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»ELLE WH VALDESI
BIBLIOTECA VALDESE
1006Ö TOaBE PELL ICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 110 - Nnm. 50
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T(JRKK PF.LLICE 21 Dicembre 1973
Amm.: Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
LEV ANGELO DI NATALE
IL SEGNO DI DIO
« Questo vi servirà di segno: troverete un bambino...-!) (Luca 2: 12).
Un bambino — segno di Dio nel
mondo! Chi Io può credere? Chi è
disposto a lasciar cadere le sue
immagini precostituite di Dio, ecclesiastiche o laiche, positive o negative che siano — immagini connesse con la fede o anche con l’incredulità — per accettare che il
suo segno fra gli uomini sia un
bambino? Non un miracolo, non
un prodigio, non un fatto sensazionale ed eccezionale, ma un bambino — ne nascono migliaia ogni
giorno, non c'è nulla di più quotidiano e ordinario! Chi è disposto,
davanti a un annuncio così paradossale, a prenderlo sul serio e
cominciare a riflettere? Chi non è
già troppo intelligente o troppo
scettico per voler ancora considerare con qualche attenzione questo strano, improbabile segno di
Dio? Chi, dopo essersi, come oggi
si dice, secolarizzato, cioè dopo
essersi scrollato di dosso il cristianesimo ecclesiastico tradizionale e
aver scelto una forma di vita laica,
sarebbe disposto, qualora volesse
riprendere il discorso su Dio, a ricominciare proprio da qui, da questi aspetti del messaggio cristiano
che a prima vista sembrano oscillare tra l’ingenuo e rinfantile e,
comunque, appartenere, ì• più^ aimondo della poesia che della fede? E chi, essendo rimasto nella
chiesa, abituato da sempre a sentire queste storie di Natale che ormai conosce a memoria e non gli
serbano più nessuna sorpresa, sarà ancora in grado di ascoltarle
veramente (spesso in chiesa si ode
ma non si ascolta) e di capirle di
nuovo?
L’evangelo è esplicito; soltanto
i mandriani d’Israele — e anche
loro perché avvertiti dagli angeli
— accettano il bambino di Betlemme come segno di Dio. Questi
mandriani, secondo i Farisei e i
custodi deH’ortodossia giudaica,
erano esclusi dal mondo avvenire
perché non avevano la possibilità di adempiere in maniera adeguata a tutte le prescrizioni della
Legge. Invece sono i primi a entrare nel Regno. Se il « segno di
Dio » fosse posto nel Tempio, i
Farisei e i sacerdoti d’Israele troverebbero più facilmente la strada per raggiungerlo e i mandriani, forse, resterebbero ancora esclusi. Ma siccome il segno è posto in una stalla, i mandriani non
hanno difficoltà a trovare la strada mentre i Farisei non riescono
a immaginare un segno di Dio posto in quel contesto, e restano loro esclusi. Le situazioni cominciano a capovolgersi. Quando questo
accade è segno che Dio è vicino:
lo è infatti, in quel bambino.
Un bambino. Ma un bambino è
un uomo: non ancora un uomo
adulto ma già un uomo. Il segno
di Dio nel mondo è un uomo. Non
una cosa (ad esempio il creato),
non un simbolo (ad esempio la
croce), non un’istituzione (ad esempio la chiesa). Non la coscienza, non la ragione, non uno stato
d’animo, non un’idea. Neppure i
fatti, gli avvenimenti, sono segni
di Dio. Dio certo agisce nella storia e bisogna sforzarsi di discernere i segni di questa azione; ma
quelli che di solito vengono presentati come « segni dei^ tempi »
sono sovente segni dell uorno e
non di Dio. Chi cerca Dio nei fatti, non dimentichi che Dio
ventato uomo: l’uomo è più che i
fatti. Dio agisce nella storia ma
si lega all’uomo. Non c’è nulla
ai mondo e nella storia con cui
Dio si sia legato più strettamente
che con l’uomo. Da allora a oggi,
il vero segno di Dio nel mondo,
l’unico che gli angeli abbiano segnalato, è un uomo — l’uomo di
Nazareth,
Un uomo. Ma anche quell’uomo è stato bambino. « Troverete
un Flambino... » dicono gli angeli
ai pastori. Il bambino è l’uomo
nel momento della sua massima
fragilità, precarietà, debolezza.
Dio comincia dal basso, dal fondo. Il segno di Dio è un uomo
che ci appare anzitutto come bambino debole, povero, piccolo. La
sua debolezza ci confonde; Perché
l’Qnnipotente si manifesta in questa estrema debolezza? Vien da
chiedersi: questa debolezza è sua
o è nostra? E la sua povertà, cosa vuol dire? Se Gesù non fosse
« né ricco né povero » — come
crediamo di essere noi — ci sentiremmo tranquilli. Ma Gesù è povero. Perché? E cosa significa
questa singolare piccolezza di Dio,
così come appare nel bambino di
Betlemme, per noi che abbiamo
occhi solo per le cose grandi? Ciré
cosa è ancora grande c che cosa
Ginevra (soepi) - Parole singolari,
quelle del vecchio Simeone: « Ora, Signore, lascia andare in pace il tuo
servo, secondo la tua parola; perché
i miei occhi hanno visto la tua salvezza » (Luca 2, 25-33). Chi potrebbe parlare così, oggi! Quanti esseri umani,
in situazioni disperate, vorrebbero vedere la salvezza!
C’è il malato incurabile. Con la prospettiva di ancora settimane, ancora
mesi di lotta, eppure, secondo ogni
previsione umana, è una battaglia
persa. In quei momenti, come si vorrebbe avere la certezza della salvezza!
C’è il giovane ricco di tutti i vantaggi che possono offrirgli le società
prospere; eppure la droga ne ha inibito la volontà, ne ha minato il corpo.
Laboriosa è la lotta per fargli riacquistare la sua volontà, per scoprire cure scientifiche, per risvegliare la speranza di una nuova vita. Come vedere la salvezza?
IN CERCA DI SPERANZA
C’è il popolo che patisce un’oppressione tirannica. Nessun chiarore di
pace all’orizzonte. Il ’’decennio dello
sviluppo” aveva destato speranze che
SI sono rivelate fallaci: il fosso fra
paesi ricchi e paesi poveri si allarga.
Come vedere la salvezza? Nei paesi
prosperi come in quelli miseri, fra i
giovani come fra i vecchi, ognuno prova il bisogno di essere certo della
salvezza.
Anche Simeone si trovava in una situazione disperata. Apparteneva alla
frazione povera della popolazione, che
aspettava la liberazione d’Israele. L’impero romano controllava tutta la parte conosciuta del globo. Nella Palestina stessa la complicità di quelli che
detenevano il potere economico e sociale, gli Erodiani, rafforzava il potere del tiranno locale, servo fedele della capitale imperiale. Tuttavia, con al
lllllllllllllllllillllllllllillllllllllllllllillllllllllllllllllllllllllllllll
Al LETTORI
Ai nostri lettori, auguriamo fraternamente di vivere in profondità l’allegrezza dell’Emmanuele, e di iniziare con
speranza fiduciosa e attiva l’anno nuovo. Non sono cose che scaturiscano
dal mondo, viviamo anzi tempi oscuri,
spesso feroci. La LUCE splende nelle
TENEBRE.
Il prossimo numero del settimanale
uscirà nell’anno nuovo e porterà la
data del 4 gennaio 1974.
IL MESSAGGIO DI NATALE
DEL PASTORE PHILIP POTTER
II
è piccolo, dov’è la grandezza e
dov’è la piccolezza alla presenza
di questo neonato che la fede riconosce come il Signore del cielo e della terra? I nostri normali
criteri di giudizio, il nostro modo di vedere e valutare le cose
non dovranno subire, davanti al
fanciullo di Betlemme, un profondo, radicale mutamento? Già come bambino Gesù ci mette in questione e si rivela come segno di
Dio, sì, ma chiaramente segno di
contraddizione. Ogni cosa è rimessa in discussione, a cominciare daHemarginazione degli esclusi (come i pastori d’Israele) e dal1; falsa sicurezza dei giusti (come i Farisei). Tutti i valori cambiano di segno; le gerarchie si capovolgono. Un mondo tramonta
e ne sorge uno nuovo.
« Questo vi servirà di segno ».
Non ce ne sono altri, meno paradossali, più plausibili, più credibili? Volendo se ne possono trovare molti. Ma cosà ce li fa cercare; la fede o l’incredulità?
« Troverete un bambino ». Non
troverete soltanto un bambino.
Quello è il primo passo per trovare, o ritrovare, Dio.
Paolo Ricca
e in noi
Il pastore Emilio Castro, direttore della Commissione Missione e
Evangelizzazione del CEC, invita n riflettere in prospettiva d’Avvento su uno dei grandi temi proposti aWecumene cristiana
tri, Simeone nutriva una speranza:
« Un giorno, ta salvezza finirà per venire... ».
Fra il nostro stupore, è la presenza
di un neonato, figlio di contadini, simbolo di povertà portatore di speranza,
d suscitare la sua confessione. L’impero, le classi oppressive, la forza regnano tutto attorno, e lui non ha altra prospettiva che la vecchiaia e ravvicinarsi della morte. Ma un bimbo
opera la metamorfosi. Davanti a Gesù, in fasce, Simeone lascia traboccare tutta la gioia provocata da quest’incontro, tutta la sua fiducia nell’ora
presente, tutta la sua speranza nel domani. Per lui la vita ha toccato il culmine: ha visto la salvezza. Attraverso
il Bambino di Bethlehem, ogni sua attesa si compie. Un bambino può tanto!
A noi, abituati a misurare le possibilità della storia in termini di rapporti di forza, di pressioni economiche,
di prestigio sociale, di equilibrio militare, come a Simeone alle prese con
i problemi propri e del proprio popolo, sembra irragionevole relegare
tutto questo in secondo piano, perché
nella persona di Gesù è apparso nella
storia un fatto inedito.
Grazie alla sua fede Simeone capisce che la venuta di quel Bambino
opera una metamorfosi. Dio partecipa
ormai agli affari umani. Ñon si deve
più implorare uno spirito ignoto, straniero, bensì lo spirito che abita questo bambino per partecipare alle angosce e alle speranze dell’umanità:
Dio si è fatto carne. Nessuna situazione può, ormai, essere considerata
assolutamente disperata. Non si deve
più disperare, né nella mangiatoia miserabile, né nella cella del condannato a morte, poiché Egli ci ha preceduto e, ora, dimora con noi.
SEGNI DELLA PRESENZA DI DIO
Possiamo vegliare presso un malato, coltivare speranze nelle situazioni
più disperate, perché sappiamo di essere coinvolti nella lotta spirituale
nella quale Dio rimane presente. La
lotta per la salute dell’infanzia, la lotto per la pace nel Vicino Oriente, o
per il regno della giustizia universale,
non sono estranei né all’azione né ai
disegni di Dio.
Natale ci insegna che Dio ha voluto
intervenire dall’interno nella storia
umana, subendone le sofferenze, rianimandone le speranze, assicurando
Sono venuto perchè olì uomini abbianu
ia vita in pienezza"
Il 10 dicembre viene celebrata la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Nòcciolo di questa dichiarazione è l'affermazione che « tutti gli uomini nascono liberi ed uguali in dignità e in diritti... senza alcuna distinzione
di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di origine, di beni, di nascita o di condizione sociale: ognuno ha diritto alla vita,
alla libertà, ed alla sicurezza personale ».
Alcuni considerano questa dichiarazione come una raccolta tipica di voti
pii e idealistici che non si possono né rispettare né mettere in pratica. Per
altri essa è invece una tappa importante nella storia dell'uomo.
Il 10 dicembre si trova nel periodo dell'Avvento, l'epoca dell'anno cristiano in cui ricordiamo un'avventura : quella di Dio, nel suo Figlio Gesù Cristo, colla quale egli conferma il suo disegno: tutti gli uomini sono fatti a sua
immagine per partecipare alla Sua libertà e manifestare il Suo amore nei loro
rapporti cogli altri e con tutta la Sua creazione. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo trova il suo fondamento ed il suo significato nella dichiarazione dei
diritti di Dio sulle Sue creature in Cristo Gesù. È stato detto dell'Avvento, della
venuta di quel Gesù che « a tutti coloro che l'hanno ricevuto, a tutti coloro
che credono nel Suo nome. Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio. E la
Parola divenne carne, ed ha abitato fra noi, e abbiamo visto la Sua gloria,
quella gloria che, unico Figlio pieno di grazia e di verità, egli prende dal
Padre» (Giovanni 1 : 12-14).
Il nostro diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza personale non sono
fondati su alcuna dichiarazione o sforzo umani, ma sulla dichiarazione e sull'azione di Dio in Cristo. « lo sono venuto — Egli dice — perché gli uomini
abbiano la vita, e l'abbiano in pienezza » (Giovanni 10: 10).
L'avvento è la venuta in questo mondo della vita nella sua pienezza:
una pienezza di grazia, quella dell'amore che si dona, e della verità, quella
della fiducia totale che si può avere, con tutte le sue conseguenze. Il Natale è
dunque la celebrazione del diritto che Dio, in Cristo offre ad ogni essere umano di accedere ad una pienezza di vita, personale e comunitaria.
Dunque, nel mondo, delle persone aspirano a questo diritto alla vita, alla
libertà, alla sicurezza. Dovunque oggi questo diritto viene negato e a certuni
in modo totale. La preoccupazione dei cristiani è che i diritti dell'uomo siano
^^gssl io, pratica e rispettati. Ma anche la storia della Chiesa è segnata dalla
viòlaziohe 'Bèl 13Irìttf aeÌ)TjotÌTo7*sia^ si tratti di guerre di religione, di persecuzioni, o di discriminazioni religiose, oppure per essersi schierati con coloro che negano o sopprimono i diritti dell'uomo. Ai nostri giorni, parecchi
cristiani paiono maggiormente turbati per gli attentati ai diritti dell'uomo nelle
altrui società che non nella propria.
Per questo Natale, siamo tutti chiamati a riflettere ex novo sull'origine
ed il fondamento dei nostri diritti in quanto esseri umani, e al prezzo che s'è
dovuto pagare perché noi abbiamo diritto alla pienezza della vita.
L'Avvento è il rischio, l'avventura del Cristo che, nella libertà, rinuncia al
Suo diritto di essere il nostro Signore e Maestro, per diventare il servitore ed
il fratello di tutti coloro i cui diritti sono calpestati, e di coloro che li calpestano. I diritti dell'uomo si sono incarnati in Gesù Cristo. Il costo di questi diritti è l'amore di Cristo sulla croce. La speranza che questi diritti possano venire
applicati si basa sulla resurrezione di Gesù Cristo e sulla nostra partecipazione
alla Sua vita immortale.
Durante l'anno che sta per giungere celebriamo dunque, in umiltà e con
gioia, colle parole, cogli atteggiamenti, cogli atti, il diritto alia pienezza di
vita di tutti gli esseri umani. E per questo, impegnamoci al servizio di Cristo,
dispensatore di vita, e di tutti quelli che dividono la nostra esistenza umana.
Philip Potter
segretario generale del C.E.C.
PALERMO DOPO L’URAGANO
Una città in ginocchio
(continua a pag. 7)
L’opinione pubblica è stata, ■ a suo
tempo, informata dell’uragano che il
25 ottobre ha distrutto il porto di Palermo.
Sono bastate 5 ore di tempesta e di
mare forza dieci per provocare danni
per oltre 100 miliardi di lire. Sono state distrutte oltre le attrezzature del
porto anche quelle del cantiere navale
e circa 3.000 operai sono rimasti senza lavoro. Due navi sono affondate net
porto ed un bacino galleggiante di 50
mila tonnellate, con su una petroliera
di 75 mila, è stato portato alla deriva
come un relitto.
Come l’alluvione delTinverno scorso,
anche ora il fortunale che si è abbattuto sulla città di Palermo, ha messo
in evidenza quanto siano fragili le
strutture su cui poggia l’economia, il
lavoro, l’agricoltura, la vita civile di
tutta intera la regione siciliana.
Qualche giorno dopo la distruzione
del porto, un giornale della città portava in prima pagina, a lettere cubitali,
questo titolo: « PALERMO IN GINOCCHIO ». Sembrava che si volesse dare
notizia di un avvenimento sensazionale di carattere religioso. Si poteva avere l’impressione che la città avesse
compiuto, in seguito alle sventure che
l’avevano colpita, un gesto di umiliazione e di contrizione, un gesto di preghiera e di supplicazione. Si poteva
pensare a prima vista che si trattasse
di un avvenimento come quello narrato
in Giona 3: 9 in cui i cittadini di Nini
ve, a cominciare dal re, bandirono un
digiuno di pentimento e dissero: « Chi
sa che Dio non si volga, non si penta,
non acqueti l’ardente sua ira, sì che
noi non periamo ». Ma naturalmente
l’articolo non faceva in alcun modo un
discorso di questo genere. È vero che
era stato affisso anche un manifesto
che portava questa soprascritta: « SALVIAMO PALERMO », ma si sa la terminologia religiosa oggi ha contenuti
ben diversi.
La tempesta che ha distrutto il porto ha rivelato anche quanto siano fatiscenti le strutture degli impianti civili della città. Allo « Scaricatore », una
miserabile baraccopoli sulla riva del
mare nei pressi del porto, una madre
piangendo invocava aiuto mostrandomi il suo bambino, malato di broncopolmonite, nella sua stamberga inondata di acqua. A Palermo, a tutt’oggi,
almeno 100 mila persone sono costrette a vivere in condizioni di miseria e
di abiezione tali, in ambienti così malsani, da suscitare in chi li visita, un
insopprimibile senso di umiliazione e
di colpa.
Come abbiamo avuto tante volte occasione di scrivere, in questi quartieri
i fanciulli sono costretti a stare fuori
nel fango a giocare fra gli scoli delle
fognature e fra le immondizie. I loro
genitori non hanno un mestiere e vi
PiETRo Valdo Panascia
(continua a pag. 8)
2
pag. 2
21 dicembre 1973 — N. 50
La Sindone» e l'Evangelo
»/.Ci
Sestriere, 10/12/’73
Signor direttore,
desidero esprimerle francamente il
dispiacere provocato in me (e altri
lettori cattolici) dal recente violentissimo attacco di Paolo Ricca alla
Sindone di Torino e aU’arcivescovo
Pellegrino, che ne ha permessa una
sobria visione. Mi sarebbe facile replicare su altri giornali più diffusamente, ma preferisco che il dialogo
rimanga sullo stesso terreno dal quale è partito, secondo un’indicazione
dello stesso Ricca. Ecco perché chiedo ospitalità a Lei.
1) Non pretendo certo che i protestanti accettino la dottrina sulle reliquie, o cose del genere : questo riputo fa parte, mi sembra, della vostra
missione storica — e, tutto sommato, oggi un numero crescente di cattolici è disposto ad accogliere l’invito profetico a restituire alla Signoria
d' Cristo il primo posto nella chiesa.
Non pretendo che il sale diventi insipido. Se però lasciamo da parte le
teologie e trattiamo la questione delTautenticità (che Ricca ha inopportunamente mescolato a quelle) allora
non si tratta più di essere cattolici o
protestanti; si tratta di essere seri o
no. Serietà non è certo accogliere come (( vero » tutto ciò che ci venga
mostrato alla televisione; anche se
questo, in un bambino, si può capire.
Ma serietà non è nemmeno dispensarsi dallo studiare con passione un cimelio antico, ritenendolo « falso » a
priori. Da questo punto di vista, una
frase come questa di Ricca: «.Tutto
ciò che si dice (sulla Sindone) ...è
invenzione » non è davvero seria.
C’è gente che ha passato la vita —
Ricci, Judica-Cordiglia, ecc. — a studiare la Sindone scientificamente, giungendo ad escludere con certezza la frode e a stabilire una certa probabilità
per l’autenticità. Mi chiedo se non occorra una seria competenza prima di
liquidare con tanta facilità la questione.
2) Quanto al vescovo Pellegrino,
mi sembra che la disistima di Ricca,
più volte espressa, faccia veramente
torto all’uomo e al cristiano. Chi, come me, ne è stato allievo per anni, ne
ha un concetto ben diverso. È un vescovo che ha lottato in questi anni per
lì riforma della chiesa (basta pensare
al pubblico rifiuto della « lex fundamentalis ») e per la giustizia nel lavoro.
Durante la sobria visione alla TV, che
gli era richiesta da varie parti del mondo e che egli ha voluta fuori d’ogni
contesto liturgico, lo stesso arcivescovo ha detto testualmente : cc Se si può
dubitare, come infatti alcuni dubitano,
che questo sia davvero il volto del Salvatore, non possiamo dubitare che. se
condo la sua parola, egli sia presente
nei poveri, negli sfruttati, nella gente
senza volto e senza voce ». Cioè, nello
stesso momento in cui presentava la
Sindone, Pellegrino l’ha ridimensionata, richiamando i cattolici agli impegni
seri della fede.
Perché Ricca, critico cosi attento delle parole del cardinale, non ha riportato
queste, splendide e chiare? Forse perché non quadravano con la « tesi » da
dimostrare? Oppure si tratta di un
primo esempio di quella informazione
polemica sul cattolicesimo (ovverosia
disinformazione) che sullo stesso numero dell’Eco-Luce auspicava il pastore di San Germano, Giovanni Conte?
Chiedo venia per la franchezza e ringrazio.
Sac. Franco Trombotto
Don Trombotto mi attribuisce, per
Varticolo sulla Sindone, poca (o nessuna) serietà. Egli mi scuserà se insisto
nel ripetere che, a mio avviso, in tutta
la questione della Sindone (compresa
la sua esposizione televisiva) c’è ben
poco di serio, a parte — si capisce —
la buona fede di chi ci crede.
Quanto al vescovo Pellegrino, don
Trombotto mi attribuisce ’’disistima”
nei suoi confronti. Ma non mi pare di
aver mancato né di riguardo né di stima verso l’arcivescovo di Torino. Ho
semplicemente rilevato che al suo progressismo politico-sociale non fa riscontro, a mio avviso, un parallelo atteggiamento riformatore in campo teologico
ed ecclesiologico. Può ben darsi che qui
i pareri divergano e che ciò che a uno
pare molto avanzato a un altro sembri
ancora arretrato. Ma la stima non c’en
Certo, come don Trombotto suggerisce, avrei potuto citare la frase del
card. Pellegrino sul Cristo ’’presente
nei poveri, negli sfruttati, nella gente
senza volto e senza voce”. Mi rincresce di non averlo fatto perché essa andava proprio nel senso della mia tesi:
S?. il volto di Cristo si ’’vede” in quello
dei poveri, degli sfruttati etc., perché
cercarlo nella Sindone?
Osservo infine che don Trombotto
non solleva obiezioni al motivo centrala del mio articolo, condensato nella
domanda: ’’Perché cercate il Vivente
tra i morti?”. Se questo significa che
egli accetta, anche in rapporto alla
questione della Sindone, il punto di vista espresso in questa domanda (che
non è mia ma dell’evangelo), ne sono
lieto perché vuol dire che mentre la
Sindone non può che dividerci, l’evangelo ci unisce. Perciò converrà lasciar
stare la Sindone e occuparci delVevangelo.
Paolo Ricca
L’Uruguay e la democrazia
Un lettore, da Colonia Vaidense:
Nel n. 40 di questo settimanale è
apparsa la presentazione di un volumetto appena uscito in Italia: Uruguay, fune di un’illusione. Come Uruguayano deploro sinceramente che degli stranieri, a distanza e su informazioni di parte, pretendano di giudicare
la mia patria sulla base delle tesi tupamaro, che il popolo non accetta, pur
riconoscendo che era necessario, e urgente, un risanamento di tutto ciò che
era corrotto.
AIFautore del volumetto, al direttore
di questo settimanale e a tutti coloro
che sono d’accordo con quei movimenti di estrema sinistra,domando : sapete
che cos’è democrazia? credete in essa?
la praticate? In caso contrario, non ci
sarebbe da perder tempo : come diceva
mia nonna, originaria del Garin di
Villar Pellice, è inutile perdere tempo
e sapone a lavar certe teste.
Infatti noi viviamo in un regime
democratico: il governo corrisponde a
una maggioranza liberamente eletta in
libere elezioni, le quali nel novembre
1971 hanno dato in Uruguay questi
risultati :
FRENTE AMPLIO (partito dei tupamaros)
PARTIDO COLORADO
PARTIDO BLANCO
270.339 voti 18,5%
594.800 voti 39,7%
583.957 voti 38,9%
I! resto dei voti, per giungere a un
milione e mezzo, sono andati a piccoli
partiti personali, senza rilevanza. Ora,
se il 78% di un popolo appoggia la democrazia. vorrei sapere perché, secondo alcuni, una piccola minoranza dovrebbe avere il diritto di erigersi a
giudice deH’intero paese. E perché si
appoggia la violenza, in questo caso,
mentre in altri la si condanna?
11 movimento tupamaro può essere
appoggiato solo da chi non sa che cosa
sono e che cosa chiedono. Noi, che viviamo qui, non abbiamo mai potuto sapere quale sarebbe la « politica » di
questi signori nel caso che andassero
al governo. Non hanno alcun programma preciso, seguono le « Istruzioni per
la guerriglia » dell’OLAS (Organisaciòn
Latino-Americana Sindicai), con sede
a Cuba, organizzata, diretta e finanziata
da Fidel Castro.
È questo che appoggiano i nostri Pastori del Terzo Mondo, che non vedono la trave a casa nostra, ad esempio i
banchi vuoti nelle nostre chiese? Non
hanno mai pensato che andavano per
vie discutibili? Hanno mai cercato un
confronto, faccia a faccia, in spirito di
amore, con noi che non condividiamo
questo atteggiamento?
Tornando al nostro argomento, non
ho difficoltà a riconoscere che il titolo
citalo è il poco di vero che c’è nel libretto: in effetti, abbiamo perso per il
momento l’illusione di « essere un paese modello ». Per due ragioni :
1) per rirresponsabilìtà dei nostri
capi politici e dei loro parliti, dei quadri amministrativi ufficiali che approfittano della loro posizione per ogni genere di affari, arricchendosi a spese
del paese, seguiti in questo da molli
privati;
2) perché i lupamaros hanno cercalo di correggere questi grossi errori
politici e questi ’’affari” economici con
la violenza, senza tener conto dell ap
poggio del popolo. I tupamaros non sono stati né dei Robin Hood né dei don
Chisciotte : hanno assaltato, sequestrato, ucciso a sangue freddo. Di tutto
ciò che hanno rubato, non hanno dato
un centesimo a nessuno; quando un povero diavolo è venuto casualmente a
conoscenza di loro nascondigli, lo hanno assassinato senza pietà.
Non sono detenuti politici : è un assurdo, un affronto a una nazione civile. Considerate forse « atto politico » il
sequestro del famoso nipote di Getty?
In questo mio paese si è sempre rispettato scrupolosamente il verdetto delle
urne. Se quello dei tupamaros fosse un
movimento politico, chiedo : perché
non hanno raggiunta la maggioranza
dei voti nelle ultime elezioni? Sono
una piccola minoranza; o sarebbero
una « minoranza scelta »?
Forse l’autore del volumetto è un
tupamaro che per restare in libertà gira il mondo facendo propaganda per
un’idea che qui, in Uruguay come in
tutta rAmerica. non ha avuto alcun
successo e in questo momento è decisamente in rotta.
L’ultimo golpe compiuto dalle forze
pubbliche unite — polizia ed esercito
— è stato rìntervento nell’Universilà
di Montevideo. In seguilo all’esplosione che causò la morte di uno studente che stava preparando una grossa
bomba, e distruzioni nella Facoltà di
ingegneria, intervenne la polizia, constatando che in tutte le Facoltà si preparavano a una rivoluzione più che a
una professione. Lo spettacolo scandaloso offerto da tutte le sale di questa
enorme casa degli studenti ha sbalordito i 150.000 visitatori di Monlevideo
venuti a constatare lo stato di incredibile sudiciume di pavimenti, pareti etc.
nonché i nascondigli segreti: il pubblico potè infatti vedere le gallerie e i
passaggi nascosti dove si nascondevano
i tupamaros che fuggivano la polizia.
I lettori ci scrivono
valendosi deU’immunità universitaria.
Fortunatamente tutto ciò è finito e
rUniversità è tornata ad essere quel
che era prima, un centro di studio e
non di propaganda eomunista e tupamara. Il tutto pagato dal bilancio nazionale.
Altro grosso errore del volumetto,
quando afferma ehe in seguiti ai primi morti eausati dalla repressione i
rivoluzionari si organizzarono militarmente. Questa è un'infamia. Le forze
armate furono chiamate a intervenire
due anni dopo ehe i tupamaros avevan.r iniziato la loro eampagna di furti,
assalti, sequestri, assassini offendendo
le nostre istituzioni democratiche, poiehé inizialmente la polizia non era organizzata per eombattere la « guerriglia
urbana » condotta secondo le istruzioni
dell’OLAS. Ed è una menzogna affermare ehe le forze armate hanno tirato
bombe contro case di capi di sinistra
e hanno dato l’assalto a templi metodisti. Vi sono state perquisizioni, ma
non si è sparato, tanto meno sono state gettate bombe. Coloro che sono entrati nel tempio metodista di Constituyente y Médanos, a Montevideo, erano una pattuglia di tupamaros per assassinare a tradimento, con una raffica
d’ mitra, il prof. Acosta y Lara, proveniente da casa sua con sua moglie.
Le forze armate sono entrate per verificare da dove eran venuti i colpi
che avevano ucciso il professore
In un altro caso, in una sede della sinistra si era rifugiato un rivoltoso; il tenente che guidava gli inseguitori, chiese la calma; non cercava
che il fuggiasco. Autorizzato a entrare, fu vigliaccamente ucciso a tradimento da uno di coloro che erano
nell’interno. La reazione dei soldati
non si fece attendere; risultato: vari morti. Domando : nel vostro paese i soldati non difendono i loro capi, soprattutto quando si spara loro
a tradimento?
Il Consiglio direttivo della Facoltà
di diritto e scienze sociali fece una
dichiarazione pubblica sulla « sospensione dei diritti costituzionali » in seguito allo stato d’emergenza. Estado de
Conmoción Interna come la nostra Costituzione definisce la causa che autorizza l’Esecutivo a istituire « speciali
misure di sicurezza ». Avevano tutto
il diritto di pronunciarsi cosi (tanto
più sapendo che l’80% appoggiava i
rivoltosi); era anzi logico che lo facessero, ma è stato un pronunciamento
senza rispondenza nella grande maggioranza del paese.
Altro assurdo del libretto : in Uruguay agirebbe un ’’Battaglione della
morte” come pure gruppi parapolizie-;
schi e forze di repressione straniere,!
Assicuro in piena coscienza che questa
è un’invenzione dei tupamaros, sconfitti su tutta la linea e volti a denigrare il paese.
Quanto agli accenni al nostro sistema carcerario — i detenuti attualmente non giungono a 2.500 e non hanno
. mai superato i 3.000, altro che i 6.000
di cui si parla — mi basta (e ne avanza) riferirmi alle informazioni della
Croce Rossa Internazionale, dopo una
visita di suoi delegati, che hanno dichiarato pubblicamente di non avere
nulla da segnalare. (Il nostro lettore ci
allega una serie di ritagli di giornale:
essi si riferiscono però a uno, forse due
centri di detenzione, in particolare la
nave "Tacoma”, una nave tedesca confiscata a Montevideo nel secondo conflitto mondiale e trasformata in carcere: ma i membri della CRI hanno visto tutti i centri di detenzione e d’interrogatorio ?).
Circa poi la fine del vostro articolo.
« in Uruguay si vive uno stato di guerra civile » : assolutamente sbagliato.
Nel mio paese nessuno lo avverte né
se ne dà pensiero. Anzi, da quando
siamo governati dal presidente Bordaberry e dalle Forze armate, si stanno
svolgendo perfettamente i programmi
di riforma nazionale tracciati per correggere vecchi errori e avviare il paese sul sentiero del lavoro e del pro
gresso.
Dopo aver letto il vostro articolo, ho
capito come mai un funzionario della
FIAT, venuto in visita qui a Colonia,
non poteva capacitarsi di vedere che
nessuno si preoccupava di chiuder le
porte di casa o della macchina, e di
non vedere soldati o poliziotti per le
strade : evidentemente se n’era venuto
in Uruguay con la testa piena dei pericoli divulgati in Europa dalla propaganda tupamara.
Il pericolo — se c’è stato — è passato, è stato messo nettamente sotto
controllo con l’intervento nel principale
centro rivoluzionario, l’Università della Repubblica che. protetta da una
« autonomia assoluta » e da una propaganda intensa e interessata, non si
era mai aperta ad alcun rappresentante della polizia. In realtà, era una repubblichctta nella Repubblica, per di
più finanziata da forti stanziamenti del
bilancio nazionale (il 34<’/o di esso è
devoluto alFinsegnamento).
Posso assicurarLe, signor direttore,
che tutti noi Uruguayani stiamo « rimboccandoci le maniche » come ce lo
chiede il governo.
Humberto Pf.hrachon
Signor Perrachon.
il fatto che nel giro di tre mesi pubblichiamo quasi integralmente ( comunque senza tagli che deformino o
sminuiscano il Suo pensiero) un Suo
scritto, mi pare dovrebbe rassicurarLa
sul nostro attaccamento alla democrazia. Permetta pero che Le dica subito
che. oltre a servirci di barba e capelli
con trattamento anticerume, ci vuol
Il MIR e la fede
mettere della brillantina, e questo non
mi piace. Mi spiego.
Lei ha diritto di fare udire una Sua
interpretazione dei fatti, non di liquidare come menzognera e infame ogni
interpretazione diversa e contrastante.
Personalmente (forse altri, fra noi, non
condividono questa opinione) non penso che la ’’verità” tupamara sia la verità tout court; ma ignorarla o respingerla significa senza dubbio chiudere gli
occhi a determinati aspetti della verità
e della realtà. È quanto mi permettevo
di dirLe — senza successo — nella precedente postilla. Dopo tutto, come Lei
stesso documenta, quasi un quinto della
popolazione uruguayana si riconosce,
grosso modo, in quelle tesi; e se ritengo antidemocratico che certi gruppi
cerchino (del resto vanamente) di imporle con la violenza, altrettanto antidemocratico è l’ignorarle e squalificarle. Sempre e ovunque nel mondo gli
’’eretici” hanno la caratteristica e il
merito di mettere in evidenza problemi irrisolti (anche se coperti), indipendentemente dalle soluzioni o dai mezzi che propongono. Ripenso all’epoca
fascista, anche allora c’erano due verità. Il nostro regime affermava che regnava l’ordine, i treni arrivavano in
orario, si combatteva la battaglia del
grano, etc.: era anche vero, almeno in
parte. All’estero i nostri fuorusciti dicevano tutt’altre cose, lo strangolamento, anche violento, di ogni libertà, la
educazione razzista e militarista, le buffonerie tragiche del regime: ed era
vero. Non c’è dubbio, per l’esempio
italiano, dove pendeva la verità. Non
sono in grado di dare un giudizio reciso; è comunque indubbio che dall’Uruguay, e da nostri fratelli laggiù, giungono informazioni del tutto contrastanti; c’è chi, come Lei, è abbastanza soddisfatto, e chi è in carcere. Dopo tutto, paga più caro chi è in carceyfi, anche se questo non gli assicura l’esclusiva della verità e della giustizia. Per
conto mio, cerco di ascoltare seriamente — non freddamente — gli
gli uni e gli altri; non mi sentirei comunque di parlare a nome degli Italiani 0 dei Valdesi, e non credo che
Lei possa parlare a nome di tutto il
popolo uruguayano.
Alcune brevi note, ancora.
Anzitutto, constato: che la situazione
dev’essere profondamente diversa nelle
campagne e nella metropoli; e per un
paese come l’Uruguay in cui, se non
erro, quasi metà dei tre milioni di abitanti vivono a Montevideo, con una
concentrazione operaia e studentesca
geograficamente e sociopoliticamente
eccentrica rispetto al resto del paese, la
cosa è rilevante.
In secondo luogo, quali che possano
essere i giudizi di una commissione della CRI sulle condizioni dei detenuti in
un dato carcere, vi sono state ripetute documentazioni, anche (ma non solo) da parte di una delegazione del
CEC, che la tortura è stata (e probabilmente è tuttora) praticata, anche
in Uruguay. Ne sono in coscienza tristemente convinto.
Così come son convinto che Lei non
abbia alcun diritto di contestare ai tupamaros arrestati la definizione di « detenuti politici ». La tragedia di Fiumicino-Atene che si volge in queste ore,
ci mostra che la passione politica e la
rabbia per la frustrazione di certe esigenze, in parte almeno giuste, può talvolta portare a crimini politici feroci,
inaccettabili o per lo più inutili o controproducenti (ce ne sono però anche
di ’’legalizzati”, che devono rivoltarci
altrettanto); ma è certo che il golpe
uruguayano sia stato unicamente rivolto contro questo terrorismo, e non anche, almeno in parte, contro le esigenze che quel terrorismo, in un modo
per me più che discutibile, rappresentava? Lei chiede: perché, se i tupamaros hanno un programma chiaro e
giusto, non hanno riportato democraticamente la maggioranza e sono invece
rimasti modesta minoranza? Si può
però anche chiedere: perché la grande
maggioranza non ha preso in mano il
destino del paese e ha preferito affidare (così Lei sembra dire, e la cosu'^ii
pare molto discutibile) la ’’soluzione” (?) dei problemi, apparsi nella
loro cruda realtà, alle forze pubbliche?
Sarebbero anche queste una « minoranza scelta »? Scelta da chi?
Come già Le rispondevo, settimane
fa. non sono convinto che l’interpretazione tupamara della genesi della crisi
attuale, di come e perché è finita « l’illusione uruguayana », sia tutta esatta,
ma penso che nemmeno la Sua interpretazione lo sia, prescindendo ad es.
— come Lei fa — dalla pressione del
capitale straniero, statunitense in particolare: ed è da tempo che VAlianza
para el progreso ha mostrato la corda.
A me pare che, avendone chiara l’ottica. il volumetto in questione sia utile
contributo all’informazione: anche per
Lei. se giunge fino a Lei, dato lo
’’stato d’emergenza”.
Gino Conte
lllllllllllllllllllllllllllllllllllllllillllllllllllllimilHIIII
Caro sig. Marasso,
Le sono grato per la lettera pubblicata sul n. 45 del giornale : chiara e
convinta, puntualizza una situazione e
non indulge a futilità polemiche. La
mia nota, a cui Lei fa riferimento, era
dettata da due preoccupazioni: 1) una
’’secolarizzazione” dei motivi evangelici della non-violenza (e qui accennavo al MIR e alla sua propensione a
far fuoco con tutte le legna); 2) una
necessaria messa a punto del problema
d’un servizio sostitutivo di obbiettori
iu iniziative e Opere della nostra
chiesa.
mento diluire la sua base cristiana e
finire quasi col mimetizzarla. Lei mi
dice che ora non è più così, e questo
non può che dare gioia.
Il problema pratico non è toccato
dalla sua risposta. Per noi è però importante, in particolare per le Opere
destinate ai ragazzi : qui a me sembra
che, per un eventuale servizio sostitutivo, la matrice evangelica che ha determinato l’obbiezione di coscienza sìa
un ’’requisito” essenziale per una
Mi rallegra sinceramente leggere da
Lei che il MIR non manca di testimoniare la sua matrice e caratterizzazione evangelica. Uno dei ricordi non
lieti che ho, è quello d’un André Trocmó — che aveva introdotto in Italia
il MIR con una testimonianza appassionata, fedele — che mi diceva la sua
sofferenza, l’amarezza nel vedere diecine d’anni di lavoro sparire, il movi
eventuale accettazione.
Ci avviamo all’ottavo centenario valdese, e chiunque avrà orecchi per udire saprà che la non-violenza, il rifiuto
della pena di morte, il rifiuto delle
armi, erano tratti di fondo del valdismo delle origini, fedele alla legge
nuova data dal ’’Sermone del monte”.
Anche su questo piano non sarà una
mera celebrazione occasionale, se la comunità credente vorrà constatare che
siamo stati messi come segno di contraddizione, in una società che della
violenza seguita a fare la sua legge.
Un saluto cordiale,
L. Santini
“Protestantizzare” l’Italia;
una vecchia illusione?
Diano Marina, 5 dicembre ’73.
Signor direttore,
scrivo a nome del circolo c< Ugo
Janni » di S. Remo in riferimento al
dibattito richiesto dal Sinodo valdese
intorno al volume di Giorgio Tourn
« Una chiesa in analisi ».
Alla tredicesima pagina dello scritto,
esaminando il valdismo nell’età giolittiana, Tourn accenna alle difficoltà incontrate dalla chiesa valdese nel far
fronte al sorgere di due nuovi movimenti politico-ideologici : il Socialismo
e i cattolici. A proposito dei rapporti
tra questi ultimi e la cultura evangelica contemporanea, mi permetto ravvisare un’inesatta valutazione della figura e della posizione teologica del pastore Ugo Janni.
Tourn afferma che Janni tentò di
aprire un dialogo con le correnti rinnovatrici interne alla Chiesa cattolica
romana sulla base di « un presupposto
inaccettabile, che cioè esistesse all’interno del mondo cattolico una diversità di posizioni, una ricerca, una dialettica ».
Tale affermazione contrasta con ì
fatti. È noto quale fosse la ricchezza
di idee e di tesi propria del modernismo nei suoi diversi aspetti (biblico,
liturgico, disciplinare). Tutto questo
anche successivamente all’enciclica
« Pascendi » che represse ogni tentativo riformatore, ma non spense la vivacità del dibattito che continuò, sotterraneo. Janni colse la novità potenzialmente presente nel fenomeno modernista e lavorò alacremente affinché maturasse al punto da diventare l’ala
marciarne della riforma « endocattolica », come affermava.
I suoi legami con il mondo cattolico
progressista e liberale furono intensissimi e ad ogni livello : dai vescovi Bonomelli e Mimmi, ai sacerdoti Buonaiuti. Semeria e Casciola, sino ai laici impegnati nel risveglio della purezza primitiva del Cattolicesimo.
Furono rapporti che durarono intensi e appassionati per tutta la vita, mai
interrotti nonostante le scomuniche e
gli interventi censori della curia.
Certo Janni dimostrò una sensibilità
a molti evangelici del suo tempo da
una parte dei quali, i clericali protestanti, cosi li chiamava per il loro angusto antipapismo, sordo al nuovo che
stava sorgendo, fu variamente osteggiato.
La sua visione segnava il superamento definitivo della vecchia illusione di ’’protestantizzare” l’Italia, la comprensione illuminata di una nuova
strada da intraprendere : quella dell’unità delle energie autenticamente
religiose ed evangeliche presenti all’interno di ciascuna Chiesa cristiana;
il riconoscimento della sostanza evangelica del pensiero cattolico pur nella
chiara distinzione tra innovatori con
cui collaborare e autoritarismo papale
d;r combattere. Janni indicò alla chiesa
valdese una missione le cui grandiose
possibilità resistenze interne e circostanze esterne ad essa impedirono in
quel momento di dispiegare : contribuire con l’iniziativa coraggiosa a livello culturale, teologico, sociale, al
crescere ed all’irrobustirsi delle forze
capaci di generare ed espandere, dall’interno della grande realtà storica
rappresentata dal Cattolicesimo, una
nuova, potente spiritualità in grado di
testimoniare al mondo la speranza
espressa da Gesù in Giov. 17: 22-23.
Riprendendo l’osservazione iniziale
al passo di Tourn, approvo pienamente
quanto egli aggiunge in nota, almeno
stando ai dati in mio possesso : « non
sembra potersi mutare sostanzialmente
la valutazione generale di un atteggiamento negativo o molto freddo da parte valdese » nei confronti del modernismo. Questo torna a conferma del
carattere d’avanguardia del pensiero e
dell’opera pastorale dì Ugo Janni che
solo oggi, per quanto contradditoriamente, s’inizia a riscoprire c riprendere.
Colgo l’occasione di questa lettera
per inviare a lei, signor direttore, i
migliori auguri di un fruttuoso lavoro,
per il circolo « Ugo Janni »
Massimo Rocchi
Distanza o disimpegno?
Caro direttore,
Alla redazione di questo numero hanno collaborato Lalla
Conte, Ermanno Genre, Adriano Janaval, Paolo Marauda,
Roberto Peyrot, Alberto Taccia, Elsa e Speranza Tron e...
i vari lettori che ci hanno
scritto, dandoci il loro apporto. Raccomandiamo la concisione !
nel mio articolo « Cristiani per che
cosa? » avevo fatto un accenno alla posizione detta di « distanza critica », da
te affermata e sostenuta su questo giornale. Ma mi ero astenuto da apprezzamenti, dato che il tema dell’articolo
era un altro. Siccome però hai creduto
necessario, od opportuno, scrivere sul
numero scorso una nuova nota per illustrare ancora la tua posizione e difenderla con abbondanza di argomenti (nel
cui merito non entro; ci sarebbero molti rilievi da fare), mi sento in dovere,
a mia volta, di pronunciarmi, almeno
sommariamente, su questo atteggiamento di « distanza critica » che tu proponi come fondamentalmente evangelico. A me pare invece che non lo sia
gran ché, né teologicamente né politicamente.
Non lo è teologicamente perché lo
evangelo non invita alla a distanza »
sia pure « critica » ma al contrario alla vicinanza, alla partecipazione, al limite aH’identificazione. L’unica distanza critica che l’evangelo raccomanda è
quella dal male. Ma la storia, per noi,
non è il male, è il campo delle nostre
responsabilità. Cosi c’è veramente da
chiedersi se la posizione di « distanza
critica » che vuoi accreditare come
quella che consente il maggior impegno evangelico nella storia, non sia
invece una posizione di effettivo disimpegno evangelico nella storia.
Sul piano politico, la posizione di
n distanza critica », nella sua pretesa
di imparzialità e indipendenza, finisce
sempre per sfociare in un appoggio,
critico fin che si vuole, allo stata quo.
Si tratta cioè, fondamentalmente e nei
fatti, di un atteggiamento politico conservatore. Il che, francamente, nella
situazione in cui ci troviamo, non mi
pare il meglio che un cristiano possa
fare. Paolo Ricca
disimpegnato e meno partecipe di altri.
Il problema è: quale impegno? quale
partecipazione? per quali scopi? con
quali mezzi? Certo, la storia non è il
male: ma neanche il Bene, mai e in
nessun luogo geografico o politico: perciò la nostra partecipazione di cristiani corresponsabili non potrà che essere
sempre e ovunque critica, aiutandoci
gli uni gli altri ad essere veramente
critici, cioè non a senso unico.
G. C.
Armi
Villar Pellice, 16.12.1973
Francamente, non mi considero più
Caro direttore,
vengo con ritardo a far certe considerazioni su una lettera pubblicata
sul n. 30/11 intitolata «Cile rosso»
a Porosa. Lo faccio di proposito cosi
tardi perché volevo vedere se c'era
qualcun’altro che rispondeva. C’è stata la risposta del Past. Rostagno. ma
rispondeva solo a certi quesiti di ordine pratico. Io dico però una cosa:
nel voltantino citato si leggeva, fra
l’altro, che il movimento promuove la
raccolta di fondi per l’invio di armi.
Ora a me si pongono due domande.
Forse che i nostri partigiani « Valdesi » non ricevevano armi e aiuti? Forse che i nostri antenati che lottavano
per la libertà (libertà religiosa e anche
civile) non ricevevano armi? Pare proprio che ne ricevettero e penso che ai
donatori era parso giusto che essi lottassero per la libertà e non si erano
posti certe questioni. Anche se il fornire e l’adoperare armi (cioè uccidere)
è contrario all’Insegnamento Divino,
per la malvagità degli uomini non possiamo escludere questa possibilità, che
può essere deprecabile fin che si vuole
ma che esiste.
Cordiali saluti
Gioele Garnier
3
21 dicembre 1973 — N. 50
pag. 3
Non si toglie nulla alla sovranità di Dio raccontando l’origine della vita in terrriini di interazioni fra atomi e descrivendo la nostra vita psichica con il linguaggio
della biochimica e dei calcolatori
L’origine della vita
Con un processo analogo a quello con cui i nostri antenati di tre secoli fa dovettero affrontare la sconvolgente scoperta copernicana, assistiamo oggi ai un altra
rivoluzione scientifica dai profondi risvolti filosofici; il grande sviluppo della biologia molecolare che interpreta il fenomeno della vita nei suoi meccanismi fondamentali e mostra la continuità fra « mondo materiale » e « mondo vivente »
IMMAGINI DELLA VAL PELLICE, UN FOTOLIBRO DI GUIDO ODIN
La pietra e la voce
Non è difficile immaginare lo stupore e lo sgomento con
cui i nostri antenati tre secoli fa appresero che la Terra,
da loro creduta centro dell’universo, era in realtà uno dei
tanti pianeti che girano intorno agli innumerevoli soli esistenti. E con un processo in qualche modo analogo, noi
assistiamo nel nostro tempo a un’altra rivoluzione scientifica dai profondi risvolti filosofici: è il grande sviluppo della biologia molecolare, che interpreta il fenomeno vita nei
suoi meccanismi fondamentali, e nel mostrare la continuità
fra “mondo materiale" e "mondo vivente", propone una
serie di schemi per spiegare la nostra natura in base alle
proprietà degli atomi e delle molecole di cui siamo fatti.
L’opposizione alla scienza da parte dell autorità religiosa nel Seicento, o se vogliamo, le critiche mosse alla teoria dell’evoluzione da parte degli ambienti ecclesiastici nel
secolo scorso, e infine le perplessità di molti cristiani di
oggi ad accettare una visione materiale e meccanicistica
della natura e della vita, scaturiscono da uno stesso equivoco di fondo: credere cioè che la Bibbia vada intesa alla
lettera, come un grande manuale che spiega il nostro esse
re nei suoi vari aspetti, mentre essa è un’indicazione della
volontà del Signore, che ci mostra una via da seguire, senza per questo rinunciare all’uso della nostra ragione per
capire la nostra realtà e le leggi che la regolano. È neces
sario che i cristiani sappiano che noti si toglie nulla alla
sovranità di Dio nel raccontare l’origine della vita in termini di interazioni fra atomi, e nel descrivere la nostra
vita psichica con il linguaggio della biochimica e dei calcolatori. E l’uomo primitivi che attribuisce a un dio ciò di cui
non sa dare una spiegazione. La nostra fede deve piuttosto
essere una scelta cosciente: valerci delle nostre possibilità
per essere al servizio del nostro prossimo alla luce dell’amore di Cristo.
Per introdurre sul nostro giornale uno scambio di idee
su questi problemi, si è pensato di presentare, in primo
luogo, un quadro delle nostre attuali conoscenze, e poi di
discuterne il significato. In particolare,^ ci sono tre punti
su cui soffermarsi: l’origine della vita, l’evoluzione e la posizione dell’uomo nella natura.
P. C.
Un libro come questo, la Claudiana
non ce l’aveva ancora dato. E molti, e
non soltanto nelle Valli Valdesi, ne sar 'iino grati all'editore e agli autori, tre
valdesi: un fotografo, profondamente
innamorato delle sue valli, un pastore,
che condivide questa passione e la filtra attraverso la sua maturazione storica e teologica, una poetessa che, pur
non avendo molto da spartire « secondo la carne » con le Valli Valdesi, ha
saputo penetrare la poesia delle immagini fotografiche e trasfonderla in un
prosa poetica che le accompagna e le
sottolinea.
Guido Odin, nato a Angrogna nel
1937, pittore autodidatta con già molte affermazioni al suo attivo, in Italia
e all'estero, fotografo professionista di
alto valore: una sua personale di fotografie sul Terzo Mondo alla Galleria
C’è stato un tempo nel quale la Terra non esisteva in quanto tale, e la materia che in seguito l’avrebbe costituita subiva trasformazioni e processi che
l’aggregavano e la disperdevano nei
meandri della nebulosa primitiva dove
la temperatura era tale che la materia
stessa era tutta in forma gassosa. Valutiamo l’età della Terra sui quattro
miliardi di anni e mezzo, e l’età della
Via Lattea è circa quattro volte tanto.
Osserviamo che tutte le galassie si allontanano da noi con una velocità tanto più grande, quanto più esse sono distanti, e questo dà l’idea di un’esplosione iniziale, dopo la quale le schegge continuano a volar via in tutte le direzioni. Continueranno ad allontanarsi? O si ricondenseranno in un’unica
massa? O forse l’universo è stazionario, e mano mano che esso si espande
nuova materia viene prodotta, affinché
la sua densità sia sempre la stessa?
Mentre molti scienziati lavorano su
questi temi, altri studiano e sperimentano per capire quali eventi avviarono
la vita sulla Terra, e quali strade furono imboccate dai primi organismi viventi. Si tratta di ricerche difficili, nelle quali ci sono pochi « documenti >
attendibili (rari depositi fossili e tracce di certi processi chimici fissati nelle rocce), e molto spazio per le congetture. Infine, impiantare laboratori che
simulino le condizioni dell’atmosfera e
dell’oceano primitivo, è complesso e
costoso.
Diversi fra i 92 elementi della natura sono coinvolti nella struttura degli
organismi, ma quattro, in particolare,
sono di gran lunga i più frequenti:
l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto e il carbonio, che sono anche i più piccoli
atomi che formano dei sistemi stabili.
Un legame fra due atomi li rende più
stabili che quando essi — non uniti —
un po’ si attirano e un po’ si respingono. Inoltre, se gli atomi sono piccoli, possono dare origine a legami multipli, cioè a strutture più complesse.
Nell’atmosfera primitiva si trovavano varie sostanze gassose, come l’idrogeno, il metano, il vapor d’acqua, l’ammoniaca, e su di esse le radiazioni del
sole, le scariche elettriche ed il calore
avviavano continuamente reazioni di
sintesi. Contemporaneamente, gran numero di molecole erano portate agli
oceani, che occupavano anche allora
una larga parte della superficie del pianeta. L’imponente flusso di energia poteva, come dimostrato in laboratorio,
mettere le piccole molecole (metano:
1 carbonio e 4 idrogeni; ammoniaca:
1 azoto e 3 idrogeni; acqua: 1 ossigeno
e 2 idrogeni) nelle condizioni di raggrupparsi per formare composti più
grandi e complicati. In particolare, si
è visto che in queste condizioni possono comparire alcuni aminoacidi.
Gli aminoacidi sono una famiglia di
composti, di cui venti sono presenti in
tutte le forme viventi, dai microorganismi all’uomo; come i mattoni forrnano gli edifici, così essi sono costitutivi
delle proteine, che a loro volta sono i
costituenti delle cellule. Quello che è
interessante è che, come con le 21 lettere del nostro alfabeto si possono scrivere le innumerevoli parole della lingua italiana, così riunendo gli aminoacidi insieme a formare delle lunghe
catene possono aversi proteine di varie dimensioni e composizione, in numero teoricamente illimitato, e praticamente assai elevato. La costruzione
di una cellula funzionante è dunque la
giusta scelta delle sequenze di aminoacidi per sintetizzare le proteine che
formeranno le strutture (associandosi
anche con grassi e zuccheri), come
membrane, setti, organelli, e anche le
proteine che regoleranno le funzioni:
queste dovranno avviare reazioni, consentire la respirazione, e soprattutto
catalizzare, cioè porre particolari sostanze in grado di subire determinate
trasformazioni. Data la complessità
della loro natura, le proteine sono altamente specifiche, e per la forma che
hanno, nelle tre dimensioni, possono
legarsi solo in certi modi con composti adatti. Una cellula deve sintetizzare un gran numero di proteine che, con
ammirevole divisione del lavoro, raggiungano ognuna il proprio scopo.
A dirigere questa essenziale attività
di sintesi è necessario un progetto, che
contenga l’informazione di cui si ha bisogno, cioè quanti e quali aminoacidi
radunare e in una forma non equivocabile. Il progetto è iscritto in una catena formata da moltissimi tratti, tutti con uno zucchero, un fosfato, gli
stessi in ogni segmento, e poi una base azotata, per la quale esistono quat
a nonviolenza non ha cessato di acquistare influenza neU’opinione media delle Chiese fra le due guerre e sopratutto dopo la
guerra del 1939-45. Senza duhhio, con il loro esempio e la loro
predicazione i nonviolenti hanno mutato l’orientamento psicologico
di una gran parte dei cristiani. Sarebbe quasi impensabile, oggi, riprendere in una nazione cristiana la formula tedesca Goti iritt utìs
(incisa sulla fibbia del cinturone dei soldati tedeschi nel 1914). Non
si crede più di fare una ’’guerra cristiana , né che la guerra sia destinata a difendere la cristianità (l’ultima volta che questo tema è
stato usato, lo è stato da parte del governo di Vicby, nel 1940-41) né
che Dio sia con i nostri eserciti.
Ciò che però si può lamentare è che talvolta, negli ultimi anni,
vi è stata una sorta di selettività della nonviolenza, cioè una politicizzazione. Molti nonviolenti francesi, ad esempio, si sono impegnati in una linea politica: si era nonviolenti per protestare contro
la guerra d’Algeria, ma non ci si occupava delle violenze commesse
dal FLN. Si è nonviolenti contro l’intervento americano nel Vietnam,
ma non ci si interessa delle violenze praticate dai Vietcong e sopratutìo delle conseguenze di un governo comunista sull’intero Vietnam,
quando si sa benissimo quali sono state le violenze commesse nel Nord,
specie contro i Nordvietnamiti cattolici, e che dopo l’insediamento del
governo comunista nel Vietnam del Nord vi sono state sicuramente
più vittime, a causa sua, di quelle fatte dalla guerra in corso, per
quanto atroce essa sia.
In altri termini, se la nonviolenza è impegnata, senza essere
partigiana, si conserva autentica; in caso contrario, si riduce a mezzo
di propaganda.
Jacques Ellul
(da « Contre les violents ». Le Centurion, Paris 1972).
tro possibilità. Una catena di questo
genere è un acido nucleico, e ogni tre
segmenti, caratterizzati dalle basi che
vi compaiono, sono la « sigla » di un
aminoacido. La scelta dei pezzi per costruire le proteine si ha dunque scorrendo il filamento di acido nucleico, e
vedendo come le quattro « lettere »,
cioè le basi, formino tante paroline di
tre lettere ognuna. Esistono due tipi di
questi acidi: l’uno, il DNA (o acido desossiribonucleico) rimane sempre nel
cuore delle cellule, detto appunto nucleo; esso ha l’aspetto di una doppia
elica, cioè è composto da due filamenti avvolti l’uno sull’altro. A intervalli
regolari, i due filamenti si staccano, ed
ognuno di essi si riappaia con un nuovo filamento complementare ottenuto
montandolo pezzo a pezzo valendosi
dei numerosi frammenti sempre presenti nel nucleo. Il passaggio dalla
condizione a una doppia elica alla condizione di due doppie eliche uguali significa che ognuna di esse potrà dirigere il funzionamento di una cellula.
Ecco che l’informazione può raddoppiarsi, e la cellula primitiva può diventare due cellule, ognuna col suo
progetto fissato nell’alfabeto del DNA
del nucleo, e intorno ad esso una regione dove avviene la sintesi delle proteine, lo spazio del citoplasma. Nel citoplasma non verrà direttamente il
DNA a dirigere le operazioni di sintesi
delle proteine, ma manderà un suo
« stampo », dalle caratteristiche chimiche leggermente diverse, ma che parla
la stessa lingua, ossia indica quali aminoacidi unire per fare le proteine. Questi è l’acido ribonucleico, meglio noto
come RNA.
Presumiamo che gli acidi nucleici e
le proteine si siano formati parallelamente nell’oceano primitivo. Si è detto
che qui « piovevano » piccole molecole
di vario genere e c’era un grande flusso
di energia per avviare le reazioni. Una
sottile pellicola, uno strato di molecole ricopriva l’acqua. Movimenti meccanici potevano farla ripiegare e formare piccole sacche della grandezza di
qualche millesimo di millimetro, che
andavano un po’ sotto la superficie,
dove non arrivavano le radiazioni ultraviolette che le avrebbero demolite.
È in queste piccole sacche che devono
essersi incontrati gli aminoacidi, che
potevano entrarvi, e i pezzi costitutivi
dei futuri acidi nucleici. In questi spazi ¡imitati, dove gli urti fra molecole
erano più probabili che fuori, col passare del tempo si sarebbero organizzate proteine prima brevi e poi lunghe,
e contemporaneamente tratti di acido
nucleico sempre più complessi. Infatti
l’acido nucleico guida l’unione dei vari
aminoacidi, e questi a loro volta facilitavano allora la duplicazione del suo
filamento, che ora invece avviene in
modo automatico. Un piccolo effetto di
catalisi, cioè di facilitazione di una reazione, proiettato su tempi molto lunghi, ha probabilmente consentito le
due funzioni fondamentali della vita:
la trascrizione da una generazione all’altra di un progetto, fissato nel DNA,
e la sua realizzazione, cioè la costruzione di un determinato ordine molecolare capace di portare avanti un gran
numero di funzioni. Le piccole sacche
dell’oceano primitivo sarebbero dunque state le prime cellule viventi, tese
nel duplice lavoro di costruirsi e, dopo la duplicazione del proprio programma, replicarsi in due copie uguali
che si divideranno a loro volta.
Fenomeni di questo tipo avvennero
più di tre miliardi di anni fa; la vita
era innescata, restava da vedere che
direzioni avrebbe imboccato.
Pietro Comba
IMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
■ A lamoussoukro, nella Costa d’Avorio, è
stato costituito il primo istituto panafricano per le ricerche storiche, umane e culturali e per la documentazione politica delle
tic epoche: precoloniale, coloniale e postcoloniale; lo scopo: dare ai giovani africani gli
strumenti per approfondire la cultura africana nella linea négritude-autenticità-identità.
d’Arte moderna di Torino (1972) lo ha
segnalato all’attenzione della critica
come uno dei migliori ritrattisti e paesaggisti del momento. Ci dà, in questo
bel libro, una scelta stupenda di 28 fotografie a colori e 50 in bianco e nero.
La natura, dolce e rude, il lavoro, fra
l’idillio e la durezza, il tempo, ieri e
oggi, e i ritratti, che sollecitano a essere più attenti, nel viver quotidiano,
alla dignità e alla bellezza di volti che
incontriamo distratti, infine, non ultima, la vita della fede per schivi accenni. Come scrive Giorgio Tourn a conclusione della sua introduzione: « A
tutti coloro che già hanno incontrato
questi luoghi e la loro vicenda, le pagine che seguono recheranno poche immagini inedite ma non poche occasioni di ripensamento, scorci nuovi su cose amate e sentite. In coloro che per la
prima volta vengono così introdotti in
un mondo nuovo, non potrà che sorge
re il desiderio di penetrarne più profondamente l’animo, proseguendo per
proprio conto il cammino aperto da
Guido Odin con tanta sensibilità e partecipazione ».
Giorgio Tourn, che fin dagli anni di
studio, alla Facoltà di Teologia, ricordiamo per la sua partecipazione profonda, sofferta e fiera, penetrante e appassionata alla realtà umana e alla vocazione protestante, ai drammi e alle
contraddizioni delle nostre Valli, ha
scritto da par suo una diecina di pagine scarne e intense, in cui è riuscito
a sintetizzare un mondo di cose, andando per successive concentrazioni
dell’osservazione: la natura, l’ambiente; il mondo umano; la vicenda di fede. Il segreto di queste valli ’diverse’
— se pur fortemente minacciate, dall’esterno e dall’interno, in questa loro
’diversità’ — si dischiude un poco all’osservatore attento, in ascolto.
Rita Gay ha ben saputo penetrare in
profondità da un lato nel mondo poetico delle immagini, e tradurlo in forti
parole evocatrici, dall’altro nella vicenda di fede di cui queste valli sono state
e sono teatro, e anche a questa dare
espressione scarna ed essenziale, partecipe perché in comunione. Citiamo
questo ’commento’ a una tavola in cui
si affiancano le conifere e uno dei modesti monurnenti che qua e là si trovano nelle Valli, quello di Sibaud:
Gli eretti tronchi, le fronde svettanti
espresse dall’umiltà delle zolle
hanno guidato la mano dell’uomo
nell’inventar e architetture spoglie
tese in preghiera.
In lineare essenzialità
s’alza la breve sfida biancheggiante
della pietra compatta,
come una sfrecciarne allusione
al patto di Dio.
Infine, l’editore. La cura tipografica
fa di questo volume un piccolo gioiello.
Mia Carlo Papini non si è affatto limitato a questo pur laborioso e artistico
aspetto della pubblicazione: l’ampia
serie di didascalie, raccolte a fine volume, che illustrano le varie tavole —
cui l’editore ha aggiunto 22 stampe antiche, alcune inedite — costituiscono
una preziosa serie di indicazioni, che
talvolta si ampliano a vere e proprie
note storiche, utili a tutti, e particolarmente a chi si avvicinerà per la prima
volta a questo ’piccolo mondo’.
Sottolineando l’intento del fotografo
e dando voce alle immagini, commentatori e curatori hanno fatto di questo
libro non un semplice volume d’arte e
di folklore, ma in qualche misura una
testimonianza, il momento etico (e teologico) prevale, senza soffocarlo, su
quello estetico. Anche di questo, grazie
a tutti.
g- c.
La pietra e la voce. Immagini della Val
Penice. Fotolibro di Guido Qdin, introduzione di GioA'gio Tourn, commento di Rita Gay, note dell’editore.
Grande album di 80 pagine, rilegato
con sovracoperta, 28 illustrazioni a
colori, 50 in nero e 22 stampe antiche. Claudiana, Torino 1973, L. 6.500.
Fino al 20 gennaio 1974, prezzo di
favore: L. 5.500.
Letture Vallecchi
per i nostri ragazzi
Quest’anno Vallecchi ha finito di
pubblicare la trilogia di Astrid LindGREN dedicata a Kalle Blomkvist, il ragazzo che insieme ai suoi amici e nemici riempie di avventure piene di suspense, ma anche di buon umore, di
fine senso morale, di lealtà, questi
volumi moderni, veramente belli, che
fanno parte di quella schiera di
libri solidi che vorremmo accompagnassero i primi anni di tutti i
ragazzi. Astrid Lindgren è una svedese
e i circa cinquanta libri che ha scritto
per i ragazzi, tradotti dappertutto, le
hanno fatto raggiungere la fama di una
Alcott, di una Beecher-Stowe, di una
Lagerlòff. La trilogia è composta di:
Kalle Blomkwist U grande detective S.O.S. per Kalle Blomkwist - Kalle
Blomkwist e i gangster. In ognuno dei
tre è raccontata una estate di Kalle e
dei suoi amici, ma in ogni libro i ragazzi protagonisti crescono, agiscono con
più maturazione, così che l’ultimo libro
SI chiude col rimpianto che la storia
finisca, perché finisce anche la loro infanzia. L’edizione è molto curata. I libri costano rispettivamente L. 2.600,
2.800, 3.000.
Vallecchi propone inoltre la Collana
« 8-13 », che è quella mutevole età in
cui i ragazzi cambiano rapidamente di
interessi: ad essi appunto la Collana
vuole rispondere. Qgni volume costa
L. 1.800. Abbiamo già segnalato J.
Grant, Pokonaso, il ragazzino vissuto
almeno 180.000 anni fa, fra gli uomini
di Neandertal, dei quali e degli ominidi loro contemporanei, scopriamo qui
alcune notizie, scientifiche; E. Allen,
Le chiavi di casa con i problemi dei
figli di genitori che lavorano fuori casa, ragazzi che vivono nella civiltà del
cemento.
Segnaliamo ancora Girotondo Veneziano, di E. Libenzi, un giovane scrittore milanese che invece di seguire la
trama lineare classica del libro per ragazzi, usa uno schema da libro di adulti, cioè un sovrapporsi continuo di vicende, un vero girotondo che tien viva
l’attenzione. La storia mentre diverte,
ha il vantaggio di essere qua e là interrotta da una carrellata di notizie storico-geografico-artistiche sulla bella città
che ora è in condizioni tanto critiche.
Zolfanello di E. Lilleg, una giornalista austriaca, è la commovente storia di un trovatello che, girando il mondo con un amico e alcuni animali parlanti, trova il suo bene più caro. Il leitmotif della favola è la ricerca e la gioia
dell’amore.
Piovuta dal cielo di H. Winterfeld è
anch’essa una fiaba moderna. Il titolo
tedesco riprende il primo verso di una
nota canzoncina tedesca del buon tempo antico « vien volando un uccellino »
trasformandolo in « vien volando una
bambina », la quale infatti cade da
un’astronave e visita la terra. Il messaggio del libro vuole essere un messaggio di pace, perché il mondo da cui
viene la bimba ha una civiltà tanto
progredita da ignorare tutto ciò che è
male, guerra, pena. L’autore è un ebreo,
rifugiato in America durante i massacri di Hitler.
Un libro originale è Lo strano trionfo
del professor Capoturbine di N. Hunter: nel giro di 40 anni, l’autore, che è
un prestigiatore e tra l'altro ha vissuto
per molto tempo in Sud Africa, ha
scritto tutta una serie di libri centrati
sullo strano individuo che è il professor Capoturbine e che ebbero in Inghilterra un grande successo televisivo. Si
tratta di libri comici, in cui i personaggi sono un po’ tutta una satira, forse
più comprensibile ai grandi che ai piccoli. Ora l’autore vive a Londra dove
era nato nel 1899.
Berta Subilia
4
pag. 4
N. 50 — 21 dicembre 1973
Che cosa rivela la siccità nel Sahel?
Non si può scaricare tutta la responsabilità sulla
natura matrigna, vi sono pure precise responsabilità
umane, nei paesi ricchi come in quelli poveri
Parigi (soept) — All’inizio di ottobre
il Consiglio ecumenico delle Chiese
aveva lanciato alle sue 267 Chiese
membri e alle loro organizzazioni assistenziali un appello per la raccolta di
tre milioni e mezzo di dollari (oltre
due miliardi di lire) per collaborare
ai programmi di sviluppo della zona
del Sahel che da vari anni è colpita da
una gravissima siccità che ne sconvolge la vita sociale ed economica.
Questa siccità che imperversa soprattutto in sei paesi del Sahel — Mauritania, Senegai, Mali, Alta Volta, Niger, Ciad — da cinque anni ha acquistato dimensioni catastrofiche e ci vorranno fra i cinque e i dieci anni perché questi paesi si risollevino.
Com’è potuto accadere? Come mai
non si sono previste contromisure efficaci, dato che il flagello dura già da
cinoue anni? Ciò è finviitn q miglia rVip
cinque anni? Ciò è dovuto a quella che
si definisce volentieri all’imprevidenza
di ’quei paesi’? Non si poteva informare l’opinione pubblica mondiale di ciò
che stava per accadere? Insomma, la
natura matrigna non è la sola responsabile, vi sono pure responsabilità umane, sia nei nostri paesi ricchi sia laggiù, in quelli poveri.
Che cos’è accaduto nel Sahel?
Si può cercare di capire la situazione attuale di quei sei paesi soltanto se
si situa la catastrofe nel suo contesto
sociale ed economico. Esso è caratterizzato da un grave deteriorarsi, negli
ultimi 5 anni, della situazione climatica. I risultati dell’ultima stagione delle piogge non permettono di sperare
che tale situazione si ristabilisca rapidarnente. La siccità colpisce società in
crisi, nelle quali ¡1 livello di vita è sceso costantemente durante gli ultimi
dieci anni e la cui coesione tradizionale è stata seriamente sconvolta dall’impatto economico e culturale deU’Occidente.
La famiglia tradizionale, che include i genitori, i figli, i nonni, gli zii, i nipoti, si disintegra e la famiglia moderna genitori-figli non costituisce, in genere, una base socio-economica stabile,
poiché si moltiplicano i divorzi, la comunità d’interessi della famiglia è
spezzata rendendo così difficile la cooperazione e la mutua assistenza familiare.
Le difficoltà di vita nel settore agricolo provocano un esodo crescente dei
giovani verso i centri urbani. Tale movimento è accelerato dalla scuola elementare, che spesso insegna il disprezzo della tradizione e della vita rurale.
E rotto il dialogo fra giovani e adulti:
i giovani rifiutano di lavorare nei campi dei genitori, gli anziani rifiutano di
trasmettere la tradizione orale. Sotto
la pressione della monetizzazione crescente e dell’esempio della città, le responsabilità sociali tradizionali diventano sempre più pesanti, sproporzionate al reddito monetario rurale.
L’organizzazione sociale tradizionale
è stata parzialmente distrutta ma non
interamente sostituita dall’organizzazione amministrativa moderna: ne deriva una vera e propria anarchia del
lavoro. Ad esempio, se ci limitiamo al
problema della siccità, vediamo che i
proprietari di greggi non rispettano
più i « corridoi » di transumanza, le foreste sono distrutte, lo sfruttamento
eccessivo della vegetazione da parte
di greggi e armenti porta alla rapida
degradazione del terreno.
La siccità ha conseguenze tanto più
drammatiche — come la fame, la morbilità delle popolazioni e la mortalità
del bestiame — in quanto colpisce i
gruppi sociali più impoveriti dal sistema socio-economico vigente. Infatti
i contadini non hanno i mezzi di risparmiare denaro e s’indebitano cronicamente; il loro risparmio in natura, il
bestiame, è annientato dalla siccità;
mancano di riserve di viveri a causa
deH’impoverimento dei terreni. Devono
inoltre vendere cereali per assolvere ai
carichi fiscali sempre più gravosi. Si
assiste alla proletarizzazione progressiva dei contadini, accelerata dalla siccità, ma causata anche dalle pressioni
economiche, sociali e politiche che si
esercitano su loro.
Le imposte troppo forti accrescono
il rischio di raggiungere il tetto della
redditività delle aziende agricole; se i
contadini non possono acquistare concimi troppo cari e troppo tassati, le loro aziende vengono marginalizzate; il
reddito dei prodotti da esportare è insufficiente e instabile a causa della
fluttuazione dei prezzi dei mercati internazionali. D’altra parte le riserve
insufficienti di semenze non permettono culture intensive, seminando più
densamente, e ciò vale soprattutto per
le arachidi, che sono seminate con
parsimonia. Infine la necessità di liquido, nella stagione delle piogge, comporta l’alienazione di una parte della
forza-lavoro.
La crisi della società, accelerata dalla siccità, si traduce in comportamenti
individuali e collettivi talvolta distruttori, che possono sembrare assurdi e
rivelare una ignoranza delle leggi più
elementari dell’ambiente: distruzione
delle foreste, cultura estensiva, assenza
di riserve da semina etc. Tali comportamenti sono stati messi in questione
dagli esperti, che hanno cercato di mettere in evidenza le ragioni per cui la
regione si va facendo desertica; in
particolare quelli del Comitato inter
statale di lotta contro la siccità nel
Sahel, riuniti a Ouagadougou, capitale
dell’Alta Volta, dal 31 agosto al 12 settembre scorsi.
Come abbiamo visto, questi comportamenti non sono atteggiamenti assurdi e irrazionali di gente ignorante, ma
la risposta talvolta disperata di popolazioni assoggettate a pressioni sociali, economiche e politiche che non sono
in grado di dominare. Sviluppare vuol
dire anzitutto spezzare i meccanismi
del sottosviluppo; aiutare lo sviluppo
vuol dire aiutare i gruppi sociali interessati a prender coscienza di questi
meccanismi e a organizzarsi per vincerli.
La siccità ha distrutto, nei
paesi colpiti, forti percentuali del bestiame : in certi casi, questo costituisce
il secondo cespite di reddito, dopo i'agricoltura, in
altri è addirittura l'occupazione dominante di popolazioni nomadi o seminomadi. Alcune regioni,
come l'Alta Volta e lo
Uollò ( Etiopia ) la mortalità del bestiame ha
toccato e superato i'80%.
Il disastro avrà ovviamente ripercussioni a lunga
‘.N
scadenza, per la lenta e
costosa ricostituzione del
patrimonio animale. Parallelamente, in alcuni
paesi, essendo andato distrutto il raccolto del co*
tone, si profila la chiusura
dì numerose filature.
La siccità, rivelatore di sottosviluppo
e di solidarietà
Tuttavia la catastrofe della siccità ha
fatto da rivelatore per l’opinione pubblica internazionale, che vi ha visto
più che un fenomeno passeggero. Infatti gli effetti aggiunti di 5 o 6 anni
di siccità hanno messo i paesi del
Sahel, già sottosviluppati, in una condizione di sottosviluppo aggravato. Le
cause della siccità hanno rivelato meglio le cause del sottosviluppo.
Dietro l’urgenza della catastrofe, vi
sono le cause permanenti del sottosvi
luppo: mancanza di dighe, di pozzi, di
terreni irrigui, di strade che permettano l’accesso al Sahel, specie nel periodo delle piogge, incendi nella boscaglia,
disboscamento, mancanza di quadri e
di mezzi di formazione.
Si aggiunge la supremazia data alle
colture da esportazione, cotone e arachidi, i cui benefici non andranno necessariamente ai contadini, a causa
delle fluttuazioni dei prezzi internazionali e a causa del fatto che i prodotti
consumati dai contadini, provenienti
dai paesi ricchi, costano sempre più,
mentre i prodotti che essi vendono valgono sempre meno.
La siccità ha quindi rivelato all’opinione pubblica internazionale che bisognava agire a medio e lungo termine
per rimediare alle cause della siccità e
quindi del sottosviluppo. Occorre dunque padroneggiare l’acqua scavando
pozzi nei villaggi, dighe piccole e grandi. Occorre affrontare i problemi alimentari, migliorando le vie di distribuzione dei viveri, i programmi nazionali di colture di bonifica, i piani di semenze, la formazione del personale
per i problemi della commercializzazione e del deposito dei cereali, lo sviluppo delle colture alimentari.
Ma occorre pure sistemare il territorio pastorale regolamentando i pascoli
a circuito e creando punti d’acqua, ricostituendo greggi, lottando contro le
epidemie del bestiame.
Occorre poi creare strade, rifare e
migliorare le piste secondarie, per
strappare il Sahel al suo isolamento.
Occorre proteggere l’ambiente con progetti nazionali di rimboschimento proteggendo le foreste esistenti, creando
vivai. Dei fondi che il CEC raccoglierà
quale risposta al suo appello, un mi
Morti a decine di mioiiaia
fra un siienzio di prestigio
Per quanto se ne sia taciuto a lungo, per ragioni di ’’prestigio nazionale”, la cintura della siccità e della fame non
si è limitata all’Africa centro-occidentale, ma ha raggiunto
l’Etiopia settentrionale: decine e decine di migliaia di morti e distruzioni di campi e bestiame. Eppure, fronteggiato
tempestivamente, il flagello avrebbe potuto essere non
evitato ma limitato.
A stare alle fonti d’informazione, il
flagello della siccità che ha colpito vaste regioni africane pareva concentrato nella zona del Sahel, zona sub-sahariana deH’Africa occidentale e centrale,
dalla Mauritania al Ciad. Solo da alcune settimane è apparso, con drammaticità crescente, che la lugubre ’fascia’ continuava a occidente e che la
siccità aveva anzi uno dei suoi epicentri in due delle province settentrionali
dell’Etiopia, il ’Tigré e il Uollò. Qui a
due anni di raccolti disastrosi si è aggiunta la siccità: in tutta la zona non
ha piovuto da rm anno, in certe località da tre anni!
L’area colpita misura circa 150.000
chilometri quadrati ed è abitata da circa 5 milioni di abitanti (su una popolazione etiopica totale di 25 milioni),
almeno 2 dei quali sono sotto costante
minaccia; la siccità va del resto spostandosi lentamente verso il centro del
paese, la regione scioana. Campi di
miglio, mais e altri cereali (fra cui il
teff, grano locale ad alta percentuale
a) la mancanza di ri'erve d’acqua artificiali
consistenti ;
b) la scarsità di strade,
gravissima nel Uollò, ha
ostacolato seriamente la distribuzione capillare di
grano e medicinali nelle
campagne; famiglie, villaggi di contadini e allevatori hanno dovuto trascinarsi per giornate di cammino (e molti son rimasti per strada)
verso i centri da cui speravano aiuto, e
dove del resto, in genere, le infrastrutture sanitarie e sociali sono insufficienti ;
c) la speculazione ha sfruttato ferocemente il bisogno : il prezzo dei bovini è crollato fino a 7 dollari etiopici
a capo, e se prima la vendita di un bovino permetteva l’acquisto di 4 quintali
di grano, sufficienti a nutrire una famiglia per una stagione, dà settembre
la stessa famiglia riceve per un capo
di bestiame solo 20 chili di grano; il
prezzo del grano è raddoppiato, quello
del sorgo triplicato;
d) la situazione avrà trascichi particolarmente gravi per l’indebitamento
dei contadini senza terra (neisolo Uollò
sono 375.000), i quali devono ai loro
padroni feudali ancora il 50-75% del
raccolto annuale ; al solito, i ricchi
stanno diventando sempre più ricchi e
i poveri sempre più poveri, i ricchi acquistano per un boccone di pane le
terre inaridite e il bestiame che i contadini vendono per la fame e la disperazione.
rispetto a quella dello Uollò); inoltre
il governatore ha disposto, per ovviare
a un’urbanesimo e a una proletarizzazione massiccia, che coloro che hanno
abbandonato le terre vi siano riportati
con un sussidio di grano.
GLI AIUTI ESTERNI
proteinica) bruciati; fiumi, torrenti e
laghi prosciugati; pascoli riarsi; fuga
dalle campagne alle città.
Le perdite umane, secondo l’UNIOEF
si sono aggirate almeno sui 70.0TO morti fra aprile e ottobre, (ma sono stati probabilmente assai più), e dal principio di novembre questi oscillano fra
i 500 e i 1.000 alla settimana. La fame
è aggravata dalle epidemie: tifo, colera, tubercolosi.
Gravissime pure le perdite del bestiame: l’allevamento è, dopo l’agricoltura, la seconda fonte di reddito etiopica; si può valutare che significhi il
fatto che, secondo indagini della FAO,
l’80-90% delle mandrie è andato distrutto, nelle regioni colpite (e la moria ha contribuito, ovviamente, anche
al diffondersi di malattie infettive).
Due fattori hanno reso più grave la
tragedia: la grave carenza delle stnit
ture interne, e il lungo silenzio — per
discutibili ragioni di prestigio — nei
confronti delTopinione pubblica mondiale.
Dal punto di vista interno, ecco sinteticamente alcuni elementi:
Venendo al secondo fattore che ha
reso la situazione nel Tigrè-Uollò più
grave, secondo molti, che nel Sahel, ci
si scontra con un fatto paradossale : il
silenzio in cui il governo etiopico ha
tenuto a lungo chiuso e semisegreto il
dramma che si consumava nelle province settentrionali. Solo raggravarsi
della situazione, la fuga di notizie e
forse il lento avvicinarsi del flagello
allo Scioà, la regione della capitale, ha
spinto il governo a rompere questo silenzio, determinato da un malinteso
senso di prestigio nazionale, ma forse
anche imposto dal fatto che almeno in
parte la regione colpita è quella turistica per eccellenza, in Etiopia, e che
essa attira annualmente molti visitatori, che certo non sarebbero stati invogliati da notizie di morie, epidemie,
etc.
Comunque, questa malintesa fierezza
nazionale, tesa a non oscurare la facciata di quello che si presenta come lo
Stato-guida della nuova Africa, ha senza dubbio costato la vita a molte delle
vittime di tutti questi mesi. In certi
casi sono state scoraggiate persino iniziative interne, etiopiche; come quella
— pare, avversata in un primo tempo
dalle autorità — di studenti che per
un lungo periodo hanno rinunciato alla colazione raccogliendo migliaia di
dollari per l’acquisto di grano che hanno poi portato essi stessi e distribuito
nella provincia di Uollò. Ha fatto eccezione soltanto il governatore del Tigrè, ras Menghesià Seyum, il quale ha
curato il coordinamento e Tintensificazione degli aiuti: distribuzioni di cibo
sono avvenute regolarmente, valendosi
anche di autocarri dell’esercito (sfruttando anche la migliore rete stradale,
Solo alla fine dell’estate, quindi, il
dramma è cominciato a venire alla luce e si sono via via organizzati aiuti
dalTesterno, da organizzazioni internazionali, come la FAO, nazionali (britanniche in particolare) ed ecclesiastiche. La situazione tornerà lentamente
sotto controllo, ma molte migliaia
di morti avrebbero potuto essere evitati; e soprattutto è risultata nella sua
gravità e si è deteriorata una situazione
che del resto preoccupa anche il governo di Addis Abeba: pare infatti che
da tempo esso abbia in progetto una
legge che riduca a un terzo del raccolto
la quota versata ai proprietari terrieri,
ma il progetto si è finora inutilmente
scontrato contro gli interessi dei grandi feudatari che costituiscono ancora
la maggioranaza del parlamento imperiale. Ciò significa che, anche in situazioni ’normali’, centinaia di migliaia di
contadini non sono affatto stimolati a
migliorare e ampliare la produzione, a
curare l’irrigazione, se buona parte del
frutto del loro lavoro va a latifondisti,
spesso lontani, che possono inoltre licenziarli da un momento all’altro, senza preavviso. La siccità ha fatto esplodere una situazione potenzialmente
esplosiva.
E L’APPORTO DELLE CHIESE?
Qual è stato l’apporto delle Chiese?
La (Chiesa ortodossa etiopica, copta,
ccn i suoi 250.000 preti e i suoi 4.000
monasteri si preoccupa essenzialmente
di preparare i suoi fedeli all’eternità;
il suo insegnamento, in cui l’inferno ha
largo posto, dispone gli animi al fatalismo, Le Chiese evangeliche sono una
piccola minoranza, sia pure maggiormente sensibile alle questioni attuali.
Di fronte al disastro, le Chiese si sono
per altro riunite in un « Comitato interecclesiastico di lotta contro la fame »,
e hanno cominciato ad essere sostenute
da varie Chiese europee, soprattutto luterane (la Federazione luterana mondiale ha stanziato un milione di marchi
per un programma d’aiuto, in atto, ai
nomadi dancali delle due province colpite), dagli organi assistenziali del CEC
e della Caritas cattolica. Gli aiuti luterani sono andati soprattutto alla
Chiesa evangelica Mekane lesu. Il bisogno sarà a lungo grave.
fi dati per questa nota sulla siccità in
Etiopia sono tratti da vari articoli di periodici, in particolare quello di Antonello Proto — del quale è pure la fotografia —
pubblicato su «L’Espresso» del 25.11.’73,
e da notizie diffuse da vari servizi stampa
evangelici, in particolare il sepd e il bip).
lione di dollari (600 milioni di lire) serviranno appunto a questo rilancio delTagricoltura, a migliorare le risorse
d’acqua, a creare laboratori e a sviluppare le comunicazioni.
Infine, nel settore sociale, occorre
cercare di raggruppare alcune popolazioni lungo assi strategici, con un’urbanizzazione conseguente all’esodo massiccio dovuto alla siccità.
La catastrofe ha fatto da rivelatore
di una presa di coscienza della solidarietà africana, poiché la lotta contro la
siccità è stata lanciata anzitutto in
ognuno di questi paesi con uno sforzo
di solidarietà nazionale, con campagne
d’informazione e di richiamo alla solidarietà nelle regioni meno colpite, con
percentuali desunte dai bilanci nazionali.
La lotta è poi continuata con l’aiuto
dei paesi circostanti, il Ghana, il Togo,
la Nigeria, l’Algeria; solo dopo questo
sforzo è giunto l’aiuto internazionale.
È pure apparsa la necessità di coordinare l'azione dei sei paesi del Sahel:
nel settembre 1973 è stata firmata una
convenzione che costituisce un Comitato permanente interstatale (CILSS),
con l’incarico di coordinare l’insieme
delle azioni, di sensibilizzare la comunità internazionale, di mobilitare le risorse per il finanziamento di operazioni inter-Stati, di aiutare gli Stati membri a cercare il finanziamento dei loro
programmi. Per tale organismo il CEC
ha stanziato mezzo milione di dollari,
per 5 anni, per programmi di sviluppo
a lungo termine; è già stato messo a
disposizione di quel Comitato un parco
automobile di 20 landrovers e di 3 camion.
È un fenomeno nuovo, questa collaborazione dei sei Stati, e offre un’occasione di più all’unità africana, una sfi
da all’Africa ad assumere il proprio
destino.
Un piano Marshall per il Sahel?
Ne sono testimoni queste parole del
discorso inaugurale della sessione di
settembre del citato CILSS: « Non c’è
dubbio che la via che i nostri contadini. devono percorrere per passare dall’economia di sussistenza all’economia
moderna, è lunga e difficile. Sono necessari una trasformazione radicale
delle mentalità, investimenti considerevoli, rinnovamento delle organizzazioni professionali, un atteggiamento nuovo di fronte ai mercati.
« Questa trasformazione indispensabile non può essere opera dei soli contadini; deve interessare prioritariamente le nostre comunità nazionali. L’insieme delle misure proposte nel settore
delle infrastrutture idrauliche, pastorali e agricole, della formazione dei
quadri e degli agricoltori, della divulgazione e dell’inquadramento esigerà
una mobilitazione attiva di tutte le nostre energie e l’impiego di grandi mezzi
finanziari. Siamo decisi ad attuare questa mobilitazione delle nostre energie,
ma ciascuno sa che i mezzi finanziari
necessari superano largamente il livello delle nostre risorse ».
Perciò la siccità ha pure rivelato la
necessità di un’azione a medio e lungo termine, tanto che il Presidente del
Niger, Hamani Diouri, ha proposto un
« Piano Marshall »: se i paesi fossero
disposti a fornire a quelli del Sahel
crediti, in uo quadro di condizioni analogo a quello del Piano Marshall per la
ricostruzione europea, la riabilitazione
e lo sviluppo indispensabile dei paesi
sahéliani non sarebbero un’utopia. Lanciando quest’idea all’opinione pubblica,
il Presidente del Niger ha fatto sentire
che, di per sé, l’impegno creditizio di
risorse internazionali, a condizioni favorevoli, non è impensabile; e che la
coscienza di potenziali contribuenti
dovrebbe domandarsi una buona volta
se ciò che si è fatto volentieri per l’Europa, venticinque anni fa, non potrebbe essere accettato per una regione
africana.
Achille Lebrun
dell' Uffticio ecumenico
di sviluppo, Parigi
Campo invernale di Agape
Il Cile, la sinistra italiana
e le responsabilità
delle Chiese
Il campo invernale di Agape sarà, quest’anno, dedicato a questo tema. Diretto da Giorgio GardioI e Bruno Rostagno, si svolgerà dal
27 dicembre al 6 gennaio (quota L. 27.000;
lingue : italiano, spagnolo). I temi delle giornate: La politica di Unidad Popolar - L’esercito in Cile - La chiesa in Cile - L’esperienza
cilena nel contesto delPAmerica latina - La
lotta armata del popolo cileno e la nostra solidarietà - Per un’analisi della situazione politica italiana : il PCI e il compromesso storieo - Considerazioni teologico-politiche sui
compiti dei militanti credenti nell’attuale fase della lotta di classe in Italia. Parteciperann ■ militanti cileni e di movimenti rivoluzionari latino-americani.
5
21 dicembre 1973 — N. 50
___________LA CHIESA F T.A SUA MISSIONE NEL MONDO______________^
Nei Paesi dell Est europeo I luterani della Namibia
in letta cantre l'apartheid
BULGARIA: un avvenimento ecumenico
senza precedenti fra i congregazionalisti
Plovdiv (spr) — Un avvenimento ecumenico senza precedenti si è verificato
a Plovdiv il 1" dicembre 1973, quando
per la prima volta nella storia del congregazionalismo bulgaro un metropolita della Chiesa ortodossa bulgara ha
incontrato dei cristiani congregazionalisti e ha pregato con loro.
Il metropolita Pankraty, presidente
del Dipartimento delle relazioni della
sua Chiesa, accompagnato dall’arcivescovo Iriney della Chiesa ortodossa
russa, ha visitato la chiesa congregazionalista di Plovdiv in occasione del
culto al quale hanno partecipato pure
i membri della Commissione di assistenza reciproca delle Chiese (CEC), in
sessione in Bulgaria. I due vescovi hanno parlato dal pulpito, hanno diretto
la preghiera, cantato un cantico ortodosso e benedetto l’assemblea.
Il pastore Assen M. Simeonov, presidente della Chiesa congregazionalista
in Bulgaria, che conta cinquemila membri, ha poi espresso la sua soddisfazione per questa 'prima' ecumenica che,
egli spera, sarà il preludio a molti altri scambi ecumenici in Bulgaria.
JUGOSLAVIA: comunisti
preoccupati per la religiosità
(sepd) Le associazioni distrettuali del
partito comunista e del sindacato operaio della regione jugoslava di Kosovska Vitina hanno pregato la centrale
della loro organizzazione, a Belgrado,
di minacciare l’espulsione a tutti i
membri delle due associazioni « religiosamente attivi ». E quanto riferisce il
servizio d’informazioni greco-ortodosso
« Episkepsis », pubblicato a Chambésy
presso Ginevra, nel suo ultimo numero, riprendendo la notizia da « Politika », di Belgrado, organo del partito
comunista.
I funzionari dell’organizzazione regionale « socio-politica » di Kosovska Vi
tina sarebbero manifestamente preoccupati per il fatto che l’80% della popolazione di quella zona — circa la
metà degli abitanti politicamente e
sindacalmente organizzati — si dichiarano apertamente aderenti al cattolicesimo romano, alla Chiesa serbo-ortodossa o all'islam.
Belgrado (Relazioni Religiose) —■ A
cura della rivista « Kultura » a Belgrado è stato pubblicato, nelle scorse settimane, un volume dedicato alla dottrina di S. Tommaso d’Aquino. Il volume è intitolato: « Tommaso d’Aquino sull’essere e sulla sostanza».
ALBANIA: anche qui, troppi « credenti »
(sepd) Il primo Stato ateo del mondo (così si proclama), l’Albania, intende continuare a procedere attivamente
contro le Chiese. Nel sottosuolo, infatti, la vita religiosa continua. La polizia
segreta ha registrato pellegrinaggi camuffati e ha constatato una religiosità
crescente ne) maggiore porto del paese, Durazzo. Immagini di santi, che
avrebbero dovuto essere consegnate
per essere distrutte, sono venerate in
segreto. Malgrado il pericolo di morte,
dei religiosi in abiti civili hanno visitato famiglie per compiere battesimi e
matrimoni.
In una risoluzione confidenziale del
Comitato centrale del partito comuni
sta albanese sono stati definiti per l’immediato futuro i compiti della lotta
antiecclesiastica. La direzione del partito è deciso a diffondere con tutti i
mezzi l’ateismo. Chi non accetterà l’invito ai « seminari d’ateismo » subirà
rappresaglie poliziesche. Tuttavia all’interno del Comitato centrale alcuni
hanno dichiarato troppo radicali queste misure.
Dal 1967 sono state chiuse in Albania oltre 2200 chiese, monasteri, moschee, consegnate per 1’« utilizzo » alla
amministrazione statale. Secondo i dati più recenti di Tirana, circa il 70%
della popolazione albanese è musulmana, 20% ortodossa e 10% cattolica.
UNGHERIA: i riti socialisti
sostitutivi non hanno seguito
(sepd) Gli atti pseudoreligiosi sostitutivi istituiti in Ungheria — cerimonie
matrimoniali civili, 'assegnazioni del
nome’ e funerali — non hanno successo: la popolazione preferisce i riti ecclesiastici a quelli statali. Sui 95.000
matrimoni celebrati in Ungheria nel
1972 soltanto 11.000 sono stati ’socialisti’; nel medesimo periodo si sono avute solo 5.500 « celebrazioni d’assegnazione del nome », a fronte di 150.000
battesimi cristiani, e ciò malgrado i
genitori che richiedono la celebrazione
civile ricevano un premio di nascita di
500 fiorini (circa 15.000 lire). La rivista
letteraria « Elet es irodalom », che riportava questi dati, si indigna perché
i membri del movimento giovanile comunista « Kisz », che hanno fatto battezzare i loro figli, non sono stati ancora espulsi dall’organizzazione.
Una chiesa tuttora incompiuta
I lavori di costruzione della nuova
chiesa riformata di Erd, presso Budapest, interrotti forzatamente due anni
fa, non hanno a tutt’oggi potuto riprendere, contrariamente a informazioni
precedenti.
Le direzioni ecclesiastiche sono più
vicine alla dirigenza statale che al
popolo delle chiese
I rapporti ufficiali delle varie confessioni cristiane parlano di buoni rapporti fra Stato e Chiesa. Secondo tali
fonti, in Ungheria regna una pace assoluta nei rapporti politico-ecclesiastici. Si ricava anzi l’impressione che fra
le Chiese e lo Stato comunista sia stato raggiunto un alto grado di comprensione reciproco. Al tempo stesso si
constata che da parte ecclesiastica non
viene più ufficialmente alcuna critica
alle misure dello Stato, anche quando
si rivolgono contro la Chiesa.
Ciò dipende probabilmente dalla costituzione delle direzioni ecclesiastiche.
A capo della segreteria della Conferenza episcopale cattolica vi è Geza Akos,
impegnato « prete della pace » e uomo
di fiducia del partito comunista; egli,
sostenuto dall’Ufficio statale per i culti, determina praticamente le decisioni
dei vescovi. Inoltre la maggior parte
dei vescovi sono proposti al Vaticano,
per l’assegnazione alle sedi, dal governo di Budapest ed essi appoggiano
quindi un’ampia collaborazione con il
regime.
Anche rappresentanti delle direzioni
ecclesiastiche evangeliche parlano in
termini molto positivi del regime. Recentemente il vescovo dr. Tibor Bartha,
di Debrecen, presidente del Sinodo generale della Chiesa riformata in Ungheria, in una conferenza tenuta a Colonia ha dichiarato che il lavoro diaconale cristiano, in Ungheria, non è
vietato né ostacolato dallo Stato comunista, ma anzi apprezzato. È vero
che oggi nel paese l’assistenza è stata
largamente assunta dallo Stato e sotto
molti aspetti è condotta in modo esemplare, tuttavia lo Stato rispetta lo spirito genuinamente cristiano della diaconia ecclesiastica e apprezza assai, in
particolare, la cura d’anime agli anziani. « I comunisti non accettano più di
essere a scuola da noi cristiani, ma
quando i cristiani prendono sul serio
le loro norme etiche e agiscono di conseguenza, sono accettati e rispettati dai
comunisti ».
Le dichiarazioni positive nei confronti dello Stato, da parte di cristiani che
si trovano in posizione di responsabilità, sono spesso criticate dal popolo
della Chiesa. Tuttavia questa è forse
l’unica possibilità, per la Chiesa, di
conservare un’esistenza pubblica.
9 I vescovi cattolici ungheresi hanno pregato il card. Mindszenty, ora in esilio, di
rinunciare almeno per ora a pubblicare le sue
memorie, scritte durante i lunghi anni in cui
è vissuto rifugiato nella sede delTambasciata
USA a Budapest. La richiesta è evidentemente mossa dal timore che la pubblicazione nuoccia ai rapporti fra Stato e Chiesa cattolica in
Ungheria. Il card. Mindszenty ha tuttavia
firmato un contratto finanziario con una casa
editrice di Berlino Ovest, cedendole i diritti
esclusivi per la pubblicazione del libro in tutti i paesi del mondo.
9 II penultimo volume del « Commentario
del Giubileo», quello contenente le note ai
libri dell’Antico Testamento da Isaia a Malachia, è appena uscito: l’ultimo, che apparirà
prossimamente, è dedicato agli ultimi libri del
Nuovo Testamento e recherà pure numerose
tavole e supplementi. La preparazione e pubblicazione del « Commentario del Giubileo »
era stata decisa dal VII Sinodo riformato di
Budapest, nel 1967, in occasione del giubileo
calviniano.
9 II Dipartimento della stampa dell’Uificio
sinodale riformato ha pubblicato una nuova edizione, fortemente riveduta e illustrata,
di « La nostra fede e la nostra vita riformata », un libro di testo per le classi superiori
delle elementari (le nostre medie inferiori)
utile pure quale testo preparatorio in vista
della confermazione. L’opera è divisa in
quattro parti : Bibbia e storia della salvezza,
storia della Chiesa, vita della Chiesa riformata ungherese, la Confessione di fede della
Chiesa riformata.
0 Insieme alla Biblioteca distrettuale J.
Kahona e alla Casa editrice Petofi, la biblioteca della chiesa riformata di Kecskemét
ha organizzalo un’esposizione commemorativa
del quinto centenario deH’installazione della
prima casa editrice in Ungheria; l’esposizione
è stata disposta nella neo-costruita sala d’esposizioni della chiesa. I visitatori possono ammirare edizioni bibliche del XVI secolo, edizioni della casa editrice di Debrecen nel XVII
secolo e le prime pubblicazioni diffuse in Ungheria e Transilvania. Invece la « Grande Biblioteca » del distretto ecclesiastico del Transtibisco, a Debrecen, sta preparando una mostra commemorativa del bicentenario della
nascita del grande poeta riformato Mihàly
Csokonai Vitez, che studiò nel Collegio Riformato di Debrecen.
9 Un romanzo di 700 pagine, intitolato « Il
Messia », scritto dal pastore Laszlo Farkas della Chiesa riformata ungherese, è stato
pubblicato da una casa editrice cattolica in
collaborazione con il Dipartimento della stampa dell’Ufficio sinodale riformato a Budapest.
È il secondo romanzo di L. Farkas ispirato alla Bibbia; il primo aveva per titolo « Mose ».
Telegrammi e regimi
Per una svista, ci era sfuggita una notizia diffusa dal bollettino d’informazioni della Federazione luterana mondiale, lo scorso agosto; essa ci è venuta
ora sott’occhio, e ci pare valga la pena di pubblicarla, pur con tanto ritardo.
Eisenach, RDT (Iwf) — Il Comitato ©secutivo della PLM, riunito in questa
città, ha espresso « sincera simpatia » alla Repubblica Democratica Tedesca, all’apprendere il decesso di Walter Ulbricht. Un telegramma, firmato dal presidente e dal segretario generale della PLM, Mikko Juva e André Appel, è stato
inviato al primo ministro Willy Stoph; eccone il testo;
« Riuniti in Eisenach per la sessione della Federazione Luterana Mondiale,
ci ha raggiunto la notizia della morte del primo rappresentante della Repubblica Democratica Tedesca e presidente del Consiglio di Stato, Walter Ulbricht.
In tale occasione, ci permetta di esprimere a Lei e al governo delia Repubblica
Democratica Tedesca la nostra sincera simpatia ».
La sera prima, poche ore dopo l’annuncio della morte di W. Ulbricht, il
Comitato esecutivo della PLM e altri partecipanti alla riunione erano stati
ospiti di un ricevimento offerto dalla Chiesa ospitante, la Chiesa luterana della
Turingia. Nella cerimonia di apertura, gli intervenuti hanno osservato un momento di silenzio, in ricordo del leader della RDT scomparso.
L'esecutivo della FLM sa essere giustamente severo, in certi casi, nei confronti del regime autoritario al potere in questo o in quel paese; ricordiamo, in
particolare, il rifiuto di tenere l’ultima Assemblea della FLM in Brasile. Ora,
Walter Ulbricht è stato l’uomo del muro di Berlino, un leader stalinista, a cui
risale la responsabilità dell’uccisione di tanti tedeschi orientali che tentavano
la fuga in occidente, un duro del regime e della guerra fredda, un Foster Dulles
d'oriente. La "sincera simpatia" dell’esecutivo della FLM era sincera? Ne dubitiamo. Se non lo era perché mentire (il vostro sì sia sì, il vostro no, no; il di
più viene dal maligno)? E se lo era, quale lucidità evangelica attribuire a responsabili che si pronunciano 'in buona fede’ in questi termini? Riteniamo essersi trattato dell’omaggio di prammatica al regime del paese ospitante; e poiché la nostra Chiesa Valdese ha al suo passivo, in epoca fascista, telegrammi al
regime, non sta a noi ergerci a giudici virtuosi e giusti. Tuttavia, il fatto va notato:. una ’presenza’ politica che è stata una ’assenza’ evangelica. C’è da sperare che nel momento di silenzio qualcuno almeno abbia ricordato anche le vittime dell’uomo cui si ripensava con ufficiale “sincera simpatia".
G. C.
9 II governo di Praga ha vietato la vendita
in Cecoslovacchia di croci, rosari, medagliette etc.; l’intera produzione di questi oggetti dovrà essere esportata (la valuta straniera è pregiata...).
9 Secondo informazioni pervenute via Hong
Kong all’Agenzia Relazioni Religiose, il
vescovo anglicano cinese Ting Kwang Hsun
è stato cooptalo fra i membri del Comitato
Rivoluzionario di Nanchino.
Nella regione deU’Africa australe chiamata In termini coloniali Africa del
Sud-Ovest e In termini africani attuaU Namibia, l’evangelizzazione è stata, da
oltre un secolo, opera deUa Missione luterana finlandese. Un missionario originarlo del Baltico, C. H. Hahn, che per conto della Missione Renana aveva lavorato a lungo fra gli Hereros^ (un gruppo etnico dell’Africa australe) sollecitò
nel 1967 la Società missionaria finlandese ad avviare la missione nel territorio
degli Ovambo, a nord deUa regione, allora colonia tedesca. Agli inizi il lavoro
fu difficile e solo nel 1883, a quattordici anni dall’invio dei primi missionari, furono battezzati 1 primi cristiani. A partire dal 1890 1 frutti presero però a maturare, e dopo il 1919 la crescita dei membri di chiesa fece un balzo. Nel 1928
l’opera fu estesa al territorio degli Okavango, più a oriente. Intanto nel 1923
erano stati consacrati 1 primi pastori indigeni e si andava costituendo la Chiesa
luterana Ovambo; questa acquistò però la sua autonomia solo nel 1957, e
nel 1957 fu riconosciuta come ente di
diritto dal governo sudafricano.
Dopo il primo conflitto mondiale, infatti, alla Gran Bretagna era stato affidato 11 mandato sul territorio già colonia tedesca, ed essa lo esercitava tramite I’ammlnistrazione sudafricana. Al
costituirsi della Repubblica sudafricana (1961, con distacco dal Commonwealth britannico), il governo di Pretoria conservò, contro il voto delle Nazioni Unite, la amministrazione di questo vasto territorio abitato da circa
650.000 abitanti, inclusi 1 circa 75.000
bianchi; esso fu dunque in pratica incorporato dalla Repubblica sudafricana, a causa del suo ricchissimo sottosuolo, e il regime sudafricano vi applicò rigorosamente la sua politica di
apartheid.
Intanto la Chiesa indigena andava
crescendo e maturandosi. Nel 1968 — secondo le statistiche di cui disponiamo
— essa contava 41 chiese con 170.000
cristiani battezzati (circa i due terzi
della popolarione deUa regione), 3.000 catechisti, 84 pastori africani, parecchie
diecine di missionari (pastori, inseg;nanti, medici, infermieri, uomini e donne;
ora U numero di questi missionari, per lo più finlandesi, è diminuito, poiché U
governo ne ha espulsi diversi e non ha accordato U visto d’entrata ad altri, dato
che essi difendono 1 diritti umani deUa popolazione indigena, come abbiamo già
alcune volte documentato qui). Un missionario, M. Rautanen, dopo oltre 50 anni
di vita fra gli Ovambo, ha tradotto l’intera Bibbia in ling;ua ndonga, e neUa stessa lingua è stato pubblicato un innario, un testo di catechismo, vari libri di lettura; due volte al mese appare un giornale della Chiesa, iUustrato, con una tiratura di 6000 copie. Nel 1963 la Chiesa — il cui attuale nome ufficiale è « Chiesa evangelica luterana degli Ovambo-Kavango » e che dal 1961 è membro deUa
Federazione Luterana Mondiale — ebbe U suo primo vescovo sudafricano. Quello attuale è Leonhard Auala; di lui abbiamo già parlato, poiché sta guidando
con coraggio la sua Chiesa nella lotta — nonviolenta, finora — contro la politica sudafricana di apartheid. Lo si può vedere nella foto, nel momento in cui
riceveva, alcuni anni fa, il dottorato honoris causa dal decano della Facoltà teologica luterana di Helsinki. E questi sarebbero esseri ’inferiori’! Nostri frateiti,
spesso avanti a noi.
La Namibia è concupita per
il suo ricchissimo sottosuolo;
specie in certe regioni, vi
sono grandi possibilità di
sviluppo sia industriale sia
agricolo. Essenziale, a tali
scopi, l’acqua: di qui l’accordo, osteggiato dai movimenti di liberazione africani, con l’Angola per la costruzione della diga sul Cu
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nene, analoga a quella di Cabora Bassa,
nel Mozambico; due
iniziative volte a consolidare la presenza e
il predominio dei
bianchi.
Una consacrazione pastorale storica
in una chiesa di Taiwan
Taipei (spr) — Storica senza dubbio,
la data del 1® novembre u. s., quando
per la prima volta un uomo di una tribù della montagna è stato consacrato
al pastorato nella Chiesa presbiteriana
in Taiwan (Formosa) e insediato in
una delle chiese delle « pianure ». E il
pastore Hsien Ming-wu, della tribù
Pyuma, oggi pastore di una chiesa di
cento fedeli a Meilun, sulla costa orientale dell’isola.
La Chiesa presbiteriana a Taiwan,
con i suoi 70.000 membri attivi e un
totale di 170.000 membri, è la maggiore Chiesa protestante dell’isola. Il 55%
dei membri si trovano nelle chiese delle pianure, mentre il 45% in circa 400
chiese di montagna e appartengono a
dieci tribù distinte, ciascuna con la
sua lingua o dialetto.
Uno dei maggiori problemi, per questa Chiesa, è la crescente penuria di
vocazioni pastorali. Per affrontarla, si
sono dovute raggruppare più chiese; e
in numero crescente pastori originari
delle tribù montane vanno a lavorare
nelle chiese di pianura.
La Chiesa presbiteriana a Taiwan organizza attualmente in tutta l’isola una
carnpagna di formazione di responsabili, con l’appellativo « movimento del
servo fedele », campagna tendente a
trovare, con la ricerca e la sperimentazione, nuove forme di missione e di
Servizio.
CONTRO
LA PENA
DELLA FRUSTA
NELLA REGIONE
OVAMBO
(soepi) — Il vescovo coadiutore anglicano Richard Wood del Damaraland
in Namibia ha ottenuto dalla Corte suprema la sospensione della pena della
fustigazione pubblica. Nella sua azione è stato sostenuto dal vescovo nero
Leonhard Auala, presidente della Chiesa evangelica luterana unita dell’Africa
del Sud-Ovest (Namibia) e dal vescovo
cattolico-romano R. Koppermànn di
Windhoek. La Corte suprema ha chiesto alle autorità tribali di esporre, entro il 22 febbraio, le ragioni per cui la
pena della fustigazione pubblica non
potrebbe essere sospesa.
Secondo il vescovo Wood oltre cento
persone, fra cui studenti e donne, semispogliate sono state frustate pubblicamente nel corso delle ultime settimane. Il vescovo Auala, in viaggio in
Europa, gli aveva inviato un telegramma chiedendogli di fare i passi necessari presso le autorità affinché si ponesse fine « a queste pratiche inumane
e illegali ».
Il ministro incaricato dell’amministrazione dei bantustans (n.d.r.: le regioni o meglio le ’riserve’ per soli neri),
C. Botha, aveva rifiutato d’intervenire
adducendo il pretesto che la pena della fustigazione era un antico costume
tribale. Il vescovo Auala ha risposto
che in passato coloro che erano puniti
con la frusta erano autorizzati a tenere indosso gli abiti e che la sentenza
non è mai stata eseguita in pubblico.
Molte persone accusano le autorità tribali di fare della fustigazione un’arma
politica.
iniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
0 II pastore Edmond Ferrei, segretario generale dell’Alleanza riformata mondiale,
h.i partecipalo alla Conferenza per l’abolizione della tortura, organizzata dell’Amnesty
International a Parigi, PII e 12 dicembre.
0 Per la prima volta il papa ha ricevuto in
udienza privata, per 5 minuti, una rappresentante del movimento di liberazione della
donna, l’americana Betty Friedan.
6
pag. 6
CRONACA DELLE VALLI
N. 50 — 21 dicembre 1973
Alle Valli oggi
Ricordando il pastore Renato Bertin
Difensori
dolio
e dello
libertà
Nella sua lettera del 13 dicembre a
titolo « Le libere valli del pinerolese »,
il Direttore dell’Eco del Chisone si è
prodotto in alcuni spunti che meritano di essere ripresi.
In un rapido bignamino di storia locale Don Morero riscontra un fattore
che caratterizza la vitalità civica dei
pinerolesi: ieri come oggi. Si tratta della libertà e fierezza di buoni piemontesi, montanari, per i quali il detto "scarpe grosse, cervello fino" si addice con
pieno diritto. Questa libertà e fierezza
Don Morero la vede nei diversi momenti di storia pinerolese, partendo
dalla virtù naturale dei montanari,
scorrendo poi attraverso i secoli di persecuzione dei valdesi, la scintilla antimonarchica dei giovani ufficiali pinerolesi agli albori del Rinascimento, nella
reazione all’età giolittiana, nel Fascismo-Resistenza, per ritrovarla poi nelle svariate proteste dei “granisti" di
oggi.
Se ho capito bene. Don Morero
vuol dire che il suo giornale è l’espressione di questa libertà e fierezza nelle
"libere valli del pinerolese", anzi il suo
giornale contribuisce a che queste “libere valli" restino tali. L’Eco del Chisone aumenta la sua diffusione? Naturale: nelle sue pagine i lettori vedono
nello specchio il loro desiderio di libertà e di fierezza!
Il discorso fila alla perfezione. Forse
per questo non tutto mi convince.
Non voglio certo domandare a Don
Morero se la libertà e la fierezza dei
valligiani sia nata con l’Èco del Chisone e non sia mai esistita prima, né mi
interessa rilevare che il “bignamino"
di storia tracciato è forse un po’ troppo azzardato, perlomeno dove sembra
che l’Eco del Chisone abbia ricevuto
l’eredità di questa libertà e fierezza.
Ciò che qui più mi interessa è il presente; ed è sul presente che vale la pena di proporre alcune verifiche di queste libertà e fierezza di cui si fa difensore l’Eco del Chisone. Mi stupisce un
po’ che Don Morero sprechi parole per
convincere i pinerolesi della loro fierezza; non hanno certo bisogno che la
si solletichi tanto è sulla pelle. Piuttosto, non si chiede in che cosa consista
questa fierezza, se sia veramente qualcosa che vada incoraggiato o piuttosto
ridimensionato (anche se è un discorso che piace meno). E i dubbi su questa fierezza si fanno ben più forti quando si cerca di collegare questa fierezza
pinerolese all’altro "tasto" che dà un
po’ di luce e di contenuto a questa fierezza: la libertà.
La carrellata storica di vita pinerolese da cui Don Morero ricava questo
filone di libertà-fierezza mette, mi sembra, piuttosto in luce una storia di libertà repressa dove è lasciato ben poco spazio alla fierezza: fieri di che cosa? Di essere sempre stati sconfitti?
Non sianto poi così masochisti. L’inno
alla libertà e alla fierezza di Don Morero è quindi un inno fatto di sofferenza, di schiene curvate e non di petti imponenti e ritti, di sconfitte storiche e non di trionfi, di repressione della libertà e non di vittorie.
Non sarebbe più corretto indicare ai
pinerolesi gli errori commessi e subiti
nei loro secolari aneliti di libertà, aiutarli a scovare i colpevoli di questa
repressione di libertà civica piuttosto
che convincerli della loro fierezza, che
continua a subire la repressione di
quel potere politico ed economico del
quale Don Morero dichiara il suo giornale assolutamente sprovvisto?
Il discorso di Don Morero non lascia
forse la porta ben spalancata perché
i pinerolesi si lascino incoscientemente “intruppare come gregge senz’anima
e senza coscienza”, precisamente da
questo inno alla libertà e alla fierezza?
Ma la verifica dell’ambiguità del discorso di Don Morero la vedo più concretamente nei silenzi dell’Eco del Chisone su alcune questioni scottanti e
che toccano molto da vicino il problema della libertà civica, dei pinerolesi
come degli italiani. Perché l'Eco del
Chisone, con la sua grande possibilità
di informazione non spende una parola per informare i suoi lettori degli 8
referendum abrogativi presentati dai
radicali? Perché, dal momento che si
fa difensore della libertà e della fierezza di tutti i pinerolesi, di una informazione « che soddisfi lo spirito con
cui molti, pur appartenendo a partiti
e confessioni diverse, ci seguono »,
lEco del Chisone non si pronuncia in
modo chiaro per l'abrogazione del Concordato, perché non dice finalmente
il suo punto di vista su questi temi
che ledono tuttora la libertà e la fierezza di molti pinerolesi ed italiani?
E non sono questi altrettanti temi
concreti su cui intavolare un serio dialogo ecumenico tanto sollecitato (in
teoria) dall’Eco del Chisone?
Questa è la tastiera su cui deve essere verificata la libertà e la fierezza
dei pinerolesi; e la verifica è tutta da
fare.
La libertà e la fierezza dei pinerolesi
non meritano proprio nessun inno, nessuna esaltazione, neppure sugli accordi
dell’Eco del Chisone.
Ermanno Genre
Le Comunità di Angrogna e Luserna San Giovanni e in particolare la
famiglia dell’Asilo Valdese per persone anziane di San Giovanni, sono state dolorosamente colpite da una grave notizia: il decesso improvviso del
giovane Pastore Renato Bertin, avvenuto nella sua abitazione a Marsillargueh, in Francia e l’incidente accorso
alla giovane sposa Jeannette Garnier,
che ancora adesso la trattiene in
ospedale. Il servizio funebre ha avuto
luogo sabato scorso a Marsillargues
con grandissima partecipazione di
membri di Chiesa e amici, in testimonianza della stima e del grande affetto di cui erano circondati il Pastore
Bertin e la sua sposa.
Renato Bertin era nato ad Angrogna 33 anni fa e fin da ragazzo aveva
maturato una chiara vocazione pastorale. Con fermezza d’animo e grandissimo impegno di volontà, malgrado le grandi difficoltà che aveva dovuto superare, aveva compiuto i suoi
studi e la sua preparazione in Francia
e qui aveva realizzato finalmente quelli che riteneva essere lo scopo della
sua vita.
Da cinque anni aveva iniziato il suo
ministero in Francia nella Chiesa Riformata, ma soltanto quest’anno, nel
mese di aprile, era stato consacrati al ministero pastorale nella sua
Chiesa di Marsillargues. Nel 1968 si
era unito in matrimonio con Jeannet
te Garnier, ben conosciuta tra noi per
il suo servizio di infermiera.
La sua improvvisa scomparsa lascia
dunque ung rande vuoto non solo nella sua famiglia, ma nella Chiesa tutta.
Alla famiglia e alla moglie così dolorosamente colpiti nell’affetto più profondo, esprimiamo tutta la nostra
grande partecipazione nel dolore, ma
anche nella certezza della speranza in
Cristo Gesù.
Egli ci lascia la testimonianza semplice e serena di un ministero vissuto
nella dimensione di una totale consacrazione al Signore e di una rara capacità di contatto umano verso i fratelli.
Ascoltiamo le sue stesse parole pronunziate in occasione della sua consacrazione nell’aprile di quesfanno:
« Il tempo è contato, la condizione
umana è fragile, il passaggio di un pastore è breve qualunque sia la sua
durata: non c’è tempo da perdere. Il
mio lavoro è provvisorio, altri l’hanno
preceduto, altri mi seguiranno. Da qui
i’urgenza di cercare di dare il meglio
di me stesso e aiutare gli altri a cercare di dare quello che hanno di migliore. Da qui la necessità specificamente cristiana di sapermi un anello
di una catena che inizia a Pentecoste
e si conclude nel Regno dei cieli e che
posso comprendere grazie a Natale,
alla Passione, a Pasqua. Da qui l’imperativo specificamente cristiano di as
Nel suo trafiletto redazionale del
14.XII « Il Penice » ha commentato a
modo suo l’assemblea di Pinerolo del
6.XII dedicata ai prigionieri del Sud
Vietnam, a cui è intervenuto il pastore Tullio Vinay.
Si tratta di un giudizio sul fatto e
non di una cronaca, dal momento che
non emerge una sola parola di quanto Vinay ha detto; vien da chiedersi
se chi ha scritto quelle righe sia stato
di persona a Pinerolo, oppure abbia
cercato di indovinare al seguito del volantino diffuso da Agape. Certo è che
il lettore che non sappia cosa realmente è avvenuto in quell’assemblea, al seguito dell’informazione che ne ha dato
« Il Penice » non ne ricava molto e per
di più riceve delle impressioni falsate
rispetto al significato e al contenuto
di quell’assemblea.
Siccome « Il Pellice » attribuisce gratuitamente delle posizioni che non corrispondono alla realtà e smentisce
senza alcuna prova dei fatti che sono
documentati e documentabili, vale forse la pena puntualizzare quanto segue,
lasciando a chi lo voglia di riprendere
il discorso per altre precisazioni.
1. - La denuncia fatta dall’ex ministro irlandese contro l’uso della tortura negli eserciti NATO su cui « Il Pellice» ironizza non è, purtroppo, una
barzelletta di cattivo gusto per incentivare l’acredine contro gli americani.
Il segretario di Amnesty International
Martin Ennals, in una sua lettera in
data 14.XII.1972, indirizzata al generale Andrew J. Goodpaster, comandante
delle truppe NATO di stanza in Europa, denuncia l’accaduto durante le
esercitazioni NATO del novembre 1971
in Belgio « a cui hanno preso parte
truppe degli Stati Uniti, del Regno
Unito, deU’Olanda e del Belgio ». Durante queste esercitazioni « sei commandi belgi catturarono diversi nemici. Durante i successivi interrogatori,
questi ufficiali e soldati furono torturati. Un anno più tardi i torturatori
furono accusati davanti a una corte
marziale belga di azioni violente contrarie alle convenzioni internazionali
dei diritti umani e furono condannati
a pene notevolmente lievi se messe in
confronto con la veemenza del linguaggio usato dalla Corte».
Questo estratto della lettera del segretario di Amnesty international dimostra che c’è stato il processo e che
il fatto non è stato inventato da nessuno. E non sto qui a citare le convenzioni di Ginevra del 1949 dove è detto
nell’art. 3 che la tortura dei prigionieri
di guerra è severamente proibita, né
il trattato firmato nel 1966 sui diritti
civili e politici dalle Nazioni Unite.
In quanto all’ex ministro irlandese
che denunciò il fatto e di cui parlava
il volantino di Agape, si tratta di Sean
Autoservizio Perosa-Perrero-Prali
6,50 13,15 17,40 Perosa Argentina p. 8,50 12,20 19,15
7,20 13,40 18,10 Perrero 9,10 12,40 19,35
7,40 14 18,30 Prali Ghigo a. 9,40 13,10 20,05
nei giorni festi vi è così i modificalo: andata-ritorno Perosa-Prali, L.
CORSE FESTIVE
Frali Ghigo
Perrero
Perosa Argentina
650; andata-ritorno Torino-Prali L. 1.800
Autolinee Alta Val Pellice
PARTENZE DA BOBBIO PELLICE
Feriali: 5,45; 7,10 (pros. per Pinerolo); 10,05— Giornalieri: 7,40 (mere., sabato pros. pei
Pinerolo); 13,30; 17,40 — Venerdì: 9,30; 11 ■— Festivi: 6,45.
PARTENZE DA TORRE PELLICE PER L’ALTA VALLE
Feriali: 6,15; 13,05 (proven. da Pinerolo); 17,05.
Giornalieri: 7,20; 8,25; 14; 19. Venerdì: 10,30; 12.
PARTENZE DA TORRE PELLICE PER RORA’
Venerdì: 8,50; 12.
PARTENZE DA TORRE PELLICE PER ANGROGNA
Venerdì: 8,50; 11.
sumere la mia propria condizione
umana tra gli uomini, sforzandomi di
vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma lavorare come se fosse il
primo ».
Il Signore possa chiamare altri giovani che con la stessa forza di convinzione, la stessa semplicità e serenità
d’animo possano riprendere, come
anelli di una catena ininterrotta, il
lavoro che egli ha deposto.
a. t.
IN POLEMICA CON «IL PELLICE»
SMENTIRE I FATTI?
Mac Bride, presidente di Amnesty International. Fin dal 1948 egli ha svolto
un ruolo internazionale importante
nella promozione dei diritti umani e
nella lotta contro il razzismo- in Aifrica.
Nato nel 1904, ha preso parte ai movimenti di indipendenza dell’Irlanda ;
nel 1947-58 è stato membro del parlamento irlandese; nel 1948-51 ministro
degli esteri dell’Irlanda e vicepresidente deH’organizzazione per la cooperazione economica in Europa; 1949-50
presidente del Comitato dei ministri
del Consiglio d’Europa. È stato uno
dei nomi proposti per la candidatura
al premio Nobel per la pace.
2. - È bene anche precisare che « l’acredine » antiamericana che « Il Pellice » attribuisce a questa come ad altre assemblee è assolutamente infondata. Parlare di anti-America non ha
proprio alcun senso, soprattutto pensando che la maggior parte del popolo
americano condivide la posizione che
è contro l’intervento americano nel
Vietnam. La nostra solidarietà col popolo americano che si è opposto tenacemente ai bombardamenti di Johnson
e di Nixon nel Vietnam è piena. La
crescente protesta che in America ha
coinvolto anche molte comunità cristiane contro la politica dei suoi presidenti è, caso mai, un invito ad ammirare la volontà di lotta democratica del popolo americano contro la
spregiudicatezza e il continuo voltafaccia dei suoi presidenti e uomini politici. Se solo il popolo italiano fosse
capace di tanto!
3. - Il tema dell’assemblea era noto
a « Il Pellice » che lo ha anche stampato in neretto: I prigionieri politici
sud-vietnamiti. La delusione è che l’assemblea si sia attenuta al tema per il
quale si era riunita e non abbia fatto
un appello generale contro tutti i prigionieri politici di tutti i regimi.
Conviene ricordare che Tullio Vinay
era di ritorno da Saigon e non da
un’altra parte del globo ; parlando
della situazione dei prigionieri politici
di Thieu, Vinay non ha certamente
giustificato le prigioni e le condanne
politiche di altri paesi e di altri regimi. Ma se questa ed altre assemblee
sono state centrate sulla situazione
vietnamita è perché non ci è dato di
trovare una situazione, su questa terra, con uguali proporzioni di barbarie.
E spiace anche a noi che la matrice di
questa barbarie provenga dagli USA.
La nostra riconoscenza agli USA che
ci hanno ’sfamato’ nell’immediato dopoguerra,, come scrive «Il Pellice», non
può certo essere tale da farci chiudere
gli occhi sulla morte e distruzione che
con gli stessi dollari Nixon ha portato
nel Sud Vietnam.
ge
Comunità montana
Val Pellice
In seguito alla Tavola Rotonda e all’assemblea svoltesi in Torre Pellice il
24 novembre ed in seguito al lavoro
svolto da una apposita Commissione
di Studio e della Giunta dalla Comunità si è tenuto sabato 15 dicembre un
pubblico dibattito per l’esame e la discussione della Bozza di Statuto della
Comunità, il quale rappresenterà il
documento base per le future attività
della Comunità stessa, chiamata ad
operare per il progresso economico e
sociale della Valle.
In apertura del dibattito, il Pres.
Arch. Longo, sottolinea il lavoro positivo svolto dalla Commissione e dalla
Giunta, e fa presente che la Bozza di
Statuto è stata redatta tenendo conto
dei suggerimenti emersi dalla Tavola
Rotonda del 24 nov., delle ipotesi e soluzioni presentate dai Partiti, Organizzazioni Sindacali ecc.
In linea di massima la Bozza non è
stata oggetto di particolari discussioni.
Il Dott. Maccari, il M.o Martina ed
altri, fanno rilevare che la Bozza di
Statuto così come è redatta lascia troppo spazio ai Comuni, mentre la Comunità Montana è un Ente che deve stare al di sopra dei Comuni stessi, per
non correre il rischio di ricadere in
quello che era il Consiglio di Valle.
Con i Comuni devono esistere rapporti dialettici, ma non « collaborazione stretta » in modo da non creare inevitabili lungaggini burocratiche e per
non rischiare di immobilizzare le attività della Comunità.
Tenendo conto di quanto emerso dagli interventi effettuati durante il dibattito lo Statuto verrà discusso e deliberato nella seduta indetta per il giorno 18 dicembre. A. J.
Lettera aperta
ai monitori
di Torre Pellice
Cari Monitori e Monitrici,
spiacevoli insinuazioni contro le
Scuole Domenicali e i Monitori e le
Monitrici, specialmente più giovani, richiedono che si ripeta in una sede più
aperta ciò che altre volte abbiamo detto nelle Relazioni Annue. E a nome
della Assemblea di Chiesa del 9 c.m.
che il Concistoro esprime a voi la riconoscenza della Comunità per il lavoro
che fate con tanta dedizione e tanto
senso di responsabilità. Voi tutti avete
assunto il servizio della istruzione biblica a bambini e ragazzi con senso vocazionale, seguendo la chiamata del Signore e conoscendo la serietà del vostro impegno. Alcuni di voi compiono
questo ministero da molti anni, con
rinnovato entusiasmo e con costante
dedizione. Altri lo hanno iniziato da
qualche anno, senza badare a fatiche
e a rinuncie. Pochi conoscono o cercano di conoscere la vostra ansia per capire i ragazzi, valutare le loro situazioni, essere per loro non macchinette che
ripetono una lezione, ma fratelli e sorelle maggiori che sono a loro vicini
con sofferto amore, attendendo dallo
Spirito Santo il dono per compiere
con fedeltà il compito a cui Egli vi ha
chiamati. Forse pochi genitori sanno o
si interessano di sapere che ci sono
Monitori e Monitrici che il sabato pomeriggio — dopo aver fatto la Scuola
Domenicale — si dedicano per tre ore
alla preparazione biblica e alla meditazione, per essere in grado di presentare con fedeltà ai ragazzi il messaggio
dell’Evangelo.
Sia questa testimonianza che noi vi
diamo una parola di stima e di affetto
che vi confermi nell’opera del Signore.
Ci auguriamo anche che i genitori sentano la necessità di condividere con
voi la responsabilità, che deve essere
in primo luogo proprio la loro, affinché
la Scuola Domenicale diventi un rapporto sempre più stretto tra voi e le
famiglie, neH’ambito della comunità.
Vi salutiamo fraternamente.
per il Concistoro
past. Alfredo Sonelli
« o Eterno, mio Dio,
io ho gridato a te,
e tu mi hai sanato ».
(Salmo 30: 2).
Dopo anni di malattia è deceduto, il
1” dicembre, in un ospedale di Torino
Francesco Emilio Ferro
di 41 anni
Ne danno l’annuncio la madre Lidia
e il fratello Enrico, profondamente rattristati, ma fiduciosi nelle promesse
del Signore.
Cugno di Frali, 3 dicembre 1973.
SAN GERMANO
CHISONE
— Due decessi hanno colpito la nostra comunità in questi ultimi giorni.
La nostra sorella Caterina Lobetti, veci.
Garrone, ospite della Casa di Riposo,
ci ha lasciati ad un anno di distanza
dal marito e dopo un lungo periodo di
infermità. Siamo stati particolarmente rattristati dalla morte di Renato
Balmas, avvenuta il 18 dicembre, dopo
un anno di malattia ininterrotta. Ci
stringiamo in preghiera attorno alla
vedova, che lo ha circondato fino all’ultimo e che ora è chiamata a continuare il suo cammino da sola. Possa il Signore darle la forza che viene dalla
fede.
— Ecco il programma del periodo
natalizio:
Domenica 23 dicembre: Culto dell’ultima domenica d’Avvento; martedì 25,
ore 8,30: culto liturgico di Santa Cena
alla Casa di Riposo; ore 10: culto di
Natale con Santa Cena; partecipazione
della Corale; mercoledì 26, ore 14,30:
festa di Natale dei bambini; sabato 29,
ore 20,30: culto a Porte; domenica 30,
culto; lunedì 31, ore 20: culto liturgico
di fine d’anno. Non vi sarà culto di Capodanno.
— I catechismi riprenderanno sabato 5 gennaio.
■— È in corso la campagna del libro
evangelico. Siamo grati ai catecumeni
che ci danno un valido aiuto per questo lavoro. Ringraziamo anche quanti
hanno voluto abbonarsi all’Eco in seguito alla campagna di diffusione del
medesimo. La campagna del libro durerà fino al 17 febbraio 1974. Il motto:
« Almeno un libro di storia valdese in
ogni famiglia ».
— Abbiamo una monitrice sportiva
e dotata di senso pratico. Dovendo venire da Porte per dirigere un gruppo
della nostra Scuola Domenicale, Bruna
Salvai ha fatto una corsa in pullman
e, al ritorno, dato che gli orari dei
mezzi pubblici erano inadeguati, ha
calzato i pattini a rotelle e se ne è ripartita in tromba. Indichiamo questa
soluzione a tutti gli amici di Porte che
disdegnerebbero la più tradizionale bicicletta. A parte gli scherzi, ci rallegriamo di constatare che, tanto alla Scuola Domenicale quanto al culto, il numero dei presenti non ha risentito dell’impossibilità di circolare in macchina
la domenica. Pensiamo soltanto con
rincrescimento a quanti venivano in
mezzo a noi, anche di lontano, e che
ora non potranno più farlo se non assai saltuariamente.
— Per una ben involontaria svista
abbiamo dimenticato di sottolineare a
suo tempo il successo ottenuto dai giovani della filodrammatica di San Giovanni, che ci hanno presentato degli
atti unici con molto brio e con molta
cura. Li ringraziamo, un po’ in ritardo
ma di tutto cuore.
— La nostra Corale ha partecipato,
secondo il programma, al concerto spirituale nel tempio di Pinerolo, e l’ha
fatto con molta gioia. Ringraziamo gli
amici pinerolesi per la loro accoglienza e la nostra direttrice per tutto il lavoro che questo concerto ha significato
per lei.
— Una calda raccomandazione a tutti i membri di chiesa affinché rimandino al più presto le buste della contribuzione di Natale onde possianio,
tutti insieme, far fronte ai nostri impegni.
Giovanni Conte
Filodrammatica
d’Angrogna
Recita : « Caro padre, la guerra è ingiusta ». Proposta teatrale in 2 parti
e 4 quadri.
Date di rappresentazione:
martedì 25 dicembre
sabato 29 dicembre
sabato 5 gennaio 1974.
Nella Sala Unionista di Angrogna
alle ore 20.30.
FRALI
Dopo il forte vento della scorsa settimana che ha causato gravi danni, scoperchiando numerose case a Frali (anche Agape ha subito altri danni), l’intera Val Germanasca è stata scossa
dal terremoto lunedì 17 dicembre.
La scossa tellurica è stata registrata
alle ore 11.45.A Frali sono crollati anche alcuni comignoli già lesionati dal
vento.
Qualcuno, sentendo un forte boato
seguito dalla scossa ha pensato che fosse saltata la polveriera della miniera
della Gianna. Anche i minatori hanno
avvertito la scossa durante il lavoro
in miniera senza però farci caso, pensando ad una volata di mine. Non risultano danni.
M.me Jeannette Bertin-Garnier, M. et
M.me Rinaldo Bertin et leurs enfants,
M. et M.me Artus, parents et alliés,
dans la certitude de l’amour de Dieu
et dans l’espérance de Son Royaume,
font part de la mort accidentelle de
son mari, de leur fils, frère et gendre
Renato Bertin
à l’âge de 33 ans.
Marsillargues, 15 déc. 1973.
7
21 dicembre 1973 — N. 50
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
pag. 7
La “lunga marcia” della chiesa di Riesi
Claude Hudelot, specialista di storia
contemporanea cinese, ci presenta in
modo molto interessante la storia di
una sconfitta trasformatasi in vittoria:
è quella deU’Armata rossa in disfatta
che si dà alla « lunga marcia » di 12.000
chilometri. L’autore tenta di presentarci in modo obiettivo, la visione di
un popolo che, attraverso sofferenze
indicibili, passa da una specie di « morte » ad una specie di « risurrezione ».
Conoscendo questo episodio non potevo fare a meno di pensare ad un’altra « lunga marcia »: quella del popolo di Israele che lascia l’Egitto, il paese della servitù, per andare in Canaan,
marciando per anni ed anni nel deserto, in preda alle sofferenze, alle più
diverse privazioni, come pure alle liberazioni più meravigliose.
Una lunga marcia: quella di questo
popolo, lunga marcia che ancora non
è compiuta, una strada seminata di
morte e di speranze... una lunga marcia anche quella della chiesa che da
ormai quasi duemila anni è in cammino in mezzo agli uomini.
La « lunga marcia »
della chiesa di Riesi
Non pretendo paragonare la « lunga
marcia » della chiesa valdese di Riesi
— una modesta comunità protestante
che vive in mezzo ad una maggioranza cattolica — agli esempi sopracitati.
Però, rimanendo entro i limiti e pienamente cosciente della diversità delle
situazioni, sono convinto che la nostra
comunità si trova da tre anni in una
« lunga marcia », in una. ricerca dolorosa e diffìcile in vista di un nuovo
slancio, di un rinnovamento.
Certo, non è la storia di una sconfìtta che si trasforma in vittoria —
questo significherebbe rinnegare tutto
il valore del passato — ma è la storia
di un’esperienza resa necessaria dalle
circostanze locali come anche dalla situazione generale della chiesa; è la storia di una ricerca d’identità, cioè di
una presa di coscienza, da parte nostra,
dei nostri propri valori e delle nostre
possibilità.
Lo scopo della « lunga marcia »
L'esperienza può riassumersi in due
frasi: rivalorizzare doni e carismi particolari; ricercare una nuova struttura
dei ministeri, compreso quello pastorale, benché la comunità sia stata chiamala a rimanere senza pastore titolare da ben 3 anni.
Lo scopo di questa esperienza è stato dehnito dalla Tavola Valdese come
segue: « la Tavola sottolinea l’importanza del problema che soggiace alla
iniziativa di Riesi e la considera come
indicativa per il domani delle nostre
comunità, non solo per la penuria di
pastori, ma soprattutto nella ricerca di
una nuova struttura per una comunità
re.sponsabile e matura, nella quale il
ministero pastorale, lungi dall’essere
svalutato, venga però chiaramente qualificato ed adeguatamente utilizzato ».
La realtà!
In verità, questa ricerca d’identità e
di nuove strutture risponde ad un bisogno sentito dalla chiesa da tanti anni. Qua e là essa ha intrapreso qualche
iniziativa e tentato alcune realizzazioni. Questo vuol dire che l'esperimento
di Riesi non è né unico, né rivoluzionario, anche se richiede tante rinuncie
ed anche alcuni cambiamenti indispensabili.
Ciò che tuttavia è da sottolineare è
che questo esperimento esige molto
tempo ed una immensa dose di pazienza e di fiducia da parte di quanti vi
sono impegnati.
È veramente, anch’essa, una « lunga
marcia », caratterizzata da delusioni,
da passi indietro, da esitazioni, da sofferenze, da nuovi slanci, da piccole vittorie: è una specie di « morte a se
stessa » da parte della comunità per
« riprendere vita ». — « In verità, in
verità io vi dico che se il granello di
frumento caduto in terra non muore,
riman solo; ma se muore, produce
molto frutto » (Giov. 12: 24).
Le caratteristiche
di una « lunga marcia »
Consistono di almeno due aspetti:
una rottura e un tirocinio. La rottura:
La rottura è inerente ad ogni cambiamento, ad ogni rinnovamento, ad ogni
ripresa di vita, ad ogni tentativo di
trasformazione. Ciò non significa che
questa rottura sia un puro e semplice
rifiuto di tutto il passato, una contestazione distruttrice della storia della
comunità. È rottura nel senso che cerca dei cambiamenti di abitudini, di
concezione della vita, della comunità,
della funzione e del posto del pastore,
e la rinuncia a certe sicurezze (p. es.
presenza del pastore che tranquillizza
e rassicura, — il pastore che porta tutto il peso — problema della passività
dei membri ecc.).
È rottura in vista di un rischio: divisione delle responsabilità, ricerca di
nuove strutture, apertura verso l’esterno. Questa rottura è stata provata duramente dalla nostra comunità, e lo sarà ancora, poiché la « lunga marcia »
ci chiama continuamente a delle nuove rotture.
Il tirocinio: Non si può imparare un
mestiere senza pagarne il costo, non
si può entrare in una professione senza una lunga preparazione, non si intraprende una « lunga marcia » senza
scoprirne le basi, le condizioni, senza
commettere degli errori. All’inizio siamo andati a tastoni, ci siamo illusi...
abbiamo pensato che sarebbe stato più
facile di quanto non lo sia stato in realtà... perché abbiamo dimenticato di tener conto sufficientemente della diversità delle posizioni dei membri della
comunità.
L’essenziale per intraprendere una
« lunga marcia » nel quadro della comunità locale consiste, secondo me,
nel fatto che: scopriamo « chi siamo »
e « quel che possiamo dare come anche quel che vogliamo chiedere ».
Questa esperienza richiede da noi:
a) una migliore conoscenza reciproca ed una maggiore comunione fra
tutti noi. Questa necessità ci ha condotti a prendere una decisione: ritro
varci insieme una volta la settimana
dall’uno o dall’altro dei membri della
comunità per conoscerci meglio, per
parlare insieme, per discutere insieme
i nostri problemi;
b) una preparazione comune nel
modo di studiare, di ricevere e di trasmettere la Parola di Dio, e questo non
soltanto ai fratelli, ma fuori. Questa
necessità ci ha condotti a ritrovarci
ogni settimana, liberamente, per una
preparazione in comune del testo della
predicazione per la domenica successiva. Il contributo che ognuno può dare
è un arricchimento considerevole per
chi fra di noi è incaricato di predicare;
c) il Consiglio di Chiesa ha capito
subito che non doveva e non poteva
prendere da solo tutte le responsabilità e tutti gli incarichi. Ha deciso di
invitare alle sue sedute di consiglio
tutti i membri della comunità interessati ai problemi della nostra chiesa e
che portano insieme le responsabilità.
Cerchiamo dunque una migliore ripartizione dei compiti a secondo i doni e
le possibilità di ciascuno, e questo nei
vari settori delle attività (visite, insegnamento, catechismo, scuola domenicale, testimonianza resa all’esterno
ecc.);
d) una volontà comune di non rimaner soli, cioè a gruppetti, affili di
non diventare una chiesetta nella chiesa... una volontà comune di far partecipare a questa marcia tutti i nostri
fratelli, gli esitanti, i reticenti, come
anche gli oppositori — che esistono —,
tutto ciò in vista della nostra presenza
nella città.
Speranza. « Se il granello di frumento muore, porta molto frutto ». La
« lunga marcia » della comunità di Riesi è cominciata. Alcune tappe sono state superate... qualche frutto si vede,
particolarmente quello di una chiara
volontà di continuare la marcia.
Così, se il Signore lo vuole, la « lunga marcia della chiesa di Riesi » continuerà.
G. Paschoud
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiliiiliiiiiilliiiiliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiliiiiiiiiiiiiiiiiliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimillilliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii'iniiii
Genova: prospettive di iavoro
per i’8° centenario vaidese
Giunge, con il 1974, l’8° centenario valdese.
Se sì trattasse solo di fare retorica o erudizione storica, non sarebbe il caso di celebrare
centenari mentre problemi di ben altra importanza si presentano oggi alla chiesa e alla
società; si tratterà invece dell’occasione di fare il punto sulla situazione, d’interrogarci, di
riflettere seriamente sul senso della nostra
presenza evangelica e sui modi di renderla efficace. Ecco quanto è in programma:
]) Nella comunità
— una serie di predicazioni (gennaio-febbraio) sui contenuti evangelici del movimento
valdese delle origini, tuttora di grande attualità (povertà evangelica, evangelizzazione, sacerdozio universale dei credenti e libera predicazione, rifiuto della chiesa costantiniana,
libera critica nei confronti di ordinamenii
’’assoluti” che usurpino il posto che spetta
unicamente al Signore, carattere comunitario
della vita cristiana, ecc.);
— lettura e discussione in apposite riunioni, a gruppi (gennaio-marzo) del libro di
Giorgio Tourn, « Una Chiesa in analisi —
i Valdesi di fronte al domani » e dello studio di Paolo Ricca a L’identità protestante »;
— diffusione fra i non abbonati a « La
Luce » di un numero mensile del periodico
recante l’inserto sul Centenario (e speriamo che aumentino gli abbonati);
— distribuzione di un questionario ai
membri di chiesa, che consenta un’indagine
sulla situazione reale della comunità.
2) Fuori della comunità
— almeno una conferenza pubblica in
città, a primavera;
— diffusione delle S. Scritture e di materiale per evangelizzazione preparato dalla
Claudiana.
Predicazioni sono state rivolte dal Moderatore Aldo Sbaffi, dal Diacono Emanuele
De Natale, dal Prof. Emanuele Tron e dal
Past. Leila, e la comunità è loro grata.
Domenica 16 dicembre sono stati fra noi
il Past. Franco Sommani e il Sig. Marco
Jourdan, con un gruppo di ragazzi dell’istituto Gould di Firenze, i quali hanno partecipato al culto che la comunità ha tenuto
insieme con la Scuola Domenicale (liturgia
c messaggio preparati dai ragazzi); e nel pomeriggio hanno parlato della vita e dei problemi dell’Istituto, di cui la Chiesa di Genova è madrina.
DALLE PUGLIE ALLE VALLI VALDESI
un doganiere
porto via la parte migliore ». Stupore,
reazione degli altri congiunti. « Certo,
porto via con me la parte migliore, la
buona parte; porto con me la Pace, la
pace del Signore... » e don Vittorio se
ne andò con l’eredità più vera, mentre
gli altri passarono il loro tempo a contendersi i beni che « il ladro può rubare e la tignuola e la ruggine consumano... ».
Udii per l’ultima volta la sua voce
un anno fa per telefono, mentre mi trovavo a Bari; gli dissi che non potevo
sostare perché ero in cammino per Orsara. « Orsara, vai ad Orsara? », ed in
quelle parole c’erano i ricordi, il suo
affetto per le comunità della diaspora
che tante volte aveva visitato e che
tanto aveva amato, come aveva amato
le Valli.
* * *
Questi ricordi hanno un senso nella
misura in cui sappiamo coglierne lo
stimolo, il richiamo, per noi che restiamo, a recare nelle nostre comunità assonnate una certezza di vita nuova; così quelli di fuori scopriranno la novità
dei nostri incontri e saranno attratti
dalla potenza dell’Amore.
Il mio pensiero di affettuosa vicinanza alla compagna di don Vittorio,
Adele Ciambellotti ed alle figliole Lalla e Graziella perché si consolino « nelTafferrare saldamente la speranza che
ci è stata posta dinnanzi, Cristo Gesù »,
àncora sicura e ferma della nostra vita.
Gustavo Bouchard
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllliiiiiiiiili
Doni pro Eco-Luce
Maria Luisa Villani, Firenze L. 1.000;
Alessandro Vetta, Torino 3.000; Bice Bertarione, Ivrea 1.000; Elisa Jalla, Luserna S.
Giovanni 1.000; Alberto Giovanni Ghigo, Perrero 1.000; Arturo Salma, Torino 500; Melania Malanot Grill, Riclaretto 500; Gino
Paschetto, S. Secondo 1.000; Claudio Bertin, Ivrea 1.000; Alma Ostorero, Coazze
1.000; Susanna Eynard, Torre Pellice 1.000;
Franca Coisson, Angrogna 500; Elena Geymonat, Torre Pellice 1.000; fam. Boero, Brasile 3.000; Emilia Boero, Coazze 500; Ambrogio Rosa-Brusin, Coazze 500; Andrea
Ostorero, Coazze 500; Nella Alloa-Boero,
Coazze 500; Ina Bessone, Villar Perosa
1.000; Emanuele Serre, Villar Perosa 500;
Maria Albarin, Luserna S. Giovanni 1.000;
Paolina Giaiero, Torre PeUiee 500; Roberto
Ricciardi, Torino 1.000; Evelina Pons, Torini 1.000; Ida Randone, Torino 1.000; Giulia Balmas, Luserna S. Giovanni 1.000; sorelle Lena, La Maddalena 1.000; Libero Banchetti, Rio Marina 1.000; Beniamino Garro,
Pinerolo 500; Irma Zecchin, Venezia 1.000;
Ettore Massel, Riclaretto 500; Pietro Betteni, Bergamo 6.000; Elena Eynard, Bergamo
1.000; fam. Eynard, Bergamo 1.000; Bruno
Morena, Bergamo 1.000; Mario e Claudia
Steiner, Bergamo 1.000; Matilde Steiner Zavaritt, Bergamo 1.000; Giuseppe Tosi, Bergamo 1.000; Beatrice Von Wunster, Bergamo 500; Daniele Riboli, Berzo S. Fermo
1.000; Edda Bounous, Luserna San Giovanni 500.
( continua)
Tra la folla dei campisti della F.U.V.
che entrava in corteo nel tempio di
San Germano, in un giorno dell’anteguerra, notai una straordinaria figura
d’uomo: alto, capelli da profeta, una
espressione di bontà dipinta sul viso
da far indovinare una vita interiore
ricca di gioia. Tale mi apparve don
Vittorio Laurora quella prima volta e
non lo dimenticai più. Lo rividi nel
tempo di guerra ai convegni di Bari,
Castel del Monte, Taranto tra le schiere dei giovani; parlava sempre per ultimo: dapprima con tono di voce sommesso, poi la voce s’alzava come Tonda del suo mare; ci guardava alTimprovviso con gli occhi penetranti, quasi a voler scrutare il nostro intimo;
poi il tuonar della voce e la folla dei
pensieri scendeva quale pioggia benefica nei nostri cuori; si lasciava il convegno con un nuovo entusiasmo ed una
decisione nuova.
Ricordo la nostra passeggiata in Bari vecchia, alla « Vallisa » cioè il luogo
frequentato dai mercanti valdesi medioevali e chiamato anche « borgo degli appestati ». Rievocava con commozione quei barbi apportatori della buona « peste » delTEvangelo e si reputava felice di attingere a quella testimonianza mentre parlava di Cristo ai pescatori, ai minimi del porto barese.
Mi par di rivederlo tra la gente di
Carbonara, quand’era prosindaco, sostare lungo le strade accanto agli ex
galeotti, ai candidati del carcere per la
fame e la miseria e lasciare a tutti un
pensiero, una speranza nuova...
Non lo dimenticano i soldati valdesi
che in casa sua trovarono conforto e
incoraggiamenti mentre transitavano
da Bari negli anni bui della guerra... E
che dire della testimonianza dell’ispettore Laurora alla Dogana, dove i gradi non avevano senso in un clima di
fraternità creato dalla fede.
Ripenso al fratello Vittorio negli anni della villeggiatura evangelica rorenga: lo rivedo soffermarsi nei campi accanto ai contadini e ricordare il loro
passato valdese, la gioia e la ricchezza
dell’incontro domenicale al culto. Non
si dimenticano gli incontri in montagna, alla Palà, al Bric, al Castello, a
Piamprà dove don Vittorio recava sempre quella nota di allegrezza e di potenza spirituale che trascinava e commuoveva... Al rientro dalla riunione come un fanciullo si metteva in testa al
gruppo dei villeggianti che in processione festosa faceva il suo ingresso in
Rorà col canto di inni come: « Innalzate il vessil della croce, libertade bandite agli schiavi... ».
L'EREDITA’ DELLA PACE
Tra le mille cose e le testimonianze
ricevute ve n’è una che m’è rimasta
particolarmente impressa: si trattava
di un’eredità e don Vittorio doveva
avere anche lui la sua parte: come
spesso succede, ciascuno pretende la
parte migliore in quei casi, con conseguenti tensioni, contrasti. Don Vittorio
avvertita la situazione dichiarò: « Io
Grazie!
ik
La speranza che è in noi,,
La Claudiana presenta un’opera molto attesa
fotolibro di Guido Odin
La pietra e la voce
Immagini delia vai Pellice
introduzione di Giorgio Tourn
testi di Rita Gay
Un grande album di 84 pagine (21x31) in carta patinata finissima, rilegato
con sovracoperta plasticata, 29 grandi vedute a colori, 50 in nero e 22 particolari di stampe antiche.
Edizione di lusso L. 6.500
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— poesia
— memorie del passato
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il fascino segreto
di un mondo che scompare,
l’epopea di un popolo.
Un meraviglioso volume da regalarsi e da regalare!
EDITRICE CLAUDIANA
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1 ciau
1 dia
10125 Torino T na
(segue da pag. 1 )
le un domani e associandoci tutti alle
Sue fatiche e alle Sue lotte, facendoci
superare i limiti e gli scacchi che la
nostra storia ha registrati.
Simeone ha visto la salvezza. Capisce che la sua lotta e quella del suo
popolo non sono più un affare privato, né un affare nazionale o politico,
ma si elevano a lotta spirituale universale, alla quale Dio partecipa. La
salvezza già si delinea. In quel Bambino Simeone percepisce un segno
della presenza di Dio. « Dio con noi ».
Lo sguardo della fede scopre, nelle situazioni più disperate, risorse che
erano sfuggite ai nostri occhi.
Come il profeta dell’Antico Testamento vive la propria lotta spirituale
nelTangoscia, pensando di essere solo,
ed è confortato constatando che migliaia di uomini non si sono ancora
inginocchiati ad adorare gli dèi del
potere e del denaro, così la comunità
cristiana, i credenti devono scoprire
attorno a sé i segni umili ma eloquenti
della presenza del Re supremo.
Sarà forse il miracolo della nascita di una creatura, il miracolo del ritorno alla vita, della presenza silenziosa di un gruppo di fedeli che nemmeno un’oppressione crudele è riuscita
ad asservire interiormente, saranno
riconciliazioni, drammi profondi della coscienza individuale, forme d’organizzazione popolare nascenti da manifestazione personale e collettiva di
un sentimento di responsabilità nei
confronti del prossimo, progressi nel
riavvicinamento ecumenico, la resistenza dei perseguitati, la testimonianza dell’amicizia attraverso il sacrificio,
il calore dell’intimità famigliare, il miracolo dell’amore in un cuore giovane, eventi personali o sociali, piccoli
o grandi.
Tutti questi segni indicano che lo
spirito che si è manifestato a Natale,
nel Bambino di Bethlehem, si perpetua conservando la dimensione della
speranza, la promessa che un nuovo
giorno sta per spuntare.
Simeone percepisce la salvezza scoprendo attorno a quel bambino la comunità messianica che deve costituir
si. comunità di servizio, comunità di
coloro che hanno la vocazione di legare la vita umana nella sua totalità
agli eterni disegni di liberazione, di
salvezza concepiti da Dio.
SPERANZA
DAL PROFONDO DELLA FEDE
Com’è opportuno, oggi, lo studio
condotto dalla Commissione Fede e
Ordinamento sul tema « Rendere ragione della speranza che è in noi ».
Una nuova dimensione si va chiarendo nelTapertura al domani, di fronte
all’apparente impossibilità di concretare la comunità umana: rendere testimonianza della nostra fede vuol dire proclamare la nostra speranza. Dio
presente in Gesù Cristo, che apre le
vie del domani.
La confessione della nostra fede è
inequivoca: riferisce un racconto dì
cui Natale segna l’inizio e la Risurrezione il culmine. Essa diviene però
vera confessione quando scopre negli
avvenimenti di ieri e di oggi i segni,
le testimonianze delTazìone liberatrice di Dio; quando formula, nel quadro delle situazioni umane, una promessa di speranza che rende possibile
la fede nel Dio liberatore che opera
la nostra salvezza. Ogni confessione è
allora una promessa concreta, gravida di rischi, rivelatrice e portatrice
di speranze.
Natale 1973 ci porta anzitutto il
messaggio di una speranza attinta
non nelle contingenze della storia ma
nelle profondità della nostra fede. Dato che Dio ha fatto sua la causa dell’umanità, il nostro sguardo, che cerca sempre il nuovo, l’inedito, può
giungere a un domani; possiamo rimetterci in cammino, proprio quando
le forze sembrano spegnersi, e discernere la presenza della salvezza anche
se, come Simeone, siamo alle soglie
della tomba.
Simeone, il vecchio, poteva lasciare
questa terra: la salvezza giungeva fino a lui, al vedere quel Bambino. Altri, animati dalla medesima fede, potevano rimanere vigili, nella speranza
che l’intervento di quel Bambino nella storia d’Israele comincerebbe a mu
tarne radicalmente il corso. Altri lotteranno per proteggere la vita del
Bambino, per aiutarla a fiorire, per
collaborare con Lui alla trasformazione
integrale delTumanità.
A te e a me, amico lettore. Natale
1973 affida un messaggio: Dio è venuto in terra. Egli soffre, lotta, regna
sempre. Perciò nessuna situazione è
senza uscite, nessuna porta è chiusa
per sempre. La lotta spirituale, fatta
di preghiera e di dedizione, di sacrificio e di sogno, continua; ora, però,
sappiamo che partecipiamo non soltanto alla speranza umana, ma alla
speranza divina.
Mentre, quindi, attorno a noi scorgiamo segni incoraggianti piccoli o
grandi, ancoriamo la nostra fede a
questo Dio vivente che viene a noi a
Bethlehem e incamminiamoci nel 1974
aspettando nuove manifestazioni del
miracolo che si compie nella salvezza, nella liberazione.
Emilio Castro
Direttore della Commissione
Missione e Evangelizzazione
del CEC
Le Famiglie Weber-Arnoulet e Sabatini in occasione della dipartita dell?
cara
Isabella
rivolgono un pensiero riconoscente a
tutti coloro che hanno preso parte al
loro lutto e in particolare ringraziano
per le assidue cure prestate durante la
lunga malattia, il Dott. De Bettini, le
Diaconesse, in special modo Suor Ermellina, le Signore Trossarelli e Pasquet, nonché il Pastore Sonelli per le
parole di conforto.
« Signore, ascolta il mio grido ;
Siano le tue orecchie attente
alla voce delle mie supplicazioni ».
(Salmo 130; 2).
Torre Pellice, 12 dicembre 1973.
8
pag. 8
I NOSTRI GIORNI
N. 50
21 dicembre 1973
1
UITA ITAIIANA a cura di Emilio Nitti
'E sorde so’ ppoche e non se po' campa*
”1 soldi sono pochi e non si può vivere!” è uno slogan
delle masse operaie del Sud - La crisi della società del
benessere travolge ugualmente le città e le campagne
Il blocco dei prezzi organizzato dal
Governo, dopo la fase numero uno
(blocco rigido), si è del tutto vanificato
nella fase numero due (blocco flessibile). Il cedimento nei confronti delle
Compagnie petrolifere (due aumenti
in un mese) e, più recentemente, nei
confronti delle industrie di pasta alimentare manifesta la sostanziale incapacità del Governo a contrapporsi alle
pretese ed ai ricatti di alcuni ceti imprenditoriali. Gli sono mancati gli
strumenti per controllare all'origine i
profitti di quegli industriali e ha dovuto accettare per buoni i conti che
gli sono stati presentati, deducendone
la necessità di concedere i richiesti aumenti. Gli è mancata d’altra parte la
volontà e la forza politica per accettare la sfida e respingere il ricatto, mentre già cominciava a pesare sulla popolazione la penuria di generi alimentari e del petrolio. Ma è chiaro che in
questa situazione si deve riconoscere,
oltre ad una palese speculazione economica, una manovra politica tendente
ad esasperare una situazione già difficile, per colpire non solo il governo di
centro-sinistra, ma le stesse istituzioni
democratiche. Ne sono state delle conferme lo sciopero degli autotrasportatori ed il tentativo degli Editori di
scavalcare ed esautorare gli organi governativi con l’aumento del prezzo dei
quotidiani.
Così, mentre riprende la svalutazione della lira, che, come è noto, colpisce
soprattutto i lavoratori a reddito fisso,
prende l’avvio una nuova corsa all’aumento dei prezzi dei generi alimentari, I due fenomeni sono collegati perché l’Italia per la sua alimentazione
dipende ormai in buona parte dalle
importazioni dall’estero, soprattutto di
carne, ma anche di generi una volta di
tipica produzione italiana. È questo
uno dei frutti della mancata riforma
agraria che avrebbe potuto razionalizzare la produzione e la distribuzione
dei prodotti agricoli incentivando le
cooperative contadine, avrebbe potuto
evitare dannosi parassitismi e creare
organi di controllo e di pianificazione.
D’altra parte era inevitabile che una
diversa organizzazione della campagna
fosse trascurata negli anni in cui si
preferiva favorire lo sviluppo delle città che lasciava ampio spazio alla speculazione edilizia, tanto più redditizia
quanto più caotica ed irrazionale.
Si sono formate così quelle grandi
città disumanizzate il cui benessere apparente è costruito con il lavoro di mi
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gliaia di ex-contadini, inurbatisi per
sfuggire ad una condizione economica
miserabile. Ma se pure la vita in campagna era ancor peggiore, quella in
città ha rivelato in breve gli stenti di
una vasta categoria di manovali, gli
espedienti del sottoproletariato urbano, la progressiva dequalificazione professionale di artigiani e operai, la corsa di masse studentesche verso un titolo di studio, che invano si sperava
potesse consentire una più sicura occupazione e magari un passo avanti
nella scala sociale.
L’urbanizzazione non è dunque un
segno di progresso?
Certamente era necessario che il rapporto tra popolazione contadina ed
urbana mutasse a favore di quest’ultima, ma ciò doveva derivare da una
pianificazione dell’utilizzazione della
forza lavoro e non da una fuga dalla
campagna, che ha assunto in vari casi
le dimensioni di un esodo in massa.
Le conseguenze sono pagate in città
attraverso il caos della circolazione, la
penuria dei generi alimentari, l’alto
prezzo dei fitti delle abitazioni (tre
vani centomila lire), e in campagna
con la disgregazione sociale di intere
regioni e la loro vulnerabilità ai cataclismi naturali (i cosiddetti mali di stagione di cui abbiamo già parlato la
scorsa primavera). Si leggano sui giornali di questi giorni le notizie sui danni subiti dai centri agricoli del Sannio,
dell’Irpinia, della Lucania a causa del
maltempo, e si tenga presente che la
realtà è ancora più grave di quello che
dice la stampa ufficiale!
Gli avvenimenti di questi ultimi giorni, caratterizzati àa\\'austerità imposta per decreto governativo, sono, per
chi vuol tenere aperti gli occhi, la prova dell’inganno dell’ideologia del benessere capitalistico (che, col suo diffondersi, avrebbe dovuto cancellare le
ultime sacche di miseria), e le conseguenze sono pagate dal Nord come
dal Sud, dalla città come dalla campagna, dagli operai e dai contadini come
dai ceti medi...
nord-sud-est-ovest
H L’India ha deciso di aprire relazioni diplomatiche con le due Coree; con questi
paesi il governo di Nuova Delhi aveva finora
rapporti solo a livello consolare.
H Le delegazioni dei 19 paesi partecipanti
alla Conferenza di Vienna per la riduzion * delle forze nell’Europa centrale (MBFR)
hanno aggiornato al 15 gennaio i lavori, che
3» protraggono faticosamente.
I L’Assemblea generale delle N.U., accogliendo senza obiezioni la raccomandazione del suo comitato giuridico, ha deciso di
rinviare al prossimo settembre ogni dibattito
sul terrorismo internazionale. Facile risposta
di problemi scottanti. Ma la tragedia all’aeroporto di Fiumicino e il seguito del nuovo,
ennesimo dirottamento, li ripropongono con
drammatica urgenza.
■ La regione meridionale della Tunisia è
stata colpita da violente alluvioni, che
hanno fatto un centinaio di marti e parecchie
centinaia di senzatetto; migliaia di ettari di
terra sono stati inondati, chilometri di linee
elettriche e telefoniche abbattute, strade rovinate, ponti travolti.
I Nel (juadro di un programma di revisione delle specialità medicinali, il Ministero italiano della Sanità annuncia che entro il
prossimo marzo saranno eliminati circa 4.000
medicinali ora in commercio; inutili? dannosi?
Una città in ginocchio
(segue da pag. 1)
vono di espedienti e di precarie occupazioni avventizie.
Educare i fanciulli che provengono
da questi ambienti è estremamente difficile per le carenze che essi possiedono e perché sono già propensi alla violenza e alla aggressività. «La delinquenza minorile — ha detto un magistrato
— affonda le sue radici nella deficienza
dei poteri familiari, affettivi ed educativi, nella crisi della scuola, e nello
stato di disagio economico esistente in
alcuni settori della popolazione ».
Tuttavia non si può neppure dire
che il malcostume, la corruzione morale, la criminalità, la mafia provengano solo da ambienti socialmente ed
economicamente depressi.
Ai primi di ottobre uno studente in
architettura fu sorpreso nei pressi di
Alcamo mentre, in evidente stato di
allucinazione, stracciava e distribuiva
banconote da 10 mila lire. Arrestato
ed interrogato, è stato incriminato di
contrabbando, di detenzione, di spaccio
e di uso di stupefacenti. Egli stesso ha
dato i nomi di molti altri giovani implicati nella vicenda, per la maggior
parte studenti, alcuni dei quali appartenenti a famiglie di elevata condizione sociale. Nella scuola, sulla strada,
nei ritrovi, fanciulli e giovani inesperti corrono rischio di cadere nelle mani
di speculatori senza scrupoli.
I deputati del parlamento europeo,
dopo una visita fatta recentemente nella nostra isola, sono giunti alla conclusione che la Sicilia è davvero la regione
più arretrata d’Europa.
«Fra gli aspetti più drammatici delle sue condizioni economiche — scrive
un giornale cittadino — essi hanno indicato l’elevatissimo tasso di emigrazione e lo squilibrio fra produzione e
consumi. Nonostante che il livello dei
consumi, sia in Sicilia, fra i più bassi
della comunità europea, essi superano
di ben 150 miliardi la produzione ».
La Cassa per il Mezzogiorno ha spe
MEDIO
ORIENTE
E CRISI
DEL PETROLIO
Echi della settimana
Abbiamo davanti a noi tre ar-________________________
ticoli che Antonio
Cambino, con la chiarezza e coerenza
d’idee e con l’obiettività che sempre lo
distinguono, ha pubblicato in argomento su « L’Espresso » (n. 47 del 25.11,
n. 49 del 9.12, n. 50 del 16.12.’73). Ne riportiamo i seguenti punti salienti.
« Le tre tappe del viaggio che Henry
Kissinger ha iniziato (Ñato, paesi medio-orientali impegnati nel conflitto
arabo-israeliano. Stati produttori di
petrolio) dovrebbero essere (...) i tre
aspetti dell'equazione che il responsabile della politica estera degli USA si
è proposto di risolvere: ristabilire raccordo con i paesi europei; collaborare
con loro per la soluzione del contrasto
tra Israele e le nazioni confinanti; porre fine, su questa base, al boicottaggio
energetico dei paesi arabi.
Non si tratta di un’impresa facile.
Perché la situazione che Europa occidentale e USA hanno davanti, se ha come origine immediata il conflitto arabo-israeliano, rispecchia una serie di
altri problemi, non meno complessi, e
suscita quindi inevitabili reazioni divergenti ».
Per il Cambino, « un fatto è incontestabile: che né l’Europa occidentale
né il Giappone possono sopportare a
lungo il blocco petrolifero, sia pure
parziale, causato da un proibitivo rincaro dei prezzo del greggio.
L’unica possibilità di sopravvivenza
per l’Europa è quindi quella di trovare
un’intesa con i paesi arabi. Né ha alcun senso dire che, così facendo, Parigi, Londra, Tokio o Roma subiscono
un ricatto. Infatti:
1) Ricatto è una pressione esercitata per ottenere un fine illecito. Mentre ciò che gli Stati produttori chiedono non è affatto illecito, sia che si parli dell’assunzione, da parte di europei
e giapponesi, di una posizione più equa
nei confronti del conflitto arabo-israeliano, sia che si parli di nuovi accordi
commerciali.
È proprio l’illiceità del fine che distingue il ricatto dalla semplice sanzione punitiva che si accompagna all’esistenza di ogni legge. Adesso, anche nel
mondo cinico in cui viviamo, è difficile sostenere che sia illecito chiedere
che venga applicata una risoluzione internazionale (una delle tante risoluzioni approvate dal Consiglio di sicurezza dell'ONU), anzitutto quella solennemente votata sei anni fa, e che venga riconosciuto il diritto all’esistenza
nazionale di un popolo (il popolo palestinese) di due milioni e mezzo d’abitanti.
2) Se, sulla suddetta questione, gli
Stati arabi avanzano qualche pretesa
eccessiva, non è male tener presente
che la moderazione non è necessariamente la qualità di coloro che per secoli sono stati sfruttati ed insultati, e
che quindi talvolta è necessario accettare delle forme di "ingiustizia compensativa".
3) Ogni paese fa la politica con le
armi che ha, e non si vede per quale
motivo il petrolio degli arabi (...) sia
un’arma meno lecita dei capitali finanziari che i grandi internazionali legati
allo Stato sionista hanno sempre manovrato a favore d’Israele e contro i
suoi avversari.
Comunque sia, gli europei e i giap
a cura di Tullio Viola
ponesi hanno modo di trovare un accordo, concedendo agli arabi ciò che
essi più desiderano: vale a dire un’efficace assistenza tecnologica. Data l’importanza che gli Stati medio-orientali
annettono a tale collaborazione, dei
termini di scambio ragionevoli possono esser trovati, con un poco di buona volontà.
L’ostacolo vero, che a questo punto
si manifesta in pieno, è però quello degli USA: perché è evidente che l’America non ha nessun piacere di vedere
due gruppi di Stati che fino ad oggi le
sono stati legati da un rapporto di semivassallaggio (vale a dire europei e
giapponesi da un lato, e produttori di
petrolio del Golfo Persico dall’altro),
stabilire tra loro un rapporto diretto
ed autonomo. Già nel suo primo aspetto l’equazione di Kissinger appare quindi in crisi, perché gl’interessi europei
ed americani sono, in questo campo,
decisamente divergenti.
Non più facile appare il compito del
segretario di Stato per quanto riguarda la composizione del conflitto medioorientale. A meno di un improvviso
colpo di scena, la conferenza s’inizierà,
come previsto, a Ginevra, il 18.12 prossimo ’. Ma al dilà di questo risultato,
non sembra che il gradualisnw di Kissinger (che tende ad accantonare i problemi più spinosi, o ad inglobarli in
un’ambigua formula di compromesso)
possa portare. Una simile formula ha
funzionato infatti in Vietnam, solo perché Washington ed Hanoi avevano entrambe interesse al ritiro delle truppe
americane.
Ma i fatti, specie quelli di queste
settimane, dimostrano ampiamente
che, in tal modo, si è riusciti solo a
“localizzare" il conflitto, non a risolverlo. In M. Oriente questo metodo non
può funzionare, sia perché non vi sono
truppe straniere ufficialmente impegnate nella guerra, sia perché lo scacchiere è talmente nevralgico e sensibile
che la continuazione a tempo indeterminato di una guerra endemica non è
concepibile ».
Alle affermazioni del Cambino potremmo fare qualche riserva. Per es.
noi non diremmo col Garnbino che
« ciò che gli arabi più desi derano è
un’efficace assistenza tecnologica » (v
sopra): ci sembra molto significativo
il fatto che gli sceicchi del petrolio abbiano colto, per avanzare le loro richieste, proprio l’istante più caldo della
guerra con Israele. Diremmo invece:
« le dette richieste sono state avanzate come arma di guerra e null’altro.
Ma, poiché gli sceicchi non potranno
vincere questa loro guerra (altrimenti
le nazioni sfidate, eventualmente con
l’aiuto di USA ed URSS, avrebbero certamente i mezzi per reagire in modo
estremamente convincente), così essi
verranno certamente a patti e finiranno per ripiegare, ponendo in prima
istanza appunto l’assistenza tecnologica ».
I NOBEL DI TURNO
ic «DalTU.IO in poi, cioè dal giorno
in cui il premio Nobel della medicina
' AlPultlmo momento, rimandata poi al 21
dicembre.
è stato attribuito al
prof. Konrad Lorenz, diverse persone in Francia hanno espresso la loro
meraviglia di veder
attribuire un così
alto riconoscimento
scientifico a un uomo, le cui idee non
sempre sono state compatibili con la
obiettività scientifica.
In particolare, una petizione firmata da 224 personalità, in massima parte scienziati francesi, precisa “sembrare inammissibile che un uomo, che ha
moralmente solidarizzato con quell’ideologia che condusse al delitto del genocidio, venga oggi incoronato con l’aureola d’un prestigio morale tanto importante. (...) E i sottoscritti considerano indispensabile che il Lorenz, nel
suo discorso d’accettazione del Nobel,
prenda posizione sulle idee razziste da
lui espresse. Il Lorenz ne è debitore a
sé stesso, a tutta la comunità scientifica, al prestigio del premio Nobel, infine al pubblico tutt’intero, che gli accorda il rispetto e la fiducia che quell’alta distinzione comporta".
I firmatari citano, in particolare, alcuni passi d’un articolo del Lorenz
(pubblicato nel giugno 1940 sulla “Zeitschrift für Angewandte Psychologie u.
Charakterkunde’’), articolo il cui contenuto il Lorenz non ha mai rinnegato
fino ad oggi ». Riportiamo uno di questi passi.
« La nostra specifica sensibilità per
la bellezza e la bruttezza dei nostri simili, dipende molto strettamente dai
sintomi di degenerazione dovuti all’addomesticamento che minacciano la nostra razza. (...) Fintantoché una stirpe
o un popolo possiede un grado molto
alto di purezza razziale, è possibile giudicare un individuo sulla base dei suoi
soli caratteri fisici, ed è permesso trarne le conclusioni sul valore delle sue
regole di comportamento. (...) Sarebbe
necessario, per proteggere la razza, essere solleciti alla eliminazione degli esseri moralmente inferiori, e ciò in modo ancor più severo di quanto non si
faccia oggi. (...) Nei tempi preistorici
dell’umanità, la selezione per la tenacia, per l’eroismo, per l’utilità sociale
ecc., veniva fatta dai soli fattori ostiti
esterni. Bisogna che questo ruolo sia
ripreso da un’organizzazione umana; in
caso contrario l’umanità, in mancanza
di fattori selettivi, sarà annientata dalla degenerazione dovuta all’addomesticamento ».
II Lorenz ha ricevuto ufficialmente il
premio Nobel lunedì 10.12, a Stoccolma. Il giorno precedente aveva dichiarato, nel corso d’una conferenza stampa, « dispiacergli profondamente d’aver persino potuto pensare che la dottrina nazista potesse essere buona.
Quella dottrina è sbagliata ». Altre dichiarazioni, più ampie e nello stesso
senso, il Lorenz aveva fatto anche precedentemente, a vari giornali.
(Da «Le Monde» dell’11.12.’73).
Giorgio lecce, in un articolo su « L’Espresso/Colore » del 25.11, riprende
quest’argomento aggiungendovi un duro giudizio anche sull’assegnazione de)
Nobel della pace, giudizio riportato da
un documento firmato da un gran numero di scienziati, alcuni dei quali famosi. Il giudizio, evidentemente riferito al premiato Henry Kissinger, dice:
« Chi cerca di dare una spiegazione alla scelta fatta quest’anno per il premio
Nobel della pace, esita se attribuirla
alla cecità, alla stupidità o alla complicità consapevole con il crimine ».
so in 20 anni, 10 miliardi di lire, ma
il processo di impoverimento del sud,
colpito dalla emigrazione, dallo spopolamento, dal fallimento della politica
di sviluppo agrario, non si è arrestalo.
Per la prima volta, dopo l’unità d’Italia, la popolazione del Meridione, anziché aumentare, è diminuita in questi
ultimi anni a causa dell’emigrazione.
E per noi necessario fare, di tempo
in tempo, una analisi della situazione
e tracciare alcuni aspetti di una situazione che è sempre drammatica, non
solo per informare i nostri amici che
ci seguono nella nostra attività, ma
anche al fine di rendere il nostro servizio sempre più aderente alla realtà e
di prendere una coscienza sempre più
responsabile del nostro lavoro.
Non possiamo infatti fare astrazione
dalla realtà, quasi vivendo fuori del
nostro tempo e operando con schemi
mentali e spirituali del passato.
In nessun modo si può del resto affermare che gli atti di amore e di solidarietà compiuti nel nome di Gesù
Cristo verso gli umili e gli oppressi
della società e verso gli sventurati possano essere considerati come espressione di una spiritualità sorpassata, se è
vero, come dice l’apostolo Paolo, in 1
Cor. 13: 8 che « la carità non verrà
mai meno ».
Può essere anche che alcune nostre
Comunità non dimostrino sensibilità o ,
interesse per le opere che, direttamente o indirettamente, hanno espresso
dal loro seno. Ma questa loro insensibilità semmai squalificherebbe non le,
« opere caritative » ma le Comunità
stesse che purtroppo dimostrano spesso così chiaramente di « non sentire *
tante altre cose di cui nessuno oserebbe mettere in dubbio la bontà, come
p.e. l’evangelizzazione, la lettura della
Bibbia, l’amore fraterno, la testimonianza cristiana.
Ma vi è ancora un fatto altamente ■
positivo nelle opere di servizio cristiano che sono sorte in questi anni in Sicilia. È il fatto che vi sono impegnati
dei giovani delle nostre Comunità e
anche dei giovani provenienti dall’estero che con dedizione e disinteresse
danno la loro collaborazione che integra il lavoro dei nostri insegnanti, dei
nostri educatori ed arricchisce di doni
le nostre iniziative. Per i disagi e le
difficoltà di ogni genere che questi collaboratori devono affrontare nel nostro paese, essi ci fanno spesso pensare ai nostri emigranti all’estero. Essi
non sono tuttavia spinti dal bisogno,
ma dalla volontà di servire.
« Salviamo Palermo! » è lo slogan
che un partito di sinistra ha lanciato
dopo la distruzione del porto e i danni che l’economia della città ne ha su- ■
bito. Ma è chiaro per noi che la salvezza di Palermo, come della Sicilia e
del mondo intero, non sta solo nelle
strutture più solide ed in un sistema
economico più stabile. Sono le strutture morali e spirituali dell’uomo che
dimostrano oggi la loro estrema fragilità. Questo noi sappiamo ed è in vista
di questo che operiamo.
Il messaggio di Natale è anche questo: Dio non ci chiede di fare delle
grandi cose, ma di essere fedeli nelle
piccole cose che possiamo fare. L’Evangelo di Natale è l’annunzio dato
agli uomini che il Salvatore è venuto
in una situazione umana di miseria e
di disperazione non molto diversa da
quella che abbiamo descritta.
Come possiamo costruire un mondo
nuovo? Possiamo ancora sperare in un
mondo migliore? Qualcuno ha scritto:
« Possiamo cominciare, come fa il Signore, con le piccole cose. Quando il
Signore vuole fare nascere un albero
pianta un seme; quando vuole creare
un universo, comincia con l’atomo.
Quando vuole cambiare il cuore degli
uomini, manda un bimbo in una mangiatoia ».
Per noi oggi non è possibile separa;
re la predicazione evangelica dagli atti
di amore che dobbiamo compiere ver;
so il nostro prossimo, anche se questi
sono ancora poca cosa. Predicazione e
diaconia sono due aspetti di una stessa realtà. Non si può dire che la diaconia abbia minore dignità della predicazione, perché è essa stessa predicazione. Forse nel trascurare questa semplice verità, sta uno dei motivi della
grave crisi che oggi la Cristianità attraversa.
P. V. Panascia
Le esportazioni agricoie
americane verso ia CEE
Le esportazioni di prodotti agricoli americani nei nove Paesi della Comunità economica
europea durante l’annata finanziaria 1972-73
sono aumentate del 47% rispetto all’annata
precedente. Ne ha dato l’annuncio il Dipartimento dell’agricoltura nel suo bollettino settimanale « Foreign agricolture ». Il totale delle
esportazioni agricole americane verso i Paesi
della CEE fra il primo luglio 1972 ed il 30
giugno 1973 è stato pari a tre miliardi 590
milioni di dollari. L’elemento determinante di
questo risultato è stato un aumento di oltre
due milioni e mezzo di tonnellate nelle vendite di mangimi americani alla Comunità. La
bilancia commerciale agricola americana nel
confronti della CEE ha, quindi, registrato un
attivo di due miliardi 700 milioni di dollari.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)