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DELLE VALLI VALDESI
" Gettale lungi da voi tutte le vostre trasgressioni per le quwi avete peccato, e fatevi un cuor nuovo e uno spirito nùòvo
/\nno LXXXIII — Num. 26
Una copia L,
ABBONAMENTI
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^co: L. 700 per l'i
La 1200 per
’interno Eco • La Luce; 1200 per l’interno | Spedia. abb. postale II Grappo I TORRE PELLICEs 18 Picembre 1953
l’estero | 1800 per l’estero | Cambio d’indiriaao Lire 40,- j Ammin. Claudiana Torre PeUiee ■ CC.P. 2-17857
Allegrezza e pace
Allegrezza e pace costituiscono la nota tematica degli auguri che
tutti si scambiano' in questi giorni.
E’ certo tuttavia che gran parte dei voti augurali che pure fanno
riferimento alla allegrezza ed alla pace, non hanno nulla a che vedere con la allegrezza cristiana e con la pace cristiana.
E’ cioè entrato nell’uso comune di augurarsi scambievolmente,
in questo tempo particolare dell’anno, allegrezza e pace, ma in un
senso vago e generico, senza un riferimento chiaro e preciso alle sorgenti da cui l’allegrezza e la pace possono con sicuro fondamento
scaturire.
Il fatto specifico che dà origine alla allegrezza ed alla pace e
che le giustifica e le garantisce, è rimasto sullo sfondo, molto lontano
e molto sfuocato.
Ed è forse per questo che sovente i voti augurali che gli uomini
si scambiano rimangono povere espressioni verbali o scritte cbe non
trasmettono nulla perchè non scaturiscono da realtà di cose che uno
abbia effettivamente ricevute nel cuore e delle quali quindi egli sinceramente e fortemente vuole che altri pure sia fatto partecipe.
L’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani XV: 13 ha una
parola che ci può illuminare al riguardo: « UIddio della speranza,
dice egli, vi riempia di ogni allegrezza e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, medUmte la potenza dello Spirito Santo ».
C’è in questa parola una stretta relazione tra l’allegrezza e la
pace da un lato e la speranza e la fede dall’altro.
Dio, chiamato qui felicemente « l’Iddio della speranza », ha acceso con le promesse della sua Parola una aspettativa ardente nel
cuore dell’uomo, l’aspettativa deU’avvento di tempi nuovi; e poi ha
reso evidente l’inizio di questi tempi nuovi mediante la manifestazione del Signore Gesù Cristo fra gli uomini.
Il messaggio che questo tempo di Natale ci ricorda è hen questo:
che Dio ha manifestato la sua fedeltà e la sua misericordia mantenendo le promesse della sua Parola e adempiendole al di là di quanto
avremmo potuto immaginare o pensare, mediante il mistero del suo
-"Ftglwl#-veBBte-^- rive8t»e'4a -nostea
Ed ora l’alleg^^za e la pace nostra sono nella misura della nostra
fede in quello eh* Dio ha fatto in Cristo.
Ma chi non tìMlosce queste cose, di qual natura e di qual durata
potrà mai essere là sua allegrezza e la sua pace, e su che cosa fondate?
L’uomo che non conosce le promesse della Parola di Dio non ne
vede l’adempimenJo nella propria vita e nel mondo, e perciò nulla
può sapere della fedeltà di Diok Quale speranza e quale allegrezza
potrà mai esservi mel suo cuore?
L’uomo che Bton conosce attraverso l’Evangelo la parola del perdono di Dio in Cristo, nulla può sapere della misericordia di Dio.
Di quale speranzs^ e di quale pace gli sarà mai dato di gioire?
Questa ignoranza degli uomini del nostro tempo potrà essere in
parte imputata loro in quanto determinata da scarso interesse o da
negligènza o da ^differenza di fronte alle opportunità di udire il
messaggio dell’Evangelo, ma potrà pure essere in parte imputata a
noi tutti, membri’-di Chiese Cristiane, per scarso irradiare nella nostra vita e negli ambienti che frequentiamo della nostra allegrezza
e della nostra pace, frutto dell’accettazione piena del messaggio evangelico. < ,
E questo è ipiello che più ci deve preoccupare: che dopo aver
fatto le nostre celebrazioni natalizie e i nostri alberi di Natale e i
nostri culti solenni, non ci sia nessuna allegrezza comunicativa nel
nostro cuore, nè vera pace interiore nel nostro spirito, per cui non
ci troviamo ad essere in grado di annunziare agli uomini senza allegrezza e senza pace che c’è un avvenire e una speranza assicurati in
Gesù Cristo.
In questo modo, sterili sarebbero le nostre celebrazioni solenni,
e la nostra vocazione sarebbe resa vana.
E’ il nostro credere dunque che deve essere ravvivato daUa potenza dello Spirito Santo, affinchè la nostra allegrezza e la nostra
pace irradino attorno a noi e siano testimonianza al mondo della
speranza che è nei nostri cuori.
In questi giorni^ nel ripensamento della nostra fede e nella meditazione della grazia che ci è stata fatta in Gesù Cristo, l’augurio apostolico sia la nostra preghiera: « L’Iddio della speranza ci riempia
di ogni allegrezza^e di ogni pace nel nostro credere, onde abbondiamo nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Smito ».
N A
Si era alla metà di agosto; un uomo e quattro ragazzi, dai sei ai quindici anni, salivano per la mulattiera che dal loro villaggio conduceva
verso un casolare situato sul fianco
del monte. I due ragazzi più grandi,
di tredici e quindici anni, trainavano una piccola treggia (carrello senza ruote) e tutti insieme facevano
un gran parlare del Natale.
Del Natale? 0 che c’entra il Natale con la metà di agosto!
C’entra eccome! Tommaso ed i
suoi figliuoli avevano profittato di
un giorno festivo per andare a prendere un ceppo di querce (base del
tronco con mozziconi di radici) che
un amico di famiglia aveva loro regalato. Il ceppo, com’è tuttora in
uso in alcune località di campagna,
doveva servire per la sera della vigilia di Natale. Posto sul non alto
ma ampio ripiano del vecchio focolare di cucina, sarebbe stato acceso
per ardere almeno fino all’alba di
ntiiAc
Come l’Albero di Natale, il Ceppo è di origine precristiana: il primo era chiamato l’Albero della notte madre, che generava il nuovo anno solare; ed il secondo veniva ^acceso nella notte più lunga dell anno, perchè ardesse fino al mattmo
del giorno seguente, per salutare il
sole all’inizio della ripresa del suo
cammino ascensionale, che allunga
la luce delle giornate. A mano a mano che il cristianesimo si estese di
popolo in popolo, l’Alhero ed il Ceppo divennero il simbolo della nascita del Redentore, luce del mondo.
Qualche giorno dopo, i due ragazzi più piccoli stavano seduti sul cepj ' po, quando venne il postino a portare una lettera. Nel vedere il grosso ceppo disse: « Bello, proprio bello! Pare il taglierone di un macellaro! ». A dire il vero la similitudine non era troppo poetica! Ma ai
due ragazzi fece impressione. Ci
pensate, a quei due paroioni cosi ro
boanti? « Taglierone di un macellaro »! I ragazzi li ripeterono aUa
mamma, al padre, ai fratelli e poi
ai compagni di scuola... ma a loro
pareva che il Natale non arrivasse
mai.
« * à
Tutto passa e venne anche il tempo di Natale e con quel tempo la
vigilia. Il ceppo era già stato collocato al centro del focolare ed i ragazzi erano tutti e quattro intenti ad
adornare la cucina con festoncini di
asparagina, dai quali pendevano delle piccole stelle argentate e dorate,
che loro stessi avevano fatto un poco
per sera. C’era pure da adornare un
piccolo pino, non essendovi in quella località degli abeti. Prima che si
facesse sera, anche il pino era pronto. In un canto del-----------------
focolare ardeva Virgilio
già un bel fuoco, ®
in modo che non
appena fosse tornato il padre, si ]»otesse più facilmente accendere il
grosso ceppo.
Nemmeno a farlo appositamente,
quella sera Tommaso tardava; eppure aveva promesso di venire più presto del solito. Veramente non era
tardi, ma si sa che in quelle giornate fa buio così presto, che le serate appaiono più lunghe di quel
che sono in realtà.
L’Enrichetta cominciava a stare in
pensiero ed i ragazzi ad essere inquieti, quando si sentì uno scalpiccio di passi sull’aia. « Eccolo », dissero tutti, rallegrandosene. Ma Tommaso entrò tutto serio; non aveva
il suo abituale sorriso di quando tornava a casa dal lavoro, e più che in
pensiero, pareva addirittura turbato.
« Che cos’hai? — gli chiese la
buona e premurosa Enrichetta —
non ti senti bene? »
Tommaso brontolò qualche cosa
che nè l’Enrichetta, nè i ragazzi compresero. Andò direttamente al foco
lare, prese le molle e la paletta e
si mise a disporre fra le radici del
ceppo i tizzoni del fuoco che, dato
il legname ben secco, pensava che
si dovesse infiammare facilmente.
Cosa strana, il ceppo fumava, fumava e fumava, ma non voleva ardere.
Tommaso, con gli occhi che gli lacrimavano, andò a rinfrescarsi ed i
due ragazzi più grandi lo sostituirono cercando di fare del loro meglio,
ma non ci fu verso: il ceppo sbrucciacchiava, abbozzava qualche fiammella, ma d’infiammarsi davvero non
ne voleva sapere. >
—■ 0 come mai non vuol bruciare
— disse il maggiore — eppure è stato sempre al sole.
Tommaso si era seduto e taceva.
Tenendo i gomiti sulle ginocchia e
la testa fra le mani, dentro di sè pen-----------------sava : chi sa che la
Sommani
do ero ragazzo non
■ avesse ragione mi
diceva: Se il ceppo di Natale non
vuol bruciare, è segno che il Signore
ci vuol benedire. Lo so, sono superstizioni, però questa sera non è soltanto il ceppo, che non arde della
gioia di Natale; c’è il mio cuòre che
fumiga di un fumo che non può essere certamente grato a Dio. Oggi ho
litigato con Menico e gliene ho dette
di tutti i colori; e se non fosse uscito
a tempo dall’officina, forse sarebbe
accaduti» qualche guaio! Va bene esser buoni, ma quapdo per esser buoni v’è chi se ne approfitta e ti prende per gonzo e ti viene a raccontare
lucciole per lanteine e poi ti fa una
azione che non mi sarei aspettato
nemmeno a pensarci lontano le mille miglia, come non perdere la pazienza?
Nel frattempo la cucina s’era cosi
riempita di fumo, che pur tenendo
la porta semiaperta, vi si respirava a
stento.
L’Enrichetta disse: — Ma qui non
si respira più.
Tommaso si alzò e di nuovo provò
e riprovò ad attizzare il fuoco, ma fu
tutto inutile. Avvicinatosi ad Enrichetta le disse : — Proverò ad andarmene sul letto.
— E perchè — replicò l’Enrichetta — ti senti male?
— Il perchè lo so io — rispose
Tommaso — e andò in camera lasciando la porta socchiusa.
— Si sente male? — chiese il quindicenne alia mamma.
— E chi lo sa, non dice nulla, non
si spiega.
Intanto l’Enrichetta s’era alzata
per aprire del tutto la porta: ed ecco Tommaso ritornare in cucina,
prendere e gittars) il mantello sulle
spalle, mettersi il cappello...
— E adesso dove vai? — chiese
Enrichetta impressionata.
— Non ti agitare, vado dove bisogna che io vada e ritorno. — Detto questo, uscì dileguandosi nella notte.
Ne segui un silenzio penoso. Che
serata sciupata : e pensare che avrebbe potuto essere così bella!
Fortunatamente c’è una cosa che
di rado viene a mancare ai ragazzi
sani: l’ora dell’appetito. Il ragazzetto di tredici anni ruppe il silenzio
dicendo: — Mamma, io avrei fame,
ce la potresti dare una fetta di torta?
L’Enrichetta si scosse come se si
svegliasse dal sonno. Con tutto quello che le rimugmàva per la testa, se
n’era dimenticata. La torta l’aveva
preparata appositamente proprio per
quella sera. — Figliuoli miei — disse — perchè non me lo avete ricordato prima. — Andò alla madia e
ne trasse un teglione che mise in tavola e fece illuminare il viso dei ragazzi, così come al mattino s’illuminano tutte le cose, quando il sole
sorge dalle cime dei monti. Ma parve che perfino il ceppo, si rallegrasse della torta, perchè sebbene in quel
momento nessuno si occupasse di lui,
{continua in 2.a pagina)
« Iddio ha tanto'amato il mondo che ha dato il suo unigenito
Figliuolo... » (Giov. 3: 16)
« Prendi ora il tuo figliuolo, il
tuo unico... Isacco... ed offrilo in
olocausto... » (Gen. 22: 2)
Natale è il giorno nel quale Id(Mo
ha dato il suo unigenito Figliuolo alTumanità per salvarla. Da duemila anni tutta la cristianità celebra in questo giorno l’amore infinito di Dio e
fra pochi giorni lo farà una volta di
più: lo proclameranno in centinaia di
migliaia di chiese le predicazioni ferventi dei ministri del culto, lo canteranno innumerevoli corali ed assemblee, lo saluteranno i rintocchi festosi
delle campane e le note gravi degli
organi e lo festeggerà tutta quanta la
folla neH’intimità delle case, in mezzo
al trafiìco delle strade e fin nei locali
rutilanti di luci dei pubblici ritrovi.
Questa visione m’impone una domanda:
— Qual’è il modo migliore, per me,
di rispondere al grande amore di Dio?
La risposta mi sembra evidente :
« Ama il Signore Iddio tuo con tutto
il tuo cuore », come ha detto Gesù.
— Ma cosa vuol dire amare Dio?
— Abramo che ama Dio finn al
punto da offrirgli in olocausto il suo
fi^uolo unico Isacco, mi sembra of
' tee un esempio t^c0 di quesito amore. R sacrificio di Isacco, infatti, costituisce già una lontana profezia del
sacrificio di Cristo. C’è un profondo
parallelismo fra i due, c’è rispondeaza, l’uno illustra e spiega l’altro. Per
capire il Natale bisogna leggere la storia del sacrificio di Isacco, e la storia
di Isacco senza Natale non si; capisce.
Ecco perchè vogliamo qui pturlaxe di
quel lontano episodio.
— Ma il sacrificio di Isacco è scritto in eteaico e si ispira a costumi orientali a me ignoti. Ho voglia, leggendolo, di pensare ai seguaci di Moloc che gettavano i loro bimbi nel vèntre rovente del loro idolo. Dovrei per
intenderlo, udirlo in parole moderne
e nostrali.
— Forse lo potrai, se vorrai, prestare attenzione a questo racconto autentico, apparso recentemente su di
una rivista religiosa:
Un ferroviere vive con la moglie e
la bimbetta Jenny in un paese del
Nord. E’ addetto ad una linea importante, deve dar la via libera ai treni
e azionare talvolta certi scambi. Abita nel casello ferroviario a poca distanza dai binari di corsa ove sfrecciano i rapidi. Fra quelli e la casa c’è
un binario accessorio dove i treni passano solo eccezionalmente. La bimba
ha il divieto assoluto di andare là dove corrono i treni; può giuncare liberamente, invece, qui dove essi non
passan mai... R ferroviere e la sua
compagna sono credenti e vivono nella serenità e nella pace sotto lo sguardo di Dio.
Viene l’autuimo. Piovoso e triste come non mai. R maltempo è scatenato,
tutti i fiumi sono in piena; anche quello vicino avvolge di schiuma rabbiosa le arcate del ponte che lo attraversa. E piove e piove sempre senza tregua nè respiro.
Quel mattino deve transitare un direttissimo ma è in lieve ritardo. R ferroviere è al suo posto, la mano sulle
leve, l’occhio aU’orologio. Finalmente
ecco il trillo di un campanello, giunge, un colpo ad una leva, via libera
è data...
— Femia, ferma, urla una voce...
E’ un guardia-linea che giimge tìafelato e quasi cade stremato ai {»edi
del casello. Ferma, il ponte è interrotto, un pilastro ha ceduto...
E s’ode già il rombo del treno. Esso
2
2 —
L’ECa DFXLE VALLI VALDESI
corre alla morte; è un disastro .'tal
quale quello che si sta verificando...
Gli attimi fuggono come lampi...
Più nulla da fare, invano ha.chiuso di colpo il segnale di via libera,
esso era ormai sorpassato. Il treno
giunge...
No, c’è ancora ima risorsa: abbassare quest’altra leva e dirottare il treno sul binario accessorio... Sì, ma
proprio là a 30 metri di distanza, in
mezzo al binario, c’è la sua bimba che
arriva pian piano recando la colazione del suo papalino...
Attimi tremendi...
Lasciar morire centinaia di viaggiatori oppine lanciare il treno sulla sua
creatura?
D ferroviere è credente e sa che significhi portare una responsabilità.
Non più un’istante di esitazione, un
colpo secco su di una leva e il treno
passa come un bolide e si precipita
sulla sua bimba.
11 ferroviere è appena riuscito ad urlare con quanto fiato gli restava in
gola un « gettati in terra ». eppoi è
caduto svenuto...
Ouando rinviene si trova nel suo
letto. Accanto a lui sua moglie che gli
sorride amorevolmente.
Gli sorride, ma dunque. Terribile
disgrazia?
— Jenny, mormora, appena un filo
di voce gli vien sulle labbra...
— Eccola la nostra Jenny, risponde
la giovane donna, ed apre una porta,
si toglie in braccio la bimba e glie la
mette a sedere sul letto...
La bimba aveva udito l’ordine paterno e s’era buttata in terra proprio
nel momento in cui la locomotiva le
veniva addosso.
H macchinista s’era accorto d’aver
cambiato strada, aveva fermato il treno e tutto era presto venuto in chiaro.
Commossi, i viaggiatori avevano
voluto dimostrare, seduta stante, la loro riconoscenza all’ eroico ferroviere
che aveva loro salvato la vita, con una
somma vistosa messa insieme in quel
momento, che doveva servire più tardi alla bimba, che Dio aveva salvata
come Isacco, ad istruirsi per diventare missionaria.
* * *
B mi sembra allora di comprendere col significato del sacrificio d’Isacco, anche il modo in cui debbo rispondere-all’infinito amore di Dio,
Col suo figliuolo unigenito Iddio
mi ha dato quel che aveva di più prezioso ed anch’io debbo metter tutto
quel che posseggo a sua disposizione.
La mia vita stessa per quanto mi sia
cara e se occorre qualcosa che è ancora più prezioso di essa, persino la
vita di quelle nostre dilette creature
> che valgono tanto più della mia stessa vita.
Tutto!
Questa è la legge che vige attorno
a Dio.
Questo è il rapporto che il Natale
stabilisce fra Dio e noi. Egli ci ha dato « tutto » e noi dobbiamo di rimando dargli « tutto ».
Non importa se il nostro « tutto »
ha efitoero valore, purché sia ■ « tutto ».' .
É non ci sgomenti neppure il pensiero di una immolazione nostra o dei
nostri cari: Immolarsi in Dio non è
morire, ma vivere. Non è morto Isacco ma ha dato vita ad un popolo eletto, non è morta la bimba del ferroviere ma è diventata missionaria.
E non muore chi si offre in olocausto a Dio con i suoi cari, ma s’inebria di vita e d’ideale, di luce e
di gloria, d’amore e di pace...
Questo e non altro è il messaggio
vero di Natale.
Dio che si dona e noi che ci doniamo a Lui.
Vorrai tu, diletto amico lettore, far
di questo Natale il tuo vero Natale?
Ig ie Tauguro con tutto il cuore!
Enrico Geymet
Facoltà Valdese di Teologia
Alcuni pensieri di questa meditazione sono tolti dal sermone di apertura
della recente Conferenza Distrettuale.
PERSONALIA
Il Maestro Ferruccio Coreani, il 29 novembre ha conseguito alla Un versità di Napoli, e con ottimi punti, la laurea di Belle
Lettere Classiche, con la tesi: « I canti di
Lutero ». Felicitazioni ed auguri.
I nostri migliori auguri alla famigl'a Ugo
Rivoiro Pellegrini allietata dall arrivo del
piccolo David.
Le nostre felicitazioni alla Signora Nicolette Pinna Pintor-Turin per la laurea
brillantemente conseguita presso la Facoltà
di Lettere e. Filosofia dell’Università di Torino.
In un’atmosfera non priva di una
certa solennità, si è iniziato, il¡,31
Ottobre u. s., il 99® anno accademico della nostra Facoltà. Dopo una
meditazione introduttiva del Moderatore Achille Deodato, hanno portato la loro parola di incoraggiamento e di augurio, i pastori E. Sbaffi
e Ricci*, Presidenti delle Chiese Metodista e Battista (che da tempo
mandano alcuni dei loro giovani alia
nostra Facoltà). Ha poi preso la parola il Prof. Miegge, pronunciando
Una magistrale prolusione, di cui
diamo qui un breve riassunto, redatto dallo stesso autore.
Attualità del Vaugelo di Giovanni
L’oratore, valendosi della libertà
ammessa, in una prelezione, di concedere qualche cosa alle considerazioni d’ordine soggettivo, si propone
di par’are delle fortune delTEvange!o di Giovanni, e della sua rispondenza alle particolari esigenzè dei
cristiani del nostro tempo. Lé fortune deil’Evangelo di Giovanni sono
state assai variabili dal tempo in cui,
ancora agli albori de.la critica e nella teologia del romanticismo, era
nettamente situato al di sopra degli
altri, nella stima universale. Ma dopo l’eclissi subita nel secolo dello
storicismo, l’Evangelo di Giovanni
ritorna al primo piano, nella misura in cui si riconosce l’importanza e
l’influenza della spiritualità sincretistica, cioè della vasta fusione di
culti e di religioni che si opera, sid
piano di una elevata teologia spiritualistica, al principio della nostra
èra, e che avviluppa strettamente,
nello spazio e nel tempo, l’ambiente palestinese: tanto che, per riconoscere i caratteri peculiari delTEvangelo di Giovanni, non è più necessario allontanarlo fino alla meta
del secondo secolo, nè estraniarlo
completamente dall’ambiente del
cristianesimo primitivo. E in fondo
se si pensa che anche gli altri tré
Evangelici sinottici) non sono scritti
strettamente itiograficii ma sono una
testimonianza resa al Cristo Signore
e Figlio di Dio, si può riconoscere
ima continuità ininterrotta tra questi e il Vangelo di Giovanni; il quale
nei loro confronti rappresenta soltanto un grado più maturo di sviluppo.
Ma appunto perchè l’Evangelo di
Giovanni costituisce il coronamento
e la conclusione della tradizione cristiana primitiva, si trovano in esso
composte le antitesi, superati i conflitti che travagliano la prima generazione cristiana, con la loro profonda drammaticità, ma anche con
le loro possibilità di sviluppi bilaterali; e poiché questi si sono in varia misura riflettuti in alcuni importanti momenti della vita della Chiesa evangélica nell’ultimo mez^ secolo, è possibile cercare nell’Evangelo’ di Giovarmi il componimento
dei nostri conflitti teologici contemporanei. il superamento delle loro
possibili unilateralità, e il fondamento di una teologia ecumenica; si
tratti del messaggio dinamico e rivoluzionario dell’apostolo Paolo, vera
fanfara di battaglia nella predicazione della Riforma; o della estrema
accentuazione della escatologia nella
ultima generazione protestante; o
inversamente, di una esclusiva preferenza per la mistica, o addirittura
per la mistica sacramentale, che soltanto con molte cautele e notevoli
riserve può richiamarsi all Evangelo
di Giovanni; se e vero che il tema
unico delTEvangelo, svolto con perfetta coerenza è « la Parola è stata
fatta carne », e se questo tema ci
orienta verso una teologia della « parola », cioè della mediazione, e non
della identità miotica; e se mai soltanto in via subordinata ad una concezione sacramentale. Sempre più
diffusa infatti, nella esegesi moderna, è la tendenza a ricondurre l’Evangelo di Giovanni alla sobria linearità architettonica dei suoi concetti fondamentali: rivelazione, fede,
conoscenza, vita, amore; che sono i
fondamentali concetti del pensiero
biblico, e non contengono la rivelazione di misteriose verità, ma della
perenne verità di cui l’uomo vive.
Un corso del
Due giorni dope la prolusione, le
lezioni si sono inizia
te: una lieta sorpib^ 8^* studenti è stata la presèlìza, per due settimane del Prof, l^oehedieu, docente
di psicologia religiosa e di storia delle religioni presso^?TJniversità di Ginevra, le cui quo^iane lezioni sulla psicologia reli^osa dell’infanzia
hanno "aperto gli i Jqdenti ai problemi suscitati dalla' psico-analisi, questa nuova scienza-' esplora le profondità dell’anima umano e che ha
fatto negli ultimi i 0 anni grandi progressi : pur ncm. | pestando cieca fede ai risultati di ^esta scienza, è
chiaro che ai pas itoi ■— per definizione « curatori «lanime » — non
potrà che giovarefl’essere un po’ informati su di essaj '
Il numero degl# studenti continua
a mantenersi con&rtevolmente alto :
diciannove studenti regolari (di cui
dieci valdesi), a qui vanno aggiunti
alcuni « laici » cifre studiano teologia pur non proponendosi di eserci
tare il ministerio pastorale (due di
essi vivono in Facoltà). Fra studenti regolari abbiamo cinque stranieri: tre svizzeri, uno dei quali, dopo aver l’anno scorso passato un semestre con noi ha voluto tornare ancora quest’anno; un americano; quest’ultimo studia presso la nostra Facoltà grazie ad una borsa di studio
concessagli in segno di riconoscenza
verso la Facoltà di Teologia di Decatur (Georgia - USA) da cui egli proviene, per i generosi aiuti da questa
inviati alla nostra Facoltà. Oltre a
questo giovane, gode di una nostra
borsa anche un candidato in teologia dell’Università di Gottinga, il
quale è venuto a Roma per degli studi di statistica. Quest’anno abbiamo
pure lo studente Roland Perrachon
i! quale è venuto a completare i suoi
studi teologici alla nostra Facoltà,
Gli studenti iscritti al primo anno
sono cinque (di cui tre valdesi): nessuno di loro proviene dalle Valli:
del resto, in tutta la Faco’tà, vi è
un solo studente nato alle Valli (anche se alcuni altri sono di provenienza valligiana diretta o indiretta): e
questo è un punto nero nel bilancio
della Facoltà, che per il resto ci pare, in questo inizio d’anno, assai confortevole e ben promettente per l’avvenire.
stud. theol. Giorgio Bouchard
Topnscoli rigl 17 Febbraio
La Società di Studi Valdesi fa prepirando il tradizionale Opuscolo commemorativo per la prossima commemorazione del 17
Febbraio 1954. L’argomento ne è stato naturalmente suggerito dal fatto più importante che concentra nel momen'o attuale la
attenzione dei Valdesi: la celebrazione del
centenario del Tempio di Torino, inaugurato appunto nel dicembre 1853, che è stato
la prima solenne affermazione ufficiale della Chiesa Valdese fuori delle Valli, dopo
l’editto dEmancipazione del 1848. Quattro
personalità valdesi di primo piano si trovavano a Torino cento anni fa: il generale
Beckwith, il deputato al Parlamento Giuseppe Malan, i pastori Amedeo Bert e Giovanni Pietro Meilìe, ed intorno a loro un
folto gruppo di fedeli, provenien'i dalle
Valli e dai vari Stati italiani, ferventi di
fede e d’entusiasmo in quel primo a'.bore
di libertà. E’ un momento fra i più
impressionanti della Storia Valdese moderna, che dà il tono a tutto un periodo successivo e che è utile ed opportuno rievocare per la generazione presente.
Il pastore Gustavo Bertin, della Chiesa
Valdese di Torino, s’è gentilmente incaricato di redigere l’Opuscolo, che avrà come
titolo: I Valdesi a Torino cento anni fa, in
occasione del primo centenario del loro
Tempio. Numerose belle illustrazioni arricchiranno e commenteranno il testo. Ringraziamo il sig. Bertin d’aver voluto mettere a disposizione di questa pubblicazione
popolare la sua competenza e la sua volonterosa ed intelligente opera; ed invitiamo
fin d’ora tutte le Chiese Valdesi a prepararsi a diffonderla largamente, come essa
merita.
IL CEPPO DI NATALE
( Continuazione)
dette im guizzo, s’infiammò e un nuvolo di faville si lanciò allegramente su per la cappa del cammino. A
quella vista anche il viso dell’Enrichetta s’illuminò come se la benedizione di Dio scen4esse dal cielo.
* à *
Non era passato molto tempo,
quando si sentì nell’aia un muover
di passi come se ariivassero più persone e poi, d’improvviso presso alla
porta s’udì un tonfo sordo, ma subito seguito da una risonanza armonica, come se foste caduta a terra
una campana, mà'm modo da poter
vibrare.
Quasi nello sfesso " tèmpo éntro
Tommaso. Era sorridente: — Ragazzi, — disse -— state allegri, sono tornato proprio io, quello che avevate
veduto prima e che di viso somigliava a me, ma era brutto ed imbronciato, non ero io era Beelzebub !
— Beelzebub?! — esclamò il ragazzo tredicenne, con un viso uu po’
impaurito ed un po’ incredulo.
— Sì, Beelzebub, non ve ne ricordate? L’Iddio filisteo delle mosche;
mosche che non si vedono, ma s’infiltrano come esseri maligni nel cervello e nel cuore e vi suscitano una
febbre di torvi pensieri e di neri sentimenti, capaci di far divenire un
Beelzebub, anche chi altro non brami, se non d’essere un Betel, cioè
una casa di Dio.
— Ma questa sera si va di mistero
in mistero — disse l’Enrichetta, che
coi ragazzi non si raccapezzava sulla
ragione di queste parole, nè di che
fosse effettivamente accaduto a suo
marito.
— Sicuro, mistero, — Replicò
Tommaso. — E come non sarebbe
così, se anche la notte di Botleem fu
una notte di mistero che pochi compresero e del quale l’apostolo Pietro scrisse che perfino gli angeli « desiderano riguardare bene dentro »?
Ma come quel mistero fu ed è im mistero d’amore, qualche volta, anche
nel piccolo monio della nostra vita
individuale, possono avvenire cose
che contengono un mistero d’amóre.
Ma anche il ragazzo più grande,
non seguendo troppo quanto suo padre andava dicendo, pensava ad altro e domandò: — Ma che cosa hai
scaricato presso alla porta e che ha
risonato come una campana?
— La caldaia di rame dell’officina.
— La caldaia? 0 perchè hai portato qua la caldaia — disse l’Enrichetta — che cosa ne vuoi fare?
— Non l’ho portata io.
— Non l’hai portata tu? e chi?
— Non Tavete sentito, che ci doveva essere qualche altro? L’ha portata luì, ed avrà avuto una sua buona ragione.
— Chi, lui: — non è nostra la caldaia delTofficina? Che ragione poteva avere un altro per portarla qua;
non ci capisco nulla.
— Hai ragione di non capirci nulla, ma è il solito mistero, ma è un mi
stero bello e forse domani ne saprete qualche cosa.
— Hai visto il ceppo come arde
bene? — disse il quindicenne. —• Si
è acceso all’improvviso, dopo poco
che tu eri uscito di casa.
— Già — rispose il padre — si vede che quando il cuore mi ha smesso di fumare, non c’era più ragione
che continuasse a fumare il ceppo.
— Ti fumava il cuore? — osservò
stupito il ragazzo tredicenne — o che
il cuore fuma?
— E’ il solito mistero —- rispose
sorridendo Tommaso — Ma mi pare
che ora si potrebbe accendere l’Alberino e cantare insieme : « Notte
benigna, notte tranquilla ^ e poij
« Poni in Dio la tua fidanza, calca
sempre il buon cammin » e (piando
si arriverà alle parole: cc Gloria, gloria, alleluia, alleluia a Gesù! », cantate con tutto l’entusiasmo del vostro
cuore.
Fu acceso l’Alberino; e posso assicurarvi che l’entusiasmo ci fu davvero. Dopo i canti la mamma lesse la
narrazione dei pastori di Betleem,
Tommaso innalzò una preghiera di
rendimento di grazie al Signore, ed
il piccDlino recitò il cc Padre nostro ».
Poi andarono a letto e si addormentarono nel lieto pensiero che si
sarebbero svegliati al mattino del
tanto desiderato giorno di Natale.
41 * *
— Spero che non aspetterai a domani, per raccontarmi qualche cosa
di quel che ti è accaduto — disse
Enrichetta, quando i ragazzi si furono addormentati.
— No, cara e buona Enrichetta,
non aspetterò domani — rispose
Tommaso — ma prima di tutto mi
devi perdonare se (piesta sera sono
stato con voi tm omaccio torvo e
sgarbato; con voi, che non avevate
nulla a che fare in tutto ciò che mi
aveva reso cosi intrattabile! Devi sapere che, quando sono uscito di casa, sempre agitato, ho preso il viottolo che passa dietro il villaggio, perchè preferivo che nessuno mi vedesse. Mi ero molto allontanato da casa,
quando vedo una strana ombra avanzare verso di me. Si sarebbe detto un gigante con un enorme testone.
Era Menico, che veniva da noi per
riportare la caldaia.
— Riportare la caldaia? Glìel’avevi prestata?
— Me l’aveva rubata, capisci?
— Rubata!
— Già! Dopo tutta l’assistenza che
sempre gli abbiamo dato per mantenere i suoi figliuoli, la pazienza che
abbiamo avuto per non abbandonarlo, come avrebbe meritato per lo
sperpero dei pochi guadagni che faceva. è ariivato a farci il bel regai"
di portar via la caldaia per Venderla! L’ho sempre reputato buono a
poco, ma una cosa così, da lui non
me la sarei mai aspettata.
C’era chi l’aveva visto ed è venuto a dirmelo. Sono stato lì, li, per
andarlo a denunziare subito ai cara
binieri. Poi ho pensato alla sua povera moglie, ai figli e che col mandarlo in prigione, forse Tavrei messo in possibilità di rovinarsi di più,
anziché di redimersi, me ne sono astenuto; ma nello stesso tempo ben
deciso a non occuparmi più di lui.
Ma dentro di me sentivo una voce
che mi diceva: — Eppure devi perdonarlo e non abbandonare i suoi;
come non lo faresti, in questi giorni
che ti ricordano la nascita del tuo
Redentore? — Ed io a recalcitrare
dicendomi: sono idee che mi passano per la testa, ma non è detto che
io non abbia ragione di trattarlo così. Sono duro, Enrichetta, duro,
(CUaqdp .YPBie^^SgrSjjEgilYhjte
di una cosa. Ma Dio che si può servire .anche delle più umili cose per
dirci quel che ci vuol dire, con quel
fumo del ceppo che non voleva infiammarsi e che mi accecava, pareva
mi dicesse : — Il tuo rancore ti acceca: lo vedi? ora sei un fumo anche
per tutti i tuoi, che in questa sera
aspettavano tanto di potersi con te
rallegrare del Natale! — Ho ceduto;
ho voluto liberarmi da ogni cruccio
ed andare subito da Menico e dirgli
che non l’avrei denunziato, perchè
lo perdonavo.
Mi ha fatto tanta compassione, sai.
Quando gliel’ho detto, lui che si era
già pentito ed aveva ripulito la caldaia per riportarmela come una cosa
più bella di quella che aveva preso,
commosso mi ha detto : — Siamo stati compagni di scuola insieme, ai bei
tempi in cui al villaggio v’erano le
scuole evangeliche: tu ne hai profittato e sei stato sempre un uomo da
bene; ma io! Quando ho riflettuto a
quel che ti ho fatto e che ha dispiaciuto a tutti di casa mia, ho realizzato quanto in basso io sia caduto.
Ora ti ho incontrato che venivi da
me per perdonarmi avanti che io te
lo avessi chiesto. Come posso ringraziarti ed essertene riconoscente?
Non mi ringraziare, gli ho detto;
ringrazia il Signore, perchè è Lui
che ha voluto che lo facessi, perchè
ama te e me e vuole che ci vogliamo
bene in Lui.
E lui mi ha detto : — Aiutami, aiutami, Tommaso, a cambiar vita; ad
essere come voi siete, a credere come
voi credete; autami, a divenire un
altro.
Poi Menico s’è ricaricato la caldaia
sulla testa (non so (Mime facesse a
portarla!) e siamo venuti qua. Per
strada l’ho invitato per domani, a
venire da noi verso le quattro con la
moglie ed i figli: Lo fatto male?
— No, caro Tòmmaso; ringrazio
il Signore di quanto mi hai raccontato: avevi ragione di dire che in
quel che stava accadendo v’era un
mister«! d’amofe.
— Cara Enrichetta, che cosa sarebbe mai il Natale, se dalla gioia per
la nascita del Redentore non ne scaturissero fiori e frutti di perdono, di
pace, di redenzione e salvezza?
Virgilio Sommani.
3
L’ECO DELLE VALU VALDESI
— 3
centenario
Torre Pellice, novembre 1832. Una
famiglia valdese, nella più squallida
miseria, è avvicinata da alcuni agenti dell’Ospizio dei Catecumeni di Pi.
nerolo e riceve da essi forti e amorevoli pressioni ! Lo scopo è anche troppo chiaro: quei signori cercano di
togliere a quella famiglia le sue creature per educarle poi in quell’Ospizio^tristemente famoso per i valdesi.
• Mo’to probabilmente quella famiglia era stata privata del suo capo.
Lo storico Giov. Jalla ci dice infatti,
in una sua pubblicazione, che gli or-,
fani valdesi dei due sessi, in misere
' condizioni, ammontavano in quell’anno a ben 223.
Ma i valdesi, appena usciti da secolari persecuzioni, si trovavano in
condizioni materialmente pietose.
Impossibile dunque pensare alla realizzazione di opere speciali.
In quel tempo molti, in Inghilterra, leggevano un libro sui valdesi dovuto alla penna del dott. Gilly ed era
ormai nota l’opera del generale Beckwith alle Valli. Ed ecco partire,
dalla Gran Bretagna un gruppo di
amici desiderosi di conoscere la nostra Chiesa più da vicino e, proprio
ne! 1852, uno di essi (W. Forster)
propone alla Tavola la fondazione
di un Orfanotrofio.
Nel 1853 altri amici inglesi visitarono le Valli e si trovarono cosi uniti ai primi, pur non conoscendoli,
nel proposito di aiutarci a superare
le nostre difficoltà.
Una loro visita a Bobbio Pellice,
ove per mezzo del Pastore G. P. Revel furono messi in contatto con alcuni orfani in misere condizioni, li
decise a recarsi dalla Tavola.
Veniva allora convocata una riunione al Collegio, presieduta dal Modoiatore P. Lantaret, presenti anche
i pastori ed i professori delle Valli
ed al termine della quale si decideva
di trovare i mezzi per l’istituzione
di un orfanotrofio. A questo scopo
viene fondata a Clifton una società
per la raccolta dei fondi.
Il primo dono, ammontante a 50
sterline, fu quello dei coniugi Branbridge. Tale somma doveva bastare
per il .mantenimento di cinque orfar
nelle per un periodo di due anni.
Nasce l’Orfanotrofio
Quelle cinque bambine furono raggruppate a Bobbio Pellice, sotto l’amorevole direzione di Maria Negrin
originaria di quella parrocchia e che
fu una donna di grande fede convertita da Oberlin.
Altri doni affluirono rapidamente.
Nel dicembre 1853, si apriva un vero
e proprio orfanotrofio. Era stato affittato l’ultimo piano della casa Vertù, l'antico palazzo dei Conti: la prima ammissione ufficiale risale al 3
gennaio 1854 ed è quella di Bastian
Susette di Torre Pellice. Nell’ottobre
di quell’anno il totale delle ricoverate ammonta a 15 bambine che hanno trovato in Maria Negrin la loro
Mamma.
Poco tempo dopo veniva da SaintLoup una diaconessa per assumere la
direzione della Casa.
La casa Vertù non era tuttavia adatta per ospitare tante ragazze bisognose di aria e di movimento. I
vicini si lamentavano perchè la loro
quiete era stata fortemente compromessa; non si poteva continuare, per
lungo tempo, a mandare le orfahelle
a giocare nel cortile dell’Ospedale.
Nel maggio 1855 alcune signore del
Comitato di Clifton, guidate dal dott.
Gilly, vennero nuovamente alle Valli per sistemare definitivamente l’orfanotrofio. Fu così acquistato un bel
vigneto « que le propriétaire cèda,
bien qu’à regret, à cause du but que
on se proposait » (G. Jalla).
Il progetto per la costruzione del
nuovo edificio, che doveva sorgere
come sede definitiva, fu preparato
gratuitamente dall’architetto Robert
e la posa della prima pietra avvenne
il 26 maggio 1856, al termine dei lavori Sinodali. Due anni dopo, 22
maggio 1858, quaranta orfanelle lasciavano il palazzo Vertù per la nuova casa di Via Angrogna. La cerimonia di inaugurazione ebbe luogo la
sera di quello stesso giorno aUa presenza dell’incaricato di affari del re
di Prussia. L’opera aveva costato
37.000 franchi.
I fondatori dell’opera avevano progettato anche una scuola industriale
Per questa ragione, dopo il 1860, approfittando del fatto che la Facoltà
di Teologia si era trasferita a Firenze, furono mandate al palazzo Salviati due orfanelle perchè imparassero l’arte del tessere la paglia. Si
pensava così dare all’istituto una fonte di guadagno. Ma quell’arte si rivelò poco redditizia... e servì praticamente soltanto a dotare le orfanelle, per alcuni anni, di quel caratteristico ed ampio cappello di paglia che molti ancora oggi, ricordano!
Un esperimento fatto per la lavorazione dei pizzi non ebbe risultati
più lusinghieri.
Ottima sotto tutti gli aspetti fu invece l’idea di avviare le ragazze al
lavoro presso buone famiglie. Quasi
sempre si fecero apprezzare per la
loro serietà e capacità lavorativa.
Col volgere degli anni si è anche
cercato di dare alle orfanelle una
modesta cultura. Quelle che studiano con facilità possono frequentare
le scuole medie, le altre continuano
ad occuparsi dei lavori domestici.
Molti avranno già avuto occasione di
ammirare i lavori di cucito e di ricamo che escono dalla nostra casa.
Fin dal suo inizio l’opera dell’orfanotrofio è stata centrata sulla formazione religiosa con una direzione
aperta e priva di bigotteria. Le direttrici che si sono succedute, hanno
sempre cercato di svegliare, nelle
bambine a loro affidate, il senso della responsabilità che si appoggia su
una ferma coscienza cristiana.
Non sempre lo scopo è raggiunto
e non mancano certo le delusioni,
ma sappiamo per esperienza, che la
buona semenza non si perde ma, presto o tardi, porta i suoi frutti.
Luci ed ombre
Nel 1890 il Sinodo affidava alla C.
I. 0. V. l’amministrazione dell’Orfanotrofio che annoverava allora 35
orfanelle dai 7 ai 17 anni. La situazione che la nuova amministrazione
doveva affrontare non era delle migliori. Desumiamo dai verbali del
1891 che la spesa per il mantenimento di una ragazza era di Lire 19,53
mensili cioè Lire Q*65 giornaliere. Il
bilancio totalizzava la somma di Lire 7.102,45. In qpeì tempi la vita
era spartana anche per le orfanelle.
Leggiamo infatti in una « distribution de la journée » del 1894 quanto
segue: ore 6,30 (in estate ore 5,30)
sveglia, quindi culto e colazione consistente « en de la bouillie de mais
et du lait non écrémé dont chaque
enfant reçoit une écuelle par jom: ».
Quindi lavoro e scuola interna fino
alle ore 12, ora del pranzo consistente in « une soupe et un plat, avec du
pain à volonté ». Tre volte per settimana « viande et un verre de vin ».
Il pomeriggio ricreazione e quindi
studio. Alle 19 la cena con « soupe
et pain à volonté ». Quindi dopo un
momento di svago « les élèves vont
se coucher ». « Rien n’a été innové
an régime de la maison. Aucun luxe
de quoi que ce soit ». '
Per quanto riguarda la disciplina,
la nuova amministrazione ebbe a
fronteggiare una situazione piuttosto
difficile. Un verbale del 1891 precisa
che alcune ragazze a sont dociles, se
laissant facilmmit conduire; d’autres
au contraire sont revêches et difficiles à diriger. La Commission a dû
faire paraître devant elle quelques
unes de ces dernières et la réprimande affectueuse et ferme qu’elles ont
reçue a produit un excellent effet sur
elles et sur les autres qui n’avaient
nulle envie d’ètre appelées cc ad audiendum verbum ».
Purtroppo si ebbero anche a registrare casi di completa ingratitudine
e non sempre quell’opera fu compresa ed apprezzata al suo giusto valore.
Le difficoltà materiali furono e sono ancora oggi una realtà. Ciò non
ostante dobbiamo riconoscere che
l’aiuto di cui il nostro orfanotrofio
hg.Ayutp bisogno è jepa>re.giunto al
momento opportuno. Vediamo in
questo il segno evidente che Dio veglia su un’opera di fede e di amore.
L’ANGELO DI VALCHIUSA
Il paese di Vaichiusa è modesto
e l’unica sua chiesa è piccola; ma
l’Angelo di pietra che ne sovrasta
il portale, ad ali spiegate e a braccia aperte, è veramente grande. Anzi: è sproporzionato all’edificio, ma
è bello : opera d’uno sconosciuto artista del luogo di vari secoli passati,
attira sempre artisti e turisti; insomma è una delle risorse del villaggio.
Ma quanto è grande l’Angelo, tanto sono piccini gli abitanti; non di
statura, ma d’animo. In perpetui litigi; divisi e suddivisi in partiti, in
fazioni, in quisquiglie, sembra non
possano vivere senza pascersi di pettegolezzi e d’odio.
Ora si sa che l’odio e l’amore, se
non sono fratelli, sono parenti e che,
dal tempo di Giulietta e Romeo in
poi, i giovani han provato im gusto
speciale a innamorarsi quando le loro famiglie sono nemiche. Santo romanticismo! E benedetto sia l’amore!
Al tempo di questo racconto, proprio nei giorni precedenti il Natale,
il paese, oltre alle solite divisioni,
era turbato dal rinfocolato livore del
farmacista e del sindaco; il figlio di
questi, infatti, aveva imbastito con
la figliola del primo una segreta corrispondenza che era stata scoperta.
Inde trae.
Il sagrestano, che era la miglior
persona del paese — e forse forse
l’unica saggia — era continuamente
affaticato a proporre accordi, a spiegare malintesi, a cercar di rappacificare. Ora poi che a lui, vecchio
scapolo, l’amore appariva cosa tanto commovente, egli si era recato
dal sindaco prima e dal farmacista
poi, parlando coi più caldi accenti
della bellezza della pace, della santità dell’amore, del dovere del perdono specialmente in iquei giorni festosi del Natale: cc Cristiani siete!
Cristiani! Pace! Perdono! Amore! »
Ma il farmacista aveva gridato:
(c Neanche se venisse l’Angelo di Dio
a comandarmelo! » E il sindaeo aveva tuonato: cc Se, per questo devo
esser cristiano, mi- sbattezzo e non
vengo più in chiesa ! »
E ambedue avevano tanto ripetuto i due slogan che tutto il paese li
sapeva a memoria..
Ora, la notte di*quel Natale non
fu davvero serena per Vaichiusa: il
vento urlava lameùtusamente nelle
forre della montagna e s’aggirava in
vortici gelidi fra' le case, gemendo
come se trascinasse' torme di spiriti
condannati. Faceva male ài cuore!
Ed era la notte di Natale! Sul far
dell’alba poi s’intesé uno strepito come di catene sbatacchiate che fece
balzar dal sonno gran parte degli abitanti. Ma quando le finestre cominciarono ad aprirsi il vento s’era
chetato, il sole aphariva sulla pianura e gli animi á ripresero. Ohimè! presto si dovette constatare che
una frana s’era abbattuta proprio
sulla ferrovia, isolaùdo così il paese.
La cosa poi veramente sbalorditiva
si dovette constataría un po’ più tardi: l’aVngelo, il bell’Angelo, il loro
Angelo s’era staccalo dal cornicione
dove da secoli era spspeso ed era di
sceso proprio davanìi alla porta del
la chiesa, ostruendola con l’ala ri
masta intatta e conile braccia aper'
te; un’ala era spezzata e i residui
gli giacevano ai piedi.
La popolazione accorse tutta in un
battibaleno, come se fosse chiamata
dal rintocco per l’incendio: una vera folla sbigottita, muta. Si sentì una
voce malferma, quella del sindaco,
che diceva: « Ma c’è la porta della
sagrestia; per oggi entreremo in
chiesa di lì! »
« Impossibile: ho chiuso stanotte
e non riesco più a trovar la chiave!
— rispose tremando il sagrestano —
in chiesa non si può entrare ».
Nel silenzio che seguì, si sentì un
singhiozzo e allora tutti seguirono:
lacrime rigavano guance vizze e
guance fresche; singulti scuotevano
i petti.
L’Angelo, coi suoi freddi occhi di
pietra, con la spalla dolorante per
l’ala divelta, stendeva le braccia
non più all’invito, ma alla proibizione: grande, impassibile, severo
diceva nel suo muto linguaggio:
cc Indietro ! Non siete degni ! » E tutti lo comprendevano.
Uno a uno tutti s’inginocchiarono.
Poi il sindaco, rialzatosi, mosse verso il farmacista e — stendendogli
la mano — disse: cc Aiutiamoci! Lavoriamo tutti insieme per innalzarlo dinuovo! »
La folla comprese e tutti fecero
a gara per offrirsi. Fu im Natale
stranissimo, un Natale di lavoro indefesso per tutta una popolazione.
•Quando il popolo vuole, i miracoli
si compiono: a vespro l’Angelo era
risalito al suo posto con le braccia
aperte all’invito e la sua dolcissima
espressione.
cc Poi gli faremo l’ala », disse il
sindaco.
cc No! lasciamola cosi, a ricordo »,
disse il sacrestano. E — altro miracolo di (juel santo giorno — il sindaco, invece d’impuntarsi come al
solito, annuì.
Ho incominciato col dire ebe la
popolazione di Valcbiusa è in perpetue questioni? Dovevo dire che
era, cioè nel passato, poiché da quel
Natale la concordia vi regna. Il matrimonio tanto deprecato si è fatto
ed è risultato felice; i litigi sono stati messi in tacere; tutti han trovato
che amare è altrettanto gustoso quanto' odiare. E l’ala deU’Angelo, lo
credereste? sembra che stia per nuovamente spuntare... Ada Mf.ti.t.f
Se quest’anno ci permettiamo di
attirare, in un modo speciale, l’attemdone di tutti i nostri amici su
questa Istituzione è perchè in occasione del primo centenario vorremmo che un segno di solidarietà, da
parte di tutta la popolazione valdese, rivelasse l’amore che molti nutrono per quest’opera della Chiesa.
Un apposito Comitato si preoccuperà di organizzare, durante i med
estivi, una serata varia ed un'asposizione e vendita di lavori delle orfanelle e di tutti i doni che gentilmente i nostri benefattori ci faranno
pervenire. Non dubitiamo punto che
anche tutte coloro che sono state, in
passato, ospitate nel nostro Istituto
invieranno il loro dono riconoscente. Queste modeste iniziative unite a
tutti i doni che, neU’occasione del
centenario, i nostri benefattori ci
faranno pervenire dovrebbero permetterci di eseguire alcime urgenti
migliorie al nostro Istituto:
1) Rifare la pavimentazione della
cucina che ha ancora le vecchie lastre di pietra poste nel 1858 e che
sono ormai ridotte a pezzi. Somma
preventivata L. 175.000.
2) Acquistare una lavatrice elettrica che faciliti il lavoro delle nostre
orfanelle. Somma preventivata Lire
180.000.
3) Sostituire la vecchia cucina economica che funziona ininterottamente da 26 anni e che ormai non è
più in grado di rendere il dovuto
servizio.
Esprimiamo quest’ultimo desiderio con un certo timore. Difatti,
quando il 4 luglio 1927 venne posta
a dimora l’attuale cucina economica
per solennizzare l’avvenimento im
fulmine cadeva sull’orfanotrofio
« sans toutefois causer de dommages sérieux ». Speriamo che questo
anno i fulmini non vengano nuovamente a ricordarci che dovremmo
occuparci più spesso del nostro orfanotrofio!! .
I" elenco
Abbiamo ricevuto, con profonda
riconoscenza i seguenti doni dal 1
Gennaio 1953:
DONI IN MEMORIA.
Di Giovanni e Rosa Pons Karrer, Maria
Luisa-Pons, 700—-- di-j&Hma GardioI Léidheuser 20.000 — del Figlio, Richìardone
Eugenia 2.000 — di Ada Jahier, Gino e
Giorgina Jahier 25.000 — Unione dei Simonnd, in memoriam 2.000 — Unione dei
Chabriols, in memoriam l.OOO — di Elena
JaUa, il figlio e la sorella 1.000 — dei loro
Cari, Garro Beniamino e fam. 1.000 — dei
loro cari, Bertalot Gina e Ida 1.000 — deUa
SoreUa e Zia, Durand Cesarina e Aldo 500
— dei cari Genitori e Marito, M^ello Clelia 500 — di Emma Leidheuser ed Emilio
GardioI, N. N. 500 ■—■ Nel 5.o anniversario
della morte di Enrico Paschetto, la Fam.
1.000 — di Elena Odin Pasquet; il Marito
Emilio Pasquet 10.000, Caterina e Aldina
Gamba 2.500, Elsa e Michele Cesan 1.500 —
della diletta Mamma, Paimira Cocconi Lui,
1.000 — della Nonna 1.000 — del Marito e
Mamma, Bertalot Germana l.OOO — dei
cari Defunti, N. N. 500 — di Corradino
Gander, fam. Gander e Piccinelli 4.000 —
di Giov. Davide Costantin, i compagni di
lavori di Guido e Alice Costantin 4.300 —
Giazzi Felice in memoriam 1.000 — della
Mamma, Rbstagno Levi 3.000 — del Marito,
GardioI Margherita 500 — dei Nonni, Paschetto Marcella 500 — dei loro Cari, Coniugi Caleb Franciosi 4.800 — di Pons Giacomo Enrico, la Fam. 1.000 — del Babbo,
Stocco Giovanni e Alfonsina 600 — di Margherita, Castagna Emma e Giulio 1.000 —
di Adelina Balma, Balma Enrico e figlia
Elsa 1.000 — della Mamma e dello Zio Filippo Bertalot, R. e C. Bertalot 1.500 —
nel 3.0 anniv. della dipartenza della Moglie, Giovanni Boer 5.000 — di Lina Coisson Frache, i figli Clara e Roberto 5.000 —
della cara Maria, Coniugi Ingiea 500 — di
Enrichetta Comba nata Malan, fam. Comba
1.000 — del cugino Gander Corradino, Long
Adelina, Alice, Arturo e Cesare 2.000 —
di Elda Codino, l’Amico Mimma 2.500 —
del Nonno, Elsa, Renato, Carla Gay 1.000
— del Figlio Adolfo 5.000 —— della Sorella Adelina Costa Gaydou, Louisette Guigou
nata Gaydou 15.562.
E’ uscito: Il Libro del Centenario
“L’EVANGELO A TORINO,,
dall’epoca della Riforma alla dedicazione
del Tempio Valdese (15 dicembre 1853).
Opera di notevole valore storico e religioso,
scritta dal prof. Arturo Pascal e dai Pastori Gustavo Bertin e Paolo Bosio (pagg. 166,
clichés 26) — L. 600 franco di porto, inviando vaglia c.c.p. n. 2/12889 intestato a
Chiesa Valdese, Via Pio V, 15 — Torino.
CARTOLINE DEL CENTENARIO
Serie di 11 cartoline: 1 - disegno aUegorico del Prof. P. Paschetto; 3 - da antichi
quadri; 8 - artistiche vedute dell’esterno e
dell’interno del tempio. Ordinazioni come
sopra. Franco di porto L. 300. Una cartolina L. 30.
4
t*ËCO DÉtLÊ VALLI VXLTÆST
Scrivono all’Eco
Canto Sacro
Ho letto con vivo interesse e compiacimento l’articolo del pastore
Bertinatti su questo soggetto, che da
lungo tempo avrei voluto trattare su
queste coloime. Sono quindi molto
lieto che un competente autorevole
mi abbia preceduto, e sottoscrivo loto corde quanto egli afferma.
E’ un fatto che purtroppo nelle
nostre assemblee si conoscono ben
pochi cantici, ciò che mette di conseguenza il pastore in serio imbarazzo.
In un sol punto non condivido il
parere dell’autore dell’articolo in
questione quando dice: « Nessuno ci
ha colpa, la colpa è delle circostanze! »
A mio modesto parere la colpa è
dei coralisti e del direttore della corale, i quali hanno una vera fobia
per còri già cantati qualche anno
prima : si vanno sempre cercando col
lanternino nuovi cori, più o meno
belli, purché non siano mai stati cantati ; si perdono settimane e mesi per
impararli e si trascurano quelli degli innari che sono il vero scopo delle corali. Nella nostra corale di Pinsrolo, per esempio, non ricordo che
si sia ripetuto un coro, già cantato
20 o 30 anni fa.
A me sembra che una melodia già
un po’ conosciuta si gusti molto più
che una affatto nuova. Vediamo in
teatro come si ripetano opere ben
conosciute anche durante mezzo secolo.
Concludo copiando letteralmente
l’u’timo periodo dell’articolo del pastore Bertinatti ; e vorrei che ogni co
rale l’imparasse a memoria: « Non
comprendo la necessità di sottoporsi ogni anno ad un lavoro improbo
per imparare sempre nuovi cori...
perchè non si potrebbe talvolta cantare im coro già cantato altre volte,
come del resto si fa in altre chiese?..
Rimarrebbe cosi più tempo per dare
impulso al canto nei vari Culti. L’attività delle corali diverrebbe più facile e più proficua ».
Giov. Vicino
Culto di Natale al Sestriere
Voce delle Comunità
Torino (Corso P. Oddone)
COMUNICATO
Per la lavorazione di un film documentario sull’Opera del’e diaconesse, verrà fatta una ripresa davanti al tempio di Torre Pellice, venerdì prossimo alle 14. Saremo grati a
quanti lo possono, di trovarsi davanti al tempio per circa mezz’ora.
Le Valdesi intervengano, possibilmente, in costume. In caso di pioggia, la ripresa è rimandata al giorno
seguente.
Ci ha lasciati il 15 Novembre, per la vita celeste il sig. Giulio Revel originario di
Lnsema S. Giovanni e da lunghi' anni residente in Torino.
Alle esequie, nella Chiesa di Corso P.
Oddone, ha partecipato una folla di amie
i quali hanno circondato di simpatia il fi
glio e la figlia del derunto, dando una evi
dente testimonianza della stima e dell’af
fetto di cui godeva il nostro fratello in fe
de. La salma ha proseguito per Rivoli dove
è stata tumulata nella tomba di famiglia
dei congiunti.
* Una simpatica riunione è stata tenuta
nei locali di Corso P. Oddone, Sabato 7
Novembre. Invitati dalla Società di Assistenza della Chiesa, i fratelli e specialmente le sorelle, sono intervenuti numerosi al
tè sociale, e, con la loro generosità, hanno
fornito alla Società abbondanti mezzi per
la sua opera benefica.
* Giovedì sera 19 corr, la frateUanza si è
riunita nei loca.i di Corso P. Oddone per
esaminare, colleltivamente, i temi proposti
dalla Conferenza DisLreltuale a tutte le
Chiese del Distretto.
Il primo tema: « Il Cristianesimo ed u
lavoro » è stato brevemente introdotto dal
Sig. Enrico Long delegato alla Conferenza.
Diversi fratelli hanno partecipato alla discussione, cercando di stabil re quale debba essere il comportamento del Cr stiani di
fronte ai prob emi del lavoro che incontrano giornalmente.
Il secondo tema: « La Santa Cena » è stato
introdotto dal Pastore P. Bosio sotto forma
di precise domande, ed ha valso ad attirare
l’attenzione della fratedanza sopra il privilegio del sacramento che alcuni Irate li trascurano ; e specialmente sulla gioia che deve riempire il cuore dei fedeli chiamati a
rispondere all’invito del Signore.
Direzione e Redazione: Past, Ermanno
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Telef. 2009.
Pubblicazione autorizzata dal Tribunale di Pinerolo, con decreto del 27Xl-1950. _______________
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Salone dell’Albergo deUa Torre sarà celebrato uno spec'a'e Culto di Natale per gli
studenti Rrìtannìci ospiti del S.strière.
Gli evangelici ìta’hini che fossero al Se'Strière quel pomeriggio sono cordialmente
invitati a parteciparci.
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Riconoscente per te prove di affetto e di
simpa ia cristiana portele in occasione della dipartita del suo Caro, la famiglia del
compianto Pastore Emerito
Augusto Jahier
vivamente ringrazia tutti gli amici e conoscenti che di persong, con scritti o comunque in pensiero le sono stati vicini nella
luttuosa circostanza.
Torre PeLìce, 19 novembre 1953.
La famiglia del compianto
Umberto Costantino
deceduto in seguito ad infortunio sul lavoro, profondamente commossa e riconoscente, ringrazia tutti coloro che con parole, con scritti e con fiori nella triste circostanza hanno preso parte al grave lutto che
l’ha colpita nei suoi affetti più cari.
Pomarétta lì, 2 dicembre 1953.
La famiglia del rimpiànto
Gioiauni Giacomo Garet
esprime la sua riconoscenza alle suore
dell’Ospedale Valdese di Pomaretto, al dott.
Peyrot, alla famig.ia Prandini; al sig. V.
Widemann, impiegati e maestranze del Cotonificio di S. Germano, agli abitanti del
quartiere della Sogna, a quanti, con la presenza ai funerali o con scritti, hanno manifestato la loro solidarietà e la loro simpatia.
Inverso Pinasca (Pian), 3-12-1953.
« Vegliate, dice Gesù, perchè non sapete nè il giorno, nè l’ora in cui il
Figliuolo dell’uomo verrà ».
(Matteo 25: 13)
M. et M.me Em. Pons, et leurs enfants;
Mme Vve Henri Pascal et son fils; Mlle
Aline Pascal; M.'ei Mme Charles Micol,
ont la douleur d’annoncer le départ de
Jean-Pierre Pascal
leur père, beau-père et grand-pere, survenu à Marseille, le 29 Novembre 1953, a
l’âge de 87 ans.
Voilà le Dieu qui est notre Dieu
éternellement et à jamais
Il sera notre guide jusqu’à la mort.
Psaume 48: 15
Les obsèques ont eu lieu a Marseille le
Mardi 1er Dicembre 1953.
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