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LA BUO^A i\«VELLA
GIORNALE RELIGIOSO
l»nE»y.O D’AWS0C1A»10XE
Torino, per un anno ... L. 0 »
» per sei mesi ... » 4 »
Per le provincie e l’eslcro franco sino
ai confini, un anno . . L. 7 20
per sei mesi , » 5 20
La direzione della BUONA NOVELLA è
in Torino, casa Bellora, via del Valentino, n" 12, piano S".
Le associazioni si ricevono da CAiaoTii
Bazzarini e Comp. Editori Librai in
Torino, via Nuova, casa Melano.
Gii ^ssocioft delle Provincie potranno provvedersi di un vaglia postale,
inviandolo franco alla dilla sopradelta.
Origini e dottrine della Chiesa Valdese [Articolo decimo). — Somiglianza «li due
Rituali, — Notizie religiose : America. —Patagonia. — Portogallo. — Cronachetta
politica ■—Annunzi.
OUIGIM E DOTTRINE DELLA CHIESA V ALDESE
Articolo decimo.
Liturgie. — Ordo Romanut.— Rito ambrosiano.
•>— Opposizion prolestaate deile Cbìeso d’Ilalia
per tutto ii secolo xi.— Il vescovo d’Asti. —
L’Arcivescovo di Milano —. Il vescovo d’Alba.
— Gregorio VII. ■— Sue mire ed esorbitanze.
— Le inmliture. — È scommunicato e scommunica. — Il Papa. — La contessa Matilde. —
Enrico IV. — Proteste dei vescovi d’Italia. —
Fuga c morte del Papa. — Lascia aU’Europa
eredità funesta di ^50 anni di guerra. — Rettiiìcazion d’un errore del Curiali di Roma. —
Vien meno il numero, e cresce il fervore dei
Protestanti d’Italia. — Si prepara l’ Epoca seconda e più gloriosa della Chiesa Valdese.
161. Argomento manifesto che le
Chiese dell’ antica diocesi d’Italia si
conservarono indipendenti per secoli
anche dopo l’ingrandimenlo de’papi
(avvenuto, come si fa palese da quanto
abbiam detto fin qui: 1“ per la protezione d’alcuni imperadori, come di
Graziano, di Valentiniano e di Foca;
2" per le invasioni de’ barbari e della
barbarie che traendo con sè l’ignoranza espose i popoli alle frodi e superstizioni e imposture de’monaci;
o° pel favor di Carlo Magno, che facendosi creare e incoronare imperadore dal papa, diè pretesto e principio
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in Europa a quel famoso dritto canonico, che fondatosi poi sulle massime
delle false decretali, ridusse ogni potere ecclesiastico e civile all’ arbitrio
del vescovo di Roma, o fu cagione di
rivoluzioni e di guerre sacerdotali di
lunga mano peggiori, e più ostinate
e crudeli delle politiche), l’abbiamo
dalle stesse liturgie. È cosa chiara
per l’istoria che ogni Chiesa anticamente aveva il suo rituale particolare
per la celebrazione del culto, non. già
fatto per alcuna deliberazione o decreto, ma introdotto a poco a poco
per uso, e secondo i tempi modificato.
Le piccole cliiese d’ordinario si accomodavano al rituale delle Meh'opolitane, o delle maggiori più vicine. Il
rito romano antico, che ancor ci resta
nel libro intitolato Onlo Romams ,
sappiamo che prima del mille era divenuto obbligatorio per tutti i vescovi dipendenti dalla giurisdizione
del papa; perchè nell’atto di ricevere
l'ordinazione da lui, dovevano gim-are
di seguire nel servizio divino i riti della
chiesa di Roma. Ora la chiesa di Milano, metropoli della diocesi d’Italia,
ove si comprendevano tutte le chiese
del Piemonte, non usò mai il rituale
di Roma, ma tenne la sua particolar
liturgia, che aiich’oggidì si chiama
Ambrosiana , benché posteriore di
molto ai tempi di S. Ambrogio.
162. Un contrasto di giiuñsdizione
ecclesiastica tra l'arcivescovo di Milano e il Papa, nel sedicesimo anno
del secolo xi, ci svela in modo da non
poterne dubitare, che le chiese d’Italia
non erano affatto soggette al vescovo
di Roma. L’imperadore Enrico II avea
fatto deporre il vescovo d’Asti da un
concilio di vescovi ligi a sè, ed avea
nominato alla sede fatta vacante Ulderico, fratello del marchese di Susa.
Arnulfo arcivescovo di Milano ricusò
di consecrare il nuovo eletto. L’imperadore si rivolse al Papa, che di
buon grado consenti di fare egli stesso,
come fece, la consacrazione di ^Jlderico. Arnulfo sdegnato contro questa
usurpazione de’ suoi diritti, adunò un
concilio , dove scomunicò l’intruso
Ulderico. Come però questi fidato
nella protezione imperiale e del fratello, erasi posto in possesso del vescovado d’Asti, l’arcivescovo di Milano, che secondo l’uso niente evangelico di quei barbari tempi, avea,
come gli altri vescovi tutti, il funesto
diritto di assoldar truppe e di fai-e la
guerra, andò con poderosa mano di
armati, accompagnato da’ suoi vassalli e vescovi suffraganei a mettere
assedio alla città d’Asti; costrinse in
pochi giorni il vescovo e suo fratello
il marchese ad arrendersi, spogliò il
primo delle divise episcopali, e obbligò il secondo a pagare una forte
contribuzione in contante. Noi con-
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danuundo il ricorso all’armi in quisUonl di chiesa, ne prendiam atto a
provare che la supremazia pretesa d]
Roma non era per anco riconosciuta
a Milano.
165. Circa vent’anni dopo l’arcivescovo di Milano, Aliberto {fondatore
dellii libertà Italiana in Lombardia),
fu scomunicato da quel mostro (cosi
lo chiama il cardinale Baronio) di papa
Benedetto IX, in pena di non parteggiare per r imperatore Corrado il Salico ; ma egli e i suoi diocesani non
si curarono punto di questi fulmini
lanciati dal Valicano, e ne risero nè
più nè meno di (jnel che farebbero ie
Chiese Protestanti oggidì (Vedi Bernardin. Corio).
164. Quando venne di Germania
papa Leone IX, volle in un concilio
da lui convocalo a Mantova, tentare
accordi coi vescovi delle chiese Italiane, che in tutla la cristianità d’Occidente si erano fino allora segnalatj
per aperta contraddizione agli ordinamenti emanati da Koma, e quasi
generalmente ricevuti con sommissione rfel resto d'Europa. Ma nel seno
stesso del concilio nacquero tali e sì
violenti baruffe tra i sostenitori delle
pretensioni papali da un lato, e i
vescovi d’Italia dall’altro, che si venne
alle mani, e a stento Leone IX si
salvò colla fuga (^WinEux. Vii, s. Leon,
pap. IX ap. Mabillon).
165. Nicolò II, nei 10o9 , iuvilando con dolci maniere il clero d’ 1talia a dar opera con lui alla estirpazione della simonìa (ossia vendita
dei posti di chiesa), potè mandare a
Milano in qualità di Legati apostolici
s. Pier Damiani ed Anseimo vescovo
di Lucca, i quali per discorsi persuasivi ottennero che i membri stessi del
clero s’incaricassero di mandare ad
esecuzione le leggi allora promulgale
da un sinodo Romano adunato sotto
la presidenza del papa. Benché sinodi
posteriori attestino, che quelle leggi
non vennero affatto eseguite, possiamo
però considerare l’accettazione di
quel sinodo come un primo passo
verso la soggezione al Papa. Prima
d’allora le chiese d’Italia non aveano
mai ricevuto altre leggi che quelle dei
concilii ecumenici, ai quali o aveano
immediatamente assistito i loro vescovi, 0 i legati deputati dai medesimi, secondochè protestò Mauro vescovo di Ravenna.
Nel discorso infatti del clero di
Milano a s. Pier Damiani, è dichiarato apertamente :
1» Che la Chiesa Ambrosiana,
giusta le antiche sue consuetudini, e
le istituzioni de’ Padri, era sempre
stata libera e indipendente dalla soggezione di altra Chiesa qualunque;
2" Cile il papa di Roma non aveva
avuto mai, nè mai esei’citato gimisdi-
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■¿ione di sorta sopra la chiesa di Milano, uè rispetto alla sua costituzione,
nè riguardo all’ andamento del suo
spirituale governo.
Qui ci cade in acconcio di osservare, che fu dunque immune da ogni
biasimo la condotta di quel dotto e
pio uomo di Claudio vescovo di Torino nel IX secolo , quando rispose,
come abbiam veduto (95), all’abate
Teodemiro di non riconoscere in papa
Pasquale I autorità apostolica. 11 discorso del clero milanese a Pier Damiani è testimonio evidente, che circa
due secoli dopo le Chiese d’Italia si
tenevano ancora , come ai tempi di
Claudio, affatto indipendenti dal papa.
166. E di vero partiti che furono
da Milano il vescovo di Lucca e san
Pier Damiani, l’arcivescovo Vidone e
con lui il suo clero, s’accorse del mal
passo che avea dato, nell’accettare
quel sinodo, da chè, oltre al condannare la simonia, variava la disciplina
imponendo il celibato de’preti, e così
favoreggiando, senza volerlo, il concubinato. Coll’appoggio pertanto della
nobiltà indisse un concilio che diede
ai preti la facoltà d’ammogliarsi. Tanto
ci narra nella sua cronaca de’ Papi
il Bonizio, vescovo di Sutri (Lambec.,
lib. 2, Comment. Bibl. Vindobonensis).
167. Morto Niccolò II, venne per
istigazione del cardinale Ildebrando
nominato papa Alessandro II, milanese di nascita , e quello stesso vescovo di Lucca, già stato compagno
di legazione a Pier Damiani (165). I
vescovi però dell’Alta Italia non vollero entrare in comunione con lui, o
lo sapessero o lo sospettassero imbrattato di simonia. Benzone, vescovo
d’Alba, nel Monferrato in Piemonte,
ne fa un pessimo ritratto, e non mutò
parere nemmeno dopo che il papa (in
persona era venuto a giustificarsi in
apposito concilio, convocato a Mantova. (Benzon. , Episcop. Albens. ,
panegijr. Henr. imp. ap. Burchard.
Mcucken. tom. i).
Lo stesso papa tenne due concilii
a Roma, dove prescrisse diversi canoni per norma del clero specialmente milanese, volendo effettuare
le riforme già disegnate dal suo predecessore Niccolò II; ma egli stesso
in un terzo concilio si lagna di non
averne ricavato alcun frutto. Eppure
vi erano stati condannati e proibiti i
matrimonii incestuosi tra fratelli e
sorelle, che certamente non venivano
nè approvati, nè difesi dai ve'scovi di
Lombardia. Con tutto ciò, siccome
d’ordinario non si compie mai bene,
quando sia consigliato o imposto da
una autorità che si crede incompetente, pur troppo non fu voluta ascoltare la voce del papa. « E chi, egli
dice, chi mai ha veduto di tante mi-
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gllaia d’uomini un solo almeno che
siasi staccato dall’abbominazione di
così Infausto connubio? {Quis ex tot
millibus hominum saltem unum vidit
ab infausti foedcris abominatione divulsuml) (Collect. V. Labbé).
Qui chiaramente apparisce che
nelle Chiese d’Italia non era ancor
conosciuto per maestro legittimo il
papa, e benché fossero saggi gli ammaestramenti che dava, niuno era
che si curasse di metterli in pratica.
Da quanto ci lasciò scritto Benzone,
vescovo d’Alba, evidentemente si raccoglie che il vescovo di Roma, già
molto rispettato in Alemagna, e molto
in Francia, era, non diremo sconosciuto , ma noncurato e sprezzato
dalle Chiese d’Italia, che viveano affatto indipendenti da lui.
168. Dopo circa undici anni e
mezzo di pontificato, Alessandro li
mori, e gli successe, nel 1073, il suo
grande fautore e consigliere lidobrando, che prese il nome di Gregorio VII. Questo monaco di straordinaria bravura, che ai tempi di Cicerone sarebbe stato il Catllina di
Roma, fu nel medio evo il sovvertilor principale d’ogni ordine, e intorno
a sé distrusse ogni cosa, infrangendo
patti, diritti, canoni, giuramenti e
troni per fondare unico potere al
mondo, il sacerdozio.
169. Nei tredici anni che fu pon
tefice, sudò continuo all’opera di abbattere le podestà temporali, e sottoporle ai voleri della sacerdotale, che
tutta, secondo lui, concentravasi nella
persona del papa. La costituzione
delle Chiese dal iv secolo in qua era
stata pel naturale corso degli avvenimenti condotta a formare col suo
clero una parte integrante dello Stato,
ed entrava nella gerarchia politica.
Secondo l’antica disciplina venivano,
è vero, i pastori eletti a voce di
clero e di popolo, e gli stessi abati
de’ monasteri si sceglievano dal voto
de’ monaci. Ma vescovi ed abati avevano cessato di essere personaggi
meramente ecclesiastici, e come tali
unicamente intesi alla direzione spirituale del culto; erano divenuti proprietarii di larghi censi, possedevano
giurisdizioni e privilegi, erano infine
divenuti membri dell’aristocrazia feudale allor dominante. I Principi adunque e i Sovrani dovettero giudicar
necessario di esaminare le qualità dei
nuovi eletti prima di autorizzarli ad
esercitare il lor ministero, potendo
coll’abusarne, se maifosser non buoni, esser d’inciampo all’amministrazion del governo. Da così ragionevoi
principio di civile prudenza nasceva
il dritto delle investiture, consistente
nel dritto di confermare reiezioni ecclesiastiche. Non si può dissimulare
che ciò partorì in seguito gravi disor-
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(lini. Invece di restringersi i Principiai
semplice atto di ratiQcare o annullare
l’elezione, non si contentarono di volerla far essi, o ingerirvisi per modo
che accadesse qual essi la volevano,
ma di più fecero dell’elezione un vergognoso traffico, e la concedevano
come per incanto al miglior offerente,
e spesso ai vescovadi più eminenti,
non escluso quello di Roma, erano
promossi uomini, il cui solo merito
consisteva nell’avere splendidamente
pagato il favor della corte.
AU’aculo intelletto dell’ ambizioso
Pontefice parvero questi inveterati
scandali un assai plausibile motivo e
pretesto a coprire la guerra cui egli
meditava di rompere a tutte le autorità secolari per farne sgabello al
maggior trono del mondo, che nel suo
concelto esser dovea il sacerdotale
de’ Papi. Consultino i nostri lettori le
lettere che di questo papa pubblicò
nella sua collezione de’ concilii il P.
(Jesuita Labbè, e si convinceranno
delle pretensioni che egli aveva sull’impero de’ Greci, e sui regni di
Francia, d’Inghilterra, di Spagna, di
Sicilia, di Napoli, di Sardegna, di Boemia, di Ungheria, di Polonia, e sulle
regioni della Dalmazia, della Russia
ecc. Combattendo però per una causa
apparentemente sì bella quale era quel la
di abolirelesimonie (non importa che
fossero commesse dai potenti, dal
l’imperadore e dai re), avea con sè il
voto e r ammirazione de’ popoli, e
guai chi osava di fargli resistenza.
Era tosto da mille trombe monastiche
diffamato ne’pulpiti, nella plebe e per
le piazze qual figlio di Satana, padre
di perdizione, maledetto da Dio, e
partigian d’assassini. Così avvenne al
Cenci figliuolo del prefetto di Roma,
appena fu scomunicato dal papa.
Tempi in verità deplorabili, quando
l’ira d’un prete basta a concitar moltitudini contro un solo! (Pahdoolph.
pisan. ei Card, de Aragon. in vit. S.
Greg. pap. — Lamubrt. ckron. —
Paul. ap. Mabillon.)
170. Se però il nome d’Ildebrando
suonava rispettabile e terribile a tutta
quasi la cristianità d’Occidente, cliè
rOricnlale erasi già tutta sequestrata
dal consorzio di Roma, esistevano già
da tempo non pochi protestanti, ed
erano i fedeli delle antiche chiese già
formanti la diocesi d’Italia, i quali
non- si lasciavan prendere agli speciosi titoli sotto cui nascondeva il suo
spirito d’invasione e d’usurpazione il
pontefice, e avevano il coraggio di
sfidarne il furore. Fra le molte prove
adduciam le seguenti;
1" Giliberto arcivescovo di Ravenna
confortava il Cenci suo amico a non
paventare le folgori del Vaticano, e il
Cenci come figlio del prefetto di Roma
ottenne che fosse il papa arrestato
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all’altare nell’atto che celebrava la
messa, e rinchiuso in fortezza, dove
rimase finché a liberarlo non corsero
i suoi partigiani.
2“ I vescovi tutti delle Chiese d’Italia raccolti in concilio a Pavia sotto
la presidenza di Teobaldo arcivescovo
di Milano, dichiararono scomunicato
Grogorio VII, e uu sacerdote parmigiano, per nome Rolando, andò portatore del decreto a Roma.
5“ Quand’ebbe papa Gregorio fulminato la scomunica contro l’imperadore Enrico iv, che non voleva rinunziare al dritto delle investiture, e
contro i suoi aderenti, colpi di tal terrore l’immaginazione de’ popoli settentrionali, che quel regnante veggendosi abbandonato da tutti, s’indusse a venire in Italia per ottenere
l’assoluzione dal papa.
Questi trovavasi allora nella fortezza di Canossa presso la sua fedele
alleata la contessa Matilde. Quivi acconsenti di riceverlo, ma dopo tre
giorni di penitenza. Notano gU storici
che in quell’ anno, 1077 , per la
grande quantità di neve caduta sugli
Appennini faceva un inverno straordinariamente freddo, e il giovine imperadore, dal 22 al 25 gennaio, fu
obbligato di restare nei recinti della
fortezza all’aria aperta, senza seguito,
vestito d’una sola camicia di lana,
coi piedi nudi sulla neve, e digiuno
dal levare del sole fino al tramonto.
Il papa IVattanlo si beava nei caldi
appartamenti della umiliazione del
suo nemico. Dopo i tre giorni l’ammise nel duro arnese di penitente alla
sua presenza; gli fece domandar più
volte perdono tenendolo sempre inginocchiato a’suoi piedi, e infine profferì la sospirata assoluzione dalle
censure. Dopo tale esempio d’un imperadore avvilito, principi e vescovi
d’Alemagna pareano come presi da
un delirio di divozione alla S. Sede,
e cercavano in grazia di riscattarsi a
peso d’oro dalle pene canoniclio, e
diventar tributarli e vassalli del papa.
I soli vescovi delle cinese d’Italia
mostrarono tutto il maggior dispetto
contro tanto superba alterigia d’un
monaco mitrato, dicendo che, come
canonicamente scomunicato dai vescovi di Lombardia, non aveva alcun
diritto di scomunicar persona. Quanta
ad Enrico chiamavano imperdonabile la sua condotta, ehe avesse potuto rassegnarsi a così bassa viltà, e
minacciavano, ove non rimediasse,
d’eleggere a re d’Italia il suo figlio
Corrado.
Noi, senza risolvere la questione
politica involta qui coll’ecclesiastica,
prendiamo atto di questa opposizione
al vescovo di Roma nel momento
della sua più alta potenza, perchè
storicamente ne risulta una prova ohe
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anche verso la fine del secolo xi non
erano ancor soggiogate le antiche
chiese d’Italia alia giurisdizione del
papa.
Gli scritti che ancor ci rimangono
del vescovo d’Alba Benzone con quelh
del Cardinal Bennone e degli stessi
panegeristi di papa Ildebrando, quali
sono Pandulfo Pisano e Paolo Canonico Bavarese non lasciano luogo a
dubbio.
4“ Gregorio VII non si stancò mai
di perseguitare i vizi del clero, ma
quanto pose fra i vizi, anche il matrimonio de’ preti, gli tennero testa
le chiese d’Italia, che nella generalità
non accettavano, come vedremo, che
qualche secolo dopo il giogo del celibato ecclesiastico.
171. La questione intenta delle
investiture si rianimò ben presto; chè
vergognandosi Enrico IV della subita
umiliazione, ivi a non molto sorse in
arme a rivendicare i suoi dritti. Il
papa fu costretto di fuggire da Roma
a Salerno, dove morì pronunciando
quelle parole; dilexi justitiam, odivi
iniquìtatem, propterea morior in exi
lio. Muoio in esilio perchè fui amator di giustizia e odiatore d’iniquità.
172. La lotta durò 50 anni per
cedere il campo ad altra più lunga
di 100; che come questa essendo tra
il potere civile e l’ecclesiastico, si
convenne benissimo di chiamare guer
ra del sacerdozio e dell’impero. E perciocché l’idea che i papi in terra non
hanno altro superiore che Dio, e soprastanno di diritto alle podestà secolari, l’ha bandita pel primo, e osato
d’applicarla papa Ildebrando (in cui
par che si fosse incarnato lo spirito
delle false decretali) giustamente la
storia lo riguarda eome inventore e
autore , e fondatore di quel sistema
sacro-politico da cui uscì la teocrazia,
0 come altri dicono, la monarchia
de’ Papi. E come il primo frutto che
colse da tal sistema 1’ Europa, è stato
cento cinquant’anni di guerra, ogni
ragion comanda che fra le più grandi
sventure della umanità si computi il
pontificato di Gregorio VII.
173. Quel sistema essenzialmente
violento or vincitore or vìnto occupava 0 cedeva terreno secondochè lo
assisteva, o gli mancava la forza.
Così d’allora in poi le chiese d’Italia,
0 avesse torto o ragione, erano trascinate a seguire le sorti e le leggi
di Roma quante volte la parte imperiale soccombeva. La question religiosa
totalmente cambiata in questione militare e politica non si reggeva omai
più che sull’armi.
174. Ecco perchè gli antichi protestanti d’Italia , verissimi Valdesi
di fede (160), esposti com’erano alle
scorrerie delle parti belligeranti finirono per essere soprafatti ed invasi
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da quella potenza incognita all’ età
passate, che oggi tuttavia s’intitola
potenza del Vicario di Cristo, e trasfusa in un prete per successione da
s. Pietro. Le cento città che essi abitavano dai Grigioni a Torino, e dalla
superba Genova alla sede antichissima degli Esarchi imperiali d’Oriente
infino a Venezia, s’empirono a ribocco
di parteggianti di questa, nuova Potenza, e non andò guari che come di
astuzia e di forza prevalsero ancora
di autorità e di numero.
175. L’ignoranza de’ tempi non
concedeva che a pochi il saper leggere , e non era di conseguenza a
molti accessibile la parola di Dio.
Corrotti 0 guadagnati che fossero i
pastori, dal cui labbro pigliavano l’evangelica istruzione i popoli, mancavano ai più i mezzi di discoprire l’inganno, e senza volerlo abbracciavano
Ja superstizione e l’errore.
176. Come impedirlo,se anime coraggiose portate dallo spirito di Dio
non sorgono a illuminare le genti?
Ebbene la Provvidenza di Dio suscitò
quest’anime, chenon i Danieli in
mezzo alla superstizion Babilonica
seppero conservare incorrotto il cullo
del vero Iddio.
177. Se abbiamo fin qui assistito
all’ediQcante spettacolo della totalità
de’fedeli nelle cliiese d’Italia, che si
mantennero illesi dalla corruzion della
fede, e da Protestanti sinceri vissero
sempre fln verso la fme del secolo xi
indipendenti da ogni soggezione di
di Roma, non potremo d'ora innanzi
fermare lo sguardo che sopra una
porzione eletta di Cristiani qua e là
sparsi per le regioni dell’ alta Italia,
che a viso aperto ricusano d’imbrattarsi in veruna superstizione, contenti
di professare la fede evangelica nella
sua purità primitiva, e non consigliandosi da altri che dal nostro Salvator Gesii Cristo, che illumina ogni
uomo che a lui ricorre mediante la
sua divina parola che sta nel Vangelo.
178. Furono è vero questi privilegiati spiriti bersaglio all’odio, e alle
maledizioni e scomuniche dei loro potenti avversari, furono denunziati
come sovvertitori ed eretici alle autorità civili ed ecclesiastiche, furono
straziati, vessati, puniti alla guisa
de’ pubblici malfattori; ma essi andavano sull’esempio degli Apostoli rallegrandosi (art. v. -41) di soffrir contumelie per la fede e pel nome di
Gesù.
179. Prima di venire a questo secondo periodo della storia ecclesiastica
della Chiesa Valdese, che fu periodo
d’aCTiizione e di prova durato fino alla
promulgazione del vigente Statuto che
la emancipò, vogliamo rettificare un
errore, in cui sono caduti non pochi
10
parlando della giurisdizione esercitata
dal Papa sulle Chiese d’Italia.
11 sesto canone del Concilio Niceno già da noi citato (147) confermava
come abbiam detto l’antica usanza
che i concili si convocassero dai Metropolitani, e in quella occasione determinò le Chiese metropolitane a cui
doveano far centro le altre delle provincie in caso di qualche riunion conciliare. Non trattò affatto di giurisdizione come mal a proposito pretendono assai canonisti e teologi della
curia romana, coniando al solito citazioni che oltre a non essere autentiche,
perchè ¡1 testo originale di quel concilio andò smarrito, come abbiamo già
osservato (148) , sono apertamente
false perchè parlano di giurisdizione
d’un vescovo sopra altri vescovi,
quando è noto e provato, che quel
conciUo proibì che una chiesa potesse
mai intramischiarsi nelle facende d’un
altra. Ciò che sappiam di positivo è,
che indicando le provincie i cui vescovi dovevano essere in caso di
qualche conciUo invitati dai Metropolitani di Alessandria di Antiochia, e
di Roma ( noti bene il lettore che il
vescovo di Roma è posto qui dal concilio nel numero dei Metropolitani e
nulla più) decretò che si dovesse stare
alla consuetudine = Antiqua consuetudo servetur-, — e cosi il vescovo di
Alessandria continuasse a mandare
l’invito ai|vescovi dell’Egitto, della
Libia, della Pentapoli, della Tebaide
e della Mareotide-, quello d’Antiochia
s’ incaricasse di diversi vescovi dell’Asia , del Ponto e della Tracia, e
quello di Roma pensasse a convocare
i vescovi delle chiese suburbicarie,
che ancor oggi s’ignora quali e quante
fossero, perchè dalle memorie che di
quel concilio rimangono, non ne abbiamo alcun cenno, e gli storici che
ne fanno menzione, parlano ignorantemente di diocesi; e confessano di
non sapere se fossero nè otto, nè
sette. {Nat. Alex. Hisi. Ecc. sacc. iv,
Diss. 20).
Chi pertanto ricoi'da che sotto Costantino tutto quanto l’impero romano fu diviso in quattro diocesi, e
solo dopo la morte di lui in quattordici, non può non meravigliarsi della
soverchia buona fede con cui inventano a que’ tempi un numero di diocesi due volte maggiore di quelle che
esistevano. Perciocché il vocabolo
Diocesi era allora tutto politico e governativo, e indicante i quattro dipartimenti dell’impero. Più tardi, quando
questi furono distribuiti in quattordici, la diocesi d’Italia con Milano
per capitale, comprendeva le sette
provincie che abbiamo da principio
numerate nell’articolo primo, e che
anche solto l’imperator Costantino
erano politicamente amministrate da
un vice-prefetto.
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Roma, come (’ostantinopoli, non
formava diocesi, ma si considerava
come la prima delle due capitali dell’impero , benché non vi risiedess
l’imperatore. Il vescovo di Roma per
conseguenza non aveva nè una, nè
sette, nè otto diocesi, ma certamente
da lui, come vescovo della capitale e
metropolitano, dovevano, in caso di
concilio far capo i vescovi delle dieci
provincie che suburbicarie appellavansi, come poste intorno a Roma.
Il signor Dupin dottore della Sorbona opinò per alcun tempo che il
vescovo di Roma fosse capo di tutte
le Chiese d’Occidente; ma poi si corresse osservando che le sette provincie della diocesi d’ Italia si erano
sempre in ogni occasione anche di
concilio regolate da sè, nè mai per
secoli ebbero nulla che fare colla
Chiesa, o col vescovo di Roma.
Anche Cristiano Lupo conviene, che
la Diocesi di Milano non riconosceva
le leggi promulgate nei concilii de’
Papi, perchè si teneva affatto indipendente da loro.
Sieno pur dunque a centinaia e a
migliaia i trattati coi quali i sapienti
della romana curia s’affaticano a dimostrare, che il concilio ecumenico di
Nicea attesta e conferma l’esercizio
non contrastato e perenne della giurisdizione papale in Italia, li smentirà
sempre la storia costante di undici
secoli in cui i fedeli deH’alla Italia
vissero sempre da ottimi Protestanti
in piena e perfetta indipendenza da
Roma.
Ne avremo belli esempi anche ne’
secoli posteriori, quando per la tristizia degli uomini e de’ tempi scemato
il numero di questi cristiani liberi e
indipendenti d’Italia, Iddio ci manifesterà la gloria e i portenti di quella
fede non farisaica, non prepotente,
non micidiale 0 scolastica (qual apparisce ne’discorsi e nell’opere di coloro
che s. Paolo chiamava Anticristi), ma
consolante e semplice, ma puramente
evangelica quale giù la conservarono
allora, c possono oggi fmalmente con
libertà professarla e peredicare i Vaidesi.
Somiglianza di due Rituali
Dal primo viaggiatore che andò alla
corte del gran Kan sino all’ultimo aiutante di campo che con ardore si spinse
dal Sullei lino alle piacevoli valli del
Cheenee nel Kunawur, dove Ransey di
Dalwolsie diede le leggi a millioni d'indiani sotto ai grappoli lussureggianti,
tutti quelli cbe hanno assistito al culto
Lamaico sono stali colpiti dalla meravigliosa somiglianza che vi è tra quei riti
ecclesiastici, e quegli della Chiesa Cattolica romana.
Rubruquis che viaggiò nel IS® secolo
fa meuzione di ua popolo di MongoliaDi
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chiamati Jugurs (che son probabilmente
i Chakars del sig. Huc) che egli stigmatizza come fieri idolatri, convenendo nel
tempo stesso che è assai difficile il distinguere molti de’loro riti da quelli
della Chiesa Cattolica. Quel popolo aveva
candele sacre, rosari, e il celibato vi era
in onore. La descrizione che si fa di questi
Jugurs li qualifica per Budisti. « Essi
pongono le loro idee di perfezione nel
silenzio e nella contemplazione astratta
della divinità; siedono nei templi in due
lunghe file opposte l’una all’altra, ripetendo mentalmente le parole Om niam
hactami, ma senza proferir sillaba».
I missionari venuti dopo furono colpiti
dalla stessa somiglianza. Il P. Grueber
dice che a Lhassa nel 1661 vi erano due
re, uno civile e l’altro sacro. « Essi considerano quest’ultimo come il Dio vero
e vivente, il padre eterno o celeste. Quelli
che si avvicinano gli si inginocchiano davanti e gli baciano i piedi come si fa con
S. Santità il Papa; dando così a vedere
le manifeste frodi del demonio, che ha
fatto convergere la venerazione dovuta
al solo Vicario di Cristo verso il culto
superstizioso di nazioni barbare, come
pure ha abusato nella sua innata malignità degli altri misteri dalla fede cristiana».
II P. Desideri senza fare direttamente
tali confronti indica alcune coincidenze
anche più meravigliose; ed egli diede
forse molto campo alla sua vivace immaginazione quando disse che gli abitanti di
Gadakh avevano qualche idea della Trinità, perchè usavano qualche volta il singolare e qualche volta il plurale parlando
di Dio, e dalla loro formola costante di
adorazione Om ha hum! (essi adorano)
va fmo a dire un Urghien (?) che nacque
settecento anni fa. Se chiedete loro se fosse
un Dio 0 un uomo vi risponderanno qualche volta che è uomo e Dio in pari tempo,
e che non ha avuto nè padre nè madre,
ma fu generalo da un fiore. Nondimeno
hanno delle immagini che rappresentano
una donna con un fiore in mano, la quale
si dice fosse la madre di Urghien.
Essi adorano parecchie persone, che
riguardano come santi. Nelle loro chiese
si vede un altare coperto di un panno
con in mezzo una specie di tabernacolo,
dove secondo loro Urghien (Dio) risiede,
sebbene altre volte vi assicurino che è
in cielo.
Turner, e Moorcrost, laici protestami,
rimasero pure molto scossi dalla somiglianza del servigio de’cori nella messa,
che è come quello dei-preti romani, e
niuno ne fa fede più esplicita de’ nostri
ultimi viaggiatori Huc e Gäbet cattolici,
a 11 pastorale, la mitra, la dalmatica, la
cappa 0 il pluviale che porta il gran
Lama viaggiando, la liturgia col doppio
coro, la salmodia, gli esorcismi, l’incensiere appeso a cinque catene che si apre
e che si chiude, le benedizioni dato dal
Lama quando stende la mano sulla testa
dei fedeli, il rosario, il celibato ecclesiastico, i conventi, il culto dei sanli j digiuni , le processioni, le acque benedette» (e avrebbero potuto aggiungere
la tonsura, i campanelli durante il servizio della chiesa, il conclave raccolto in
un tempio per eleggere un pontefice, e
il nome santuario eterno dato dai Tartari
a Lhassa che è la Roma della loro fedej
« sono tutti riti particolari dove i Budisti
si accordano con noi ».
Moorcrost ci descrive un Lama di Ga-
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dakh vestito come un cardinale. Molte
altre analogie rimangono delle quali non
si può dare ragione senza supporre che
i Lama abbiano ricopialo e si sieno appropriata una parte del rituale del la eh lesa^
togliendola dai Nestoriani, sparsi un tempo
per tutta l’Asia; o forse che le chiese di
questi ulliini corrompendosi abbiano dato
luogo alla superstizione non lasciando di
sè che alcune misere reliquie di riti
esterni galleggianti sulla superfìcie dell’errore, per mostrare che una chiesa di
Cristo era un tempo quivi esistita.
Dai Magazzino di Blackwood
del marzo.
nroTiziE REiiiaiosE
America. L’Evangelo fra gli schiavi
della Luigiana. — 26 marzo. — Alcuni
anni fa una pia Signora (che per modestianon vuol esser nominata) rimase per la
morte di suo marito in possesso di 80 o
100 schiavi, addetti ad una gran piantagione. La responsabilità a cui l’assoggettava la cura di tanti esseri immortali, la
indusse ad adoperarsi personalmente, per
la loro salute eterna e spirituale. Essa
insegnò loro il Catechismo, e pregò per
loro e con loro. Non bastando però essa
sola al caritatevole oiBcio, chiese consiglio
a Dio, e pigliò un cappellano, il Rev. Sig.
Doremus, che per più di quattro anni,
predicò ogni Domenica il Vangelo, agli
schiavi cultori di quella piantagione.
L’opera sua è stata coronata dal più
gran successo, non solo per la bella conversione di molti di quegli schiavi, ma
ancora per essere riuscito a formare una
Chiesa presbiteriana ia vantaggio di tutta
la popolazione. Oltre a ciò la Domenica
scorsa venne aperta una bella cappella capace di contenere 100 individui, eretta
soltanto a benefizio de’servi della piantagione, e dedicata a Dio colle solite formalità.
Alcuni uomini di colore (Mulatti) furono ricevuti alla comunione della Chiesa
dopo una professione di fede, e alcuni
fanciulli vennero battezzati. Splendidissima fu quella Solennità. La decenza della
casa di Dio è mantenuta ; i canti, le prediche e gli altri esercizii, vengono fatti
secondo gli usi presbiteriani.
La Signora, di cui abbiam parlato più
sopra, ha occupato come fondatrice di
questa Chiesa il primo posto. Possano
le preghiere de’ lettori salire a Dio, per
attirarne le benedizioni su di lei e sulla
sua famiglia.
Dai registri della Chiesa presbiteriana
si vede che il Sig. Doremus cominciò colà
le sue fatiche nel novembre 18i6. Nel
1847 fu ordinato evangelista, nel 1848 si
tentò di raccogliere danari per erigere un
tempio, e nel6genn, 1848 un bell’edifìzio
venne dedicato a Dio, e fu la prima chiesa
presbiteriana fabbricata all’occidente del
Mississipl,
Quell’anno accaddero alcune notabili^
conversioni tanto in prossimità della
chiesa come a qualche miglio di distanza
cioè al Marenguin, dove il Sig. Doremus
aveva predicato spesso, e dove pure era
stato eretto un tempio d’uso comune con
altri culti in cui il Sig. Doremus officiava
qualche volla.
^ Nel 14 ott. 1849 la chiesa di Grosse
Téle venne sotto la Direzione d’un anziano
organizzata con 26 membri, dieci de’quali
furono ricevuti sulla loro professione di
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fede, e sei con un certificato rilasciato da
altre chiese. Nel ISSO uoa bella casa parrocchiale fu fabbricata a spese del popolo.
Nel 14 marzo i8o2 la cappella della
Piantagione è stata solennemente consacrata come abbiam detto di sopra. Scenda
sopra quella terra di rigenerati la rugiada
di Dio, e la luce del sole, e no riescano
a bene tutti i lavori e le opere.
Domenica 23 fedeli, dei quali 22 erano
Mulatti, furono ricevuti in quella chiesa.
Il numero intero degli ammessi, durante
il ministero del sig. Doremus, è di S4,
48 con professione di fede, e 6 con certificato. Da questo numero se ne devono
togliere nove morti, o allontanati. Fra i
4S che rimangono, 35 sono negri. Le altre piantagioni del vicinato cominciano
ad essere anch’esse accessibili al Vangelo.
Patagonia, — Altri particolari s\illa
mortB di sette missionari evangelici. Ai
ragguagli da noi dati nell’ultimo numero
su quel hitluoso avvenimento, ci piace
aggiungere i seguenti, tolti al Jourtial
des Débats del 10 corrente ;
«Un bastimento andato in traccia di
loro è riuscito a trovarne i {cadaveri e il
giornale in cui il capo della missione, un
capitano della marineria reale, avea descritto giorno per giorno quella terribile
agonia, Egli avea sopravvissuto a tutti
gli altri ; e nulla si può immaginare di
più tristo ed in pari tempo di più bello
della descrizione dei suoi patimenti e
della rassegnazione colla quale furono
sopportati. Il giornale cominciato sin dal
mese di febbraio seguita fino in settembre. Di giorno in giorno venendo meno
le provvigioni, i meschini si sfamano con
lopi, con sorci, con erbe marine; poi
tutti si spengono l’uno dopo l’altro, e,
vicino a morire il misero capitano scrive
ancora queste righe j
«3 settembre 1881.— Io sono, per
« grazia abbondante del mio Dio, mantefi nulo in pace, confortato dal sentimento
« dell’amore del mio Salvatore , c dalla
« certezza che tutto è stato da lui ben
« disposto. Io non penso più che a Dio,
« ed aspetto che disponga di me secondo
« il suo buon piacimento. Ch’ io viva o
« ch’io muoia, sia in Lui..... Io lo sup
« plico di voler raccogliere la mia cara
n moglie ed i miei figli all’ombra delle
« sue ali, di guardarli, di fortificarli, di
« santificarli, acciocché ci sia dato ado«rarlo un giorno tutti insieme in un
n mondo migliore ed eterno.... »
n 5 Settembre. — Come Iddio è buono
« per me ! Egli mi fa sussistere da quattro
« giorni senza eh’ io abbia assaggiato il
« minimo cibo corporale, eppure senza
n fame e senza sete.,.. »
« 6 Settembre. — 11 Signore ha chiaM mato a sè l’ultimo fra i miei compagni...
« Qualche po’ di tempo ancora, ed io.....
<■ per cantare le lodi del Signore..... il
« suo trono. Non ho nè fame nè sete,
«sebbene.....cielo.
<1 Vostro affezionatissimo fratello in.....
Allen Gardner w.
Portogallo. — Il sig. Mello, buon
sacerdote Portoghese, tocco dalla grazia di Dio, non aveva più pace nell’esercizio del suo uffizio sacerdole; pareva a
lui di non conoscere la via di assicurarsi la salute dell'anima. Andò in Inghilterra, per consultare ¡dottori di quella
Chiosa, e dopo diverse conferenze rimase
convinto che la salute si trova unicamente
15
nella fede in Gesù Cristo nostro divin salvatore, e questa fede s’impara e ordinariamente si comunica mediante la lettura attenta e divota della divina Parola. Postosi
dunque all’opera di leggere il vangelo
non tardò a gustarne la verità, e dopo di
avere per qualche tempo frequentato le
istruzioni dei Catecumeni fece nelle mani
del vescovo di Londra la sua solenne
abiura del Romanismo, e ricevette dal
medesimo l’imposizione delle mani. Ultimamente è ritornato a Lisbona contentissimo di avere abbracciato quella pura
fede evangelica, la quale, secondo insegna
l’Apostolo, riempie di consolazione lo
spirito ed assicura ia salute eterna.
CRONACHETTA POIITICA.
Torino, — Le seguenti somme sono
state ricevute aU’Uffizio della Buona Navella, e da questo consegnate all’uffizio
della Stella, a favore degli operai di Pralìfeha :
Dal sig. Desanctis, pastore della chiesa
evangelica italiana di Ginevra : prodotto
di una colletla falla in delta
città.......L. 1028 00
Colletta fatta fra i bambini
della Chiesa evangelica di Torino .......
Dal sig. Dottore Castelli di
Torino......
Dal sig. Boudrandi albergatore dell’Hdiei eie la Ville in
Torino......
Dal signor N. N. . .
41 4S
10 00
10 00
Totale . L. 1091 93
— Una crisi minisleriale inesplicabile
Ila cagibnalo il ritiro del sig. Cavour dal
ministero di finanza, del sig. Galvagno dal
minislero di j»razia e giustizia del sig. Farini dal ministero di pubblica istruzione.
Al primo è succeduto il sig. Cibrario, al
secondo il sitr. Hiioncompagni, al terzo diceasi che succedeva il sig. Giulio, ma non
ha accettato, e il sig. Cibrario nc assume
provvisoriamente le funzioni.
— Il primo numero del nuovo giornale
francese 1’ Étendard promelle di combattere le liberlà religiose e politiche. Ciò
prova che sarà sutfraganeo dell’^nnoma.
— ì’Opinione lia impugnato, spiegandolo naturalmente , il preleso miracolo
del Sacramento già stato riferito colle parole del Cattolico num. 15 della Buona
Novella.
— 11 Cimento nel suo 3" fascicolo rileva
con tutta cliiarezza i molti svarioni delta
Cinltà cattolica di Roma in fallo di storia,
di ontologia, e di logica; e le fa conoscere
die parlando ella sempre di drilli, di soTranilà, di governi coi rancidumi della
teologia scolastica potrà ingannare i gonzi, ma fa ridere i saggi.
Roma. È stato condannalo a morie un
ulliziale inglese, che era al servizio della
romana Repubblica , come implicato in
un processo polilico d’Ancona. Molti illustri viaggiatori inglesi conoscenti ed amici
della sua ragguardevole famiglia sperano
co’ loro buoni uffici di poterlo salvare.
— Qui come a Napoli la reazione prosegue ciecae incorreggihite.TI sig. Galieno
giovane tranquillissimo, andato per diporto co’ dovuti permessi all’esposizione
di Londra, non ha più potuto rientrare.
Ultimamente un artista per ottenere il
passaporto per Londra, dove lo chiamavano argentissimi aflari, fe stato costretlo
a sottoscrivere un obbligo di non mettere
16
più piede negli Stali romani, sotto pena
di Ire anni di galera.
Bologna. Nello scorso mese è mancalo
all’onor delle lellere il conte Giovanni
Marchetti già tanto amico di Giordani,
di Perticavi e di Monti, e molto riverito
.cd amato per la dignità e l’eleganza degli studi. Poche sono le poesie e le prose
eh’ ci lascia , ma bellissime tutte di lingua, di vivezza e di stile. Ebbe impiego
diplomatico dal regno Italico, fu ministro
di l’io IX. col Mamiani nel 1848, e qui
ritirossi alla sua campagna poco dopo
l’ingresso dei francesi in Roma.
Francia. — I gioroali non parlano
che delle laute cene e degli allegri balli
con cui si continua a festeggiare in Parigi la distribuzione deH’aquile.
— 1 generali Changarnier e Lamoricièr j benché allontanati dalla Francia,
dopo il colpo di Stalo del 2 decembre,
sono stati formalmente richiesti del giuramento di fedeltà al Presidenle e alla
Costituzione, se vogliono godere dei
soldi militari di cui sono in possesso.
Lo hanno ricusalo entrambi.
— 11 rinomato astronomo sig. Arago
e stato con dispaccio onorevole del Ministro della publica istruzione, avvertilo
che veniva dispensalo dall’ obbligo del
giuramento. L’ottuagenario Professore si
era già protestalo per lettera di esser
pronto a rinunziare soldo, ^ttedra, osservatorio ed onori, e restar povero,
anziché mai proferire un giuramento
che gli era vietato da’ suoi. principii
politici. Luigi Napoleone ha saputo rispeltare la vecchia età e la scienza.
— I legittimisti hanno ricevulo una
lettera del conte di Chambord ¡(Enrico
V) che li consiglia di non fare all’attuale Governo che una resistenza passiva.
— I ministri del culto riformalo nel
dipartimento del Rodano, si sono adoperali con grandissimo zelo ed effetto
in ottenere la grazia dei condannati politici, che sono stali rimessi in libertà.
— Alcuni vescovi del mezzodì della
Francia hanno ultimamente rinnovalo
al clero 1’ ammonizione dell’ arcivescovo
di Parigi, di non immischiarsi cioè in
partili politici. In più luoghi i curati
si sono talmente compromessi, che la
gioventù per non vederli si astiene dall’entrare in Chiesa ad assistere al servizio divino.
— I fondi alla borsa hanno soll'erlo
qualche insigniticanle ribasso.
Spagna. Il Ministero ha sospeso la
promulgazione delle minacciale leggi reslrillive delle libertà costituzionali. Alcuni l’attribuiscono alle rimostranze die
avrebbe fatto il Governa inglese, che
ebbe si gran parte nella fondazione
del trono costituzionale di Spagna.
Errdta-corrige. Alla pag. 400, linea 522, colonna a destra invece di •( 4,000 leggasi 14 o
piti giuslamente 15.
Direttore G. P. MEILLE.
Rinaldo Bacchetta gerente.
Vendibile presso Carlotti e Baìzarini
LA VALESANA
RACCONTO STORICO
Prezzo; ceulcsimi IO.
Torino, — Tip. Soc, dì A, Pon» e C.