino a Piossasco entreranno a far parte di una nuova Comunità Montana denominata
« pedemontana ». Questa soluzione
emersa durante la discussione ha avuto il duplice merito di far rientrare
i dissidenti, che hanno revocato la
scissione, e di permettere la creazione
di due Comunità veramente omogenee, con situazioni e problemi molto
simili.
Nei prossimi giorni il Consiglio Regionale dovrà, con una propria legge,
delimitare le varie zone ed indicare i
comuni che fanno parte di ciascuna
Comunità Montana. Intanto ciascuna
Comunità dovrà procedere alla formulazione del proprio statuto, alla preparazione dei piani zonali e dei programmi annuali. Se tutto procederà secondo i piani prefissati entro breve temop le Comunità saranno in grado di
ipigiare la loco attività. Ci auguriamo'
che la scelta fatta per le Valli del
Chisone e della Germanasca sia tale
da permettere un rapido avvio delle
attività di sviluppo economico-sociale
dell’intera zona.
Raimondo Genre
Danni provocati dalla neve
in Val Germanasca
Finalmente è stato perfezionato il lungo
iter burocratico che ha portato al riconoscimento della vai Germanasca quale zona colpita da eccezionali calamità naturali. Pertanto
i proprietari che ne faranno richiesta potranno
ottenere un contributo statale nell’opera di
ricostruzione degli stabili danneggiati o di
strutti dalla neve.
In seguito alle eccezionali nevicate dello
scorso inverno una delegazionè di sindaci della valle Germanasca, guidata dal Presidente
del Consiglio di Valle dott. Maccari, si era
recata dal Prefetto di Torino per presentargli
la situazione e per sollecitare l’intervento statale a favore delle Amministrazioni e della
popolazione della valle duramente colpita dalla enorme quantità di neve caduta sulla zona
che aveva provocato danni e crolli a quasi
tutte le abitazioni. Tali ingenti danni erano
poi stati documentati a cura dei vari comuni
in una domanda nella quale si richiedeva che
tutti i comuni della zona fossero inclusi tra
quelli colpiti da calamità naturali. A seguito
di questa istanze alcuni parlamentari piemontesi avevano richiesto che la legge a favore
della zona terremotata di Ancona fosse estesa
anche ai comuni del Piemonte. Infatti con
l’articolo 37 bis la Legge n. 88 del 16 marzo
1972 riconobbe la necessità di intervenire anche a favore dei comuni del Piemonte che avevano subito danni a causa della neve. Mancavano ancora i decreti del Presidente del Consiglio che dovevano stabilire le norme di attuazione della legge e l’elenco dei comuni
che avrebbero potuto goderne i benefici. Finalmente i decreti, sollecitati anche con un telegramma del sindaco di Ferrerò al Presidente
stesso, sono stati emanati.
Quindi i proprietari di stabili danneggiati
potranno presentare domanda in carta semplice, la cui bozza può essere richiesta ai Municipi della valle, al Genio Civile di Torino. Le
domande, che vanno presentate entro il 28
giugno, devono esser corredate dalla perizia
asseverata di un tecnico con la precisa indicazione dei danni subiti e delle spese occorrenti
per le riparazioni. Le domande possono essere
consegnate anche ai comuni che ne cureranno l’inoltro al Genio Civile.
Si tenga presente che la legge prevede contributi nella misura del 90% quando si tratta di immobili con meno di cinque vani, mentre la percentuale scende all’80% e 70% quando il numero dei vani esistenti prima del sinistro aumenta.
R. G.
cumulativamente attraverso la stampa
locale.
Estremamente utile saranno anche le
offerte di biancheria per la casa, di indumenti (possibilmente nuovi), ecc., la
cui raccolta avviene presso la sede
C.R.I. nela ex-Caserma Ribet.
per il Comitato
Florentine Eynard
Assessore Comunale
Operazione mobilitazione
Verso la metà del mese di giugno,
nelle nostre Valli saranno impegnati
giovani provenienti da paesi diversi
per portare in ogni famiglia il messaggio dell’Evangelo. Visiteranno famiglie evangeliche e non evangeliche
nella linea del genuino colportaggio
valdese medioevale.
Che il Signore benedica questa missione perché possa portare molto
frutto alla sua gloria.
I giovani disponibili che desiderano
accompagnare il gruppo con spirito evangelico sono bene accolti.
Gustavo Bouchard
Prarostino
Giovedì 11 maggio i componenti della Filodrammatica, insieme con la famiglia del
Pastore e altri che hanno voluto unirsi, hanno trascorso una piacevole giornata a Rorà.
E stata quindi una fortuna che il tempo fosse
ottimo, e abbia cosi permesso i giochi nei prati e la preparazione della carne allo spiedo.
Domenica 21 maggio, a conclusione dell’anno della Scuola Domenicale, i bambini di Prarostino hanno partecipato alla Festa di Canto,,
che si è svolta a S. Secondo. Partecipavano le
Scuole Domenicali di Pramollo, Villar Perosa,
S. Germano, Pinerolo, S. Secondo e Prarostino,
È molto simpatico che sia ormai una consuetudine che le Scuole Domenicali preparino,
fra gli altri, anche dei canti di Agape. Al
termine della manifestazione, sono stati distribuiti gelati ai bambini, ed è stato offerto
il tè alle monitrici e ai Pastori.
La sera del 22 maggio la nostra comunità è
stata lieta di ospitare, nella sala del quartiere
del Roch, il gruppo dei Trombettieri Valdesi
di Mannheim, che ci hanno offerto un concerto di musica sacra. Li ringraziamo a nome
di tutti, ci congratuliamo per la loro bravura
e ci auguriamo di rivederli presto.
Ci scusiamo con i lettori e con la gentile
signora Ruth Tourn, moglie del pastore Cipriano Tourn : avevamo infatti, nella nostra
ultima lettera, erroneamente attribuito ad A.
Fornerone il cullo di domenica 23 aprile, che
è invece stato tenuto dalla signora Tourn, che
calorosamente ringraziamo.
Il gruppo dei corrispondenti
7
9 giugno 1972 — N. 23
pag. 7
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
Cinque professioni di fede a Ivrea
Domenica 21 maggio, durante il culto di
Pentecoste, sono stati ammessi in chiesa come
membri comunicanti cinque catecumeni: Luisa Bazzani, Claudio Cossavella, Laura Giordan.
Paola Regali e Vianella Regali. Per una numericamente modesta comunità come quella di
Ivrea si è trattato di un’occasione piuttosto rara. Una vasta assemblea di parenti ed amici
(anche cattolici) ha riempito il tempio; la
lettura della Bibbia è stata fatta da Mario Castellani, sempre pronto a collaborare, mentre
un canto da parte dei bambini della Scuola
Domenicale ha « yoi^Ato uno nota di vivacità
e di speranza. Paola e Vianella Regali hanno
ricevuto il battesimo e ad ogni catecumeno il
Pastore ha offerto a nome della comunità una
eopia del Commentario sugli Evangeli Sinottici (ediz. Claudiana). Una giovane catecumena
ha avuto la buona idea di offrire una Bibbia
alle sue amiche cattoliche, invitate e presenti
al culto, in occasione della sua ammissione
in chiesa. Il seme è stato sparso durante al-cuni anni di insegnamento biblico; conceda
Iddio che se ne vedano i frutti in una vita di
fede e di perseveranza cristiana.
La domenica di Pentecoste è stata celebrata
la Santa Cena anche a Carema ed a Pont Canavese. Durante un’assenza del Pastore, i culti
sono stati presieduti da Mario Castellani; la
•comunità lo ringrazia per il servizio fedelmente compiuto.
Esprimiamo pure il nostro ringraziamento
al Past. Giovanni Peyrot di Aosta per il culto da lui presieduto il 16 aprile.
Una breve ma gradita visita ci è stata fatta da]VUnione femminile di Pinerolo^ in oc’Casione di una gita nel Biellese e nel Canavesano. Siamo stati lieti di accogliere le nostre
sorelle in fede alle quali un gruppo di collahoratrici locali ha offerto una buona tazza di
tè. Ci si è lasciati con il canto di un inno al
Signore.
Varie attività ecclesiastiche stanno per chiudersi. La scuola domenicale terminerà domenica 4 giugno con un culto comunitario in
chiesa. L’assemblea di chiesa del 28 maggio
ha udito la lettura della relazione annua. È
-Stata raggiunta la mèta finanziaria fissata dalla
Tavola Valdese. Al congresso delle Unioni
femminili valdesi, tenutosi recentemente a
Roma, la nostra comunità è stata rappresentata da Maria Pia Guerrini e Elsa Rostan.
Frali
Diverse famiglie di Frali sono state colpite
gravi lutti che hanno profondamente commosso la Comunità intera. In ordine di tempo è deceduto a Pomieri il 25 aprile Giovanni
Luigi Grill all’età dì 64 anni. Il 7 maggio sono mancati rispettivamente all’Ospedale di Pomaretto ed a quello di Pinerolo Ciro Di Gennaro, 46 anni, anziano della Chiesa di Frali, e
Rino Ricca, 41 anni, maestro di sci e genero
‘deU'anzìano Berger di Indritti. La Comunità di
Frali esprime ancora il proprio affetto fraterno e la più profonda solidarietà in Cristo alle
vedove ed ai figli rimasti così presto orfani.
Esprimiamo anche il nostro affetto a Bruno
Rostagno, direttore di Agape che negli stessi
giorni ha perso così improvvisamente il padre.
Durante il culto delle due prime domeniche
-del mese, due coppie di sposi hanno dichiarato
il loro matrimonio davanti alla Comunità invocando con essa la presenza e la guida del
Signore sulla loro vita in comune. Si tratta
dì Bruno Rostagno e Katharina Staehli di Agape; di Claudio Boer e Cristina Sereno (Torino).
Ci rallegriamo con questi Fratelli per il loro
matrimonio e per il modo con cui lo hanno
certificato alla chiesa contribuendo così a stabilire il matrimonio fra credenti come un .atto
di culto con la Comunità e non una « cerimonia » fra gli sjDOSÌ ed i loro invitati. Rinnoviamo loro il nost.ro fraterno augurio.
Terminiamo queste notìzie con tre avvenimenti corali.
Domenica 21 maggio la Société du Chant
■Sacre de Genove ha pra'tecipato al culto al
quale ha dato la collaborazione del suo canto
•con l’esecuziòhe di alcuni salmi ugonotti e
moderni. La Comunità di Frali li ringrazia
non solo per il canto durante e dopo il culto,
•che è stato vivamente apprezzato, ma anche
per la loro partecipazione al culto in fraternità completa con i Pralinì e quanti altri si sono riuniti quella domenica nel tempio per
•ascoltare la Parola e rendere lode al Signore, e
celebrare la S. Cena.
Domenica 30 aprile la corale di Frali ha
partecipato alla festa di canto della Val Germanasca prendendo parte al culto della Comunità Evangelica di Venaria e cantando il
pomeriggio a Varisella con i Fratelli di quella
Chiesa.
La domenica dopo i ragazzi della Scuola
Domenicale hanno fatto la loro festa di canto
ad Angrogna partecipando al culto a S. Lorenzo al mattino, visitando alcuni luoghi storici nel pomeriggio e portando anche la freschezza del loro canto agli ospiti del Rifugio
Carlo Alberto e dell Asilo dei Vecchi di S.
Giovanni.
Pramollo
È stata invocata la benedizione del Signore
sul matrimonio di Mario Sappè con Elvina
Peyronel (Pellenchi).
Il battesimo è stato amministrato a Roberta
Long di Marco e di Franca Peyrot (Pellenchi).
Un cordiale benvenuto a Claudio, primogenito di Armando e di Long Vanda (Pellenchi).
Mentre rinnoviamo agli sposi l’augUrio di una
vita in comune serena, domandiamo al Signore di accompagnare e di guidare col Suo
Spirito queste famiglie e queste tenere creature.
Ci ha lasciato in attesa della risurrezione )a
sorella Luigia Sappè ved. Long (Sapiat), deceduta dopo lunga infermità all’età di 84 anni. Esprimiamo ancora ai familiari colpiti da
questo lutto la nostra fraterna solidarietà, chiedendo per loro le consolazioni del Signore.
Iddio fortifichi nella fede e sostenga altresì
quanti sono tuttora ammalati e sofferenti in
casa o in ospedale.
La Scuola Domenicale con un gruppo dì
componenti VUnione Femminile hanno visitato la comunità di Coazze, insieme alla quale
hanno celebrato il culto dell’Ascensione; un
vivo ringraziamento alle sorelle di quella chiesa per l’accoglienza tributataci. Nel pomeriggio ci siamo recati alla Sagra di S. Michele e
sul lago di Avigliana.
Un pensiero augurale e le benedizioni del
Signore siano coi coniugi Sigg. Enrico e Lina
Bounous di S. Germano Chisone, che hanno
voluto partecipare al nostro culto insieme ai
loro familiari in occasione del 51“ anniversario del loro matrimonio.
La Scuola Domenicale ha partecipato a S.
Secondo alla festa di canto insieme alle Scuole
Domenicali delle Chiese della Val Chisone :
un ringraziamento alla chiesa ospitante per
quanto ha offerto ai nostri bambini.
Nel corso deWAssemblea di Chiesa, che ha
avuto luogo Domenica 28 maggio, è stata letta la relazione morale e finanziaria del concistoro sulle attività del passato anno ecclesiastico; sono stati nominati deputati alla Conferenza Distrettuale che si terrà a Bobbio Pellice il 28-29 Giugno p. v. i Sigg. Oreste Long
e Roberto Long (Ciotti), supplente il Sig. Enrico Costabel (Mondoni di S. Germano); per il
Sinodo il Sig. Aldo Reynaud (Case Nuove),
supplente la Sig.na Carla Long o la Sig.ra
Violetta Long (Ciotti); a revisori dei conti i
Sigg. Livio Long e Marco Long (Pellenchi).
Nel pomeriggio della stessa Domenica s’è
svolto l’annuale bazar, preparato dall’Unione
Femminile con la collaborazione delle famiglie della chiesa e di amici. Buono il risultato
di questa vendita di beneficenza. Un sentito
ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito con doni vari e con prestazione di
mano d’opera alla riuscita di quest’attività,
utile alla chiesa.
ir
Pomaretto
L'assemblea di chiesa è fissata per domenica 18 al culto del mattino.
Domenica 25 corr. se piace a Dio avremo la
visita dei fratelli Metodisti di Bassignana, San
Marzano e diaspora; sin d’ora diamo loro un
caldo benvenuto!
Ringraziamo Flavio Micol ed il gruppo di
ex-catecumeni per il culto tenuto al Clot Inverso domenica 28 maggio e a Pomaretto domenica 4 giugno.
Rorà
Siamo riconóscenti a quanti hanno collaborato alla riuscita della Festa della mamma alle Fucine e al Capoluogo.
La Corale con quella di Prarostino, diretta
dal signor G. Albarin, ha anche partecipato
alla Festa di canto delle Corali a San Gerrnano Chisone e i bambini alla Festa di canto delle Scuole domenicali a Bobbio Pellice : ringraziamo della generosa accoglienza fatta all’una e agli altri.
Sono stati battezzati Cristina Peluso di Donato e di Enrica Costanzo e Valdo e Franca
Morel di Roberto e di Alfredina Bertin : Iddio
benedica e bimbi e genitori.
Ha avuto luogo la sepoltura di Enrico Giusiano di anni 90, delle Fucine: simpatizziamo con i figli e congiunti.
PRECISAZIONE
Integrando la notizia pubblicata nel numero
scorso a proposito della raccolta di offerte nelle scuole domenicali delle Valli, per offrire
Bibbie ai fratelli della Cecoslovacchia, precisiamo che salvadanai a tale scopo sonò «tati in
funzione pure alla Scuola Latina di Pomaretto e nella scuola domenicale e fra i catecumeni di Villar Perosa.
La chiesa di San Secondo in gita neiie Cevenee
— Alla fine di aprile e 1“ maggio abbiamo
fatto una interessante gita nelle Cevenne. Al
nostro arrivo au Grau du Roi, verso mezzanotte, ci aspettava il pastore Charles Monod che
ci ha accompagnati al Château Leenhardt,
dove abbiamo pernottato. Il giorno seguente,
il pastore Monod ci ha guidati a Aigues-Mortes
per la visita alla Torre di Costanza, dove, come è noto. Marie Durand è stata imprigionata,
a causa della sua fede, per ben 38 anni. Davanti alla pietra che porta incisa la scritta
(( Register » abbiamo sostato in preghiera, insieme ad un gruppo di fratelli di Montpellier,
accompagnati dal prof. Cadier, e cantato la
« Cévenole » ed il a Serment de Sibaud ».
Il pomeriggio l’abbiamo trascorso visitando alcuni luoghi storici nelle Cevenne : le Musée
du Désert al Mas Soubeyran, l’immenso e meraviglioso tempio di Anduze e la città di Nîmes. A Mialet, ricevuti dal pastore Cabanis e
da un gruppo di signore della chiesa, ci è stato
offerto un ricco tè. Il giorno seguente, siamo
ritornati in Italia passando per la Costa Azzurra. Serbiamo tutti un buon ricordo delle
belle giornate trascorse insieme e vogliamo ancora dire il nostro ringraziamento al caro pastore Monod ed a quanti ci hanno ricevuto
con tanta cordialità.
— Ringraziamo il prof. Bruno Corsani della Facoltà di Teologia ed il pastore Roberto
Jahier per i loro messaggi nei culti delle domeniche 23 e 30 aprile.
Domenica, 28 maggio, una quarantina di
bambini della nostra Scuola Domenicale hanno trascorso una splendida giornata di sana
ricreazione sulle alture di Montoso.
La sera della stessa domenica un gruppo di
studenti del Collegio Valdese, accompagnati dal dott. Giorgio Mathieu e dal sig. Carletto Arnoulet ci hanno offerto una bella serata
alternando canti a letture di Brecht. Li ringraziamo ancora per la loro gradita visita.
— Domenica prossima, 11 giugno, avrà luogo Vassemblea di Chiesa in cui verrà letta la
relazione annua morale e finanziaria e saranno
nominati i delegati alla Conferenza distrettuale ed al Sinodo.
— Domenica 14 maggio, in occasione del
culto, è stato amministrato il battesimo a
Donatella Piola di Ettore e Plavan Elena (Veirolera). Il Signore benedica questa creatura
e dia ai genitori la gioia di educarla cristianamente.
— Sono stati uniti in matrimonio : Mario
Alberione e Adalgisa Lonni (Pinerolo), il 7
maggio; Orlando Tron (Pomaretto) e Lilia
Codino (Barbè), il 3 giugno. Auguriamo che
in questi nuovi focolari risplendano sempre
la luce e l’amore di Cristo.
— Un grave lutto ha colpito la nostra Co
munità con la dipartenza di Luigi Paschetto,
da trent’anni anziano del quartiere della
Grotta. Egli è deceduto, all’età di anni 69,
presso l’ospedale Civile di Pinerolo in seguito ad una operazione; l’esito sembrava positivo quando, improvvisamente, è sopravvenuto
un collasso cardiaco e poi... la fine. I suoi funerali si sono svolti venerdì 26 maggio. Numerosi gli amici che gli hanno portato l’estremo saluto. Il nostro fratello sarà ricordato per
il suo carattere mite e per la sua fede sincera, fede che gli ha sempre dato una grande serenità d’animo. Ai familiari, ed in modo
particolare alla figlia, esprimiamo ancora la
nostra fraterna simpatia cristiana, fidenti in
Colui che ha detto : « Chi crede in me, ha la
vita eterna ». A. G.
Villar Pellice
Come quasi ognuno dei nostri trafiletti dì
cronaca, anche il presente incomincia con la
nota triste dei decessi e del lutto. Ci hanno
infatti lasciato per rispondere alla suprema
chiamala: Evelina Geymet Ved. Arduino, di
anni 71, del Ciarmis, dopo molti anni trascorsi in compagnia della malattia e della sofferenza; Giovanni Luigi Barolin, di anni 83, di
Maussa, ancora vigoroso e forte — malgrado
la sua età avanzala — ma che una accidentale caduta ha condotto lentamente alla fine.
Ricordando Carlo d. Raimas
Ad appena sei mesi dalla dipartita del figlio
Fredyno, è deceduto, mercoledì 17 maggio,
presso l’Ospedale Evang. di Torino, il cav. di
V. V. Carlo Alberto Balmas, all’età di 76 anni. La sua scomparsa così inattesa ha vivamente commosso quanti lo conoscevano. A
Torino trascorse la sua vita fino a pochi anni
or sono quando si trasferì a S. Giovanni. Nella sua permanenza a Torino, svolse per 14
anni la mansione di anziano-cassiere della
Chiesa Valdese, con capacità e zelo. Qui a S.
Giovanni, si occupò particolarmente dell’amministrazione dell’Asilo dei Vecchi, infondendo prezioso consiglio e tenace devozione.
Intimamente scosso dalla immatura dipartita del figlio ne sopportò con dolore la prova
ma la sua fibra non resse e dovette soccombere prematuramente. Il servizio funebre, svoltosi nel pomeriggio di giovedì 18 maggio, prima a Torino poi nel Tempio Valdese di San
Giovanni, disse di quanta stima e affetto fosse circondato. Cognato del caro Estinto, depongo sulla sua tomba che già racchiude incancellabili affetti personali, il fiore dell’affetto e
del ricordo. Attilio Bounous
Per molti anni il signor Carlo Alberto Balmas aveva svolto in flwdq fraterno e nobile la
sua attività nel Concistoro di Torino' ed aveva portato il peso del cassiere, indicando ai
fratelli il significato della costruzione comune
di una chiesa efficiente anche nel campo delle opere. Da quattro anni si era trasferito a
San Giovanni. Poi si era fatta sempre più intensa la sofferenza del figlio Predino Balmas
richiamato pochi mesi or sono. Ora Carlo Alberto Balmas se ne è andato lasciandoci la
testimonianza biblica: «Vedete di quale amore ci è stato largo il Padre, dandoci d’essere
chiamati figliuoli di Dio ». A chi resta sia di
conforto l’affetto dei Valdesi di Torino.
Carlo Gay
Sessione sinodale congiunta
e consacrazioni pastorali
Ai familiari tutti di questi nostri Scomparsi
giunga ancora l’espressione della nostra fraterna simpatia e della nostra comune speranza.
Nel tempio dei Coppieri Gianni Frache, figlio del nostro Diacono del Centro-Sabbione,
si è unito in matrimonio con Liliana Ricca,
dell’Inverso di Torre Pellice. Porgiamo alla
giovane Sposa il nostro più cordiale saluto di
benvenuto e formuliamo per lei e per il suo
compagno i più sinceri voti per una lunga e
benedetta vita in comune.
Il focolare domestico di Roberto e Elena
Cordin (Centro-Saret) è stato allietato dalla
nascita del primogenito Diego. Rallegramenti
vivissimi ed al nuovo giunto i migliori auguri.
Sono stati battezzati : Gianluca Bonjour di
Giovanni e Irma (Ruà); Fiorella Cordin, di
Marcello e Marietta (Mars); Andrea Pascal, di
Arnaldo e Ornella (T^natid); Adino Giordan,
di Giacinto e Laura (Inverso). Il Signore accompagni questi bimbi con la sua benedizione e la sua grazia, insieme ai loro genitori,
padrini e madrine.
Invitata dalla Comunità di Gross Villars, la
nostra Corale ha compiuto, a fine aprile, una
interessante « tournée » in Germania, visitando, oltre a Gross Villars, diversi altri centri e
comunità del Baden, di origine valdese. Essa
è stata accolta ovunque con commovente affetto e circondata di tante premure. In collaborazione con Corali locali tre serate di canto
e di messaggi vari sono state tenute in tre
differenti centri.
I coralisti conservano di questa loro visita
un vivo ricordo. Essi desiderano esprimere ancora al Pastore dì Bobbio Pellice sig. Bellion
— che ha organizzato la tournée e che li ha
diretti durante il viaggio — il loro più vivo
ringraziamento. La loro gratitudine va pure
alle famiglie tedesche che li hanno così gentilmente ricevuti e ospitati, alle Comunità ed
ai Pastori che li hanno accolti con tanto affetto. Un grazie particolare essi rivolgono al
Pastore Eugen Schofer, di Pforzheìm, Presidente della Società Valdese del Baden e fedele
e affezionato amico delle Valli e di Villar Pellice in particolare. E. M.
La documentazione che la Tavola ha offerto (« Eco-Luce » n. 19) a proposito delle consacrazioni pastorali che avranno luogo ad
agosto nella sessione sinodale congiunta valdometodista, conferma in modo inequivocabile
la fondatezza di quanto da me scritto nell’articolo apparso nel numero deL21 aprile. Infatti
la documentazione presentata nel 1957 a corredo di queUa che fu una unanime delibera
sinodale vuole che la partecipazione dei pastori dell’una chiesa alla consacrazione di queUi
dell’altra sia « visibile suggello » dell’avvenuto riconoscimento reciproco della validità dei
ministeri pastorali.
Non sono quindi io che « confondo » l’atto
di consacrazione con il riconoscimento reciproco dei ministeri pastorali, come asserisce Valdo
Vinay (« Eco-Luce », 12 maggio), ma è il Sinodo stesso che, avallando col suo voto unanime il tenore della relazione illustrativa della
delibera del 1957, collega in modo assai significativo sotto il profilo ecumenico il riconoscimento del ministero pastorale alla partecipazione alla consacrazione che ne è fondamento;
tant’è che non potrebbe pensarsi ad un riconoscimento reciproco e serio del ministero pastorale senza che implichi partecipazione alla
consacrazione.
Inoltre è da ribadire, dato che Vinay non
l’ha rilevato, che sono in atto le necessarie
modalità perché anche i pastori valdesi possano avere in via previa la conoscenza dei candidati metodisti in ordine alla loro vocazione
e preparazione « per mezzo degli organi da
noi (valdesi) ritenuti idonei a tale scopo », come richiede Vinay. Detti organi però non
possono essere anche per noi valdesi che quelli
a tal fine predisposti dall’ordinamento metodista, e cioè la Sessione pastorale che all’occasione si terrà in seno alla Sessione sinodale congiunta di fine agosto, a cui tutti i pastori vaidesi sono qualificati ad intervenire. Tale qualificazione non sorge soltanto dal fatto che,
come pastori valdesi, essi fan parte della Sessione congiunta, ma soprattutto perché il Sinodo metodista del 1958 ha riconosciuto la
validità del loro ministero e li ha in conseguenza resi capaci, in uno con i loro colleghi
metodisti, di consacrare i candidati al ministero pastorale nella Chiesa metodista.
Se non si voleva ricevere tale qualificazione
in reciprocità a quella conferita dal nostro Sinodo ai pastori metodisti, occorreva sollevare
la questione nel Sinodo del 1958 e proporre
un voto di rigetto del riconoscimento della validità del ministero pastorale valdese che i
metodisti avevano testé votato in reciprocità.
Non è possibile d’altra parte persistere in una
mentalità strettamente ancorata ad una visione denominazionale e vedere ogni cosa attraverso la sola lente dei regolamenti valdesi.
Se si procede siilla via dèi rapporti ecumenici,
sul terreno dell’integrazione valdo-metodista
occorre saper rilevare quali incidenze sul terreno della vita concreta e delle discipline comportano i principi che si affermano sul piano
ecclesiologico; principi che non possono esser
solo un flatus vocis privo di incisività.
Vinay voglia quindi persuadersi che la
« conoscenza diretta dei candidati » non sono
io che la lascio agli organi della chiesa cui i
candidati appartengono, ma ciò dipende dalla
avvenuta reciproca qualificazione degli organi
e degli istituti per via del collegamento stabilitosi a seguito delle delibere sinodali del
1957 e 1958. Sta pertanto ai nostri pastori, come loro compete, di integrarsi nell’organo apposito unendosi ai loro colleghì metodisti ed
acquisire così quella « conoscenza diretta » dei
consacrandi che giustamente Vinay stima fondamentale.
Quanto al caso « pruriens » del pastore locale, è vero che « la Chiesa valdese ha sempre richiesto una preparazione teologica per
esercitare il paslorato ». Ma Vinay sembra dimenticare non solo che nella fattispecie trattasi di consacrare un pastore metodista, ma
ohe pure la Chiesa metodista richiede una
preparazione teologica per l’esercizio del ministero anche ai pastori locali.
Ed è per accertarsi di tale preparazione teologica, che anche Vinay riconosce non sia necessariamente da dimostrarsi a mezzo di un
diploma, che è bene egli partecipi alla Sessione pastorale convocata dai metodisti in occasione della Sessione sinodale congiunta.
Come avevo già cercato di precisare, l’aspetto più rilevante delle implicazioni del reciproco avvenuto riconoscimento del ministero pastorale non viene ancora colto. Esso risiede
nella funzionalità del Corpo pastorale di una
Chiesa per integrazione in quello dell’altra,
ovviamente a norma delle discipline di questa
ultima fin tanto che non ve ne saranno delle
comuni. Tale funzionalità abbinata, creando
costume di vita comune, può dare anche la
spinta per l’armonizzazione delle rispettive discipline.
Gli altri punti sollevati da Vinay in replica
al mio scritto, pur essendo di rilevante interesse (riconoscimento di pastori tra chiese riformate; natura della conferma pastorale dopo il primo settennio) non riguardano il presente argomento. Se ne potrà trattare se mai
in via diretta un’altra volta.
Infine mi sembra perfettamente conveniente, come precisa Vinay nella chiusa del suo
scritto, che non valga rispondere « agli insulti sparsi in tutto l’articolo » mio. Infatti in
esso non v’è, né nelle espressioni usate né
nell’intenzione, insulto alcuno nei suoi riguardi; a meno che l’amico Vinay raccolga per tali le parole con cui si dissente da quanto da
lui affermato.
Giorgio Peyrot
A TORRE PELLICE
Un avvenimento musicale - religioso
Il concerto della "Société du Chant Sacré” di Ginevra
e delia Camerata Gabrieli
È la sera del 20 maggio: nel tempio di Torre attesa vivissima per l’audizione del Coro
della « Société du Chant Sacré » di Ginevra,
che esegue musiche del ’500 e moderne, accompagnato talora dall’organo e dal complesso d’ottoni « Gabrieli ». Il pubblico è assai numeroso, e si notano con piacere persone di varia provenienza : oltre, naturalmente, al pubblico locale, fratelli ed amici di Pinerolo, Torino, Bologna, Mannheim... La cantoria rigurgita : i coristi sono una settantina e si dispongono piuttosto malagevolmente sulle ristrette
gradinate. In compenso, appena s’inizia il canto, c’è un movimento di compiaciuta meraviglia fra il pubblico ; l’esecuzione si porta ben
al disopra del consueto livello del discreto dilettante; gli intenditori gustano la fusione, la
compattezza del suono, la morbidezza degli ottoni nella loro limpida esecuzione della Fantasia del Bassano, la precisione delle severe
polifonie di Goudimel (Preghiere prima e dopo il pasto) e 1’« éclat » robusto, forse una volta o due troppo squillante, dei Salmi di Claude le Jeune. Particolarmente apprezzati fra i
classici, i brani di Schuetz, colui che portò in
Germania il gusto per la più melodica polifonia italiana, gusto poi raccolto dal grande
Bach. Nel c< Surrexit pastor » dell’uno e nella
Cantata 118 dell’altro, il coro si giovò dell’accompagnamento strumentale con perfetta
fusione : in particolare si potè apprezzare come venisse ben reso l’equilibrio, tutto bachiano, fra la coerenza stilìstica, logica ed unitaria, e lo slancio dell’anima che, superando il
puro fattore tecnico, si libra, fin dai primi accenti, in un’atmosfera di contemplazione. Con
le esecuzioni dei brani moderni si aveva una
più completa valutazione deH’eccellente preparazione tecnico-artistica del coro; nel sapiente e lucidissimo brano dì Henry Gagnebìn (Salmo 100) e nella Cantata della Resurrezione di Michel Wiblé, si accumulavano le
difficoltà sia di pura é semplice intonazione,
sìa di coerenza nella resa, specialmente tenendo conto che questi autori protestanti moderni proseguono la tradizione della musica sacra luterana e calvinista di sviluppare temi liturgici ben noti attraverso elaborazioni e variazioni necessariamente svolte in un clima
espressivo moderno. Bisogna dire che l’ostacolo
è stato superato non solo con perizia, ma altresì con vivida adesione spirituale, sia dai
compositori che dai coristi. La parte finale
della Cantata di Wiblé risultò di una perfetta
unità espressiva e colpì profondamente l’intero
uditorio. Vivissimi rallegramenti ed entusia
sti commenti, fuori, sotto il cielo ancora un
tantino minaccioso; calorose attestazioni di
stima al M.o Gagnebin, che, malgrado l’età,
aveva voluto partecipare alla lunga gita da
Ginevra e al Direttore del coro Samuel BaudBovy; altri canti (popolari questa volta) e
musiche villerecce per ottoni, la sera dopo,
nella Foresteria Valdese, gentimente concessa, per rincontro-ricevimento offerto ai nuovi
amici ginevrini dalla Corale Valdese di Torre Pellice, organizzatrice della importante e
simpatica manifestazione.
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RINGRAZIAMENTO
La famiglia del compianto
Luigi Paschetto
profondamente commossa per le nu
merose dimostrazioni di conforto e
di affetto, ringrazia tutte le persone
che presero parte al suo dolore.
Riconoscente ringrazia in modo
particolare i Sigg. Pastori Genre e
Ueodato; i Sigg. Medici e Infermieri
dell’Ospedale Civile E. Agnelli -, Reparto Chirurgia: l’Ass.ne ANA di Pinerolo, S. Secondo, Osasco e Bricherasio; i vicini di casai
S. Secondo di Pinerolo, 26 maggio ’72.
8
pag. 8
N. 23 — 9 giugno 1972!
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
l .dìrìlll deirinni calnslali mi momio
Dopo Mosca
Dopo i vari « osanna » elevatisi da
quasi ogni parte, e calmatisi i primitivi
entusiasmi per il vertice di Mosca, l’opinione pubblica si sta rendendo conto
che si è « semplicemente » trattato dell’accordo fra le due massime potenze
mondiali (c’è chi li ha chiamati « mercanti » e chi li definisce « gendarrni »)
per mantenere lo « status quo » a livello planetario, nell’àmbito della reciproca sicurezza.
Con questo, non si vuole evidentemente negare che i colloqui russo-americani non abbiano avuto la loro utilità,
infatti, basterebbe solo ricordare raccordo medico-scientifico che impegna i
due paesi a potenziare la lotta comune
contro il cancro e le malattie cardio-vascolari, oppure quella per la difesa dell’ambiente.
Che si sia trattato di un incontro di
« mercanti », lo ha a nostro avviso confermato lo stesso consigliere Kissinger
con una dichiarazione assai equivoca:
mentre egli ha negato la posizione « ricattatoria » degli USA riguardo all’accordo economico, che sarebbe stato subordinato ad una pressione moscovita
« moderatrice » sul Vietnam del nord,
nello stesso tempo ha ammesso che il
Congresso americano difficilmente ap
Mezzo secolo
di saccheggio
La decisione dei governi siriano e iracheno di nazionalizzare la IPC (Iraq
Petroleum Company) rappresenta il culmine di una lotta iniziata oltre 50 anni fa.
La IPC si costituì nel 1925, mentre
tre potenze, che ne facevano parte, si
spartivano oro nero » i Stati Uniti,
Gran Bretagna e Francia.
Si calcola che solo Plrah abbia nel
suo sottosuolo circa il 6 per cento delle
riserve mondiali di petrolio. Bassi costi di produzione ed estrema facilità di
estrazione hanno consentito alla IPC
profitti elevatissimi valutati fino al 61
per cento: una ricchezza favolosa di
cui solo le briciole andavano al popolo
iracheno. D’altro canto, l’80 per cento
del bilancio dello Stato era rappresentato dalle quote pagate dalla IPC, che
in questo modo disponeva di una potente arma di pressione politica.
proverebbe detto accordo senza quel
tipo di intervento sovietico.
Circa l’accordo fra « gendarmi », le
due potenze si sono accordate sul rispettivo numero dei missili balistici intercontinentali e di sommergibili atomici, che è diverso, ma che comporta
un eguale numero di 2.500 cariche nucleari per ciascun paese. Eguaglianza
che consente loro di mantenere una
schiacciante superiorità nei confronti
degli altri paesi nucleari minori, <^ali
la Francia, la Gran Bretagna e la Cina
popolare. La « meccanica » alla base
dell’accordo nucleare è più che mai basata sull’equilibrio dei blocchi e del
terrore: nessuna delle due potenze sarà in grado di distruggere l’avversario
neutralizzando contemporaneamente la
sua possibilità di risposta (il cosiddetto « secondo colpo »). In breve, se prima le due potenze potevano distruggersi (e distruggere altri) parecchie volte,
ora potranno farlo una volta sola.
Nella « dichiarazione di principi »
sottoscritta alla fine degli incontri, al
punto 11, viene riconosciuta l’eguaglianza sovrana di tutti gli Stati. Siamo veramente ansiosi di verificare al piu
presto questa importante dichiarazione che evidentemente non ha valore
retroattivo. Basterà infatti solo pensare
alla Cecoslovacchia ed al Vietnam.
In un discorso alla televisione il presidente Nixon ha voluto ricordare ai
russi ed al mondo intero la fanciulla
dodicenne Tania sepolta a Leningrado
colle 400 mila vittime dell’assedio nazista ed ha auspicato che nessun altro
bambino debba fare simili tragiche
esperienze. 'Anche un giornale americano ha detto che erano parole fuori luogo. Nessuno può infatti dimenticare le
migliaia e migliaia di « Tania » che sono morte — e muoiono — in Vietnam,
vittime dei selvaggi bombardamenti
aerei, delle cannoniere, del napalm e
delle altre armi chimiche (quando non
delle fredde stragi per mano dei vari
Calley) di cui gli Stati Uniti portano
una così grave responsabilità.
Terrorismo
Registriamo con profondo sgomento
la strage dell’aeroporto di ’Tel Aviv,
strage concordata da un’organizzazione
terroristica giapponese con il Fronte
popolare di liberazione palestinese che
fa capo a George Habbash, il quale ne
ha rivendicato la spaventosa paternità.
Dire che si tratta di metodi deliranti e
pazzeschi serve a poco, come a poco
servono il nostro orrore e la nostra pietà per le vittime e per le loro famiglie.
Quello che vorremmo invece dire è che
si tratta di azioni che non solo non risolvono per nulla la già così difficile situazione palestinese e il dramma dei
profughi, ma obbiettivamente favoriscono la reazione israeliana (sappianio
quanto essa possa essere dura) ed in
genere tutte quelle forze che tendono
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - S/V1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)
ad allontanare una giusta sistemazione
della situazione del Medio oriente. Si
tratta insomma di un atto infame che,
del tutto al di fuori della « logica » della guerriglia, è pura follia, degna erede
dei pazzi kamikaze (o piloti suicidi)
giapponesi della seconda guerra mondiale.
Ma anche un altro fatto, in questo
contesto, si deve registrare con apprensione e cioè la presa di posizione dell’autorevole giornale egiziano « Al Ahram »,- che non ha esitato a esaltare il
massacro, ad augurare « nuove azioni »
e a congratularsi per rarruolamento ■
dei tre killers; mentre anche la stampa
libanese ha riecheggiato tali posizioni.
Re Hussein di Giordania ha invece
condannato l’azione criminosa e tàccia
di « nìalate » le persone che l’hanno
ideata e compiuta. Sono parole che
hanno il torto di venir pronunciate da
un uomo che, in quanto a stragi, non
solo di guerriglieri, ma anche di profughi, non ha nulla da imparare.
Assai meno « coraggiosa », ma altrettanto infame l’azione terroristica che
ha portato alla morte dei tre carabinieri nei pressi di Gorizia. Mentre scriviamo, le indagini non hanno condotto ad
alcun risultato concreto. Anche in questo caso si parla di fini politici, vólti a
seminare il terrore per creare il disordine. Non ci resta che augurarci che le
indagini vengano svolte in profondità
e non a senso unico, onde giungere al
più presto alla verità. Dobbiamo frattanto constatare che la recente escalation terroristica in Italia contraddice
decisamente alle magniloquenti affermazioni dei responsabili della DC, secondo cui il loro governo monocolore
sarebbe bastato a rendere prestigio allo Stato e tranquillità ai cittadini.
Tanto più la cosa balza agli occhi se
si faccia il confronto colla situazione
deirirlanda del nord e della Germania
federale dove proprio nei giorni scorsi
il terrorismo, cogli arresti di alcuni
capi dell’ala nazionalista dell’IRA e della banda Baader, ha subito un duro
colpo.
UNCTAD:
una delusione in più
Come già ampiamente rilevato dal
nostro giornale nel n. 14 del 14 aprile
scorso, si è tenuta a Santiago del Cile,
la terza Conferenza delle Nazioni unite
sul commercio e sullo sviluppo.
Dobbiamo purtroppo subito dire che
all’amarezza della prima assemblea di
Ginevra del 1964 e ai deludenti risultati della seconda Conferenza di Nuova
Delhi del 1968, si deve aggiungere un
terzo scacco. In una parola, ancora una
volta gli egoismi dei potenti, mai sazi,
hanno prevalso a scapito dei paesi sottosviluppati: il saccheggio del terzo
mondo continuerà.
Come commenta Le Monde, questa
volta le nazioni ricche hanno manifestato il loro egoismo senza il minimo pu
dore. Sulle questioni più importanti,
infatti, hanno praticamente bloccato i
negoziati, confermando di non essere
disposte a rimodellare la propria economia per consentire ai paesi sottosviluppati di trovare il posto cui hanno
diritto nel commercio internazionale.
Un solo esempio basterà: quando si è
trattato di approvare una dichiarazione
veramente fondamentale dei princìpi
che i paesi ricchi dovrebbero rispettare nei confronti delle nazioni povere, il
campo si è nettamente diviso in due
(coirastensione dei paesi dell’Est). Anche se gli Stati del terzo mondo sono
riusciti a riportare la loro vittoria con
72 voti contro 15 e 18 astensioni, è chiaro che le nazioni che hanno detto « no »
(e fra esse gli USA, il Giappone, il Canadá, l’Australia e diversi paesi dell’Eu-,
ropa occidentale, fra cui brilla l’Italia)
rispetteranno a « modo loro » la risoluzione votata che richiede una più razionale divisione internazionale del lavoro, il diritto sovrano di ogni paese di
sfruttare le proprie risorse naturali e
una partecipazione del terzo mondo alle riforme monetarie onde eliminare la
loro dipendenza, anche a questo proposito, dai paesi ricchi.
Ma la delusione è venuta anche dall’Est.. Com’è noto, la Cina popolare partecipava per la prima volta alla Conferenza. Da questo « gigante povero » i
popoli diseredati si attendevano una
leadership, ma la Cina ha invece evitato con cura di assumere un ruolo del
genere.
Come già veniva ricordato nel n. 15,
l’anno scorso, sempre neH’ambito dell’UNCTAD, si registrò il successo della
lotta condotta dai paesi del « fronte
del petrolio », paesi che però dovettero
ricorrere a gesti di forza. Ne resta così rafforzata l’impressione, anzi la certezza (con la grave responsabilità delle
nazioni ricche) che la conquista di nuovi e giusti diritti non si ottiene tanto
con la collaborazione e con la solidarietà internazionale, quanto colla lotta e
colla forza: è questo lo scacco fondamentale e forse insanabile della terza
Conferenza dell’UNCTAD.
Roberto Peyrot
L’OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE « Nella regione di Manchester non meno di
25 stabilimenti sono stati occupati da 20 mila
operai per due mesi: una risposta dei lavoratori al nuovo « Industriai Relations Act » del
premier Heath che ha alterato drammaticamente l’atmosfera di benigna noncuranza in
cui i sindacati britannici erano abituati ad
agire » (da « Newsweek », 29 maggio).
NUOVI MEZZI DI TRASPORTO - « L’America del nord ,compresa la stessa Detroit, si sta
chiedendo se c’è un futuro per il motore a
combustione interna; si pensa che debba essere sviluppata un’alternativa nel settore dei
mezzi di trasporto, almeno nelle prandi città
dove il traffico è stato sconvolto a partire dall’inizio del secolo » (da « The Economist »,
20 maggio).
CHE PENSANO
GLI AMERICANI
DEI SOVIETICI?
Questa domanda, alla quale cercheremo ora di rispondere con qualche citazione tratta da un lungo articolo del corrispondente da Washington de « Le Monde » (v. n. del 21-22.5.
1972), intende far da contrappeso alla
domanda opposta, formulata nel n.
preced. di questo settimanale («.Che
pensano i sovietici degli americani? »)
« Già parecchie settimane prima della partenza di Nixon per Pechino, la
stampa americana consacrava intere
pagine a delle vaste retrospettive storiche, a degli studi approfonditi sulla
Cina, sui cinesi e sui loro capi, sulla
rivoluzione culturale. Tutti i programmi della televisione (non solo quelli
nazionali) infittivano le proprie trasmissioni speciali, accaparrandosi a
peso d’oro la collaborazione di tutti
i sinologhi che riuscivano a trovare.
Evidentemente la Cina e i cinesi avevano buona stampa.
Niente di tutto ciò per l’URSS, al
momento della partenza di Nixon per
Mosca. Eppure la posta in gioco, in
quest'incontro, è almeno altrettanto
importante della posta nelle precedenti discussioni fra Nixon e Ciu Enlai. Inoltre è pur sempre la prima volta che un presidente degli USA si reca nella capitale sovietica, anche se è
vero che Roosevelt andò a Yalta. Evidentemente l'URSS e i sovietici non
hanno buona stampa.
Perché questa differenza? Perché
questa relativa indifferenza? Senza
dubbio la storia può fornire alcuni
elementi per la risposta. Andando a
Pechino, Nixon ristabiliva rapporti
con un paese che molti americani preferiscono considerare sotto il profilo
della “Cina eterna", piuttosto che soU
to quello dell’ideologia comunista. Gli
Stati Uniti, che al principio di questo
secolo si opposero ad un progetto di
spartizione della Cina-’ad opera delle
grandi potenze, hanno firiito per persuadersi (nel corso dì. piti d’un secolo di storia) d’esser stati i protettori
naturali della Cina contro i colonialisti europei. Inoltre, all'epoca di Sun
Yat-sen (1), gli americani furono le
guide spirituali dell’emancipazione
della Cina. (...)
Legami sentimentali di tal genere
non esistono fra Stati Uniti da un lato, ed URSS o Russia dall’altro. Il regime zarista non godette simpatie, da
parte dell’opinione americana, se non
in periodi brevi e saltuari. Anzi quel
Echi della settimana
regime contribuì a ingrandire quella
corrente d’emigrati che cercavano negli USA un rifugio alle tirannie europee. Se ogni buona famiglia americana si crede in dovere d’esibire qualche raro pezzo di porcellana cinese,
non lo stesso accade per le icone...
Ma certo è il passato più recente
che spiega (ben più della storia) la
scarsa passione con cui gli americani
hanno visto il proprio presidente volare verso Mosca. L’URSS, da più di
dieci anni, fa parte d’un mondo familiare all’immensa maggioranza della
popolazione. Ciò non significa che gli
americani abbiano per l’URSS sentimenti di particolare affetto, ma soltanto che hanno finito per accettare
la coesistenza con l’URSS. Andando a
Mosca, Nixon non ha fatto nulla più
di quanto non facciano, da molto tempo, i diplomatici americani: cercar di
trovare un “modus vivendi", o piuttosto cercar di migliorare un “modus
vivendi" già trovato. (...)
Il raggiungimento di un rapporto
di coesistenza è stato considerevolmente facilitato, nella coscienza degli
americani, dalla comparsa e maturazione del dubbio. La guerra del Vietnam, i disordini interni, la scoperta
che innumerevoli problemi sono stati
aperti dal sogno americano senza alcuna possibilità di soluzione, hanno
inferto un rude colpo al messianismo
anticomunista degli anni 50. Ciò non
significa che il prestigio dell’URSS si
sia risollevato (...), fila la fede nei
dogmi del “mondo libero” ha perso
molto del suo ardore. Il dubbio non
ha. risparmiato neppure i parlamentari. Chi avrebbe immaginato, dieci anni fa, che la Casa Bianca avrebbe dovuto, un giorno, combattere una dura
battaglia per far approvare dal Congresso i crediti di “Radio-Europa libera" e per evitare le decurtazioni a
quelli della “Voce dell’America’’? (2).
Già dal 1968, Nixon s’era reso perfettamente conto di questo carnbiamento di clima. Per questa ^ ragione,
ha parlato della necessità di pas“da un’era di confirontazione ad
n rii nrronvintn” dimenticando
( segue da pag. 1 )
tecipare a conferenze internazionali:
tutti questi diritti sono calpestati. Alcuni paesi accordano maggiore libertà di altri, ma ovunque vi sono restrizioni, che spesso paralizzano tutta la
vita e la testimonianza delle Chiese.
Sebbene una stampa occidentale
ostile esageri talvolta il numero dei
cristiani realmente perseguitati e la
sorte riservata loro, sono molto troppo numerose le lettere aperte inviate
da cristiani, sia protestanti che ortodossi, molto troppe le persone inviate
in campi di lavoro o internate in cliniche psichiatriche, ■ molto troppe le
chiese e i seminari chiusi, perché si
possa credere che non ci siano repressioni regolari contro minoranze
che vivano di altre fonti che quella
dell’ideologia regnante. Ih quest’ordine d’idee bisogna menzionare la comunità ebraica. La situazione degli
Ebrei è, sotto molti aspetti, paragonabile a quella dei cristiani, ma resa
ancor più difficile dal loro desiderio
di conservare la loro identità etnica.
Il CEC non ignora questa situazione e sa che molte prese di posizione
generali sui diritti dell’uomo sono altrettanto applicabili all’Europa orientale quanto al sud-est asiatico, all’America del nord, all’Africa australe e
aH’America latina.
Alcune delle nostre Chiese-membro,
particolarmente preoccupate da tali
situazioni, dopo avere accuratamente
appurato i fatti, in seguito a studi e
contatti diretti, si sono messe in rapporto con le ambasciate di taluni Stati aperte nei loro paesi. Questi contatti diretti con i rappresentanti dei
governi interessati o quelli che le
Chiese possono avere tramite le loro
missioni diplomatiche nei paesi in
questione, sono certo più efficaci che
le domande o le proteste rivolte alle
nostre Chiese-membro in Europa
orientale.
In ciascun caso dobbiamo domandarci: diamo realmente aiuto protestando pubblicamente ovvero sarebbero preferibili passi ufficiosi? Molti
dei nostri responsabili e collaboratori
hanno fatto passi privati presso personalità ufficiali di paesi socialisti in
favore di una maggiore libertà per le
Chiese. Abbiamo spesso potuto constatare che tali passi avevano più successo delle dichiarazioni pubbliche.
Il CEC continuerà a sviluppare le
nostre concezioni sui diritti dell’uomo,
a fare pressione sui governi affinché
accettino questi principi e li applichino. Farà tutto ciò che è in suo potere
per condurre e conservare il maggior
numero possibile di Chiese in una comunione fraterna che facilita un arricchimento e una correzione vicendevoli, per fungere da centro nel quale
le Chiese possono informarsi reciprocamente e farsi udire quando le circostanze lo esigono. Le Chiese-membro
possono basarsi, nelle loro parole e
nelle loro azioni, su tali dichiarazioni,
giani della “discussione durissima "
(...) temono che gli
USA vi perdano
l’anima. Ma questi
partigiani dovrebbero cercare le
cause dello sbri“credo antisovietico”.
a cura di Tullio Viola
egli
.sare
un’era di negoziato”, dirnenticando
(un po’ presto, per la verità) che il
negoziato era già stato aperto da molto tempo, cioè precisamente da Eisenhower subito dopo la rnorte di Stalin.
Quest’era di negoziato è ora accettata
quasi all’unanimità, anche se i parti
ciolamento del -------- -------
non nella propaganda del Cremlino
ma altrove: è un fatto (...) che mai
l’influenza del partito comunista (che
è diretto dal sig. Gus Hall) è stata tanto insignificante quanto oggi ».
BUCHI PER MURATI VIVI
Crediamo opportuno riportare,
dal diario dell’obiettore Mario Pizzola,
un’altra pagina (in data 9.10.’71) oltre
a quella già riportata nel n. preced.
di questo settimanale (v. Tart.: « Prigioni militari italiane »).
« Oltre alle normali celle di punizione, esistono altre celle che hanno
questa funzione e sono collocate nei
sotterranei della fortezza (di Peschiera). Ne avevo sentito parlare, ma nessuno era finora riuscito a darmi spiegazioni più precise. Al riguardo ho
avuto oggi un colloquio con un cornpagno disertore che è stato a Peschiera anche l’inverno scorso. “Sono celle
singole (mi dice) situate nello scantinato, a mala pena ci va una persona,
saranno due metri per due, umidissime e completamente al buio, l’aria
non c’è quasi per niente, non c’è neanche tavolaccio, bisogna dormire per
terra, con i topi che ti passano addosso; insomma sono dei veri e propri
buchi per murati vivi, perché non
vuoi uscire per niente durante tutto
il giorno.
Io vi son rimasto cinque giorni, rnorivo letteralmente dal freddo e l’unco
modo per riscaldarmi era quello di
masturbarmi, così (tra l’altro) mi addormentavo e non pensavo a dove rni
trovavo. In quei giorni, così al buio,
senz'aria, con quei grossi sorci che
passavano dappertutto, credevo proprio che non ce l’avrei fatta più ad
uscire. So inoltre che c’è stato messo
un certo Pontieri, che fu punito per
esser salito sui tetti, e Jemmolo che
v’è rimasto per una settimana. Non
mi ricordo i nomi degli altri" ».
(Da « La Prova Radicale », n. 3 della primavera ’72).
(1) Uomo politico, nato nel 1866 da contadini della regione di Canton, si converti non
ancora ventenne al cristianesimo. Fu proclamato eroe nazionale dalla rivoluzione del 1911
che depose la dinastia manciù. Morì nel 1925.
(2) Si tratta di due stazioni radio-trasmittenti che, ormai da un venticinquennio, svolgono propaganda anticomunista.
ed essere anche più precise ed esplicite di quanto il CEC possa essere.
Vorrei ancora insistere su due punti. Fra i nostri membri, sono molti
coloro che sostengono si debba avere una linea di azione valida per tutti
i casi di discriminazione. Vorrebbero
protestare usando esattamente gli
stessi termini in un paese nel quale
l’opinione pubblica è una forza di
pressione, come nei paesi dove essa
non ha alcun peso. Vorrebbero usare
lo stesso linguaggio nei paesi nei quali le Chiese sono considerate parte importante di un corpo elettorale e una
forza morale potente, come nei paesi
nei quali esse sono appena tollerate.
Ritengono che il CEC dovrebbe rivolgersi negli stessi termini sia ai governi che accettano un contributo critico
e costruttivo da parte delle Chiese,
sia a quelli che potrebbero dare un
seguito spiacevole a simili discorsi,
causando seri guai alle loro Chiese.
So che una politica nella quale non
si tenesse conto della diversità di situazione contribuirebbe a consolidare
l’idea che ci si fa del CEC, ma non
sono disposto a pagare per questo un
prezzo simile. Più importante dell’idea
che ci si fa del CEC è la qualità della
nostra fraternità e questa fraternità
reale si esprime attraverso modi differenziati d’approccio, a seconda delle esigenze reali di coloro che patiscono discriminazione. L’attenzione rispettosa per le diverse condizioni —
e quindi per i diversi mezzi d’applicazione — è essenziale nel movimento
ecumenico.
Tutto ciò non dovrebbe ridurci al silenzio, se dobbiamo parlare, ma può
condurci a prendere vie assai diverse
per farci udire. Possiamo criticare
l’uno e intervenire presso un altro,
protestare pubblicamente in un caso,
mentre in un altro tentiamo la persuasione dietro le quinte: Ultimo problema, e non il minore: dobbiamo essere molto prudenti per non dare l’impressione né di considerare la situazione nell’Europa orientale come un
fatto isolato, né di darle automaticamente la priorità. La vostra lettera
chiede in modo preciso che cosa la
vostra Chiesa può fare per coloro che
lamentano la violazione dei loro diritti nell’Europa dell’est. Sono certo che
in Olanda siete stati criticati per questa scelta. Perché non scegliere la tortura nel Brasile, la giustizia arbitraria nei confronti dei neri americani,
i prigionieri politici in Indonesia, in
Iran o nel Vietnam del nord? Perchénon scegliere la situazione degli Aborigeni australiani o degli Esquimesi
canadesi? E perché non quella dei comunisti in Grecia o dei liberali nel
Paraguay?
Non dubito assolutamente del vostro interesse vero per tutti coloro
che chiedono di essere sostenuti nella
lotta contro la discriminazione, ma
dobbiamo continuamente ri-chiarire
questo problema.
Personalmente mi sono sempre sforzato di dare la priorità al problema
generale. Nella mia lettera aperta a
U Thant, il 16 aprile 1970, ho chiesto,
a nome del CEC, che le Nazioni Unite
facessero il possibile per dare alla
Commissione dei diritti dell’uomo il
potere di svolgere inchieste nei casi
in cui si lamentino offese ai diritti dell’uomo, e di farli applicare. In quella
lettera ho citato 11 paesi, in tutti i
continenti, e appartenenti a blocchi
politici diversi, dai quali avevamo ricevuto appelli e richieste d’aiuto. Nuovamente, nel mio messaggio alla Conferenza americana di testimonianza
ecumenica sul Vietnam, il 15 gennaio
1972, ho menzionato i nomi di numerosi paesi in modo da mostrare chiaramente che non attacchiamo un sistema politico o un paese in particolare, quasi fosse il più colpevole.
Vi sono altre Chiese-membro le quali sembrano ritenere che le Chiese dovrebbero protestare con vigore maggiore contro i governi non cristiani
che contro cristiani al potere che opprimono e sfruttano intere razze pur
proclamando di difendere la civiltà
cristiana. Dissento da loro. Dovremmo continuare a pronunciarci per una
migliore giustizia ovunque, ma non
dobbiamo perdere di vista la nostra
responsabilità prioritaria nei confronti di coloro che rifiutano agli uomini
i loro diritti e lo fanno in nome della
nostra fede.
Perciò considero così importante il
Programma ecumenico di lotta contro
il razzismo. A causa della calamità costituita dal razzismo bianco, la dignità e la giustizia di milioni di uomini
sono calpestate. So che il vostro Sinodo continua ad esaminare il problema della vostra partecipazione a questo programma. Già numerosi membri della vostra Chiesa hanno partecipato personalmente e finanziariamente a questo programma. Hanno contribuito a dare alle Chiese una nuova
credibilità in Africa. La partecipazione positiva delle Chiese nei negoziati
sudanesi sarebbe stata impossibile
senza il Programma di lotta contro 1
razzismo. Hanno pure contribuito a
dare alla Chiesa una credibilità nuova agli occhi di numerose persone
fuori della Chiesa. Non mi stupirei se
il nostro atteggiamento — e quindi la
nostra azione — contro il razzismo
bianco, che è opera di cristiani fuorviati dal potere politico, provasse che
è un fattore importante grazie al quale siamo uditi e ascoltati dai governi
atei quando interveniamo in modo
analogo a favore dei diritti dell’uomo,
sia per dei cristiani sia per dei non
cristiani dei loro paesi.
Con stima, vostro E. C. Blake