1
.'è*.
ECO
DELLE mU YÁLDESI
BIBLIOTECà VALDESE
10066 TOHRB PSILICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 111 - Num. 33
Una copia Lire 100
Í DDnNTAniCKT'T’i / L- 4.000 per 1 interno
ABBONAMENTI i , 5 nnn 1- .
\ L. 5.000 per Testerò
Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70
Cambio di indirizzo Lire 100
TORRE PELLICE 23 - Agosto 1974
.A.£nm. : Vìa Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellice - c.c.p, 2/33094
vili CENTENARIO VALDESE
Otto secoli, e poi?
« Ed ora a voi che dite : Oggi o domani andremo nella tal città e vi staremo
un anno, e trafficheremo e guadagneremo; mentre non sapete quel che avverrà
domani! Che cos’è la vita vostra? Poiché siete un vapore che appare per un
po’ di tempo e poi svanisce. Invece di dire : Se piace al Signore, saremo in vita e
faremo questo o quest’altro ». (Giacomo 4: 13-15).
7 valdesi esistono e resistono da otto
secoli. Ottocento lunghi anni, quanto
mai movimentati e tormentati. Un’esistenza sempre precaria, come sospesa
a un filo. Tanti hanno cercato di spezzarlo. Ma Dio (chi altri se non Lui?)
non l'ha permesso. Potremmo perciò
senz’altro', oggi, jare come Samuele,
giudice d’Israele, il quale a un certo
momento della storia del suo popolo
pose una pietra tra Mitspa e Scen e la
chiamò Eben-Ezer, dicendo: « Fin qui
TEterno ci ha soccorsi» (I Sam. 7, 12).
Otto secoli possono essere relativamente pochi per un’istituzione ricca,
potente e influente come la chiesa cattolica romana che nella sua lunga storia si è quasi sempre posta, più o meno direttamente e apertamente, dalla
parte del potere costituito, ricevendone in càmbio appoggi e favori. Ma
Lunedì 26 agosto, ore 21, a
Torre Pellice, nell'aula sinodale,
parlerà il pastore
PHILIP POTTER
Segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese.
otto secoli sono molti per un movimento conte quello valdese, che è sempre stato ed è tuttora fortemente minoritario e che ha quasi sempre avuto
contro di sé il potere costituito, sia
quello religioso che quello politico, sovente coalizzati l’uno con l’altro.
Ma proprio questa lunga, miracolosa,
durata dei valdesi a dispetto dei potenti della terra — papi e imperatori,
eserciti e inquisitori — che invano
hanno cercato di estirparli o « convertirli », può oggi creare in noi un senso
di sicurezza da cui invece occorre
guardarsi. Potremmo pensare: Se abbiamo un così lungo passato, avremo
certo anche un futuro! Se abbiamo
resistito per tanto tempo, resisteremo
certo ancora! Dopo otto secoli di storia ci sentiamo autorizzati a dire: « Domani... » Proprio noi non avremmo un
domani? Otto secoli di storia non bastano a garantirci un avvenire? Dopo
esser vissuti tanto, potremmo non avere un futuro?
L’apostolo Giacomo pensa che nessun passato, per quanto significativo
possa essere, è in grado di assicurarci
un futuro. « Che cos’è la vita vostra?
Un vapore che appare e poi svanisce ».
Lo è anche con otto secoli di storia alle spalle. Perciò non dite: « Domani... »
ma dite: « Se piace al Signore... ».
Cioè: prima Dio, poi il domani. Prima
il Signore del tempo, poi il tempo. Del
domani non possiamo esser certi, neppure dopo otto secoli. Di Dio possiamo esser certi, tanto più dopo otto secoli. La nostra lunga storia deve servire a questo: non a renderci sicuri del
domani nm a renderci sicuri del Signore.
La storia valdese, giustamente in
primo piano nelle celebrazioni centenarie, è senza dubbio un patrimonio
di grande valore che non sta dietro a
noi ma dentro di noi. Essa può però
anche diventare un’occasione di caduta. Essa può, addirittura, prendere dentro di noi il posto del Signore, per cui
possiamo dire: « Domani... » confidando nella continuità della nostra storia
collaudata da otto secoli più che confidando nel Signore. Ma se la storia, anziché il Signore, diventa la nostra forza, essa diventa in realtà la nostra debolezza, il nostro tallone d’Achille. Se
crediamo di avece un futuro non dev’essere perché abbiamo un passato e
un presente ma dev’essere perché abbiamo un Signore.
Giacomo però fa un discorso ancora
più preciso. Egli qui non si rivolge ai
credenti in generale ma a un gruppo
particolare di cristiani, « a voi che dite: Oggi o domani andremo... trafficheremo... guadagneremo ». Chi sono costoro? Sono mercanti dinamici e intraprendenti, uomini di affari che non
stanno con le mani in mano ma si spostano, trafficano, cercano nuovi mercati, creano nuove ricchezze, gente in
gamba che sa trasformare il tempo in
danaro. Questi uomini prima non c’erano nella comunità, formata all’inizio
solo da poveri, da piccola gente. Ma
ora che la chiesa si espande, cominciano a « entrare nella vostra adunanza » (Ciac. 2, 2) e portarvi le loro ricchezze ma anche le loro abitudini e la
loro mentalità. Con quale risultato? La
chiesa, certo, si sviluppa e si arricchisce, ma i poveri ne sono emarginati (2, 6) e il Signore anche (4, 13).
I mercanti non sanno dire: « Se piace
al Signore... ». Al Signore penseranno
dopodomani. Oggi e domani hanno già
troppo da fare. Così Giacomo vede la
sua comunità arricchirsi da un lato e
impoverirsi dall’altro: arricchirsi di
persone e di beni, impoverirsi di fede.
Giacomo si preoccupa e avverte i fratelli: meglio una chiesa povera che sa
dire — non come frase pia ma come
confessione di fede — « Se piace al Signore », cioè che conta su di Lui, piuttosto che una chiesa ricca che sa solo
a dire: « Domani andremo », cioè conta su di sé. Meglio una chiesa povera
di sé e ricca di Dio che una chiesa ricca di sé e povera di Dio.
I mercanti di cui parla Giacomo fanno pensare, per contrasto, a un altro
mercante, Valdo di Lione. Anch’egli
era diventato, come la sua chiesa, ricco di beni e povero di fede. Con la sua
conversione divenne povero di beni e
ricco di fede. Il suo tempo non gli è
più servito per arricchire se stesso ma
per arricchire gli altri mediante l’evangelo. È diventato povero ma ne ha arricchiti molti, come dice la Scrittura:
« ...poveri, eppure arricchenti molti »
(2 Corinzi 6, 10).
Otto secoli, e poi? E poi, «se piace al
Signore saremo in vita... ». Se gli piace
avremo un futuro (« un avvenire e una
speranza»: Geremia 29, 11). Quale?
Quello che gli piace: quello cioè
che si adopera non per arricchire se
stessi (come fanno i mercanti di cui
parla Giacomo) ma per arricchire gli
altri (come ha fatto il mercante di
Lione di nome Valdo).
Paolo Ricca
CILE
Processo contro
un pastore protestante
e 16 militanti
della “sinistra cristiana"
Ultimamente si è intensificata la caccia agli oppositori del regime militare
cileno. In sole 24 ore oltre 1600 persone
sono state arrestate nell’intero paese,
perché politicamente sospette.
Di particolare rilievo è il processo
intentato contro un pastore protestante e 16 militanti della « sinistra cristiana », « accusati — scrive Tagenma giornalistica Ansa — di aver scritto frasi
ostili al regime sui muri di alcune località del paese ».
Intanto, la Commissione degli affari
internazionali del Consiglio ecumenico
delle chiese ha diffuso un documento
di aperta denuncia della violazione dei
diritti dell’uomo da parte del regime
cileno, e di invito alle chiese ad adoperarsi affinché essi vengano al più
presto ripristinati.
SUDAFRICA
Una decisione coraggiosa
del consiglio delle chiese
Il 2 agosto scorso il Consiglio sudafricano delle chiese ha adottato una
importante risoluzione che non sarà
senza conseguenze sia nella vita delle
chiese sia nei rapporti tra queste e il
regime razzista di Vorster. Il primo
ministro infatti ha già reagito criticando violentemente tale risoluzione e
chiedendo ai membri di chiesa « che
giocano con il fuoco, di rivedere la loro posizione prima di bruciarsi le dita
in modo irrimediabile». La risoluzione adottata dal consiglio delle chiese
chiede espressamente ai membri di
chiesa in età di leva di dichiararsi
obiettori di coscienza in quanto «lo
esercito sudafricano è addestrato per
difendere una società ingiusta e discii
minatrice ». ., ,
(Sullo ■•¡tesso problema, vedere a
pag. 3 il testo integrale dell’importante dichiarazione di fede sulla situazione sud-africana preparato dall Istituto
cristiano del Sud-Africa).
Intervento di G. Bouchard al XV agosto 1974 su: « ...dimenticando le cose che
stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno dinanzi...» (Fil. 3, 13)
Valdesi, se volete sopravvivere,
preparatevi a cambiare
La storia valdese è una storia di svolte - Oggi l’Italia è a una svolta - Come evitare di essere assorbiti dall’ambiente: tre indicazioni - « Val più una mezza parola detta in fabbrica che il miglior sermone ascoltato dai 460.000 uditori del
culto radio » - Oltre al Sermone sul Monte, riaprire anche il libro dei Salmi
La storia valdese non è da dimenticare: per
questo abbiamo rifatto il museo di Torre Pellice,
per questo stanno uscendo i vari volumi della nuova « storia valdese », in francese e in italiano. Basta dare un’occhiata al museo (entro un anno tutti
devono visitarlo), basta dare una scorsa ai bei volumi storici, per rendersi conto che non è stato tempo
sprecato: chi ha profuso tempo e fatica in questi
lavori umili ed essenziali, merita un aperto ringraziamento.
Ma se leggiamo attentamente i libri che hanno
scritto i nostri storici, quale impressione viene fuori della storia valdese? Non emerge l’impressione
d’una maestosa continuità, d’una chiesa per otto secoli sempre fedele a sé stessa, ai suoi fondamenti
evangelici, ai suoi programmi. Tutto il contrario:
dalla lettura dei documenti emerge prepotente l’impressione che la storia valdese sia stata in realtà una
storia di continue svolte.
Pochi si rendono conto del fatto che quando
Valdo cominciò a predicare indipendentemente dalla
gerarchia cattolica, egli voltava le spalle a un passato glorioso: dietro di lui stavano i Secoli in cui la
Chiesa latina aveva cristianizzato l’Europa, e dalle
rovine dell’epoca barbarica aveva costruito un capolavoro storico e culturale: ma Valdo deve predicare, e perciò dimentica i successi della civiltà cristiana, e si mette a evangelizzare questa stessa società, che gli sembra mancare tremendamente della
presenza di Cristo. Perciò, quando gli si chiederà di
tacere e di ricordarsi deU’autorità della gerarchia e
della tradizione, egli si stringerà nelle spalle, e pur
dichiarandosi fedele cattolico risponderà: « è meglio obbedire a Dio anziché agli uomini ».
Pochi decenni dopo, Valdo è morto, e i suoi discepoli di « Lombardia » si trovano a un bivio: fermarsi alla bella esperienza spirituale di Valdo, oppure superarla, impostando la predicazione e la vita
comunitaria in modo nuovo, adeguato alle città italotedesche, e capace di fronteggiare la repressione tremenda della Santa inquisizione? I Lombardi non
esitano: « dimenticano » Valdo, radicalizzano la loro posizione nei confronti d’una chiesa diventata ormai apertamente persécutrice, e si lanciano in una
straordinaria impresa di predicazione clandestina in
tutta l’Europa centrale.
Ma dopo 200 aifiii questa gloriosa
chiesa clandestina ha il fiato corto: resiste tenacemente, tiene le posizioni,
sostiene i martiri e rimprovera i rinnegati; ma le sue fiorenti comunità urbane sono state schiacciate, i libri bruciati (i dirigenti anche): solo nelle zone periferiche (Dalfinato, Valli, Calabria, Germania Orientale) nuclei compatti di contadini si stringono intorno
ai « barba » che arrivano da lontano —
quando arrivano. A questo punto,
esplode in Cecoslovacchia la gloriosa
rivoluzione hussita (1419): un popolo
intero vuole liquidare cattolicesimo e
feudalesimo: anche l’Università di Praga lavora per la Riforma. Ed ecco che
i figli dei martiri, i valdesi di Germania e del Delfinato accettano di dimenticare due secoli di storia, e si mettono a scuola da questi nuovi riformatori, così diversi da loro: traducono
umilmente i loro libri, ricevono nuove
idee, nuovi programmi; e la diaspora
valdese rifiorisce.
La svolta della Riforma
Passa un secolo, gli bussiti sono
bloccati ma in Germania emerge Lutero. Tra i valdesi si accende la discussione: restar fedeli al passato, oppure dimenticarlo, e giocare la vita
partecipando in prima linea alla battaglia per la Riforma europea?
Alcuni vorrebbero comporre armoniosamente il passato e il presente:
ma la storia è piena di imprevisti, e le
occasioni si presentano sempre in modo diverso da come ci si aspettava: e
così un giovane barba angrognino convince i valdesi della necessità d’una
svolta radicale: fa venire Farei, e a
Chanforan (1532) la comunità valdese
si schiera apertamente sul fronte della
Riforma protestante.
Per i tre secoli i valdesi difenderanno « a viso aperto » questa loro chiesa
riformata, affrontando vittoriosamente le mazzate della Controriforma e
l’usura del Secolo dei Lumi; e finalmente verrà Carlo Alberto (cioè i liberali piemontesi) a dar loro uno spazio dignitoso in cui vivere una esistenza tranquilla nel contesto disciplinato
della nuova Italia moderata e progressista. E invece, niente: ben prima del
17 febbraio 1848, se n’era arrivato zoppicando dall’Inghilterra uno dei vincitori della battaglia di Waterloo: Carlo Beckwith. E questo storpio aveva
dimostrato ai valdesi che non era affatto giunto il momento di starsene in
pace: bisognava studiare l’italiano e
tante altre cose, e poi alla prima occasione, ridiventare una comunità missionaria in Italia. E così i Valdesi,
brontolando un po’ hanno « dimenticato » i secoli gloriosi in cui avevano
difeso le Valli con l’aiuto di Oliviero
Cromwell e di Guglielmo III d’Orange,
e sono andati fino in Sicilia, fino in Argentina, a piantare scuole e ad aprire
chiese, ad annunciare l’evangelo del
Risveglio, della conversione, della libertà vera. Oggi i valdesi in Italia ci
sono un po’ dovunque, e accanto a loro
migliaia di altri italiani condividono la
stessa fede evangelica e costituiscono
una stessa diaspora protestante in questa nazione travagliata.
Ma oggi l’Italia è a una svolta: possibile che i valdesi, soli esenti, non
sentano anch’essi la necessità d’una
svolta? Possibile che si illudano che
basta continuare il passato, magari
con più serietà e consacrazione? In
realtà, continuare semplicemente questi ultimi 120 anni di inserimento in
Italia ci porterebbe sAVassorbimento
graduale, indolore ma inesorabile, nella società italiana, abbastanza « cristiana » da sedurre alcuni di noi, abbastanza « moderna » da sterilizzare gli
altri.
Chi non vuole questo assorbimento,
deve accettare la necessità d’una svolta se posso esprimermi con uno slogan un po’ duro: « amici valdesi, se
volete sopravvivere, preparatevi a cambiare ».
Ma che cosa significa questo in pratica? Ci limitiamo qui a indicare alcuni
punti:
1) L’Italia è a una svolta perché la
maggioranza del suo popolo sente la
necessità di un profondo rinnovamento morale e civile. Si tratta per noi
valdesi di partecipare coscientemente
a questo rinnovamento. Su questo
punto non mi dilungo: mi pare che il
12 maggio le Valli Valdesi abbiano dimostrato, chiaro come il sole, che gli
evangelici italiani, quando sono chiamati a partecipare a una battaglia civile spesso riescono a farlo efficacemente: è accaduto 30 anni fa, quando
i nostri migliori affrontavano il plotone d’esecuzione (in queste valli, proprio in questo mese d’agosto); è accaduto nella scorsa primavera, quando i
valdesi hanno espresso nelle urne lo
stesso voto che avevano espresso nel
sinodo tre anni prima. Può accadere
ancora; dipende solo da noi.
Coerenza evangelica
2) In questa Italia «cristiana» (o
comunque demo-cristiana) c’è enorme
bisogno di uomini che vivano in modo
coerente con l’Evangelo di Gesù Cristo
(compreso il Sermone sul Monte): su
questo punto, noi siamo francamente
deboli. Il nostro stile di vita, le ambizioni che abbiamo per i nostri figli,
l’ideale d’uomo che traspare dai nostri
volti, dalle nostre case e dalle nostre
automobili sono lontano da Cristo.
Non parlo qui per i minatori della Val
Germanasca, per i pendolari della Val
Pellice o per gli emigrati della Sicilia:
parlo per noi, valdesi che contiamo:
siamo istruiti, attivi, presenti al mondo, spesso onesti e perfino scrupolosi.
Ma raramente la nostra anima respira
quelTamore per la libertà e la povertà
che pure trasuda da ogni pagina del
TEvangelo.
3) Infine, noi (e qui ci metterei
proprio tutte le categorie) siamo una
comunità seria, ma non siamo una comunità che predica e che prega. Abbiamo incaricato i pastori e alcuni
intellettuali di parlare dai pulpiti, alla
radio-televisione, dai giornali e dai libri: e questa predicazione è spesso di
buona lega. Ma quando una predicazione non ha alle spalle una comunità
di testimoni, non è più predicazione: è
buona e onesta propaganda, informazione culturale, difesa d’una istituzione.
Meno soldi, più preghiere
Bisogna che la comunità valdese ridiventi una comunità di uomini la cui
preoccupazione centrale sia la comunicazione delTEvangelo: vai più una
mezza parola detta in fabbrica che il
miglior sermone ascoltato dai 460.000
uditori del culto radio. O, per meglio
dire, il discorso rivolto ai 460.000 è autentico ise dietro il predicatore non c’è
semplicemente un’ istituzione (una
i< bottega », dicono gli atei: cioè
un’« impresa », una comunità di interessi), ma ci sono alcune migliaia di
uomini e di donne, di ragazzi e di vecchi che spendono la Parola di Dio
nell’incontro col loro prossimo, dando
come unica garanzia la propria persona, piccola, debole, indifesa e contradittoria, ma reale: perché gli uomini
ricevono l’evangelo solo da altri uomini, mai dalle cose: anche se queste cose si chiamano « Chiesa Valdese », e
possono additare gli « orizzonti di gloria » di 800 anni di « fedeltà ». Ma dove lo prenderemo il coraggio di parlare di Gesù Cristo al nostro compagno di lavoro, (e quindi a tutto il popolo italiano) se oltre al Sermone sul
monte non riapriremo anche il libro
dei Salmi? Che cosa, se non la preghiera, riscoperta nel rumore e nel
caos della società attuale, rivissuta
malgrado la superficialità e la stanchezza che ghermiscono le nostre
anime, che cosa, se non la preghiera,
può ridarci il respiro delle « cose di
Dio »?
Partecipare responsabilmente a una
Italia che cambia; predicare fedelmente l’Evangelo; modificare profondamente il nostro stile di vita sulla
base del Sermone sul monte e risanare le nostre anime sulla base del libro
dei salmi. Se posso riassumere queste
prospettive ricorrendo ancora a uno
slogan un po’ duro direi: og^ siamo
grassi e muti, dobbiamo diventare
magri e parlare. O, se preferite: meno
soldi e più preghiere.
Giorgio Bouchard
' Queste riflessioni mi sono state suggerite dalla lettura di un articolo di Diego Lanza
pubblicato in febbraio su « Nuovi Tempi ».
2
pag. 2
N. 33 — 23 agosto 1974
« INTEGRAZIONE GLOBALE » TRA VALDESI E METODISTI
\ .»V . ’7S
hhtì'a
daUe parole ai fatti
32 anni di trattative e 275 documenti! - Le commissioni hanno lavorato molto, le
amministrazioni hanno esitato ad attuare l’integrazione - Previsti 5 anni per tradurre in pratica il nuovo progetto, che è frutto di un consenso più che di una
trattativa - Le due importanti dichiarazioni preliminari di reciproco riconoscimento tra valdesi e metodisti, che rendono possibile la loro piena integrazione
In questi 32 anni di prolungate trattative valdo-metodiste si è molto discusso, ma ad opi si è concluso poco.
Infatti sono stati definiti dal '58 in poi
tre soli punti: il riconoscimento della
validità del ministero pastorale e dell'amministrazione dei sacramenti; le
sessioni congiunte del sinodo e della
conferenza; la continuità confessionale
dei singoli valdesi e metodisti che si
' trasferiscono da una chiesa all’altra.
Di questi tre risultati uno solo ha praticamente prodotto le sue conseguenze; gli altri due hanno a tutt’oggi avuto una ben scarsa applicazione. Si è
potuto constatare infatti che le sessioni sinodali congiunte hanno costituito
una realtà della vita delle due chiese
dal '69 in poi. Il regolamento in quell’anno approvato dalla sessione congiunta sul rispetto del carattere confessionale dei singoli membri di chiesa non risulta invece aver avuto a tutt’oggi una concreta applicazione nelle
singole chiese locali. Così pure il riconoscimento del ministero pastorale ha
prodotto nel tempo che qualche più
frequente scambio di pulpito, ed ha
giovato alle amministrazioni ecclesiastiche per risolvere qualche caso in
occasione del riordino del campo di
lavoro pastorale. I pastori delle due
chiese però non hanno vissuto l’esperienza comune di un solo ’’corpo pastorale”.
la vita ecclesistica, presentando soluzioni già studiate per talune situazioni
e precisando nel termine di un quinquennio il lavoro da espletare da parte
delle sessioni congiunte e delle due
amministrazioni per tradurre ad effetto quei principi e quelle linee operative che erano state già fissati ed impostati dalle precedenti commissioni. A
lavoro concluso la commissione ha potuto constatare che il suo lavoro non
era il risultato di una trattativa tra
parti diverse, ma il prodotto di un
consenso unanime tratto dalle esperienze già fatte nei trentadue anni di
conversazioni avviate tra valdesi e metodisti.
Il progetto non è complesso, ma
semplice, né macchinoso, anche se di
necessità richiederà 5 anni di lavoro
attento e puntuale per la sua completa
attuazione. E in questo quinquennio
che si potrà valutare fino a che punto
il lavoro svolto in questi 32 anni risponda ad un’istanza delle chiese locali e corrisponda ai loro effettivi bisogni. Ogni giudizio anticipato su questo
punto presenta il difetto della puerilità. Così coloro che pensano che un tale
progetto sia solo il risultato di un lavoro teorico potranno avere occasione
di ricredersi se avranno, per la parte
che spetterà loro, la volontà di adoperarsi per la sua attuazione concreta.
spettive posizioni confessionali. Se si
guarda al testo del progetto, si nota
che la parte più incisiva è costituita
dalle due dichiarazioni preliminari in
cui riconosce se stesso:
« Le chiese e la conferenza metodista si riconoscono nelle caratteristiche
del movimento e delle chiese valdesi
quali le attestano la loro storia e la
collocazione nella testimonianza del
protestantesimo in Italia ».
« Le chiese e il sinodo valdese si riconoscono nella testimonianza all’Evangelo resa in Italia dalle chiese metodiste e, con gratitudine al Signore,
ricevono il loro contributo di esperienza, di pensiero e di impegno evangelistico ».
Un esempio di
ecumenismo protestante
Non è affatto da escludere che alcuni dei punti dell’integrazione possano
essere ridotti o ridimensionati nell’attuazione che se ne farà nel corso del
quinquennio di realizzazione del progetto. Infatti se le amministrazioni si
applicheranno con volontà operativa
senza sollevare a nuovo le presunte difficoltà del passato, l’integrazione si attuerà realizzando un esempio particolare di ecumenismo nell’ambito del
protestantesimo, liberato da quella
Un proqetto comoleto Reciproco riconoscimento La vaiie su « La stampa » dei 21.3.1969
|J y LUmpieiO sottolineava come carattere precipuo
dell’ecumenismo protestante in quell’anno a proposito dell’incontro tra vaidesi e metodisti. E da augurarsi pertanto che il sinodo e la conferenza vogliano accogliere il progetto di integrazione dando alle rispettive amministrazioni quel’impulso ad agire che è tempo assuma forme concrete e globali.
Giorgio Peyrot
Riguardando al passato, sulla base
dei 275 documenti concernenti l’integrazione valdo-metodista che l’apposita commissione ha raccolti e consultati, risulta che le varie commissioni via
via nominate dagli organi direttivi hanno prodotto un elevato materiale di
studio che tocca ed imposta convenientemente la quasi totalità dei problemi
che l’integrazione valdo-metodista comporta. La prima impressione che si
trae da questo migliaio di pagine di
documentazione è la sorpresa di un la
voro così vasto che ha dato finora così poco risultato concreto. Il fatto, come la documentazione dimostra, è che
se le commissioni hanno prodotto molte cose, la resistenza delle amministrazioni ne ha attuate poche. Prudenza,
sospetti, presunte difficoltà, diffidenza,
incomprensione? Non si sa con esattezza quale di queste remore abbia
maggiormente operato per frenare nel
tempo quella spinta all’integrazione
che la grande maggioranza dei membri
dele due chiese ha costantemente desiderato.
Questo progetto di ’’integrazione globale” non è quell’« unione » tra le due
chiese che ha costituito nei primi anni
delle trattative il traguardo da raggiungere, perché non vuol èssere l’unificazione dei valdesi e dei metodisti, né
l’unione delle loro chiese locali; ma
vuole essere l’espressione dell’insieme
dei loro apporti e dei valori delle ri
Sono aperte le iscrizioni
alla Facoltà Valdese di Teolooia
Molti corsi, molte possibilità di studio e aggiornamento, per un rapporto più vivo tra teologia e chiesa
La commissione che riferirà questo
anno alla sessione congiunta presenta
un progetto di integrazione globale,
cioè un piano risolutivo di tutti i problemi che il processo integrativo pone
non solo in linea teorica, ma sul piano
pratico delle cose concrete. La commissione non ha avuto necessità di
trattare la materia, né di pervenire a
conclusioni che, corne è in uso nelle
cose mondane, sono il risultato di un
do ut des. La commissione, esaminata
la documentazione, ha avuto il facile
compito di constatare e coordinare le
varie situazioni esaminate nel passato.
Il progetto tocca tutti gli aspetti del
Le iscrizioni aH’anno accademico
che comincerà alla fine di ottobre si
ricevono durante tutto il mese di settembre. Diamo le norme per l’iscrizione alle varie categorie:
a) per il corso di Licenza in teologia: è il corso di quettro anni, frequenza obbligatoria, normalmente richiesto
per esercitare il pastorato. La domanda, scritta e motivata, dev’essere indirizzata al Consiglio di Facoltà (via
Pietro Cossa 42, Roma) e corredata dei
seguenti documenti:
— certificato di nascita;
— diploma o certificato di maturità
classica o altro titolo superiore giudicato equipollente dal Consiglio;
— attestato fornito dal Concistoro o
Consiglio della chiesa di cui il candidato fa parte, dal quale risultino
i caratteri morali e spirituali del
medesimo e la sua iscrizione da almeno due anni a una comunità
evangelica;
— un certificato medico comprovante
sana costituzione fisica;
— due fotografie formato tessera.
b) per il corso da studente esterno
o Diploma in Teologia protestante
(corso di livello universitario, che però
non abilita al ministero pastorale. Non
è richiesta la frequenza e lo studente è
esonerato, a sua richiesa, dalle esercitazioni pratiche):
— stessi documenti come sopra, salvo
il certificato medico.
c) per i corsi per corrispondenza,
per laici (breve corso biennale, di circa
20 lezioni all’anno):
domanda scritta ;
NOVITÀ’
Sono usciti i primi due volumi della nuova
Storia dei Valdesi
(in tre volumi)
1. Dalle origini all’adesione alla Riforma (1532), di Amedeo Molnar
2 Dal sinodo di Chanforan all’Emancipazione (1848), di Augusto Armand
Hugon
3. Dal 1848 ai giorni nostri, di Valdo Vinay (in preparazione).
Due volumi: pp. 372 -f 56 tavole f. t. con 122 ill.ni f. t., 23 nel testo e
9 cartine, copert. plasticata a colori, L. 7.000.
pp. 328 -t- 36 tavole f. t. con 79 ili. f. t. e 2 cartine, copert. plasticata
a colori, L. 6.000.
Offerta speciale valida fino al 31 ottobre 1974: I due volumi
sono offerti a L. 11.000 (anziché 13.000). L’opera completa può
essere sottoscritta versando la somma di L. 16.000.
Finalmente pronta nei due primi volumi la tanto attesa nuova storia dei Valdesi, scritta con linguaggio agile e leggibile da due dei maggiori competenti dell’argomento. Ampiamente illustrata con documenti
in parte inediti.
Un’opera eccezionale che non deve mancare nella libreria di ogni famiglia evangelica italiana.
Anticipate entro il 31 ottobre il regalo di fine anno!
Scrivete subito ordinando a:
EDITRICE CLAUDIANA - c.c.p. 2/21641
Via Principe Tommaso, 1 - 10125 TORINO
— certificato di licenza di scuola media superiore o inferiore;
— certificato di appartenenza a una
chiesa evangelica.
d) per i corsi per collaboratori
laici, con esercitazioni pratiche: essendo questi corsi destinati ai fratelli e
alle sorelle delle chiese di Roma e dintorni, gli interessati sono pregati di
prendere contatto direttamente con la
Facoltà. Per corsi analoghi in altre località, rivolgersi ai pastori.
Rimane valida la proposta fatta l’anno scorso, di offrire una possibilità di
studio a quei giovani che, non avendo
per il momento l’intenzione di dedicarsi al ministero pastorale né di seguire il corso completo di studi teologici, abbiano la possibilità di dedicare
un anno allo studio per l’arricchimento della loro esperienza spirituale e
per una più efficace collaborazione nella chiesa. E un invito che si rivolge ai
giovani qualificati per gli studi di cui
al punto « a », e ai quali questo anno
di studi potrebbe venire poi conteggiato come valido ove decidessero di seguire il corso completo in visto del ministero. Se qualcuno iscrivendosi al I
anno di università pensa di poter dedicare alcuni mesi alla riflessione teologica, oppure essendosi laureato ha
un periodo libero prima di inserirsi in
un’attività lavorativa, o di prestare
servizio militare, lo invitiamo a riflettere a questa possibilità. Per maggiori
informazioni, anche per quanto riguarda problemi economici e borse di studio, rivolgersi alla segreteria della Facoltà o prendere contatto con uno dei
docenti.
L'esame di fede
del candidato Paolo RIbet
Roma, agosto 1974.
Sono indispensabili, secondo le nostre discipline ecclesiastiche, prima
della consacrazione dei pastori due atti che non sono puramente formali:
l'esame di fede ed il sermone di prova
dei candidati al ministero.
Quest’anno i candidati che si accingevano a sostenere queste ultime prove avrebbero dovuto essere due: Giuseppe Platone e Paolo Ribet. Purtroppo il primo non ha potuto essere presente neH’aula sinodale il 16 agosto.
Chiamato da poco a svolgere il suo
servizio militare non gli è stato concesso un permesso dal C.A.R. di Bari
per venire a Torre Pellice. Gli rinnoviamo da queste colonne l’espressione
di disappunto e di tristezza provata
dal corpo pastorale e dal pubblico per
questo inconveniente.
Le domande rivolte al Candidato sono state le seguenti: 1) Cosa significa
predicare oggi Dio; 2) Come annunciare la speranza in Cristo; 3) Che cosa il
Candidato pensa della Chiesa; infine,
come d’obbligo la domanda di rito, la
4) La vocazione del Candidato. Domande non facili, come si comprende
facilmente, alle quali Paolo Ribet ha
risposto con tono pacato, ma fermo e
con misura. Ci è piaciuta la sua definizione della predicazione che non deve
essere soltanto un annuncio distaccato
di fatti concernenti Dio ed il suo agire,
ma un rendere conto del perché il credente si comporta ed agisce in un modo piuttosto che in un altro. Pure chiara è stata raffermazione che la nostra
speranza ha il suo fondamento nella
risurrezione di Cristo che ci apre lo
sguardo sul mondo di Dio che viene.
Meno chiara è stata invece l’esposizione delle relazioni tra Dio, la sua Parola ed il mondo. Non è risultato evidente se p^r il Candidato la conoscenza di Dio si ha soltanto a partire dalla
sua Parola o non anche in parte dal
mondo. Per quanto riguarda la domanda sulla Chiesa Paolo Ribet, forse
per un certo timore di quel fariseismo
che è semplicemente latente in noi, è
stato meno deciso di quel che ci sarebbe parso giusto nel delineare la fisionomia ecclesiale che caratterizza il
nostro insieme di comunità nel loro essere Chiesa e non solo nel loro recare in Italia una presenza protestante.
Dalla sua risposta alla domanda sulla vocazione abbiamo appreso tra l’altro come il Paolo Ribet sia in linea diretta la terza generazione di Pastori
della famiglia e la quarta in linea indiretta. Sappiamo così che la sua vocazione non è frutto di un momentaneo
entusiasmo, ma neppure, come potrebbe sembrare, di una semplice tradizione. Questo ci sembra di buon auspicio per il futuro lavoro pastorale
del Ribet che sarà preservato da facili entusiasmi ma anche da ancor più
facili scoraggiamenti. Possa egli continuare ad accomunare nella sua persona il valore della tradizione con la
sensibilità per le nuove tematiche dei
temi moderni. E questo l’augurio che
gli rivolgiamo nel momento in cui si
accinge ad essere consacrato.
Nel pomeriggio del 16 agosto infatti
il Candidato ha anche sostenuto con
esito favorevole il suo sermone di prova nel tempio di Pinerolo sul testo di
Giovanni 2: 13-21.
La Chiesa Valdese si prepara quindi
ora a riconoscerlo pubblicamente coinè suo Pastore col rito della consacrazione che avrà luoao nel corso del culto di apertura del Sinodo domenica
25 Agosto. Bruno Costabel
Perché faccio
il pastore
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIUIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Consacrate fra contrasti
11 donne della Chiesa
episcopale americana
Filadelfia, USA (soepi) - Per la prima
volta nella Chiesa episcopale degli Stati uniti (rito anglicano) undici donne
hanno ricevuto l’ordinazione il 29 luglio scorso a Filadelfia, dalle mani di
tre vescovi emeritati.
Benché il principio dell'ordinazione
delle donne sia stato respinto l’anno
scorso dalla Convenzione della Chiesa
episcopale — che si riunisce ogni tre
anni — i vescovi hanno dichiarato di
aver deciso di procedere a dette ordinazioni « per obbedire alla signorìa di
Cristo » e per solidarietà con tutti i
popoli che lottano per la libertà, per
la loro liberazione, per la loro dignità.
L’ordinazione è stata conferita dal
vescovo Robert Dewitt, già della diocesi di Filadelfia, dal vescovo Daniel
Corrigan di Denver, ex direttore del
Dipartimento degli affari interni della
Chiesa episcopale, e dal vescovo Welles, già vescovo del Missuri-ovest.
Il canonico Charles Qsborn, direttore deWAmerican Church Union, che
rai^resenta l’ala anglo-cattolica della
Chiesa, ha elevato una vigorosa protesta contro queste ordinazioni.
FEDERAZIONE LUTERANA MONDIALE
Cari H. Mau
nuovo segretario generale
Il comitato esecutivo della Federazione Luterana Mondiale ha eletto il
pastore americano Cari H. Mau, di 52
anni, segretario generale della Federazione al posto del pastore alsaziano
André Appel che terminerà il suo
mandato assunto nel 1965, il 1“ ottobre prossimo. Il 2 ottobre 1974 il dr.
Mau inizierà il suo servizio come segretario generale, nella sede della Federazione Luterana a Ginevra.
E chiaro che il pastorato sta cambiando, nella chiesa valdese, poiché da
più lati si insiste sul fatto che la comunità deve essere in grado di ritrovare nel suo seno i ministeri di cui ha
bisogno e perché d'altra parte, le cifre
ci dicono che stiamo andando verso
una diminuzione del numero dei pastori. Le forze pastorali dovranno dunque essere impiegate secondo dei programmi diversi che non nel passato.
Perché, dunque, fare il pastore, oggi? Il fatto che ci si stia dirigendo
verso delle comunità più responsabili
ed autosufficienti non elimina, a mio
avviso, la figura del pastore, anzi permette al pastore di concentrarsi di più
su quei compiti che gli sono specifici
e valorizzare appieno i suoi doni. Se
tutta la comunità segue la predicazione, la giudica e la orienta, vuol dire
che le conoscenze bibliche e teologiche
non sono più proprietà privata di uno
solo, ma tutti, o almeno molti, si preparano a questo. E a guidarli in questo sarà il pastore. Ancora, non si può
pretendere che uno solo possegga tutti
i doni richiesti in una comunità, ma
ancora sarà compito del pastore scoprire, incoraggiare ed aiutare i ministeri locali ad esprimersi ed operare.
Infine, la mia breve esperienza milanese mi ha insegnato quanto sia difficile ed impegnativo mantenere i contatti fra tutti i fratelli di chiesa, soprattutto dove, come in una moderna
metropoli, ogni relazione umana tende
a rompersi e a chiudere le persone
nella solitudine e nell'anonimato e come del resto sia fondamentale stringere tali contatti e portare in ogni
casa l'eco della comunità e la predicazione della speranza di Cristo, per non
permettere che i membri della Chiesa
siano dispersi.
Paolo Ribet
Un pastore francese
agli studenti in teologia
di oggi e di domani
“Non diventate
pastori se...”
« .../ pastori e le chiese hanno
già troppo sofferto perché sia ancora possibile esortare senz’altro
gli studenti in teologia a diventare pastori in una comunità:
— Non diventatelo se per il vostro equilibrio personale avete
bisogno di una posizione sociale
precisa, che comprende certi riscontri tecnici e si articola in
compiti chiari e in poteri definiti.
Essere pastore di una comunità
significa accettare di essere solidalmente uno che non produce,
un non-specialista.
— Non diventatelo se per il
vostro equilibrio personale avete
bisogno di vedere presto o tardi il
risultato tangibile dei vostri sforzi. Ogni pastore di comunità vive
in una situazione costante di scacco professionale.
— Non diventatelo se non potete rimettere continuamente in
questione la vostra vita...
— Non diventatelo se preferite
parlare piuttosto che ascoltare, se
vi sentite attirati più dalle cose
astratte che da quella concrete,
più dai problemi universali che da
quelli locali.
— Non diventatelo se pensate
di non poter esercitare una autorità reale senza ricorrere a un certo numero di poteri.
Non diventatelo... eppure... Anche se non corrispondete all’ideale ora descritto e ciò nondimeno
volete imparare dal Cristo a guardare ogni situazione con amore e
speranza, allora sappiate che conosco molti uomini in questo ministero che non scambierebbero
la loro gioia per un piatto di lenticchie ».
Jean Ansaldi
pastore della Chiesa
riformata di Francia
i
3
23 agosto 1974 — N. 33
pag
UNA CORAGGIOSA DICHIARAZIONE DI FEDE DELL’ISTITUTO CRISTIANO DEL SUD-AFRICA
Cristiani confessanti nei pse deirapartheid
Pubbiichiamo ii testo integrale di queila che non a torto è stata chiamata « una confessione di Barmen sud-africana » - Il Sud-Africa visto come « società alienata e malata » - L’Evangelo inteso come forza capace di trasformare uomini e strutture - « Un cambiamento parziale non è una soluzione: crea soltanto frustrazione » - La
violenza strutturale suscita la violenza rivoluzionaria - La via di Cristo: rapido e radicale cambiamento pacifico
La rivelazione di Dio in Cristo è il fondamento della fede e della condotta cristiana. L’Antico Testamento esprime il piano di Dio di liberare
Israele in tutta la sua vita sociale, economica e politica. In Cristo questo
piano si compie e viene esteso a tutta la società umana. AH’interno di questo
progetto universale, Dio stende con sollecitudine la sua mano per offrire ia
salvezza individuale ora e per sempre.
La nostra risposta a Dio dev’essere spirituale e temporale ed esprimersi
sia sul piano collettivo che su quello personale.
1. IL FONDAMENTO
Tutti i problemi fondamentali del
mondo si trovano in qualche misura
nel Sud-Africa. li nostro compito in
quanto cristiani è di seguire l’Evangeio attraverso il quale Dio può rinnovare la vita e ia società di questo subcontinente in cui viviamo.
2. LA BUONA NOVELLA
DI GESÙ' CRISTO
2.1 - Gesù Cristo è Signore
È il Signore della società umana,
proclamando la sovranità di Dio e
mandando i suoi amici a chiamare ogni parte del mondo a seguirlo. È il
Signore di tutta la nostra vita.
Rispondendo alla sua autorità i cristiani cercano una società in sviluppo
in cui tutti possano trovare quell’amore che conduce alla pace e alla prosperità, alla giustizia e alla gioia, alla
responsabilità e alla libertà, e vivere
in armonia e nell’amore.
In Sud-Africa ci sono persone che
riconoscono la signoria di altri dèi :
l’importanza suprema dellla razza, lo
apartheid, il « nazionalismo cristiano »,
il deomlnazionalismo, una pietà egocentrica.
2.2 - Gesù Cristo è Salvatore
Nelle loro vite singole e nelle loro
istituzioni gli uomini soffrono a motivo del peccato. Sono alienati da Dio e
vivono in una società alienata.
L’Evangelo rende gli uomini consapevoli della realtà e del pericolo del
peccato, reca il messaggio della vita, ia
croce e la risurrezione, del Cristo come
l’atto di salvezza di Dio, e li conduce
attraverso il pentimento e la fede a
una vita nuova di comunione con Dio
e il loro prossimo.
Il Sud-Africa è una società malata a
motivo della sua alienazione ed è condannata a morire se non la si guarisce.
Siamo tutti partecipi di questa situazione. La nostra unica speranza è di
riconoscere il nostro bisogno di Cristo e di volgerci a Lui in un atto di
pentimeto personale e nazionale, e di
aver flducia in Lui e seguire le sue vie
che conducono alla salvezza.
3. LA COMUNITÀ' CRISTIANA
3.1 - Possibilità
Dio ha fatto l’uomo come essere
creativo e responsabile; in Cristo lo libera per sviluppare tutta la sua vita e
quella dei suoi simili.
I cristiani cercano delle condizioni
sociali in cui ogni persona possa sviluppare al masismo le sue capacità
creative e crescere in statura adempiendo alle responsabilità che sono
proprie dell’uomo.
La struttura sociale del Sud-Africa
impedisce alla maggior parte delle persone di sviluppare in pieno le loro possibilità a motivo del colore della loro
pelle. Il cambiamento portato dalll’Evangelo dischiude delle possibilità
uguali per tutti nei settori dell’educazione, dell’economia, della politica, del
diritto e della chiesa.
3.2 - Comunione
La terra e le sue ricchezze appartengono a Dio. Egli vi ha posto degli uomini perché ci vivano in armonia tra
loro come suoi gerenti. I primi cristiani che mettevano in comune e ridistribuivano le loro ricchezze ce ne danno
l’esempio.
I cristiani devono cercare una società in cui tutti possano ottenere in maniera uguale la terra, la ricchezza e il
potere.
II sistema sud-africano priva molte
persone, in base a una discriminazione
razziale, della parte giusta di terra,
che è di Dio, e di partecipazione sociale. Il cambiamento portato dall’Evangelo significa consultazione e partecipazione di tutti nel prendere le decisioni, e una ridistribuzione dell’autorità
sotto il governo regale di Dio.
3.4 - Servizio
Gesù Cristo, Salvatore, Liberatore e
Provvidenza, provvede ai bisogni spirituali, mentali e fìsici degli uomini e
a una preoccupazione particolare per i
poveri, i diseredati, gli sfruttati e i reietti.
I cristiani devono identificarsi con
questi uomini che soffrono cercando
di aiutarli e creare una situazione che
elimini le cause della loro sofferenza.
Il sistema sud-africano perpetua ia
povertà, lo sfruttamento, l’esclusione
e la privazione. Molti sud-africani mancano di cibo, dì aìloggio, di istruzione,
di cure mediche, di vestiti e di versamenti pensionistici — e la collettività
non si sente responsabile di questo. Il
cambiamento portato daU’Evangelo significa un servizio immediato a favore
di quanti sono nel bisogno, e un cambiamento radicale nelle strutture della
società che ne sono la causa.
4. IL MODO CRISTIANO
DI INTENDERE IL GOVERNO
4.1 - L’autorità suprema
Gesù Cristo è l’autorità suprema, e
il governo di uno Stato è un servitore
di Dio ed è responsabile davanti a Lui.
I cristiani devono cercare di far votare leggi che siano in accordo con lo
Evangelo di Cristo ed esortare tutti i
cittadini a obbedire a queste leggi.
La maggior parte degli elettori sudafricani danno la priorità alla conservazione del privilegio e del potere
bianco e permettono al governo di utilizzare metodi totalitari, ivi comprese
la detenzione senza processo, il confino e i decreti-legge come strumento ordinario di govero. Il cambiamento portato dall’Evangelo, implica ii rifiuto dell’ingiustizia, il controllo democratico di
tutti i poteri del governo, l’uguaglianza
davanti alla legge, il rispetto delia legge
e una responsabilità reciproca neila
redazione delle leggi che devono governare la vita degli uomini.
4.2 - L’ambito cristiano
Dio è il re dell’universo intero e Gesù Cristo è entrato in tutti i problemi, le tentazioni e le possibilità della
vita umana.
I cristiani devono vedere tutta la vita come un’unità di cui Cristo è il centro e la speranza.
Molti sud-africani dividono la vita in
sacro e profano permettendo che in alcuni settori certe opinioni politiche e
atteggiamenti razziali abbiano il sopravvento sui criteri cristiani di comportamento e di pensiero. Il eambiamento portato dall’Evangelo implica
che tutti gli aspetti della vita siano posti nella luce di Cristo.
4.3 - La responsabilità di opporsi e di
proporre
Gesù Cristo, come i profeti prima
di lui e i cristiani dopo di lui, ha cercato di compiere la volontà di Dio opponendosi anche alla volontà della gente e dei suoi capi.
Proclamando la buona novella di
Cristo, i cristiani devono imitare lo
esempio dei suoi servitori che hanno
sfidato le strutture e i comportamenti
non-cristiani della società, e hanno
contribuito a creare nuove relazioni e
a risolvere i mali sociali.
Le strutture sociali sud-africane
contengono numerose ingiustizie che
impediscono agli abitanti di attuare la
via di Cristo. I cristiani sono chiamati
a ubbidire a Dio piuttosto che agli uo
mini, anche se questo implica la disub
bìdienza alle autorità civili, la resisten
za passiva o la sfida delle leggi non-cri’
stiane, e anche se le soluzioni che essi
propongono sono impopolari. Il cambiamento portato dall’Evangelo signi
fica la volontà di cambiare se stessi
secondo quest’Evangelo.
5. L'UNITA' CRISTIANA
L’Iddio unico ha creato l’uomo a Sua
immagine e l’unità tra gli uomini che
Dio dà è più grande di tutte le differenze. In Gesù Cristo, Dio crea l’unica
chiesa come suo corpo sulla terra.
I cristiani attraverso il mondo devono cercare l’unità nella fede, nel culto
e nel servizio, unità che trascende tutte le differenze di razza, cultura, civiltà. Essi cercano questa unità in Cristo
che è il fondamento di una società universale.
In Sud-Africa, dow la chiesa è divisa in gruppi divera oppure è divisa
sul problema razziale, o ancora sollecitata a sostenere l’apartheid per fini
politici, oppure spinta a praticare la
discriminazione, tutti i cristiani devono lavorare per l’unità cristiana e sostenere gli sforzi specifici delle chiese
a questo poposito.
6. LA SPERANZA CRISTIANA
Il Creatore del mondo, che ad esso
provvede, ha per esso uno scopo che
porterà a compimento. Gesù Cristo
riconcilia tutte le cose ed è la speranza
del mondo.
I cristiani devono avere un ottimismo che sgorga dalla grazia di Cristo
che li incita ad affrontare le situazioni
più oscure con la certezza della vittoria finale.
La paura, il pessimismo e l’amarezza
dominano la scena sud-africana. I negri sperano nella liberazione dall’oppressione, dall’ingiustizia e dalla disfat
ta ; ma lo sforzo da sostenere per cosnbattere la paura, lo stato di debilitazione psicologica e il peso dell’oppressione è enorme. I bianchi sognano l’utopia, si appropriano della ricchezza materiale ma sono dominati dalla paura
di essere annientati. Un cambiamento
parziale non è una soluzione; crea soltanto frustrazione. Il cambiamento
portato dall’Evangelo significa la scoperta di un nuovo gusto di vivere, il
coraggio di proclamare il cambiamento fondamentale attraverso la buona
novella di Gesù Cristo.
7. LA RISPOSTA CRISTIANA
Dio ama il mondo ed entra egli stesso nelle sue sofferenze in Gesù Cristo,
facendo della croce il cammino della
vitttoria e proclamando nella sua risurrezione che il cammino verso la vita è il cammino dell’amore.
I cristiani che rispondono all’appello
di Dio sanno che sono chiamati a prendere una croce per seguirlo.
L’attuale sistema sud-africano può
essere mantenuto solo con la forza delia violenza strutturale opposta alla via
di Dio. Esso suscita la violenza rivoluzionaria e ne è minacciato. Il cambiamento portato dall’Evangelo significa
un rapido e radicale cambiamento pacifico verso una società fondata sulià
via di Cristo: l’amore, la giustizia, la
libertà, la verità e la responsabilità. I
cristiani devono aspettarsi di soffrire,
di essere vittoriosi e di indurre tutti
gli uomini a rispondere a Dio in Gesù
Cristo.
L’Istituto Cristiano del Sud-Africa
Braamfontein, Transvaal
CEC: IL « PROGRAMMA DI LOTTA AL RAZZISMO » HA 5 ANNI
"Un piccolo inizio" - Uoa pnde promesso
Raccolto nel 1973 oltre un milione di dollari - La conferenza panafricana delle
chiese considera il ritiro degli investimenti in Sud-Africa « la sola strategia che
offra prospettive di un reale cambiamento » - Le implicazioni politiche del programma - Disimpegno del Vaticano - Positivo il bilancio dei primi cinque anni
« Un piccolo inizio » (A small Beginning) è il titolo di una recente pubblicazione del Consiglio Ecumenico,
con cui Elisabeth Adler deH’Accademia Evangelica di Berlino tenta un bilancio della prima fase (che terminerà
alla fine di quest’anno) del programma
del CEC contro il razzismo.
Com’è noto questo programma ha
suscitato molte polemiche nelle chiese,
soprattutto dell’ Europa occidentale,
mentre è stato accolto con soddisfazione da molte chiese del cosiddetto
Terzo Mondo, le quali peraltro hanno
osservato: « Noi siamo a favore del
programma, ma sono i bianchi che
devono rimediare al disordine di casa
loro. Dovrebbero cambiare le strutture che rendono noi dipendenti e loro
disumani ».
I doni sono stati, nel 1972, 500 mila
dollari e nel ’73 oltre un milione di dollari. La maggior parte dei doni è di
singoli credenti o di gruppi locali [anche il nostro giornale, notiamo per inciso, ha dato un suo modesto contributo, grazie ai doni di molti lettori al
Fondo gestito da Roberto Peyrot]; il
resto proviene dalle chiese, attraverso
i loro organismi ufficiali; soprattutto
hanno contribuito le chiese americane
e canadesi. Tra i paesi, l’Olanda è
quella che ha dato di più (un quarto
del totale), mentre i versamenti dalringhilterra sono stati scarsi.
Un milione di dollari non è molto se
si pensa che l’invito a contribuire è
stato rivolto a tutte le chiese del CEC
(si sono associate anche alcune diocesi e gruppi cattolici). Ma è chiaro che
il valore della somma, è più che economico. Con i contributi versati a 6 movimenti di liberazione per essere devoluti ad attività non militari (ospedali, scuole, etc.), il CEC si è schierato
decisamente e concretamente a fianco
delle vittime del razzismo appogiando
la loro lotta e quindi intervenendo
non solo per lenire le sofferenze che
esso provoca ma per combattere le
cause che lo determinano.
Un aspetto molto importante della
lotta al razzismo fu la decisione presa
dal Comitato centrale del CEC a
Utrecht, nelTagosto del 1972, di ritirare le proprie azioni dalle società e
dalle banche all’opera in Sud-Africa;
le chiese furono invitate a fare altrettanto e, inoltre, a promuovere un’azione presso ditte e società europee e
americane affinché ritirino i loro investimenti in Sud-Africa. Questa soluzione radicale fu giudicata eccessiva
da alcune chiese che preferirono optare per soluzioni meno drastiche e adottare una « strategia 'riformista » (a
Utrecht si era convenuto che su una
questione così controversa come il ritiro degli investimenti in Sud-Africa si
sarebbe potuto adottare, neH’ambito
della lotta al razzismo, « molteplici
strategie »). Ma nel luglio del '73, la
Conferenza panafricana delle chiese criticò la strategia riformista sostenendo la necessità di ritirare gli investimenti dal Sud-Africa: solo questa
misura radicale consente di non essere
« complici dello sfruttamento della
gente di colore in quel paese. Questa è
la sola strategia che offra prospettive
per un efficace mutamento in Sud-Africa senza ricorrere alla violenza e allo
scontro armato ».
Com’era prevedibile, l’orizzonte del
programma di lotta al razzismo si è
ben presto allargato: non si può combattere il razzismo senza combatterne
anche le componenti e le cause economiche. Così, nel dicembre del '73, il
comitato esecutivo del programma
Dono della Norvegia
per il programma
antirazzista
Apprendiamo dalTultimo numero del
bollettino ecumenico soepi che il governo norvegese ha confermato il proprio sostegno al programma del Consiglio ecumenico delle Chiese contro il
razzismo colTinvio di un’offerta di
100 mila corone (n.d.tr.. pari a circa
dodici milioni di lire) in risposta alTappello lanciato dal CEC. Già in precedenza, nel 1973 il governo norvegese
aveva fatto pervenire al CEC 75 mila
corone.
È il terzo governo che sostiene lo
sforzo del CEC per combattere il razzismo. Infatti il governo olandese ha
inviato una somma pari a circa 100 milioni, mentre quello svedese ha mandato in due riprese l’equivalente di circa 15 milioni di lire per raddoppiare
le somme raccolte dalle chiese.
Ricordiamo ai lettori che parte del
« fondo di solidarietà » del settimanale
è destinato al programma antirazzista
del CEC, con carattere permanente,
mentre le altre destinazioni attuali sono rispettivamente stabilite per le vittime della situazione cilena, contro la
siccità del Sahel e per i prigionieri politici del Sud Vietnam. Le sottoscrizioni vanno inviate al conto corr. postale n. 2/39878 intestato a Roberto
Peyrot, Corso Moncalieri 70, Torino,
indicando possibilmente lo scopo del
versamento.
SWASILAND (Africa)
Due films sulle
parabole di Gesù
Nello Sya?iland (Africa) sono stati
prodotti àie films sulle parabole di
Gesù ; il primo dal titolo « Amore infinito », tratto dalla parabola del figliol prodigo. Prima della produzione,
il gruppo che si occupa di questi films,
domanda alla gente del posto qual’è il
modo migliore per presentare la storia, affinché sia compresa da tutti; a
volte sono necessarie piccole modifiche
per rendere il messaggio più chiaro;
per es. nella parabola del figliol prodigo è stato necessario far comparire anche la madre perché in questo paese
nessun padre può dare una parte della sua eredità senza consultare la moglie.
NIGERIA
chiese che venisse predisposto uno
studio « che metta in risalto il legame
fra le giustizia razziale e le strutture
economiche globali, compresi il sistema bancario, gli investimenti, il commercio e il meccanismo di espropriazione delle risorse naturali ».
Il bilancio di questi primi cinque
anni del programma è senz’altro positivo, anche se molte chiese, specialmnte europee, avrebbero potuto dare
una adesione più cordiale e più convinta e si sarebbero dovute lasciare
coinvolgere di più in questa impresa
che indubbiamente ha segnato una
svolta nelTazione politica delle chiese.
È, appunto, « un piccolo inizio », sul
quale però — secondo i promotori e
i sostenitori del programma — c’è una
grande promessa. Il fatto, tra l’altro,
che sin qui il Vaticano sia stato molto reticente per non dire negativo nei
confronti del programma, è una conferma indiretta della sua bontà.
Possiamo quindi concludere riprendendo le seguenti considerazioni di
Elisabeth Adler: « Il Programma di
lotta contro il razzismo ha fornito al
movimento ecumenico un’ occasione
per conoscere meglio se stesso e maturare attraverso tale processo. Esso
ha dovuto imparare che non poteva
collocarsi a mezz'aria, al di sopra delle
faccende umane. Ciò che divide il mondo divide anche le chiese, i cui membri si trovano sia da una parte sia dalla parte opposta nella lotta contro ii
razzismo. Tuttavia, le divisioni e le
polarizzazioni hanno un significato diverso quando sono sperimentate nella
chiesa diventano una sfida alla fede.
Grazie alla comune fede in Gesù Cristo è possibile variarsi più apertamente, accettare la sfida e lavorare
all'elaborazione di risposte comuni ».
E' in corso una nuova
traduzione della Bibbia
Un canonico anglicano di nome Angolu, a capo di una modesta parrocchia africana in Nigeria, sta lavorando ad una nuova traduzione della Bibbia nella lingua del suo paese. Egli
non è più giovane e deve occuparsi,
oltre che della traduzione, dei suoi numerosi fedeli. La chiesa, fatta con mura di fango e tetto di paglia, contiene
circa 250 persone; ma la domenica circa 500 membri della parrocchia assistono al culto, metà dentro e metà
fuori della chiesa, ascoltando dalle finestre aperte. Il canonico Angolu si
sforza scrupolosamente di dare una
versione della Bibbia nella lingua viva
del suo paese, e si consacra interamente al suo lavoro, trovando espressioni
e modi di dire più efficaci e più comprensibili per la sua gente. Per es. la
espressione « come un bue che recalcitra sotto gli stimoli» (Atti 26; 14) non
ha senso per un popolo che non alleva bestiame, così egli traduce questo
versetto con le parole : « come uno
schiavo che resiste al suo padrone ».
Angolu è un uomo profondamente attaccato alla Parola di Dio, e sapendo
che il messaggio non potrà raggiungerò il cuore del suo popolo finché rimarrà nascosto nella lingua tradizionale, è ben deciso a fare tutto quello
che può per renderlo vivente ed atale.
CAMERUN
Grave crisi finanziaria
nelia Chiesa presbiteriana
Buea (spr) - Una crisi fìnanziarìn senza
precedenti ha colpito la Chiesa presbiteriana nel Camerún occidentale. La Chiesa
ha dovuto pagare 35 milioni di franchi (circa cento milioni dì lire) per aumenti salariali dovuti al suo ’“personale qualificato’*, per
conformarsi al decreto governativo relativo
al « Livello nazionale di classificazione delle
occupazioni e dei salari ». Secondo il decreto
la Chiesa rientra nella categoria delle organizzazioni commerciali e il salario minimo
fissato per i suoi impiegati è più alto che in
precedenza. Il bilancio della Chiesa ha quindi dovuto essere « ridotto senza pietà al minimum più rigoroso » e si sono operati duri
tagli nelle somme previste per servizi sociali
d’importanza vitale; si preventiva pure una
riduzione del personale e la fusione di dipartimenti. Sì è dovuto rinunciare a un certo
numero di progetti che, secondo un rapporto
diffuso dal segretariato della Chiesa, avrebbero segnato tappe importanti nella storia
della Chiesa.
4
pag. 4
N. 33 — 23 agosto 1974
ADOZIONE: LETTERA DEI GENITORI DI UNA BAMh,:<iA
"Dogi la nostra senzazione é
di essere stati da lei adottati! ”
Sara e Sauro Gottardi, della chiesa
valdese di Milano, hanno scritto una
lettera (che pubblichiamo qui sotto)
agli ospiti di « Casa Cares », l’istituto
per ragazzi della Chiesa dei Fratelli, in
cui narrano con molta semplicità e
verità la loro esperienza di genitori
che hanno adottato una bambina, alcuni anni or sono. È un’esperienza positiva che tante altre famiglie e coppie
hanno fatto e stanno facendo. In Italia, com’è noto, l’adozione è ancora
troppo poco praticata. Molti pregiudi
Cari amici,
zi tenaci quanto infondati, e soprattutto una legislazione vessatoria che però
ora, finalmente, è stata modificata adeguandola a criteri elementari di giustizia e umanità, hanno impedito che
l’adozione (molto diffusa in altri paesi, specialmente negli Stati Uniti),
venga praticata su larga scala. Pubblichiamo questa lettera anche per incoraggiare quelle coppie o famiglie che
stanno pensando aH’eventualità di
adottare un bambino.
abbiamo adottato nostra bambina perché un giorno l’abbiamo
trovata sola senza più. nessuno. Non avevamo prima programmato né
mai pensato all’adozione. Aveva cinque anni quando il Signore l’ha
messa sulla nostra strada; questo sì che abbiamo pensato: che il Signore ci chiedeva qualcosa!
Erano anni che ci interessavamo dei bambini del Cares, ma ora
Lui aveva bisogno della nostra casa.
La conquista reciproca tra la bambina e noi è stato la strada che,
credo, hanno percorso percorrono tutti i genitori crescendo insieme
ai loro -figli naturali: le prove di fiducia reciproca, le prove di forza reciproca, la prove di amore reciproco. Di proposito non ci siamo posti
problemi o Untiti educativi per il fatto che era ’’adottiva”, né abbiamo
pensato che difetti fisici o psichici non fossero quelli possibili in qualsiasi bambino; così nulla ci ha fatto dubitare che fosse nostra figlia da
quando è vissuta con noi.
Ecco, vi diciamo questo per spiegare che il rapporto genitori-figli
più che sul legame biologico del sangue si costituisce e realizza sul leStzme d amore. Il bambino trova il proprio padre e la propria madre in
chi lo ama e lo forma da padre e da madre. Si diviene genitori e si diviene figli soltanto attraverso una lunga esperienza di accettazione e di
comprensione reciproca
La sensazione nosiùi. ^gi è di essere stati da lei adottati!
Non é forse queste M teggiamento giusto verso ogni bambino che
vogliamo aiutare?
Certo! ogni bambino solo dovrebbe poter trovare una famiglia, ma
le leggi italiane oggi non facilitano molto la soluzione di questa necessita e saranno utili per molti anni ancora gli « istituti ».
Il Cares vuol essere più casa che istituto, più famiglia che parcheggio, ed abbiamo visto che con persone, che credono nella forza dell amore, questo può riuscire.
Sara e Sauro
....................................... un.......................................
Verso la 5® assemblea generale del Consiglio ecumenico: Nairobi 1975
L’unità della Chiesa: le prossime tappe
Negli ultimi 50 anni si sono attuate circa 60 unioni di chiese - Ma le grosse divisioni confessionali non sono per ora superate mentre ad esse si sovrappongono nuovi motivi di tensione - La proposta del Rapporto di Salamanca: l’unità cristiana intesa come « comunione conciliare » - L’unità non esclude la diversità
APPELLO
per 6000 orfani
sudvietnamiti
La guerra ha fatto nel Vietnam circa mezzo milione di orfani. La Chiesa
Buddista fa del suo meglio per prenderne cura, ma le sue risorse e i suoi
effetti sono limitati; essa è povera come il popolo tra cui vive. La gente
vive in un tale stato di disperazione
per il prolungarsi della guerra che non
intrayvede più nessun futuro per sé,
ma è grata a chi si cura dei bambini,
il loro unico futuro. Gli orfanotrofi
buddisti possono a fatica provvedere
per la decima parte degli orfani; la
maggioranza invece vive con qualche
parente o vicino, tutti in genere poverissimi.
Ecco perché la Chiesa Buddista cerca dei padrinati per loro; la delegazione di Parigi ha nei suoi schedari circa
600 orfani che aspettano disperatamente di essere aiutati.
Chi desidera farlo può impegnarsi a
mandare mensilmente a Parigi 25 franchi francesi (circa lire 3.500): con questa cifra il bambino può mangiare, vestirsi, andare a scuola. L’impegno è
per un anno, rinnovabile; i proponenti sperano che tra tre o quattro anni
l’econqrnia del paese possa essere autosufficiente, almeno sotto questo
aspetto.
La delegazione parigina raccoglie il
danaro e lo manda ogni trimestre al
comitato buddista per la ricostruzione
e lo sviluppo sociale, che a sua volta
lo ripartisce tra le 44 province sudvietnamite.
Molti movimenti e chiese collaborano in Europa e in America alta realizzazione di progetti di ricostruzione
(villaggi, scuole, asili-nido, ofanotrofi,
dispensari etc.) oppure all’invio di cibo, medicinali, sementi, attrezzi per le
cooperative agricole, etc. o alla lotta
in appoggio ai prigionieri politici. Infatti I BISOGNI SONO IMMENSI ED
URGENTI.
In certe regioni le recenti inondazioni hanno ricoperti i campi di fango
ancora impregnato di sostanze chimiche dei defolianti, e più nulla vi cresce. Centinaia di migliaia di famiglie
non hanno che un pasto giornaliero di
riso e altrettante tentano di sopravvivere cercando foglie e radici nella foresta.
Per informazioni e adesioni, rivolgersi a Evelina Pons, via Cialdini 34,
10138 Torino.
cronacha aatimilltariata a di adana nanvialanta
Condannato Pietro Pinna
primo obiettore di coscienza itaiiano
La 5“ assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese, convocata per l’anno prossimo a Nairobi, in
Africa (per difficoltà connesse con la
situazione politica in Indonesia l’assemblea non avrà più luogo a Giakarta,
come era stato deciso in un primo
tempo) dirà qualcosa di nuovo sul tema dell’unità della chiesa, che resta
uno degli obiettivi fondamentali dell’intero movimento ecumenico? Forse
sì. Tra le chiese impegnate nel movimento e forse più ancora tra i suoi
responsabili si avverte I’esigenza crescente di dare sbocchi concreti, anche
sul piano organizzativo e istituzionale,
agli sforzi unitari che ormai continuano da oltre mezzo secolo: si tratta di
creare strutture di vita ecumenica che
esprimano il grado di comunione già
raggiunto e consentano alle chiese di
andare avanti insieme nella ricerca
dell’unità.
In questo ambito merita particolare
attenzione il « Rapporto di Salamanca » pubblicato quest’anno dall’« Ecumenical Review », la rivista del CEC.
Nel .settembre dell’anno scorso Salamanca fu la sede di una consultazione
indetta dalla Commissione « Fede e
Ordinamento » del C.E.C. sul tema:
« Concetti di unità e modelli di unione ». E da ritenere che a Giakarta si
farà riferimento a questo importante
documento, che fa con molto realismo
il punto sulla situazione e pone le premesse per gli sviluppi futuri.
Negli ultimi 50 anni si .sono attuate
aU’incirca 60 unioni di chiese, e molte
altre sono state avviate. Inoltre, sono
moltissimi i casi di cristiani di diverse
tradizioni confessionali che praticano
tra loro una reale comunione, anche
se le rispettive chiese o confessioni
sono tuttora divise.
D’altra parte, la nozione di unità
cristiana (che essa stessa non è unitaria!) si è precisata e arricchita attraverso la riflessione e Tesperienza ecumenica di questi decenni. Certi motivi
di divisione 'sono caduti o quasi; altri
però sono sorti. Le grosse divisioni
confessionali non sono per ora superate, ma ad esse si sovrappongono oggi
nuovi e gravi motivi di tensione.
Ci si chiede ad esempio: È possibile
l’unità tra chiese che vivono le une in
paesi ricchi e potenti e le altre in paesi
poveri e oppressi? E possibile l’unità
tra chiese che vivono con sistemi poli
tici diversi? Posti di fronte ai problemi del piando contemporaneo, i cristiani si ritrovano divisi da impegni
politici e sociali radicalmente dversi.
Sovente essi si sentono più vicini ai
membri di altre chiese che condividono le loro stesse convinzioni, esperienze e obiettivi, che a certi membri della
loro stessa chiesa. In mezzo a queste
tensioni, com’è possibile mantenere
l’unità? È possibile mantenerla senza
tradire certi obiettivi che i diversi
gruppi cristiani considerano inerenti
all’evangelo? È necessario dare un’espressione istituzionale all’unità? Non
dovrebbe piuttosto esserci la massima
libertà per i movimenti di sorgere e
crescere?
Il Rapporto di Salamanca è dunque
perfettamente consapevole del fatto
che l’unità della chiesa non si può
realizzare, oggi, ignorando il problema
dell’unità (e quindi delle divisioni) delI umanità, e questo la rende ancora
più ardua e problemática. Eppure le
difficoltà antiche e nuove non sono più
grandi della speranza, fondata in Dio.
« La promessa di Dio sta in piedi ».
L’unità della chiesa, che peraltro resterà fino alla fine oggetto di preghiera, è un dono che Dio ha già fatto in
Cristo ma che le chiese non hanno ancora saputo accettare.
Come si potrà configurare, in concreto, l’unità cristiana che aspettiamo
c cerchiamo? Due premesse vanno fatte, su cui c’è oggi un largo consenso.
La prima è che quest’unità non nascerà mediante un ritorno al passato,
con un’operazione di tipo restauratore. La seconda è che unità non esclude diversità, è anzi «.diversità riconciliata » (L. Vischer). Il Rapporto di
Salamanca propone una descrizione
della futura unità cristiana in termini
di « comunione conciliare ». Lo strumento istituzionale mediante il quale
chiese diverse e finora divise esprimeranno e di volta in volta verificheranno la loro unità è lo strumento conciliare (nel nostro linguaggio diremmo: sinodale).
Riproduciamo per esteso il paragrafo del Rapporto sull’unità della chiesa
intesa come « comunione conciliare »:
Gesù Cristo ha fondato un'ùnica
Chiesa. Oggi viviamo in diverse chiese divise le une dalle altre. Eppure la
nostra visione del futuro è che un
giorno vivremo di nuovo insieme come fratelli e sorelle in una Chiesa indivisa. In che modo questa meta può
essere descritta? Offriamo alle chiese,
per la loro considerazione, la seguente descrizione :
L'unica Chiesa dev'essere vista come una comunione conciliare di chie' se locali che sono esse stesse realmente unite. In questa comunione
conciliare ogni chiesa locale possiede, in comunione con le altre, la pienezza della cattolicità, testimonia la
stessa fede apostolica e perciò riconosce gli altri come appartenenti alla
stessa Chiesa di Cristo e guidati dallo stesso Spirito. Come ha affermato
l'assemblea di Nuova Delhi, esse sono unite insieme perché hanno ricevuto lo stesso battesimo e condividono la stessa eucaristia ; esse riconoscono reciprocamente membri e ministeri delle altre chiese. Esse sono
unite nel comune impegno di confessare l'evangelo di Cristo mediante la
predicazione e il servizio al mondo.
A questo scopo ogni chiesa tende a
mantenere e sostenere rapporti con le
chiese sorelle, espressi in incontri
conciliari ogniqualvolta lo richiede
l'adempimento della loro comune vocazione ».
Come si vede, la nozione di unità
come « comunicazione conciliare » è
molto ricca: non è soltanto un dato
organizzativo ma esprime e presuppone una vera e piena comunione tra le
chiese, quale oggi ancora non esiste.
Ma intanto: le chiese accettano la
descrizione dell’unità cristiana come
« comunione conciliare » nei termini
adottati a Salamanca? In caso contrario, quali obiezioni le muovono? Che
cosa ne pensano le nostre chiese, sia
quelle raccolte nella Federazione sia
quelle di orientamento più congregazionalista o ’’libero”? Le indicazioni
del Rapporto di Salamanca non potrebbero aiutarci a progredire almeno nel nostro ecumenismo interno, tra
chiese e opere evangeliche?
Non sarebbe poco!
Fra poco tempo — forse una settimana, forse un mese — Pietro Pinna,
primo obiettore di coscienza italiano e
segretario del Movimento Nonviolento,
sarà arrestato e dovrà scontare quattro mesi di carcere.
Il suo reato è semplice: ha espresso
la propria opinione.
Il 25 giugno scorso infatti la Corte
di Cassazione ha condannato Pinna a
quattro mesi senza la condizionale
(confermando le precedenti sentenze
date dal tribunale di Perugia), riconoscendolo colpevole del reato di « vilipendio alle forze armate », ravvisato in
alcune frasi del manifesto che il Movimento Nonviolento aveva pubblicato
in occasione del 4 novembre 1972 per
esprimere il proprio dissenso con la
celebrazioni di questo « anniversario
della vittoria ».
Il manifesto, intitolato « Quattro novembre: non festa ma lutto », così
commentava alcuni eventi storici:
« 28 ottobre 1922: i fascisti marciano
su Roma: l’esercito italiano... non interviene; 1935, l’esercito italiano... aggredisce l’inerme Etiopia; 1936/39,
guerra civile spagnola: l’esercito italiano interviene... ma contro il popolo
spagnolo; 1939/45, una frana di aggressioni perpetrate dall’esercito italiano:
Albania, Francia, Egitto, Grecia Jugoslavia, Russia...; 8 settembre 1943, i nazisti invadono l’Italia: l’esercito resiste... tre giorni ».
Queste frasi venivano incriminate e
così giudicate dalla Corte d’Assise di
Perugia:
« Qui il riferimento alla FF.AA. dello
Stato italiano è letterale, e scontata è
l’accusa infamante di viltà e di prepotenza per le aggressioni che si dicono
perpretate anche contro popoli inermi,
mentre sferzante vuole essere lo scherno, reso più caustico dai punti di sospensione, per una resistenza al nemico che sarebbe durata soltanto tre
giorni. Ce n’è abbastanza dunque per
integrare gli estremi del reato contestato (...) ».
Non c’è dubbio che si tratti di una
sentenza assurda e antidemocratica; né
c’è bisogno di spendere molte parole
per commentarla, visto che il miglior
commento proviene dalla stessa magistratura. Il medesimo manifesto infatti è stato assolto e ritenuto pienamente legale da un altrq tribunale, quello
di Campobassó.
« È difficile abituarsi alla libertà »,
affermano magistralmente i giudici della città molisana. « E tempo però di
convincersi che, all’infuori della stampa clandestina e di quella pornografica, la censura è abolita e nessuno può
sostituirsi ad essa per impedire la diffusione della stampa non gradita. Gli
innegabili meriti acquisiti (dalle FF.
AA.) nell’esercizio della disciplina non
escludono la facoltà per gli altri di discutere suU’efficienza, sulla funzionalità e sulla utilità di questa come di ogni
altra istituzione dello Stato. La critica,
anche se condotta in modo aspro, la
discussione, accesa che sia, non si possono confondere col vilipendio ».
E necessario comunque aggiungere
che, come da più parti è stato osservato, il reato di vilipendio e gli altri « reati di opinione » non hanno alcun motivo di esistere nell’ordinamento di un
paese democratico, nella cui Costituzione (art, 21) la libertà di opinione
viene affermata solennemente.
Dopo la condanna, il Movimento
Nonviolento ha diffuso un comunicato
in cui si legge: « Questa condanna, invece di intimorirci, ci spinge a continuare la nostra azione di ’’vilipendio”.
Essa viene a confermare la malinconica osservazione di Albert Camus che
”se oggi siamo tutti pronti a maledire
la violenza e il crimine, ben inferiore è
il numero di coloro che riconoscono la
necessità di rivedere il proprio modo
di pensare e di agire”.
Far crescere questo piccolo numero
è un dovere per i nonviolenti ».
E, aggiungiamo noi, è un dovere che
coinvolge senza dubbio tutti i cristiani.
Di fronte al permanere di mentalità e
di leggi antidemocratiche e fasciste, di
fronte alla continua repressione nei
confronti di chi lotta per la giustizia e
la pace, ancora una volta noi siamo
chiamati alla conversione e all’impegno concreto affinché a tutti sia garantita una reale libertà di pensiero e di
espressione. Un impegno che, è inutile
dirlo, tocca ancor più da vicino noi
evangelici, cui per secoli questa libertà
fondamentale è stata negata.
Luca Negro
Un'azione immediata di solidarietà con Pinna
e di riaffermazione del diritto assoluto alla libertà d'opinione si concretizzerà nella ripubblicazione e nella massiccia diffusione del manifesto incriminato, firmato da militanti nonviolenti e da varie personalità politiche e culturali. Gli interessati possono rivolgersi al Movimento Nonviolento, Cas. Post. 201, 06100
Perugia, tei. 30.471.
l'8 agosto, nel corso delle manifestazioni indette dai radicali Pinna ha presentato una domanda di grazia motivata politicamente. La domanda può essere appoggiata inviando messaggi al Ministro di Grazia e Giustizia, on.
Mario Zagari, e al Presidente della Repubblica,
00100 ROMA.
A Bruxelles,
dal 18 al 20 ottobre 1974
Congresso Eoropeo
snirontioiilitarismo
L’ultimo numero di « Satyagraha »,
notiziario di azione non-violenta, osserva che in questo tempo di « coesistenza pacifica », mentre sembrano diminuite le occasioni di guerra tra le
nazioni europee, assistiamo con inquietudine a un incremento della militarizzazione della società industriale ». In
questo quadro la W.R.I. (Internazionale del Resistente alla Guerra) fa appello alle sue sezioni europee e a tutte
le organizzazioni di ispirazione antimilitarista perché partecipino al congresso sull’antimilitarismo che avrà luogo
a Bruxelles, il prossimo ottobre. Così,
mentre la NATO celebra il suo 25 anniversario, le forze antimilitariste si
riuniranno in congresso, per discutere
il tema: « Lotta e strategia contro il
militarismo e il servizio militare in
Europa ».
Questo tema generale si articola in
6 'Sottotemi: 1) Ruolo e sviluppo della
NATO e del Patto di Varsavia. 2) I
complessi militari industriali; le società multinazionali e la cooperazione
internazionale nella preparazione della
guerra; il commercio delle armi. 3)
Militarismo e politica interna. 4) Obiezione di coscienza, resistenza al servizio militare, lotta in caserma, aiuto
ai disertori e a chi rifiuta il servizio
civile, diritto di asilo ai rifugiati. 5)
La guerra tecnologica e le conferenze
sul disarmo. 6) Forme di organizzazione necessarie per il 'successo della lotta antimilitarista.
Chi desidera ulteriori informazioni
o intende partecipare a questo importante congresso scriva a: Collettivo di
Autogestione Popolare - Corso Oddone 7 - 10144 Torino (tei. 011/48.89.80).
NELLA CHIESA CATTOLICA
Il “braccio di ferro” tra Kong e Roma
Recentemente, i sinodi cattolici di
Basilea, Berna e Lucerna hanno chiesto airepiscopato svizzero di far pressione sul Vaticano affinché venga « immediatamente » fermato il ■ procedirnento contro Hans Kung, in corso da
più di tre anni. Secondo i sinodi citati, « non c’è luogo a procedere » da
parte delle autorità vaticane nei confronti di Kùng. Quest’ultimo, incoraggiato dal pronunciamento di organismi eminenti del cattolicesimo svizzero, si è appellato aH’episcopato tedesro, chiedendogli di associarsi all’iniziativa svizzera. Se questo avverrà, diventa sempre meno probabile che il
noto teologo cattolico svizzero, docente di teologia dogmatica ed ecumenica
airUniversità statale di Tubinga (Germania), possa essere esonerato daH’insegnamento e perdere la cattedra.
Un’ipotesi del genere, peraltro, è ancora avanzata dal « Regno-attualità »
del 15 luglio scorso.
Come si ricorderà, il conflitto tra
Kùng e Roma trasse origine dalla pubblicazione del libro Infallibile? Una
domanda con cui il teologo di Tubinga
sottoponeva il dogma dell’infallibilità
papale a una critica rigorosa ed evangelicamente orientata. Convocato a
Roma per un « colloquio », Kùng si
dichiarò disposto ad andarvi solo a
certe condizioni, tali da assicurare un
« equo processo ». In particolare Kùng
chiedeva di conoscere prima di recarsi
a Roma gli atti di accusa nei suoi confronti, di potersi scegliere i difensori
e di poter ricorrere in appello. Fino ad
oggi queste condizioni non si sono verificate e fino a oggi Kùng ha rifiutato
di recarsi a Roma per quello che, a
suo avviso, sarebbe stato non già un
« colloquio » ma un « interrogatorio ».
Come si vede, al momento attuale il
oonflitto non verte sulle tesi di Kùng
suH’indissolubilità ma sui metodi e
sulle competenze della Congregazione
per la dottrina della fede, che il teologo di Tubinga, col suo atteggiamento,
sta mettendo in questione e forse m
crisi. La contestazione dell’ex-Sant’UffiZ'io è anch’essa importante e c’è da
augurarsi che Kùng riesca nel suo intento. Ma ancora più importante è e
resta la domanda con cui Kùng mette
in questione e forse in crisi il dogma
delTinfallibilità pontificia che, come
ognuno sa, è una grossa pietra d’inciampo nel cammino verso l’unità cristiana ed è a nostro avviso privo di
avvenire ecumenico perché destituito
di fondamento evangelico.
5
W
.23 agosto 1974 — N. 33
CRONACA DELLE VALLI
pag.
autonomia,
non separatismo
Da qualche tempo il Corriere della
Sera si interessa alle minoranze etniche. Non stupisce quindi che, interrogando il pastore SonelU, il giornalista
Fabrizio De Santis chieda : « Come
mai i ventimila valdesi che vivono in
queste tre vallate sopra Pinerolo... non
pensano a costituirsi in regione autonoma? ».
Il pastore di Torre Pellice avrebbe
risposto — se il quotidiano milanese
riporta correttamente nel suo articolo
« L’impegno delle minoranze religiose » — del 18 agosto — ; « Sarebbe
follia. Le valli sono un polmone asfittico ; ricevono ossigeno dall’economia
della pianura. Non è quello di separarci il nostro problema. Dovremmo rinchiuderci in un ghetto dal quale, si può
dire, siamo appena usciti dopo secoli
di persecuzioni e di roghi? Noi vogliamo inserirci in maniera sempre pili
stimolante nella vita italiana. È lo stesso credo religioso che professiamo a
imporcelo. La nostra chiesa può rimanere viva e vitale nella misura in cui introduce il lievito della testimonianza
evangelica nel tessuto della società ».
Sono parole molto chiare,e che riflettono il pensiero anche di altri.
Quindi chiedono una risposta altrettanto chiara, e speriamo non folle, che
cerchiamo di dare adesso sinteticamente. In questa uscita del « più noto e autorevole fra i pastori delle valli valdesi », come lo definisce il giornale, non
si tiene conto di due cose.
Primo. L’autonomia, sia essa regionale — come quella che la Tavola Valdese ha ostacolato trent’anni fa per
le nostre Valli — o sia quella molto
parziale delle Comunità Montane, non
deve portare al ghetto, ma al contrario
a una partecipazione più cosciente,
proprio perché autonoma, perché aiuta
gli oggetti a diventar soggetti. Autonomia non è separatismo. Proprio il
richiamo alla pianura mostra una
mancata conoscenza dell’argomento.
Casomai sposta il problema ; se si debba cercare un’autonomia delle Valli o
un’autonomia di un Pinerolese la cui
definizione pone già degli interrogativi.
Non solo con la pianura vicina abbiamo rapporti e legami, ma anche con
una grande città, Torino, e con altre
montagne e città e luoghi vicini e lontani.
Secondo. Le Valli Valdesi, anche se
debbono moltissimo alla storia valdese
e dal fermento valdese traggono forse
il più della loro originalità, non esistono soltanto in funzione della Chiesa
Valdese, né viceversa. Con i loro molto più che ventimila abitanti debbono
porsi il problema civile,, oltre a quello
religioso. E se è vero che questo Paese
ha una faccia che guarda verso l’Italia,
come s’accorsero prima di Beckwith
già Calvino e prima ancora i barba, è
altresì vero che esso ha avuto e può
avere una funzione, modesta o no, di
mediazione internazionale civile e religiosa. La mediazione si fa avendo la
propria faccia, se no si cade in un
nazionalismo che emargina.
L’articolo del Corriere continua con
un’intervista dove Giovanni Ribet, a
Roma, direbbe riferendosi al referendum sul divorzio ; « a Bobbio Pellice,
dove i cattolici sono 25... si sono avuti
24 ”si” ». Qui non è chiaro per nulla.
Chi può dire che i 24 sì, siano di cattolici, a cominciare dal prete, e non di
valdesi? E lo sforzo della Chiesa Valdese per quel referendum, come poi
per i referendum sui diritti civili, e in
particolare contro il concordato, è stato quello che avrebbe potuto o dovuto essere? Francamente ci pare di no.
Anche ia Chiesa Valdese, anche le sue
sinistre, sono state felicemente sorprese della buona reazione della base.
Gustavo Malan
iiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Società di Studi Vaidesi
L’assemblea annuale della Società di
Studi Valdesi avrà iuogo domenica 25
agosto aile ore 21 neiia Sala Sinodale.
Il dott. Papinl, i proff. Maselli e
Giorgio Peyrot presenteranno le nuove storie valdesi di Gönnet, Molnar e
Armand Hugon; seguirà un dibattito
con gli autori e con ii pubbiico.
La parte riservata ai soci prevede
te relazioni moraie e finanziaria, la modifica di alcuni articoli del regolamento e 1 elezione del seggio.
I soci ed ii pubblico sono cordialmente invitati.
illlllllllllllllllllllllllllllllllll||||||||||||||||{||||||,|||„||||„|,||||,
Giornata Amici Collegio
La « Giornata degii Amici dei Collegio » avrà iuogo ii 1° settembre 1974
col seguente programma: ore 12.30
Pranzo presso il Ristorante deiia Seggiovia (L. 2.000 a persona, prenotarsi
tei. 91277: dott. E. Gardioi); ore 15.1.5
Seduta Sociale presso la Casa Valdese •
ore 16.30 Buffet nel giardino deiia Casa Valdese.
Quest’anno sarà festeggiata ia ciasse che nel 1924 formava la IV Ginnasio il cosidetto « Serraglio ! » 50 anni
fa!!!
XV Agosto 1974: commento biblico del prof. Corsani sul teston i»dimenticando
le cose che stanno indietro e protendendomi verso quelle che stanno dinanzi,
proseguo il corso verso la meta per ottenere il premio della superna vocazione
di Dio in Cristo Gesù » (Fil. 3; 13-14)
Non contemplare il passato
il Signore è davanti a noi
Filippesi 3: 13 è il solo passo delle
lettere di Paolo in cui l’apostolo dichiara di dimenticare il passato. È un’affermazione assolutamente eccezionale
per lui. Nelle sue lettere, Paolo ci appare molto di più come un uomo che
ricorda, non come un uomo che dimentica. Nella P Corinzi cap. 15 ricorda con precisione le apparizioni di Gesù risorto e ne fa l’elenco. Nella lettera ai Calati ricorda l’apparizione del
Signore sulla via di Damasco, il lungo
periodo di riflessione solitaria su quell’avvenimento, i suoi incontri con Pietro, Giacomo e Giovanni; in questa
stessa lettera ai Filippesi ricorda il suo
passato di zelante fautore della Legge
ebraica; infine, in molte lettere ricorda
il ministero di predicazione svolto precedentemente nelle comunità a cui
scrive.
Guardare avanti
Da che cosa è motivato lo sforzo di
cui Paolo parla in Fil. 3: 13 per dimenticare le cose che stanno indietro?
A questa domanda si possono trovare nel testo biblico due risposte. La
prima è la più semplice: Paolo attribuisce maggiore importanza alle cose
che stanno dinanzi, a quelle che devono ancora accadere. Ricordiamoci che
il linguaggio biblico è sempre molto
forte, scolpito a tutto rilievo, senza
sfumature. Per dire che Dio ha eletto
Giacobbe, che lo ha preferito a Esaù,
la Bibbia usa i verbi amare-odiare (Ho
amato Giacobbe, ho odiato Esaù, Mal.
1: 2-3; Rom. 9: 13). Così qui Paolo,
per dire che ciò che lo aspetta è più
importante del ricordo del passato,
parla di dimenticare le cose che stanno indietro e slanciarsi verso quelle
che stanno avanti.
Se questo è esatto, vuol dire che con
l’espressione « le cose che stanno indietro » Paolo non allude ai fatti capitali della fede: la venuta, la morte e
la Risurrezione di Gesù. Nessun fatto
del futuro è più importante di quelli,
e mai Paolo cercherebbe di dimenticarli! Ciò che egli dimentica, del passato, sono piuttosto le sue esperienze
personali, le cose di cui, come vedremo più avanti, egli potrebbe gloriarsi.
Come ha detto Calvino, « il passato
non è lì per contemplarlo continua
mente, ma per aiutarci ad arrivare al
traguardo » (cit. da A. Péry).
Per sottolineare l’importanza preponderante del « traguardo », Paolo impiega, nel nostro passo, l'immagine della
corsa, anzi di un tipo particolare di
corsa: quella del corridore nello stadio.
Che cosa caratterizza la corsa di un
atleta? Al momento della gara, direi,
quattro cose: la partenza, l’impegno,
il tentativo di superare gli avversari, e
infine il traguardo, che può anche essere la vittoria. Quando Paolo qui adopera l’immagine della corsa ci sono
tre di questi elementi. Manca soltanto
l’ansia di superare gli avversari, per la
semplice ragione che nella corsa che
egli corre non ci sono avversari da superare. Nella corsa della fede, più so
no quelli che arrivano al traguardo
tanto maggiore è la gioia dell’apostolo. La sua ambizione è che i credenti
di Filippi proseguano anche loro la
corsa verso il traguardo camminando
per la stessa via (v. 16) senza lasciarsi
sedurre da vie traverse o da presunte
scorciatoie. Ma gli altri elementi ci sono tutti: c’è il punto di partenza, l’incontro con Cristo sulla via di Damasco (v. 12, « proseguo il corso... poiché
anch’io sono stato afferrato da Cristo
Gesù »); l’impegno: Paolo mette tutto
se stesso nella sua « corsa », al punto
che dimentica tutto quello che è indietro (non è forse vero che se un corridore, durante la gara, si mette a pensare a cose passate, anche solo al momento dello scatto di partenza, per
compiacersi o rammaricarsi di come
sono andate, si distrae e perde attimi
preziosi? Pensare ad altro significa perdere la concentrazione e rallentare il
ritmo). Paolo invece sì protende verso
« le cose che stanno dinanzi », come per
afferrarle con il pensiero e addirittura
con le mani per imprimere uno slancio maggiore al suo sforzo. Infine, il
traguardo: raggiungerlo vuol dire ottenere « il premio della superna vocazione di Dio in Cristo Gesù.
Fede, non vanto
Ma c’è una seconda ragione per cui
Paolo parla di dimenticare le cose che
stanno indietro. Per scoprirla dobbiamo risalire all’inizio del capitolo: Pao
INTERVENTÓ DI EMILIO NITTI, DI NAPOLI
Trasformare la società
Nella storia dei Valdesi mi ha sempre colpito la grande fermezza e la
concretezza con cui essi rendevano la
loro testimonianza, perché sentivano
l’esigenza che il rinnovamento spirituale che li coinvolgeva fosse visibile nel
contesto della società del loro tempo.
Oggi la società è In lotta e si stanno
compiendo grandi trasformazioni ed i
versetti che abbiamo letto (« ...dimenticando te cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno
dinanzi...» Filip. 3: 13) sembrano molto adatti ad illuminare la necessità da
parte dei credenti di lasciare dietro
alle spalle certi modelli superati e inaccettabili di vivere civile: innanzitutto
il mito di una società e di una civiltà
« cristiane », perché è noto come certi
fondamentali principi cristiani nella
storia siano stati sfruttati per mascherare privilegi e interessi delle classi
dominanti. Nel nome di quegli stessi
principi, liberati tuttavia dalla strumentalizzazione che se n’è fatta, c’è
oggi la possibilità di impegnarsi in
quanto credenti nelle trasformazioni
della società. Se la Sacra Scrittura ci
parla di uguaglianza e di pace che
si compie con la giustizia, è compito
anche dei credenti dimenticare, cancellare una società che divide gli uomini
e ne sfrutta alcuni a vantaggio di altri
e che vorrebbe la pace solo come garanzia per la conservazione di privilegi acquisiti. Per questo molti cristiani
oggi militano nella lotta politica e sindacale nelle organizzazioni storiche
della classe operaia, ed è facile per me,
che aderisco alla CGIL-Scuola, intendere l’invito di Paolo a dimenticare come un impegno a realizzare un nuovo
tipo di scuola, misurata sulle necessità culturali popolari, momento particolare di una più vasta azione di riforma della società, che deve organizzarsi secondo un nuovo modello di sviluppo.
Credo d’altra parte che sia necessario intendere la nuova nascita che ci
è donata in Gesù Cristo non soltanto
come un privilegio individuale, ma come un impegno per realizzare una nuova società. E mi sorprendo quando capita talvolta di constatare che dei imtelli si dimostrano indifferenti e diffl
denti rispetto al « nuovo » che si sta
preparando attorno a noi e rimpiangono i miti del passato e non si impegna
no in una concreta testimonianza.
Quanto poi al « guardare innanzi »
l’apostolo è molto preciso e la sua parola è un richiamo per tutti, anche per
noi che siamo fautori del « nuovo »
nella nostra società. Se pure siamo
chiamati a « guardare innanzi », protesi alle conquiste della storia, la prospettiva ultima è il regno di Dio. Bisogna che noi conserviamo il senso del
limite delle nostre realizzazioni umane e non le confondiamo con il regno
di Dio.
Emilio Nitti
10 infatti arriva a parlare di questo dimenticare le cose di prima dopo aver
polemizzato acerbamente nella prima
metà del capitolo. « I veri circoncisi »,
cioè il vero popolo di Dio, «siamo noi»,
noi « che offriamo il nostro culto per
mezzo dello Spirito di Dio » e « non ci
confidiamo nella carne » (v. 3). Ecco
una distinzione molto importante. Paolo polemizza contro i fautori della circoncisione, che per lui è un simbolo
del tentativo di assicurarsi la salvezza
mediante opere legali o rituali.
Quando lo spirito commerciale si inserisce nella vita religiosa c’è un barometro molto esatto che lo segnala:
11 barometro del vanto. Chi si vanta
della sua religione, delle sue opere, dei
suoi riti, della sua appartenenza a un
popolo eletto e così via è sulla strada
del commercio con Dio, delle pretese,
delle rivendicazioni, dei meriti. Bultmann ha detto che la fede è il contrario del vanto, cioè la fede è dipendere
totalmente da Dio e dalla sua grazia, e
non credere di avere meriti da esibire
a Dio per pretendere qualcosa da Lui.
Rovesciando la frase, potremmo dire
che il vanto è il contrario della fede.
Non siamo « arrivati »
Allora, dice Paolo, il vero popolo di
Dio (i veri circoncisi) siamo noi che
non abbiamo né riti né opere né giustizia che viene dalla « carne » (cioè da
noi stessi), ma dipendiamo unicamente
e totalmente da Dio per la nostra salvezza; che non possediamo nulla di cui
vantarci o gloriarci, ma ci gloriamo
unicamente di Gesù Cristo e della sua
opera redentrice. Paolo come ebreo
aveva molte cose di cui avrebbe potuto gloriarsi: di appartenere al popolo
eletto, di aver sempre osservato la legge di Mosè con il rigore dei Farisei,
persino di aver perseguitato i discepoli
di Gesù. Ma davanti a Dio questi non
sono meriti, anzi proprio quando si
cerca di farli valere come meriti davanti a Dio diventano peccato: Dio non
dichiara giusti quelli che hanno una
pretesa giustizia propria, ma quelli che
hanno « la giustizia che viene da Dio »,
fondata sulla fede e ottenuta mediante la fede (v. 9). Quando Paolo ha capito questo, ha considerato i meriti
che fanno parte della « carne » come
tanta spazzatura da buttar via (v. 9)
perché costituiva solamente un ostacolo a ricevere la giustizia donata da
Dio all’uomo peccatore: solo l’assenza
di ogni vanto può lasciare via libera
all’azione di Dio e all’opera della sua
grazia per noi e in noi.
Ecco la seconda ragione per dimenticare le cose che stanno indietro e tendere verso quelle che stanno dinanzi:
dare un esempio (v. 17) a tutti coloro
che si gloriavano del loro passato, che
grazie al loro passato si consideravano
credenti « arrivati ». Contro questo ti
po di spiritualità Paolo ha dovuto combattere sia a Corinto che in Galazia
che ora a Filippi. Solo dimenticando
il proprio passato, le proprie glorie spirituali ci può essere luogo per una vera conoscenza di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione (w. 10-11).
1) II verbo ’’dimenticare” usato da
Paolo va inteso per i Valdesi di oggi
nel senso che essi non devono farsi un
mito della loro storia, attribuirle un
valore eccessivo che impedisca di vedere chiaramente le responsabilità del
presente e del futuro; non devono considerarla come un capitale di buone
opere che giustifichi l’immobilismo o
rallenti il loro impegno, né ricercare
in essa un alibi alla indifferenza o trarne motivo di immeritato vanto e di
sterile esaltazione.
In questo senso il ricordo del passato sarebbe vano e dannoso e l’esortazione di Paolo va quindi accolta con
umiltà e senza riserve. Non mi sembra invece giustificato l’invito a dimenticare, se diamo a questo verbo il
suo significato letterale, di cancellare
dal ricordo, di far cadere nell’oblio, di
annullare, di respingere.
Ritengo che il nostro passato, la
nostra storia, se rettamente intesi e
valutati, costituiscono un patrimonio
di valore inestimabile che non solo
non va dimenticato, ma va studiato e
riscoperto e meditato con umiltà e riconoscenza.
« La cose che stanno indietro » possono essere un aiuto prezioso, un punto di riferimento e di identificazione,
un messaggio di fedeltà e di libertà
che viene indirizzato non soltanto alla
nostra generazione e non soltanto ai
Valdesi — come le attuali manifesta
15 agosto
un pubblico
numeroso
e interessato
Come era nelle previsioni, anche atmosferiche, lincontro popolare del XV
agosto ha visto quest’anno una delle
più alte partecipazioni di pubblico che
vi siano mai state. La coincidenza con
l’anno delle celebrazioni delWIII Centenario del movimento valdese ha dato all’incontro una sua fisionomia particolare; non solo per la presenza, massiccia di molti amici e fratelli esteri,
ma altresì ^r lo svolgimento ed il
taglio che gli organizzatori hanno dato
alla giornu-a.
Come già lo scorso anno la comunità
di S. Giovanni ha offerto un’accoglienza ed un’organizzazione perfetta, battendo sicuramente ogni record: e non
solo per le 800 porzioni di polenta che
ha distribuito ai fortunati senza picnic! Un fraterno ringraziamento vada
in modo particolare ai fratelli che .si
.^ono addos Iti il non lieve lavoro.
Dopo una chiara esposizione esegetica del prof. Bruno Corsani che i lettori possono leggere qui accanto su un
brano della lettera di Paolo ai Filippesi, alcuni fratelli, laici e pastori (Carla Longo, Gustavo Ribet, Emilio Nitti,
Giorgio Bouchard) hanno cercato di
attualizzare questo testo rispondendo
ad alcune domande riassunte da Giorgio Tourn (a fianco si possono leggere
due di questi interventi).
Dopo numerosi messaggi di fratelli
esteri (Svizzera, Francia, Germania occidentale e orientale, Austria, Irlanda,
Dammare}, zangola. Sud America, ecc.)
— messfff-i^éhe sono proseguiti anche
nel ponf ^^¡io — il pranzo ha disperso l’asst . l'iea per poi vederla riunita
con nuove forze alle 15 del pomeriggio e per ascoltare, attenta, l’intervento del prof. Amedeo Molnar (Praga)
.sul significato dell'intemazionaie valdese-hussita medievale. I lettori potranno leggere sul prossimo numero questo
bell’intervento di Molndr.
Una vivace intervista fatta ai due
Moderatori delle due Tavole Valdesi,
italiana e sudamericana, sull’attualità
dei temi della protesta valdese medievale ha praticamente concluso l’intensa giornata.
Bruno Corsami
llllllllllllllllllllllilllllllllll
INTERVENTO DI GUSTAVO RIBET, DI SAN GERMANO
Operare scelte nuove
zioni del Centenario stanno dimostrando — e da cui possiamo trarre conforto e ispirazione nella testimonianza
che singoli e Comunità siamo ancor
oggi chiamati a dare.
2) È stato posto l’accento sulla necessità per la nostra Chiesa di saper
operare scelte nuove, di saper affrontare svolte radicali nel suo orientamento.
Concordo su questo, sul fatto che la
Chiesa deve essere aperta alle nuove
esigenze che situazioni diverse vanno
determinando, che essa deve avere coraggio e fantasia. Del resto, della capacità di operare scelte diffcili e di vasta portata, la Chiesa ha dato numerosi esempi in passato Mi pare essenziale però che la Chiesa conservi una
linea di fondo, una direttrice di marcia chiara e definita che, pur nelle
mutevoli situazioni della storia, sia
basata essenzialmente sulla testimonianza di Cristo e sulle Scritture.
Anche Paolo ricorda al versetto 16
del brano in esame: « Soltanto, dal
punto in cui siamo arrivati, continuiamo a camminare per la stessa via »; la
via della fedeltà al Signore, della testimonianza basata sulla Bibbia, dell’impegno cristiano, della fede.
Anche per noi e per la Chiesa oggi,
è valido e attuale il monito di Janavel:
« Valdesi, nulla sia più forte della vostra fede ».
Gustavo Ribet
San Secondo
L’annuale Bazar di beneficenza avrà
luogo domenica 1” settembre alle ore
15.30, nella Sala.
La comunità e gli amici sono cordialmente invitati.
In quella stessa domenica, il culto sarà
presieduto dal pastore Alfredo Janavel. di
New York.
— La Chiesa esprime la sua sincera simpatia a Renato Grassi, che ha avuto il dolore
di perdere la mamma deceduta subitamente
all’Ospedale di Pinerolo.
1 suoi funerali si sono svolti, nel nostro
tempio, il 19 luglio.
— Ringraziamo i pastori Emilio Ganz,
Roberto Jahier ed U prof. Emanuele Tron
per aver sostituito il pastore, al culto domenicale.
« Non giudicate acciocché non
siate giudicati ».
(Matteo 7:1).
Nel triste momento della dipartenza
del loro caro marito e padre
Oreste Maurino
(Corriere)
la moglie e i figli e familiari tutti, commossi e riconoscqnti per la grande dimostrazione di stima e affetto tributata al loro caro sentitamente ringraziano tutti coloro che con fiori, scritti, parole di conforto hanno preso parte al
loro dolore.
Un grazie particolare al Sig. Pastore
Rostagno, a Mons. Richiardone, al
Geom. Rostan Gino.
Perosa Argentina, 9 agosto 1974.
« Il suo sole tramonta mentre è
giorno ancora ».
(Geremia 15: 9).
I familiari tutti del compianto
Valdo Coucourde
profondamente commossi e riconoscenti per la simpatia dimostrata nella triste circostanza, nell’impossibilità di
farlo singolarmente, ringraziano tutti
coloro che con parole di conforto ed
opere di bene hanno partecipato al
loro dolore. Ringraziano pure il Prof.
Gay, i Dottori, la Direttrice, le infermiere e il personale tutto dell’Ospedale Valdese di Pomaretto.
Un grazie particolare alla Signora
Micol Denis per l’assistenza prestata
al loro caro e ai Pastori Rostagno e
Genre per le parole di conforto recate
durante la sua lunga degenza.
Perosa Argentina, 7 agosto 1974.
6
pag. 6
I NOSTRI GIORNI
N. 33 — 23 agosto 1974
VITA ITALIANA a cura di Emilio Nitti
Bombe, tasse e carovita
La strategia della tensione - Il contributo delle forze
popolari per la modifica dei decreti anticongiunturali
...« Siamo in grado di mettere bombe
dove vogliamo, in qualsiasi ora, in
qualsiasi luogo, dove e quando ci pare ». Con questa frase Ordine nero
(rorganizzazione neo-fascista nata dopo lo scioglimento di Ordine nuovo) si
è assunta la responsabilità della strage
sul treno Roma-Brennero, che ha prodotto 12 morti e più di 40 feriti. È vero
che successivi messaggi della stessa
organizzazione hanno poi smentito
questa « paternità », ma è sicuro che
anche questo alternarsi di notizie contraddittorie s'inquadra nel rilancio della stategia della tensione. Come è noto la strategia della tensione tende a
determinare uno stato d’animo di agitazione e di insicurezza che dovrebbe
portare prima o poi alla sfiducia nelle
capacità del sistema democratico di
tutelare rincolumltà fisica di ciascun
cittadino ed è stata più volte tentata
almeno dal 1969 in poi. Strumento ne
sono i gruppi eversivi della destra
extraparlamentare, variamente ma saldamente collegati con il MSI-DN, ma
ben più lontana è la provenienza dei
mandanti e ben più ampia la rete degli interessi che questa strategia tende a tutelate. Alcuni giornali (per
esempio Panorama) parlano di un vasto piano in cui sarebbero responsabili
o comunque implicati il nostro servizio segreto della Difesa (SID) e perfino
la CIA... Sarebbe in atto una manovra
analoga a quella che esattamente un
anno fa portò alla fine della democrazia in Cile. Ci troveremiii^ ciòè di fronte ad un piano limgiiri”7^Bte della
grande piovra del capitali?,'^ internazionale, piuttosto che ad un sussulto
mortale di un sistema che è prossimo
ormai alla fine. Ed è stata da più partii
tirata in ballo la stessa DC sia per responsabilità dirette, sia indirettamente, quale partito principale di governo,
per non essere capace di difendere
l'ordine democratico né di garantire la
perfetta legalità dei dipendenti delle
FF.AA. e delle forze di polizia. Ma la
DC stessa stà attraversando un grave
momento di crisi che si trascina penosamente daH’indomani del referendum
del 12 maggio, e non si sa se in essa
prevarranno le correnti più progressiste, o quelle conservatrici. La stessa ricucitura del 5“ gabinetto Rumor è avvenuta airinsegna della provvisorietà
e della mancanza di chiarezza.
Ma i motivi principali della ripresa
della strategia della tensione, che è
continuata in maniera meno sanguinosa ma non meno pericolosa, con
messaggi minacciosi, falsi allarmi,
false piste, attentati fortunosamente
sventati ecc., vanno ricercati nel tentativo di arginare una certa sia pur faticosa avanzata delle forze popolari. I
sindacati ai primi di luglio hanno avuto un momento molto difficile, perché
all’annunzio dell'emanazione dei decreti anticongiunturali si è diffusa nel
mondo operaio una rabbia che ha avuto talvolta anche espressioni qualunquistiche di rifiuto della lotta e dell’organizzazione. Ma con la buona riuscita
dello sciopera generale del 24, la forza
dei sindacati si è rinsaldata ed il fronte dei lavoratori ha confermato la sua
volontà di lotta. La difficoltà attuale è
pur sempre quella di far prendere
forma concreta alle proposte del movimento sindacale. Negli incontri avuti
con la Federazione CGIL-CISL-UIL tutti i partiti, dalla DC al PCI, hanno
trovato vari punti di convergenza con
le linee dei sindacati; la cosa può non
meravigliare chi ricorda come in una
precedente nota su queste colonne avevamo spiegato la posizione seria dei
sindacati, che di fronte alle gravità del
momento economico, non rifiutano i
sacrifici, ma l’inquadrano in una trattativa globale che dia l’avvio alle riforme. Questo non significa che il
nuovo modello di sviluppo abbia possibilità di decollare in breve tempo,
perché i partiti di governo, in sede
parlamentare, proseguono la politica
dei due tempi: rilancio deH’economia
prima, riforme poi. Ma è pur vero che
proprio in sede parlamentare, anche
ad opera della costruttiva e puntuale
opposizione comunista, i decreti governativi sono stati modificati in modo sostanziale, anche se non del tutto
soddisfacente. Questo fatto ha segnato
comunque dei punti a favore sia dei
sindacati, sia del PCI, perché ha confermato la necessità della loro presenza e della loro consultazione in qualsiasi problema vitale che il governo
voglia affrontare. Proprio questo preoccupa le multiformi forze della reazione che oggi hanno rimesso in moto il
meccanismo della paura del caos e domani si presenteranno come restauratori deH’ordine...
Intanto il costo della vita aumenta
di giorno in giorno e si impone la difesa dei salari; l’impegno dei sindacati è di lanciare in autunno la lotta
per la rivalutazione e l’unificazione dell’indennità di contingenza. Ma non va
taciuta la linea ben più intransigente
della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) che va acquistando
sempre più credito; non siamo disposti a far nessun sacrificio, il sacrificio gli operai lo fanno entrando in
fabbrica ogni giorno; se c’è bisogno di
soldi, li si prendano a chi ce li ha e
magari li esporta clandestinamente.
E poiché il problema economico è
strettamente collegato con quello politico, in maniera altrettanto intransigente si sono pronunziati molti consigli e assemblee di fabbrica a proposito del neo-fascismo: non servono
commemorazioni, né interrogazioni
parlamentari, né manifestazioni unitarie, ma occorre semplicemente che
venga messo fuori legge il MSI. Se volete davvero arrestare i fascisti, prendeteli innanzitutto dove si sa che ci
sono!
È certamente una posizione estremistica, le cui conseguenze dovrebbero
essere valutate ben più profondamente, ma non si può negare che segua una
sua logica ed abbia una sua rude coerenza.
Favorite le suore
nei concorsi
Privilegi e clientelisino
al S. Luigi (Orbassano)
Un volantino ciclostilato redatto e
diffuso il 7 agosto scorso dalla cellula
*i®l'l’Ospedale pneumologico
« S. Luigi » di Qrbassano denuncia un
grave fatto che sarebbe accaduto recentemente; l’Amministrazione — si
legge nel volantino — « interpretando
volutamente a proprio uso e consumo
lari. 128 della legge 130 (leggi delegate) e in netto contrasto con Vari. 3
della Costituzione Italiana che pone
tutti i cittadini indipendentemente
dalle proprie condizioni sociali, o di
credo religioso, o di opinioni, ecc., su
uno stesso piano, ha bandito dei concorsi, uno per un posto di infermiera
professionale e l’altro per 7 posti di
Capo sala, esclusivamente per il personale religioso ».
Il volantino, dopo aver osservato
che i medici, in questa vicenda preferiscono non prendere posizione per
non compromettersi, così conclude:
« Questo nuovo regalo che si vuole
elargire alle suore conferma una linea
di favoritismo che VAmministrazione
del « S. Luigi » continua a portare
avanti per evidenti finì di potere, con
grave disprezzo per l’assistenza pubblica... ».
Echi della settimana
LA RESA DEI COLONNELLI
ir A seguito della crisi di Cipro,
quest’avvenimento, che ha sorpreso il
mondo intero, è certo destinato ad avere grande importanza nella storia
avvenire della Grecia. Lo scrittore greco Vassilis VassUikos, autore del celebre libro « Z, orgia del potere » che
« narra in chiave solo leggermente romanzata l’assassinio del deputato di sinistra Gregorio Lambrakis avvenuto il
23.5.1963 a Salonicco » è stato giorni
fa intervistato dal settimanale « Panorama » (v. n. 432 del 1.8.’74). Riportiamo le principali domande rivoltegli, colle relative risposte.
« D. Perché i colonnelli si sono lanciati a capofitto in un'avventura catastrofica come quella di Cipro?
R. Quando si parla della Grecia, bisogna aver bene in mente chi sono i
suoi protettori, cioè gli USA. Anche se
l’arcivescovo Makarios e il defunto presidente cileno Salvador Allende sono
due persone completamente diverse,
avevano una cosa in comune: la popolarità in patria (...) A Cipro gli americani hanno voluto giocare la carta cilena. Hanno fallito solo perché non sono riusciti a uccidere Makarios, come
invece è avvenuto con Allende.
D. Ma perché tutto questo?
R. Perché gli americani volevano un
asse diretto Tel Avìv-Nicosia-Atene che
rafforzasse le loro posizioni nel Mediterraneo orientale. Ma non hanno capito la realtà della regione. Poi, quando le cose .sono andate male, ecco rispuntare il prestigioso Henry Kissinger che dal suo cilindro tira fuori Karamanlis, come in Portogallo ha tirato
fuori il generale Antonio de Spinola.
D. E il ruolo dei colonnelli greci?
R. Sono stati al gioco americano.
D. E ora?
R. Ora vogliamo il ripristino del parlamento ad Atene. Se ci fosse stato un
parlamento operante, l’errore di Cipro
non sarebbe successo.
D. Cosa pensa di Karamanlis?
R. E un uomo di destra, ma, per es
a cura di Tullio Viola
ser stato otto anni consecutivi al governo, ha stabilito un record in Grecia.
E un politico di successo che, per la
maggior parte dei miei compatrioti,
rappresenta una garanzia di stabilità e
quindi di ritorno a una relativa prosperità economica. Insamma^ Karamanlis
è meglio della mafia che imperava prima ad Atene.
primo ministro,
particolarmente
D. Ma quando era
Karamanlis è stato
duro con le sinistre..
R. Come marxista, non giudico le
persone per quello che sono state, ma
per quello che possono diventare. Undici anni di esilio pesano e anche Karamanlis sarà costretto a cambiare. Non
credo sia più disposto a riprendere la
crociata anticomunista.
D. Ma Karamanlis era primo ministro quando fu ucciso Lambrakis.
R. E vero, ma non era lui il mandante, anzi di quel delitto è stato anch’egli
una vittima. E stato infatti costretto
ad andarsene perché ha scoperto che
a comandare in Grecia non era lui.
D. Pensa che Karamanlis toglierà il
barido a comunisti e socialisti, come
Spinola in Portogallo?
R. Penso che vi sarà costretto, magari dagli stessi studenti in agitazione
da più mesi.
D. Cosa chiederebbe a Karamanlis?
R. Prima di tutto la liberazione dei
prigionieri politici, il rientro in patria
degli esuli e un processo per alto tradimento contro i responsabili dell’avventura cipriota. I turchi in genere sono più sbrigativi di noi: chi tradisce
viene impiccato. Ma in Grecia serve
anche la prigione.
D. Re Costantino ha qualche probabilità di tornare in Grecia?
R. In Grecia sì, sul trono non so.
Nato 40 anni fa a Kavala nel nord della
Greeia (...), autore di 46 libri, il Vassilikos
si trovava per caso all’estero il 21.4.’67, al
momento del colpo di Stato militare ad Atene. E all’estero egli è rimasto, alternandosi
fra Parigi e Roma ».
Consultazione ecumenica promossa da luterani e cattolici
" Fede cristiana ed esperienza cinese
II
Un giovane che è stato sotto le armi racconta
ESPERIENZE
DI VITA MILITARE
CI
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
______________N. 175 ■ 8/7/1960_______________
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)
Il Dipartimento Studi della Federazione Luterana mondiale e il centro
cattolico di informazione e ricerca
« Pro Mundi Vita » hanno indetto e organizzato una conferenza internazionale sul tema « Fede cristiana ed esperienza cinese », che avrà luogo a Lovanio, in Belgio, dal 9 al 14 settembre
prossimi. Un incontro preparatorio ebbe luogo in gennaio a Bastad (Svezia)
e vi presero parte 22 persone provenienti dall’Asia, dall’Europa e dall’America del Nord, che presentarono undici relazioni destinate a costituire il materiale preparatorio alla prossima consultazione di Lovanio.
Il tema generale sia dell’incontro di
Bastad sia di quello di Lovanio è il se
giiente: « Implicazioni teologiche della
nuova Cina ». Nell’introduzione al volume preparatorio si osserva tra l’altro;
« Secondo i promotori, il tema avrebbe
potuto essere accompagnato da un
punto interrogativo. I problemi che esso solleva .sono problemi aperti. E possibile parlare di implicazioni teologiche della nuova Cina? In caso affermativo, quali sono? Più in generale, che
differenza fa per il mondo cristiano
che per un quarto di secolo circa un
quinto dell’umanità ha intrapreso il
tentativo più ambizioso che mai sia stato fatto di creare, con mezzi soltanto
umani, una nuova umanità e una nuova società? ».
A Lovanio i partecipanti (se ne prevedono un centinaio) tratteranno in vari gruppi di studio una serie di sottotemi nei quali si articola il tema generale. Eccoli: « La Cina dopo la rivolii'zione culturale », « L’uomo nuovo in
Cina e nel cristianesimo », « Fede e
ideologia nel contesto della nuova Cina », « Antagonismo rivoluzionario e
amore cristiano », « La nuova Cina e
la storia della salvezza », « Le implicazioni della nuova Cina e la comprensione che la chiesa ha di se stessa ».
A Bastad, nell’incontro preparatorio,
il dibattito mise in evidenza sia il carattere controverso e complicato di
ogni analisi cristiana della Cina sia la
esistenza di una notevole diversità di
opinione suH’argomento. A Lovanio,
l’obiettivo che ci si propone non è tanto di cercare un consenso sulle questioni sollevate dal tema quanto di offrire
un quadro per la discussione. Sono
previste due conferenze-stampa, una
all’inizio e l’altra al termine dei lavori.
Giorno dopo giorno i quotidiani
invitano a prendere conoscenza dei
nuovi problemi politici economici soci3ii che si presentano. Ma mentre i
nuovi incalzano, quelli vecchi difficilmente vengono risolti in modo soddisfacente. Uno di questi problemi è il
servizio militare di cui ultimamente si
parla con maggiore insistenza, sia in
riferimento al nuovo progetto di legge, sia per le manifestazioni assai vivaci di repressione che si sono verificate in alcune caserme.
Non è certo il caso ora di discutere
sul progetto di legge perché ancora
non Si sa se vuol essere un tentativo
di riforma dell’esercito o se si propone
solarnente di modificarne alcuni aspetné di scandalizzarci ancora su episodi simili a quello del verso della
zanzara.
Ci sembra assai più utile invece
ascoltare la testimonianza di un giovane che ha fatto la sua esperienza mihtare. Questa testimonianza apparsa
su un numero della rivista « Dimensioni » dello scorso anno è particolarmente significativa per i giovani che devono ancora fare il servizio militare ed
invita loro a non considerare
esperienza come il
questa
momento della propria emancipazione dalla famiglia, l’essere diventati ormai uomini maturi e
coscienti perché è adesso che la loro
volontà ancora debole è piegata; ed è
altresì significativa per coloro che hanno già fatto il servizio militare, affinché non pensino solo ai momenti belli, o ritenuti tali, ma si rendano conto
della realtà scioccante che hanno vissuto.
Una testimonianza
Si legge: « ...Nei primi giorni ho subito le operazioni fondamentali che
mi hanno trasformato esternamente in
soldato: il taglio dei capelli e la vestizione della divisa... La divisa ha costituito un vero diaframma tra me e il
mondo civile. In caserma ero un soldato anonimo. Tutti mi hanno consigliato di rimanere tale per evitare seccature. Fuori caserma ero “un militare . Questa etichetta mi ha trasformato in un ragazzo dalle caratteristiche
ben determinate. In ogni caso un ragazzo da trattare con diffidenza, se
non da evitare. Soprattutto dalle ragazze... Il periodo della vestizione dura circa due-tre settimane durante le
quali non si può uscire dalla caserma:
si perdono completamente i contatti
più significativi con il mondo esterno;
si diventa svogliati e apatici. Quando
poi si esce, è difficile o quasi impossibile essere normali come sì era prima
di entrare in caserma: si sono sentiti
ormai troppi discorsi sul soldato che
deve essere il “cittadino modello”, di
esempio agli altri ecc. Come si fa essere se stessi in compiti che vengono
imposti con l'obbligo ancora di essere
di modello per gli altri? Figuriamoci
poi quando il militare è mandato dal
nord al sud o viceversa, oppure in
mezzo a gruppi etnici ben definiti tra
cui egli diventa un rappresentante della giustizia sociale! Inoltre, questo (il)
compito di soldato diventa ancor più
difficile dal momento che l’esercito va
assumendo il compito di ordine pubblico. Così accadde al corpo degli alpini che furono mandati alcuni anni
fa a Reggio Calabria a scemare la rivolta.
«...Ho svolto un compito che “la costituzione non esita a definire sacro"
(dai discorsi ufficiali). In realtà mi è
sembrato di essere diventato un cittadino di seconda categoria... ».
Questa è una sensazione che molti
provano per svariati motivi: se le letture si fermano ai giornalini e ai fotoromanzi, se il tempo è « consumato »
giocando a carte o costruendo aeroplani o simili cose, tutto va bene. La
discussione che tratta invece di problemi di attualità, di politica o della
vita di caserma è vietata. Se si voglion
fare queste cose, bisogna farle di nascosto; la vita diventa insostenibile,
ognuno si chiude nel proprio individualismo, sperando che il tempo passi più
in fretta possibile.
Il soldato,
cittadino di
2^ categoria
(Il volume preparatorio, contenente gli 11
studi presentati a Bastad in gennaio, può essere richiesto alla Federazione Luterana mondiale — Dipartimento Studi — route de Ferney 150 - 1211 Ginevra 20 - Svizzera $ 3,50).
Inoltre, la sensazione di diventare
un cittadino di seconda categoria proviene da altre cose: ad esempio dover
ubbidire al proprio superiore perché
« ubbidienza deve essere pronta rispettosa e as,soIuta » anche quando si tratta di andargli a prendere il giornale o
i! panino alio spaccio. Ma questo non
è solo un fatto avvilente: il terribile è
che ci si rende conto che si guarderà
sempre al proprio superiore con questo atteggiamento di subordinazione e
che questo atteggiamento rimarrà inculcato anche oltre la vita militare, in
poche parole che si perde la propria
autonomia di pensiero e di decisione
perché si diventa avvezzi ad es.sere comandati. Questa sensazione è terrificante ma intanto non si ha la forza di
porre un rimedio.
« ...L’addestramento cui sono stato
i°Jt°Posto al CAR comprendeva: ginnastica, addestramento formale e regolamenti. L’addestramento formale
leZTCl"T°- ^^P^ra\ fare
fZruL ® accontentare
locchto del superiore. Il regolamento
di disciplina, da come me lo hanno insegnato e una lunga lista di doveri cui
non corrisponde nessun mio diritto
ho imparato anche a
dare le bombe.
per
sparare, a lana uccidere il nemico ».
Nasce spontanea la domanda: chi è
Il nemico? in un’epoca in cui si parla
tanto di distensione tra le nazioni,
quando il concetto di patria va sfumando per lasciare il posto a quello
ui integrazione internazionale, di Europa unita. Oltre a questo, se si sta bene a guardare, le armi in dotazione
non permettono obiettivamente di sostenere uno scontro con eserciti armati con missili e bombe atomiche. Il nemico allora non può più essere individuato in una nazione nemica ma deve
essCTe piuttosto ricercato all’interno
della patria stessa; in queste condizioni nasce il sospetto che il nemico sia
un particolare gruppo di persone, quelle cioè che manifestano pubblicamente la mancanza di libertà, che denunciano l’aspetto puramente formale della democrazia, che condannano il
manere della repressione.
« ...Sian-io arrivati così alla grande
cerimonia del giuramento di fedeltà alla Patria. Il capitano e gli altri superiori non si sono minimamente preoccupati di prepararci a un atto co.9Ì
solenne che impegna la Coscienza di
ciascuno. Unica loro preoccupazione...
è stata quella d’insegnarci a reggere
l’arma sul presenttat’arm, il perfetto
allineamento e la sincronia dei movimenti. La cerimonia del giuramento è
stata così un capolavoro di vuota scenografia. Abbiamo assistito alla Messa,
l’espressione più alta della pace, con
il fucile in mano a baionetta innestata... ».
Per un animo semplice questa e tante altre simili esperienze che si subiscono durante il servizio militare trasforrnano notevolmente la personalità
di chi vi è capitato. I familiari che rivedono questo ragazzo dopo 18 mesi
gli dicono; « Ti ha fatto bene il servizio militare, sei diventato un uomo! ».
In realtà il militare sa che ha giurato
fedeltà, non perché fosse importante
giurare fedeltà, ma per essere oggetto
di una bella cerimonia in cui le autorità si sentono (finalmente!) importanti; sa che se era credente, di fronte a
questo obbrobrioso compromesso tra
stato e chiesa, ora desidera solamente
non avere più nulla a che fare con
essa.
Il servizio militare
non fa maturare
un ragazzo di 20 anni
Tante di queste esperienze si sommano, plasmano e trasformano l’uomo;
ina credo che sia falso dire che il servizio militare faccia maturare un ragazzo di 20 anni in un uomo cosciente, socialmente responsabile.
« ...L’esercito è una scuola di vita;
a questa scuola:
— ho imparato ad arrangiarmi e a
sopraffare gli altri;
— ho imparato a rubare all’amico
quello che mi era stato rubato;
— ho imparato ad evitare ogni tipo
di lavoro;
— ho imparato a perder tempo leggendo fotoromanzi, giornali pornografici o ricamando scialletti colorati;
— ho imparato a sciupare il cibo e a
giocare a calcio con i panini;
— ho imparato che avere cura della
roba di tutti è essere fesso;
— ho imparato ad ubbidire sempre
e a tutti senza discutere;
—' ho imparato a non pensare, questo è compito del superiore;
— ho imparato che l’amore è,una cosa ridicola;
— ho imparato che la donna è solo
uno strumento di piacere;
— ho imparato che la Patria non la
difendono degli uomini ma degli automi;
— ho imparato che la Patria esige
una rinuncia alla mia personalità.
E allora: sono stato un pessimo scolaro o la colpa è del maestro?... »
A. R.
AVVISI ECONOMICI
TORRE PELLICE, affitto sei mesi invernali,
appartamento ammobiliato, riscaldamento
centrale, soleggiato, grande Terrazzo, a
signora sola o coniugi. Referenze. Telefonare 90.343.
DIRIGENTE industriale italiano residente a
Francoforte con moglie e bimba treenne
cerca signorina italiana alla pari per settembre ’74-giugno ’75. Scrivere per informazioni a Firenze, via del Bobolino, 38 - signora Zilli.