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BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno IX. - Fasc. IX ROMA - SETTEMBRE 1920
Volume XVI. 3
SOMMARIO
P. ARCAR1 : Rappresentazioni ed intuiti del divino in G. Predati. .... pag. 165 (Autoritratto di G. Previali, Tav. I, tra le pagg. 168-169; Tavole illustrative dell'opera di G. Previati: 11*111 tra le pagg. 170-171; 1V-V tra le pagg. 172-173).
R. PETTAZZONI: Il problema del zoroastrismo ...........................177
D. PROVENZAL: Il rosario di corallo . 196 Per la cultura dell’anima:
M. BlLUA: Via e verità . _ ....... 203
Note e commenti:
G. PERSI: La religione della terra (a proposito di "religione e bolscevismo" di E. Troubetzkoi). . 205
1 E. RUTILI : Internazionalismo cristiano . . . .211
V. CENTO: Vita scolastica . . . . . . .217
Cronache:
; QUINTO TOSATTI: Politica vaticana e azione cattolica 221
Rassegne :
R. CORSO: Etnografia e folk-lore (11) . . . . 227
Tra libri e riviste:
M. ROSSI: La formazione di Lutero fino all' "esperienza della Torre " ........ 230
Recensioni: . ......' . . 238
Religione e questioni sociali - Filosofia e religione -Varia.
| Nuove pubblicazioni ........ 242
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ph YCHNIS Rivista mensile di studi religiosi
LHU1V1 < < < « FONDATA NEL 1912 > » ► ►
CRITICA BIBLICA * STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI * PSICOLOGIA - PEDAGOGIA -FILOSOFIA RELIGIOSA MORALE QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO - LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL' ESTERO ->_*
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WhITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. IO; Per l’Estero, L. 15; Un fascicolo, L. 1,50
(Per gli Stali Uniti e per il Canadà è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Doménica. B. D. Pastor,
1414 Castlc Ave, Philadelphla, Pa. (U. S. A.)].*
Abbonamento annuo cumulativo col Testimonio, rivista mensile delle chiese battiste italiane, L. 13,50.
psicologia religiosa, la peCorrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “BILYCHNIS” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l'opinione dei loro autori.
I manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Alcuni giudizi della stampa su BILYCHNIS.
Il GIORNALE D’ITALIA: «Bllycbnts va diventando sempre più... una nobile palestra di studi religiosi e di discussioni filosofiche ».
VOLONTÀ: » Una rivista protestante delle più squisitamente italiane per la grande larghezza di criteri e la ricca collaborazione di studiosi anche liberi ».
DIRITTO e POLITICA: « Dotta e diligente rassegna».
REVUE DE L’HISTOIRE DES RELIGIONS: «Nella produzione scientifica italiana, così ricca di tentativi interessanti e spesso fruttuosi, la Rivista Bllychnls, edita dalla facoltà teologica battista di Roma, si è fatta un posto importante e assai personale in ciò che concerne la critica biblica, la storia e dagogia, la filosofia religiosa, la morale, la vita religiosa in Italia e all'estero.
« Essa si tiene e tiene i suoi lettori al corrente di tutte le questioni vive, non ignora alcun campo del pensiero religioso ed, è là dovunque si discuta un problema morale. Non occorre dire che le polemiche dottrinali trovano in essa un'eco, ma penetrando in Bllychnls prendono un tono attenuato e prossimo alla quieta armonia della storia ».
DIE CHRISTLICHE WELT : « Da nove anni i Battisti di Roma pubblicano la rivista mensile Bllychnls — la doppia luce della fede e della scienza — che è attualmente la più ricca {die bestausgeslallete) rivista teologica del mondo.
« Dove si trova un periodico illustrato di questa specie? Restando questa rivista nel giusto mezzo essa è scientifica per specialisti, e religiosa per lettori di media coltura. Essa ha tentato sin dal principio di superare per lettori e collaboratori i confini del confessionalismo e di rimanere imparziale tra i contrastanti interessi ».
Come BILYCHNIS è giudicata in Francia (dal fase, di maggio-giugno 1920):
« Ce qu'ils remarquent aussi c'est l'abondance des collaborateurs distingués que la Revue parvient à grouper, avec un latitudinarisme doctrinal qui n'est peut-être pas toujours bien compris chez nous, mais qui n’en demeure pas moins un effort sincère de fraternisation chrétienne dans la recherche de la vérité... ».
« II nous arrive souvent de comparer Bllychnls à Fol et V'ie, la première ¿tant pour le public cultivé italien ce que la seconde est pour le public intellectuel français, avec cette différence, que la reçue Italienne volt grand et large, tandis que la nôtre a réduit son format et est en peine de collaborateurs...».
« ... je l'ai proposée en exemple a Fol et Kfe. Mais calle-ci parait s'orienter autrement, timidement et étroitement».
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Libreria Editrice BILYCHNTS - Via Crescenzio 2 - ROMA, 33
RII VfHMIQ RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI -1 11 ’l 10 fondata nel 1912 - Pubblica scritti originali di critica, storia e filosofia religiose — Accurate relazioni sui più notevoli movimenti religiosi contemporanei in Italia e All’Estero — Notizie delle più importanti pubblicazioni e dei più recenti risultati delle ricerche scientifiche nel campo della critica biblica, della storia del Cristianesimo e storia delle religioni — Inchieste sulla variazione dell’ esperienza religiosa contemporanea — Tratta con larghezza di vedute questioni, vive. — Pagine per la cultura dell’anima (sermoni, preghiere, spigolature); Cronache di Politica vaticana ed azione cattolica, di Vita e pensiero ebraico ; Rassegne bibliografiche di Critica biblica, Filosofia religiosa, Psicologia e storia religiosa, Religioni classiche, Religioni primitive ed etnografia religiosa, ecc., oltre un ricco Notiziario ed un accurato spoglio della Stampa Italiana.
Abbonamento per l'Italia: annuo L. 10; semestr. L. 5,50; per l'Estero: L. 15 Annate arretrate L. 10 ciascuna, escluso il 1912 e 1913 quasi esauriti
Collezione intera (1912-1919) L. 100 - Annualmente 2 voi. di 400 pag. ciascuno
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
I Von Hugel F.: Religione ed illusióne ...... 1 —
Losacco M.: Razionalismo e . Intuizionismo . . . 1 —
Papini G.: Il tragico quoti- j diano ....... 5,50j
— Crepuscolo dei filosofi 3,50 •
Rensi G.: Sic et non (meta- !
fisica e poesia) . . . 3,50
Tagliatatela-E.: Giovanni Locke educatore. Studio critico seguito' da 2 opuscoli pedagogici del Locke (per la prima volta tradotto in italiano) ........... 4 —
GUERRA E ATTUALITÀ
! Andreief L.: Sotto il giogo della guerra . . . . 3,50 ’
i Bois H.: La guerre et la bonne conscience..............0,701
Brauzzi U.: La questione so-1 ciale ......... 1 x_
Ciarlantini: Problemi dell’Alto , Adige ....... 3,50
Ghetti S.: La maschera del-, l'Austria . . . . . 6 — I
Kolpinska A.: 1 precursori j della rivoluzione russa 6 —L’A. stessa à ¿schiarato il me- • lodo del suo lavoro, metodo di • antologia o di mosaico c :t con 1 ciò tributato a sè stessa la mag- [
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R.: Guardandoli sole
2 -Bnrt \V. : Sermoni e allocuzioni .......... 2 —
GRATRY A.: Le sorgenti, con prefazione <1 i G. Semeria 5,40
Monod W.: L’Evangile du Royaume 6,50
— Délivrances . . . . 6,50 — Il régnera . . . . . 6 —
- Il vii ......... 6 — -Siléncé et prière, . . 6 — Vienot J. : Paroles françaises
Erononcées a 1' oratoire du
ouvre ...... 2,50 Wagner C.: L'ami . . . 8 — — Justice.,...... 6 — Rivista Propheta (Unica annata 1914) . . . . . 5 —
FILOSOFIA
Della Seta U.: G. Mazzini pensatore ...... io —
Della Seta U.: Filosofìa morale (Voi. I e lì) . . 15 —
Ferretti G.: Il numero e i fanciulli, capitolo d’una didattica dcll’inventività. 2 —
Ferretti G.: L'Alfabeto c i fanciulli ......... 2 —
por-lode. Piuttosto che un’opera di storico assimilatole, essa à fatto opera di espositore coscienzioso di quanti ne’ due ultimi secoli segnarono le tappe essenziali dello sviluppo della Russia. Gl’Italiani leggano e meditino le pagine della K.; ciò li esimerà forse dai vaniloqui retòrici degli estremisti di tutti i partiti.
Maranelli e Salvemini: La questione dell'Adriatico. 6 —
Murri R. : L’anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l’altare
2 —
MURRI R. : Guerra e religione. Vol. IL L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2—
—- Dalla democrazia cristiana al partito popolare ital. 5 —
Puccini M.: Come ho visto il Friuli .................. 5 —
Scarfoglio: L’Italia, la Iugoslavia e la questione dalmata
0.25
Senizza G.: Storia e diritti di Fiume italiana . . . 1 —
Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia) . . . . . 3,5o Stapfer: Les leçons de la guerre
4 —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
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Libreria Editrice BILYCHNIS - Vìa Crescenzio, 2 - ROMA 33
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20i:
Wilson : Un soldat sans peur et sans reproche (en mémoire de André Cornet-Auquier)'.
1,30 ZANOTTI-BIANCO é CAFFI A.: La pace di Versailles, note e documenti (con 20 carte etnografiche c politiche) io —'
La Chiesa e i nuovi tempi 3,50
Raccolta di scritti originali di Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Meille - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi -Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
LETTERATURA
Arcari P. : Amici .... 2—
RELIGIONE E STORIA
I Buonaiifti E.: S, Agostino 2,70 • » S. Girolamo. 2 —
Cappelletti: La Riforma 6 — ; CHIMINELLI P. : Gesù di Nazareth .... (in ristampa} I — Il Padrenostro e il mondo moderno ....... 3 — ¡Costa G.j Politica e religione nell’impero romano. . 2 — I Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano ........ 6,50 I Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 7.50 ' Janni U.: Il dogma dell-Eucaristia e la ragione cristiana 1,25
Brauzzi U.: I Luciferi . 5 — ' Chini M. : F. M tetra! . . 2-1 Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nel-1 la mente di G. Mazzini.
i,5° Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne ....................2,50
Gallarati Scotti T. : La vita di A. Fogazzaro . . . . . io —
Jah'icr P.: Ragazzo . . 3,50
Brevi, pia vive pagine, di vita vissuta, scritte in uno stile che à i tratti duri, ma incisivi di alcune xilografie e che par più che dipingere trarre dal marmo dell’esposizione fredda la vitalità della statua" È tutto perfuso di una spiritualità fremente e d’una poesia dolorósa che in una prosa tutta speciale è più espressiva talvolta della stessa poesia.
Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 — Fanzini A.: Il libro di lettura p;r le scuòle popolari. 2 —
Papini G.i Parole e sangue.
3.50
Sheldon C.: Crocifisso! romanzo religioso sociale tradotto da E.Taglialatela. 2 —
Che farebbe Gesù ? . . i 2 — Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 —
Vitanza C.: Spiriti e forme del divino nella poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,50
— Le origini del potere temgione primitiva in Sardegna 6 —
Salvatorelli L.: introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni . . . . . 5 •—
—«La Bibbia » I ntroduzione al -!’Antico e Nuovo Testamen-,o • • • •............ 12,50
— Il .significato di ■ Nazareno » . . . . 1,50
TYRREL G.: Autobiografìa e Biografìa (per cura di M. D. Petre) ...... 15 — Ai nostri abbonali non morosi L. 10,50 franco di porlo.
Tyrrel G.: Lettera confidenziale ad un professore d’antropologia ...... 0,50
Vitanza C.: La leggenda del « Descensus Christi ad in-feros » .'...............1,50
Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75
X. La Bibbia e la Critica. 2 —
porale dei papi . . 5 —
LOIS Y A.: Jesus et la tradition évangélique...........4 —
— La Religion........5 —
— Mors et vita .... 2,25 — Epitre aux Galates. 3,60 — La paix des nations .4,50 Ottolenghi R.: I farisei antichi c moderni . . . . 4 —
PETTAZZONI R. : La reliI X. Lettere di un prete ino dernista . .•,... .» . 3,50
I La Bibbia (Versò Diodati^Edi< zionc ’9’9) 2,50
Nuovo Testamento, tradótte» e corredato di note e di prefazióni dal prof. G. buzzi 1,80
Nuovo Testamento e Salmi (e-dizione Fides et Amor) 3 —•.
Nuovo Testamento e Salmi ad' uso dei vècchi . . ... 2 —
I Vangeli e gli Atti degli Apostoli (edizione Fides et A mor) . . . . ... . . 1,80
I Salmi (Edizione Fides et Amor) . . . ' . . . ' 1,80;
Giobbe, tradotto dà G. Luzzi
1.80
Ianni U.: Il culto cristiano rivendicato contro la degenerazione romana . . . . j —
Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli
,3»5O
Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50
VÀRIA
; Bar Jona. : Ite missa est 5 — Carletti A. : Con quali sentimenti sonò tornato dàlia guerra . . . . . . 3.1 1,50 Del Vecchio Gì: Effetti morali del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 -lombardo Radice G.. Clericali e massoni di fronte a! problema della scuola. . . 2 —
Martinelli: Per la vittoria morale........ . 3,50
Major Rizzoli E: Fratelli c sorelle (Librò di guerra 1915-......... 4,50
Mettano F. : Croci di légno 3,50 I Niccolini E.: I contadini e la
terra ...... ... 2,50 I Papini G.: Esperienza futurista
3.50
|—Chiudiamo Jq spuoic 1 -Pioli G.: 'Educhiamo i nostri padróni ....... 2.50 Provenza! D. : Carta bollata da due lire . . . . . . . . 1 —
Scarpa A.: La scuola delle mummie . . . . . 1 —
• Bonavia C. : La tenda e la
I notte. ...... . . 3,50
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— Ill
ESTRATTI DELLA RIVISTA “BILYCHNIS „
i. Amendola Eva: Il pensiero religioso e filosofico di F. Dostoievsky (con tavola fuori testo: ritratto del D. disegnato da P. Paschetto).
1917, p. 40 . . . Esaurito
2. Bernardo (ira) da Quinavalle: L’avvenire secondo l’insegnamento di Gesù.
1917, p. 43. .... 0.80
3. Biondolillo Francesco: La religiosità di Teofilo Folengo (con i disegno). 1912,
p. 12................0,40
4. Biondolillo Francesco: Per la religiosità di F. Petrarca (con una tàvola). 1913» pagine 9..................0,40
5. Cappelletti Licurgo: Il Conclave del 1774 e la Satira a Roma. 1918, p. io. 0,50 ó. Cento Vincenzo: Colloquio
con Renato Serra. 1918, p. 11 . ..............0,60
7. Chiappelli Alessandro: Con tro l'identificazione della filosofia e della storia e pei diritti della critica. 1918, p. 12..................0.60
8. Corso Raffaele: Ultime vestigia della lapidazione (con 2 disegni originali di P. Paschetto). 1917, pagine ii.......... Esaurito
9. Corso Raffaele: Lo studio dei riti nuziali. 1917, pagine. 9 ....... 0.40 io. Corso Raffaele: Deus Piu-vius (saggio di mitologia popolare). 1918, p. 13. 0.75
11. Costa Giovanni: La battaglia di Costantino a Ponte Milvio (con due tavole e due disegni). 1913, p. 14. 1.50
T2. Costa Giovanni: Critica e tradizione. Osservazioni sulla politica e sulla religione di Costantino. 1914, pagine 23 ............... 1,50
13. Costa Giovanni.:. Impero romano e cristianesimo (con due tav.). 1915, p. 49. 2 —
14. Costa Giovanni: Il « Christus » della ■ Cines ». 1917, p. 11 ...... . 0,30
15. Crespi Angelo: Il problema dell’educazione (introduzio- ! ne). 1912, p. il. Esaurito ।
===== I Serie =====
16. Crespi Angelo: L’evoluzione della religiosità nell’individuo. 1913, p. 14. 0,50
17. De Stefano Antonino: Le origini dei Frati Gaudenti.
1915, p. 26 . .... . . 1,50
18. De Stefano Antonino: I Tedeschi e l'eresia medievale in Italia. 1916, pagine ¿7 ... . . . 1 —
19. De Stefano Antonino: Delle origini dei ■ pòveri lombardi » e di alcuni gruppi
valdesi. 1917. P- 23. 1 —
20. Fallot T.: Sulla sòglia (considerazioni sull*#/ di là) (con una tavola f. t., disegno di P. Paschetto). 1916.
p. 14 . .... .. . 0,50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario della Riforma.
1917, p. 18..........0,50
32. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d’una "rande sinfonia (Della Provvidenza).
. 1918, p. 16 . . . . . 0,50
23. ’ Formichi Carlo: Cenni sulle più antiche religioni dell’india (con suggerimenti bibliografici).' 1917, pagine 15 ....... 1 —
24. Fornari F.: Inumazione e cremazione (con quattro tavole). 1912, p. 6 . Esaurito
25. Gabellini M. A.: Olindo Gucrrini: l’uomo e l'artista.
1918, p. 17 . . . . . 0,50
26. Gambaro Angelo: Crisi Contemporanca. 1912. pagine 7 . . . . . '. . 0.30
27. Ghignosi P. A.: Lettera a R. Murri (A proposito di Cri-slianesitnn è guerra). 1916, p. 9 . • • • • • Esaurito
28. Giretti Edoardo: Perchè sono per la guerra. 1915, p. 11 .•■. . . . Esaurito
29. Giulio-Bonso Luisa: < La vita è un sogno » di Arturo Farinelli. 1917, p. 16. 0,50
30. Giulio-Bonso Luisa: La-mehnais e Mazzini (con una tàvola f. t.: ritratto del La-mennais). 1918, p. 40. 1,50
31. Giulio-Benso Luisa: Il sentimento religioso nell'opera di Alfredo Oriani. 1918,
P- 43 ...... 1.50
.< £Ó2 ::
32. Lanzillo Agostino: Il soldato e l'eroe (Frammenti di psicologia di guerra).
1918, p. 25 . . Esaurito
33. Lattes Dante: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico. 1918, p. 21. 1,25
34. Lonzi Furio: L'autocefa-lià della Chiesa di Salona (con undici illustrazioni).
1912, p. 16 . . . . . 1 —
35. Lonzi Furio:- Di alcune medaglie religióse del iv secolo (con una tavola c quattro disegni). 1913, pagine 21 ..... . 1,50
36. Leopold H.: Le memorie apostoliche a Roma e i recenti scavi di S. Sebastiano (Con una tavola). 191.6, pagine 14 . . . . . 0,40
37. Luzzi Giovanni: L’opera Spenccriana. 1912, pàgine 7 . ..............'. 0,30
3$. Masini Enrico: La liberazióne di Gerusalemme. Salmo. 1917, p. 2 . . 0,25
59. Mcille Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica.
1913» P- 31 in-320. . 0.25
40. Mcille Giovanni e Ada: Gianavello. Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschetto), 1918,p. 67 . . 2,50
41. Minocchi Salvatore: I miti babilonesi e le origini della gnosi. 1914, p. 43 . . 1,50
42., Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani.
1916, p. 16...........0,60
45. Müller Alphons Victor: A-gostino Favaroni (f 1.443) (generale dell’ordine Agostiniano) e la teologia di Lutero. 1914, p. 17 . 0,50
44. Murri Romolo: L'individuo e la storia (A proposito di Cristianesimo è guerra).
1915, p. 12 . . . . . 0,50
45. Murri Romolo: La religione nell’insegnamento pub blico in Italia. 1915, pagine 22 . . ; . . . 0,75
46. Murri Romolo: La « Religióne » di Alfredo Lóisy.
1918, p. 16 . .. . . . 1,25
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spése generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20). I
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
47. Murri Romolo: Gl’Italiani c la libertà religiosa nel secolo xvn. 1918, p. io. 0.50
48. Muttinclli Ferruccio: 11 profilo intellettuale di San Agostino. 1917» P- 8- °-4°
49. Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male. 1918,
p. 16 ...... . i — 50. Neal T.: Maino de Biran.
1914. p. 9 . . . • 0.50
51. Orano Paolo: La rinascita ^/dell'anima. 1912. p. 9. 0,50 52. Orano Paolo:. Dio in Giovanni Prati (con una lettera Autografa inedita ed un ritratto). 1915. p. 19- •, 1 — 53. Orano Paolo: Gesù e la
Guerra. 1915. p. 11. 0,50 54. Orano Paolo: Il Papa a
Congresso. 1916, p. 12 0,75 55. Orano Paolo: La nuova coscienza religiosa in Italia.
1917, p. 19 ..... 0,50 56. Orr James: La Scienza e la Fede Cristiana (secóndo il punto di vista conciliato-rista). 1912, p. 25 . . 0,25 57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo: Vescovo di Troyes.
1915. P- 39. ■ • • • • 1 — 58. Pioli Giovanni: Marcel Hé-bert (con ritratto ed un autografo). 1916, p. 23. 1 — 59. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze e previsioni (con sei tavole). 1917, p. 57 1,50 60. Pioli Giovanni: La fede
e l’immortalità nel « More et vita • di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy).
1917. P- 22 . ... . 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale e religione nelle opere di Sha-[’^kespeare (con cinque tavole)
1918, p. 46 . . . . . 2 — 62. Pioli Giovanni: ' Il catto-licismo tedesco e il «centro cattolico », 1918, p. 21 1,25 63. Pioli Giovanni: Lo spirito della Riforma e quello della Germania contemporanea.
1918, p. r i.........0,50
64. Pons Silvio: La nuova crociata dei bambini. 1914) P- 6................ Esaurito
65. Pons Silvio: Saggi Pa-scaliani. I. Il pensiero politico c sociale del Pascal.
II. Voltaire giudice dei
« Pensieri del Pascal »Ill.Tre 1 81. Rossi Mario: La chimica fedi-(Montaigne. Pascal, Al- ! del Cristianesimo/ (confc-fred de Vigny) (con due ta- . ronza religiosa). 1916, pa-vole fuori testo). 1914, pa- : gine 9 ....... 0.50 g,“C 30 ‘ ' • 1,50 *82. Rossi Mario: Esperie» •
66. Provenzal Dino: Giuoco zc religiose contemporanee.
fatto. 1917, p. 12 . . 0,40 1918, p. 13 ; . . . . 0,50
67. Provenzal Dino: L’anima religiosa di un eroe. 1918, p. 12 ...... . 0.75
68. Puglisi Mario: Il problema morale nelle religioni primitive. 1915, p. 36 . . 1 —
69. Puglisi Mario: Le fonti religiose del problema del male. 1917, p. 97 Esaurito
70. Puglisi Mario: Realtà c idealità religiosa (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy). 1918, p. 13 1 —
71 Quadrotta Guglielmo: Religione Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Sa-lahdra (con ritratto e una lettera di Antonio Salan-dra). 1916, p. 31 . . 1 —
72. Qui Quòndam: Visione di Natale. Frammento (con otto disegni di P. Paschetto)
1916, p. 7. . . . . Esaurito
73. Qui Quondam: Carducci e il Cristianesimo in un libro di G. Papini. 1918, pagine 11 ...... 0,50
74. Qui Quondam: La Carriola (La bruette) Dalle Mu-sardises di Rostand (con due disegni di Paolo Paschetto). 1918, p. 5 . 0,40
75. Rc-Bartlctt: Il Cristianesimo e le chiese. 1918, pagine io ... . Esaurito
76. Rendei Harris: I tre « Misteri ■ cristiani di Wood-brooke (Introduzione c note di Mario Rossi) (con un disegno di P. Paschetto). 1914 p. 27, in-320 . . . . .0,50.
77; Rensi Giuseppe: La ragione e la guerra. 1917, pagine 27 . . . . . . 0,75
78. Rosazza Mario: Del metodo nello studio della' storia dèlie religioni. 1912, pagine 7 . . . .. . Esaurito
79. Rosazza Mario: La religione del nulla (TI Buddismo) (con sei disegni).
1913.............. Esaurito
80. Rossi Mario: Verso il Con83. Rossi Mario: La « Cacciata della morte » a mezza quaresima in uh sinodo boemo del ’300 (Note folklorlche). 1918. p. 8 . . . . . 0.50
84.. Rossi Mario: I sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità- (Guerra di religione o guerra economica?). 1918, p. 17 . . . 0,50
85. Rostan C.: Lo stato delle anime dopo la morte se. condo il libro XI dell’Odis-sea, 1912, p. 8 . Esaurito
86. Rostan C.: Le idee religiose di Pindaro. 1914» pagine 9. .1..■. Esaurito
87. Rostan C.: L’oltretomba nel libro VI dell’« Eneide ». 1916, p. 15 • • • • .0,50
88. Rubbiani Ferruccio: Mazzini e Gioberti. 1915, pagine 15 ... . Esaurito
89. Rubbiani Ferruccio: Un modernista del Risorgimento (Il marchese Carlo Guerrièri Gonzaga). 1917, pagine 23 ...... 0,60
90. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (I e II). Cronache Cattòliche per gli anni 1912-1913 Esaurito
91. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo .(III, IV, V). Cronache cattoliche per gli anni 19x3 e 1914 (tre fascicoli di pagine complessive 52) ...... 1.50
192. Rutili Ernesto: La sopr pressione- dei gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi. 1914, pagine 6 .....................0,40
93. Sacchini Giovanni : Il Vitalismo. 1914, p. i± 0,50
94. Salàticllo Giosuè : Il mi-| sticismo di Caterina da Siena (con una tavola).
1912, p. io . . . . . 0,50
| 95. Salatiello Giosuè : 1.’umanésimo di Caterina da Siena
clave. 1913, p. 4 . . . 0,25) 1914; p. 10. . . . . 0,50
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96. Salvatorelli Luigi: La । storia del Cristianesimo? ed i suoi rapporti con la storia civile. 1913, p. io Esaurito '
97. Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa. 1913, p. 25 in-320.............0.25
98. Tagliatatela Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto .del Pascoli e 4 disegni di P. Paschetto).
1912. p. 11 . . . . . 0,75
99. Tagliatatela Alfredo:. Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo Paschetto). 1912, p. 8 . 0,25
100. Tagliatatela Eduardo: Morale c religione, 1916, p. 40 11. Fattori Agostino : Pensieri dell’ora (Leggendo il « Colloquio con Renato Serra » di Vincenzo Cento). 1919» pagine 13. •_............°-5°
2. Di Rubba Domenico: La fede religiosa di Woodrow Wilson. 1919, p; 29 . . . 0.50
3. Fra Masse© da Pratoverde : Intermezzo sacramentale (A proposito di Unione delle Chiese Cristiane). 1919, pagine 17 ...... 0.75
4. Dell’Isola M. e Provenza!Dino: C’è una spiegazione logica delta vita? 19I9, p. 12 0.60
5. Billia Michelangelo: sii vero nomo. 19*9. P- 7 • • °.5°
6. Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919, pagine 13 ...... 0.50
7. Cadorna Carta: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541.
1919. P- 7...........o.5°
8. Masini Enrico: Epistolaai fratelli di buona volontà. 1919. p. 11 ....... 0.50
9. Marchi Giovanni: Il « Confiteor » dei giovani. 1919, p. 8 . . ..............0,50
io. Qui Quòndam: Dopo-guerra nel clero. 1919. P- >4- °.6o
il. Tucci Paolo: La guerra e ia pace nel pensiero di Lutero. 1919. P- 3* • • *.5°
12. Pavolini Paolo Emilio: Poesia religiosa polacca. 19*9. pagine 8 ...... 0,50
101. Tagliatatela Eduardo: Lo insegnamento-.religioso. secondo odierni pedagogisti, italiani. 1916, p. 9 . . 0,50
102. Tanfanl Livto: Il fine dell’educazione nella scuota dei gesuiti. 1918. p. 27 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno (con ritratto del Bruno: disegno di P. Paschetto). 1917. p. 19 • . • • •
104. Trivero Camillo: La ragio-ncela guerra. 1917« P-i5°«4°
105. Tucci Paolo: La guerra nelle grandi parole di Gesù.
1916. p. 27.......... 1 —
106. Tucci Paolo: Il Cristianesimo e la storia (A proposito di Cristianesimo cI guerra). 1917, p. 9 . 0,50'
===== II Serie =
13. Pioli Giovanni: In memoria del P. Pietro Gazzbla. 1919, p. 15. , • . . . i;5c
14. Provenza! Dino: Ascensione eroica.; 1919. p. 14. 0.S0
15. Bensì,Giuseppe: Metafisica c lirica. 1919. p. 15 . . I —
16. Falchi Ma rio: C’è una spiegazione logica delta vita? 1919 p. 8 ........ 0,40
17. Costa Giovanni : Giòve ed Ercole (contributi allo studio della religione romana nell’impero), con quattro tavole. 1919. p- 27 . . 2 —
18. (**♦) Mancanze di garanzie nello Schema e ne! nuovo Codice di diritto canonico e saggio su le fonti. 1920
P- 52 ....... 3 —
19. Delta Seta Ugo: La visione 1 morale della vita in Leonardo da Vinci. 1919, pa, gine 31 ...... 2 —
20. Losca Giuseppe: Sensi c pensieri religiosi nella poesia di Arturo Graf (con due tavole);. T914-1919. pagine 40
2 —
21. Nazzari Rinaldo: Intelletto e ragione. 1919, p. 15. 1 —22. Ferrétti Gino: Le fèdi, le idecc la condotta. 1919. pagine 50 ...... 2 —
23. Cento Vincenzo: L’Esscn-. za del Modernismo p. 52 3 — 24. Minocchi Salvatore: Un disinganno delta scienza biblica? (I papiri aramaici di Elefantina) pag. <i . . . I —
107. Vitanza Calogero: Studi Commodianei. I. Gli Anticristi e l’Anticristo nel « Carmen apologeticum » di Com-inodiano. II. Commodiano Doceta? 1915, p. 15 . . 0,75
108. Vitànza Calogero: L’eresia di Dante. 1915. pagine 13 ... . Esaurito
109. Vitanza Calogero: Satana nella dottrina delta redenzione. 1916. p. 19 1 —
no. Wigley Raffaele: I me-todi idella speranza (Psicologia religiosa). 1913. pagine. 14 . . - . Esaurito in. Wigley Raffaele: L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa). 1915, p. 39. 1 —
25. Corso Raffaele: La rinascita dèlia Superstizione nell’ultima guerra, p. 20 . 1.50
26. Colonna di Cesarò G. A.: La guèrra europea dal punto di vista spirituale, p. 15 1,50
27. Arcari P.: Atteggiaménti della pittura religiosa di Eugenio Burnand, p. 14 . 1,50
28. Luzzi G.: A uno studente del sec. XX è egli ancora possibile d’essere cristiano?
pag. 12...... . . . 1 —
29?“ Momigliano F.: I momenti del pensiero italiano (dalla Scolastica alla Rinascenza) pag. 12 . . . . . ... 1.50
30. Thompson Fr.: Il veltro del cielo (Versione di M. Praz) pag. 8 / . . . . . . . 1-50
31. Tucci G.: A propòsito dei rapporti fra Cristianesimo e Buddhismo p. 12 . . . 1,50
32. Mueller V. A.: G. Perez di
Valenza O. S. A. vescovo di Chrysopoli c la teologia di
Lutero, pag.' 15. ... . 1,50
: 33. Troubctzkoi E.: L’utopia bolscevica ed il movimento religioso in Russia, p. 15 1,50 34. Momigliano F.: L* educazione religiosa di G. Mazzini, pag. io '. . . ... . . 1,50 ! 35. Formichi C. : La dottrina । idealistica delle«Upanishad», pagvi6 ........ 2 —
; 36. Corso Raffaele: Folklore Biblico, pag. 16 ... 2 —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiùngere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazióne deU’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
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The University of Chicago Press - Chicago (Illinois)
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
ESTRATTO DEL CATALOGO (continuazione e fine)
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RELIGIONE
The university of Chicago publications in religious education.* ;
Edited by Ernest D. Burton, Shailer Mathews, and Therodore G. Soares.
Constructive .Studios. (Classified according to ago and grade).
The Sunday Kindergarten: Game. Gift, and Story. By Carrie S. Ferris. Teacher's Manual, xxvi-272 pages, 120, cloth ..... doll. 1,50
Permanent equipment for each pupil ........ ..... 1,50
Temporary material for each pupil ...... ....... 0,50 illustrated Story Leaflets . . . . . 0,75 Child Religion in Song and Story. By
Georgia L. Chamberlin and Mary Root Kern.
First Book. The Child in His, World. (Teacher’s Manual) . . . 1,25
Second Book. Walks with Jesus in His Home Country. (Teacher’s Manual) . . ......... 1,25
/Im Introduction to the Bible for Teachers of Children. By Georgia L. Chamberlin. A Manual for Teachers of children from trine to eleven years of age. xxxvin-206 pages, 12° cloth ....... . . 1,00
The Books of the Holy By Georgia L. Chamberlin. A notebook to be. used by the children in Connection with An Introduction to the Bible for Teachers of Children. Illustrated. 100 pages, 8°, paper . 0,35
The Life of Jesus. By Herbert W.
Gates.. (Teacher’s Manual) xviii156 pages. i6®, cloth . . . . . . 0,75
Old Testament Story. By Charles H. Corbett. (Teacher’s Manual) xiv-216 pages, la0; cloth.......... 1,00
The Story of Paul of Tarsus. By Louise Warren Atkinson. (Teacher’s Manual) xxxiv-194 pages, 120, cloth ...... 1.00
Heroes of Israel. By Theodore G. Soares. (Teacher's Manual) xxx-240 pages, 12°, cloth...............1,00
Studies in the Gospel According to Mark. By Ernest De Witt Burton. xxx-248 pages. i2°. cloth . . f.oo
Studies in the First Book of Samuel.
. By Herbert L. Willett, xxxviii-306 pages, 12°, cloth .... : • . 1,00
The Life of Christ. By Isaac Bronson Burgess. Adapted from The Life of Christ, by Burton and Mathews. 308 pages, 8°, paper . . 0,90
The Hebrew Prophets, or Patriots and Leaders of Israel. By Georgia Li Chamberlin, xvm-238 pages, 8°, paper •....... . ... . 0,90
A Short History of Christianity in the Apostolic Age. By George H. Gilbert, x-240 pages. 8®, paper . 0,90
The Life of Christ. By Ernest De Witt Burton and Shailer Mathews. 302 pages, 8®, cloth . . . 1,25
The Problems of Boyhood. By Franklin W. Johnson; xxvi-130 pages, 120, paper .......... 0,70
Lives Worth Living. By Emily C. Peabody, xiv-188 pages, 12°, paper ............. 0,70
The Third and Fourth Generation: An Introduction to Heredity. By Elliot R. Downing, xn-164 pages, 12°, paper ...... ... 0,70
Social Duties front the Christian Point of View. By Charles R.
Henderson, xiv-332 pages, 12®, cloth ........ . . . 1,25
Christianity and Its Bible. By Henry F. Waring, xxn-370 pages,, 120, cloth . . . . . 1,25
Christian Faith for Men of Today. By Ezra Albert Cook, xiv-260 pa-' ges, 12®, cloth ......... 1,25
Great Men of the Christian Church.
By Williston Walker, x-378 pages, 12®, cloth .......... 1,25
Religiuos Education in the Family.
By Henry F. Cope, xn-296 pages, 12®, cloth . ■....... . 1,25
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^.rin.cipjes and methods of .religious education.
The City institute for Religious Teachers. By Walter Scorr Athearn;
XIV-i53. pages, 16®, cloth dol)'. 0.75
A Survey of •Rcligioifs- Education in the Local Church. By William C. Bower, xvi-178 pages. 16®, cloth . 1,25
The Sunday-School. Building and Its Equipment. With 42 figures. By Herbert F. Evans, xvi-116 pages, 16®, cloth................. . . 0.75
Recreation and the Church. By Herbert W. Gates, xiv-186 pages. 16®. cloth ...........................1,00
The Church School of Citizenship. By Allan Hoben. x-178 pages. 16®. cloth . . . . . . . . . r.oo
Graded Social Service for the Sunday School. By William N. Hutchins. xn-136 pages, 16®, cloth .. . 0,75
The Dramatization of Bible Stories.
By Elizabeth E. Miller. Xiv-162 pages, 16®, cloth . > . . . . . . 1.00
Handwork in Religious Education. By Addie Grace Wardle, nviii-142 pages, 16®, cloth.................1.00
Handbooks of ethics and religion.
The Religions of the World. By. George A. Barton, x-332 pages, 12®, cloth. (Revised edition in press.) . 1,50
The Psychology of Religion. By George A. Coe. xvm-366 pages. 12°.
cloth ............ 1.50
The Origin and Growth of the Hebrew Religion. By Henry T. Fowler. xvi-190 pages, 12®, cloth . . 1,00
The Story dftthc^New Testament. By Edgar J.Goodspekd. xn-150 pages. •i2®,Mc)oth'. ’. . “ . . ". . . 1.00
How the Bible Grew. By Frank Grant Lewis. '240 pages. 12®,-cloth.....................• .1.50
The Ethics of the Old Testament. By Hinckley G. Mitchell, x-418 pages, 12°. cloth . .... . 2.00
The Spread of Christianity in the Modern World. By Edward C. Moore. xii-354 pages, crown 8®, cloth . 2.00
The Life of Paul. By Benjamin W. Robinson, xiv-250 pages, 12®, cloth . . ./ •. . /. . 1,25
Outline Bible-Study Courses (The American Institute of Sacred Literature).
Four Letters of the Apostle Paul. With map. By Ernest D. Burton. 20 'pages, royâl 8°, paper . . . . S' . . 0,50 ? n?i' :
TZfi Life, of the Christ, With map. By ' Ernest D. Burton. 72 pages, royal 8®. paper... . . ... . . . . 0.50
The Origin and Teaching of the New Testament Books. By Ernest D. Burton and Fred Merrifield.
102 pages, 12®, paper..............0,50
The Origin and Religious Teaching of the Old Testament Books. By Georgia L. Chamberlin. 70 pages royal 8®. paper ......... 0.50
The Gospel of John, By Edgar J.
-Goodspeed. 44 page's, 12®, paper . 0,50
The Foreshadowings of the Christ. By William Rainey Harper. 68 pages, royal 8®, paper . . . . . . 0.50
The Work of the Old Testament Priests.
By William Rainey Harper. 46 pages; royal 8®, paper . . . ... 0.50
The Work of the Old Testament Sages.
By William Rainey Harper. 70 pages, royal 8®, paper ...... 0,50
The Message of Jesus to Our Modern
Life. By Shailer Mathews. 98 pages, is®, paper . . .... . . 0.50.
The Social and Ethical Teachings of
Jesus. By Shailer Mathews. 66 pages, royal 8®, paper ...... 0,50
The Problem of Suffering in the Old Testament, By J. M. Powis Smith.
12®, paper . .'•> . . . . . . 0.50
The Universal Element in the Psalter.- • By J. M. Powis Smith. 40 pages, royal 8®, paper . . . ... . z . 0,50
The Message of the Prophets of Israel to the Twentieth Century. By Herbert L. Willett. 98 pages. 12®, paper ............ 0.50
The Book of Revelation, By Shirley J. Case. 38 pages, 12®, paper., . . 0.50.
The. Realities of the Christian Religion.
By Gerald B. Smith and • Theodore G. Soares. 58 pages, 12°, paper ., ...... . . . . . 0,50
Sui prezzi dèi presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Llb. Hai. 15-IV-20/.
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IL SEMINATORE
ANNO XIII
PERIODICO MENSILE DELL’U. C. A. B.
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FRATERNO MESSAGGIO
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BATTISTI D’AMERICA
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Si invierà gratis una copia a quanti ne faranno richiesta alla CASA EDITRICE “ B1LYCHNIS --- Via Crescenzio, S — ROMA, 33 -
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BILYCHNß
RIVISTA DI STVDI RELIGIOSI
EDITA- DALLA-FACOLTÀ- DELLA-SCVOL A-JsS SSSiSLTEOLOGICA- BATTISTA-DI-ROMA
Anno IX - Fasc. IX. ROMA - SETTEMBRE 1920 _ Vol-XVI.?
RAPPRESENTAZIONI ED INTUITI DEL DIVINO IN GAETANO PREVIATI
aetano Previati ebbe un’inclinazione perspicua e gagliarda a concepire grande e solenne. Fra i molteplici soggetti del compiaciuto benessere borghese o dell’epidermica voluttà panica egli è senza dubbio passato insoddisfatto ed alieno.
Lo attirarono invece martiri e flagelli: il dilagante lutto della Guerra, l'antitesi e il simbolo di una pia fanciulla nei tempi barbarici, e, nel quadro esposto a Torino nel 1891, l’onta di Cesare Borgia a Capua. Lo attirò la maestà della nostra
democrazia medieva, grandeggiante in illimitata offerta alla patria ed ecco i disegni per il trittico della Battaglia di Legnano ed in essi la perfetta preghiera di coloro che vanno a morire e negli Ostaggi di Crema — compiuti nel 1879 oggi a Brera — oltre le forze umane la volontà di morire liberi. In un periodo nel quale l’antiitalianità infuriava nella borghesia così come oggi nel proletariato, si raccolse ad interpretare gli strazi austeri di Antonio Sciesa e di Carlo Alberto a Novara, volgendosi con istintiva preferenza a quelle pagine di storia nostra dove fosse più immane e solitario il sacrifìcio, così come poi nel trittico L’Eroica disposò ed avvinse in profondissimo legame gli entusiasmi della santità e della gloria, mirando a determinare una coscienza concentrata e sacra del coraggio e del suo trascendente significato nell’eredità della stirpe.
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BILYCHNIS
Questa spontanea disposizione a celebrare, con qualche grandiloquenza, le vittorie dello spirito, appare nella vasta scena dove Col Funerale di una vergine alto passa la candida morta come inaccessibile trionfatrice sull'ampio svolgersi di un corteo muliebre compreso di superiori dignità e trasporta seco ella, definitiva, in lina regione immune i fantasmi soavi di eterno femminile che il Cremona ed i suoi contemporanei lombardi perseguirono di più appassionate domande. Appare nella Processione della Vergine di un ritmo scultorio, costituito dalla realtà delle persone che la compongono, autonomo ed indipendente dal concorso suggestivo dell'ora del giorno.
Tra il popolo suo che la riconduce a regnare sulle umili case dei mortali, nella compattezza colle turbe che la circondano di tanto amore, nell'intero dominio su coloro che, accompagnandola, vogliono professare e confessare la verità, eccelle veramente come duce di temibile oste schierata in campo. Appare, ancora, per la idea scenica e per i risultati raggiunti nella Vergine dei gigli, nell'Assunzione della Vergine, nel Sonno del Bambino. La melodia che accompagna la Vergine alle soglie del cielo si ripercuote ad ondate distanti sino agli orli del trittico, propagando dal centro, in cui cinque angeli fluiscono più immediati dietro il suo librarsi, l’esaltazione dell’umile creatura. Il Sonno del Bambino può far pensare piuttosto che ad un quadro ad un bell’alto rilievo pregiottesco, per quél, un po’ arcaico e scultòreo, parallelismo della curva delle teste degli angeli che coronano così bene la curva abbandonata del Dormiente.
Anche quando ebbe, dopo il 1890, rinvenuta la materia che più gli si attagliava, anche quando ebbe tralasciato il suo abito e vinta la sua tentazione di narrare dipingendo, anche quando si concesse meno spazio e più raramente si permise di veleggiare per l’immenso, ci imbattiamo in qualche bella disposizione architettonica, di classifica imponenza. Così nel Cristo e l’adultera la scena si imposta nel parallelismo fra le colonne e le figure, fra le due basi di colonna, cioè, e le due figure in primo piano; nell’Ecce homo si imposta, ancora, nel parallelismo del Maestro alla colonna e della Vergine e dei discepoli, unici testimoni più addietro. E nella Via al Calvario vi è un analogo parallelismo fra le piante ed i due gruppi che, salendo, si seguono, sottolineato dal concorrere delle linee della strada, delle figure e degli alberi verso il Golgota che non si vede. Quando Gesù cade per la prima volta, quando Gesù è spogliato, tutta la gente che l’aiuta a risollevare la croce ponta sopra di Lui giacente, sopra di Lui incombe nella furia selvaggia di denudarlo. Sempre nella Via Crucis, ora obbedisce ad un chiaro proposito di tutto convergere allorché Gesù incontra la Vergine e nel serrarsi di Maria e di San Giovanni intorno al Crocifìsso; ora, invece, rompe e allontana i testimoni, respinge quasi le dolenti perchè più sia isolato il martellare dell’inchiodatore, alto a ribattere il chiodo nella palma sinistra.
In una Crocifissione, sopratutto, lascia fra le due croci già piantate, tra i due ladroni già crocifissi; tutta vuota una sommità di monte d’aria e di cielo perchè la terza croce vi si alzi come in un trono, ultima ed incomparabile.
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IL DIVINO IN G. PREVIATI
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Siffatto coerente bisogno di magnificenza, individuato e superstite nelle maniere più lontane del Previati, via via che il pittore ferrarese ebbe più netta coscienza dei principi e dèi fini dell’arte propria, venne accompagnando e disparendo in un vivido bisogno di fulgidi prodigi. Alla mèta del solenne e del monumentale o si oppone o sottentra e pienamente succede l’indirizzar: i verso una vetta od unità di splendore. Ed il Previati, che talvolta tutto si aff da alla linea scultorea, con maggiore efficacia, con,più felicità si afferma, quando si affida alla luce. La sua Assunzione della Vergine, ad esempio, è risolta dalla luce perchè dalla sola apparenza scultoria le verrebbe appena un che di sapientemente combinato.
Gli iniziatori naturali del Previati al divino sono, dunque, queste sue due istintive sensibilità della magnificenza della linea e dello splendore della tinta. Il quale splendore della tinta, 0 la qual onnipotenza della luce a lor volta — sono sì spesso accusato di schematismo che posso concedermi il lusso e l’agio pur di un’altra suddivisione! — agirono e maturarono in lui il sentimento dell’ultraterreno in due forme: l’una soffermandolo con novissimi incanti, l’altra trafiggendolo e facendolo patire delle intensità del colore come di inaudite invenzioni di offesa.
Il prodigio Annunciazione — bellissimo quadro ma ancor più preordinato della Madonna dei Gigli — è nell’effetto fantasmagorico di quella luce che, sorgendo alle spalle dell’angelo, investe la Madonna e la pone in risalto qualche po’ artificiato e riflesso; nel Verbo il prodigio è in quella subitanea incandescenza di luce che dal Bimbo si diffonde sulla Madre; nella Caduta degli Angeli l’onnipotenza di Geova vittorioso si rifrange e riecheggia nel sole che di sotto in su avvolge ed infiamma lo stuolo vinto e precipite; neìY Adorazione dei- Magi rifulgono tutti i doni fastosi dell'Oriente intorno a Colui che è venuto; e nelle Comunicando esulta un nuovo miracolo gentile, in lievità soave di candidi affetti, di trasparenti pensieri.
Stiamo per giungere a prodigi luminosi che non scintillano e non dileguano rapidi al par di una festa, ma ci ristorano di dolcezza come nel Funerale di una Vergine; ci balenano-dal cielo dischiuso come nella Processione tutte le meraviglie promesse dai veggenti d’Israele; ci tralucono «per l’impalpabile aere commosso» il compiacimento di Dio come nel Battesimo di Gesù. Del quale scriveva, il Nico-demi «è una luce sola; un vivo agitarsi-di molecole d’oro che riempie la scena, e comprende tutte le figure, e pone in un vaporare di sentimento esultante di trionfo le figure di Cristo e di Giovanni ».
Trattata e vezzeggiata così, la luce sboccia in forme floreali mentre il poeta pittore si innebria in un profluvio di concordanze fra l'infanzia della figura umana e la fragile primavera dei boccinoli virginei, fra tutte le età del vivere e divine forme sorelle lussureggianti sotto il bacio del sole. Un’ineffabile dolcezza di sogno pervade, in armonia di letizia, la Madonna dei gigli dove luce, steli, corolle, Madre e Bambino sono della stessa natura di vita, e nel Verbo le due teste di angeli adoranti si inchinano come nel trepidare di una istessa aiuola.
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Circondata, quasi da una corte fedele e seguace, dal susurro delle frondi c dal rutilare dei colori più ricchi, emergendo da ghirlande, da cespi, da turbe e da ridde di fiori, la maternità umana, trionfante in un aprile fantasioso, ascende a trasfigurarsi nella maternità divina, sotto la volta più azzurra e più lontana. 11 Previsti, gran signore e grande amante della luce, ne trova supreme dovizie e supremi portenti per circonfonderne la madre del Redentore. Che, nella Sacraiamiglia, pur provenendo e formandosi così come ¿’abbiamo vista provenire e formarsi, è isolata dalle fecondità umane celebrate dal Segantini, posta sul limite dell’infinito, restando nella natura solo peravere negli orizzonti templi più consoni di quelli elevati degli uomini.
Ristretta in un tondo la Sacra famiglia è, poi, soltanto cara intimità c distribuzione accorta su tre teste della luce che vien dalla destra e dall'alto. Sono così ben rischiarate esse! in luce il Figlio, in mezza luce la Vergine, e San Giuseppe, tutto in ombra come l’età sua che si ritrae reverente all’Aurora di Lui.
La luce, però, non è sempre un godimento: colle sue turgidità e colle sue estenuazioni scande le prime battute dei drammi. Vibra il preludio col paesaggio ignudo e col risvegliarsi del cielo nella Fuga in Egitto', collabora quando sopra Gesù che esala lo spirito arde e minaccia nell'orizzonte, quando si corruga nel Calvario, quando vien meno e si distilla nella Salila al calvario.
Avviene che essa operi con asprezza di tagli e con rudezza di contrasti: nel Gesìi in croce le ombre sono così accentuate che ne resta franta la stessa unità del corpo divino e gli effetti spezzano le membra del Paziente con tortura nuova; nel Golgota tutta la luce è sulla crudeltà delle tre croci non restando che ombra sulle donne che piangono; nelle Marie ai piedi della Croce, i piedi inchiodati sono il centro di un circolo di luce che comprende le tre teste in una stessa sfera dominante; nello Spasimo, dove Maddalena è sotto la croce, la luce giunge tutta solo da questa e di dietro e da più lontano di essa.
Avviene che la luce operi per eccesso come neH'insistere di un tono di amore e di passione: ed è infatti di fuoco e di porpora nel manto rosso del Cristo così largo dalla partenza sino all'incontro colle Marie.
Avviene, infine, che essa operi per difetto, e, giungendo la notte nell’unità di giornata della tragedia, quasi con procedimenti fiamminghi. Quando il busto è inchiodato la poca luce si riassume nelle carni; quando è crocifisso, tutto è consumato nel mondo sino alla luce fisica di cui appena un ultimo barlume sfiora la divina fronte; quando il corpo è deposto essa si spegne sui gruppi confusi; quando è sepolto è già sostituita dallo scoppiettio di un lucignolo breve; quando è trafugato, si allunga sulla scena una superba suggestione di chiarori notturni. E pertanto, concludendo, quando la luce è prodigio introduce il Previati agli effetti del divino, quando è lotta e resistenza gli traduce e gli parla il dolore della Passione.
III.
Tutte espressioni affettive le poche espressioni angeliche che ritroviamo nell’opera del Previati: no\V Assunzione, nel Verbo, nel Sonno del Bambino.
Gli angioli sono l’affetto puro, disciolto dalle circostanze, libero dalle ansie
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Gaetano Previati (autoritratto)
P. ARCAR!, Rappresenta zloni ed Intuiti del divino in G. Previali — TAV. I.
[III-1X-1920]
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del tempo. E pur non significano che avvio dalla terra verso il regno delle cose sperate. In tutta V Assunzione, dove c’è più vita che calma di estasi, gli angeli sono partecipi di un grande e confidente movimento umano. Non appaiono « astore : spar- / viero, falcone, così Dante nel Purgatorio chiama gli angeli celestiali », messi divini scesi per l’ordine determinato di una breve missione dalle dimore beate, ma li diresti formati in terra insieme colla Vergine e della sua famiglia medesima.
Istessamente umani, mansueti e teneri sorgono nel Verbo, vegliano la placidità del Sonno del Bambino, unanimi al suo respiro, dolcemente sospesi in un timore, esso pure infantile, di disperdere col solo loro alito il visibilio di tanta leggiadria.
Altra volta, invece, l’affetto ha un diverso riposo, il riposo grave degli uomini maturi. Così nell’ultimo quadro della Via Crucis, nel Gesù sepolto. Nel quadro precedente, nel Gesù deposto, l'artista aveva riunito tre volti, due di donna e uno di uomo, i volti così eloquenti di Maria, della Maddalena e del Cristo, con pienezza traboccante di amore e di dolore: qui, subito dopo, e forse con qualche intenzione simmetrica, ha riunito tre teste tutte e tre di uòmini, per rappresentarci a lato della carità femminile, fatta di slancio e commozione, la carità virile, bella, austera, ’dominata e composta.
Nel Trafugamento del corpo del Signore, l'affetto si invigila e si reprime per le condizioni dell’opera, per una necessità che promana dallo scopo prefisso: i trafugatori sorvegliano se stessi, sorvegliano il proprio amore, difendono con cautele di lentezza e di silenzio l'azione pia che può essere sorpresa, interrótta ed impedita.
Per tutto ciò, gli angioli ed i bimbi per una ragione, gli adulti ed i vecchi per un'altra, le creature angeliche e mortali lasciano a Maria ed al Redentore gli accenti più lirici, le significazioni pili vive e più urgenti dell'affetto: servono appena a prepararci all’alta temperatura spirituale in cui vivono le figure centrali del racconto evangelico.
L’idillio domestico, contemplato lungamente e ritratto con trasporto di ammirazione nella Maternità — esposta a Milano nel 1891 —- nel movimento gentile, nel grido giulivo di Mammina in un'esultanza di serenelle, nell’effusa dolcezza e fra le biondeggianti messi di Georgica, si espande colla Sacra famiglia in una certa coscienza trionfale degli affetti santi, in una specie di consapevolezza felice di cospirare ai fini ed alle eterne volontà. Si sente qui infatti — e mi riferisco soprattutto alla posteriore riduzione in tondo — insieme con qualche vezzo preraff adita, il ristoro umano della coscienza tranquilla nella cerchia salda di puri e profondi legami, l’illuminarsi dei cuori innocenti e delle esistenze umili, nella sicurezza della benedizione di Dio. Non è una religione assottigliata di teologi quella che ha ispirato la creazione di Gaetano Previati, ma una religione tepida ed indulgente di padri e di madri. C’è, insomma, la sostanza della rivoluzione compiuta nell’apo-logia estetica da Alessandro Manzoni che il Previati venne con lungo studio amoroso illustrando: c’è — per ripetere l’espressione del De Sanctis — «la democrazia cristiana di un mondo riconciliato e concorde », la democrazia degli Inni. Il Bambino, che nella Madonna dei Gigli vorrebbe scivolar via dal grembo materno
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per cogliere il grappolo dei bei petali candidi, qui si volge ad accarezzare con dolce piccolo gesto sotto il mento San Giuseppe, il San Giuseppe orante e tradizionale, quel San Giuseppe cui vien spesso conferito, analogo ai gigli, il simbolo del bastone fiorito. Maria, rapita a seguire l’atto pieno di grazia, abbassando un po' la testa, contempla ed accompagna umile e protettrice, con docilità sommamente materna, le rivelazioni iniziali di quella Vita divina. Lo reca in modo da apparire la prima dei suoi fedeli, sicché Egli sta e sfolgora, dal quadro II Verbo, nel grembo materno come su di un trono e nc\V Adorazione dei Magi, innanzi alle dovizie recate dai sapienti della terra, fruisce il Piccolo già dell'ampia culla che Maria gli compone del Le sue ginocchia, perdendovisi, quasi, in perfetto riposo. Sempre, del resto, riesceS < Previati ad esprimere questa infinita sicurezza colla quale l’infante-sogna sul seno della Vergine e ove si voglia cercare un superamento, una trascendenza, una maggiore divozione dell'artefice innanzi al proprio argomento, stabilire in qual modo egli pervenga a riconoscere la Prescelta da Dio, a penetrarci di fragranza più mistica, a collocarsi ed a collocarci in un atteggiamento più religioso, occorre cogliere la coincidenza fra il progresso e l'abnegazione dell'affetto ed i primi tratti di presentimento e i presagi del Golgota. Di tre sue ineffabili Vergini che guardano dormire Gesù, una sola, godendo di delicata meraviglia, anzi un po’ distaccata dalla propria creatura, lo adora senza trafitture. Le altre, — una delle quali è conosciuta come la Madonna degli sposi o la Madonna delle Nozze, — gli si fanno tutte vicine, per respirare del suo picciol respiro. La Madonna degli sposi, avvolgendosi attorno e come fasciando di sé il Bimbo, gli appoggia sulla fronte la gota; l'altra, la Mater dei, è col Bambino in contatto soave e raffaellesco di tempia e di guancia, sul confine della sua intensa luminosità, ed è fatta immobile dal timore di poterlo svegliare, ma prima che d’altro dall'essersi rassegnata alla missione ed alla passione che lo aspettano.
Così l’affetto di Maria riesce e conduce, semplice e sobrio, al dolore. Dove per ogni tratto ci guida la mansuetudine del Buon Pastore. Guardate Gesù e l’adultera! Come il Maestro è oppresso dalle colpe della perseguitata! Come gravano su di Lui, anzi, in quell’istante tutti i peccati della terra! Una vittoria e, si potrebbe dire, una riscossa dell’affetto sul dolore è nella stazione della Via Crucis dove Veronica asciuga il volto del Redentore. In quel momento Egli, per ricompensare la carità, dimentica tutto il peso della Croce: quasi più non la porta e la croce avanza, sembra, da sola. Bellissima intuizione ed immersione in pensieri divini; prodigioso sfavillare della carità, unico ricambio umano dell’Amore onnipotente, unica ricchezza quaggiù che possa pagare il prezzo infinito della riconciliazione e del riscatto.
Ma perchè nell’altra scena del Cireneo la faccia di Simone non si vede affatto? Perchè con tanto rigore di soppressione si concentra il Previati sul volto del Cristo? Perchè il peso, in quel momento rimosso e sopportato da altri, strapiomba ancor più enorme sul Redentore?
Il Previati non può arrestarsi sul simbolico sottentrare di un pagano sotto la croce infamata da Israele. Egli è impaziente di rendere in mille forme il contenuto più prezioso e sanguigno del sublime racconto: il Dolore.
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PREVIATI, Trafugazione del corpo di Gesù (dipinto ad olio)
P. ARCAR!, Rappresentazioni ed intuiti del dloino in G. Prediali — TAV. II.
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(dalla J*7à Crucis di G. PREVIATI - dipinto ad olio)
P. ARCAR!, Rap* rullar.:,ni ed intuiti del ditiino in C. Predali - TAV. Ili.
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IL DIVINO IN G. PREVIATI
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IV.
Il raccoglimento di Gaetano Previati a meditare ed a rappresesentare con insistenza e prevalenza il dolore fu, certo, energico moto di reazione, bisogno urgente di essere interprete di una coscienza più addentrata e seria degli aspetti del reale e dei genuini valore ideali. Ma questa reazione si collega, a mio avviso, più agli indirizzi ed agli atteggiamenti spirituali dell’ottocento che ai periodi ed alle scuole della nostra grande stagione pittorica; ma questa interpretazione è determinata dà prepotenza di visione soggettiva prima ancora che da sforzo sintetico dei nuovi impulsi della società circostante.
Reazione antipagana e reazione anticlassica non sonò termini interamente sinonimi: e trovo nel Previati il merito d'aver partecipato alla prima più evidente e maggiore del suo ricongiungersi alla tradizione della seconda.
Giorgio Nicodemi — che ho già citato e che si deve e piace sempre citare per l’impeto di giovinezza e di ammirazione del saggio L’arte religiosa di Gaetano Premati (1) — avvertendo qualche volta nel suo autore gli accenti del Greco (11625), ha rievocato la severità, la tragicità, la nervosità dei pittori coetanei della santità di Carlo Borromeo. E, senz’altro, ha ricongiunto il Previati colla temperie della fine del decimosesto e del principio del decimosettimo secolo: «La fioritura artistica religiosa che si svolse dopo il Concilio tridentino con le opere, intense e profonde, di Domenico Theotocopoli, di Michelangelo Melisi, di Mattia Preti, di Pier Francesco Mazzucchelli, di G. B. Crespi e di altri molti, mutò il corso di un'arte sapiente e del tutto formata, per rivolgersi a ricerche nuove, fatte di purezza e di commozione ».
Ma, nel Seicento, l’indagine del dolore, favorita dai fattori sopradescritti, ebbe impulso insieme dalla disperata rinuncia a superare o ad uguagliare i capolavori della età aurea, così vicina ancora e così lontana; significò quindi ricerca ostinata e temeraria del nuovo, del diverso, del difforme sia pure, mentre riprese le curiosità e le diligenze anatomiche del Quattrocento, agitato sì esso, ma da un virtuoso tripudio innanzi alle leggi armoniche via via discoprentisi.
Qui invece c’è reazione 0 abiura del paganesimo. Di quel particolare paganesimo bestcmmiatorio che aduggiò la fine del primo secolo della libertà italiana. Ripudiato il « cruciato Martire », si corse e si doveva correre a farneticare di poter espellere il dolore dalla vita e dall’anima. Giosuè Carducci — nella sua innata rettitudine — volle provvedere ai ripari e distinse un dolore superfluo dal dolore necessario. Ma la parola imprudente era già lanciata poiché in quel
Noi troppo odiammo e sofferimmo,
le nuove generazioni bevevano l'assurda promessa di un incivilimento senza lagrime e senza sangue. E il D’Annunzio, finché gli mancarono i tempi, finché fu
(1) Milano, Alfieri e Lacroix, 1918.
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costretto a placare con illusioni e maschere di gesta eroiche l’inquietudine del suo cuore nato a misurare le vicende delle più vaste epopee, si compose esso pure una chimerica legge di vita in cui la volontà e la voluttà, la potenza e l’orgoglio sostituissero la romana e cristiana legge del grandeggiare col molto e fortemente patire. E balzò animoso sulla sua metaforica quadriga imperiale:
Volontà, Voluttà
Orgoglio, Istinto, quadriga imperiale mi foste...
Al culto di questi
dii certi nel tempio carnale,
Gaetano Previati, piamente cresciuto da madre devota, negli echi suggestivi della deserta Ferrara, ai rintocchi lunghi della vicina chiesa dell’A more, oppose le immagini che confortarono diciannove secoli di umana miseria e, innovandole memore, uscì con un’arte propria fatta di dolore.e di Cristo.
In quel già ricordato 1890, in quel tramonto di secolo che vide il Previati avviarsi più risoluto per il suo cammino, l’orizzonte era senza dubbio striato da bagliori e l’afa pagana attenuata da qualche soffio: dalla Russia il Dostoìewski ci ventava, morto, la sua religione della sofferenza; in Francia, il Brunetière denun- ‘ ziava la bancarotta delle teologie da laboratorio; in Italia, nel 1900, Antonio Fogazzaro celebrava il Dolore nell'arte e prima Enotrio Romano aveva salito il colle di San Marino e la rupe di Polenta. Quanti non credettero allora che albeggiasse una rinascita di idealismo! Quanti fecero credito alle più orgiastiche inquietudini, alle più spasmodiche turbolenze credendo che esse segnassero il punto finale di una civiltà sènza Dio! Quante ingenue narrazioni apologetiche ci presentarono allora il pensiero moderno che dall’umanesimo, daH’Enciclopedia e dal positivismo rientrava, col primo anno del secolo ventesimo, come figliuol prodigo, alle soglie della Verità. Oggi che tanta parte di quelle costruzioni arbitrarie è caduta, oggi che abbiamo dovuto constatare come l’ateismo pratico si riproduca violento anche nelle stasi dell’ateismo dottrinale, oggi che ci appare più assidua e durevole la lotta del paganesimo e del cristianesimo, del sentimento regale — direbbe Francesco Chiesa — e dei sentimento religioso nella vita italiana, il Previati non può più essere assunto a sintomo di una crisi generale, nè la sua soluzione essere presentata come il riversarsi dell’affanno di un’epoca intera nelle scene del divin Sacrificio. Dolore e fede si occorrono l’un l’altro — fu detto — si seguono e si richiamano; « il bisogno della fede, oggi, nei popoli liberi, non è più mai apparato decorativo, ...è significazione e potenziamento di dolore ». Ma sono affinità e rapporti un po’ troppo generici ed assoluti che, per un lato, riducono le innumeri possibilità di afflato del divino nel cuore dell’uomo e per l'altro non ci lasciano affacciare alla vera e propria elaborazione di Gaetano Previati.
Il quale non abbandonò mai degli occhi e del cuore la passione e la morte, così come Eugenio Burnand ebbe sempre negli orecchi e nell’anima l’insegnamento del Nazzareno: questo tutto sermoni e parabole e quello tutto spine e chiodi.
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. PREVIA!!. Il battesimo di Gesù
P. ARCAR!, Rappresentazioni ed irluili del dittino in G. Predali - TAV. IV.
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i. PREVIA!!, Madonna delle nozze G. PREVIA!!, Madonna col Bambino
(dipinto ad olio) (pastello)
P. ARCAR!, Rappresentazioni ed intuiti del dioino in C. Predali. - TAV. V.
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IL DIVINO IN G. PREVIATI
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I soggetti non gli si esaurirono mai e mai gli si fissarono definitivi, presentan-doglisi con insistente abbondanza che i visitatori della mostra tenutasi in Roma nella gran sala della Cancelleria apostolica sotto il patronato del cardinale Agliardi e di quella posteriore, apertasi in Genova nel 1915, poterono constatare ed indurre piuttosto che misurare. Ideazioni scrupolose di lunga diligenza, apprezzamenti subitanei di valori particolari, riprese tenaci in un senso più rigido di unità, baldanza di poter superare l'identità delle situazioni e dei personaggi, tutto ciò fu possibile al Previati per la costanza della sua commozione nell'arsi e nella tesi dello spasimare e del rassegnarsi, per il dono immediato di tutto se medesimo, per un possesso ideale che emerge più alte le frondi quanto più addentra lontane le radici. La sua fecondità di pittore religioso promana da quella ansiosa insoddisfazione, da quella pena di lontananza che provarono tutti i più alti imitatori del Cristo. Aderisco senza riserve al Dio rivelato? Sono degno d’esprimerlo? Riposo sul cuore di Lui? Sanguino delle sue ferite?
Certe sue ricerche ripetono i soliloqui c le inquisizioni degli «uomini d’anima» della grande letteratura religiosa: impazienze di più consumarsi, battiti di tutto contenere, agonie di tutto dire e tutti raggiungere colla buona novella, suggerendo e partecipando delle preghiere di ciascuno. Quindi sentiamo nel Previati la ripugnanza a quanto sii sovrapposizione arbitraria al racconto essenziale, a tutto che lo imprigioni nei tipi — il Burnand può, invece, eleggere e studiare modelli reali per gli attori delle « parabole » —, a quanto lo dissipi in circostanze accessorie, lo depauperi della sua imperiosa spiritualità. L’artista riconobbe in questa egemonia del merito doloroso della Redenzione il comandamento di rinunziare alle dovizie dei propri mezzi, di denudarsi, di liberarsi da molte servitù della tecnica, dai rispetti del contegno, dalle preoccupazioni di collocarsi in determinate cornici, dalle compiacenze della descrizione e persino dai conforti delle figure e del paesaggio. Volle fluire e perdersi senza ritardi e senza sottrazioni nei misteri dolorosi, restaurando in essi la totalità del proprio magistero.
Martiri di santi, nell’opera del Previati, nessuno. Forse si rimproverava che lo avessero distratto nel Cristo e la Maddalena, — esposto a Bologna nel 1888 —, la grazia, le chiome spioventi, il gesto tenero della penitente, pure fissa nella Croce.
Le donne del Calvario, abbattute ed infrante alla vista del supplizio, hanno innanzi a loro, in un primato di strazio, la Madre; le quattro donne dello Spasimo le altre contemplatrici dei piedi confitti sono nel quadro Le Marie ai piedi della Croce dominate e riassunte dall’espressione della Vergine che, attonita neWEcce Homo innanzi all’irrisione della porpora, vuotata d’ogni suo sangue all’incontro col Figlio sulla strada del Golgota, in due composizióni, ricondotta ai limiti della sua femminilità, manca e si abbandona nelle braccia soccorrevoli delle pie compagne.
Poi, null’altro che il dolore di Gesù.
Annunciato esso — come accennammo — fino in un suo sonno volto a volto con la Madre, iniziato col pericolo e col non rinnovabile scampo della Fuga in Egitto, è accettato per la prima volta nel Battesimo. La sottomissione voluta al gesto del
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Precursore, è solenne di un primo Fiat voluntas tua, in contrasto col significato puramente terreno del gruppo, se non dei curiosi, dei meravigliati respinti nel secondo piano. Siamo introdotti nella Via Crucis. Che il Previati condusse a termine per il cimitero di Castano nel 1906, ma volle ricompiere tre volte e l’ultima restringendosi al viso del Signore.
Nell’&e* Homo la promessa formulata nel Battesimo comincia a tradursi in atroce patimento di scherni e lividori; nel Gesù caricato della Croce si concreta di nuove previsioni; nella prima caduta e nell’incontro colle Donne collo sminuirsi delle forze fìsiche si accresce di rassegnazione, di tenerezza e di misericordia. Nelle due cadute, ma specie nella seconda, il dolore del Cristo non è prodotto dall’oppressione degli aguzzini ma, e soprattutto, dalla loro opacità morale. Il centurione è l’antitesi della Veronica di dianzi: rappresentato dalla criniera del cavallo che emerge un poco nel fondo, egli rappresenta a sua volta la potenza bruta e la legge cieca.
Il Previati coglie con efficacia una suprema reazione fisica nel contorcersi di Gesù sotto i colpi dei crocifissori, impone lo Spasimo dei piedi inchiodati, scava e scarna ¡’Agonizzante, ma raggiunge con maggiore vittoria i vertici del capolavoro nell’assòluto abbandono delle Deposizioni. Le quali sono numerose assai nell’opera del nostro avendolo il soggetto ispirato, attratto e nel legarne delle Vie Crucis e al di fuori di esse. C'è — in una di queste Deposizioni — perfetta rispondenza di amore e di dolore, nella stretta irrazionale della maternità derelitta che vuol abbracciare, sostenere, riscaldare un cadavere; c'è in tutte una sommersione dell’essere intero nel comandamento soddisfatto; ed in taluna la salma non potrebbe essere più cadaverica. Questa estenuazione è già trasparenza e preannunzio di gloria?
V.
La letizia soffusa in ogni tratto della Processione -della Vergine, come se per entro il quadro risuonasse il grande cantico della liberazione e del rimpatrio In exitu Israel de Aegypto; la festività primaverile àaW Annunciazione e della Madonna dei Gigli; la pienezza di verità e di grazia dell’unigenito, del Bimbo in cui II Verbo è sceso ad abitare tra noi, simboleggiano i misteri gaudiosi dell'Avvento e del Natale. Ancora nel Battesimo di Gesù è un richiamo della tentazione debellata, delia libertà riottenuta, là sotto le acque del fiume, nella predella col serpente e il pomo del Paradiso terrestre.
Ma, comparazion fatta, nell'attività così copiosa di Gaetano Previati, nel così assiduo e fecondo rivolgere ogni aspetto dell’incarnazione messianica, minore che quella di penetrare i fedeli del debito di affetti e di lagrime, appare la sollecitudine di svolgere ed inculcare la certezza d’un retaggio di beatitudine, del premio che avanza i desidèri. Il Maestro ci si presenta nel Gesù nel Tempio e nel Gesù nel Sinedrio con tutta la solennità della sua ispirazione, non che sdegnando nep-
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pur sentendo di essere deriso, depositario irremovibile delle cose commessegli dal Padre suo.
A Tommaso — in un altro quadro — nell’ultima Cena, definisce la divinità propria per assicurare i discepoli che oramai hanno conosciuto e veduto il Padre: « Ego sum via, et veritas et vita », vedendo distendersi nei secoli le messi sante della passione e della carità sua. E non manca lo squillo della Resurrezione, il risveglio dal sepolcro, fuori dal marmo inoperoso, mentre tramortisce di spavento là scolta, e su tutti che in Lui confidarono scende la promessa ed il balsamo di risorgere con lui.
Ma, oltre che questi grandi ministeri di gloria non ricorrono colla frequenza delle scene mestissime, si distende per tutta la pittura religiosa del Previati uno squallore che intirizzisce e procrastina il fiorir delle promesse e il maturar dello speranze.
Gesù fra gli Apostoli, pur nell’alone luminoso da cui parla, sembra qualche po’ affaticato dal compito di dissodare quelle menti rudi, nè abbastanza sfavilla nel suo insegnamento la
luce intcllettual piena d'amore,
capace di operare ogni maraviglia. Non è « l’imperatore dell'universo » nell’attributo dell’eterna sapienza.
Or questo è l'effetto dell’unica angustia scolastica che io senta nel Previati: cioè dell’aver voluto far contro ad una scuola, con ostinata ripulsa del neo clàssico, cól mettere in quarantena ogni riapparizione della bellezza accademica.
Avendo avuto paura della profanità o, come venne notato, « dell'eroismo nelle idee e dell'atleticità nello spasimo e nello sforzo », il Previati ha smarrito alcuni elementi che in sintesi si raccolgono nel Cristo. Il quale non è Sansone ma contiene anche Sansone :
Egli è il santo, il predetto Sansone che morendo francheggia Israele.
La divinità astratta del dolore è nostra figura teorica, e resta, pertanto, al di sotto della sovranità di un dolore divino interamente voluto, di queirineffabile « volle Fonte », dell’irradiarsi di tutta la potenza dello spirito che preordina la propria stessa angoscia di morte. Quindi una certa tenerezza estetica preserva forse meglio il carattere sommamente forte e regale del Martire che non un accanimento di dolore fisico, onde si può decadere in somiglianze di malattia. Nè basta bagnare il Cristo di luce, quando — per timore di farne un filosofo, di darci un Cristo intellettualistico — non lo si circonfonde abbastanza di pensiero. In certo studio su! Cristo flagellato, anche perchè manca il colore, talune notazioni da ospedale possono far prevedere piuttosto un caso clinico che un’agonia di angoscia e di supplizio; troppa attenzione ai sintomi ed alle conseguenze del patire nel corpo si avvertono nel Gesù cade per la prima volta, tanto che Incontro colla Vergine qualche parte dell’affanno può dileguare in smarrimento od in sorpresa; soprattutto, infine, nel
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Gesù spoglialo, nel confronto cogli spcgliatori che hanno l’intelligenza del male, il Redentore è tanto deserto di volontà da non parer conservare il privilegio della rassegnazione e del perdono.
Dal momento in cui è inchiodato queste assenze o sono più giustificabili, o sono compensate da un grande slancio verso l’alto. Nel Cristo in croce della prima maniera e nel Cristo che esala lo spirito della Via Crucis sentiamo che il Redentore non è più in forza altrui, ma nella calma dell’epilogo, nel perfetto adempimento della Scrittura: « Postea sciens lesus quia omnia consummata sunt ».
Il Previati vive nel racconto di Giovanni. E solo si allontana nella posizione del capo, dall'«inclinato capite» delI’Apostolo (S. Giovanni, XIX, 30). Fin dal 1888 nel Cristo e la Maddalena egli presentò Gesù colla testa non piegata in avanti, ma rovesciata indietro, nella linea che comunemente, sebbene, come ha dimostrato A. Gazier, impropriamente, viene contraddistinta col nome di «Crocifisso giansenista ». Forse vi fu condotto da sollecitudine di esattezza, perchè il contraccolpo della crocifissione sembra dover portare innanzi il corpo e indietro la testa, ma piuttosto, crederei, per una pia impazienza di ascensione, per implorare e spalancare sulle nequizie e i terrori dell’esilio gli orizzonti della seconda vita.
Paolo Arcare
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IL PROBLEMA DEL ZOROASTRISMO
UELLA religione che, dal suo fondatore Zarathustra (ZopoacTozc Zoroastres), si denomina Zoroastrismo (i), fu in un certo momento la religione di uno stato nazionale iranico.
Questo fatto, per quanto indeterminato nella sua enunciazione provvisoria, pone subito un problema per la storia delle religioni. Il problema sta in ciò, che le religioni sorte per opera di un fondatore sono in generale ultranazionali con tendenze universalistiche. Tali il Buddismo, il Cristianesimo, il Maomettismo. La religione di Zarathustra in quel suo momento nazionale costituisce adunque una eccezione.
Ancora. Del Zoroastrismo è caratteristica la credenza in un Dio solo: Ahura Mazda (Ormazd). L’oppositore di Ahura Mazda, il principio del male, Anramainyu (Ahriman), non è un dio: è l’antidio, l’antitesi dualistica del dio vero e sommo; e da questo dualismo viene all’idea monoteistica mazdea forse minor jattura di quella che talvolta parve venire al monoteismo cristiano dal dogma della Trinità.
Ci sono bensì nel Zoroastrismo degli altri esseri, oltre Ahura Mazda, che sono oggetto di adorazione; ma non intaccano il suo monoteismo, perchè non sono iddìi. I più eccelsi, i più vicini ad Ahura Mazda, sono i sei Amesaspenla (Arnsasfiand), i santi immortali divini sì, ma non iddìi: piuttosto astrazioni (il pensiero buono, l’ordine, la sovranità, la pietà, la integrità, l’immortalità), qualità del Dio unico, astratte da lui. Molto più numerosi, anzi numerosissimi (2), sono i Yazata (Ized),
(i) Essa si chiama anche: mazdeismo da! nome <lcl suo dio supremo, (Ahura) Mazda; ayestaismo dal nome del suo libro sacro, V Avesta ; par sismo. dal nome dei suoi fedeli (i Parsi) che ancor oggi la professano (nell'india). Cfr. A. V. W. Jackson, Die iranische • fi 6i°M’ ’n Geiger"K'ui,ìì* Grundriss der iranischer. Philològie (Strassburg, 1895-1904), (2) < centinaia e migliaia»: Yast 6, 1.
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i " venerabili ”, analoghi ai " santi ” nel Cristianesimo. Neanche da questi è menomato il monoteismo mazdeo, come dal culto dei Santi non è menomato il monoteismo cristiano. Altrettanto è da dire a proposito delle Fravasi (Ferver), che sono le anime dei giusti (i).
Or questo monoteismo della religione di Zarathustra pone un altro problema. In che rapporto sta esso con gli altri monoteismi: l’ebraico dei Profeti, il cristiano, l’islamico? Questi si compongono in una linea unica e continua, onde si disegna la storia del monoteismo quale si svolse a partire dai primi Profeti ininterrottamente sino a Gesù e sino a Maometto, prima tipicamente ebraico e giudaico; fra il politeismo delle altre religioni orientali (2), poscia cristiano ed islamico nelle successive attuazioni del suo programma universalistico. Or come dunque si formò quell’antico monoteismo di Zarathustra, unica formazione monoteistica presso un popolo di lingua ariana, fuori della grande via millennaria percorsa dal monoteismo d’origine israelitica? Come e quando comparve su l'orizzonte religioso dell’Iran questo spirito nuovo che trasfigurò le credenze tradizionali sollevando la fede verso l'ideale etico del Dio unico sopra gli iddìi molti e diversi del politeismo?
Un politeismo nazionale, un "paganesimo” naturistico, quale sino all’avvento del Cristianesimo fu la religione dei Greci e degli Italici, dei Germani e degli Slavi, quale già nell’Asia fu la religione degli Indi (Indo-arii) prima (e dopo) di Buddha: tale era stata anche la religione primitiva delle genti iraniche, e tale era tuttavia quando sorse in mèzzo a loro Zarathustra.
Per risolvere questi problemi la storia delle religioni dovrebbe innanzi tutto poter disporre di dati sicuri sulla storia interna del Zoroastrismo. Sarebbe questa una prima condizione necessaria, se non sufficiente, per costruire la storia religiosa dell’Iran in rapporto con la storia generale delle religioni. Se non che, qui appunto i dati sicuri fanno difetto. Dalla determinazione cronologica dell'età di Zarathustra dipende tutta la concezione dello svolgimento religioso iranico. Ma quali furono i tempi del fondatore?
Stando alle tradizioni dei Parsi odierni, con cui si trovano d'accordo altre testimonianze orientali (siriache ed arabe), di carattere tradizionale (3), la predicazione di Zarathustra sarebbe da porre intorno al 600 av. Cr. (4).
(1) Edv. Lehmann in Chantepie de la Saussaye, Manuel d’histoire des religione, !>• 450 sgg- ‘
(2) A. Causse, Les prophttes d Israel et les religione de V Orient, Essai sur les origines du ntonothéisme universaliste, Paris, 19x3; B. Baentsch, Altorientalischer Und israelitischer Monotheismus, Tübingen, 1906.
(3) A. V. W. Jacksön, Zoroaster, thè Prophet oj ancient Iran, New York, 1901; Gottheil, References to Zoroaster in syriac and arabic literaturc (Classical studies in honour of Henry Drisler, New York, 1894), 24 sg. Zoroastro sarebbe vissuto 300 anni prima di Alessandro (Libro di Arda Virai). Altre fonti calcolano 272 anni tra la conversione di re Vistaspa e la morte di Alessandro. Ancora: 1450 anni (lunari) aveva il cipresso piantato da Zarathustra a Kismar (nel Chorasan) in memoria della conversione di re Vistaspa, quando fu fatto abbattere dal io” califfo degli Abbasidi (846-860).
(4) II West (Pahlavi Texts v, 1897 [The sacred books of thè East, voi. 47] p. xxxvm e seguenti) precisa i termini della vita di Zarathustra negli anni 660-583 av. Cr.
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In generale è la tradizione interna di una religione che tende a spostare verso un’antichità remota l’epoca delle origini. Anche Zarathustra è riportato al 6° e al 50 millennio av. Cr.: ma solo da autori greci (1). La tradizione orientale appare dunque, nel rispetto cronologico, più ragionevole. Nasce tuttavia un dubbio. Nei testi sacri del Zoroastrismo è parola di un re Vistaspa, presso il quale visse Zarathustra, e che fu convertito alla nuova fede (2). Vistaspa (gr. Hyslaspes) si chiamò anche il padre di Dario I. La tradizione identifica i due Vistaspa (3). Ma il padre di Dario era figlio di Arsama (4). L'altro Vistaspa era figlio di Aurvataspa (5). Si tratta dunque, piuttosto, di due personaggi distinti (6). Bensì nella tradizione poterono esser confusi (7); nel qual caso anche i tempi del padre di Dario (Dario salì al trono nel 521 av. Cr.) sarebbero stati assunti, approssimativamente, come i tempi del fondatore (8).
Passando dalla tradizione antica alla critica moderna, troviamo una varietà ancora più grande nella data assegnata alla prima comparsa di Zarathustra. Le ipotesi estreme sono quelle di M. Haug e di J. Darmesteter. Al tempo dell’Haug gli studi su la religione, la lingua, la storia e tutta la civiltà iranica erano essenzialmente dominati dall'indirizzo della scuola filologica indianistica, vale a dire da quello speciale indirizzo comparativo che dall’ordine dei fatti linguistici, preso come base fondamentale e punto di partenza, si estendeva all’ordine dei fatti mitologici, nonché religiosi: l’Avesta si spiegava coi Veda. Dalla primitiva comunità delle genti indoiraniche si separarono gli Iranici in età remota; e la separazione dovette avvenire, secondo l’Haug (9), per causa di differenze profonde che si erano determinate in seno alle varie tribù, e poi via via accentuandosi e polarizzandosi, di un popolo avean
(1) Xanth. fr. 29 (FHG I. p. 44) (?). (Cir. Clemen in Archiv für Religionswiss., 1913, 103 n. 1); Eudox.et Hcrmipp. ap. Plin. w. h. 30-1, 3; Plut. de Iside e! Osiride. 46. Altre fonti (August, de civ. dei, 21, 14) fanno Zarathustra cqn temporaneo di Nino c di Semiramide: Jackson. op. eli.; L. H. Gray. Additional classical passages mentioning Zoroaster's name. Le Muséon. (N. S.). 9, 1908, 311 sg. Cfr. Rapp, Die Religion und Sitte der Perser und übrigen Iranier nach den griechischen u. römischen Quellen, Zeitschrift der deutschen morgenländischen Gesellschaft. 10-20, 1865-66); Clemen, Fontes historiae religionis persicae (Fontes historiae religionum, I), Bonn 1920.
(2) Yast 13, 99.
(3) L’identificazione è accettata anche dà alcuni moderni : J. V. PrAsek, Geschichte der Meder u. Perser, I (Gotha 1906) 205; Floigl. Cyrus und Herodot. Leipzig 1S81, 14 segg.;
(4) Grande Iscriz. di Behistun, col. 1, 1-4: cfr. Lehmann-Haupt. Klio, 8, 1908, 493 segg.
(5) Yast 5, 105.
(6) Haug (-West). Essays 298; cfr. Ed. Meyer, in Zeitschr. für vergi. Sprach/., 42. 1908. x sgg. Un accenno a distinguere il padre di Dario da un suo omonimo già in Agathias 2, 24.
(7) Cfr. Ammian. Marcellin. 23. 6. 32 seg. (Hvstaspcs padre di Dario e discepolo dei Bracmani dell’india).
(8) v. sopra a p. 178, n. 3 e 4.
S M. Haug. Essais on the sacred language, writings and religion of the Parsis 1 2 3 4 5 6 7 8 by E. W. West). London, 1878 (Trilbner’s Oriental Series, I). 267 sgg.
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fatto due, e tra i due a vean resa impossibile la vita in comune; onde la lotta era divenuta inevitabile; e finalmente scoppiò; e fu lotta religiosa; e la divisione fu uno scisma sotto il segno della religione. Chè quelle oscure correnti ond'erano travagliate le moltitudini presero corpo ed anima in una formula di fede per virtù di un uomo profetico ed eroico che le chiarificò, le rivelò, le espresse: Zarathustra. Il quale, dunque, sarebbe stato veramente il padre della nazione, chè la nazione comincerebbe con lui, e il suo credo comincerebbe con la nazione. Onde, anche, non ci sarebbe un paganesimo iranico, ma soltanto uno indoiranico; dal quale il popolo di Zarathustra si sarebbe liberato inaugurando nello stesso tempo la sua propria vita nazionale e la sua religione. E per odio atavico contro i fratelli aborriti, avrebbero, gl’Iranici, aborrito anche gl’iddìi di quelli; e deva, la voce indiana che significa “ iddio ”, dovè suonare sulle loro labbra (nella forma daeva} come nome di demoni; mentre gli Indiani, a significare “ demonio ” avrebbero adottato viceversa quella parola (asará) con cui gli Iranici designarono la divinità {Ahura}.
Così l’Haug concepiva le origini del Zoroastrismo. E non teneva conto del fatto che asura in India ha il senso di “ demonio ” (in opposizione a deva} soltanto in testi relativamente meno antichi (in ¡specie brahmanici), mentre primitivamente (negli inni vedici) fu applicato a questa e a quella divinità (Varuna, Indra, Agni, Rudra); onde appare che il senso suo originario (indoiranico?) dovette esser quello di *' essere divino ”, con valore generico e indifferente; il quale poi si determinò, nell’india, in senso malefico, ma soltanto per via di un processo linguistico ulteriore e specificamente indiano, e non già per alcuna ragione primitiva di carattere religioso. In realtà l’ipotesi dell’Haug era destinata a cadere al pari di molte altre formulate dalla scuola ch’egli seguì; la quale usava costruire la storia religiosa (Max Müller) sopra una base linguistica, quasi che l’ordine dei fatti linguistici possa — chi sa perchè? — trasferirei e tradursi nell'ordine dei fatti religiosi.
A tale scuola si formò anche il Darmesteter. Ma dopo aver dato il suo tributo agli studi d'ispirazione indianistica e mitologica (i), se ne svincolò, e battè una nuova via. L’Avesta, come base fondamentale di ogni ricerca e di tutta la ricerca iranistica; l’intelligenza del testo come strumento e insieme come fine; l’Avesta spiegato non coi Veda, ma con l’Avesta stesso, in primo luogo, e secondariamente col sussidio dell’esegesi tradizionale esercitata già dai Parsi e tramandata nei loro scritti in lingua pehlvi (medio-persiano) : questi furono i concetti che il Darmesteter mise in opera ed applicò nella sua traduzione e nel suo commento al libro sacro della religione di Zarathustra (2). In questo lavoro filologico e storico-letterario sta il suo merito precipuo e duraturo, ond’egli degnamente continuò e promosse la difficile opera d'interpretazione dei testi sacri del Zoroastrismo, tentata già in Francia nel
U) J- Darmesteter, Haurvatät et Aniereläl. {Bibliothèque de l'Ecole des Hautes Etudes. P 23), Pans 1875; Onnazd et Ahriman (ibid., P 29), Paris 1877.
(2) J. Darmesteter, Le Zend-Avesta, 3 voll. {Annales du .Musée Guimet XXT XXI l, XXIV), Paris, 1892-93.
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sec. xvin da Anquetil Duperron, che fu il primo a rivelarli all’Europa (i), fondata poi in modo sistematico da E. Burnouf (2).
Questa opera di esegesi e di critica che faceva tesoro dei dati tradizionali, giungeva a delle conclusioni assolutamente contrarie alla tradizione. L’idea ortodossa di un Avesta composto tutto sotto l’ispirazione più o meno diretta di Zarathustra, non reggeva all’analisi filologica e linguistica. L’Avesta non ha unità di composizione: risulta di scritti diversi, composti in tempi diversi. Le differenze più sensibili sono fra le Gatha, che costituiscono il nucleo più antico, e le altre parti dell’A vesta {Yasna [extra-gathico] (3), Vendidad, Yast), che sono indubbiamente più recenti. La lingua delle Gatha è più arcaica di quella del rimanente A vesta (4).
Questa critica interna e formale dei testi ha pure un grande valore per la storia religiosa del Zoroastrismo (5). Si pensi, per analogia, all’importanza che ha la critica biblica per la ricostruzione della storia religiosa d’Israele. Alle differenze formali corrispondono in realtà delle notevoli differenze di contenuto fra le Gatha e gli scritti avestici più recenti. Esse fanno testimonianza di uno svolgimento delle idee religiose analogo a^quello della forma linguistica. Così, quel dualismo antagonistico fra un principio del bene e un principio del male ch’è dottrina capitale c caratteristica del Zoroastrismo, solo nelle parti meno antiche dell’A vesta ci appare nella sua piena formulazione (6). Nella Gatha, invece, è presente sì, ma meno accentuato; chè ivi (7) l’opposizione è fra uno spirito maligno (Anramainyu [Ahriman]) e uno spirito buono e benedetto, Spenta mainyu; il quale appartiene naturalmente ad Ahura Mazda, e quindi è, in certo senso, tutt’uno con lui (8) — è il suo spirito —, ma fin che ed in quanto ne resta distinto, è subordinato a lui, e dunque di grado inferiore, e di questo grado è dunque anche lo spirito avversario (9). Cosi pure l’idea degli Amesaspenta ci appare in forme diverse, corrispondenti a momenti^successivi, nelle
(x) Anquetil Duperron, Zend-Avesta, ouvrage de Zoroaslre, conlenanl Ics Idées Iheologiques. physiques et morales de ce législateur, les cérémonies du culle religieux qu'il a etabhet plusteurs trails importante relatifs à V ancienne histoire des Pcrses, 3 voli., Paris, J77r- (Gir. Darmesteter, Le Zend-Avesta, I p. xi sg.; Menant, Anquetil Duperron à ^ruale [Annales du Musée Guimel. Bibliothèque de vulgarisati&n, 20], Paris, 1906). Opere erudite su la religione persiana e zoroastrica anteriori alla conoscenza diretta del testo sacro, sono: B. Brisson, de regio Persarum principatu libri tres, Paris, 1590; H. Lord. Lhe reltgtonof thè Parsees. 1630; Th. Hyde, Historia rcligionis veterum Persarum eorumque Magorum, Oxon. 1700.
.(*).. ?! Bur^ouf' Commentaire sur le Yacna. (1833-35). Già il Burnouf si giovò anche dell esegesi tradizionale. Tra i primi studiosi dell*'Avesta va ricordato il danese Rask (verso il 1820).
7* caPit01i. (htiti, /l&) (in realtà 71, perchè uno è ripetuto due volte [cap. 5 = cap. 37J) di cui consta il Yasna, le Gatha occupano, raccolte in 5 gruppi, i capitoli: 28-34, 43'4,’ 47;5°. 51- 53‘* Bartholomae, Die Gnihas des Avesta. Strassburg, 1905.
¡4) Xr' ^aRTuolomae, in Grundriss der iran. Philol. I. 1, 152 sgg.
? ™ JIELr (-GehRICH), Gesch. der Relig. im Alteri. II, 10.
. (o) Gir. Ed. Leumann, Zur Charak Ieri sii k des jungeren Avesta, Archiv fur Reli-gionswiss. 5, 1902, 202 sgg.
(7) Yasna, 30, 3 sg.
(8) Yasna, 30, 5.
(9) Cfr. C. P. Tiele, Geschichte der Religion im Altertum (trad. Gehrich), II, róo sgg.
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Gatha e nell’altro A vesta: chè nelle Gafha quei sei attributi della divinità figurano come staccati da essa, operanti e viventi quasi di vita propria (pur conservando il loro carattere essenziale di astrazioni), senza ancora chiamarsi col nome collettivo di A mesaspenta (l); mentre nelle altre parti si consolidano in gruppo settenario con Afiura Mazda, che diventa il primo di essi, e tutti poi singolarmente accentuano sempre più il loro aspetto concreto e individuale come di persone, assumendo figura di arcangeli, e venendo in ultimo ad essere associati ciascuno a una determinata sfera del mondo materiale (2).
Questo svolgimento delle idee religiose, importantissimo per la storia del Zoroastrismo, non è tuttavia la storia del Zoroastrismo. Ricavato, com’è, per via di analisi interna, testuale, rimane storicamente indeterminato, quasi come lo schema di una successione ideale fuori del tempo. A fissarlo nel tempo occorre un dato cronologico che traduca quel prima e quel poi relativo in termini assoluti (3). Un dato di questo genere credette il Darmesteter di scoprire nello stesso A vesta; e lo segnalò come quello che stabiliva un termine post quem alla composizione delle Gatha, e dunque relativamente di tutto l’Avesta. Su questo dato egli costruì quindi tutta una teoria sulle origini e la storia del Zoroastrismo, una soluzione del problema zoroastrico ch’egli chiamò appunto “ storica ” in opposizione tanto alla soluzione “ vedizzante " (dell'Haug), quanto a quella tradizionale (dei Parsi) (4).
Anzi che portarsi sui primordi della vita iranica, l’interesse del Darmèsteter si concentrava invece specialmente sull'epoca che seguì alla caduta dell'impero persiano degli Achemenidi per opera di Alessandro. Per la grande strada aperta dalla
(1) Questo nome compare per la prima volta nel così detto « Yasna dei 7 capitoli » comprendente i capp. 35-41, i quali sono scritti nella stessa lingua arcaica delle Gàtbà, ma in prosa.
(2) . PoAu Manali (Bahman), « il pensiero buono », (cfr. L. H. Mills, Vohumanah in thè Gatha, in Journal of thè American Orientai Society, 21. 1900, 67 sg.), fu preposto agli armenti; 2. Asa Vahista (Ardibahist), «l’ordine eccellente», al fuoco; 3. Khsathra vairia (Shahrevar), «la sovranità desiderabile», ai metalli; 4. Spenta Armaiti (Spandarmat), • la pietà benedetta », alla terra; 5. Haurvatat (Khordad), « l’integrità, la salute », allé acque; 6. Ameretat (Murdad), « l'immortalità », alle piànte.
(3) Cfr. Darmesteter, Orrnazd et Ahriman, $ir. « La question (delle origini del dualismo mazdeo) d’ailleurs intéresse l’histoire extérieure du mazdéisme, non son histoire intérieure, qui seule importe à la mythologie comparée: l’important pour elle est de connaître comment il s’est formé, et non quand il s’est formé: elle cherche la date relative des idées, leur ordre de succession; chercher leur date chronologique est l’affaire de l'histoire proprement dite ». Quando il D. passò dalla « mitologia comparata » allo studio « storico » dell’Avesta, dovè modificare il suo giudizio intorno al valore della storia « esteriore », o « cronologica ». Vero è che la cronologia non è ancora la storia.
.(4 ) Darmesteter, Le Zend-A vesta'. specialmente l’introduzione (Recherches sur la formation de la littérature et de la religion zoroastriennes) ai volume terzo (Annales du Musée Guimel, XXIV). La ipotesi del Darmesteter fece impressione anche su Max Müller (Jewish Quarterly Review, 7 (1895). »73 sgg.). Parzialmente favorevole, e con molte ridichiarò il Bréal (Journal des savants, 1893, 736 sgg.). Decisamente contrario d >■ - FLE’ Unc nouveile opinion sur l’antiquité de l’Avesta, in Revue de l’histoire des Religions, 29, 1894, 68 sg., cfr. 32, 1895, 211 sg. Cfr. J. Jàmshedji Modi, L’antiquité de i A vesta, in Revue de l’histoire des Religions, 1897, 35, 1 sgg.; E. Blochet, L’Avestade J. Darmesteter et ses critiqués, in Revue Archéologique, 1897, 31, 38 sgg.
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penetrazione ellenistica poterono ultimamente giungere in Persia, insieme con altre correnti di pensiero filosofico e religioso, anche certe idee che già si erano incontrate in Alessandria con le dottrine bibliche, confluendo nella filosofia di Filone, e ora dunque, in Persia, venivano una seconda volta a contatto con la religione di un altro popolo orientale. Da questo incontro e da una conseguente trasfigurazione delle credenze persiane, nasceva l’Avesta, portando in sè il segno rivelatore della sua origine in quelle figure di arcangeli o demiurghi che sono i sei " sant' immortali ”, gli Amesaspenta, ministri di Ahura Mazda, i quali fortemente sr ciglierebbero
secondo il Darmesteter — alle Wjuic di Filone, e più speci: mente Vohu Mano, il" Buon pensiero", il primo degli Amesaspenta. somiglierebbe all’idea del Aóyo; ¿sto; filoniano (r) (e del Aóyo; neoplatonico).
E poiché, secondo la cronologia, le idee di Filone non poterono diffondersi in Persia che durante o dopo il primo secolo av. Cr., ne consegue che le Gatha, come quelle che sono la parte più antica dell’Avesta, dove la gloria degli Amesaspenta è celebrata ed esaltata, — e quindi a più forte ragione le altre parti (più recenti) del testo avestico —, non potranno essere anteriori all’èra volgare, e l’Avesta dunque, nel suo complesso, sarà stato composto nei primi secoli dopo Cristo, quando la lingua avestica era già una lingua morta, tramandata solo in testi antichi. I quali avranno fornito il modello linguistico ai libri sacri della nuova fede: linguistico e non altro; chè di quei testi pre-avestici "il n’en restepas une page reproduitelittéralement dansl’Avesta’’(2); njentre nell’Avesta il contenuto sarebbe per la più gran parte nuovo ed originale, e sarebbe precisamente la dottrina di Zarathustra. Non che Zarathustra sia vissuto effettivamente in quei tempi storici: Zarathustra è una figura mitica della tradizione iranica antichissima (3): ma dietro quella figura amò nascondersi il fondatore per promulgale nel nome suo venerato la nuova dottrina, e così conferirle (e allo stesso fine serviva la forma linguistica arcaica) il prestigio dell’autorità e dell’antichità.
Tale è la teoria “ storica ’’ del Darmesteter. In realtà la sua storia del Zoroastrismo è costruita su la storia letteraria e la critica filologica dell’Avesta (4): l’ordine dei fatti letterari è assunto come ordine dei fatti religiosi. Nella teoria dell’ Haug, che rappresenta l’estremo opposto (5), erano invece i fatti linguistici che si traducevano in- termini di- storia religiosa. Con ciò si è fatta la critica dell’una e dell’altra teoria: la critica, s’intende, storico-religiosa.
. J1 2 3 4) v*n altra somiglianza particolarmente perspicua sarebbe quella fra Khsathra vairja. « il regno desiderabile », e la terza delle ¿wàuitç filoniane: x 3<x<n>.ixx (Cfr. Darmesteter, Le Zend-Avesta, voi. IH, p. lvi).
(2) Darmesteter, Le Zend-Avesta, III, p. xci.
(3) Darmesteter, Le Zend-Avesta, III, p. lxxv sgg.; cfr. Ormazd et Ahriman, ,ò3 S?S- (La figura di Zarathustra, che solo fra gli uomini nasce ridendo [Solin. i, 72, p. 21 Mommsen; Augustin. de civil, dei, 21. 14), che ha per sua missione la predicazione’, avrebbe m se elementi di origine meteorologica: la luce che si libera dalle tenebre, il tuono possente contro le energie malefiche. • à la fois éclair et tonnerre, lumière et parole, héros et prêtre ». [p. 208]).
(4) Cfr. Bréal, in Journal des Savants, 1894, P- *57(5) V. sopra a p. 179.
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In realtà l’Avesta, quale noi lo possediamo nella sua forma vulgata (i), risale soltanto all’epoca dei Sassanidi. L’Avesta sassanidico, molto più ampio dell’Avesta attuale (2), aveva già una storia. La tradizione parsi parla di testi sacri esistenti già al tempo degli Achemenidi, distrutti e dispersi in gran parte dai Greci conquistatori (3). L’esistenza di testi in epoca relativamente antica non è esclusa dallo stesso Darmesteter; ma non sarebbero stati testi avestici, e nemmeno zoroastrici, nel senso di: testi del Zoroastrismo (4). Là dove ha principio, secondo lui, l’Avesta scritto (le Gatha), ivi egli fa incominciare anche il Zoroastrismo come nuova religione.
Ma le Gatha, prima di essere scritte, poterono essere tramandate a memoria (5), e chi sa per quanto tempo (6). L’analogia dei Veda, i testi sacri dell'india (7), è da tener presente, a questo proposito: anche i Veda prima di esser fissati con la scrittura furono tramandati oralmente per lunga serie di generazioni. Con questa semplice possibilità si schiudono alla storia religiosa gli orizzonti di una antichità più remota. Quel piano apparente su cui la tradizione dei Parsi riporta e descrive in disegno lineare tutto il sistema della dottrina quale è contenuto in blocco nell’Avesta, l’analisi filologica lo ha approfondito in una serie di vedute stereoscopiche. Ma oltre il punto cui quell’analisi giunge, e al quale il Darmesteter si ferma, la serie delle vedute si prolunga ancora in una lontananza indefinita. Indefinita e indefinibile fin che restiamo chiusi dentro la cerchia del testo e della sua esegesi interna. Dai quali invano il Darmesteter cercò di ricavare una determinazione cronologica positiva, che essi non danno. E altrettanto sono insufficienti a fornire una determinazione spaziale.
Si) Sulla valutazione della vulgata in rapporto alla ricostruzione della storia fone-el testo avestico, A. C. Andreas c J. Wackernagel. Gttting. Nachrichten 1911, 1 sgg. (cfr. A. Meillet, Journ. Asiat., 1917, 2, 183 sgg.; già Andreas nelle stesse Nack-richien 1909. 42 sgg.) hanno espresso un’opinione diversa dalla comune (cfr. Bartho-lomae, Zum Lautwert der awestischen Vokalzeichen, Wiener Zeitschr. \f. die Kunde des Morgenl. 24, 1910, 129 sgg.; H. Reichelt, Zur Beurteilung der awestischen Vulgata. Wiener Zeitschri/l fiir die Kunde des Morgenlandes, 27, 1913, 53 sgg.
(2) L’Avesta attuale rappresenta circa un quarto dell'Avesta sassanidico. Le perdite sono imputate dalla tradizione parsi alla persecuzione c dispersione che seguì alla conquista araba. Però nel sec. ix l’Avesta sassanidico doveva esistere ancora quasi intero, se il Dinkart, che fu scritto (in pehlvi) nel ix sec. potè darne (neilibri 8°e90) un sunto pressoché completo (manca solo il sunto del libro (nask) ri° e del libro 50: ma il sunto manca non perchè del libro 50 mancasse il testo, ma perchè mancava la traduzione in pchlvi; ciò che prova che l’autore del Dinkart non era in grado di comprendere l’Avesta nel testo originale). I.a perdita della maggior parte dell*Avesta dovrà dunque imputarsi piuttosto all’opera devastatrice dei Mongoli e dei Turchi.
(3) Dinkart, nei due passi tradotti dal Blochct in Revue Archéologique, 31, 1897. 50 sg.; cfr. J. Jamshedji Modi, in Revue de l’hist. des relig., 1897, 35, 1 sgg.; cfr. Geldner Grundriss der iran. Philol., II, 33, n. 5.
(4) Bensì vi poteva esser fatta menzione del mitico Zarathustra, (v. sopra a p. 183, n- 3)(5) Cfr. Reichelt, in Wiener Zeitschrift fiir die Kunde des Morgenlandes. 27.
53 sgg- . j
(6) Fra 1 resti dell'Avesta achemenideo salvatisi dalla devastazione dei Greci c'erano, secondo il Dinkart, « dei testi scritti e delle tradizioni orali • (Cfr. Blochet, in Revue archici., 1896..31, 56 sgg.).
(7) Oldenberg, Aus Indien und Iran. p. 22 sgg.
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Dove furono composte le Gatha? in qual parte del mondo iranico? La lingua morta in cui secondo il Darmesteter l’Avesta fu scritto, dovè pur essere un tempo una lingua viva e parlata in una data regione dell’Iran. Se la composizione della Gatha è anteriore alla loro prima redazione scritta, è verosimile che esse siano state composte precisamente là dove era parlato l’idioma loro. Ma questo " dove ’’ resta indeterminato. Lo studio critico dell’ Avesta ci fa bensì toccare con mano lo svolgimento dell’idioma avestico dalle Gatha ai testi più recenti (i). Ma quanto alla individuazione di quell’idioma, non va oltre una conclusione di carattere negativo: l’Avestico certamente non era la lingua della Persia. Altrettanto è certo che era una lingua iranica. Di qual parte dunque dell’Iran? occidentale o orientale? Questa ulteriore determinazione è lasciata nel campo delle congetture: tanto è vero che qualcuno si è pronunziato per la Media, altri per la Bactriana.
Stando così le cose, essendo insufficienti i dati interni dell’A vesta per costruire la storia positiva del Zoroastrismo, acquistano particolare valore quei dati esterni, che per avventura soccorrano come punti fissi d’appoggio e di controllo al fluttuare della tradizione testuale. Si pensi, per analogia, all’importanza che hanno per la storia del Buddismo, le iscrizioni di Asoka, in quanto forniscono dei dati cronologici sicuri che invano cercheremmo nel mare immenso degli scritti canonici. Si pensi anche a quel che significa per la storia religiosa del Giudaismo la scoperta dei papiri di Elefantine. E specialmente a proposito degli, studi biblici si tenga presente quel più recènte indirizzo che tende ad allargare la concezione della storia religiosa ebraica costruita sui dati della critica biblica, coordinandola allo svolgimento generale della storia culturale e religiosa degli altri popoli dell’oriente Antico.
Dati che si riferiscono alla storia religiosa dell'Iran s'incontrano su monumenti e documenti dell’oriente, come presso autori greci (e latini). Complessivamente interessano l’antica storia religiosa iranica per un corso di tempo quasi due volte mil-lennario, risalendo, i più antichi (documenti di Boghaz-Kòi), ad un’epoca (xiv secolo) di gran lunga anteriore alla formazione del Zoroastrismo. I più recenti cadono in piena epoca cristiana.
Secondo Pausania (2), c’erano dei Magi in Lydia (Hierocaesarea e Hypaepa): celebravano un rito del fuoco entro un edificio ad hoc, avevano delle vesti rituali (la tiara), avevano un libro sacro scritto in una lingua incomprensibile la cui recitazione faceva parte del culto. Che si tratti di sacerdoti del Zoroastrismo e di testi zoroastrici, non si può affermare con sicurezza assoluta (3); ma è molto probabile.
(1) Bartholomae, in Grundriss der iranischen Philologie, I. 1, 152 sgg.
(2) Paus. 5. 27. 5-6.
(3) Non tutti i ■ Magi »sparsi per l’Asia Minore saranno rappresentanti del genuino Zoroastrismo. Il nome acquistò il valore generico di «sacerdoti • (iranici). Molto spesso saranno stati adoratori delle divinità del paganesimo persiano: da una di esse (Mithra) ebbe origine il mitraismo. Generalmente si chiamavano «afouaaìoc, ch’è forma aramaica; forse che anche i loro testi sacri erano (tradotti?) in aramaico? Cfr. Cumont. Z#s mystères de Mithra. Bruxelles, 10x3, 12 sgg.
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In tal caso avremmo qui una conferma indiretta dell'esistenza di scritture avestiche per lo meno nel n, verosimilmente già nel i secolo dopo Cr.
In pieno e dichiarato Zoroastrismo ci trasporta Plutarco, con un suo passo dedicato agli Amesaspenta, nel quale li designa come eroi e creature di Ahura Mazda, e traduce i loro sei nomi avestici in equivalenti greci (i).
Ma prima ancora che da Plutarco, uno degli Amesaspenta, e precisamente il primo, Vohu Mano, il “ buon pensiero ”, è menzionato già da Strabene nella forma tran-sliterata ’gpavó; (2). E Strabene viaggiò in Oriente certo prima dell’èra volgare: non più tardi almeno, del 29 av. Cr. È questa una prima difficoltà che si oppone all’ipotesi dell -.rmesteter. Ricavata,questa ipotesi,sostanzialmente dall’analisi interna dell’A vesta, r >n fa meraviglia che sia andata ad urtare contro dati forniti da testimonianze esteriori. Sta di fatto che in un tempo in cui Filone verosimilmente non era ancora, od era appena, nato (3), Vohumano doveva già esser presente, come elemento della religione e del culto, in paese iranico, se di là — e di là soltanto — aveva potuto trapiantarsi in Cappadocia, dove appunto lo trovò Strabone; e ve lo trovò associato nel culto con la dea Anahita (’Avalve) (4). La quale, sebbene figuri poi anche fra i santi (yazala) dell'Avesta (5), tuttavia apparteneva essenzialmente alla religione popolare, e vi era onorata, verosimilmente per suggestione assiro-babilonese. certo contro il costume iranico genuino (6), anche in forma antropomorfa, con statue e simulacri (7); e dunque aveva un carattere essenzialmente diverso da ‘ quello del " pensiero buono " di Zarathustra, e in genere da tutto lo spirito del Zoroastrismo quale noi lo sentiamo attraverso la Gatha. Onde è lecito inferire che Vohu Mano, prima di riuscire ad essere associato nel culto ad Anahita, abbia dovuto subire quel necessario processo di trasformazione onde ebbe a rinunziare a buona parte del suo carattere primitivo di astrazione e quasi ipostasi del dio supremo, e potè assumere via via un aspetto più popolare e fortemente personale nel senso antropomorfo, sino a divenir passibile di figurazione plastica in un simulacro che
(1) Plut. de Iside et Osiride, aj. Questo passo fa parte di un più ampio excursus (cappz 46 e 47) sulla religione di Zarathustra, nel quale è parola di Zarathustra (ZwpoaoTpv), di Ahura Mazda ('iipoud^c anche in Plut Alex., 30}), di Anra
Mainyu (Apec^w;), dei sei contro-Amesaspenta, creature di Anra Mainyu, nonché di Mithra (Mtspijc) e, a quanto sembra, déll’Haoma C'Ou»«<).
(2) Strar. ir, 8, 4; 15, 3, 15.
(3) La nascita di Filone si pone intorno al 20 av. Cr. Cfr. L. Massebiau. Em. Bré-hier. Essai sur la chronologie de la vie et des ceuvres de Philon. in Revuede l’histoire des rehgions. 1906, 53, 25 segg.
(4) Ìv TOC? ’AvainSo« xai 70S 'Q.aavou upoi«: Strab. 15, 3. 15; cfr. ri, 8, 4 : xai tò ri? Avafrc&c xal rfiv Stwv cepò'» Upwayro (nel Ponto, a Zela),’ilaavoC xac 'AvaSÌiov,
lepauuv Sac.aovwv..., dove Anada/es. se è da leggere col De Lagarde Aniandates. sarà « altro Amesaspenta (v. sopra a p. 182, n. 2) Amer(e)lat (cfr. Roscher's Lexikòn. Umanos c Anahitis, e Jivanji Jamshedji Modi, The Ameshasfands and Strabo. The Alhenaeum. 1912, 2. 120).
(5) Yasna 65; e Yast 5.
16) Herod. 1, 131: Dino fr. 9 (FHG., II, p. 90).
(7) Beross. fr. 16 (FHG., II. p. 508).
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IL PROBLEMA DEL ZOROASTRISMO
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Strabono appunto vide portato in processione solenne (1). Certo questo processo di alterazione delle idee genuine del Zoroastrismo sarà stato in parte promosso dal loro trapiantarsi in paese straniero o, comunque, lontano da quei centri dove la credenza poteva attingere alle fonti stesse del pensiero zoroastrico. Che le idee religiose sogliono perdere della loro primitiva purezza allontanandosi dal luogo di origine, è una legge generale che si verifica per gii stessi Amesaspenta anche in un altro periodo migratorio della loro storia: non più verso occidente, ma verso oriente : verso i paesi di confine tra la Persia e l’india, dove, su le rovine della signoria greca dei Seleucidi (circa 250 av. Cr.), e dei successivi stati greco-bactriano (circa 130 av. Cr.), e greco-indiano (25 av. Cr.), sorse quel regno indoscitico (dei Kusana) che ebbe poi il suo maggiore splendore all’epoca dei re Kaniska (78-110 d. Cr.) e Huviska (110-130 d. Cr.) (2). Del quale regno, come furono molteplici i fattori etnici e i fattori politici, così fu composita la religione, come quella che risultò da un amalgama di elementi greci, indiani (buddistici) e persiani (zoroastrici), non semplicemente aggregati insieme e giustaposti, ma nella mescolanza alterati e in genere diminuiti di valore etico e spirituale, accresciuti, in vece, di caratteri antropomorfici, onde vennero ad essere rappresentate su le monete di questi re (3), fra altre figure (4), anche le astrazioni proprie della religione di Zarathustra (5), e tra queste — sulle monete di Huviska — anche un Sahrevar (6) che non è poi altro se non l’Amesaspenta Khsalhra vairya, " la sovranità eletta ". Che se questo fatto era pel Darmesteter argomento a sostenere che verso il 100 d. Cr. dovean dunque esser già composte le Gatha — nelle quali appunto Khsalhra vairya, e gli altri Amesaspenta sono glorificati —, si potrà dunque applicare lo stesso argomento anche a Vohu Mano quale ci si presenta nel culto di Cappadocia, per inferirne che all'epoca in cui Strabene ne vide il simulacro, anche a quell'epoca le Gatha dovevano già esser composte.
Alla stessa conclusione porta anche la considerazione di un altro fatto. In Com-magene (sempre, adunque, nel raggio di espansione occidentale dell’iranismo), sono stati scoperti su un contrafforte del Tauro — il Nemrud Dagli — i resti del sepolcro monumentale di Antioco I (Epiphanes), che fu re di Commagene dal 69 al 34 circa av. Cr. (7). Il sepolcro era adorno di figure di divinità, le quali nelle iscrizioni
(1) U|unóv “opxcua • k» oiv r.utì« iwpazaujv... Un accenno a un simulacro di Vohu Mano anche in Vendidad. 19, 31. (Geldner in Grundriss des tran. Phil., II. 39. n- 9)- Anche le descrizioni di Ardui (Ahahita) in Yast, 5, 7, 64, 78 presupporrebbero la conoscenza di sue imagini figurate (Clemen in Archiv /. Reiigionswiss. 1913. 117).
(2) Vinc. A. Smith, The early history of India (Oxford, 1904) 194 sg., 217 sg. Cfr. Rapson, Ancient India, Cambridge 1914.
(3) P. Gardner, The coins of thè greek and scythic India in thè British Museum. London, 1886, tavv. 26-28. M. A. Stein, Zoroastrian Deities on Indo-Scythian coins, The Inflian Anliquary, 17, 1888, 89 sg.
(4) Anche le figure di Buddha e Siva; anche Sarapis: Gardner, l. cit.
(5) Cfr. T. Bloch, Die zoroastrischen Gottheiten auf den Münzen der Kusaua-Könige, in Zeitschrift der deutschen morgenländischen Gesellschaft, 64, 1910, 739.
(6) Coi tipo di un « Ares », è con l'iscrizione paopnopo = Sahrehvar (= Khsathra Vairya).
(7) Humann-Puchstein. Reisen in Kleinasien und Nordsyrien. Berlin, 1890, 272 sgg. Cfr. Cumont. Textes et monuments figurés retalifs aux mystères de Mithra. II, 89 sg., 187 sg.
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relative, nonché nella grande iscrizione monumentale (i), son designate con nomi compositi secondo il gusto sincretistico del tempo e in considerazione della duplice discendenza, persiana (parthica) e greca (Seleucidica), di cui quel sovrano si vantava. Tali divinità sono: Zeus-Oromasdes, Apollon-Mithra-Helios-Hermes e Artagnes-Hera-kles-Arcs (2). Di esse, Artagnes è, in forma grecizzata, Verethraghna, che compare nell'A vesta come uno dei yazala (3), " la vittoria ma ha origini prezoroastriche (4). Lo stesso è di Mithra (5). Ma Oromasdes, cioè Auramazda (nell’A vesta: Ahura Mazda) fu il nome specificamente zoroastrico della divinità suprema, e dunque attesta che il Zoroastrismo doveva essere già un fatto compiuto per lo meno nel sec. I. av. Cr.
Con questi dati non si raggiunge tuttavia una antichità molto più alta di quella proposta dal Darmesteter, nè una visione storica molto diversa. Chè si rimane nel giro dei primi secoli precristiani; e un Avesta le cui origini cadessero entro tale epoca, potrebbe sempre esser pensato, se non come un prodotto gnostico nel senso specifico della parola (così, appunto, il Darmesteter concepì le Gatha: come il primo prodotto del gnosticismo) (6), tuttavia come un prodotto sincretistico e, in sostanza, dovuto, -più che ad un moto di origine iranica interna, alla virtù rinnovatrice di uno spirito venuto dal di fuori a galvanizzare le vecchie credenze iraniche: quello spirito che vastamente circolò neH’Oriente nei secoli deirEllenismo. E appunto in questo senso l’ipotesi del Darmesteter è stata corretta dal Lagrange (7). Il quale, rinunziando ad una cronologia a date precise, abbandonando la paternità e la discendenza filoniana, pensò che la religione delI’A vesta sia stata generata dal soffio possente di una fede nuova e straniera, abbattutosi sulla coscienza delle genti iraniche in un momento unico della loro storia: quando, cioè, al declinare della dominazione greca, risorsero nell’Iran le aspirazioni all’indipendenza e presero corpo nella fortuna politica dei Parthi. In quell’epoca, e precisamente circa la metà del II secolo avanti Cristo, sarebbero state composte le Gatha da autori anonimi, che vollero dare ai loro scritti l'autorità delle cose sacre attribuendone la paternità all’antico eroe venerato, Zarathustra, preesistente nel mito e nella leggenda, e appartenente a quel paganesimo iranico che dunque avrebbe continuato a svolgersi ininterrotto fino al secondo secolo av. Cr.
Non è certo, neanche questa, una data sicura. Appare, sì, più plausibile di quella
(1) Michel, Recucii d'inscr. gr., n. Dittenberger, Orientis gracciinscribtiones selectae, n. 383 c sgg.
(2) Verethraghna (Vahagn) anche in Armenia: Gelzer, Zur armenischen Götter -lehre, Berichte d. k. sächs. Gesellsch. d. Wiss. (Leipzig 1896) 104 sgg., 137.
(3) A lui è dedicato il 140 Yast (Varhran Yast); cfr. Yast io, 70.
(4) Indoiraniche (cfr. il vedico Vrtrahan «uccisore di Vrtra » epiteto di Mitra)?
(5) Vedico Mitra.
(6) Darmesteter, Le Zend-Avesta, III, p. lvi.
(7) Lagrange, La religion des Perses, la reforme de Zoroastre et le judaïsme, in Revue biblique internationale, N. S., 1, 1904, 27 sg., 188 sg. Cfr. E. Krebs, Der Logos als Heiland im ersten Jahrhundert (Freiburger Theologische Studien. 2), Freiburg 1. Br. 1910, 24 sg. . ’
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del Darmesteter. Resta a vedere se non debba essere a sua volta spostata ancora al-l'indietro, ove occorra tener conto di altri fatti pei quali essa non fornisca una spiegazione soddisfacente.
In Cappadocia, dove già constatammo la presenza di un elemento indubbiamente zoroastrico —Vohu mano —, adorato in figura di iddio personale insieme con Anahita, secondo la testimonianza di Strabene (1), un altro documento di mazdeismo è fornito da una iscrizione in caratteri aramaici, di epoca anteriore a Strabono (2). È la stessa religione mazdea, la Den (avest. daena, neopers. din} Mazdayasnis (3), la “ buona religione di Ahura Mazda ”, che nel linguaggio della iscrizione appare personificata e concepita quasi come dea (4), come sorella e sposa (5) del dio Bel, — qualunque sia il “ Baal ” locale (Mithra? o forse lo stesso Ahura Mazda?) che è da intendere designato con questo nome generico —, e parla in prima persona così: “ lo sono la sposa del re Bel
Procediamo ancora a ritroso.
Se c’è dottrina tipicamente zoroastrica, essa è quella del dualismo antagonistico fra un principio del bene e un principio del male. Da testimonianze classiche'(6) risulta che tale dottrina doveva essersi formata già prima del n sec. d. Cr. Plutarco ne parla diffusamente, senza precisare le sue fonti, tranne una; e questa è: Teopompo (7).
(1) V. sopra a p. 186.
(2) Lidzbarski. Aramäische Inschriften aus Kappadocien, in Ephemeris für semitische Epigraphik, I, 1900-1902, (Giessen 1902), 59 sgg. (l’iscrizione potrebbe risalire al il sec. av. Cr.); cfr. H. Reichelt, Wiener Zeitschr. f. d. Kunde des Morgenlandes, 15» 1901. 51 sg. (la lingua dell’iscriz. è il caldeo-pchlvi).
(3) Vcndidad 3. 41, 42; 5, 21; Yasna 9, 26; 12, 9; 25. 6; Yast 11, 3; 13, 94; Yast $ 23; 16 («=Den Yast). 1 sgg.
(4) Cfr. 1’« Upamana (divinità?) della religione mazdeista »: Yast io, 126.
(5) Secondo il costume (vigente alla corte dei re persiani) del matrimonio tra fratello e sorella (hvaetvadatha)'. Yasna 12, 9; Vispered 3. 3; Vendidad 8. 13; cfr. Herod. 3, 31.
(6) Vedile in Clemen, Fontes historiae religione persicae (Fontes historiae rèligio-num I), Bonn 1920.
(7) Di questo excursus plutarcheo non si può legittimamente (cfr. Cumont,Textes et mo-numents... de Mithra, II, 33) riferire a T e o p o m p o altro che il passo seguènte(PtUT., de Is. et Osir., 47): Ocóìtojako« Zi «piai xarà roù? uayou; à^à jupo; rpsc/jX'.« ftr. tov xccctc'v tóv Zi xpaTtìasac rwv Stòv, Zi ipw/JXta uagc«Sai xai «Acuii* xat àwakuitv Tà toS c?ipov tòy iT«po'». reXo« 5’ &xoX«cftceSat tìv ''AtSr.v xat toù; jùv àvSpwzov« eyòaiuovaj ÌoeoSat, uTjti rpo&z; ¿copivovf pfct axtàv zotovrra;, 5: raOra jj.r,xav»joajmov 3càv xptpiN xat àvaxawasai xpóvov. Questo passo contiene un chiaro accenno alla dottrina cosmologica del parsismo (la .storia del mondo che si compie in 12.000 anni, attraverso a periodi di 3000 anni ciascuno), quale è svolta (certo sulla base di più antiche tradizioni zoroastrichc [secondo il West, il Bundahish deriverebbe sostanzialmente dal Damdat Nask, uno dei libri perduti dell’Avesta sassanidico)), nel Bundahish (traduzione di E. W. West, in Pahlavi Texte I ™ Sacred Books of thè East V ( 1S80J) e in altre opere della letteratura pehlvi. Che questo sistema cosmologico non fosse ancora costituito nelle sue linee definitive al tempo in cui scriveva Teopompo, è possibile, anzi verosimile (Cfr. Cumoxt, Textes et monuments... de Mithra, II, 33). Ma a Teopompo sarà lecito, in base a Plutarco, attribuire (nonostante il criticismo del De Lagarde, Gesammelte Abhandlungen [1866] 15°)» per lo meno la conoscenza dell’opposizione antitetica e dualistica fra il principio buono e il maligno. E questo dualismo è genuinamente zoroastrico. Nè vale ricorrere, come fa il Lagrange (Revue Biblique, 1004, artic. cit.), all’ipotesi che i due scoi di Teopompo siano figure della religione popolare e pagana, e come tali indipendenti dal zoroastrismo. In tal caso sarebbe difficile spiegare quella loro posizione antitetica e.
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Scritti di Teopompo, nonché di Ermippo, di Aristotele e di Eudoxo, sono citati da Diogene Laerzio (1) come contenenti notizie relative alla dottrina dualistica dei magi. La critica si è molto esercitata intorno a tali testimonianze (2). Ma non è facile distruggere il loro valore (3).
Se c’è un costume caratteristico del Zoroastrismo, e scrupolosamente osservato
in confronto con gli altri dei del politeismo volgare, specialissima: la quale, in fatti, non si spiega se non col pensiero zoroastrico. Il nome di Hades usato da Teopompo mal si presta ad essere addotto come.segno che il «dio» persiano corrispondente doveva essere un dio della credenza popolare. Credevano bensì i Persiani in una divinità dimorante sotto terra (giovani d'ambo i sessi sepolti vivi come sacrifizio órò * *j»v XqpiMvtt «vai st» Herod. 7,114); ma questa era la divinità stessa della terra, la Terra come divina, secondo il concetto persiano che fossero iddìi gli clementi stessi della natura, e tra essi (Herod. 1, 131) anche la terra. Quel che Teopompo rende con « Hades • è realmente Anramainyu (Ahriman). Nè Anramainyu ha carattere od origini cloniche (notisi che la divinità persiana della terra sarà stata di genere femminile, se potè esser assimilata con l’Amesaspenta femminile Spenta Armaiti: A.Carnoy, Aramati-. Armata?, Elùde indo-iranienne, Le Muséon. N. S., 13, 1912, 127 sgg.). Se Anramainyu assorbì nella sua figura elementi di origine naturistica, questi dovettero essere elementi tenebrosi, anti-luminosi, di natura meteorica, piuttosto che tellurica. Fatto è che lo
• Spirito del male « è essenzialmente una creazione del pensiero zoroastrico; e solo per via di assimilazione (tra il genio del male e il dio dei morti) i Greci lo resero con Hades, come fece Teopompo (anche il nome transiliterato ’Apnpdvio; si legge presso lo stesso Plut., de Is. et -Osir., 46-47, ma nella parte che non si può legittimamente riferire a Teopompo), come fece Aristotele (fr. 6 Rose : QAi3x« »al ’Apgt«avw$, contrapposto a Ztù; xaì.'Gpoftaaòx?), e come fece, più tardi, il mitraismo, nel quale Hades-Pluton (cfr. Cumont, Textes et Monuments... de Mithra. I, 139; rilievo di Osterburken, II, tav. 6) rappresentò precisamente Ahriman, e questa assimilazione avrà poi reagito, a sua volta, nel mondo greco-romano, su la figura stessa di Ahrimah, facendo dell’anti-dio per eccellenza un dio vero e proprio, cui si dedicarono anche iscrizioni votive: Deo Anmanio (Cumont, op. cit., II, iscrizioni, n. 27, 323, 324).
(1) Diog. Laert. 1, S; Aöigtot«Xt< (fr. 6; cfr. frgg. 32-35, Rose) 3’ iv ««pi ©•.Xicoeta? Su» zar’ aùreù? (= ?ou; uafovi : ad Aristotele era attribuito anche un fxayixó; [fr. 33] O xipì uiywv [Diog. L. I. cit.J «vat à^xa$, àvasiv 3aiy.ova »al xaxòv 3a:p.ova, »ai tS piv ¿vopa Ziù; xai upo|iaa3r.g, vw Sì ''At3r,c zac ’Apg'.uavw-. ©xai 3i touto »al ’'Epuotsoc (fr. 78 F H G. III) tv
srepl payeuv »a: Eu3o£o; tv rx zcptóSu »ai Oto-oyzo; iv ¿ySÓTj twv »t'tXcmxwv (fr. 71 : v. sopra a p. 189, n. 7).
(2) Di Ermippo si è voluto (Lagrange, Revue Biblique, 1904, 47. n. 2), che non sia il Callimacheo di Smirne (ni sec. av. Cr.), ma quello di Berytos (11 sec. d. Cr.). Ermippo è citato anche da Plinio, n. h., 30, 1, 3, come autore di un'opera sull’arte dei Magi, nella quale avrebbe dato anche’gli indici degli scritti voluminosissimi (viciens centum milia versuum) di Zarathustra. Difficilmente quest'opera, citata già da Plinio, si può attribuire all’Ermippo di Berytos, che (secondo Suida) visse sotto Adriano. Il Preller, per sostenere tale attribuzione correggeva il testo di Suida leggendo « Traiano* al posto di < Adriano ». Ma la sua ipotesi è ora abbandonata e il «epi pxfyov è riconosciuto come opera del Callimacheo (vedi: Pavly-Wissowa-Kroll, Real-Encyclo-pddie, Vili [1913], 846, 853). Indirettamente viene dunque ad esser attestata anche resistenza di scritti attribuiti a Zarathustra nel ni sec. av. Cr..
Quanto ad Eudoxo (anche di lui in Plin. n. h.. 30, 1, 3) ì*r incertezza (che investe tutti i frammenti a noi pervenuti della 7x5 ncpfoSo;) può sussistere, se mai, solo fra il celebre Eudoxo. di. Cnido (iv sec. av. Cr.) ed Eudoxo di Rodi (in sec. av. Cr.); cfr. Pauly-Wissowa, Real-Enc., VI (1909), 930, 947.
Anche un payexi; di Antistene sarà piuttosto da assegnare ad Antistene di Rodi (Suida s. v. *AvTt«stvnc = Aristòt., fr. 32 Rose).
(3) Cfr. Clemen in Archiv, für Religionsw., 16, 1913. 104. Zarathustra (Zwpaóorpou) e Ahura Mazda ('Qpo,u4Co») sono già citati nel " platonico ” Àlkibiades protos 1,121 E-122 A.
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dai suoi fedeli, è l’esposizione dei cadaveri (i): i quali, non potendo essere sepolti nè cremati, perchè la religione espressamente lo vieta (2), son lasciati in pasto alle fiere e agli uccelli di rapina. Ancor oggi le sinistre torri del silenzio {dakhrna} (3), rotonde, scoperchiate e massicce, si ergono in luoghi montuosi e disabitati ad accogliere le spoglie dei seguaci di Zarathustra. Or di questo costume è già un cenno in Erodoto, a proposito dei Magi (4).
Nelle notizie di Erodoto sulla religione dei Persiani (5) non è fatta menzione esplicita di Zarathustra e del Zoroastrismo: bensì è accentuata la posizione speciale dei Magi e il regime loro di vita e di pratica religiosa, profondamente diverso dal costume vigente fra il popolo. Tra l’altro è notata (6) la curiosa guerra senza quartiere (¿yóvt?pa usya... scòto/stp ir, zzvtz... ztsìvou*?'.) che i Magi conducono contro certi animali (formiche, serpenti e simili), mentre rispettano i cani. Anche questo è un tratto essenzialmente zoroastrico, il quale si riconduce alla dottrina fondamentale del dualismo, concepito e sentito come lotta incessante che si combatte tra il regno del bene e il regno dèi male, nei quali rispettivamente si ripartiscono tutte le creature.
Quanto alle " incantazioni ” liturgiche (s?:aoc8$v) che, sempre secondo Erodoto; i Magi recitavano nella celebrazione del sacrifizio (7), e cui davano il nome di ‘ teogonie ’, esse ci fanno pensare all’esistenza di testi rituali, oralmente, se non scritturalmente, tramandati con la fedeltà più scrupolosa, quale era richiesta come condizione necessaria per la validità del sacrifizio (8).
L’esistenza di testi sacri preavestici è ammessa, come dicemmo, anche dal Dar-mesteter (9). Nè invero le Gatha avrebbero potuto esser composte in una lingua morta, sé questa non fosse stata comechessia tramandata dai tempi in cui era stata una lingua viva. Or se per altra via c'imbattiamo, già in età relativamente antica, in idee e costumi che sono caratteristici del più genuino Zoroastrismo qual é rappresentato dalle Gatha, vien fatto naturalmente di domandarsi se quei più antichi testi “ pre-gathici ”, quelle " teogonie ” liturgiche che i Magi recitavano non siano invece, proprio essi, tutt'una cosa con le Gatha (io). In* realtà tutti questi elementi di Zoroastrismo diffuso che noi abbiamo incontrati allo stato sciolto risalendo i secoli fino al v. av. Cr., difficilmente — tanto sono numerosi e tipici —- possono passare per formazioni naturali, non ancora organizzate, di un Zoroastrismo avant la lettre.
(1 ) Cfr. Vendidad, 6.44 sg.
(2 ) Vendidad, 3.8 sgg. Cfr. Herod. 3, 16; Agathias, 2, 23.
3) Vendidad, 7-49 sg.
4) Herod, i, 140.
5) Herod, i, 131-140.
6) Herod, i, 140.
7) Herod, i, 132.
8) Cfr. C. Clemen, Herodot als Zeuge für den Mazdaismus, in Archiv für Religionswissenschaft, 16, 1914, 101 sgg.
(9 ) Le Zend-Avesta, III, p. xci: v. sopra a p. 183.
(io ) Tutto l’Avesta ha appunto carattere essenzialmente liturgico: a seconda delle celebrazioni, era recitato più o meno estesamente dai sacerdoti officianti.
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mentre trovano la loro spiegazione ovvia in rapporto e in dipendenza dal Zoroastrismo già fondato come tale e già esistente.
Che il Zoroastrismo esistesse già nel v sec., che dunque nel v sec. la sua fondazione dovesse già essere avvenuta, si rileva in modo sicuro da un documento, anch'esso extrairanico, che fa parte di una scoperta recente. Si tratta dei papiri aramaici di Elefantine (1). In questi papiri si fa menzione sovente di Arsama, un persiano che fu governatore (satrapo) dell’Egitto nella seconda metà del sec. v av. Cr. (sotto Dario II, 424-405), c in tale qualità ebbe più volte ad occuparsi delle contese religiose dei suoi sudditi, e precisamente di quelle che ebbero luogo fra gli Egizi ei Giudei di Elefantine. In uno di questi papiri (2) lo stesso Arsama (? o un altro funzionario?) è designato come mazdayasna (3), cioè “ mazdeista ”, propriamente: “ adoratore di Mazda ”. Mazdayasna, è infatti nell’Avesta (4) il termine tecnico per designare i seguaci della buona religione, quella di Zarathustra, il mazde.ismo, così denominato dal nome del suo dio Ahura Mazda. Ahura Mazda significa il " signore sapiente ”, “ colui che sa ”, " colui che osserva ” (propriamente “ colui che ha in mente, in memoria „): dunque è nome che difficilmente può essere di origine tradizionale e popolare, anzi rivela la sua origine riflessa, dovuta al pensiero di un fondatore. In realtà è difficile concepire Ahura Mazda indipendentemente da Zarathustra. Si aggiunga che anche nelle iscrizioni di Dario I già è invocato Ahura Mazda. Auramazda è la forma persiana (•" antico-persiana „) (5) dell’avestico Ahura Mazda. Poiché le iscrizioni di Dario I sono certamente
’?• Ep- Sachau. Aramäische Papyrus und Oslraka aus einer jüdischen Militär-ko ionie zu Elephanline, Ixipzig, 1911.
(2) Pap. io. linea 6 (tav. 11), pag. 52-54.
(3) Ed. Meyer. Der Papyrusfund von F.lephantine, Leipzig. 1912, p. 77. Secondo il il pensiero svolto nel testo del papiro, sembra che la qualità di Mazdayasna implicasse un atteggiamento più favorevole agli Egizi che ai Giudei. Si ha l’impressione che tale qualità dovesse essere qualche cosa di speciale, di rimarchevole, di caratte ostico (se no, perchè sarebbe stata rilevata?): non comune dunque a tutti i Persiani. In realtà, piuttosto che una positiva propensione per la religione egizia, il mazdeismo doveva implicare un atteggiamento negativo di contrarietà alla religione giudaica in quanto questa praticava sacrifizi cruenti mediante il fuoco (olocausti) mentre il Zoroastrismo (cfr. Herod, I, 132) vietava che il fuoco fosse contaminato coi resti di animali uccisi (Meyer, op. cit., 89). In fatti, quando poi. distrutto il tempio giudaico di Elefantine (a. 410 ay. Cr.) per un intrigo ordito dagli Egizi, si trattò di ottenerne dal governo persiano la ricostruzione, e insieme il ripristino del culto, il persiano Baeóki (Bagoas), governatore dei Giudei di Palestina, si mostrò disposto ad appoggiare ledo-mande dei Giudei di Elefantine, ma senza far parola dei sacrifizi pel fuoco (pap. 3; cfr. pap. 5). Questo Bagòhf (anch’egli dunque un mazdeista?) sarebbe (Ed. Meyer^ op. cit.. 70 sgg.) lo stesso che, secondo Giuseppe (Ani. 11, 7. i,sg.), impose ai Giudei di Gerusalemme un tributo di 50 dracme per ogni agnello ucciso pel culto del tempio, vi modo’ * da ritenere che la menzione di un Arsama mazdayasna nel pap. io di Elefantine non può valere come prova che il Zoroastrismo fosse nel v sec, la religione di tutta la Persia. *
(4) Yas^a, 12, 1 sgg.; ecc.-ecc. *
(5) Di qui il « medio-persiano » Ormazd..
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IL PROBLEMA DEL ZOROASTRISMO . I93
anteriori alla sua morte, che avvenne nel 485 av. Cr., la presenza di Ahura Mazda in queste iscrizioni riporta le origini del Zoroastrismo per lo meno al vi sec. av. Cr.
Qualcuno è andato anche più in su: sempre fondandosi su dati esterni, e proprio su un altro documento messo in rapporto con lo stesso nome di Ahura Mazda. Sopra un prisma di argilla, rinvenuto nel 1874, è un’iscrizione in caratteri cuneiformi relativa al re assiro Sargon (722-705 av. Cr.), nella quale si legge una serie di nomi personali (Upania, Sulirna [?], ecc.) di principi di nazionalità iranica, e più precisamente Mèdi, debellati da Sargon; e tra essi occorre due volte il nome Mazdaku (Ma. as. lak. ku). Messo in rapporto questo nome di persona con il nome di (Ahura) Mazda, Ed. Meyer vide in questo documento della fine dell’viii secolo “ la più antica testimonianza della religione di Zarathustra ” (1); della quale dunque * le origini dovranno esser riportate ancora più indietro; e conseguentemente l’età di Zarathustra è posta dal Meyer “ per lo meno verso il 1000 av. Cr. in cifra tonda ”, senza escludere la possibilità ch’egli “ sia vissuto anche un paio di secoli prima ” (2).
È vero che nell'Avesta il nome della divinità non è fissato nella forma, che poi divenne costante, A (h)uraniazda ; anzi indifferentemente è usato anche Mazda Ahura, e anche semplicemente Ahura oppure Mazda. Ma qui tutto dipende da un punto solo: cioè se Mazdaku, ossia dunque Mazdaka, abbia davvero il senso di “ mazdeista ” (parallelo a “ Cristiano ” come nome di persona), e non altro. Abbiamo veduto che per dire “mazdeista,, si usava, almeno nel v sec., una forma diversa, un composto: niazdayasna (3). Forse Mazdak(a) (4) non ha con (Ahura) Mazda che un rapporto di secondo grado: derivando, sì, dalla stessa radice mazda (5) col senso fondamentale di “ memorare, conoscere, sapere ”, ma non attraverso mazdsh “ colui che sa ”, inteso in senso assoluto di (Ahura) Mazda, bensì attraverso l’idea generica di “ attività mentale e intellettiva, conoscenza, memoria, sapere ” (6), avendo così il valore di “ conoscitore, memore, fornito di sapienza, sapiente, saggio ”: un senso che non disdice a un nome di persona, mentre
(x) Ed. Meyer, Die ältesten datierten Zeugnisse der iranischen Sprache und der zoroastrischen Religion, Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung 42, 1908, 1, sgg.
(2) Ed. Meyer, 1. cit., p. 16. H. Oldenberg (Jus Indien und Iran, Berlin, 1899, 142, c, con riserva anche maggiore in Die Religionen des Orients (Die Kultur der Gegenwart 1, 3, 1. 1913. p. 91]) propone « circa il 900 od Soo av. Cr. ».
(3) Nell’Avesta anche (una volta: Yast 13, 121) come nome di persona. Cfr. mazdadhafa « creato da Mazda »; mazdaoxta (mazdah-uxta) « pronunziato da Mazda »; mazdavara « gradito a Mazda ».
(4) Mazdah fu nome di persona usato in Persia (già Maufeiro; Ktes. ap. Diod. 2, 32, 6. Cir. Ma;ay.rc Arrh., 3, 1, 2) in tempi pienamente zoroastrici (sassanidici : Mazdak è 1 eretico riformatore che fu condannato a morte nel 529 d. Cr.), ma difficilmente suggerì allora 1 idea* di « mazdeista » o di un altro rapporto qualsiasi con la divinità suprema, il cui nome era ormai diventato Ormazd (donde, come nome di persona : [HI Ormisda [ Oppila* — Ahura Mazda: Phot. Bibi. 81J).
(?) Composta da maz — (ma(n)z, mand [cfr. mens — mentis, pastài, ccc.J) — di.
(6) Accanto al verbo mazdi (Bartholomae, Alliranisches Wörterbuch, xi8i) « imprimersi in mente, tenere a mente », si incontra nelle Gatha il sostantivo (neutro) mazdsh col senso di « memoria » (Yasna, 40, 1) - cfr. mazd&tha « cosa memorabile ».
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I94 s’intona col valore generale delle formazioni col suffisso -k-, non meno numerose nelle lingue iraniche (1) che nelle altre indo-europee. Ad ogni modo, mi sembra che il nome Mazdaku del documento di Sargon fornisca una base troppo debole a costruirvi sopra una ipotesi così importante e così feconda di corollarii come quella di Ed. Meyer (2).
I dati esterni sono dunque, conte si è visto, preziosi: ma a patto che non sia esagerata la valutazione. Sopratutto non bisogna sforzare la loro natura, la quale è, di solito, sporadica, isolata, e frammentaria. Sono dei materiali — talvolta delle vere pietre miliari — per la storia: non sono la storia. Sono dei punti fissi. E la storia invece è* linea, movimento, svolgimento. Il loro valore vero sta nel loro ufficio, che è di collocare e fissare nel tempo le serie dei fatti linguistici, filologici o altri, cronologicamente indeterminati. Ma come non è storia la linguistica, non la filologia, non l'archeologia, così neppure la cronologia è storia. Storia, invece, ha da essere là storia delle religioni.
Tra le Gatha e il resto dell’Avesta c'è una diversità notevolissima. L’analisi linguistica la mette in evidenza; l'analisi filologica la conferma; la storia interna del Zoroastrismo la ribadisce. Ma la storia delle religioni ha pure qualche cosa di suo da dire a questo proposito, qualche cosa che essa soltanto può e deve dire. Per essa, la diversità è nello spirito delle Gatha, rispetto a quello dell’altro A vesta. C'è nelle Gatha un tono, sia pur debole e fioco, di passione religiosa, di vita santa, di lotta per la fede. Poi viene l'irrigidimento, l’aridità, il formalismo. Sono due momenti ben distinti e ben noti alla storia generale delle religioni. La fede non si mantiene a lungo nelle altezze primordiali. Seguono i tempi dell’adattamento, della sistemazione, della codificazione. Il Vendidad è un codice rituale che ricorda dà vicino il Levitico: ricorda, nel Buddismo, il Vinaya. L’Avesta nel suo complesso rappresenta la liturgia che ha preso il posto dell’opera santa: la recitazione in luogo della predicazione. Questo libro liturgico in cui sono incorporate le parole del Maestro fa pensare a quel ch’è il Breviario rispetto al Vangelo.
(1) (Anche) avesta da avist&k(a): W. Foy Zeitschrifl der deutsch. mcrgenl. Ges. 52, 1898, 254.
(2) Cfr. P. Rosi, Mitleilungen der vorderasiatischcn Gesellschaft, 1897, 214. Sopra un altro documento dello stesso Sargon (cfr. H. Winckler, Die Keilschrifltexte Sargons, I, Leipzig, 1889, 112-113, cfr. 176-77) è nominato, come dio supremo dei Medi (accanto al dio dei Chaldi) Bagmastu, il quale, se è veramente equivalente a Bag(a) tnazda (Rosi 1. cit., 189, n. 2), starebbe piuttosto a provare che a quel tempo il nome divino Ahuramazda, c dunque la religione di Zarathustra, non era ancor sorto, o almeno non si era ancora diffuso presso i Medi.
In sts.sa.ra rna.za.as, in una lista di divinità della biblioteca di Assurbanipal (667-647 av. Cr.), vide Ahura (Asura) Mazda già 1’Hommel, Proceedings of the Society of biblical archaeology, 21, 1899, 117. 132, 138; il quale propènde a far risalire fino J* PJjrioclo dei Kassu (1700-1200 av. Cr.) e àgli dementi ariani che s’infiltrarono a Babilonia al tempo della loro signoria, l’introduzione di Ahura Mazda nel mondo (babilonese e) assiro. Alcuni derivano addiritura Ahura (Asura) dal nome del Dio assiro Jsswr (Journal of the R. Asiatic Society 1916, 362 sg. [F. W. Thomas]; cfr. 1917, 132).
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Tempi “ evangelici ” ed " apostolici ” sono quelli in cui le Gatha ci trasportano. Su questo sfondo esse ci fanno intravedere delineata una figura robusta: la forte personalità del fondatore. Il nome potrà essere mitico: ma la persona è viva, vera e presente.
Or, questo, della personalità, è un elemento che ha una importanza capitale nella esperienza religiosa e nello svolgimento della religione. Si tratta di un fattore la cui valutazione s’impone e spetta alla storia delle religioni in modo particolare. Da esso dipende la comprensione di quel grande fatto che segna la crisi di tutta la storia religiosa iranica: il passaggio da un “ paganesimo ” naturistico a un monoteismo morale. Con la personalità del fondatore, con il carattere universalistico delle religioni fondate, quali sono, in genere, appunto le religioni monoteistiche, si connette poi anche quell’altro aspetto interessantissimo della storia religiosa iranica che le è conferito dal gioco delle tendenze nazionalistiche e ultra-nazionalistiche, quali in essa con varia vicenda interferirono.
Così, tutta la storia delle religioni si affaccia evocata intorno al fatto particolare. Nella storia religiosa del Zoroastrismo, attraverso la storia religiosa iranica, si riflette la storia imi versale delle religioni.
Se la storia religiosa particolare è oscura, se manca di una sicura cronologia, tanto meno converrà chiuder gli occhi a quella luce, sia pur debole anch'essa, che possa venire dalla storia delle religioni. Che la storia delle religioni abbia un suo naturale diritto ad interloquire in merito a fatti che sono fatti religiosi, è una verità che sembra banale. Conviene soggiungere che il punto di vista della storia delle religioni è anche il solo legittimo dal quale i fatti storico-religiosi vanno osservati, e donde i fatti stessi si offrono allo sguardo disposti e composti in una particolare visione.
Raffaele Pettazzoni
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on avevo mai letto niente di A. Wilm prima che mi capitasse 1 sott’occhio jjl Rosario di Corallo (trad. da Arturo Lancellotti, i Rocca S. fasciano. Cappelli, 1920), non conoscevo e non conosco la biografia dell'autore, ignoro se egli sia vivo o morto, non so qual nome di battesimo si nasconda sotto VA iniziale. Nè certo la lettura di questo romanzo mediocre è adatta a far nascere il desiderio di cercare altri libri del signor Wilm: eppure un cenno intorno al Rosario non sarà inutile e forse
qualcuno si accorderà con me nelle osservazioni che farò dopo aver esposto la trama del racconto.
♦ ♦ ♦
Al dottor Heurtault, specialista per le malattie nervose, si presenta certo Antonio Leyre, giovane serio, studiosissimo, assistente di chimica all’università. Costui è uno di quei tipi forti e sani di corpo, di mente e di spirito, che, con qualche adulazione per la maggioranza degli uomini, si sogliono chiamare « normali ». Eppure è tormentato da un sogno che si ripete ogni notte fin da quando, passeggiando sulla spiaggia del mare, trovò a caso un rosario di corallo. Sogna una villa ch’egli non ha mai vista da sveglio ed è attratto verso una finestra, sempre la stessa, di quella villa e per quanti sforzi faccia con la volontà non riesce a volger lo sguardo altrove.
Il dottor Heurtault, scettico e positivista, si ribella, lì per lì, all’idea di mettere in relazione il rosario col sogno e non sa dare ai sogni un valore diverso da quello ch’essi hanno per il psicologo. Con tutto ciò, avvezzo a notare quanto vari siano gli strumenti della conoscenza, suggerisce al giovane Leyre di addormentarsi col rosario sul petto e di non combattere il fascino esercitato su di lui da quella certa finestra, anzi di muovere la volontà verso la finestra come se avesse desiderio di entrare nella stanza.
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Comincia da quella notte una serie di sogni che Leyre registra per iscritto e poi racconta al dottore. Dormendo, egli entra in una stanza ove dorme una bellissima giovinetta: questa, la prima volta, si sveglia di soprassalto e grida; poi si assuefà alle visite notturne di Leyre. Basta che quest’ultimo le ponga una mano sulla fronte, perchè la fanciulla assuma l’aspetto di un cadavere e dal cavo dèlio stomaco salga una specie di vapore che a poco a poco acquista una forma in tutto simile alla dormiente. Tra questa « forma » (d’ora in poi l'autore la chiamerà sempre così) ed il Leyre incominciano colloqui che ogni notte diventano più intimi e teneri: i due s’innamorano l’uno dell’altro, complice il rosario che proprio dalla fanciulla era stato smarrito tanto tempo prima. Ma, com’è naturale, il Leyre crede di amare un fantasma e la giovinetta, che si chiama Lucia Franchard, teme anch’essa di parlare con un'ombra. Per assicurarsi a vicenda della realtà dei loro sogni, i due giovani si promettono reciprocamente di scriversi; e un giorno si scambiano due lettere, nelle quali sono accenni ai colloqui notturni. Dopo ciò Leyre, che ormai conosce l’indirizzo di Lucia, va nel villaggio ov’essa abita, la vede all'uscita dalla messa ed è veduto da lei. L’amore divampa e Lucia rifiuta il matrimonio, propostole dal padre, con un certo Delille. Il padre, magistrato a riposo, clericale di tre cotte e geloso della propria autorità, si offende e si addolora al solo pensare che la figlia disobbedisca e rifiuti di sposare Delille, futuro deputato, buon difensore dell’altare e del trono. I due giovani si ammalano dal gran dolore, ma alla fine il matrimonio si conclude sotto gli occhi di Leyre che in sogno segue costantemente i due sposi. Così avviene che Lucia, se dorme, vede la forma di Leyre vicinò a sè: se è sveglia, pensa che la forma possa esserle accanto ed ha orrore del contatto, anche più innocente, col marito. Quest’ultimo se ne va con Lucia in Ispagna. Sembra che (strana coincidenza con un romanzo di Guido da Verona!) il povero Delille speri nell’influsso dell’aria iberica per risvegliare i sensi torpidi di Lucia: la conduce addirittura ad assistere a uno sfrenato ballo di gitane, fra gente di malavita. E qui accade il fatto più straordinario di tutto il libro. Una gitana, leggendo la ventura sulla mano di Lucia, sentenzia che la signora è amata da uno spirito il quale è presente alla scena: avutone da Delille un po’ di denaro in compenso accetta di allontanar quello spirito per sempre e, brandito un coltello, s'avventa verso lo spazio vuoto. In quel momento preciso, Leyre che dormiva nel proprio letto, a Bordeaux, riceve una ferita gravissima vicino al cuore.
S’impegna una battaglia: per la signora Delille, tornata precipitosamente in Francia, e per Leyre, che a poco a poco guarisce della ferita, combattono la madre di Lucia, persuasa che gli strani sogni siano un avvertiménto della Madonna, il confessore di Lucia, un sacerdote pio e dotto in materia mistica ed occultistica, il dottor Heurtault. Contro i due innamorati si armano il padre di Lucia, che in un divorzio vedrebbe uno scandalo irrimediabile, e il gesuita; padre Furster che dall’unione di Lucia con Delille sperava l’aiuto per certi suoi progetti ' tendenti a risollevar la Chiesa perseguitata da massoni, atei e socialisti. Quanto a Delille, egli dapprima cerca, naturalmente, di vincere la ripugnanza della signora, ma poi
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si dimostra ben contento di liberarsi da un matrimonio incomodo, umiliante e ridicolo. TI buon dottor Heurtault trova finalmente il rimedio: il divorzio non sarà una colpa, se prima la Santa Chiesa avrà annullato il matrimonio; e l'annullamento avverrà quando al sacro Tribunale romano sarà dimostrato che non avvenne la consumazione. Infatti, con l’intervento di autorevoli amici (il dottor Heurtault, per fortuna, conosce da molti anni il medico privato del Papa), la causa è vinta: il Pontefice chiede soltanto, in compenso della benedizione che manda ai nuovi sposi, quel rosario di corallo che certo possiede, in sommo grado, miracolose virtù.
♦ * ♦
Com’è facile immaginare, alla narrazione degli avvenimenti, in questo romanzo, si alternano le riflessióni sullo'strano modo con cui avvengono gl’incontri fra Leyre e Lucia.
Le ipotesi, non dirò accettabili, ma discutibili, sono tre e s’incarnano in tre opinioni diverse: quelle del dottor Heurtault, del gesuita Furster e dell’abate Jauga confessore di Lucia.
Il dottor Heurtault, per quanto positivista e materialista, è condotto, dall’indole stessa dei propri studi, a riconoscere ogni giorno più che gli scienziati non sanno quasi nulla perchè hanno sperimentato troppo poco e pensa che anche fuor della cerchia dei sensi possano attendersi rivelazioni. Se volessimo negar resistenza di tutto ciò che sfugge ai nostri sensi, bisognerebbe non ammettere che dal corpo di ciascuno di noi partono emanazioni diverse, solo perchè l’odorato finissimo del cane le percepisce, ma l'odorato dell’uomo non sa avvertirle. E giacché parliamo di odorato: nessuna bilancia ha mai potuto indicare la diminuzione di peso di una particella di muschio il cui profumo basta ad empire un appartamento. Esistono dunque emanazioni imponderabili: e allora non può essere che altre radiazioni più sottili ancora di quelle che impressionano l'olfatto, partano dalle nostre persone e colpiscano qualche oggetto materiale? Se questo avviene, nulla di più facile che il rosario, stretto fra le mani nervose durante l’estasi mistica, possa impregnarsi del fluido emanato da colui che prega. Il dottor Heurtault, il quale studia i nervi e le loro arcane malattie con la spregiudicata freddezza del medico, sa anche che certi fenomeni la scienza può osservarli, ma non spiegarli: non per nulla egli ha letto L’anima delle cose del Denton e il racconto delle esperienze fatte da Richet, Lodge, Hodgson, Myers ed altri con la signora Piper.
La tesi del dottore non è molto diversa — chi mai l’avrebbe pensato? — da quella del p. Furster. Questo gesuita austero, grave, il quale nel mondo non vede che il proprio Ordine a cui obbedisce perinde ac cadaver, è molto restìo ad accettare la supposizione di un miracolo. Nelle vite dei Santi ci sono, è vero, numerosi esempi di « bilocazioni », ma si trattava di creature privilegiate, ben meritevoli di tal dono specialissimo dello Spirito Santo. Il caso di Leyre é di Lucia è molto diverso: esso dev'essere uno di quei « miracoli secondo natura » di cui San Tommaso fa cenno: fenomeni che derivano da leggi naturali non anèora conosciute.
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seppure... seppure il demonio non agisce, sotto sotto, a favore dei due giovani sconsigliati i quali obbediscono al proprio capriccio anziché alla volontà espressa dei genitori.
Il buon abate Jauga, invece, non esita a vedere nello straordinario incontro dei due giovani, l’opera della Vergine. Egli conosce il miracolo, della bilocazione attribuito a San Francesco Saverio, a San Martino di Forres, ad Angelo d’Acri, a Giuseppe di Copertino, nonché la leggenda di Sant’Antonio di Padova il quale cantava messa nel proprio convento e contemporaneamente predicav v a Montpellier; e non ha alcun dubbio intorno ai viaggi notturni che la sj gnola Maria d’Agreda compiva per catechizzar gl’indiani dell’America del Sud. Ora, secondo l'opinione dei maggiori teologi, il demonio non può operare queste traslazioni istantanee: esse oltrepassano la sua potenza: dunque è certo l’intervento della Madonna, la presenza della quale, del resto, si rivela anche nel fatto di avere scelto, per unire i due giovani, un oggetto di devozione.
• * ♦
Non metterebbe conto di occuparsi di questo romanzo che, come ho accennato più su, è di assai scarso valore artistico (psicologia superficiale, andatura lenta, personaggi che si muovono sempre sopra uno stesso piano) se la lettura di esso non suggerisse parecchie considerazioni.
Il Wilm è certamente un romanziere popolare: egli scrive cioè non per la plebe vera e propria che poco legge e si compiace, se mai, di cibo intellettuale più grossolano, ma per quella gran massa di lettori che formano l'ultimo strato della borghesia (maestri elementari, impiegatucci, licenziati dalle scuole medie che hanno interrotti gli studi, ecc. ecc.): insaziabili divoratori di libri. A confermar quanto dico basti notare la semplicità quasi ingenua del racconto, l’ostentazione della ricchezza della signorina (automobile, vini di lusso, caffè distillato con filtri d’argento) a cui fa riscontro il. classico « giovane povero », la caricatura tradizionale del vecchio reazionario di fronte al futuro genero di belle speranze. Giustamente il diffusissimo periodico I Diritti detta Scuola ha pensato che il romanzo dovesse affascinare tante povere maestrine confinate nei più remoti villaggi e ne ha pubblicata la traduzione prima che comparisse in volume.
Ora, è naturale che ogni scrittore, diciamo così, specialista, conosca i gusti del proprio pubblico. Si capisce che tali gusti egli può anche educarli, dirigerli e qualche volta anche mutarli sostanzialmente. Se dunque un così numeroso pubblico di lettori è attratto verso i problemi dell’al di là e invece di attendere ansiosamente il risultato delle indagini di Sherloch Holmes o d’altro poliziotto dilettante, preferisce informarsi delle sorti dell'anima dopo la morte, nasce per gli scrittori una delicata responsabilità morale.
Il lettore di media cultura il quale ingenuamente spera d'imparare, mentre segue le vicende dei personaggi d’un romanzo, ciò che agli scienziati è costato tanto tempo e tanta fatica, vuol sempre, tra pagina e pagina, indovinare il pen-
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siero dell’autore; perciò è avido di biografie e cerca di conoscere quanta coerenza vi sia tra le parole e gli atti di colui che scrive. Ebbene, poiché in questo libro il pensiero dell’autore è senza dubbio quello del dottor Heurtault, cerchiamo di esaminarlo.
Il dottore è razionalista e anticlericale, benché senta il rispetto che ha ogni galantuomo verso una fede sinceramente professata come quella dell'abate Jauga. Il suo anticlericalismo ha manifestazioni volgarucce quali le beffe sulla potenza della Vergine per la guarigione di Leyre ferito e affermazioni poco peregrine: « I religiosi non possono intendere che un organismo collettivo è un organo vivente: per esistere gli occorrono l’elasticità e l’adattabilità. Dovrebbe potersi modificare quando l’ambiente sociale stesso si modifica. L’Europa del xx secolo non è più quella del xvi ». Tuttavia egli « constata dei fatti »: egli ammette la possibilità che la ferita inferta dalla vecchia zingara nella « forma » di Leyre possa far sanguinare il corpo di lui e metterne in pericolo resistenza.
Anzi, poiché, come ho detto, Heurtault e l’autore sono una stessa persona (voglio intendere rispetto alle opinioni, è chiaro, non che il Wilm debba necessariamente essere un medico e assomigliarsi all’Heurtault negli atti esteriori della vita), è proprio lui che presta all’abate Jauga le sue cognizioni agiografiche, magiche e teosofiche, per fargliele sfoggiare nell’ultimo capitolo.
L’abate Jauga cita il caso di santa Lydwinne, che viaggiava in ispirito nei Luoghi Santi, si lacerava le membra alle spine dei cespugli e poi le scalfitture e le punture apparivano nel suo corpo materiale. Questo è il fenomeno di « ripercussione » di cui parlano il marchese di Mirville, Cotton Mathiers, Fairfax, Glanvil, Le Leyer, De Lancre.
Questa famosa « ripercussione » che suscita in chiunque incredulità o per lo meno stupore è, al dire dell’abate Jauga, un fenomeno talmente generale che è conosciuto dovunque. « Gli Arabi si liberano dai fantasmi che ossessionano le case, tirando su loro un colpo di fucile o rincorrendoli e colpendoli con un’acuta lama. Aggiungerò che gli occultisti moderni hanno riconosciuto la realtà di questi fatti osservati dal misticismo. Il colonnello De Rochas assicura d’avere osservato ciò ch'egli chiama l’esteriorizzazione della sensibilità. Egli ha spiegato in tal modo la possibilità di certi vuotamenti. L’esteriorizzazione della sensibilità del signor De Rochas non è che un fenomeno rudimentale della separazione dello spirito e del corpo; esso permette già di constatare che il corpo materiale sente i colpi di cui è l'oggetto il corpo spirituale. Gli spiritisti e i teosofi hanno il loro peri-spirito e il loro corpo astrale che non sono se non corpi spirituali. Rammentatevi ciò che racconta l’Aksakoff della signora d’Esperance. Questa signora, presso la quale la separazione del corpo spirituale poteva farsi agevolmente, è stata assai malata perchè uno sperimentatore imprudente ha toccato il suo corpo spirituale a metà liberato. Altre persone citano esempi impressionanti: della pittura applicata sul corpo spirituale o fluidico si ritrova sul corpo materiale come la spina di Santa Lydwinne. Tutto ciò è ripercussione. Il corpo fluidico di Leyre è colpito dalla chiromante; la ferita è trasportata per ripercussione sul corpo materiale ».
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Sulle vesti di Lucia si videro, subito dopo il delitto, le macchie del sangue uscito dalla « forma » di Leyre, ma presto quelle macchie scomparvero senza lasciar traccia. A questo proposito, l’abate Jauga si vale nientemeno che dell’autorità di Omero: Ulisse, quando va ad evocare le anime dei morti, scava una fossa, la riempie del sangue di un animale e appena le anime hanno bevuto questo sangue, riprendono coscienza nel mondo materiale, vivono e parlano: Ulisse poi le allontana con la punta della spada. Il sangue che appare sulle ferite fatte al corpo fluido non è quello ordinario: esso svapora, ridiventa immateriale e ritorna al corpo da cui proviene. Del resto, nei tempi moderni abbiamo il caso della veggente di Coux, la quale, a intervalli, riceveva la stigmate del Signore e tutti i suoi panni si coprivano di sangue, ma poi le piaghe sparivano e del sangue non rimaneva traccia.
Tutto dunque è semplice, piano; e l’unico dubbio che si può sollevare è se questi fenomeni siano naturali o soprannaturali. Ma anche qui, chi ben guardi, ci troviamo dinanzi a una questione di parole. I fatti che avvengono in natura sono sempre « naturali ». Potranno essere meravigliosi, stupefacenti (nulla di più stupefacente delle leggi dell’elettricità, delle proprietà del radio, della vita dei cristalli), ma non soprannaturali ch’è quanto dire fuori della natura.
♦ ♦ ♦
Ora io mi domando: È lecito, è prudente, è ragionevole, allo stato attuale della scienza, volgarizzare, non lo studio — fin qui nulla di male — ma qualche vaga cognizione di occultismo, generando in chi legge idee false e pregiudizi dei quali non si sa dove possano giungere le conseguenze?
Il vólgo oggi serba varie credenze superstiziose: crede che la sonnambula di piazza, toccando un oggetto appartenente a una persona indovini il carattere di questa: crede che le zingare leggano, sulle linee della mano, l’avvenire degli uomini: crede — e ne nasce un groviglio di sciocchi e funesti riferimenti al giuoco del lotto — al potere occulto dei sogni. Però sono credenze dubbie, dissimulate, spesso negate per timore di beffeggiamenti. Guai a dar loro un'apparenza scientifica!
Si badi che, fra le tante superstizioni delle nostre plebi, io ho citato proprio quelle che nel libro del Wilm troverebbero una conferma. Infatti, perchè dovremmo negar fede alle fattucchiere di piazza, quando il Wilm ci mostra le proprietà miracolose dèi rosario di corallo e ci rappresenta una zingara che, appena veduta la mano di Lucia, afferma che la signora è amata da uno spirito e lo spirito appare così nitidamente visibile, che può esser colpito con una coltellata? Dei sogni poi non parlo, perchè di essi e del loro valore reale è formato tutto il romanzo.
Fu già questione tra gli educatori se i racconti di Giulio Verne fossero nocivi od utili ai giovinetti. Io credo che, in massima, debbano ritenersi utili: in un’età pericolosa distraggono i lettori dai primi tumulti del sesso, alimentando in altro modo la loro fantasia: innamorano della scienza, del lavoro, del coraggio: dànno svariate cognizioni di geografia, di fisica. « Ma » si risponde « non tutto è vero quanto il Verne asserisce». È facile replicare che il Verne non asserisce mai, ma
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costruisce ipotesi: egli dice che se la forza inventiva dell’uomo diverrà sempre maggiore, si potrà fabbricare la nave sottomarina del capitano Nemo e il cannone che lancerà i suoi proiettili nella luna ed altri apparecchi mirabolanti. E quante volte già abbiamo dovuto vedére nella fantasia del Verne la precorritrice della realtà!
Ma più grave problema è quello che si riferisce ai romanzi sul tipo del Rosario di corallo: e, se a prima vista non sembra, ciò deriva dal solito errore che fa credere terminata l'opera educativa al limitare della giovinezza, mentre non si pensa abbastanza . he in ogni età gli uomini — e specie quelli delle classi meno colte — sono susceti bili di educazione.
Durante vari anni, gazzettieri e demagoghi hanno predicato che la scienza aveva ormai distrutto la fede, e alla vecchia superstizione che faceva dell'uomo il centro spirituale dell'universo ne hanno sostituita una nuova che fa dell’uomo il padrone materiale del mondo. Poi il disagio morale, il tramontar dell'illusione socialista (solo gli sciocchi possono vedere nel movimento anarcoide di questi giorni un trionfo dell’antico ideale) e finalmente l’angoscia prodotta in tutti gli animi dalla guerra hanno ravvivato speranze che sembrano estinte, hanno risuscitato nei cuòri il bisogno di cercare un rifugio oltre gli angusti confini della vita.
Ecco dunque, per uno scrittore, la delicata responsabilità morale a cui accennavo più indietro.
I suoi lettori gli chiedono la risposta intorno ai problemi dello spirito. Egli non ha diritto di dare per accertato ciò che .è ancora avvolto tra i veli del dubbio: egli non può far credere altrui che la scienza abbia scoperto leggi che ancora le sfuggono: egli non deve riabilitare, per dir così, una serie di errori dai quali siamo usciti a prezzo di sangue, come quando l’abate Jauga parla — e nessuno lo contraddice — di esperienze raccolte nei processi di stregoneria e cita il Bodin e perfino quel Martino Deirio, il quale, al dir del Manzoni «se la rinomanza degli autori fosse in ragione del bene e del male prodotto dalle loro opere, dovrebbe essere uno dei più famosi... quel Deirio le cui Disquisizioni magiche... furono, per più d’un secolo, norma e impulso potente di legali, orribili, non interrotte carneficine ».
I suoi lettori hanno desiderio di fede: egli li secondi con cautela e con amore, ricordando che la scienza non afferma e non nega, dinanzi a certi fenomeni misteriosi ed è naturale che in tale perplessità alcuno speri di veder cenni che partono dall'altra sponda, di udir voci di gente che non ci rassegniamo a pensar muta ed esanime nel sepolcro. Ma non nasconda che queste ipotesi possono domani, dinanzi a nuove scoperte, impallidire e svanire.
I suoi lettori hanno bisogno di verità: egli non li inganni; dica sinceramente che altre vie, oltre quelle dei cinque sensi, sono aperte aH'esperienza umana: e incoraggi — senza affermazioni imprudenti, però — le ricerche intorno alla sostanza, alle facoltà, ai poteri dell’anima.
Egli non sa come soddisfare la sete spirituale che tormenta i suoi lettori? Se mai Ci fu un momento in cui la parola evangelica abbia sonato opportuna, è questo: « Chi beve dell’acqua ch’io gli darò, non avrà più sete, anzi, l’acqua ch’io gli darò diverrà in lui una fonte d'acqua da cui scaturirà una vita eterna ».
Dino Provenzal.
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DELL’ÀNIMA
VIA E VERITÀ
serei io esaminare, commentare, interpretare, spiegare il Vangelo ? Proprio no. Non mi va tanto quando lo fanno gli altri e incatenano la Parola che non corra oltre il loro segno e non ci rapisca al cielo conteso da loro piccolezza. Perchè
farlo io? Il Vangelo si spiega da se. Dio parla all’anima. Ma la Parola sveglia, crea; l’anima palpita, la creatura risponde. La parola digrada, ma commisurata al nostro limite si moltiplica.
Tre parole più divine, direi, fra le divine stesse hanno molte volte occupato l'attenzione e fatta la delizia degli spiriti. Io sono la Via, la Verità e la Vita. E sono nel Vangelo secondo Giovanni al c. XIV. 6. Sono tre sole parole e contengono tutto. Nessuno le ha mai comprese intieramente fuor di Colui che le ha
pronunziate. Ma se la Fede aiuta, quel tanto che uno ne può comprendere basta a suo conforto a sua illuminazione -a sua salvezza. La loro più profonda signifi
cazione e verità sta nella loro unità e armonia. Non che ognuna separatamente non sia vera e feconda; ma se tu le prendi nel loro insieme, dolce figlio, anche ognuna di esse acquista molto più di verità e di potenza. Della Vita han detto altri e diranno, l’ala mia non si leva fin lassù.
Dirò solo delle due prime. Tutti comprendono che Cristo è la Via perchè è la Verità, ma forse non tutti si fermano ugualmente a meditare che Cristo è Verità perchè è Via, è la Verità perchè è la Via.
Cristo è Verità intiera. La Verità che non è anche Via non è intiera Verità; il spire che non è sapere non è vero sapere... La Verità che Cristo c’insegna ci penetra tutto lo spirito, perchè non è una parola morta, fredda, ma è la virtù
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BILYCHNIS
stessa che crea la volontà buona. Ecco perchè io dico che sola è scienza dell’anima quella che esercita e perfeziona l'anima stessa; una scienza dell’anima che non sia del tutto diversa dalle scienze de’ corpi, una scienza dell’anima che tratti l’anima come un oggetto di curiosità, per vedere come è fatta, o tutt’al più per farsi uno spettacolo dilettevole del come agisce e magari come spasima e come si corrompe senza curarsi di quello che deve essere e di aiutarla a fare quello che deve, è un inganno, una contraddizione oltreché una profanazione. Se non educa, diseduca. Così comprendere che Cristo è Verità perchè Via, che conosceremo la Verità solo stando in Lui, ci aiuta a comprendere meglio che egli è la Verità, e che è Via perchè è Verità, perchè « chi segue me non cammina nelle tenebre (Giov. Vili, 12) »; che Egli è la Via stessa che ci porta, perchè ci illumina nella verità, ci dice la verità (id. id. 40, 45) e per Lui è là verità a noi (id. I, 17) e quelli che l’ascoltano sono quelli che sono dalla parte della verità (id. XVIII, 37).
Firenze, Calendimaggio 920.
Michelangelo Billia.
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LA RELIGIONE DELLA TERRA W
(a proposito di religione e bolscevismo di E. Troubetzkoy)
Non si può accettare come oro filato tutto quanto afferma il principe russo professor Eugenio Troubetzkoy nel suo scritto pubblicato da Bilychnis (fase. V-VI del corrente anno) nella traduzione del dottore D. G. Whittinghill.
Il nostro esame sia senza odio. Non è la calunnia, ottima arma polemica: chi inganna altrui, inganna sè stesso.
Secondo il Troubetzkoy il materialismo storico dal campo della critica è passato nel campo della morale, insediandosi nel punto centrale della filosofia, diventando materialismo dico.
Tale è, secondo il Troubetzkoy, il materialismo che inspira le nuove tendenze politiche e sociali.
Non è più soltanto materialismo storico, cioè un punto di vista per la osservazione critica dei fenomeni storici nel loro essere; ma è materialismo etico, cioè negazione di ogni forza spirituale, concezione materialistica del mondo e della vita nel loro stesso dover essere.
Unico reale legame fra gli uomini quello economico. Vana' cosa ogni metafisica, vana ogni legge morale. Unica regola, l’utilità. Unica meta, il benessere corporale.
Non dissimile la vita umana da quella dei bruti.
(x) Sebbene non contengano una critica contesta di fatti, pubblichiamo queste note del dottor Persi all’articolo del Troubetzkoy per l’efficacia del loro contenuto teoretico che è bene non venga perduto di vista da chi, comenoi, vuol giudicare il più serenamente possibile. (N. d. D.).
* • ♦
Ma guardiamo un poco, coraggiosamente la verità negli occhi.
Se l’attuale movimento delle folle, ed il sentimento che lo genera, ed il pensiero che lo dirige, si compendiassero in una tale forma di materialismo, la teoria bolscevica non altro sarebbe se non ciò che volgarmente si chiama filosofia epicurea, e la morale bolscevica sarebbe quella stéssa del grasso e crasso filisteo, sempre devoto all 'ancien riginie, per amore del quieto vivere.
Lo spirito di conquista che anima il novatore — l'aria pura e rarefatta, il pericolo vicino — non si addicono a questo goffo materialismo che non ha nulla di comune con la dottrina del materialismo storico.
Altra è la realtà, ed altra ancora è la teoria dei moderni pionieri della civiltà, che vieta arte polémica tentò contraffare. La loro dottrina non è statica; non va considerata solo in un dato atteggiamento. Ciò vuol dire che dal materialismo critico non deriva necessariamente un materialismo etico.
L’Università di Genova ricorda ancora con reverenza gli insegnamenti del professore Asturaro.
La sua concezione non era turbata dal dualismo di materia c spirito, non si dibatteva nelle angoscio della scepsi. Ma Egli vedeva una concatenazione senza fine, un fluire continuo, attraverso il nesso causale dei fenomeni umani, dal fatto eco‘ ■^■rrr-TWi----J. .i*1 -jf
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nomico e ’genetico alle sublimi ideazioni dell’arte, ed alle estasi o meditazioni dell'uomo religióso. Così Égli vivificava il materialismo storico alle eterne fonti del pensiero hegeliano, e lo rendeva permeabile alle più moderne correnti scientifiche, evoluzionistiche ed energetiche E nondimeno nella sua vasta concezione del mondo, e della vita, intatto rimaneva il canone materialistico: il punto di partenza dal dato economico.
Tale è l’intima essenza del materialismo che sopravvive ai primitivi atteggiamenti dogmatici dei suoi sacerdoti, da Büchner e Vogt a Haeckel e Ostwald e che forma oggi ancora un saldo substrato critico alle idee dei rinnovatori della società:
Non negano essi lo spirito in nome della materia, nè questa in nome di quello: ma vedono la loro unità profonda. Vedono, attraverso i molteplici errori del pensiero umano, come attraverso le secolari lotte sanguinose dei popoli, disegnarsi un’unica linea luminosa, che segna l’ascensione della stirpe umana.
Chi créde in questa redenzione, è salvo; e per lui non sono le parole di S. Paolo: ... non percepii ea quae de spirita sunt.
L’aver messo a fondamento di questo edificio un’umile rozza pietra, l’essere cioè partiti dalla osservazione del fatto economico, c dalla valutazione della sua importanza nella breve esistenza dell’individuo, e nella vita storica della specie, non toglie valore alla concezione religiosa ed etica, verso la quale lanciasi lo spirito assetato di verità c di bene; che anzi la rende più umana, più conforme alla nostra mista natura, placandone il conflitto, più feconda di opere buone e belle. Un uguale elemento iniziale terrestre noi ritroviamo in un sistema etico, che rispecchia in luminosi paradigmi unó dei più superbi periodi della storia umana. Chi non ha sentito il rimpianto di una gioventù del mondo, leggendo le pagine della Nico-machea?
Chi non ha desiderato di veder risorgere, in carne ed ossa, davanti a sè, la figura dei magnanimo?
Non voglio qui rinnovare un vecchio dibattito di priorità fra civiltà pagana, e civiltà cristiana p cattolica.
Noi abbiamo di già composto e superato tale dissidio. Le nostre parole possono essere serene. Non chiamiamo immorale questo umile principio terreno. È invece come il grano di sale che conserva le vi
vande. È l’antica saggezza, che fa ritorno.
L’amore della vita, oggi, non è più delitto.
La vita vuol essere nuovamente celebrata.
Vivere vogliono, oggi anche i diseredati. E la riscossa degli schiavi.
Per questo, gli schiavi antichi credettero nella Croce. Non disprezziamo questo umile principio. Non vergogniamoci dell’utero, donde uscimmo. Restiamo fedeli alla terra, secondo la espressione di Federico Nietzsche. Del resto la legge del dovere quale scaturisce da una simile concezione è tanto luminosa che non ha bisógno di essere chiarita (od oscurata) da parole di pretesa evidènza scientifica.
Se ricercando la mia legge morale entro me stesso, io non avrò soffiato sopra la fiamma dell’amore per la vita, questa illuminerà la mia ragione; e la ragione stessa mi rivelerà il dovere di considerare come sacra la vita, non solo in me, ma anche fuori di me, nella natura e negli uomini. Per questa via io potrò pervenire a quella universalità concreta che è il carattere fondamentale della conoscenza e della morale.
E allora io forse non predicherò più in pubblico una disumana rinuncia a ciò che toi andrò cercando furtivamente nell’om-ra. Non mentirò. E allora forse io vedrò in ogni cosa creata la rivelazione di un Dio. Non maledirò, non odierò più la vita.
L'amore della vita, la legge della conservazione dell’essere, fondamentale da Aristotele a Darwin, la tendenza universale che Spinoza identifica con la stessa natura (Etica L. IH-prop. VII) la volontà di essere è la forza che solleva questo grano di polvere, l’uomo, sino alla completa autocoscienza nell’amore' fraterno della umanità.
Qui l’uomo riconoscerà l’uomo. Al disopra di secolari odi religiosi 0 politici, uomini nuovi, fresche forze della umanità, si porgeranno la mano.
Odieranno il male, e innoveranno guerra alla guerra. Materialisti li chiameranno scribi e farisei. Ma la loro spiritualità rifulgerà nel lavoro, in quésta lotta umile diuturna, tenace, contro le forze brute della materia. Il lavoro sarà la loro legge, eia giustificazione della vita.
Li chiameranno anche utopisti. Ma la religione più alta non è forse una utopia che si fa realtà? Per questa realizzazione essi saranno perseguitati, conosceranno il carcere e l’esilio, getteranno la vita, fau-rès, Kurt Eisner, Liebknecht, Rosa Luxcm-
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NOTE E COMMENTI
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burg, e molti c molti altri, conosciuti od oscuri; astri lucenti o invisibili, splenderanno nei cieli della umanità nuova.
Vi è dunque in questo umile principio materialistico un profondo senso religioso? Si; la legge morale non piove dalle alte nuvole sopra le genti attonite, ma è chiusa nel più oscuro germe della natura, vive in ogni più vile come in ogni più nobile cuore umano, e la ragione la sviluppa.
¡testate fedeli alla terra.
Questo è il precetto.
Ecco secondo il Troubetzkoy le massime derivanti dal materialismo ch’egli affibbia ai bolsceviche.
L’amor di patria è una finzione bugiarda ed ipocrita adoperata per mascherare gli interessi delle classi dominanti. — La giustizia è il diritto del più forte che trionfa nella lolla di classe. Ed ecco secondo il Troubetzkoy le conseguenti caratteristiche della società bolscevica: Il lavoro manuale ha una posizione privilegiala: le forze intellettuali sono disprezzate; lavoro vero è soltanto il lavoro corporale. — Non vi è legame spirituale tra i due sessi; non vi è dunque alcuna relazione costante. Si è proclamala la nazionalizzazione delle donne. — I bambini sono tolti dai loro genitori; centinaia di bambini furono nazionalizzali.
E questo è il lato Più caratteristico del bolscevismo. Ma se pure tutto ciò esistesse in. Russia, potrebbe forse considerarsi come la conseguenza logica delle dottrine materialistiche5 La poligamia, e la comunione delle donne e dei figli furono ben spesso propugnate in occasione di importanti movimenti religiosi. Ricordiamo un filosofo antico, non sospetto di materialismo; Platone. Idee simili, anche nel nostro Occidente, dove non sono originarie, pullularono in tutti i tempi, e non c’è da stupirsi che compaiano qua e là con qualche forza di affermazione, attraverso una grande palingen«i.
Sotto la rivoluzione francese, la febbre del nuovo e l’accanimento contro cose e uomini del passato, portarono a stranezze ben maggiori e peggiori; e nondimeno chi vorrebbe seriamente formare un atto di accusa contro i principi della grande rivoluzione borghese?
Ma poi che vi è di vero in questa accusa raccolta dal Troubetzkoy, contro l'attuale regime russo?
La nazionalizzazione delle donne e dei bambini non è certamente un lato caratteristico del bolscevismo. Basta per convincersene leggere le disposizioni di legge della Repubblica Federativa Socialista Russa dei soviety relative agli Alti dello Stato civile, e al diritto matrimoniale, di famiglia e tutela (Codice delle leggi. Rivista: ComuniSmo, n. 19 e segg.).
Quanto alla questione dei rapporti fra il lavoro manuale e quello intellettuale, la soluzione che il Troubetzkoy attribuisce al bolscevismo, è ben lungi dalla realtà. Essa occupa tuttavia il pensiero c l’attività di coloro, che nel flutto degli eventi, e sotto la pressione delle nuove aspirazioni umane, foggiano con alacrità, fra disillusioni e speranze, gli ordinamenti di una società futura. Ma essi sentono che non è questione da risolversi semplicemente con deduzioni da prìncipi a priori. Non è del resto una questione preliminare; la sua soluzione sarà effetto, non causa del nuovo assetto sociale. Questo intanto si può affermare esaminando la realtà presente: non è vero che l’intellettualismo sia disprezzato per se stesso dalle classi dei lavoratori manuali. E come potrebbe essere ciò se alla testa del nuovo movimento sono appunto degli intellettuali ? Massimo Gorki è tra i primi.
Non è vero che ili avoro manuale sia privilegiato su quello intellettuale. Esiste però, e non solo in Russia, una tendenza nel mondo moderno a valorizzare l’azione sopra la teoria. Questa tendenza non è privilegio del materialismo: è professata presso tutte le classi, fa capolino attraverso le più opposte opinioni. Talvolta splende di verità, tal’altra è fumida delle più strane aberrazioni. Gli intellettuali stessi accolsero primi questa tendenza. Ricordiamo il Poeta:
Noi ne la vita esercitammo il muscolo...
(Odi Barbare, Da Danzano). Meglio oprando obliar, senza indagarlo. Questo enorme mister de l’universo!
(Idillio Maremmano}.
Nelle correnti della filosofia moderna, e nelle stesse scienze naturali, è il riconoscimento di un potere inconscio, ancora o per sempre estraneo alla ragione. Ricordiamo la filosofia dell'azione di Maurizio Blondel. Questa specie di diminuii-) cdpi-lis del potere intellettuale di fronte alle cose ed ai fatti, e l’innalzamento dell'azione e ‘della forma più feconda di azione, il
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lavoro, sono oggi favoriti, direttamente o meno, da diverse cause.
Reazione al disprezzo dei potenti e dei parassiti per la fatica del lavoro rude; in alcuni volontà di redimere una forma di attività tenuta a vile da secoli, in altri ancora, desiderio di sfuggire al controllo della coscienza tuffandosi nell’irrazionalismo; in alcuni, romantico desiderio di avventure, in altri, meditata ribellione a metodi di scuola e a formule di scienza che il trasformarsi rapido della vita ha resi inutili e vuoti di contenuto; da ultimo la guerra, questo violento distacco da ogni costumanza di belle arti e di studi sereni; la sfiducia nel potere della ragione sui fatti incalzanti; lo scetticismo; fallimento morale e condanna delle classi istruite per il cattivo uso fatto della parola e del pensiero; coscienza diffusa, attraverso esperienze di dolore, della importanza, anche dei più umili lavori; bisogno di agire qua per dimenticare, là per nuovamente sperare; tutte queste cause, e non le dottrine materialistiche, nè il bolscevismo, concorsero a innalzare il valore dell'azione di fronte al pensiero e per conseguenza del lavoratore di fronte rìV intellettuale.
Se in questo dissidio avrà il bolscevismo una missione, questa sarà di offrire ài movimento uno sbocco verso una suprema pacificazione di idee e di uomini. Cioè fatale. La tendenza che si solleva da queste cause non è già verso un maggior distacco fra pensatori e lavoratori, come nei secoli passati, come in tutte le società, dove regna o sopravvive la casta e il privilegio. Ciò che acuisce maggiormente oggi il dissidio fra pensiero e lavoro è solo la vicinanza: non resta che porgersi la mano. Ma ciò non basta; ben altro vuole la legge della nuova umanità.
L’antagonismo sarà placato soltanto nella identificazione. Il mondo antico, con le sue caste, la società borghese con le sue divisioni e suddivisioni, e con la sua tendenza a specializzare non hanno fatto altroché produrre degli uomini incompleti, dei frammenti d’uomini. Le antinomie, davanti a cui si arresta il pensiero logico, sono spesso il riflesso di antinomie sociali.
Il tipo integrale dell'uomo, forte di mente e di corpo, lavoratore e pensatore, sarà il prodotto della società futura. Con un cenno egli disperdèrà le nebbie giacenti come abissi fra materia e spirito. A questo prelude l’elevazione delle classi lavoratrici.
Questo tipo ideale d'uomo. figlio della
nuova rivoluzione, che in sè identifica i lavoro del braccio e quello del pensiero, vale anche a sfatare l'altra leggenda che le nuove correnti sociali si oppongano all’af-fermarsi di ogni forte personalità.
Il tempo degli uomini grandi è passato, si dice melanconicamcntc. La terra non vedrà più i suoi geni. No; i Grandi che la umanità ha finora espressi dal suo grembo, sono quasi tutti necessariamente per metà immersi nell’ombra, somiglianti a centauri. Ma in una società liberata dalle febbri del lucro, in un popolo più lietamente operoso, sarà finalmente ancora possibile, cóme ai tempi aurei, il Sorgere di personalità pure, non meno forti e originali, Il comunismo nega l’individuo quale è oggi, incatenato ainteressi egoistici, schiavo di sè stesso; ina è ad un tempo un ponte lanciato verso la patria di un nuovo individuo, veramente libero, interamente umano, e perciò stesso, di fronte a noi, superumano. Oserei affermare che soltanto dopo un grande lavacro di comunismo, potrà la terra generare il Superuomo.
Bisogna attraversare un socialismo ■provvisorio, per conquistare un individualismo superiore.
Sono parole del Blondel.
Facile è la obbiezione: Che cosa conosce la massa, di tutto ciò? Ma la massa agisce più che non conosca, e agendo intuisce che il termine di questo movimento è una elevazione del mondo verso altezze finora ignote. L’uomo della folla conosce questo segreto, che rimane chiuso ai sapienti. Questa è la sua fede. Qui è la sua religiosità.
E per questo l’uomo della folla talvolta disprezza certo intellettualismo, irride a certa scienza.
Troppe volte il dotto non ha avuto pietà dell’umile; troppe volte lo ha anche tradito. E l’umile lo disprezza ora ch’egli stesso possiede una verità più viva. Questa sola è la ragione dell’attuale antitesi passeggierà fra lavoratori e intellettuali. Ma chi ha vissuto tra la folla, chi è crésciuto in mezzo alle moltitudini angariate, oppresse, ed ingannate, costui sa bene di quanta Stima gli operai circondino l’intellettuale, di quanta venerazione lo scienziato, di quanto amore l’artista, quando essi si presentino loro, non già a ribadire le antiche catene, ma quali scopritori di mete, portatori di gioia e di forza per le aspre battaglie della esistenza.
Non altrimenti è per quanto riguarda il concetto di patria nel materialismo storico
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NOTE E COMMENTI
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e ne» suoi moderni seguaci. Certamente quando il nome di patria servì per coprire i delitti dei potenti cupidi di ricchezza o di falsa gloria, allora gli innocenti sacrificati (sono costoro che chiamate materialisti?) maledissero alla patria, e maledissero per la stessa ragione anche al buon Dio, come i tessitori di Heine.
Ma che l’uomo ritrovi in sè il suo Dio, senza gli ipocriti intermediar», e avrete il Santo.
Che un popolo ritrovi nella sua libertà la sua patria, e avrete gli eserciti della vittoria.
* * •
La conclusione che il Troubetzkoy trae dalle considerazioni su esposte è la seguente:
La guerra di classe, che è uno dei principi del materialismo storico, si è mostrata incapace di fondare un nuovo ordine sociale. E crede il Troubetzkoy di abbattere il principio della lotta di classe con questa osservazione: La società i prima di tutto uno slato di pace tra gli individui e le classi che la compongono. Uno stato di pace?
Abbandoniamo le frasi ed affacciamoci alla dura realtà della storia. Guerre e rivoluzioni, lotte di razze e lotte civili; questo è il moto onde si è tessuta la tela sanguinante dei popoli.
L’uomo levandosi ruggì < guerra »
Non appare nella storia un ordine sociale assòluto, ma ciò che noi chiamiamo tale, è un continuo tramutare di ordini, che appaiono come il prodotto di lotte senza tregua fra razze di popoli o classi di un popolo. Fra le due guerre, di razze o di classi, non vi è sostanziale differenza. Il bisogno della conquista si alterna con quello del godimento: attività militare e attività economica s’intrecciano e s’ingenerano a vicenda. Formano il ritmo di accrescimento della umanità. Un punto fermo, l’equilibrio stabile assoluto, sarebbe la cessazione della vita.
Se lo stato di pace fosse la condizione essenziale di vita della società, noi avremmo una umanità statica; l’umanità non sarebbe uscita mai da un primitivo schema infantile. Sé lo stalo di pace fosse la condizione essenziale di vita della società, noi dovremmo constatare che finora non è esistita mai società. Ma forse, il Troubetzkoy più che al passato tiene volto lo sguardo all'avvenire. Più che constatare un fatto egli ha voluto additare una norma. Ha voluto
Ìarlare non di quello che è, ma di quel che ev’csscrc. In questo caso anche il materialismo storico (non dimentichiamo che vi è un Marx idealista) ò d'accordo con lui. Anche i bolsee vichi affermano di sperare e credere in una società futura in cui la vibrazione di vita della umanità sia sempre più ampia per una crescente fratellanza dei popoii, e per conseguenza il suo moto di accrescimento si manifesti meno informe rivolutive che in forme evolutive. è anzi questo il nucleo della loro fede. Ed i principi del comunismo, per una radicale trasformazione storicamente possibile della proprietà, che nella sua attuale forma privata acutizza le due manifestazioni della lotta, di razze e di classi, formanti il ritmo della vita sociale, appaiono loro come i più idonei ad instaurare questo nuovo periodo storico. E non credono già che con questo sia per iniziarsi uno stato definitivo ed immutabile di pace duratura e di felicità al genere umano. Ben altra è la concezione del materialismo storico, anche quando diventa teleologico. Guerra è il destino umano: questa la necessità. Ma quando citansi le ferree leggi di Marx, troppo facilmente si finge ignorare come egli non ha mai trascurato i vantaggi che possono derivare dal volontarismo nella 5redazione dei fatti umani (prof. R. Mon-olfo. Sulle orme di Marx, Bologna). Libertà è la meta della dottrina marxista. Ecco il rapporto di libertà e necessità: leggi della materia (il così detto determinismo economico) e volontà sono due forze che si plasmano a vicenda, limitandosi reciprocamente. Le prime impongono all'uomo il destino della eterna lotta, la seconda trasforma questa lotta, e ne crea gli atteggiamenti attraverso i secoli. Di qui la possibilità di rendere questa lotta »nono cruenta, più umana.
Questa è una fede. Qui il materialismo storico si fa religione. Oggi dopo una grande S;uerra di razze, l’umanità si polarizza verso a lotta di classe; vi ò un nesso di causa. Questo è il significato del momento che viviamo. I seguaci di Carlo Marx, i bolsce-vichi, e con essi tutti coloro che hanno il senso della missione storica attuale del proletariato vedono nella lotta di classe il Siù potente mezzo di propulsione intima ella umanità verso le sue mete supreme.
E lo stesso Troubetzkoy, se ammetta infine con noi che il dover essere deve rientrare nella estensione del poter essere, in ciò consistendo il suo legame con l'essere.
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se pertanto convenga con noi nella necessità che l’umanità debba procedere attraverso lotte infinite, vittorie e sconfitte, come l'individuo attraverso gioie e dolori, se infine si guardi un poco attorno, non vorrà, ne son certo, affermare che l’ora presente sia tale da desiderare che l’umanità, se fosse possibile, se non fosse contro la sua stessa natura, potesse di tratto fermarsi, rinunciare ad ogni lotta, rinunciare alia lotta di classe, per esclamare come gli Apostoli sul monte Tabor: lìonurn est nos Itic esse.
Nò al torbido momento che passa egli vorrà certo rivolgere la invocazione di Faust: Arrestati, attimo: sei belici
* « •
Constatati così i danni del materialismo storico e del bolscevismo, il Troubetzkoy vede la salvezza della Russia in un rinascente spirito religioso che sin dagli inizi della rivoluzione è andato diffondendosi fra le moltitudini. Ma quale è codesto spirito religioso? Attraverso infinite forme storiche si è rivelato il bisogno fondamentale umano, che noi chiamiamo spirito religioso Generalmente però tutte si possono ricondurre ai due periodi che secondo alcuni sciittori ciascuna religione positiva offre nel corso della sua esistenza terrestre, e cioè ad un momento iniziale di ascensione, e ad un momento terminale di decadenza. Di quale forma di spirito religioso intende il Troubetzkoy parlare ? Forse dello spirito religioso in sé, xivelantesi nella sua fondamentale purezza, come verità eterna, al di sopra di qualsiasi forma storica di religione positiva? È dunque lo spirito religioso aleggiante nell’opera del Tolstoi? Infatti verso la fine del marzo del 1917, alla casa di Tolstoi a lasnaja Poljana si recò numerosa folla di soldati operai e contadini che s’inginocchiarono cantando inni. Ma no! Leone Tolstoi era anàtema per il Sinodo. Leone Tolstoi rappresentava come ciurmatori quei popi che stanno invece a cuore al Troubetzkoy.
Il rinascente, spirito religioso, di cui il Troubetzkoy si compiace, non è altro che il vecchio spirito reazionario che abilmente si appoggia sul misticismo ingenuo delle folle. È la debolezza spirituale che faceva tremar di paura Io sventurato Alessio, li figlio di Pietro il Grande; è il rassegnato terrore che accendeva candele votive dinanzi alla tomba del sanguinario czar Paolo nella cattedrale della temuta for
tezza; è la superstiziosa degenerazione che faceva dello czar Nicola II, un giocattolo di sangue nelle mapi dei preti. Questa ò dunque religione? E l’opera dei Gaponye dei Rasputin dovrebbe salvare la Russia? Il T. conosce però benissimo le cólpe della Chiesa lussa. È per questo parla di una Chiesa completamente riorganizzata e trasformata in questi ultimi tempi, anzi di una rivoluzione della Chiesa stessa. Ma lo scopo di questa rivoluzione operata in seno alla Chiesa russa non può essere che la controrivoluzione. Si tratta di un mascheramento molto comune alle Chiese in decadenza. Lo scopo del nuovo Sinodo, la restaurazione del potere patriarcale, in fondo, significa restaurazione del potere czar i sta. I due poteri hanno sempre finito per andar d’accordo. Alla vigilia della sua abdicazione lo czar Nicola II fondava ancora tutte le sue speranze su Mosca, la città sacra.
Ma il T. fa il nome di un uomo nuovo, il patriarca Tykone.
E che cosa ha saputo fare costui nell’imperversare della bufera rossa? Ha egli compreso il suo tempo? Ha capito che un popolo, oppresso da secoli, si sollevava oggi contro i suoi oppressori? Che se antichi peccati pesavano sulla Russia, questi erano i peccati degli czar, dei nobili, e del clero? Che bisogna al popolo parlare il linguaggio del popolo? Che bisogna uscire dai penetrali del tempio per farsi incontro alla folla in tumulto placandola con la parola semplice e buona del Cristo, con la parola che non fu mai gettata invano fra le turbe da chi con le turbe ha nutrito di sofferenza la sua fede nei destini migliori ? Che cosa ha fatto questo patriarca?
Egli pronunciò un anatema contro il Governo dei society-ed ordiw' che tosse letto in ogni chiesa. Miserabile! E non ha saputo far altro che maledire'.
Oh non questa è la religione delia più intima anima russa, quella che sorride di bontà, o palpita di amore, o si raccoglie pensosa dei destini umani, e scruta le profondità del dolore, nelle pagine di Dostojewski, e si eleva a visioni di giustizia e di fraternità fra tutti i popoli della terra. Non questa è la religione umile e sincera della uguaglianza tra i figli della terra. Non questa la religione di un popolo Servenuto a libertà, attraverso oceani di olori, che aggredito si difende, e vincitore impone ai vinti condizioni di nuova altissima moralità sociale, la libertà agli oppressi, la terra ai diseredati.
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NOTE E COMMENTI
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I furbi avevano conquistata e detenevano in loro proprietà la terra, la nutrice comune, a questo modo: spalancando gli spazi del cielo alla nostra volontà mistica ed alle rondini delle nostre illusioni.
Non più. Caduta è ogni maschera di falso spiritualismo. Torniamo alla religione della terra.
Questo esige il nostro spirito di umiltà, e la nostra volontà di giustizia.
La Santa Russia è per il T. personificata nella apparizione coreografica, in mezzo alla antica Cattedrale dell'Assunta, di questo neo-eletto patriarca, vestito degli antichi -paramenti del suo predecessore del secolo diciottesimo, gravi di splendori bizantini. Ecco a che si riduce la grande riforma della Chiesa russa!
Ma il popolo russo non ha più bisogno, a quanto pare, di pupazzi dorati.
* * *
Il principe Eugenio Troubetzkoy professore di diritto nella Università di Mosca (?) chiude il suo scritto, pubblicato d&WHibbert Journal nel gennaio scorso, esprimendo i voti, e la-fiducia che secondo una profezia-' del suo patriarca, l’esercito volontario
cresca tanto da poter debellare le orde bolsceviche.
Non pronunciamo parole d’ira fra popoli che ancora la guerra dilania.
Additiamo però alle coscienze largamente c umanamente religiose, da un lato un popolo in armi, che si libera e spezza millenarie catene, nel nome di un modesto principio materialìstico, verso del quale però come verso una luce liberatrice si affissano le moltitudini sofferenti dei più lontani popoli della terra, e Rabindranath Tagore guarda meditabondo. Dall’altra parte nobili e preti, cortigiani e banchieri, che si arrabattano in occidente per aizzare contro l’orso bolscevico, bande cupide di bottino o anche nobili popolazioni funestamente ubriacate di odi antichi e di recenti illusioni. E domandiamo: Da che parte è Dio?
Troubetzkoy ricorda l’inno che si canta nelle chiese in Russia: Cristo è risorto1.
Sì — rispondiamo noi. secondo l’antica costumanza russa — Cristo è veramente risorto! Ma non è il Cristo degli czar e dei suoi popi.
Genova, 15 agosto 1920.
Guglielmo Persi.
INTERNAZIONALISMO CRISTIANO
Nella più perfetta comunione di cuori e di pensiero, con una fraternità così intima e profonda fra tutti gli intervenuti, che chi ha avuto la fortuna di assistervi non dimenticherà per tutta la vita, si è tenuta a Bilthovcn (Utrecht), dal 20 al 28 luglio scorso, la seconda conferènza per un movimento verso una internazionale cristiana.
Alla prima conferenza, che ebbe luogo dal 4 all’n ottobre 1919, erano intervenuti cinquanta delegati rappresentanti dieci nazionalità; alla seconda, della quale più particolarmente ci occuperemo, oltre settanta erano i delegati, rappresentanti 19 nazioni, e cioè: Stati Uniti, Germania, Francia, Inghilterra, Olanda, Italia, Austria, Belgio. Finlandia; Svezia, Norvegia, Danimarca, India, Giappone, Scozia, Irlanda, Siria, Africa del Sud. Fra essi un membro della direzione del Labour Party inglese, una deputatela al Reichstag germanico.
uno dei leader del movimento irlandese, vari scrittori e pubblicisti assai noti, un vescovo americano, un prete cattolico, e molti pastori delle diverse confessioni.
Avanti di dare un resoconto sommario delle questioni discusse nella riunione del luglio, ritengo opportuno per i lettori di Bilychnis fare un riassunto storico del movimento, che, a parte il giudizio che altri possa di esso formarsi, costituisce senza dubbio una delle più caratteristiche e delle più vive espressioni del cristianesimo nel momento attuale.
LA STORIA DEL MOVIMENTO
Quello che può chiamarsi movimento organizzato ebbe realmente inizio nella prima conferenza di Bilthoven nell’ottobre 1919. Ma le sue vere origini sono un po’ meno recenti. Effettivamente gli uomini e le donne che presero parte alle
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dette conferenze non si erano certo riuniti in virtù di una subitanea ispirazione, ma sotto la pressione di convinzioni comuni che erano venute maturandosi durante la guerra.
Lo scoppio delle ostilità nel 1914 pose i cristiani d’ogni paese di fronte al problema della incompatibilità della guerra con gli insegnamenti del Cristo. Furono lanciati appelli all'umanità per una concezione vera e profonda della fraternità che non conosce barriere nè di lingue nè di interessi. Alcuni compresero, altri ebbero i sensi ed il cuore chiuso, e restarono nella notte. Quelli che compresero risposero alja angosciante questione che, per essi, la guerra non era possibile e che nel labirinto doveva trovarsi un’uscita che occorreva schiudere senza tardare un istante ed a costo di qualsiasi sacrificio. In Inghilterra, all’inizio della guerra, questo movimento prese forma e cominciò ad organizzarsi.
Infatti, verso la fine del 1914, dei gruppi di « cercatori » si .conobbero e circa 130 Sersonc si riunirono a Cambridge fondanovi la Società della Riconciliazione (Fd-lowthip of ReconciliaHon). Pur riconoscendo che il legame che li univa era più di ordine spirituale che intellettuale, i fondatori della Società convennero nella dichiarazione seguente:
« a) L’Amore, quale è rivelato e realizzato nella vita e nella morte del Cristo, comporta assai maggiori conseguenze di quelle che abbiamo finora intravisto. Esso è la sola potenza capace di trionfare del male, c perciò la sola base solida per la società umana.
« b) Per stabilire un ordine umano basato sull’Amore, quanti hanno fede in questo principio devono accettarlo pienamente per sè e per coloro con cui sono in relazione e, pertanto, accettare i rischi che risultano da tale condotta, in mezzo ad un mondo che non ha accettato ancora tale principio.
• c) In conseguenza, come cristiani, ci è proibito di sostenere la guerra. Il nostro lealismo verso il nostro paese, verso l’umanità, verso la Chiesa universale, verso Cristo nostro Signore e Maestro, ci chiama invece ad un servizio che porrà l’Amore, individualmente, socialmente, commercialmente e nazionalmente, al di sopra di tutto in questa vita.
« d) La Potenza, la Sapienza e l’Amore di Dio hanno un'azione ben più ampia di quella che noi abbiamo fino ad oggi speri
mentato. Essa è sempre per questo in condizione di manifestarsi nella vita umana con mezzi nuovi e più comprensivi.
• e) Poiché Dio opera nel mondo a mezzo di uomini e di donne, noi ci offriamo a Lui per la sua opera di redenzione continua e per essere da Lui utilizzati nella direttiva che gli piacerà di meglio rivelarci ».
Tale Società, nata durante la guerra, era particolarmente in opposizione a que sta. Ma, sin dall’inizio, i fondatóri compresero che la Legge deH’Amore è violata in moltissime maniere e che se si vuol combattere uno qualsiasi dei mali della società, bisogna attaccar la radice da cui tutti traggono origine e nutrimento. E si convinsero subito che era necessario ricostruire ex novo, su basi del tutto diverse, tutto l'edificio sociale; che le concezioni sociali odierne non sono affatto definitive; e che coloro che sono convinti di ciò son tenuti a procurare di realizzare la volontà di Dio nella vita, moderna e ad unirsi a coloro che in ogni Sarte del mondo si propongono come unico ne di trovare un ordine sociale che si accordi con lo spirito del Cristo.
È naturale che la guerra rese vani molti sforzi per quanto generosi ed energici; ma, ciò malgrado, i pionieri non ne furono sgomenti, poiché erano e sono d’avviso che la verità deve realizzarsi senza ritardo e che il principio rivoluzionario dell’amore deve essere applicato senza sbigottirsi, per quanto nelle attuali condizioni possa apparire irrealizzabile. Animati da tale spirito, gruppi o individui isolati devono andare avanti senza attendere o preoccuparsi che altri li seguano.
Questo atteggiamento pose ben presto i suoi seguaci in opposizione con la Chiesa e con lo Stato. Tutti coloro che avevano idee pacifiste furono considerati come cattivi cittadini e come cattivi cristiani: eppure non si può seguire il Cristo senza accettarne tutte le conseguenze. Si può infatti essere cristiani senza applicare ai problemi sociali il dinamismo dell’Evan-gelo? Si è cristiani o non lo si è: il metodo di Cristo, che trionfa del male a mezzo del bene, dell’egoismo a mezzo dell’amore, del peccato a mezzo della croce, è un metodo assolutamente rivoluzionario, ed implica un rovesciamento completo della scala dei valori in uso fin’oggi; esso esige una modificazione radicale delle nostre teorie sulle relazioni umane.
Dopo cinque anni dalla fondazione, la Società conta ora in Inghilterra 8000 mem-
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NOTE E COMMENTI
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bn. Ha i suoi uffici centrali a Londra, ma per quanto riguarda direttive d’azione, salvo l’applicarsi a problemi generali, come viene fissato ogni anno nella conferenza annuale, ogni gruppo agisce come meglio lo consigliano le condizioni del-1 Ambiente ove svolge la propria opera. Perciò, movimenti che a prima vista sembrano affatto autonomi ed indipendenti, promanano invece da uno stesso spirito c sono profondamente uniti come rami che traggono la linfa da un tronco comune. Il lavoro del segretariato centrale è in gran parte quello di mantenere i gruppi in contatto e portare a conoscenza di tutti le esperienze di ciascun gruppo perchè ognuno possa profittarne. Di varie realizzazioni che sono in particolar modo interessanti e significative, daremo altra volta un cenno.
Passata in America nel 1915, la Società vi raccoglie attualmente intorno a sè oltre 1500 aderenti; vi ha due quartieri generali, a New York e a Chicago, e vi pubblica un foglio mensile. Il mondo di domani, che ha diecimila copie di tiratura c che tratta alla luce dei principi della Società tutte le questioni sociali, economiche ed internazionali.
In Olanda, più recentemente, è sorta una terza sezione nazionale, denominata: « Fraternità olandese in Cristo », ed ha già profondamente lavorato la pubblica opinione di quella nazione. I suoi membri sono particolarmente commossi dalle disuguaglianze fra le classi sociali ed esperimentano fra di loro le soluzioni che sembrano loro le migliori. Essi hanno costruito una Casa Fraterna destinata ad essere un centro spirituale per il paese ed il luogo di ritrovo internazionale.
Più piccoli ma ugualmente combattivi gruppi sono sorti o si stanno organizzando in Germania, Francia, Austria, nei Paesi Scandinavi, nella Svizzera (1). La profi) Purtroppo chi scrive queste righe, invitato a rappresentare l’Italia alla seconda conferenza di Bi'.thovcn, dovette dichiarare che ira noi un movimento organizzato per una internazionale cri-stiana non esiste. Egli però prese impegno di chiamare a raccolta quelle persone, che certamente non mancano anche in Italia, che condividono le preoccupazioni ed i principi suesposti c che verranno meglio dichiarati nei messaggi delle conferenze che pubblichiamo in questo articolo. Coloro che leggeranno questo scritto c che sentono che il loro spirito e la loro volontà sono pronti a seguire un tal movimento, sono pregati di porsi in relazione col doti. Erresto Rutili, 12 via Vespasiano, Roma.
paganda orale e scritta ha avuto in tutti questi paesi un singolare successo..
LA PRIMA CONFERENZA DI BILTHOVBN
Gii aderenti, diremo così, nazionali, in quanto ristretti nell’orbita di questa o quella nazione, desideravano ed avevano ogni interesse di conoscere da vicino quello che in altri paesi si operava nella stessa direttiva c di affermare la fraternità cristiana oltre e sopra lo stupido convenzionalismo delle frontiere. Ciò era difficile realizzarsi durante la guerra, ma appena la cosa fu possibile venne attuata. L’incontro avvenne, come si è detto, a Biltho-ven in Olanda nell’ottobre 1919. È là che i gruppi nazionali costituirono il movimento aeW Internazionale cristiana, perchè ha tale realizzazione come scopo. Da quanto * si è detto, appare già chiaro che tale internazionale non deve intendersi nel senso astratto di comunione di fede religiosa, ma che essa si distingue solo dall’internazionale socialista, o meglio integra questa ultima, arrecandole il contributo di argomenti e di convinzioni che derivano dal cristianesimo inteso come fondamento di vita morale e sociale e non come postulato teorico di chiese.
La conferenza ebbe un esito veramente mirabile. Non mi attarderò a riferirne in dettaglio, tanto più che ebbe su queste pagine a scriverne la signora Whittinghill. Ciò che ritengo necessario è riportarne il messaggio. Esso diceva:
LA VIA
• Non vi è una via per sfuggire alla stretta del dolore che angustia tanti cuori, alle catastrofi che minacciano di sommergerci, all’odio e all’ingiustizia che dominano fra tutti i popoli?
« La via per la quale la gioia ci verrà consiste nel portarci noi stessi senza sgomento di frortte al dolore ed apprendere così a compatire le sofferenze altrui.
« La via per la quale ci verrà la sicurezza e la pace consiste nell’esporre volontariamente le nostre persone ed i nostri beni a tutti i pericoli e nel dar fiducia ad ogni uomo, per quanto ce ne possa sembrare poco degno.
« La via per la quale ci verrà la giustizia non consiste a punir coloro che fanno de) male, ma a trionfare^del male per mcz?o deil’amore c del perdono, senza attendere i segni del pentimento.
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• È questa la via che Gesù ha costante-mente seguito fino alla fine, e sulla quale, anche nella apparente disfatta del Golgota, ha in realtà conquistato il mondo.
« Questa via è la Riconciliazione dei Figli col Padre, e dei fratelli fra di loro.
« Noi, purtroppo, non abbiamo scelto tale via. Noi abbiamo fuggito la sofferenza e il pericolo, ma al prezzo dei dolori e dei pericoli altrui. Il nostro fallimento sul terreno dell'amore è stato così completo che la forza bruta ci è apparsa come solo mezzo di difesa.
« Abbiamo tenuti formi i nostri diritti mentre che altri ne venivano spogliati ed abbiamo perpetuato l’odio, invece di scacciarlo via con l’amore e col perdono.
- Tutti noi siamo dinanzi a Dio meritevoli di condanna e nessuno ha il diritto di scagliare la pietra contro il proprio fratello.
« Porsi per questa via può sembrar quasi un gesto da folli. Eppure ciascuno di noi sente, entro di sè, qualche cosa che ve Io attira. È lo spirito di Dio che opera in noi. Guidati dallo Spirito noi saremo liberi.
« Non è certo per tal via che possiamo sperare di conseguir l'agiatezza, la ricchezza ed il potere. Noi non possiamo creare un mondo nuovo con un colpo di bacchetta magica. Eppure è la via del Cristo che sola può ridonarci la speranza. Tale via si chiama Rivoluzione per mezzo della Riconciliazione. Gesù è veramente rivoluzionario, perchè egli è, in tutta l’estensione del termine, riconciliatore. Seguendo la via che egli ha seguito anche noi diventeremo riconciliatori e rivoluzionari.
• La via è aperta davanti ad ognuno che abbia cuore ed energia. Uomini di tal tempra saranno i pionièri della Rivoluzione Cristiana. Ognuno di noi -può esserlo! ».
LA SECONDA CONFERENZA
La prima conferenza era stata più una affermazione di principi che la fissazione di un programma da attuarsi. La seconda doveva porsi il problema dell’azione.
Tutti convengono che l’attuale sistema sociale è cattivo. Ma la semplice affermazione o anche la semplice protesta contro di esso non approderebbe a nulla. L’individuo è impotente contro un sistema economico ed industriale così mostruosamente anticristiano. Alcuni sperano che il trionfò del bene sul male possa essere il frutto di una rivoluzione mondiale. Ora: che cosa è
una rivoluzione cristiana? Come intendere un ordine sociale cristiano? Inoltre: non basta trovare definizioni giuste, ma occorre anche trovare la forma più adatta di realizzazione. Ed ecco sorgere il problema della proprietà privata, della limitazione dei redditi, se la eredità deve considerarsi come un deposito da amministrare o non sia altro che un falso titolo a cui bisogna rinunciare. « La terra è di Dio » e pertanto vi è una parola a dire a proposito della produzione e della ripartizione delle ricchezze.
E per ciò che riguarda le relazioni internazionali, il riavvicinamento dei popoli, il cristianesimo non ha nulla da proporre in sostituzione agli ibis redibis così idiotamente nefasti degli attuali mezzi diplomatici ?
E il servizio militare? E il problema della educazione? E l’atteggiamento di fronte allo Stato?
Tali questioni non potevano certo essere tutte risolute in una sola conferenza, ma su molte di esse vennero prese importanti deliberazioni, ed altre furono largamente discusse, pur rimettendone la decisione ad una prossima riunione.
All'apertura della conferenza i principi fondamentali del movimento furono riassunti dal delegato inglese Henry T. Ho-dgkin nei seguenti punti:
i° La famiglia di Dio nel mondo è unica e per nessuna ragione può ammettersi che essa possa esser divisa in parti che si distruggano a vicenda, siano esse nazioni, razze o classi.
2<> Le finalità che si vogliono raggiungere non possono mai giustificare l’impiego di mezzi cattivi; metodi distruttori della personalità, quale la guerra, non possono condurre alla libertà ed alla giustizia.
3° Anche quando lo Stato chiama al serviziomilitare, noi, come cristiani, non siamo affatto obbligati a venir meno alle nostre convinzioni; ma servir fedelmente il nostro paese consiste per noi nel seguire la voce della nostra coscienza e ncll’esser pronti a subirne le conseguenze quali esse possano essere.
La discussione sul problema della ricchezza dal punto di vista cristiano fu la prima ad essere affrontata e largamente trattata. Pur non prendendo deliberazioni definitive in proposito, gli intervenuti mostrarono nella loro maggioranza di propendere per la soluzione la più radicale della questione, che cioè con la professione
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NOTE E COMMENTI
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dei principi cristiani non possa conciliarsi il concetto di proprietà individuale. La Chiesa dei primissimi tempi era esclusivamente basata sul regi me comunista; quando essa cominciò a preoccuparsi meno di raggiungere un rinnovamento morale per'seguire speculazioni filosofeggianti o irose quisquilie dogmatiche, e per ragioni di opportunità c di propaganda venne a compromesso con l'ambiente che era sorta a combattere, quando, in altre parole, all’aflerma-zione rigida dei propri principi sociali c morali, si sostituì una specie di riformismo, tendente a permeare lentamente la vecchia compagine, al concetto di fraternità si accodò la distinzione fra fratelli maggiori c minori, al concetto di amore si sostituì quello di carità nel senso di elemosina, al precetto a ciò che avete datelo ai poveri » si cambiò in quello più comodo ■ ciò che avete oltre il necessario datelo ai poveri • c tatti trovarono, con la complicità della casuística, che in fondo in fondo a nessuno avanzava nulla. San Paolo col suo » chi non lavora non ha diritto di mangiare ». precetto così chiaro e semplice nella sua immensa portata, obbligò per secoli tutti gli oppositori della dottrina morale c sociale cristiana alle più allegre contorsioni, per convenire con chi non lavorava, che egli aveva maggior diritto degli altri al banchetto della vita e che per la sua fannullaggine aveva anche il diritto di ingoiarsi le porzioni degli altri che lavoravano per lui.
La ricchezza privata è illogica ed immorale c come tale non può rientrare nella pratica di vita cristiana. Illogica perchè può sottrarre, come sottrae in effetto, chi la detiene agli obblighi di produrre per sè e per la collettività, e, per contrario, la potenza che deriva dalla ricchezza, dà al possessore il dominio sulla collettività stessa che egli sfrutta. È immorale perchè per uno che non produce deve esservene un altro che produce per due. In altre parole la ricchezza individuale perpetua gli istituti della schiavitù e del brigantaggio.
Occorre dunque colpire il male alla radice, ricordando la ruvida ma possente espressione del Crisostomo: • Mio e tuo: parole orrende, causa di tutti i mali ».
In ogni caso se può essere, entro certi limiti ben determinati, garantito nell’assetto sociale un qualche maggiore benessere a ehi è particolarmente benemerito della società, a chi per opera di ingegno o di mano più di ogni altro ha meritato, non v’è nessuna ragione che tale trattamcnto di favore spetti agli eredi diretti od indiretti che sieno. L’istituto ereditario quale esso è ora è la negazióne del diritto.
Naturalmente, pur convenendo su questi concetti-fondamentali, non tutti si tro varono pienamente d’accordo sui limiti della socializzazione delle proprietà; se cioè essi dovrebbero esser costituiti dalla socializzazione delle terre, dei grandi mezzi di produzione (miniere, cantic- '¿officine, ccc.) o estendersi anche alla soci? izzazione degli strumenti del lavoro, delle . Citazioni fami-gliari, ccc. Anche la proposta di adesione alla terza internazionale venne formulata ed ebbe larghi consensi.
Importanti furono altresì le discussioni sull'educazione e sul riavvicinamento dei popoli. Per la prima, riconosciuto che la scuola è un focolare di nazionalismo, di militarismo, a Bilthoven si convenne di lavorare per una educazione libera e non tendenziosa degli uomini, educazione che non deve essere utilizzata dallo Stato a scopi politici. Fra i principi fissati in materia, ricordiamo oltre agli accennati:
In luogo della vecchia educazione a base di autorità, volere una educazione sociale cui presieda lo spirito di amore e di amicizia; scuole operaie tendenti a conciliare lo spirito col corpo, il lavoro intellettuale con quello manuale; nessuna costrizione alla religione, e nessuna pressione legale o morale ad assistere alle lezioni di religione; fondazione e federazione di scuole modello in senso cristiano-rivoluzionario; insegnamento della storia, non nazionale, ma universale (storia della cultura, storia sociale, storia dell’umanità); smilitarizzazione della gioventù.
Per l’attuazione di tali principi si 'convenne di unire le forze con quelle del proletariato; di agire sullo spirito dei maestri e su quello degli scolari: di esaminare i libri di testo di lettura e di storia delle scuole primàrie di tutti i paesi per sorvegliare la orientazione dello spirito pubblico nelle rispettive nazioni.
Sul riavvicinamento dei popoli la conferenza ebbe a deplorare le oscure mene che hanno fatto abortire i progetti di ricostruzione dei territori devastati in Francia, presentati dai lavoratori germanici e dalla «1 Society of Friends » e si propose di presentare un proprio progetto da attuarsi a mezzo dei lavoratori germanici con fondi raccolti in tutto il mondo. Si propose poi di istituire nell’Europa centrale una casa internazionale per bambini, che, raccoltivi
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dalle varie nazioni, imparerebbero a conoscersi e ad amarsi ed avrebbero una educazione pacifista internazionalista. Alla proposta fatta da un delegato nordico di uno scambio di colonie di bambini fra le varie nazioni, precipuamente fra quelle che furono in guerra fra di loro e nelle quali sembra sussistere io sciagurato odio di razza e di nazionalità, i delegati francesi opposero che non potevano garantire che in Francia la proposta avrebbe trovato buona accoglienza e che anche se essa potesse realizzarsi all'infuori delle sfere ufficiali, a mezzo dei lavoratori, questi, nella loro povertà, non potrebbero accollarsi il mantenimento di bimbi stranieri. A tale osservazione il delegato italiano oppose che gli operai italiani sono ben più poveri di quelli francesi, eppure essi, all'appello de> comuni socialisti, non esitarono un solo istante ad accogliere nelle loro case, e trattare come propri figli, i figli dei così detti nemici ereditari, prima ancora che la pace fosse conclusa. Ed aggiunse di aver la convinzione chetai gesto, di una commovente semplicità, aveva fatto assai più per ii riavvicinamento dei due popoli che mille trattati e mille convenzioni diplomatiche utilitariste sempre e sempre insincere. Alle parole del delegato italiano fece eco uno dei delegati austriaci, il prof. Boek di Vienna, che ebbe commosse espressioni di grato animo per gli italiani che avevano trattato, come principi e principesse — così egli si espresse — i bambini viennesi, e confermò che le migliaia di bambini accolti in Italia rappresentavano altrettante migliaia di famiglie che avevano finalmente appreso che la frase « nemico ereditario » è una scellerata menzogna per fomentare l’odio fra i popoli, e che dovunque vi sono uomini, essi sono fratelli.
IL MESSAGGIO DELLA SECONDA
CONFERENZA DI BILTHOVEN
Senza però che mi attardi ulteriormente a riferire per minuto sui lavori della conferenza, riproduco qui il messaggio dettato dal delegato norvegese prof. Bcskow e che la conferenza ha fatto proprio. Non insisto nel rilevarne il valore; il commento sarebbe inutile: a chi scevro da passione c da preconcetto lo leggerà esso parlerà all’anima. Eccolo:
AVANTI !
« Dio è nostro padre e noi siamo tutti fratelli. Noi non abbiamo che un solo regno
sulla terra, il regno di Dio, la cui legge è l’amore. In questo regno la più grande gloria per ogni nazione òdi porre gioiosamente quanto ha di meglio a servizio delle altre nazioni.
■ Abbiamo il coraggio di guardare in faccia e di confessare questa verità. Coloro che l’hanno compresa si tendano la mano e s’impegnino solennemente a non più prender le armi gli uni contro gli altri ed a rifiutarsi ad ogni preparazione militare.
• La terra che il Padre ci ha data è abbastanza feconda per nutrirci tutti se, con piena coscienza e sincerità, ci porremo al servizio gli uni degli altri. Ed invece la miseria giganteggia ogni giorno più e la fame ò in agguato contro tutti. Perchè? Per l’egoismo. Ognuno cerca egoisticamente di arricchirsi, senza pensare che egli viene così a sottrarre ad altri la parte loro assegnata dal Padre. Noi crediamo che la volontà di Dio sia di por fine all’ordine, o piuttosto al disordine economico nel quale viviamo, sostituendovi una organizzazione nuova che metta tutte le forze di produzione al servizio dei bisogni essenziali di tutta l’umanità. Non vediamo alcuna possibilità di conciliazione fra il sistema di capitalismo privato c quest'ordinamento nuovo. Noi riteniamo che sia una necessità la socializzazione dei principali mezzi di produzione, ma che bisogna tendervi senza disorganizzare la produzione stessa. Questa trasformazione economica deve realizzare un ordine sociale che, sopprimendo le classi, non avrà più che uomini che lavorano tutti per la collettività. Avanti, fratelli, per questa rivoluzione che la giustizia chiede c che la giustizia e l’amore possono soli realizzare!
« Nell’angoscia universale una generazione nuova si affaccia. Qual messo i figli raccoglieranno da ciò che i loro padri hanno seminato? È ai fanciulli che l’eredità del regno è promessa. Guai a noi se avveleniamo le loro anime col vecchio spirito di odio, di menzogna, d’orgoglio e di vanità. Che i nostri figli respirino nella scuola e nel focolare domestico un’atmosfera di paco e di verità. Uniamo i nostri sforzi perchè i nostri figli diventino degli uomini liberi, coraggiosi, giusti, gioiosi e forti.
« 1 a rivoluzione è alle nostre porte: il nostro vecchio mondo sta crollando. Che ne verrà fuori? Ùn mondo nuovo od ii caos? Dipenderà dallo spirito che animerà questa profonda trasformazione. Non vi è che uno spirito così forte e così puro per
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dominare queste forze in fermento e far sorgere dal disordine c dalla distruzione la vita creatrice, ed è lo Spirito Eterno, manifestatoci nel Cristo, il Figlio dell’Uomo, per l’Amore ed il Sacrificio. Questa rivoluzione universale deve essere la rivoluzione dello Spirito del Cristo contro lo
spirito di Mammona. Non vi è altra salvezza per il mondo.
« Dalla umana miseria, dall’angoscia dei cuori, sale una preghiera tutta vibrante di speranza. Partecipiamo tutti a tale preghiera, non con le parole soltanto ma con l’azione. O Padre, che il tuo regno venga! ».
Ernesto Rutili.
VITA SCOLASTICA
BENEDETTO CROCE MINISTRO
. Con Benedetto Croce è andata al Governo la scuola »,
Così Giuseppe Lombardo Radice recentemente sintetizzava, in un brillante articolo sul Giornale d'Italia, il giudizio di quanti sinceramente amano la cultura e la scuola, e sentono che l’autorità del sapere, non altrimenti ha da esprimersi che dall’organismo del sapere stesso.
Ricordare ai lettori di Bilychnis le perspicue benemerenze dei Croce — senza dire della sua attività più propriamente scientifica — verso la cultura e la scuola italiana; illustrare la sua attività di commovitore di coscienze, di svegliatore di spiriti, potrebbe sembrare fatica superflua, se pur non poco riguardosa.
E tuttavia certuni han dato l’allarme c levato strilli e proteste!
In nome di chi, o di che?
Non certo della cultura, perchè riderebbero i polli!
E nemmeno della onestà politica, perchè l’audacia sino a questo punto non li sorregge.
Di che, o di chi, allora? Degli insegnanti? Di quali insegnanti? di quelli che temono nel Croce il fustigatore della loro inerzia, o della loro incapacità?
Di codesti, forse. Chè gli altri, tutti quelli che'da qualche tempo si adoperano per infondere novella vita alla scuola, per riportarvi quello che vi era stato « regolarmente » espulso: lo spirito; tutti quelli che non si accontentano di parlare o scrivere in favore della scuola, ma seriamente lavorano nella scuola e sanno il tormento
dello spirito imprigionato e soffocato tra deficienze di ogni specie — di cose e di persone, di scolari o, insegnanti -— tra grettezza di vedute, schiaccianti tradizioni di favoritismo, vergognosi incoraggiamenti, dal basso e dall’alto, al fannulloni-smo — tutti questi han salutato con gioia l’ascesa insperata del Croce alla suprema direzione degli studi, c aperto l’animo alla più fondata speranze..
— Non in nome degli insegnanti che realmente insegnano, dunque; nè, in gene-.rale, delle persone veramente colte.
- Della sètta, allora?
Ecco, sì, della sètta — non volendo supporre che nel sottosuolo si appiattino motivi più scuri.
La sètta non può dimenticare che a Benedetto Croce si deve la illustrazione — c la condanna — di quella « mentalità massonica ■ di che fu tristamente impregnata la vita politica italiana in tutto il scc. xix, fino alla violenta reazione che, per virtù dell’idealismo filosofico specialmente, s’è compiuta, in nome della coscienza nazionale c della libertà degli spiriti. Mentalità massonica, occorre dirlo subito, ch’è sullo stesso piano della « mentalità clericale », egualmente opposta, malgrado l’inguaribile miopia del settarismo piazzaiuolo, allo spirito e al!’intelletto di Benedetto Croce. L’ignoranza di cose inerenti alla filosofia o alla religione è tale, in Italia, da sbalordire. Un’infinità di gente di... onesti costumi intellettuali, scambia colla massima disinvoltura clcrii calismo con sentimento religioso o addirittura con cultura religiosa; e capita d-scntirsi chiedere con toccante ingenuità : — Croce è clericale, non è vero?
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Si può, quindi, agevolmente imaginare come pigrizia, ignoranza e settarismo, sinceramente coalizzati, riescano a costituire una triplice ineffabilmente grottesca contro... il pericolo Croce! Per conto nostro, salutiamo con tutto il fervore del nostro animo l’avvento al potere di Benedetto Croce. Ci eravamo ormai rassegnati a veder l’elmo sacro di Minerva cinto da tutti, fuorché da uomini di cultura. Poiché è risaputo che in Italia si manda un flebotomo a costruir pon , e si mettono i pittori nelle requisizioni, d cereali. Vale a dire: si è giunti a far d 11’incompetenza il supremo criterio di scelta e di valore; uno dei requisiti essenziali per esser eletto a un dato ufficio è quello di non intendersene affatto! (1)
Della competenza il Croce ha già rivelato la caratteristica essenziale: l’odio al-l’agire avventato. Le parole così nobilmente sobrie pronunciate dal neo-ministro nei suo debutto alla Camera (con che occhi c con che animo : 508... dovevano seguirlo!) han fugato parecchie rosee illusioni; tra cui quella Ch’Egli potesse in quattro e quatrr’otto riformare ab imis ogni cosa.
Molto opportunamente, invece, con quella superiore coscienza e fermezza eh’è propria del saggio, di chi sa di volere ciò che dice di volere, ha dichiarato che farà metodicamente, senza precipitare, senza schematizzare; innovando senza abbattere. Io non so quanto il Croce potrà compiere: dipenderà «dal tempo che il politicantismo gli concederà dagli intralci più o meno subdoli e spessi che Monna Burocrazia andrà intessendogli, dalle circostanze più o meno favorevoli, che nella vita stessa della nazione sarà per incontrare.
Ma, di questo si può esser certi: che nessuna deliberazione sarà presa, senza che essa porti .il segno d’un consapevole volere; a nessuna riforma sarà posto mano,
(*) Ci si avvia ormai verso la teorizzazione di quest: nuovi principi. Eccone un saggio tolto da un articolo di Ugo Ancona (Giorn. d'Italia 25 agosto 1920):
« Ho sempre sostenuto che a capo dei Ministeri tecnici non ci vogliono i tecnici, perchè sono per loro natura unilaterali ed apolitici. Cosi ai LL. PI’, sta meglio un amministratore che un ingegnere; alla Guerra ed alla Marina ci vogliono due borghesi. In tutte le grandi amministrazioni di Stato il lato politico ed amministrativo deve prevalere sul lato tecnico ■.
senza ch’cssa riveli l’intimo aderire a un organico piano. .
Si potrà, potremo anche noi talvolta, non approvare questo o quell’atto, questa o quella riforma: non importa. Rispettosamente, ma con intiera indipendenza, noi commenteremo atti e propositi del nuovo ministro; ma siamo certi che Benedetto Croce imprimerà alla sua opera un’orma, che non facilmente le male volontà coalizzate di qualsiasi triplice riusciranno a cancellare.
C’è da ingaggiare una grande battaglia per la scuola. Bisogna meditare che nei campo scalastico siamo su per giù a Capo-retto: bisogna volere Vittorio Veneto! Il Duce c’è (i Duci, anzi, ci sono?) i soldati corrono a schierarsi ansiosi di combattere: speriamo che il Governo non ordini il solito infausto alt, quando l'assalto sia per esser sferrato: in ciò è il pericolo.
LA SCUOLA NEGLI ULTIMI CONGRESSI POLITICI
Il ritardo con cui appare questa nota mi vieta di parlare con una certa ampiezza dell’argomento. Mi limiterò a qualche rilievo di carattere generale. Della scuola si è parlato, con più o meno lusso di discorsi, nei congressi del P. P.» del Nazionalismo e del Rinnovamento, Solo in quest'ultimo, però, per virtù specialmente de: Lombardo Radice, relatore, la scuola entrò davvero; non coinè riempitivo, ma come costitutivo del congresso (1).
(Mi riservo di discorrere a parte del programma del Lombardo che, rispecchiando 1 propositi del « Fascio di educazione nazionale », supera di gran lunga i limiti della solita « relazione >).
• * *
Bisogna subito riconoscere che, nè nel congresso nazionalista, nè in quello clericale, il problema scolastico fu impostato come fondamento del rinnovamento spirituale d’Italia.
I nazionalisti hanno spesso parlato di scuola e di problemi culturali; ma troppo fedeli al principio della tattica contingente, — unico principio assoluto fra tanta contingenza —- del problema han visto meglio il lato politico, e voglio dire nei suoi ri(x) Nel recente secondo congresso del Rinnovamento il programma scolastico è restato immutato.
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flessi colie immediate circostanze politiche, che spirituali: e cioè di coscienza nazionale. Lo han trattato a spizzico, non l’hanno mai affrontato nella sua integrale realtà. Nè il partito, nè il giornale — e sarebbe riuscito stromento validissimo — che ne esprime le idee. Le inchieste, ad es., ripetutamente promosse tra insegnanti e uomini di cultura, se testimoniano quel che può dirsi un simpatico interessamento, non possono però assumersi come documentazione di un consapevole volere, e sopratutto di una costante volontà di agire.
Nessun atto risolutivo, infatti, ha mai seguito quelle inchieste. Un partito politico — lo notava molto giustamente il collega Codignola ne La rastra Scuola — non può limitarsi a far voti:
« che vengano abolite le viziose disposizioni adottate in tempi recenti a prò degli insegnanti meno eletti e degli alunni più incapaci e indisciplinati, c determinate dalla deplorevole arrendevolezza degli organi governativi alle pressioni del parlamentarismo, della piazza c di interessi privati, ed insieme vengano, per quanto è possibile, combattute le cause più generali di turbamento sociale c di decadenza morale che oggi nocciono al conseguimento dei fini della scuola media e superiore;
« che il sistema dell’esame di ammissione ai varí ordini di studio, oggi invocato per la correzione di alcuni dei lamentati difetti, venga ordinato in guisa che risponda allo spirito della legge Casati, e costituisca un mezzo serio ed efficace di controllo dello Stato sul funzionamento delle varie scuole, , e sul movimento della pubblica istruzione •.
Un partito politico non può nè deve sfuggire al compito di segnare direttive integrali, di cogliere la sostanza dei problemi; e, trattandosi di quello scolastico, di possedere un programma, (e cioè, uno. volontà propria) intimamente aderente al programma generale; fondamento, ami, di ogni altro problema. La Scuola non si risana con pannicelli caldi o con sporadiche somministrazioni di pillole. O ci si persuade che a base del rinnovamento spirituale, cioè della formazione della coscienza nazionale, sta la scuola, e si provvede in conseguenza tenacemente, organicamente; o non se ne fa nulla.
Orbene, a me pare di poter rilevare che manca nel partito nazionalista una diffusa e robusta coscienza scolastica, salvo forse
per ciò che riguarda l'istruzione professionale, in quanto riflètta l’interesse specifico dell’industrialismo, che, com’è noto, costituisce il centro effettivo del programma nazionalista. Del problema scolastico e culturale in genere, si occupano, in seno, al nazionalismo, un esiguo gruppo di persone — specie di vescovi in partibus —che, per quanto personalmente autorevoli, non hanno una pratica efficienza nell’orientamento generale del partito.
Mancando, quindi, una coscienza collettiva di volere e perseguire un qualsivoglia intento organico, il valore del dibattito, indubbiamente elevato, svoltosi al congresso, resta menomato.
• * »
Anche nel congresso del P. P. la scuola è entrata, ma come ospite graziosa e innocua alla quale si fan complimenti, persuasi che non darà altro fastidio che una tollerabile... spendita di tempo.
AU'on. Anile, recluta recentissima, quanto preziosa, del P. P. era stato affidato il compito di relatore. E l’Anile, firmatario dell’appello del « Fascio di educazione nazionale », tentò di conciliare la solita capra coi non men soliti cavoli, innestando nel programma costituzionalmente statico del clericalismo (la verità è un dato) quello dinamico del L'ascio (la verità è unatto). E, apparentemente, con ottimo successo ; chè una salva di applausi coronò il discorso del l’oratore.
Ma, in realtà, il successo si deve a ben altro che allo schietto entusiasmo dei congressisti' per le idee espresse dall’Anile. Credo che l’Anile stesso, anzi, abbia avuto la sensazione che alle proprie parole, contro ogni suo buon volere, non fu dato altro significato che di un «discorso d’occasione »; accolte coll’onesto viso con cui si accolgono i discorsi di occasione.
Gli è che l’animo dei congressisti era volto a ben altri interessi che a quelli della scuoia. Tra le due schiere di « estremisti » e di « moderati », tutte preoccupate del problema economico e della tattica di partito, e ansiose di scontrarsi per decidere il sopravvento; le parole dcH’on. Anile dovevano suonare come un’eco dell'Arcadia.
— La Scuola? oh! guarda, passi pure, graziosa signora Scuola... presto... evviva...
— Ed ora veniamo a ciò che importa.
E ciò che importa, per la massa di ogni colore,-è ciò che si può misurare col metro e pesare col chilo.
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BILYCHNIS
Quanto ai dirigenti... ahimè, on. Añile, essi sanno troppo bene che « le chiacchiere » — e non già perchè le vostre fossero ■ chiacchiere ■ — non contano; essi potevano tollerare il vostro verbale convenire in idee c dottrine che la Chiesa ha perenne-mente ripudiate, troppo bene sapendo che nè Voi, nè i vostri cento compagni di Montecitorio (ammesso pur che tutti — c forse non uno! — dividessero le vostre idee) riuscirete a determinare l’agire de! Partito.
— Il programma scolastico? — ma la Chiesa lo ha determinato da secoli...
— Perchè, allora, tollerare, plaudirc, anzi ?
Perchè il Vaticano c maestro nell’arte di trac profitto da ogni mezzo che possa servire al suo scopo; perchè in un momento
in cui tutti si orpellano della • parola » libertà, in cui è necessario far presa a qualunque costo nelle masse, il Vaticano (il Vaticano!) fa della • libertà # il suo programma...
E nessuno meglio dell’on. Anile, che della libertà della scuola è stato tenace assertore, poteva, fra gli aderenti al partito, coprire il giuoco del clericalismo; involontariamente rinsaldando l’equivoco — occorre ch’io illustri ancora codesto equivoco esiziale alla Nazione? — fra la libertà clericale e la vera libertà dello spirito.
Ecco perchè effettivamente la scuola non entrò, ma uscì dal Congresso del P.P.I...
Vincenzo Cesio.
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CRONACHE
POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
POLONIA E IRLANDA
In Vaticano l’alterna vicenda della guerra sul fronte russo-polacco è seguita con la più ansiosa trepidazione. Il prestigio della Santa Sede è impegnato a fondo in questo conflitto, e nella mente dei dirigenti là politica vaticana sembra che l'odierna lòtta della Polonia contro i bolscevici» abbia lo stesso valore c la stessa portata de’le lotte che già fecero della Polonia l’antemurale dell’Europa cristiana contro il musulmanesimo.
Nei giorni in cui più angosciosa si presentava la sorte delle armi polacche, Benedetto XV scriveva al suo Vicario, cardinale Pompili, una lettera invitando tutti i vescovi del mondo a indire pubbliche preghiere per la Polonia. « È nota, scriveva il Papa, la materna ansiosa sollecitudine con la quale la Santa Sede ha seguito sempre le fortunose vicende della nazione polacca... Ora non è solo in pericolo l'esistenza nazionale della Polonia, ma tutta l’Europa è minacciata dagli orrori di nuove guerre. Quindi non è soltanto l’amore verso la Polonia, ma è l’amore verso tutta l’Europa che ci muove a desiderare che i fedeli tutti si uniscano a Noi nei supplicare l’Altissimo affinchè per intercessione della Vergine Santissima, protettrice della Polonia, voglia risparmiare al popolo polacco questa suprema sciagura e nello stesso tempo allontanare questo nuovo flagello dalla dissanguata Europa ».
A parte la stranezza del tardivo ricorso a Dio perchè operi un qualche miracolo che ripari alle conseguenze degli errori e
delle colpe dei suoi servi, l’appello del Papa suggerisce alcune ovvie considerazioni sui rapporti tra la politica e la fede così come sono concepite dal Vaticano. Per la Polonia che, risorta a libertà con ben scarso suo merito, anzi piuttosto per il crollo dei tre Imperi che la tenevano divisa, ha rischiato di perderla per le sue intemperanze imperialiste, fomentate da altri imperialismi a cui il Vaticano tiene bordone, la Santa Sede indice una crociata di preghiere con un appello a tutti i paesi di Europa, che viene ad acquistare un carattere necessariamente politico. Invece per l’Irlanda il Vaticano non si è affatto commosso. Anzi un’agenzia ufficiosissima della Segreteria di Stato ha creduto ne-, cessario pubblicare un comunicato nel quale si spiega l’atteggiamento del Vaticano di fronte alla ribellione irlandese; la Santa Sede non crede nè utile nè necessario intervenire; ma, ciò che è peggio, dichiara di deplorare in blocco tutte le ingiustizie e intemperanze da qualsiasi parte esse vengano. Insomma, secondo il Papa, un cattolico deve pregare per la Polonia, e non per l’Irlanda; in altre parole la causa polacca viene identificata con quella della religione, con manifesto torto verso Dio.
Inoltre vien fatto di chiederci se il Papa ha l’autorità di giudicare con superiore e divina imparzialità la bontà delle cause per cui gli uomini soffrono e combattono; può insomma erigersi ancora a maestro non solo della giustizia divina, ma anche di quella umana?
In queste stesse Cronache di Bilychnis, nei passati numeri, abbiamo illustrato am-
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piamente le molte ragioni e i molti interessi politici del Vaticano connessi con la vittoria polacca; anzi abbiamo esposto tutto il sottile lavorìo compiuto dal Vaticano in Polonia, in Ucraina, in Lituania, a Parigi per assecondare le tendenze imperialiste polacche, e fomentare la improvvisa offensiva,contro la Russia iniziatasi nel maggio scorso, portando in aiuto alla naturale infatuazione imperialista polacca e alle sobillazioni della diplomazia francese, tutto il peso del suo prestigio religioso. La Polonia, nella predicazione nazionalista del clero polacco, sanzionata dal Vaticano, veniva ad essere considerata come una specie di longa manus militare e di braccio secolare cattolico contro il pericolo bolscevico; la preservazione della fede c della sua organizzazione sociale secondo la concezione del Vaticano vengono ad essere basate ancora una volta sull’alleanza coi poteri civili, e sopra un ibrido giuoco di calcoli, di compromessi c di paure.
Quando invece per le mutevoli contingenze della politica, ciò torni utile, il Vaticano si riserba il diritto di rinchiudersi in una comoda neutralità, che si ammanta delle superiori ragioni dello Spirito c della carità. Ecco come avviene che la causa della Polonia è la causa di Dio e quella dell’Irlanda no.
La verità è che il mondo cristiano sconvolto nelle frontiere, e, più ancora, nei cuori, dalla più tremenda delle crisi, da sette anni aspetta una parola cristiana da Chi si afferma al disopra delle nazioni e delle classi; una parola neutrale, ma non della neutralità spicciola delle segreterie, bensì della neutralità sublime che è nelle idee immutabili ed eterne. Cotesta parola il Papa non l’ha mai detta.
Perchè il Papa potesse avere ragione rivendicando la sua sollecitudine per la Polonia e per la pace di’Europa, la lettera al cardinale Pompili non avrebbe dovuto uscire il 5 agosto quando la Polonia era a terra, e nemmeno il 5 luglio quando la Polonia cominciò a implorare aiuto. Ma avrebbe dovuto uscire come ammonimento quando la Polonia costituita in stato libero dentro confini ben più vasti di quelli a cui potesse pretendere, concepì e' scatenò l’aggressione folle.
Nella suà lettera al cardinale Pompili il Papa scrive che tutta l'Europa è minacciata da nuove guerre e tenta identificare ancora la causa della pace col successo
dell’offensiva polacca. Quanto sia fallace il motivo addotto dal Papà per giustificare il suo intervento politico prò Polonia, non è ormai in Italia chi non sappia. In realtà ' la pace è minacciata dalle assurde disposizioni di iniqui trattati e dalle passioni e dai furori imperialistici contro i quali, soprattutto in Polonia, il Vaticano si è ben guardato di reagire. È forse la coscienza delle sue responsabilità proprie che ha indotto il Papa ad una così insolita e compromettente presa di posizione, e in favore Sor giunta di una causa pericolante? O è
angoscia per il crollo minaccioso di tutta la complicata politica che. il Vaticano va svolgendo dalla caduta degli Imperi Centrali in poi, e che aveva il suo fulcro nell'idea della Grande Polonia?
E oggi che — per un miracolo dovuto, secondo il Corriere d'Italia, alle preghiere del Papa — la minaccia che incombeva sulla Polonia sembra dileguata, e la stessa Francia ha dato al paese scampato dal pericolo consigli di moderazione, non seguita forse la diplomazia pontificia la propria azione di incitamento al nazionalismo polacco più pretenzioso?
_ Lo stesso giornale ufficiale dell’attuale Governo polacco di difesa nazionale, il Kuryer Poranny, del 16 luglio (tolgo la citazione dal non sospetto Times) scriveva: « quale è la causa della nostra disfatta? Questa guerra ci è stata imposta dal Comitato nazionale di Parigi che affermava che le potenze dell’Intesa la esigevano come condizione della nostra indipendenza. E questo Comitato nazionale risponderà un giorno per avere ingannato l’opinione pubblica polacca ».
Ma il Vaticano, le cui responsabilità nella dissennata politica polacca non sono state minori, tenta invano con pretesti fallaci di scagionarle da sè, anzi di riversarle sulla divinità, indicendo preci ed inni che abomina il Ciel.
CONTRO IL SINDACALISMO
Nella ricorrenza del cinquantenario della Sreclamazione di San Giuseppe a patrono ella Chiesa, il Papa ha emanato un Motti proprio in cui afferma che durante la guerra l’umanità fu dominata dal naturalismo, per cui, dimenticata la carità, si è data alle più sfrenate cupidige, dedicandosi unicamente alle cose terrene, e oggi alle lotte tra proletari e ricchi, cosicché i danni della guerra si sono prolungati e resi più gravi. Ne è nato inoltre grave detrimento alla
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CRONACHE
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fede coniugale, alla patria potestà, e la auestione sociale è divenuta acutissima.
I Papa ricorda le lettere dirette in argomento al Vescovo di Bergamo e all*Episcopato veneto, ed esorta i lavoratori a mantenersi immuni dal socialismo di cui nulla ? più nemico alla cristiana dottrina. Infine il Papa rammenta gli insegnamenti di Leone XIII il quale approvava bensì gli sforzi del proletariato per migliorare le proprie condizioni economiche, ma condannava ogni tentativo sovvertitore dell’ordine costituito dalla divina provvidenza e ogni ricorso alla violenza e alla sedizione.
I concetti della lettera pontificia non sono nuovi, e nessuno si attendeva certamente di udire la legittimità ideila lotta di classe, affermata dal Papa. Ma la frequenza con cui si succedono da qualche tempo analoghi atti pontifici, c. soprattutto, il tono perentorio in cui sono redatti, mostrano un chiaro proposito politico vaticano, il quale più che il socialismo propriamente detto, mira a colpire il movimento sindacalista cattolico. Il Papa ha confermato ancora una volta l’antica concezione delle relazioni tra la morale religiosa e la vita politica dei popoli. L’ordinamento, l’ossatura economica e gerarchica della società sono stabilite da Dio e nessuno può toccarle. Le classi sociali portano in sè una consacrazione di diritto divino e inattaccabile. Tutto deve ottenersi attraverso la carità. Nessuna lotta è approvabile, perchè porta di per sè stessa al sovvertimento sociale, alla sedizione come dice il Papa: i miglioramenti agli operai saranno concessi dalla benignità dei padroni.
A noi non importa qui di discutere una simile concezione, cosa che sarebbe d’altronde perfettamente oziosa. Ma vi è un lato più strettamente politico che ci interessa. Il Vaticano ha assunto di fronte alle leghe bianche d'Italia un contegno reciso e si prepara a imporre lentamente ma inflessibilmente le relative direzioni; i! movimento operaio cristiano italiano minaccia sottrarsi al patronato ecclesiastico, e di ciò sembra vivamente preoccuparsi Benedetto XV. Gli organizzatori cattolici tenteranno forse sfuggire ancora una volta alla intimazione pontificia, per mezzo di distinzioni e sofismi, di proteste di aconfessionalità e insieme di obbedienza c ossequio all’autorità ecclasiastica: ma la realtà è che ogni organizzazione che si
permetta di agire contro il beneplacito della gerarchia, è condannata.
Mentre i socialisti affermano sempre di più l’autodominio, anzi la dittatura del proletariato, i! Papa ammonisce che soltanto attraverso la carità padronale si devono risolvere i conflitti sociali. Ciò metterà in una ben difficile situazione gli organizzatori del cosiddetto sindacalismo cristiano delle leghe bianche, perchè se, come è ’.oro obbligo, esse obbediranno ai vescovi e al Papa, non potranno garantire ai lavoratori alcuna conquista, ma soltanto ciò che i superiori crederanno di concedere. Con quanto vantaggio del socialismo è facile immaginare...
I SINDACALISTI CATTOLICI
E IL P. P. I. AL BIVIO
Se i documenti pontifìci che si sono susseguiti con tanta frequenza negli ultimi mesi sulla questione sociale sono formulati in termini che non ammettono equivoci, circa lo spirito nettamente antisindacalista che li informa, tuttavia non è ancora venuta da parte della Santa Sede alcuna decisione che costringa gli organizzatori cattolici ad uscire dall’equivoco in cui si dibattono: aconfessionalità, ovvero dipendenza dalle autorità ecclesiastiche?
Quanto al Partito popolare, che agisce nel campo più strettamente politico, essendosi egli proclamato nettamente aconfessionale, dovrebbe essere pacifico che l’autorità ecclesiastica non rivendica alcuna autorità diretta sopra di esso. E infatti, finora, la Santa Sede, pur seguendone con grande interesse ogni passo, ha ostentato di ignorarlo.
Tuttavia, dato il terreno della aconfessionalità sul quale il Partito popolare si è posto, il problema dei suoi rapporti con ¡’autorità ecclesiastica non è ancora così acuto come lo è invece per le organizzazioni sindacali.
A Bergamo, l'organizzatore Romano Cocchi, sostenuto da larghi consensi, affermava, oltre l’indipendenza dall’autorità ecclesiastica, la tendenza sindacale estremista e migliolina. L’autorità ecclesiastica locale, alla quale in seguito si è aggiunta la sanzione della Santa Sede, negava dal punto di vista religioso la legittimità di questa tendenza che considerava anticristiana, e opponeva d’altronde, V incompetènza da parte del Cocchi e compagni, perchè le organizzazioni bergamasche erano tutte derivate dalla inizia-
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tiva ecclesiastica. Si negava radicalmente qualsiasi possibilità di emancipazione, ribadendo la tutela del clero sulle organizzazioni operaie, per diritto divino. Con un primo documento il vescovo di Bergamo impedì una adunanza di membri del clero che parevano favorevoli alle tesi del Cocchi. Con un secondo documento il vescovo condannò categoricam nte io autore del disgraziato movimento estremista, coi suoi cooperatori e aderenti. Il vescovo concludeva assicurando che sulla bandiera dei sindacalisti, bandiera di Satana, non potrà mai scendere la benedizione della Chiesa, e ordinando ai parroci di « intensificare la lotta contro i nemici, di restaurare il principio della disciplina, e salvaguardare il carattere cristiano delle organizzazioni contro le pestilenziali dottrine del socialismo ».
In un articolo su L’indipendenza delle organizzazioni nel Tempo, Giuseppe Spe-ranzini espresse subito tutta la perplessità e le ansie degli organizzatori cattolici di fronte ai documenti pontifici c all’azione dei vescovi. Secondo lo Speran-zini, il Papa che come ieri, di fronte al conflitto delle nazioni, così oggi, di fronte a quello economico, vuol essere fedele alla missione divina del Pontificato, il sovrano bandi ore della pace, non ha affrontato il problema degli Uffici del lavoro e delle organizzazioni operaie, chiaramente definendone la natura e gli scopi, sopratutto in rapporto alla lotta economica, politica e sociale oggi esistente tra capitale e lavoro. >
• Noi possiamo benissimo sostenere che non si deve fare lotta di classe, e che anzi si deve promuovere la collaborazione delle classi; ma non si può assolutamente dimenticare che, se tale lotta è, per taluni partiti e per talune organizzazioni, dottrina e metodo, non per questo essa cessa di essere prima di tutto un fatto della vita sociale.
« Ammesso ciò, viene subito fatto di domandarsi se questo conflitto umano sia possibile o no eliminarlo, o, quanto meno, fortemente ridurlo, modificando, trasformando o magari sostituendo i vigenti ordinamenti. Coloro che vivono in mezzo alle organizzazioni lo credono fermamente ed anzi lavorano a tale scopo. Ma è appunto per questo, che il loro lavoro è innanzi tutto, una battaglia, nella quale si procede di trincea in trincea, di assalto in assalto, non in odio a questo o quel
privato cittadino, a questa o a quella categoria di persone, ma per la demolizione graduale e sistematica di una superata ed iniqua condizione di cose e la creazione di nuovi e più perfetti ordinamenti. Si può affermare che in tale campo esista una dottrina statica e rigida o, per dir meglio, un principio, sia pure di morale cattolica, il quale fissi un regime econo-mico-sociale e quindi politico, oltre il quale,non si possa andare? E di qui una altra domanda: gli Uffici del lavoro c i Sindacati cattolici devono essere organi di conservazione o di progressivo rinnovamento? Ecco un'altra cosa che il documento pontificio non si cura di precisare.
«Ma c’è anche un’altra questione che esso ci lascia affatto insoluta, ed è questa: Sii Uffici del lavoro sono o non sono organi i classe? Quindi noi, leggendo la lettera, ci troviamo davanti a questa specificazione dei loro scopi: « dirimere le varie controversie tra capitale e mano d’opera ■; ci vien fatto di pensare che gli Uffici del lavoro, quali li concepisce il Pontefice, altro non devono essere che degli organi intermediari e di conciliazione; la qual cosa non collima affatto con le funzioni dell’organizzazione professionale e del sindacato operaio, intesi esclusivamente agli interessi di classe. Però tale concetto viene offuscato in noi quando ci troviamo, leggendo la lettera, ad affermazioni ed esortazioni come le seguenti: « Questi Uffici possono essere di grande utilità, sempre che si inspirino ai principii cattolici e che per la parte spettante alla religione, ai costumi e alla dottrina professino ossequio all’autorità ecclesiastica»: - Il Clero poi non prenda parte alle agitazioni e molto meno alle sedizioni... ».
Lo Speranzini, dopo avere affermato che sarebbero venuti nuovi chiarimenti da parte del Papa, chiarimenti che finora non sono affatto venuti, concludeva:
«Certo è, però, che ormai il movimento sindacale va prendendo, anche nel nostro campo, un indirizzo ben diverso e va sviluppando un movimento ben più profondo di quello che gli Uffici del lavoro promovevano, in genere, prima della guerra. Le leggi del sindacalismo sono inesorabili: o lo si fa, o non lo si fa; non c’è assolutamente una via di mezzo. Data la decisione della sua azione, il suo rigido carattere classistico e le trasformazioni politiche alle quali conduce, sia pure per vie economiche, il sindacalismo ha la neces-
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sità assoluta dell’indipendenza, basata sulla completa ed esclusiva responsabilità degli organizzati. In quanto all’azione pratica e ai criteri, diremo, tecnici delle agitazioni, impegnate dalle Unioni del lavoro, l’iniziativa e la responsabilità devono spettare esclusivamente agli interessati diretti — se vogliamo che gli operai cessino di essere dei pupilli privi di ogni personalità e coscienza sindacale. Nostro principio, ' per il quale noi siamo decisi a lottare fino all'estremo, è questo: Le organizzazioni agli organizzati. E come potrebbe essere diversamente? Si può ancora davvero ritenere criterio saggio ed opportuno che in una eventuale agitazione operaia o di contadini venga impigliata la responsabilità del clero e magari del Vescovo?
« Svolgano pertanto gli Uffici del lavoro, dove ancora ci sono e dove ancora possano, la loro attività pacificatrice: saranno particolarmente preziosi per noi, che ad essi ricorreremo ogni qual volta sugli animi degli industriali c dei proprietari terrieri possa alcunché la parola della cristiana persuasione: ma le organizzazioni e i sindacati, di cui ben altri sono i compiti, continueranno egualmente a procedere, sicuri e sempre più fieri, su quella via che hanno già trionfalmente intrapreso ».
Le domande dello Speranzini sono finora rimaste senza risposta, ma prima o poi dovranno pur venire nuovi chiarimenti dall’alto e ben più esplicite e leali adesioni in basso.
UNA CERCA INFRUTTUOSA
Poco dopo il Congresso di Napoli del Partito popolare, uscì un curioso libro di Luigi Ambrosini dal titolo Fra Caldino alla cerca. Il titolo era assai .umile, ma il tono non lo era affatto: la posizione assunta dall’Ambrosini era ben più quella del critico c del giudice che quella de! neofita. t
Se l’Autore stesso non avesse detto nella prefazione che il «libercolo sui popolari vuole essere un avviamento all'intima e salda costituzione politica del nuovo partito • chi legge avrebbe creduto che fosse scritto da qualche avversario — c non dei meno malevoli — del partito stesso, così acre è la critica che egli fa delle sue molteplici manchevolezze. Per l'Ambrosini, a differenza di quello che è avvenuto, per esempio in Francia,
dove la. guerra fu di difesa, in Italia fin dai principio ti tempo, il modo, le ragioni deli'entrata in guerra furono e restano un problema politico piai posto e peggio risolto. Di qui la rivolta elettorale del 16 novembre scorso. Una volta non esistevano partiti in Italia: oggi esistono, e abbiamo una Camera di masse, di partiti, di passioni. Per l’autore il Partito popolare deve guardarsi soprattutto dal pericolo di lasciarsi sfruttare dai conserva-tori per fare il loro giuoco antisocialista. Anche nei rapporti col Governo il Partito deve — o almeno non doveva allora — non ambire cariche, non lasciarsi prendere nell’ingranaggio, non sciuparsi coi ministerialismo: i popolari sono nati come Partito di opposizione. Se essi avranno troppa fretta, si rovineranno, e fra quattro o cinque anni del Partito, nato con tanto slancio, non resterà che una accolta di gente invecchiata innanzi tempo ed esautorata di fronte alle masse. « In quel giorno il socialismo da un lato e il vecchio liberalismo dall’altro avanzerebbero ad occupare tutto o gran parte del terreno conquistato oggi dal Partito che si intitola dal popolo e che viene dalle masse ».
La timidezza soltanto morale dei popolari si rivela — secondo Ambrosini — soprattutto dalla incertezza del loro atteggiamento post-beìlico di fronte alla guerra: non possono gloriarsi di averla voluta, non osano proclamare di averla avversata. Invece la guerra è tuttora un fatto vivo verso il quale occorre prendere posizione; il socialismo la posizione la prende, e se ne giova.
Ambrosi ni invoca —o al meno invocava — l’inchiesta politica sulla guerra da cui si ripromette la condanna in blocco di tutto l’interventismo. Al Congresso di Napoli l’Ambrosini sostenne questa tesi del revisionismo critico della guerra, che implica necessariamente il processo del liberalismo che ad essa ha condotto l’Italia. Però la tesi dell’Ambrosini, che allora non ebbe successo, è stata ora abbandonata, crediamo, dallo stesso autore. La realtà è che un popolo non fa mai, volutamente, il processo contro una guerra, e tanto meno la rinnega; le sue tragiche conseguenze vengono, se mai, imputate agli uomini che la diressero male, e l’unico processo rimane quello che ne fa la storia viva che supera ed elabora. Ben più che al passato, la esortazione dell'Ambrosini al P. P. dovrebbe rivolgersi al presente, e alla
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mancanza assoluta di una qualsiasi coscienza del Partito nella politica internazionale. Oggi il Partito è rimasto solo, si può dire, a difendere quelli che furono punti di vista appena difendibili durante la guerra, e ha raccolto l’eredità peggiore del fascismo, accodato servilmente, dopo la pace!, alle direttive della politica francese in quello che essa ha di più militarista e sopraffattore. Il Corriere d'Italia oggi propugna apertamente una stretta alleanza italo-francese nettamente antigermanica e antirussa. Altro che la revisione delia guerra passata, chiesta dall’Ambro-sini! La mancanza assoluta, di un qualsiasi orientamento del Partito popolare e la sua insensibilità in questo campo, fa sì che la sua azione sia diretta da chi sa invece molto bene quali interessi — e non sempre confcssabili — vuole servire, e si uniformi più che non appaia a prima vista, alle direttive della Segreteria di Stato.
L’Ambrosini, che già pubblicò il suo libro per creare, sulla base della revisione della guerra, la differenziazione chiara del suo Partito dagli altri, e per costringerlo a un esame di coscienza e ad una risoluta presa di posizione, farà bene a scriverne un altro per porlo davvero di fronte alla realtà presente e avvenire. Altrimenti il suo libro avrà valore soltanto di discussione accademica, oppure, come alcuni affermarono a mano a mano che gli articoli raccolti poi nel libro uscivano nei giornali quotidiani, di battistrada al ritorno al potere dell’onorevole Giolitti. Questo ritorno, nel pensiero dell’Ambrosini, avrebbe dovuto segnare la chiarificazione e la revisione antibellica, ma ciò non è avvenuto. E poiché l’ibridismo nel campo ' popolare così lucidamente e acutamcnteanalizzatodall’Ambrosini, continua, anzi si accresce di giorno in giorno, non mancherà materia all’Ambrosini di esercitarvi di nuovo c più proficuamente, la sua abile dialettica.
Temiamo però che l’Ambrosuii giunge-' rebbe tardi. Il temuto processo di invecchiamento del Partito, al quale l’Ambro-sini nella passata primavera assegnava quattro o cinque anni, si è in gran parte compiuto in pochissimi mesi e a nulla sono valse le esortazioni rivolte da Fra Caldino al Partito «di non.lasciarsi prendere nell’ingranaggio, di non sciuparsi col ministerialismo ». Vero è però, che il Frate predicava l’astinenza ai popolari soltanto quando al potere c’era l’on. Nitti, c oggi non la predica più, ma se volesse predicare ancora, non gli mancherebbe materia.
Comunque, la cerca per Fra Caldino sembra essere stata fruttuosa soltanto delle noci cattive che raccolse la primavera scorsa, quando pubblicò il suo libro di critica: nel qual caso, l’Ambrosinì, che così vagabondando,' era entrato, chissà come, dentro la casa del P. P. e mostrava di non esserne troppo soddisfatto, avrà già provveduto a uscirne, almeno spiritualmente, per ritornare alla sua vecchia casa liberale giolittiana.
Forse per un momento egli aveva sbagliato di uscio...
Quinto Tosatti.
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ETNOGRAFIA
II.
Amuleti bellici. — Se Giuseppe Bei-lucci dedicasse l’attività ad allargare la sua pregevole collezione di amuleti italiani, da quelli preistorici a quelli contemporanci, certamente renderebbe alla scienza un'opera più accetta di quella che non arrechi con le monotone monografìe demopsicologiche. Giunto tardi agli studi etnografici, privo di agilità di pensiero e di varietà di coltura, egli si dimostra quasi disorientato nell’applicazione del metodo comparativo. Lo dice il suo continuo oscillare nel campo delle interpretazioni dei fatti superstiziosi, in cui passa con leggerezza dal feticismo dc-brossesiano al manismo spenceriano, dall’animismo del Tylor al magieismo del Frazer. La confusione che domina la sua arcaica mentalità si trasfonde nei suoi lavoretti, che nella loro successione, invece di segnare un progresso, rivelano un regresso. L’ultimo di essi, che porta il titolo generico di « Folk-Lore di Guerra » (Perugia, 1920) pur essendo un capitoletto delle svariate tradizioni guerresche, per tre quarti è una ripetizione di curiosità c amenità tratte da riviste, da giornali, e da libri francesi, tra cui il volume di Alberto Dauzat, Legendes et propMties de la guerre, che il Bellucci, talvolta, ama non citare. Il resto, cioè la parte originale del libro, costituita da scarse informazioni raccolte personalmente, è pieno d’inesattezze c di errori, tra cui non difettano quelli grammaticali (pp. VI, 2, 37, 56, 65. 94. 103, 108) e qualcuno di geografia. Per esèmpio. Savoia di Lucania è posta nella Calabria, anziché nella Basilicata (p. 96).
Non credo che la definizione della * palla sparata », com’é esposta dallo scriiE FOLK-LORE
toro (p. 95), risponda al concetto popolare. Nel Mezzogiorno, e non in questo soltanto, dicesi « sparato » qualunque proiettile espulso dall’arma da fuoco, indipendentemente dall’avere esso attinto o non attinto una cosa o una persona. Perciò mi sembra mal fondata la spiegazione che il Bellucci dà dell’uso della « palla sparata », come amuleto, e cioè che « il suo possesso abbia la virtù di togliere ad altri proiettili la loro efficacia offensiva, addiventando altrettante palle sparate (!) ». Errata la premessa, errata la conseguenza. E poi, ignora il professore dell’Università perugina che i proiettili estratti dal corpo dei feriti o dei morti, trovati sui campi di battaglia sono adoperati come talismani? •Anche i popoli civili del mondo antico avevano analoghe credenze, di cui sono indice le così dette • glandulae missiles », portanti iscrizioni e simboli. La minuscola scopa, fatta con filamenti e lamine di saggina e recata addosso da un nostro ufficiale, non è un amuleto caratteristico dell'ultima guerra, avente per « virtù specifica» quella di « spazzar via ossia di render facile la via della vittoria » (p. 77); ma è invece, di vecchio e comune impiego. Le madri nell'al lontanarsi dai loro bambini dormenti, hanno cura di porre una scopa accanto alla culla; le suocere nel ricevere la nuora al primo arrivo nella casa maritale, si affrettano a collocare un tale utensile sulla porta; e queste e quelle fanno ciò contro le streghe; le quali, come dicesi, non possono procedere e danneggiare le persone, sé prima non abbiano contato tutti i filamenti di cui è composta la scopa.
Sino a qual punto il nostro studioso sia dominato dalle idee di qualche scrittore francese lo rivelano le spiegazioni di due
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pregiudizi : quello delle tre sigarette accese con un solo cerino, e quello dell’oro monetato: che, contro gli interpreti di oltr'Alpe, credo d’aver dimostrato (« La rinascita della superstizione, ecc.. Bilychnis, II, 1920») a quali tempi risalgano, e a quali crederfze si riportino per l’origine Ma il Bellucci dei mici modesti studi non tien conto; e da uomo superiore, si contenta di spargere il lume della sua dottrina fra i dilettanti delle tradizioni popolari, che in Italia non mancano e che sono pronti a fare eco alla parola del maestro.
Vestirla e tradizioni dei Maia. — L’antichissima civiltà dei Maia rimane ancora avvolta nelle tenebre. Gli etnologi americani lavorano alacremente a rintracciarne le vestigia nei monumenti archeologici e nelle costumanze popolari. La memoria che Tommaso IP. F. Gaun inscrive negli atti dell’ufficio di Etnologia Americana (0 Smithsonian Institution », Bull. n. 64), è un esempio lodevole delle fatiche che i dotti d’oltre Oceano consacrano alla storia del loro incivilimento. Nella parte sud-orientale del lucatan ove nelle valli e nei terreni alluvionali si trovano i « mounds • e altri relitti degli antichi abitanti, vivono due tribù di indiani che portano i nomi di Santa Croce e Icaichè e che conservano le tradizioni e le usanze degli avi scomparsi. Il Gaun, attraverso una particolare disamina dei materiali dei « mounds » (scinderai, refuse, joundalion, difensive, lookoul mounds, mounds of unccrtain use}, istituisce opportuni confronti fra i resti scheletrici e archeologici dei Maia antichi e quelli dei Maia con tempora nei, per dedurne l'analogia antropologica ed etnografica. La confezione e la foggia degli abiti e degli ornamenti, la costruzione delle capanne, la decorazione degli strumenti e delle armi, la qualità dei cibi, le cerimonie e i giuochi, gli idoli presentano, a tanta distanza di tempo, una somiglianza che non può spiegarsi che ammettendo il principio'dell’ereditarietà. Attualmente la religione dei Maia consiste in una serie di superstizioni e di cerimonie. Notevoli quelle riguardanti le anime dei defunti (• pisciai »), che, come si crede, possono gustare cibi e bevande, e che possono essere ora benevoli ed ora nemiche dell’uomo. Alcune tra esse (« xtabai ») possono assumere forme muliebri. Le statuette di creta, scoperte nelle tombe preistoriche, si crede vivano.
cantino, danzino in qualche stagione dell'anno, in cui si compiono riti e feste speciali per promuovere la fecondità agraria. Nominalmente, gli ultimi Maia sono cristiani, ma essi sono attaccati al loro paganesimo, tanto da sostituire alla Croce, a S. Lorenzo e a S. Chiara le immagini dei loro vecchi dei, come quelle di « Cuculcan ■ dal lungo naso, quella di « Itzamna », as. sodate alla effige del serpente, e simili.
La leggenda del ciclope. — Contrariamente a quanto opina il professore A. De Fabrizio, la leggenda del Ciclope, lungi dall'essere tramontata, è tuttavia viva nella Calabria (1). Lo dimostra i! documento che, da Polistena, apporta il modesto ed infaticabile Raffaele Lombardi-Satriani (a Folklore Calabrese », Anno V, 19x9, nn. 7-12), c che si aggiunge agli altri tre, di cui ebbe notizia nella piana di Palmi e sulle pendici dell’Aspromonte il prof. Ribezzo della R. Università di Napoli, senza poterci offrire, malauguratamente, il testo vernacolo. L’Ulisse della leggenda polistenese è un laico, che uscito dal convento per la questua, si smarrisce e cade nelle mani del ciclope; il quale, a differenza di quello omerico, ha due occhi, uno in fronte e l’altro all’occipite, e dimora in un sotterraneo chiuso da una botola, che si apre da sola al cenno del padrone. Per sfuggire alla cattura, il laico gioca d'astuzia, e cioè, preparate allo spiedo le sette capre che il mostro porta con sé e già comincia a mangiare crude, lo satolla e l’ubbriaca, facendogli trangugiare sette botti di vino. E quando il Ciclopc vacilla, egli lo colpisce con un grosso legno, e stramazzatolo a terra, lo acceca con lo spiedo.
Come si vede, questa leggenda, per quanto trasporti la scena nell’era cristiana e faccia del protagonista un fraticello questuante, contiene gli clementi essenziali e caratteristici del racconto omerico. In questo il Ciclope è antropofago e divora otto dei compagni di Ulisse; conosce l'arte di allevare le pecore e non quella di coltivare la terra e di produrre il vino; nell’altra non rivela istinti da cannibale, non conosce l’arte di custodire il gregge e di preparare col fuoco i cibi. Nel primo, il palo che serve all’accecamento è un ramo d’ulivo aguzzato, e la caverna è chiusa da
(x) Vedi: Riv. Indo-Greco-Italica, 19x8, pp. 289-296 e Bilychnis, X919 (Giugno).
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un masso, che il padrone sposta a volontà; nell’altra il palo di legno serve al laico per abbattere il Ciclope, che ò accecato mediante lo spiedo. Nonostante le divergenze di ambiente e di modalità, il fondo è identico nella tradizione calabrese e in quella omerica; la quale dovette essere rielaborata, nel corso dei tempi e delle generazioni, dalla fantasia plebea, in forza di quelle regole psicologiche, che il Ko-sières chiamò coi nomi di legge della trasposizione elegge della localizzazione per cui la leggenda si adatta alle condizioni etnografiche e sociali del nuovo ambiente. Auguriamoci che le sapienti indagini del benemerito direttore del a Folklore Calabrese • non si arrestino, ma che continuino a darci c a rivelarci nuovi e migliori documenti da arrecare all’ipotesi della Ciclopedia, ossia d’un poema indipendente da quello di Ulisse, sul mito di Folifemo.
L'iniziazione dei sacerdoti parsi. — Le cerimonie d’iniziazione al sacerdozio fra i parsi (Shams-ul-Ulma, The initiation ceremonies and customs of thè Parsees nel Journal of thè Antrhopological Society of Bombay, voi. XI, n. 5, pp. 454-485, Bombay, 1919) procedono per due fasi: l’investitura e la consacrazione. La prima, che comunemente porta il nome di Naojoti (noviziato) può avere luogo dal settimo al S «undicesimo anno, mediante l’assunzione el cordone, del camice bianco e la impressione sulla fronte del candidato del segno kankun, che è fatto con tinta rossa, e che ha forma verticale, se il novizio sia un fanciullo ; e forma circolare, se una fanciulla. La consacrazione del novizio a sacerdote è riservata soltanto ai figli dei sacerdoti, e si distingue in consacrazione di
5rimo e di secondo grado. Quella con parola ’origine oscura, che probabilmente significa nuovo apportatore di offerte e di riti, è detta NAvar; l’altra, che etimologicamente si può riportare alla voce araba murai-lab (preparato, classificato), è detta Mar-lab. N questa, che conferisce speciali privilegi e funzioni, il sacerdote perviene dopo un esercizio spirituale di dodici giorni: a quella del NAvar invece, non può per venire che dopo una serie di riti e di pratiche, distinti in due cieli: i®
2° geurA. Nel primo il neofita esegue Vaupack e il niyal, coll’intervallo al massimo di 19 giorni fra l’uno e l’altro, recitando per cinque volte al giorno le preghiere ed evitando di avere pollutio nocturna, se uomo; i fiori mensili, se donna. Nel secondo, che per l’etimologia del nome si riporta al gareu dell’Avesta e al sanscrito graA, il candidato, per lo spazio di sei giorni, attende alla preparazione assistito da due sacerdoti; quindi, nel mattino del sesto giorno, fatto il bagno, infila il turbante bianco, indossa il camice e prende il mantello; e, in processione, si reca al tempio per essere definitivamente investito o consacrato sacerdote.
Secondo lo Sham-ul-Ulma, che è autore d’importanti monografie sui popoli e sui costumi dell’india, questi riti che iniziano al sacerdozio zoroastriano, fra i parsi, presentano spiccata analogia con quelli eseguiti, in antico, dai cavalieri cristiani, i quali, per ottenere l’investitura, facevano il bagno di purificazione, cingevano la tunica bianca, la sopravveste rossa, il giubetto nero; e dopo ventiquattro giorni di penitenza, venivano consacrati, ' ricevendo in consegna la spada.
Raffaele Corso.
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LA FORMAZIONE DI LUTERO FINO ALL’“ESPERIENZA DELLA TORRE„<■>
Dopo !e esagerazioni e gli unilaterali giudizi del Denifle s’è sentita la necessità di ristudiare con maggiore ampiezza ed og-Settività gl’inizi della carriera di pensatore i Lutero e il periodo oscuro della sua vita monastica fino al 1516-17 in cui egli si muove in piena luce. È stata una salutare reazione, ricca di risultati particolari che aiutano lo studioso a formarsi un’idea della complessità dei fattori che han contribuito alla formazione della ricca personalità religiosa di Lutero. Ma l'arbitraria ricostruzione priva di senso storico ed assoluta-mente unilaterale del Denifle, che ha svisato il significato e la portata della dottrina agostiniana — pel Denifle assoluta-mente luterana — della permanenza della concupiscenza come forza peccaminosa attuale nel battezzato e la sua so Astica ricerca d’un Lutero. bugiardo ad ogni costò, teorico della sua sconfitta morale davanti alle passioni oscure della sua animalità disintegratrice della vita monastica; e d'altra parte la scoperta del Grisar e di altri d’un Lutero psicopatico han talmente turbato la ricerca critica da influenzare perfino dei critici protestanti indipendenti del valore di un Kawe-rau, di un Hausrath, di un Kostlin.
Una delle costruzioni più artificiali ed artificiose del Denifle, perchè in realtà per i criteri con cui era stata condotta non poteva concludere nulla, come è noto con(1) V. A. Müller, Luthers Verdegang bis xum Turmerlebnis, Perthes Gotha, X920.
siste va nel mettere a confronto molte affermazioni di Lutero criticante il sistema teologico in cui era stato educato con le affermazioni di teologi e le testimonianze liturgiche medievali.
Ma il Denifle non citava da tutte le correnti del pensiero e della pietà medievale e negava l'importanza ed il predominio della teologia scotista-occamista nel pensiero teologico e nella vita spirituale al tempo di Lutero. Così non raggiungeva affatto lo scopo di dimostrare la menzogna sistematica di Lutero e l'inconsistenza e l’arbitrarietà del suo sistema teologico. Il Denifle, che fu un eccellente e diligente raccoglitore di testi medievali e un abile paleografo, era in realtà un pessimo storico. E ad uno dei lati più deboli del lavoro del Denifle s’era attaccato il V. A. Müller con il suo noto Luthers theologische Quellen, comparso nel 1912, proprio là dove la autorità del Denifle sembrava indiscussa e gravare con il peso di un'erudizione senza confini, nel campo, cioè, della teologia medievale posteriore al periodo classico ed alle sue vicende nel mondo universitario. Il Müller nelle sue ricerche, se non erro, ha posto nuovamente il problema delle origini del pensiero luterano: Lutero non è un creatore, ma un rinnovatore potente nella sua anima, piena di passione e d’esperienza religiosa, dell’agostinismo medievale. L’intuizione del Müller non era nuova, ma è suo merito averle dato corpo e d’aver perseguita la dimostrazione della sua tesi in una serie di lavori. Ricordo
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i suoi due saggi pubblicati qui sul Bily-chnis (giugno 1914 e 1920).
Mancava la prova piena della conoscenza e dell’utilizzazione da parte di Lutero di questa tradizione teologica agostiniana; il Müller ha promesso di darla in suo prossimo libro conclusivo: Lutero e T agosti-nismo medievale. Trattando come introduzione * militans • al nuovo libro ha scritto un secondo libro di battaglia. Questa volta non ha davanti a sè l’irosa ricerca di un frate come il Deni ile o la fredda abilità svisatrice di un Grisar, ma uno dei più noti Luther torscher del mondo protestante tedesco, lo Scheel, che ha voluto concludere la serie delle sue ricerche sulla formazione del pensiero teologico di Lutero con uno studio di carattere generale. (Martin Luther, in due volumi). Ma quanto utili possono riuscire le sue ricerche parti-colori, altrettanto debole è il suo lavoro di sintesi. Esaminerò a parte sul Bilychnis da un punto di vista diverso e più ampio del Müller il lavoro dello Scheel che è indubbiamente uno dei lavori più poderosi comparsi in questi anni di guerra, in occasione del IV centenario della pubblicazione delle Tési sulle Indulgenze. La sua interpretazione di Lutero e della sua dottrina è però errata fondamentalmente; ha tentato vie nuove, lasciandosi guidare da una visione fantastica delle origini del pensiero luterano, e dalla preoccupazione di evitare il punto morto della ricerca luterana perdutasi nelle paludi della critica denifliana. eliminando tutto l’elemento psicologico, drammatico della crisi religiosa di Lutero ed edificando sul terreno più solido del conflitto e della critica delle idee teologiche, l’edificio del pensiero luterano. Gettare a mare « il monaco Lutero» per attenersi al teologo e al « professore Lutero » mi sembra un’ottima via di uscita ed io stesso nelle mie ricerche luterane ho sentito il bisogno di seguire la stessa via. Ma il pregiudizio tedesco e protestante di presentare Lutero come un vero creatore ed iniziatore di un’età nuova nel campo della pietà c della teologia in perfetta antitesi con tutto il pensiero e la vita cattolica anteriore a lui e la confusa conoscenza della vita cattolica e specialmente della vita monastica e dei pensiero e della pietà medievale lo ha condotto ad una concezione assolutamente irreale della genesi di Lutero. Lo Scheel ha creduto ritrovarne il punto di partenza nella reazione di Lutero alla teoria medievale della grazia infusa di
cui era stato'vittima, c in genere nel l'idea di Dio che gli offriva la teologia medievale.
Il Müller oltre a mostrare l’insussistenza della spiegazione dello Scheel (v. cap. V, Der angehende Theologe), vuol provare come le affermazioni di Lutero — sobrie ed incisive, quali egli ci dà nei suoi scritti e non quali una critica arbitraria tenta scoprire da fonti secondarie < 1 indirette — sulla sua crisi religiosa e sul > conseguente origine delle sue idee tee pgiche sieno sostanzialmente rispondenti al vero e che quindi il preteso elemento drammatico — dal suo voto fatale a Stotternheim alla così detta « esperienza della torre » — è un elemento incliminabilc da una spiegazione scientifica del «»divenire di Lutero».
Questo è per me il risultato più importante del libro, sebbene non voluto direttamente dall’A. tutto preoccupato della sua tesi dell'agostinianismo luterano e di abbattere la errata costruzione dello Scheel con tutti i suoi falsi motivi di decorazione.
Chi, possedendo una conoscenza diretta e personale del pensiero, della vita c della pietà cattolica, passi a leggere ¡lavori protestanti sulla Riforma, resta sorpreso di trovarsi innanzi, quasi ad ogni pagina, a rappresentazioni convenzionali, ad equivoci madornali, ad una impressionante mancanza d’intuizione della psicologia cattolica. Malgrado lo sforzo degno di ammirazione compiuto nell’ultimo ventennio per colmare queste lacune e di liberarsi da schemi c giudizi convenzionali, in gran parte riflesso della teologia e della polemica, dagli scrittori protestanti di cose lutei ano e malgrado il loro interesse per lo studio diretto e metodico del mondo medievale •cattolico condotto in maniera indipendente e risvegliatosi più acuto per le requisitorie aspre e sottili degli storici cattolici (dallo Tar.nsen. che seppe celare nella sua celebre Storia del popolo tedesco con un’arte insuperabile i più abili sofismi nel piano del lavoro come nelle più modeste affermazioni, al Denifle, al Grisar e ai loro numerosi continuatori), ecco come il Müller può riempire un libro raccogliendo a piene mani gli errori di fatto in cui uno studioso accurato come lo Scheel è caduto con la più grande disinvoltura.
■ Questo scritto — dice l’A. — vuol spiegare ed' avvicinare al lettore i primi dieci anni della vita monastica di Lutero (1505-1514) maniera scientifica, affinchè possa meglio comprendere il « mu-
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tamcnto » di Lutero. Lutero come giovane monaco, come studente di teologia e novello professore di teologia, il suo divenire interno ed esterno fino al punto critico della sua dottrina formano l’oggetto di questa ricerca. Il tema è stato veramente trattato ripetutamente, ma pur troppo non con la dovuta reale conoscenza, sia nel campo della Scolastica, sia su quello del monachiSmo e della psicologia cattolica. Poiché l’autore ha percorso lo stesso cammino di Lutero come monaco e come teologo e precisamente in un Ordine le cui costituzioni ed osservanze presentano le più grandi rassomiglianze con quello di Lutero, egli crede non solo sulla base della sua lunga famigliarità con la scolastica, ma anche sulla base delle sue esperienze e vicende personali di poter rappresentare questo periodo di sviluppo di Lutero in una luce intieramente nuova e di poter inoltre richiamare per la prima volta l'attenzione su di una infinità di particolari fino ad ora sconosciuti ».
I capitoli centrali del libro mi sembrano il IV («Lo scrupoloso ») e il VI (« La così detta esperienza della torre »). Interessanti come ricerche particolari i primi tre, sulla vita monastica c sugli studi teologici di Lutero. Un ottimo e personale contributo nella forma di una polemica e di una. critica minuta, quasi pedantesca, allo Scheel, al chiarimento di un problema complesso e oscuro. •,
Il metodo dello Scheel può definirsi, come abbiamo accennato, uno sforzo per spiegare l’evoluzione religioso-teologica di Lutero in maniera razionale, facendola derivare non da elementi leggendari e straordinari, ma da un puro e normale sviluppo della teologia cattolica di cui viene a porsi come antitesi. E per questo lo Scheel non dà alcuna importanza al voto di Lutero nella «catastrofe» di Stotternheim sulla sua determinazione di entrare nella vita monastica: Lutero non era legato a questo voto e la sua decisione fu determinata dalla sua volontà di far penitenza e di soddisfare. Il Müller chiama un castello in aria questa tesi dello Scheel fondata com’è su fonti secondarie (Tischreden, appunti di prediche e lezioni dei suoi ammiratori e scolari). Dall’esame del testo fondamentale su questo argomento — la prefazione al suo De volis monasticis judicium del 1521 in forma di una lettera a suo padre — risulta evidente che Lutero si sentì legato dal Suo vóto ad entrare nella vita religiosa.
che egli abbracciò nè libens nè Gufiiens, ma subì come l’effetto inevitabile dèi suo voto.
Bisognerebbe proprio supporre che Lutero, allora magi ster arliurn, si fosse trasformato improvvisamente in un perfetto ignorante se « non volentieri » si lasciò trascinare al chiostro da un voto nullo, da un voto da cui poteva facilmente ve. nir dispensato, come pretende lo Scheel. L’osservazione è del Müller. Ma tutta la morale cattolica è per la validità di un simile voto fatto nelle circostanze eccezionali in cui Lutero si trovò, anche se, come pretendeva il buon padre di Lutero, il voto fosse stato provocato ad arte dal diavolo scatenante l'improvviso e tragico temporale. Il padre di Lutero non era iniziato alle sottigliezze della teologia ed aveva la fede superstiziosa del contadino. Perchè nel medioevo e non solo allora, consacrato com’è dalla liturgia ufficiale della Chiesa romana nella consacrazione di una campana e nell’uso di suonare a stormo allo spuntare delle nuvole temporalesche all’orizzonte, si credeva fermamente che la regione delle nubi e del fulmine fosse un dominio dei demoni i quali potevano far scaraventare temporali per i loro fini malvagi. S. Tommaso « Contra rctrahentcs... », in difesa degli ordini mendicanti, al cap. X sostiene l’opinione che, fosse anche il diavolo a consigliare l’entrata nel monacato, questo consiglio andrebbe seguito, perchè si deve dar retta al diavolo non quando consiglia il male, ma quando consiglia il bene. E nella mentalità cattolica medievale non vi poteva essere bene maggiore di quello d’entrare nella vita monastica per render più facile a se stesso la via della salvezza. La vita monastica segnava l’apice dell’ideale cattolico medievale. « E fu proprio quest’uomo, che spinto al chiostro da uno spietato meccanismo spirituale, quegli che a questo stesso meccanismo ha dato il più grande colpo che mai gli sia stato inferto » (Müller). La dimostrazione del Müller, sulla base delle affermazioni concordi dei teologi morali medievali e moderni cattolici, della validità e la forza del voto di Lutero mi sembra conclusiva.
Lo Scheel sosteneva che le parole del Salmista « Votum solvi te et reddite » nella tradizione teologica monastica s’applicano all'emissione dei voti solenni nella professione monastica: il Müller invece dimostra come la sua forza probativa per l’obbliga-
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tonerà del voto si applichi nella tradizione teologica ad ogni voto. E l’altra affermazione dello Scheel, che Lutero poteva facilménte venir dispensato dal suo voto, non ha maggior consistenza. Lo scioglimento o la commutazione del voto di entrar nella vita monastica (votum in-grcdicndac religionis) spettava nel diritto canonico d’allora quasi esclusivamente al papa. E quindi mentiva e falsificava la Bolla di Leone X il Tetzcl, il grande predicatore delle indulgenze nel fatale 1517 in Germania, quando nell’/ns/ru-ctio summaria diretta ai commissari, predicatori, confessori dell’indulgenza per la Fabbrica di S. Pietro, vantando i privileg-straordinari delle «nuove lettere confessionali » affermava contro l’espressa clausola negativa della Bolla papale (religionis et castitatis votis dumtaxat cxce-ptis) che con esse veniva concessa la commutazione in altre buone opere del voto di castità e di religione.
Il pittore che ha decorato con i grandi affreschi le sale del nuovo Rathaus, il Kacmpfer, di Erfurt, culla monastica di Lutero, è Stato altrettanto infelice quanto lo storico Scheel nel rappresentare l’abito monastico di Lutero. Il Müllerdalle « Costituzioni ■ dello Staupitz. che egli ha studiato ampiamente e di cai fa giustamente un largo uso in tut«) il libro, ricostruisce minutamente l’abito monastico degli agostiniani eremiti a cui apparteneva Lutero. Bianco, stretto da una cinghia nera alla quale non. pendeva alcun rosario (il dettaglio della corona del rosario è semplicemente anacronistico!) era l'abito della vita ordinaria, portato nell’interno del convento, a tavola, in chiesa per il canto delle ore minori; ma l’abito ufficiale, per la predicazione, per le ore maggiori, per le passeggiate in città era formato dalla ampia cappa nera con larghe maniche, e dalla cocolla ugualmente nera (cappuccio e mantellina scendente fino alla metà del braccio). Questa cappa nera con il cappuccio e la mantellina (Schulterkragen) era il vero abito ufficiale degli osservanti. Quando Lutero era rivestito di cappa e di cocolla appariva quasi tutto rivestito di nero, e solo qua e là comparivano delle liste bianche dell’abito bianco portato sotto la cappa, mentre spiccavano sulla nera cappa e sulla cocolla il collctto bianco della tunica ed il cappuccio bianco, come oggi nell’abito dei domenicani.
Il Müller pone la professione religiosa di Lutero verso il natale del 1505. Nella primavera del 1507 egli era già ordinato prete. Lo Scheel confonde gli ordini minori con la tonsura e sostiene, nientedimeno, che con la sua entrata nella congregazione mediante la professione Lutero fu «accettato nell’ordo minor» (sic!) e che ricevette il suddiaconato dal suo Priore!
Uno dei risultati più importanti del Müller è l’aver stabilito che Lutero cominciò subito dopo la sua professione religiosa, nel gennaio 1506, un regolare corso di studi teologici alla università di Erfurt, sicché egli avrebbe trascorso circa sette anni in un serio curriculum scientifico -di studi teologici avanti di ottenere nell’ottobre del 1512 il grado di dottore in teologia a Wittemberg. Questo distrugge la leggenda di un Lutero autodidatta in teologia, mentre egli fu educato lungamente nella teologia scotista-occamista della « scuola moderna » dei gabrielisti, dalle tendenze ultra-naturalistiche.
Lo Scheel s’è dato un gran da fare — sempre per mostrar l’indipendenza dello sviluppo teologico di Lutero — per distrug-Serc la così detta leggenda« staupitziana », ei rapporti intimi, cioè, interceduti fra il giovane Lutero e il vicario generale del suo ordine, lo Staupitz, fin dall’inizio della vita monastica di Lutero. Certo com’è rappresentata dai biografi più antichi si risolve in una rappresentazione di maniera ed evidentemente apologetica. Ma giungere alle negazioni altrettanto sistematiche dello Scheel è un altro errore. Così, quando lo Scheel afferma che la decisione per la promolio ad studia di Lutero — e si noti ehe si trattava non di frequentare le scuole interne dell’ordine, ma una facoltà universitaria — dipese umicamente dal priore del convento di Erfurt sicché Io Staupitz, vicario generale, non ne avrebbe avuta alcuna parte, dimostra di ignorare la chiara lettera delle Costituzioni staupitziane che affi-danol’ordinamentodeglistudi (scuole) generali e particolari dell'ordine al vicario generale e ai definitori del capitolo della congregazione c del capitolo generale, particolarmente la scelta dei soggetti più adatti. Niente si faceva in questo campo senza l’intervento diretto del vicario generale, cioè, nel nostro caso, dello Staupitz.
I rapporti personali, intimi fra lo Staupitz e Lutero dovettero iniziarci più tardi, come sostiene il Müller, non prima della
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seconda dimora di Lutero a Wittembcrg, quando Lutero, già a capo degli oppositori delle riforme dello Staupitz^disgustato degli osservanti, si andava avvicinando sulla questione del l'osservanza alle idee dello Staupitz.
Interessante è un excursus nel cap. Ili sul vero carattere dell’insegnamento biblico nelle facoltà teologiche al tempo di Lutero; insegnamento assolutamente secondario ed affidato per breve tempo ai non maturi Baccalaurei biblici, le cui lezioni affrettate su alcuni lib i della Bibbia nessuno potrebbe prcnd« re per un serio e vero insegnamento bil ico nelle facoltà di teologia al tempo di Lutero, come vorrebbe far credere lo Scheel. La speculazione teologica — la Ratio — nello spirito della filosofia aristotelica aveva messo in ultima linea, se non addirittura eliminato, i Padri e la scrittura nel campo della teologia. Il giovane professore Lutero mostra subito nel suo insegnamento — come si vede dalle sue note marginali alle Sentenze di Pier Lombardo, che veniva spie-Sndo nel suo corso come Baccalaurcus ntentiarius nel 1510 — le sue preferenze per i Padri e per la Scrittura.
Lo Scheel per provare la mancanza di unilateralità dell’insegnamento teologico ricevuto da Lutero, interpretando malamente un Tischrede, il cui tono satirico e sarcastico gli sfugge intieramente, vorrebbe attribuire a Lutero una conoscenza diretta di S. Tommaso d'Aquino. In realtà la sua conoscenza deH’Aquinate è così profonda da fargli ingoiare seriamente un cammello del Tischeredc come una prima primae della Summa Theolo-gica, dimostrando così la sua ignoranza, perfino delle divisioni principali dell’opera di s. Tommaso! Lo Scheel, fedele alla sua tendenza di rappresentare Lutero come una vittima della « teologia medievale » non vuol saperne naturalmente delle anormali crisi di coscienza, delle ansie, delle angosce, degli scrupoli di Lutero nel periodo anteriore al suo immergersi in questa teologia. « Tentazione e conforto erano normali in Lutero, senza un particolare colorito drammatico • afferma Jo Scheel e per provare questo sovverte il testo e il contesto di testimonianze dirette di Lutero. II Müller intende ristabilire lo stretto rapporto fra la crisi spirituale del giovane scrupoloso e la formazione dei nuclei iniziali della teologia di Lutero che lo preparano spiritualmente ad entrare più
tardi nella corrente dell'agostinianismo medievale. LI criterio psicologico c l’elemento drammatico che la recente critica luterana ha voluto negare vengono di nuovo giustificati, mi pare, dal Müller. Lutero aveva accennato all’efficacia esercitata su di lui dai suoi tre <■ consolatori » nel periodo dei suoi scrupoli (lo Scheel dimentica però di nominarne uno, Guglielmo di Parigi). Il Müller esamina da presso le opere del Gerson (De consolationc theologiae e De remediis conira pusillanimitalem) e di s. Bernardo e non gli riesce difficile di ritrovare la perfetta rispondenza fra la descrizione delle angosce spirituali (disperazione della salvezza, odio contro Dio severo giudice) del giovane monaco e le malattie spirituali che i consolatori intendono guarire con le loro considerazioni pietistiche. Ciò prova due cose: il caràttere comune e diremo normale della scrii-Solosità di Lutero, perchè prodotto di una etcrminata mentalità teologica, dal momento che uno scrittore come il Gerson ne tratta direttamente, e, in secondo luogo, la veridicità del racconto di Lutero. Ma ciò che è più importante è il ritrovare appunto nei tre consolatori la soluzione e il rimedio in quella stessa ispirazione teologica che è la midolla del sistema luterano. Le due operette del Gerson intendono sollevare le anime angosciate dal dubbio di esser predestinate e dalla tentazione d’odiar Dio nello sforzo di ritrovare la pace e la tranquillità nell’osservanza meticolosa di un’infinità di opere. L’argomento principale consolatorio è sempre lo stesso: non le nostre opere, i nostri ineriti sono la base per la nostra predestinazione, ma sola ed unica il beneplacito di Dio. Quanto meno un cristiano pone fiducia in se stesso, tanto più la porrà in Dio. Perciò deve pregare « In tua justitia piane non in mea libera me ■; neppure una volta il cristiano deve porre la sua speranza nell’adempimento della legge di Dio. Il metodo di questa teologia è «Per summam disperai ionem de homi ne trahere ad summam de Deo spem et per desolationem inaestimabilem et intolerabilem ducere ad solidam consolationem ».
Sulla, permanenza della concupiscenza sono interessanti i testi raccolti dalle prediche di s. Bernardo sul libro dei Cantici. Non è possibile qui riassumere e riportare l’ampio apparato di tèsti — e non va dimenticato s. Anseimo — presentato dal Müller. «Per Luterò non dovette riuscire in-
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differente, mentre era immerso nella teologia naturalistica dcH'occamismo,' di essere stato già in certo modo illuminato sopra l’agostinianismo, che aveva trovato almeno nelle opere ascetiche di Bernardo, di Gersone, di Guglielmo di Parigi un parziale rifugio. Così Lutero imparo a conoscere nei suoi scrupoli giovanili il concetto dell'assoluta predestinazione senza riguardo ai propri meriti... Quale influsso e quale significato hanno avuto questi scrupoli per Lutero e per il suo sviluppo teologico? Crearono con l’angoscia avanti alla legge e alle proprie opere una predisposizione interiore che lo portò ad allontanare lo sguardo da se stesso e dalle proprie opere per farlo riposare non sul giudice che giudica secondo verità e realtà, ma sul redentore che consola tutti quelli che pongono in lui la loro intiera speranza. Questa predisposizione interiore di Lutero iu nutrita ed eccitata attraverso la letteratura consolatoria che egli cominciò a leggere. Questa letteratura di conforto senza dare una dimostrazione teologica della giustezza della sua concezione, dava delle istruzioni pratiche che rispondevano al bisogno di conforto di Lutero... «Era perciò evidente che Lutero quando avesse imparato a conoscere la « Antiqua Theo-logia », che presentava la stessa tesi che la letteratura consolatrice aveva praticamente sostenuto, avrebbe aderito ad essa» (pag. 87).
Molto sottilmente condotta — se pure in tutte le parti non ugualmente persuasiva — mi sembra la discussione sulla così detta « esperienza della torre » di Lutero; in altre parole, del luminoso ritrovamento dei significato di « justitia Dei » che segnò per Lutero un passo importante nello sviluppo scientifico del suo pensiero teologico. TI Müller fa prima di tutto un’ampia analisi del testo fondamentale : l’accenno alla sua evoluzione teologica nella prefazione latina all'edizione del 1545 delle sue opere. Il Denifle ha scritto un libro erudito {Die Abendländischen Serif tausleger übe/ iuslilia Dei... 1905) per dar torto a Lutero interprete del .« Justitia Dei » nell'epistola di s. Paolo ai Romani c. I, raccogliendo le testimonianze degli esegeti medievali. Ma il Müller ritiene inutile la fatica del Denifle, perchè Lutero non si preoccupava del senso esegetico del passo in questione, ma era ossessionato da un problema teologico di più grande importanza che era per lui la chiave per l’interpretazione di buona parte della Scrittura, il problema della giustizia di Dio che veniva appunto prospettato dalla teologia
medievale (vedi, p. cs., la Summa Theol. di s. Tommaso, I, qu. XXI) in termini filosofici e non religiosi cristiani, per cui il senso comune e generale di giustizia di Dio era legato al concetto di Dio punitore dei peccatori. Egli giungeva così al risultato che Dio « mediante il Vangelo noni ci fa minacciare con la giustizia punitiva, ma ci fa annunciare per mezzo del Van-Iclo là misericordiosa giustizia della fede!
n altre parole: nel Vangelo, secondo Lutero, il senso di « justitia Dei » sempre e dovunque va spiegato nel senso di questo passo di s. Paolo, contro il quale peccano tutti i dottori con la loro concezione comune della « justitia Dei » come « justitia activa ».
L’essenza di questa scoperta consiste nel fatto che Lutero aveva trovato che il Cristo è un Salvatore, un consolatore, pieno di misericordia e non un « Mosè con la verga » nè « un carnefice • o un «legislatore». Una dottrina fondamentale deli’agostinianismo che ancora difendeva il Seripando al Concilio di Trento gli si rivelava! Questo è dunque qualche cosa di più di una semplice scoperta del nudo senso a esegetico » della «justitia Dei». Così il Muller che colloca la così detta a esperienza della torre » nel periodo di preparazione al commento ai Romani, verso la fine del 1514. Questa scoperta del retto senso della « justitia Dei » fu sentita da Lutero come « scoperta del Vangelo », sicché il Vangelo gli apparve nuovamente come « la lieta novella ».
Il Mailer crede a modo di conclusione poter affermare contro lo Schecl — per il ■ quale la dottrina della gustificazione di Lutero ha annientato la concezióne cattolica della grazia giustificante, e il catto-licismo per opera della teoria dell’imputazione ha ricevuto una risposta giustamente mortale — che in realtà tutte queste concezioni teologiche di Lutero hanno avuto- una lunga tradizione nel cattoli-cismo medievale, dallo Scheel intieramente ignorata. E lo Schecl non ignora solo la corrente agostiniana, dagli albori della scolastica (s. Anselmo) fino al Concilio di Trento da cui ricevette un colpo mortale, ma la sua conoscenza del periodo aureo della scolastica aristotelica è superficiale e manchevole come lo mostrano la sua tesi fondamentale che I’ « Umschwung > di Lutero sia dovuto alla teoria dell'infusione della scolastica, e la sua fantastica, in termini della filosofia post-kantiana, descrizione della grazia, della sua natura e della sua attività secondo i scolastici, ai quali attribuisce durante il periodo clas-
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sico l'abbandono della teoria della • Pre-destinatio ad vitam ante praevisa merita », mentre in realtà s’attennero fortemente ad essa.
L’ « Umschwung » di Lutero, secondo il Müller, è dovuto alla sue interiori esperienze che lo spinsero verso la corrente dcll'ago-stinianismo, allontanandolo dalla scuola naturalistica in cui era stato educato.
Questo processo d’allontanamento, difficile a cogliere nei suoi inizi, ma abbastanza evidente per riconoscerlo fin dal 1510, raggiunge il suo punto ad que.m alla fine del 15x4 con l’esperienza della torre.
Queste, all’ingrosso, le principali affermazioni e i principali risultati del libro del Müller, di cui mi duole di non poter riprodurre tante interessanti osservazioni particolari che riescono di gran giovamento ad ogni studioso di Lutero, e che costituiscono il valore del libro, indipendentemente dalle vedute particolari dell’autore.
I risultati e le critiche del Müller possono dividersi in due parti, quelli riguardanti la vita del giovane Lutero, come monaco e come studente e professore nei primi dieci anni di vita monastica, e quelli riguardanti le origini e le fonti del suo pensiero in formazione. Evidentemente questo secondo gruppo ha un valore più grande per lo studioso. L’ampia raccolta di testi è veramente significativa. La prova di una tradizione, di una corrente teologica ed ascetica d’ispirazione agostiniana nel medio evo mi sembra dimostrata, come dimostrata la somiglianza dei temi fondamentali e del tono di pietà con le dottrine fondamentali e il tono della pietà luterana; l’affinità spirituale fra quella dottrina e l’animo di Lutero deve ammettersi come evidente. L’opera di Lutero appare come una sublimazione ed una potente riorganizzazione di questa tendenza che viene in conflitto aperto e spinta fino alle ultime conseguenze ed applicata rigorósamente a tutti i campi del pensiero cattolico, con la corrente antitetica, ultra-naturalista, spinta anch’essa fino alle ultime conseguenze al tempo di Lutero.' La lotta s’inizia prima nel campo chiuso e pratico della pietà individuale, nell'anima e nella vita monastica di Lutero per poi assurgere in maniera cosciente e con elementi dottrinali in un conflitto d'idee in cui si matura il sistema luterano. Questa è la visione a cui sostanzialmente ci riconduce, con elementi e luce nuova, il Müller. Pur troppo noi conosciamo ben poco — malgrado, che il materiale a nostra disposizione sia stato
accresciuto dalie scoperte dell’ultimo ventennio — dell’evoluzione intellettuale di Lutero dal 1509 al* 1514, che sono gli anni dell’oscuro lavorio interiore. La spiegazione-caricatura del Deniflc si appoggia appunto su -questa nostra lacuna.
Ma essa ha il vantaggio di essere una Sazione, e, come recentemente lo Scheel, ! a porre in un unico periodo d’intensa attività, o di disintegrazione, come vorrebbe il Deniflc, e la formazione della dottrina e lo stimolo dei motivi pratici, interiori che determinarono l’Umschwung.
Questa contemporaneità dell’azione dei fattori psicologici e del lavorio dell’intelligenza critica intorno ai medesimi motivi mi sembra psicologicamente più probabile del Iiorre in due periodi distinti e lontani fra oro la crisi spirituale con gli scrupoli caratteristici del giovane professo, calmata, se non risolta, dall’influenza dei « consolatori» dallo spirito agostiniano, i quali avrebbero lasciato in lui dei germi fecondi di attività intellettuale, e la crisi intellettuale svoltasi fra il 13 e il 1.5. Il Müllcr sembra credere ad una reviviscenza dei motivi teologici, succhiati molti anni prima dai consolatori, quando Lutero, professore, si trova di fronte a dei problemi connessi con le sue esperienze anteriori che riflettevano le sue originali direzioni spirituali, motivi che a contatto di Agostino prendono di nuovo colorito e vita. E la crisi si sviluppa allora nel puro campo teologico, nella critica e nel conflitto con la teologia dei suoi maestri. A questo momento credo che il Müller voglia collocare l’approfondirsi di Lutero nella teologia agostiniana medievale, di cui doveva, come tradizione vivente nell’ ordine, avere qualche sentore. In realtà le costituzioni staupit-ziane stabiliscono che la teologia dell’ordine debba esser quella del B. Egidio da Roma, cioè, una teologia fondamentalmente agostiniana; di fatto al tempo di Lutero invece di questa teologia eminentemente « soprannaturale » regnava la «corrente moderna» degli occamisti, e ad Erfurt la tendènza ultra-naturalista dei Gabrielisti; lo stesso avveniva nelle scuole dell’órdine; il Paltz, agostiniano ad Erfurt, il più grande teorico e predicatore delle indulgenze, era il più chiaro rappresentante nella dottrina della penitenza di questa teologia ultranaturalista (vedi la sua celebre Coelifodtnia). Certo, se il Seri pando, generale degli agostiniani, e molti teologi con lui al Concilio di Trento possono ancora sostennere una teologia deWOrdine molto simile nei motivi a quella di Lutero, non
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TRA LIBRI E RIVISTE
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comprendo come questo corpus theologicum potesse esser del tutto dimenticato — messo un po’ in soffitta, come il Marx dai socialisti italiani, è certo! — a! tempo in cui Lutero veniva formandosi per poi rinascere in ambiente cattolico quando, l’opposizione alla dottrina luterana doveva rendere così poco simpatica la difesa di idee molto vicine a quelle del riformatore sassone.
Le più attendibili testimonianze di Lutero ce lo mostrano preoccupato non solo intellettualmente, ma in piena lotta interiore e in cerca di pace proprio nel periodo in cui gli si chiarisce il sistema teologico nuovo. L’odio contro la comune rappresentazione della giustizia di Dio, la bestemmia contro la severità del giudice divino raggiungono una critica intensità nel periodo in cui contemporaneamente e sotto la spinta della crisi interiore la sua attività critica è volta a cercare una soluzione. Così del problema contemporaneo della ricerca del significato di « penitenza » nel Vangelo. In fondo, se Lutero aveva già trovato nei motivi consolatori la risoluzione delle sue angosce e dei suoi scrupoli, come ancora poteva cercare ansiosamente di liberarsi dalle ossessioni penose alla fine del 1514?
Il dramma spirituale di Lutero (angosce, scrupoli e la lotta interiore e a fondo che ne derivò) secondo me va posto molto più avanti, verso il ’14 e non nei primi anni della vita monastica. Ciò non significa affatto che Lutero non abbia, per il suo temperamento e per la sua edu
cazione, sempre sofferto di queste angosce e di questi scrupoli. Il suo voto a Stotternheim lo mostra evidentemente. La crisi si fa più acuta, suscitata dai problemi teologici più affini al suo temperamento, problemi che andava affrontando come professore. In ciò mi avvicino, in parte, alla tesi dello Scheel. La sua crisi assume la forma caratteristica dell’ossessione di una idea (giustizia, penitenza, eco.). L’origine della crisi va ricercata nella sua sensibilità intellettuale che lo portò, com’egli confessa, dalla filosofia astratta ad una teologia concreta, ricca di elementi tragici e soddisfazione dell'anima, e alla concretezza tragica dei libri della Bibbia.
Per degli uomini come Lutero, i problemi teorici nascono da predisposizioni interiori c da esperienze che determinano l’orientamento della loro vita, aprendo nell’anima come delle questioni perpetue intorno alle quali si concentra per attrazione tutta la loro vita intellettuale, e sono sviluppati fino ad esser sentiti tragicamente, impegnando con l’ossessione di una idea tutta l’anima e tutta la vita. Io spero ad ogni modo che il problema fondamentale, (quale ci si presenta dall'acccttazione della spiegazione altamente suggestiva del Müller, già in parte provata): • come s’è formato l’agostinianismo di Lutero? Quando e come Lutero ha conosciuto ed utilizzato la corrente teologica agostiniana anteriore a lui?» possa ricevere piena luce dal prossimo libro del Müller « Lutero e l’agostinianismo medievale ».
Mario Rossi.
IV CONVEGNO ITALIANO DI FILOSOFIA
Abbiamo già annunziato che il IV® Con-Srosso italiano di Filosofia promosso dalla ocietà Filosofica Italiana si terrà in Roma il 25-29 settembre corr.
Ci riserviamo di parlare di esso, che si tiene mentre la rivista va in macchina, nel prossimo fascicolo. Intanto possiamo dare il programma dei suoi lavori che si terranno sotto la direzione d’un comitato presieduto da Bernardino Varisco e di cui è presidente d’onore Benedetto Croce, e composto dai proli. Alemanni, Formiggini-Santamaria, Galli, Vacca, Valli, Buonajuti, Crcdaro, De Sanctis, Formichi, Gentile, Scaduto, Salandra, Fedele, Bordante, Tauro, Carabellese, Torre, Resta, Paolucci, e del quale è segretario generale il prof. Troilo.
Discorso inaugurale del Presidente professor Bernardino Varisco: Cultura c 1-ilo-sofia. — La revisione dei principi della scienza. Relatore, prof. Antonio Aliotta. — Commemorazione di Giacomo Berzelotii, promossa dal Circolo di Filosofia di Roma. Oratore, prof. Giuseppe Tarozzi.—Filosofia e Psicologia, nei loro rapporti teoretici e in ordine allo insegnamento medio e universitario. Relatore, prof. Francesco DeSarlo. —Razionalismo e misticismo. Relatore, prof. Federico Enriques. — Arte e religione. Relatore, prof. Giovanni Gentile. — La Filosofìa • il problema sociale contemporaneo. Relatori prof. Giovanni Vidari, prof. Rodolfo Mondolfo. — La scuola, lo Stato e le classi sociali. Relatore, prof. Giovanni Calò.
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Murrt, Dalia Democrazia Cristiana al Partita Popolare Italiano, Firenze, Battistelli, 1920.
Impossibile riassumere, sia pure brevemente, questo nuovo libro di Romolo Murri nel quale, dalle origini del movimento modernista e democratico cristiano in poi, si ha una ricostruzione storica di tutto il movimento culturale e sociale dei cattolici italiani nelle sue posizioni ideali e pratiche. L’Autore ci ha dato una ricostruzione piena di vita e di calore, quale nessun altro ci avrebbe potuto dare, come quello che fu già una delle più eminenti dramatis personas, c insieme come quello che ha oggi superato definitivamente quelle posizioni.
La lettura dell’autobiografia di Giorgio Tyrrell gli ha suggerito un primo capitolo su Che cosa fu il modernismo. Come Tyrrell, quasi tutti i più eminenti modernisti entrando nella Chiesa — ovvero vivendo in essa per ragioni di nascita e di educazione — si sbagliarono, come chi cercando una fanciulla della quale era stata descritta e poi lungamente sognata la meravigliosa bellezza e bontà, sbagliasse il numero della casa e si trovasse d’un tratto dinanzi alla grazia insidiosa e al viso dipinto di una futura Santippe. Così Loisy si ? trovato cattolico e prete. « Un caso Loisy c’era già stato, c si chiamò Renan, come c’era stato un caso Murri, e si chiamò Lamennais. Tyrrell è un caso nuovo, nella celebrità, ma
quanti casi Tyrrell nell' ombra! ». In pochi nomi si raccoglie tutto il modernismo, ed essi permettono di giudicare della intima vacuità di tutto un grande movimento apparente, che si risolve poi in un piccolo numero di crisi individuali dovute ad un errore di fatto. Queste crisi, come esperienze cattoliche, sono istruttive soltanto per spiegare come nell’ultimo quarto del secolo xix fosse ancora possibile l’illusione di cui caddero vittima. Lo spavento della Chiesa, e il cattolicismo del terrore, si spiegano non come provocati da una nuova eresia interna, ma come brividi provocati da un contatto occasionale con queste terribili forze dissolventi che sono la critica, il misticismo, la democrazia. Un modernismo cattolico non c’è stato che come fatto secondario, riflesso e diffuso. Come non è esistita una dottrina, così non è esistita una eresia modernista nè un tentativo di scisma modernista. Concomitante con questo movimento modernista ce ne fu un altro di carattere dilettantesco cattolico-liberale, che seguita ancora a vivacchiare, e che in parte produsse l'errore psicologico e storico dei modernisti, ma Murri, giustamente, scevera con finezza e acume le varie correnti del cattolicismo latitudinario e liberale, che hanno origini totalmente diverse dal modernismo, e non hanno con questo che superficiali analogie.
Merito del modernismo, per Murri, è di aver posta la questione dell’autonomia dello spirito come una questione religiosa, e di aver cercato nelle religioni storiche, particolarmente nel cristianesimo, gli antecedenti e quasi la preistoria della nuova e non ancora visibile celebrazione religiosa della vita. Vi è un modernismo che non muore, che, corretto l’errore del modernismo morto — che consisteva nel fare dell’elemento Chiesa, istituzionale e gc-
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rarchica, la norma e il contenente dello spirito religioso — fa della coscienza religiosa la dominatrice vera delle forme esteriori: non è morto il modernismo, ma l’illusione ortodossa di taluni modernisti contro i quali ebbe ragione l’ortodossia tutta d'un pezzo del parroco veneziano.
Dopo avere fatto, in pagine commosse, la storia del movimento democristiano e dei suoi intimi travagli, nel capitolo sulla Democrazia cristiana in Italia Murri rivendica a quel movimento di aver dato impulso a quasi tutte le principali correnti culturali ed etiche della vita pubblica italiana di oggi. Il Murri a ragione anzi afferma che proprio la minore influenza ideale da quel movimento, che fu come un vivaio di fresche e vigorose energie, sia derivata a quello che ne sembra apparentemente la più diretta figliazione: il Partito popolare italiano. Il pensiero di Romolo Murri sul nuovo partito è ben noto ai lettori di Bilvchnis e perciò è inutile soffermarci su questo punto. Diremo soltanto che, contrariamente a ciò che pensa il Murri, a noi sembra che in realtà, così come il modernismo, anche la democrazia cristiana, in quanto volle essere una rinnovazione interna della Chiesa, fu una illusione, e che una volta riconosciuto l’equivoco, i modernisti sociali ripresero ciascuno la propria via. La democrazia cristiana è finita con la scomunica di Murri, e il nuovo Partito popolare, ibrida accolta di clericali e di scettici, non ha nulla di comune con quella, se non il fatto puramente estrinseco che vi partecipano persone che già parteciparono all’altro movimento. Non riusciamo a comprendere come Romolo Murri possa scrivere che i cattolici nel nuovo partito servono « la storia, cioè la causa dell’autonomia dello spirito, pur con le loro riserve ed astuzie ed ambiguità ». Con V ambiguità, mal si serve la causa dell’autonomia dello spirito, e ci voleva forse soltanto la formidabile antipatia e paura che Romolo Murri ha per il socialismo, per scrivere queste parole così dissonanti col resto del suo pensièro. Infatti poco sopra egli àveva scritto « che il socialismo è un pericolo immenso perchè, trascurando il lungo e delicato processo dì educazione all’autogoverno, mediante la disciplina intcriore, prepara una tirannide pili insopportabile di ogni altra”. TI nuovo partito, spera Murri, sarà un argine al »socialismo e salverà la società minacciata.*
Non è qui il caso di iniziare una polemica
che porterebbe necessariamente molto lontano, ma si potrebbe osservare, così di passaggio, che il socialismo, mercè la educazione alla lotta e alla organizzazione sindacale, e lo sforzo per l’autocmancipa-zione delle classi oppresse più ancora culturalmente e politicamente, che economicamente, rappresenta appunto il massimo sforzo collettivo di educazione all'autogoverno. e, per usare un frasario caro a Murri, scevro di fini eteronomi, quali possono essere quelli di chi cerca, col miraggio di facili conquiste di vantaggi economici, subordinare le masse ai propri fini di Chiesa, di classe, di partito, sotto una perpetua tutela. Non ci attendevamo da un idealista, e attualista per giunta, una critica di questa specie al movimento socialista, che se mai, e specialmente in Italia, si presterebbe a critiche di tutt'altra natura.
I due capitoli su Giuseppe Toniolo e su Don Sturzo sono due biografie disegnate di scorcio con molta penetrazione psicologica, e ravvivate da un fine humour che, se pure è assai benevolmente indulgente verso Don Sturzo, nondimeno è molto piccante e ci rivela un nuovo simpatico lato della personalità di Murri.
Negli ultimi due articoli su Chiese e Cenacoli c su Gesù Contemporaneo che chiudono il suo libro, Murri riprende un argomento che fu già oggetto di cortese polemica in Fede e vita, organo delle Associazioni studentesche per la Cultura religiosa, e cioè che cosa appartenga al Cristo eterno, e che cosa invece al Gesù più propriamente storico. La delicatezza dell'argomento e della polemica, che d’altronde i lettori di Bilychnis conoscono, e che esula interamente dal campo della politica ecclesiastica dispenserà lo scrivente dal prendere parte al dibattito, che si è svolto tra anime nobilissime ed egualmente ansiose si rivivere in sè e far rivivere in altre anime il Messaggio di Gesù.
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FIIPJQFIAE RELIGIONE
Giovanni Locke, Epistola sulla tolleranza Traduzione e studio introduttivo del dr. Francesco A. Ferrari, Lanciano, Ca-rabba, 1920, p. 159 {Cultura dell*anima, n. 69).
Di Giovanni Locke, Francesco A. Ferrari traduce la celebre Epistola sulla tolleranza, facendola precedere da un pregevole studio introduttivo sulla separazione della Chiesa dallo Stato e l’incoercibilità delia vita religiosa nel pensiero del grande filosofo inglese. Il Ferrari niente bene in rilievo la grandissima importanza di questa epistola, la quale precorre in molti punti quanto di più famoso sull'argomento i secoli posteriori abbiano prodotto. Il Locke vi sottopone ad esame il concetto stesso di libertà religiosa, in tutta la sua estensione e in tutte le sue gradazioni. Questo piccolo scritto culmina nell'affermazione dell’autonomia dello Stato di fronte alla Chiesa, della Chiesa nella sua funzione religiosa di fronte allo Stato, e della coscienza umana circa il suo destino ultra terreno, conseguibile con una vita di spontanea e libera religiosità, che nessuna autorità umana, nè politica nè religiosa, può soggiogare con violenze c coazione. A. T.
Camille Flammarion, La mori et son mystìre. A vani la mori. Paris, Flammarion 8*. pp. 400.
Questo volume del noto astronomo francese è il primo di una trilogia consacrata a risolvere il mistero della morte ed a stabilire la sopravvivenza dell'anima. In questo primo volume Flammarion si consacra a dimostrare che l'anima esiste come sostanza personale distinta dalla materia. Non perciò egli là concepisce come alcunché d’immateriale: anche per lui, come per la massima parte degli spiritisti, tutta la distinzione fra anima e corpo si riduce, in fondo a questo: che l’anima è un corpo sottile ed infinitamente leggiero, mentre il corpo è composto di materia più grossolana e più pesante. Questione di peso, insomma. Il buon Flammarion si domanda anche seriamente se l'aria che avvolge la
terra non sia piena delle anime dei morti, che 'un giorno o l’altro l'analisi chimica finirà per scoprire, cosi come ha scoperto nell’aria il neon, l'argon, ccc. Ciò dimostri la profondità di questo spiritualismo! In questo volume Flammarion adduce come prova dell’esistenza dell'anima, i fenomeni così detti sopra normali: l’autosuggestione, i presentimenti, la telepatia, le trasmissioni intellettuali, la lettura in un libro chiuso, le premonizioni, e così via. I soliti fatti e le solite teorie che si trovano in tutti i libri degli spiritisti, sicché, lettone uno, sono letti tutti. La letteratura spiritica somiglia purtroppo all’esercizio dei ragazzi avidi di fumare e che non hanno che una sigaretta in molti: allora essi rimediano alla loro povertà mettendosi attorno ad uno di loro che fuma l’unica sigaretta, mentre attorno a lui gli altri aspirano il fumo che gli esce di bocca; poi il fumatore cede la sigaretta ad un altro e prende posto tra quelli che aspirano il fumo già fumato. Così i fumatori son molti ma il fumo è sempre quello. a. t.
M. Konopnicka, Italia, Milano, « L’Eroica », 1919. (« I gioielli », n. 7). L. 2,50. E. Cozzani à molto ben meritato della letteratura e dell’arte contemporanea per tanti rispetti: la pubblicazione delle poesie della Konopnicka, fatta in questo volume, è un altro titolo di benemerenza che va giustamente segnalato al pubblico.
Le poche pagine di questo gioiello contengono difatti se non le più belle, certo alcune tra le più belle poesie scritte non tanto da donne, quanto da uomini c donne insieme. Vi è in esse tanta forza di pensiero e di sentimento, così vivo .senso di spiritualità e di bellezza che io non ritengo facile trovare qualche cosa di simile nella letteratura moderna. Nè voglio parlare delle poesie di carattere starei per dire nazionale, di quelle cioè che potrebbero lusingando il nostro amor proprio apparirci più belle e più felici: voglio parlare delle altre. Parlo, p. es., di quella al mare, di 3nella ai mesti, di quella all’uomo sul fine ella sua scienza e di altre simili.
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Questa poetessa non aveva solo la vis poetica, ma aveva il senso intimo delle cose, le sentiva tanto da profetarne le forme ben prima che si presentassero agli occhi degli altri umani. Perchè il lettore veda e capisca citerò solo questa magnifica poesia che dice tutta, nella sua intera e completa sostanza la crisi che il mondo attraversa dal 1914 ad oggi, questa poesia da lei scritta tanti e tanti anni prima che non pur l’alba, ma neppure l’annuncio dell’alba le balenasse degli anni che abbiamo vissuto e che essa non vide perchè morì prima.
•< O -popoli, svegliale questo Cristo — dal silenzio dei matmi! — Perchè si avvicina per il mondo il pericolo della tentazione — E l’abisso rifiata — Ecco: si sentono in lontananza delle corde infrante — fremiti e stridori; — e il vento si alza, e i fulmini si avvicinano — per imperversare contro i cieli.
« Profondamente sconvolti come le onde del mare — traballano gli spiriti... — Moti, lamenti, rimorsi —vibrano nell'aria... — si sente un forte ritmo dal cuore malato — nel petto dell’umanità... — Con la potenza delia distruzione la vita precipita — verso il suo avvenire — e infiamma col soffio delle tempeste — i focolari del pensièro — e sulle fiacche forme, plasmate in fretta — imprime la propria impronta! — Chi cammina, non sa dove tende; chi aspetta — ignora il perchè; — è buia, è terribile questa strada lontana, — che corrono i popoli! — Prima che il sole si levi sulla terra spenta — i duci delle falangi umane —scelsero il fulmine per insegna e per parola d’ordine — sul ioro cammino! —
« Svegliate Colui che dà da mangiare agli affamali — e da bere agli assetali — che affronti queste onde correnti, — che le plachi > — Svegliate Colui che veste gli ignudi — colla falda della sua veste — perchè già si scatena e si alza la tempesta — per sconvolgere i mondi/ ».
O’ sottolineati i punti in cui l’invocazione al Cristo, tanto invocato, e dai migliori, or che la tempesta à infranto ogni cosa ed il mondo stupito non sa che via cercare, è più fremente ed è fatta quando doveva
esser fatta, con più ragionevolezza e meglio certamente di quel che si fa oggi!
Ma i lettori leggano e meditino; mi saranno grati dall’aver loro suggerito questo gioiello, che il Cozzani à col finissimo intuito che lo distingue cosi opportunamente largito agl'italiani.
Giovanni Costa.
G. D'Annunzio, 4« Crociata degl'innocenti, Milano,. < I gioielli dell’Eroica », n. 11-12 1920. L. 4.
Un altro buon numero della raccolta del Cozzani; peccato che non sia se non, al-l’incirca. il.canevaccio di un mistero, che avrebbe dovuto riuscir bello, come tante altre opere del poeta, sopratutto alla lettura, perchè nella rappresentazione necessariamente il teatro dannunziano invece di guadagnare perde.
In ogni modo il lavoro è bello anche così e ne è interessante la lettura pur da! punto di vista ricostruttivo della mente creativa del poeta. Lo precede la riproduzione di una lettera autografa dell'A. al Cozzani. X.
D. Prove nz al, Le passeggiale di Bardatone, 2» ediz. con l’aggiunta di Coenobium, Roma, La Voce (quaderno n. 41), p. 250. Lire 7.
Questa ristampa di un felice lavoro del nostro esimio collaboratore meriterebbe, se lo spazio ce lo consentisse, una presentazione da opera nuova, non per farvi intorno del chiasso di cui non ha bisogno, ma per invogliare quelli che non lo conoscono a leggerlo. Vi è in queste pagine tanta piacevolezza e tanto spirito che anche il lettore più difficile deve accontentarsene, anche perchè l’apparente leggerezza delle osservazioni nasconde una così profonda e così giusta critica delle cose, che le deliziose pagine che si leggono lasciano a meditare problemi di vita e di scuola che sono sempre vivi. Il p. per molti di essi ha continuato e continua ancora a combattere. Apprenderne alcuni in questa forma, che ha un po’ dello scetticismo panziniano con maggiore bonomia, è cosa dilettevole e profittevole ad un tempo. •*
G. C.
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NUOVE PUBBLICAZIONI
S. Mazzilli, Mazzini e Gioberti, apostoli dell’educazione nazionale. Roma, Signoroni, 1920, p. 49. L. 2,75.
L. De Bellis, Umanità, Spiritualità, Immortalità. Siena, Tip. Cooperativa, 1920, P- 54Morris Jastrow, Zionism and thè Future of Palestine, New-York, Macmillan Comp., 1919. P- 159C. Pascal, Scritti vari di letteratura latina. Torino, G. B. Paravia, 1920, L. 25.
Non si tratta che di una ristampa, in fin dei conti, c di una raccolta di articoli e memorie sparse sinora in riviste ed atti accademici. Ma quanto preziosa! c quanto dobbiamo essere grati agli editori di avercela procurata. Le acute ricerche del P. sui poeti c prosatori latini appaiono qui, ri prodot te sotto il nome dello scrittore studiato, con una certa omogeneità, che nulla perde dallo sfaccettamento in cui le varie indagini permettono di considerarne il carattere. Nè si tratta sempre, come il lettore potrebbe presumere dal titolo, di aride disamine aventi per base la paleografia o la retorica o l’ermeneutica. Si tratta spesso di vere c proprie ricostruzioni dell'anima e del pensiero degli autori studiati. Ai lettori di questa rivista, p. es., io posso segnalare in modo Speciale i due saggi su Lucrezio (credente degli dei e accenno a credenze orfiche), uno su Ovidio (dottrina pitagorica ed eraclitea nelle Mei.), uno su Tacito (sul /«/©) e via dicendo. Completano il volume alcuni studi su epigrammi e su epigrafi O consuetudini e credenze antiche, dei quali ci piace segnalare specialmente quelli sul nimbo e sulla corona radiata e su di una superstizione antica che spiega molto scgacc-mente il divieto divino nel mito d'Orfco di volgersi indietro. Insomma un bel volume che mette conto di leggere e studiare.
M. Casotti, Saggio di una concezione idealistica della storia. Firenze, Vallecchi, 1920, p. 447. L. 12.
J. Estlin Carpenter, Il posto del cristianesimo fra le religioni, Firenze, Assoc. ital. dei lib. crcd. 1920, p. 83.
È un interessantissimo opuscolo di carattere popolare che in rapida e chiara sintesi informa sul cristianesimo e sulle religioni in mezzo a cui sorse e prese il posto: non si poteva in breve raccogliere ed esporre maggior mèsse. L’A. I. L. C. à ben fatto di pubblicarlo nella traduzione di G. Conte e presentarlo con la felice prefazione del prof. Puglisi.
G. Gentile, La riforma dell'educazione, discorsi ai maestri di Trieste. Bari, G. Latenza c figli, 1920, p. 251. L. 6,50.
C. Flammarion, La mori et son mystère. Paris, C. Flammarion, 1920, p. 401. Franca 6,75 (v- sopra pag. 240).
Un pensionato. Patria, religione e fede (sulla via del progresso in sogno) Treviso, Coop. ed. pop. 1920, p. 71, s. p.
« La Fede à (è?] quella cosa più gradita | che mette sulla via chi l'ha smarrita »— «...e visto che la Chiesa | aveva la pretesa | di farsi una Regina | contro l’idea divina, I tenendosi più indietro | nell’opera di Pietro, | nel mentre di galoppo | correva avanti troppo | in quel di Costantino | più facile cammino » — «Fu Cristo il gran Teologo!!!
| e ancora il Gran Sociologo?! | Coi fatti, e colia voce | lo dimostrò anche in croce, | quando il ladron vicino | associa nel cammino ».
E ini pare che basti! condannar simil roba al cestino è farle troppo onore!
J. Rcinkc, Kritik der Abstammungs-lehre. Lcipziz, J. A. Barth, 1920, p. 133. Mk. 13.
C. Isenkrahe Unterestehungen ilber das Endliche und das Unendliche mit Ausbli-cken auf die philosophischc Apologelik. Bonn, A. Marcus u. E. Weber, 1920, voi. 2: I, pagine 224; li, p. 230.
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NUOVE PUBBLICAZIONI
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Atenagora, La supplica per i Cristiani, testo critico c commento di P. Ubaldi. Torino, Soc. cd. internazionale, 1920, p. 193. L. io.
E. Horneflfer, Der Platonismus u. die Gegenwart. Kassel, C. Magersuppe, 1920, P- H4A. Baratone, Critica e pedagogia dei valori, saggio. Palermo, R. Sandron, 1920, p. 358. L. 15.
H. Meyer, Natur u. Kunst bei Aristoteles, Ableitung u. Bestimmung der Ursächlichkeitsfaktoren, Paderborn, F Schöningh, 1919» P- 128.
Ch. T. Smith, The Music of Life, éducation for Leisure a. Culture, London. P. S. King et Son, 1919, p. 150. Sc. 4.
P. Wust, Die Auferstehung des Metaphysik. Leipzig, Felix Menier, 1920, p. 284. Mk. xo.
P. Lasserre, Le romanticisme français. Paris, Lib. Garnier fr., 1920, p. 547. Fr. 4,90.
K. Heinemann, Die tragischen Gestalten d. Griechen in d. Weltliteratur. Leipzig, Dieterich’sche Verlagsbuchhandlung, 1920, vol. 2, I, p. 163;, II p. 142. Mk. 7.
E. Levi, Il libro degli splendori. Todi, Atanòr, 1920, p. 2x1. L. 12.
U. Janni, Il culto cristiano rivendicato contro la degenerazione romana. Torre Pollice, Luce, 1920, p. 145. L. 1.
Il J. si è proposto di esporre in forma popolare come la Chiesa cattolica-romana à traviato la religione di Cristo, facendola degenerare in un’idolatria, dalla quale l’evangelismo à tentato e tenta di strapparla riconducendola alle pure fonti del Vangelo. L’impresa non era facile sebbene dovesse farsi in forma popolare; ma il J. è stato efficace. È vero che l’assunto è disperato, poiché quel che occorre soprattutto da noi è rinnovare questa nostra avita anima pagana che costituisce la nostra gloria, ma pur la nostra massima sventura dal punto di vista spirituale. Bisogna riformare ab imis !
G. A. Peritore, La poesia di G. A. Cesareo. Girgcnti, Calogero Formica, 1920, p. 67. L. 2.
Illustrazione della poesia del Cesareo fatta senza pretensioni e con un intento quasi scolastico. Quel che si desirerebbe di più nel commentatore è un
maggior senso crìtico in modo che la poesia del'C. ci venisse svelata, come deve farsi della poesia, nelle sue radici più profonde di pensiero, di sentimento, di forma.
G. Rcnsi, La filosofia dell’autorità. Palermo, Sandron, 1920, p. 245. L. 17,50.
Die Apokalypse dargestellt von ihrem tiefsten u. geistvollsten Interpreten J. Weiss mit einer Einleitung von Univ. Prof. Dr. Hugo Kehrer. München, H. Schmidt, 1920, p. 81. Mk. 25.
Omero, Iliade tradotta e annotata da Nicola Festa. Palermo, Sandron, 1920, p. 580. L. io.
L. Peserico, Quanto visse Gesù, Vicenza, Tip. S. Giuseppe, 1920, p. 144,. L. 2.
A. Giglio, La dialettica trascendentale di E. Kant. Palermo, G. Travi, 1920, p. 152. L. 6.
I. Ficacci, Perchè la vita è eterna, prose. Roma, Ausonia, 1920, p. 116, L. 4.
Bozzetti e un viaggio nell’al di là senza alcun costrutto letterario e filosofico costituiscono questo libro di prose, il cui titolo poteva dar da pensare a qualche cosa di vitale che assolutamente manca non solo ne’ mezzi, ma pur nell’intenzione dell’A.
Aristotele, Introduzione alla filosofia, trad. con note c commento filosofico a cura di A. Carlini. Bari, G. Laterza, 1920, p. 178. L. 10,50.
F. Meda, Terra Santa (Le pagine dell’ora, n. 68). Milano, F.lli Treves, p. 64. L. 1,50.
Questo quaderno è costituito da tre saggi del Meda sulla Terra Santa e precisamente su La questione dei luoghi santi, su la Custodia francescana e su La voce del Libano. Con molta chiarezza cd in forma-popolare (absit iniuria verbo!) l’A. espone lo stato delle questioni relative, propugnandone una soluzione prettamente italiana.
G. M. Monti. Un laudario umbro quattrocentista dei Bianchi, Todi, Casa ed. « Atanòr », 1920 p. 206, L. 6.
Bar-Jona, Ite, missa est... Lettere di un prete... futurista. Firenze, Assoc. ital. dei lib. cred. 1920 p. 190, L. 5.
J. Sageret, Philosophie de la guerre et de la paix. Paris, Fél. Alcan, 1920. p. 431. Frs. io.
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244 BILYCHNIS
C. Schuchhardt, Alleuropain seinerKultur u. Stilenlwicklung, Strassburg u. Berlin? K. J. Trflbner, 1919, p. 350. Mk 18,70.
A Carlini» La filosofia di G. Locke. Firenze, Vallecchi, 1920, p. 287. L. io.
M. de Unanumo, II fiore dei Miei ricordi, trad. e note a cura di G. Beccati. Firenze, Vallecchi, 1920, p. 131. L. 4.
A mio modo di vedere, come dissi altrove, questo volumetto di ricordi unamuniani à poco valore. Indubbiamente qua e là ci si sente il forte pensatore ed il nobile letterato che tutti i più liberi spiriti amano ed apprezzano, ma nella lor grande linea come ne* loro particolari questi ricordi non sono tali da costituire un’opera veramente importante per la conoscenza dell’A. Hanno anzi qual-checosa di schematico e generico, che in fin de’ conti non piace e pare artificioso c non sentito. Quello però che da essi maggiormente emerge è il caldo
sentimento patrio ed il colorito paesano c forte che ne formano il fondo e ci spiegano l’essenzialità del carattere del grande scrittore: lo spagnolismo. E i lettori che sanno quanto io ami ed ammiri l’U. non possono vedere nel mio uso di questo sostantivo se non l’intento di attribuirgli il miglior significato.
Hrand Nazariantz, Lo specchio, versione italiana, di E. Cardile. Bari, Ruma* nitas, 1920, p. 63.
Il C.,di cui anche nell’ultimo fascicolo ricordammo una traduzione di Mallarmé, ci presenta quésta traduzione di un mistico orientale che confesso di non conoscere (è armeno?) e che dichiaro di non capire, a malgrado di qualche bellezza di versi e di .qualche pagina poetica. Il C. farebbe bene illustrare gli autori che crede di dover render noti e che vuol divulgare: altrimenti non farà che dell’ «occultismo* senza nessuna portata spirituale.
Il Lettore.
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