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ECO
BIBLIOTECA VALDESE
10066 TOaHB PEIL ICE
DELLE VALLI VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 109 - Nnm. 37 ABBONAMENTI / L. 3.500 per l’interno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 TORRE PELLICE - 15 Settembre 1972
Una copia Lire 90 l L. 4.500 per l’estero Cambio di indirizzo Lire 100 1 Amm. : Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
Il Sinodo ripropone il tema deM’evangelizzazione Comitato Centrale del C.E.C.: Rapporto del Segretario generale, E. C. BLAKE
Come uscire Senza un'obbedienza rinnovata e più fedele
dalla stasi evangelistica? Il mondo e la Chiesa corrono al disastro
i _1:..^ J.i z*'?_ __ .... Il --- , ^
L'Ordine del Giorno approvato dal
Sinodo nel corso del dibattito sul
Centenario di Valdo, pubblicato sull'Eco-Luce, con cui si invitano le nostre comunità a riprendere l'attività
evangelistica, non è una eccezione,
un fatto straordinario. Ogni anno viene riproposto, in un modo o nell'altro,
quel problema, e regolarmente viene
votato un appello all'evangelizzazione, che cade nel nulla. È un po' come
il problema delle finanze: interventi
passionali, slanci oratori, un momento
di emozione, e si passa oltre.
Per l'evangelizzazione accade lo
stesso fenomeno: si alza un fratello,
fa il suo intervento, tutti approvano e
le cose vanno avanti come prima. Da
un certo numero di anni però gli appelli si fanno meno appassionati, non
c'è più quella improvvisa vibrazione
interiore quando si solleva la questione, l'assemblea sembra « fredda »,
non « si riscalda » più ; se ne ha una
prova nel fatto che il momento, sempre più breve, in cui si dibatte la
questione, non è più dominato, come un tempo, da appelli alla vocazione missionaria, alla responsabilità di
evangelici nel paese, dall'urgenza degli uomini da condurre a Cristo, ma
molto più brutalmente dalle statistiche.
Si leggono le statistiche e si dice :
il numero dei membri delle comunità
è in diminuzione, « andiamo indietro
anziché andare avanti »; negli ultimi
dieci anni, ha constatato quest'anno
il pastore Nisbet, abbiamo perso oltre
600 membri, una grande comunità come Pinerolo, o Milano, sparita. Se
questo accade significa che qualcosa
non va nella nostra vita cristiana, nella vita delle comunità, nella predicazione, significa che la gente non è interessata a quello che diciamo; oppure che non ci dimostriamo abbastanza convinti e dinamici, significa
che non crediamo più a quello che
professiamo. Non solo ma proseguendo di questo passo finiremo col dissolverci nella massa italiana, cattolica ed
indifferente, una minoranza che non
si estende finisce col restringersi
sempre più e con lo sparire. Questo
tutti lo capiscono, quello che non si
capisce tanto bene è cosa bisogna
fare.
Penso anzitutto che occorra cessare
le lamentele attribuendo agli altri il
proprio insuccesso. È cosa da poco,
ma senza questa chiarificazione della
atmosfera non si potrà parlare in modo costruttivo. Se l'evangelizzazione
non procede più come un tempo, se
manca la passione per l'opera di testimonianza, se le comunità si ripiegano
su se stesse la colpa è di qualcuno,
così comincia il discorso, è della nuova teologia, dei giovani, della contestazione, della Facoltà di Teologia, di
Agape, di Nuovi Tempi, delia Luce, e
chi più ne ha più ne metta. Insomma sempre c'è qualcuno che ha fatto,
o fa, certe cose, che ha detto, o dice,
certe cose impedendo lo slancio missionario. Penso debba essere invece
chiaro a tutti, una volta per sempre,
che la colpa non è di Tizio o Caio; se
non si evangelizza non è perché ci
siano fra noi delle quinte colonne
dell'Indifferenza che vanno in giro
seminando la zizzania della pigrizia,
della negligenza, del disinteresse. La
colpa non è di nessuno, o meglio non
si può ragionare in termini di coJpa e
non colpa. La situazione in cui vive
la nostra comunità evangelica è tale
che l'evangelizzazione non è più
« nell'aria », non si respira più, non si
sente più. La difficoltà è oggettiva.
Gli «altri» però riescono, si risponde, le sette evangelizzano, vanno
avanti, progrediscono, basterebbe seguire il loro esempio. Su questo punto occorrerà fare una riflessione seria
per chiederci realmente come progrediscono e che tipo di progresso sia il
loro; un fatto mi sembra però chiaro: spesso non si tratta del progresso dell'Evangelo ma di un estendersi
della schiavitù legalista.
Cercare il colpevole non è dunque
profìcuo né serio, tanto più che non
si impedisce a nessuno di fare e tentare quello che ritiéne dover fare.
In rapporto ai tragici fatti accaduti alle
Olimpiadi di Monaco
pubblichiamo, oltre a
una valutazione politica negli « Echi della
settimana » (p. 6), il
testo di due predicazioni pronunciate domenica scorsa (p. 2).
Forse che il clima della nostra Chiesa
è un clima di tale oppressione poliziesca per cui chi tenti un esperimento evangélistico venga denunciato e
redarguito? Ogni comunità ha la piena libertà di tentare e sperimentare
tutto quello che vuole! Il Sinodo non
fa che ripetere anno dopo anno che
si deve sperimentare, cercare nuove
forme di ministeri, di strutture, di
presenza.
In secondo luogo è altrettanto inutile ed improduttivo fare appelli generici o riversare le colpe sulla Chiesa
in genere: manca lo spirito di missione, le comunità sono così o cosà, i
credenti non reagiscono, non avvertono il problema, sono distratti da
altre preoccupazioni, stanchi, sfiduciati ecc. Proteste di questo genere lasciano il tempo che trovano, sono
troppo generiche per essere efficaci e
non forniscono idee e suggerimenti
per operare. Si dovrebbe piuttosto
cercare di mettere in evidenza ed in
comune ciò che si fa da parte di qualcuno, fare circolare più idee e suggerimenti, stimolare di più l'inventiva e
l'immaginazione, prendere spunti da
ogni parte e provare in tutte le direzioni.
Smettere di cercare i responsabili
della mancata evangelizzazione e di
lamentarsi di una situazione di crisi
è la prima condizione per cominciare
a fare qualcosa, ma fatto questo restano alcuni interrogativi da risolvere: è l'evangelizzazione identica a
quello che da alcuni anni si prospetta come una « presenza evangelica »
in Italia? Sono la stessa cosa oppure
quella così detta presenza non finisce
in ultima analisi per produrre un certo disinteresse evangelistico? In secondo luogo è fruttuosa la politica seguita nel corso degli ultimi anni di
opere sociali come espressione di testimonianza e di evangelizzazione o
non finisce col paralizzare tutte le nostre energie in urta ragnatela di costruzioni, attività, impegni di uomini
in ultima analisi sottratti alla missione? Terza domanda non priva di gravità : sono le nostre strutture comunitarie, i nostri culti, '£ nostre assemblee tali da rappresentare un polo di
attrazione per uomini in ricerca? Su
questi problemi occorrerà riflettere
per attuare quei progetti concreti di
cui parla un nostro 0.d.G. sinodale.
Giorgio Tourn
Il tema principale di questa riunione evidenzia la comunità fraterna dei
cristiani e delle CMese in Cristo; al
tempo stesso una realtà spirituale attuale e uno scopo da raggiungere, senza di che il Consiglio, non sarebbe che
un’organizzazione sociale fra molte altre è, secondo i criteri del mondo, assolutamente non la più importante. Il
nostro terna attira imlnediatamente la
nostra attenzione sù ciò che costituisce la nostra forza maggiore e la nostra maggiore debolezza.
A Amsterdam, veqtiquattro anni fa,
i padri del movimeriito ecumenico hanno affermato il loro impegno reciproco in questi termini: « Siamo decisi a
restare insieme ». Hanno mantenuto
questa promessa e fatto onore al loro
impegno, e li abbiamo seguiti. Questa
riunione del Comitato centrale, la venticinquesima di una serie ininterrotta,
è un segno visibile di’ quest’impegno
delle Chiese nei confronti di Cristo e
le une verso le altre. Eppure non abbiamo potuto adempiere a quest’impegno. Persistono fra noi residui di sospetto, di timidezza, di separatismo,
di meschinità di visioni, di malintesi,
di arroganza confessionale, come pure impegni culturali, ideologici, regionali e nazionali che si escludono fra
loro, con diverse gradazioni.
Questo insuccesso nella realizzazione del nostro impegno yerso Cristo e
fra noi permette ai critici, sia dentro
sia fuori del movimento ecumenico, di
domandarsi se le strutture di un consiglio sono davvero importanti come
lo pensava chi ci preceduto, costituendole. Tutte le delusioni, tutti i
problemi irrisolti, Jròppo complessi
per trovare una sotaione rapida, tutti
gli scontri persója^uì ed ecclesiastici
che pesano sulla nostra comunità fraterna e lasciano; cicatrici, non hanno
potuto scuotere la mia convinzione che
Dio sia l’ispiratore del movimento ecumenico e che il CEC è uno strumento
unico di tale movimento.
Il progresso sulla via dell’unità non
avverrà automaticamente. Verrà da
uno studio teologico serio che l'oikoumene attende dalla Commissione Fede e Qrdinamento. Ma, com’è apparso
Tre Segretari generali: da sinistra a destra, Visser ’t
Hooft, Blake, Potter.
nella riunione di Lovanio, la scorsa
estate, la nostra epoca richiede che i
teologi affilino i loro vecchi strumenti
e ne mettano a punto di nuovi, per affrontare i problemi e per cogliere le
occasioni in vista di costruire l’unità
della Chiesa nel quadro dell’unità dell’umanità. A livello mondiale, è chiaro
che la vita e l’evoluzione dell’unico
movimento ecumenico dipende largamente dalle relazioni e dalla collaborazione che potranno istituirsi fra il
CEC e la Chiesa cattolica romana.
A Upsala un gruppo notevole di cattolici romani delegati dalla Santa Sede assistevano alla quarta Assemblea
quali osservatori; Roberto Tucci vi ha
inoltre tenuto una delle relazioni fondamentali, e commentava in questi
termini il problema dell’adesione della
Chiesa cattolica romana al CEC: «Ci
pare che non si possa eludere il problema ».
Tuttavia nel giugno 1969 il papa
Paolo VI ha visitato Ginevra e in particolare la sede del CEC; nell’allocuzione ivi pronunciata il papa ha posto egli stesso tale problema all’ordine del giorno dell’ecumenismo; ne ha
raccomandato lo studio, ma non era
favorevole a un’azione immediata, perché riteneva giustamente che una de
cisione al riguardo fosse prematura.
Facendo seguito a questo
primo passo, il Gruppo misto
di lavoro ha nominato una
piccola sottocommissione che,
entro un anno, ha prodotto
un documento adottato dal
Gruppo misto di lavoro come
strumento di studio comune
sulla questione dell’adesione
della CCR al CEC. Senza dubbio alcuni fra noi erano troppo ottimisti nella loro speranza di assistere a pronte decisioni, poiché negli anni precedenti ci eravamo abituati
ai miracoli di progressi inattesi sulla via dell’ecumenismo.
Potreste domandarvi, in
quanto organo direttivo del
CEC, come mai questo documento non
è stato mai sottoposto alla vostra critica e alla vostra approvazione. Le ragioni sono, a mio avviso, due.
L’Assemblea di Upsala aveva incoraggiato « il Gruppo misto di lavoro a
continuare ad esaminare la questione
dell’ingresso della Chiesa cattolica romana nel Consiglio ecumenico delle
Chiese quale membro ». In questo contesto l’Assemblea aveva dichiaràto che
« l’ammissione in qualità di membro
dipende dall’iniziativa delle Chiese,
dalla loro volontà di accettare la base
del CEC e dall’accordo delle Chiese
membro, conformemente alla Costituzione. Il Consiglio ecumenico delle
Chiese afferma la sua volontà di accogliere quale membri tutte le Chiese
cristiane che ancora non fanno parte
della sua comunità ~— •
Dove ci porta questa introduzione?
I] rapporto è stato pubblicato. Qual è
la sua portata? Evidentemente, il fatto che sia stato pubblicato non vuol
dire che la CCR presenterà presto la
sua domanda di adesione. L’introduzione dice chiaramente che non c’è da
aspettarsi una domanda d’adesione
nel prossimo futuro. Sotto la sua for
(continua a pag. 6)
L’Italia è di nuovo sotto il dominio politico del Vaticano
«Veliti seneiilini)i: molte spereeze delese
Alle ore 14 del 20 settembre 1870 il
generale Cadorna, comandante del
corpo militare che otto giorni prima,
eseguendo gli ordini del re d’Italia,
aveva varcato la frontiera dello Stato
pontificio, firmò col generale Kanzler,
comandante delle truppe del papa, la
capitolazione di Roma. In tal modo
aveva inizio un nuovo ciclo nella storia della città; e anche dell’istituzione che con essa nei secoli, si era identificata, la Chiesa Romana; mentre,
per quella incerta realtà politica che
era l’Italia unita, questo « grande
grandissimo avvenimento» (secondo
Tespressione che usò Quintino Sella
nella sua lettera del 21 settembre 1870
a Marco Mlnghetti) rappresentava
«il fata trahunt» che Tavrebbe consolidata; infine, gli anticlericali videro in questo evento il principio della
fine per la Chiesa Romana, come forza politica in Italia, come organismo
politico-religioso nel mondo.
Quest’ultima, più ampia interpretazione dell’evento era assai fallace. In
realtà sul piano internazionale, lo
scollamento della Chiesa come istituzione politico-religiosa, dalla fatiscente formazione statale del dominio
temporale pontificio, ad essa collegata
fino a quel giorno, facilitò il suo passaggio ail’alleanza con forze politicosociali diverse da quelle nel cui sostegno si era, fino allora, attardata. Sul
plano italiano, forte dei suoi agganci
intemazionali e, in Italia, della sua
base contadina, il cattolicesimo politico seppe perseguire, a tappe successive, un ampio disegno di rivalsa. Già
nel 1913, con il patto Gentiioni, il sostegno dei cattolici diventava determinante per assicurare la continuità
del sistema politico abbozzato da Giolitti. Nel 1929 il Concordato fascista
suggellava la fase reazionaria ed autoritaria di codesto compromesso. Avviando dal 1938, con la rottura sul
problema ebraico, lo sganciamento
dai regimi totalitari, la Chiesa preparava la ripresa, dal 1948, di una più
ampia e articolata gestione del potere in Italia, gestione che è tuttora in
corso.
Ma altro è ancora da dire circa il
significato del 20 settembre nei confronti del cristianesimo, come movimento religioso che solo in parte si
identifica col cattolicesimo, e i.n parte
ancora minore con la sua gerarchia.
Era certo ingenua la speranza di quegli evangelici che di tale gerarchia, e
del sistema ecclesiastico cattolico, speravano prossimo il collasso, sicché il
20 settembre potesse segnare la data
di nascita di un’Italia protestante:
non bastò quell’evento, con la conseguente umiliazione della Santa Sede,
ad alterare se non in misura assai modeta la geografia confessionale italiana. Tuttavia, se « riforma » in questo
senso teolo^co ed ecclesiologico non
ci fu, si può pensare che la' situazione determinata dagli eventi del 1870
entrò come elemento rilevante nel
corso di un pontificato come quello
di Leone Xni (dal 1878 al 1903) e nei
fermenti che agitarono il cattolicesimo intorno al volgere del secolo; come immaginare che un’enciclica come
la « Rerum Novarum » ( 1891 ) potesse
venire dettata da un pontefice-monarca come quelli precedenti? Oppure,
come si può pensare che il modernismo avrebbe potuto raggiungere nella base ecclesiastica una diffusione
come quella che ebbe, in una diversa
situazione della Chiesa? E tali furono le premesse lontane del ■ Concilio
Vaticano secondo.
Oltre alle speranze di « riforma », il
20 settembre destò altre previsioni
fallaci ; gli anticlericali di stampo positivistico immaginarono che a Roma
si potesse celebrare il trionfo del popolo d’Italia «su l’età nera, su l’età
barbara », insomma sul perdurante
medioevo cristiano, destinato ad essere cancellato da una nuova età dei
lumi. Ma questa immaginata epoca
postcristiana in Italia, nell’ambito
« borghese » in cui veniva auspicata,
non aveva sufficienti dimensioni né fi
losofiche, né sociologiche. Si sarebbe
realizzata solo nella misura in cui il
movimento operaio avrebbe assorbito
codeste premesse, inserendole fra le
caratteristiche del socialismo italiano, che sarebbe stato, qimdi, di tendenze atee e anticlericali, contrappr^
nendosi nel nostro secolo al cattolicesimo in un contrasto che caratterizza tuttora la nostra vita politica.
Infine mi domando, allontanandomi alquanto da un discorso « storico », se non si possa dare anche un
giudizio cristiano sull’unione di Roma
all’Italia, nel senso in cui « cristiano »
vuol dire ispirato dalla predicazione
e dalla croce di Cristo, e quindi al presupposto che i cristiani, come ha
scritto recentemente padre BMducci,
« sono sempre dalla parte degli impiccati ».
Durante alcimi decenni, prima del
1870, vi erano stati in Italia patrioti
impiccati, fucilati, esiliati per la loro
entusiastica adesione alla speranza
del Risorgimento nazionale, da cui
aspettavano anche la soluzione di
molti problemi sociali e umani che il
1870 non risolse; Mazzini, che più di
ogni altro aveva contribuito a destare
quelle speranze, il 20 settembre era in
prigione a Gaeta, sorpreso il mese
prima mentre cercava di far scoppiare un moto in Sicilia. L’evento che
sembrò suggellare l’Unità, concluse
anche la fase più sofferta e migliore
di quel periodo di vita italiana; i sen
timenti che si erano diffusi fra gli ita
liani nel 1848-49 e nel decennio sue
cessivo furono rivissuti solo allorché
nel nostro secolo, nuove dure prove
alla fine dei grandi conflitti bellici,
diedero agli italiani il senso dell’unità
nella sofferenza.
Sembra dunque che, anche in questo caso (e nel contemporaneo elevarsi del fervore religioso nei cattolici
migliori) possa essere verificato, per
tutto un popolo, che, « quando son debole, allora son forte».
Augusto Comba
L
2
pag. 2
N. 37 — 15 settembre 1972
Due predicazioni pronunciate domenica scorsa in rapporto alla tragedia di Monaco
« ...chiederò conto deila vita dell’uomo
alla mano dell’uomo... » (Genesi 9: 5) *
L’eccidio alle Olimpiadi di Monaco alla luce di Matteo 12: 43-45 (’^)
La resa dei conti ^ CASA
I.
I fatti di Monaco della settimana scorsa hanno fornito l’occasione per la montatura di una colossale menzogna: l'indignazione di
fronte al terrorismo e alla violenza. Si è parlato a proposito del
commando palestinese di un « atto di barbarie », di « orrore e sacrilegio ». Della sedicente indignazione perché la mano dell'uomo stava per colpire l'uomo si è
fata eco tutta la stampa e tutti i
mezzi di informazione, ma bastava andare un po' a fondo nella lettura per vedere che questa era
effettivamente molto debole. Una
delle poche parole vere che ci è
stato dato di leggere, cioè un articolo di seconda pagina di Lietta
Tornabuoni sulla « Stampa », ci
ha mostrato molto bene che tutto
si è risolto nelle cerimonie funebri. I maestri delle cerimonie ne
hanno di pronte per tutti gli usi:
era stata interrotta quella delle
Olimpiadi; se ne è fatta una funebre. Ma la funzione oppiacea delle cerimonie è valsa comunque a
sgonfiare le tensioni o a dirottarle su obiettivi fittizi.
Ma altri, in modo ad un tempo
candido e spudorato, hanno tranquillamente ammesso che era grave che « la festa delle Olimpiadi
si fosse volta in dramma ». Questo è il punto. L’indignazione non
è nata da un episodio di violenza,
ma perché questo si è introdotto
nella Monaco festosa delle gare
sportive. Nel Vietnam e in altri
paesi del terzo mondo in cui sono
in corso guerre di liberazione, sono morti ben più di undici combattenti, ma quelle morti non disturbano l’opinione pubblica perché avvengono in un altro contesto, non di festa, ma già, di per
se stesso, di dramma. Là dove la
fame, l'oppressione colonialista,
la malattia sono il dramma quotidiano, il napalm volge il dramma
in tragedia, e nessune se ne cura,
le notizie, quando sono date, occupano trafiletti di dimensioni ridicole, anche se la mano dell'uomo colpisce e per di più in modo
assai più vile dei palestinesi a
Monaco, perché da posizioni militarmente molto più sicure.
II.
Ma era veramente una festa
quella di Monaco che si è volta
in dramma?
II tetto pensile fatto di fibra di
vetro affinché passasse la luce necessaria per gli operatori della TV
è costato 35 miliardi. Milione più,
milione meno, un miliardo è pari
circa al totale del reddito di tutti
gli abitanti della Val Germanasca.
Valutando a 35 anni la media del
periodo lavorativo di un uomo,
deduciamo che, nel contesto dell’economia mondiale considerata
nel suo complesso, noi qui lavoriamo tutta la vita per costruire
il tetto di una Olimpiade. Ci dà
una gioia molto festosa questo?
Il costo totale dell'Olimpiade è
calcolato nella cifra di 1000 miliardi: quasi la metà del bilancio
annuo italiano per la scuola. Questa sarà scalcinata finché si vuole,
ma vale veramente solo il doppio
delle Olimpiadi di Monaco? Quella scuola in cui tutti, bene o male,
imparano a leggere, scrivere, a vivere con gli altri, da cui escono i
medici, gli insegnanti, tutti quelli
che esercitano un servizio pubblico? E se la risposta è sì, allora
questo si può festeggiare?
A Monaco mancano 40.000 alloggi. Di questa situazione fanno
le spese, naturalmente, gli immigrati per lavoro: 200.000 persone
su un totale di 1.300.000, cioè circa un sesto. Tra questi ci sono
molti italiani che vivono in topaie,
alcuni dei quali fanno il doppio
turno addirittura nel letto: due
persone dormono a turno nello
stesso letto, quando il compagno
lavora. Nel periodo in cui si costruiva per le Olimpiadi 4.000 ope
rai italiani, turchi, spagnoli, sono
stati licenziati e messi sul lastrico. Era questa la festa che si è
volta in dramma?
E ancora, limitandoci strettamente alla struttura delle gare,
abbiamo visto quanto fosse fasulla la fraternità tanto decantata,
con la squalifica dei due atleti negri che non hanno reso i dovuti
onori alla bandiera del loro paese
razzista. E se pensiamo che il nostro passo fa riferimento aH'iminagine di Dio, è degno deH’immagine di Dio, riprodurre in campo
sportivo quel tipico carattere della violenza che è la sopraffazione:
io vinco, tu perdi? E battersi per
fare spettacolo, per divertire gli
altri? C’è qui tutto il problema degli uomini che vivono in queste
condizioni, pur guadagnando i
milioni a palate. Ma sono uomini!
Non possono essere ridotti alla
funzione di giocattoli.
III.
E allora cerchiamo di vedere la
prospettiva della resa dei conti
sulla vita degli altri in modo un
po allargato. Dio chiede conto
della vita: vorremmo dire che non
chiede solo conto della morte, ma
della vita in ogni suo aspetto; non
solo degli israeliani che erano destinati ad essere assassinati, ma
anche dello spreco delle Olimpiadi, anche della vita di coloro che
vivono in topaie e baracche e per
i quali nessuna mano ha costruito un’abitazione sopportabile, anche della vita di stenti dei quattromila licenziati e delle loro famiglie. E la resa dei conti è sulla
vita deH’Momo. Chiunque esso
sia: israeliano o vietnamita, arabo o angolano. E qui c’è forse un
ultimo punto su cui la menzogna
ha buon gioco sul nostro pensiero, se pensiamo alla morte dei
« terroristi » di Settembre nero. È
facile che pensiamo che della loro vita nessuna mano è tenuta a
render conto, perché loro la morte, bene o male, se la sono voluta.
Epure nemmeno Caino può essere
ucciso impunemente (Gen. 4: 15).
Ezechiele pone nella bocca di
Dio questo compito per la « sentinella »: « Quando io dirò all’empio: certo morrai, se tu non l’avverti e non parli per avvertire
quell’empio di abbandonar la sua
via malvagia, e salvargli così la
vita, quell’empio morrà per la sua
iniquità; ma io domanderò conto
del suo sangue alla tua mano »
(Ez. 3: 18).
Diamo per scontato che i terroristi arabi facciano parte di questi empi. Che cosa ha fatto l’occidente « cristiano » per avvertirli
in tempo? Li ha avvertiti o non ha
loro piuttosto insegnato il terrorismo, cioè l’empietà? Non siamo
forse anche noi dei bravi cultori
del terrorismo e soprattutto delle
cause economiche e sociali che lo
provocano? Le nostre mani grondano di sangue. Per questo dire
la verità è difficile.
Claudio Tron
(*) Sermone predicato a Massello e a Fontane il 10 settembre 1972.
Corpo Pastorale
In previsione della ripresa
delle attività in Ottobre e per
favorire uno scambio di pensieri e di suggerimenti i pastori
delie Valli e le loro mogli sono
convocati venerdì 29 settembre
al Castagneto per un incontro.
Il programma dettagliato verrà inviato nel corso del mese e
saranno indicate le modalità di
iscrizione. Si prega però di
prendere sin d'ora nota della
data e non trascurare questa opportunità che ci viene offerta di
riflettere insieme al nostro ministero.
La Comm. Distrettuale
Di fronte a fatti come quelli accaduti i giorni scorsi alle Olimpiadi di Monaco ci si trova, come credenti e anche come predicatori, in una difficile
situazione: quella di non poter tacere
— sentiamo che una parola cristiana
deve essere detta — e nello stesso tempo di non saper parlare — non è affatto chiaro quale sia la parola cristiana
da dire. Ci si sente sopraffatti da una
realtà tenebrosa molto più grande di
noi, ogni nostra parola apare sbiadita
accanto alla sinistra eloquenza dei fatti, nessun commento sembra adeguato,
proporzionato alla tragicità dell’evento. Se ci fosse un profeta in mezzo a
noi, non saremmo così interdetti: egli
saprebbe còsa dire, saprebbe percepire
distintamente la parola di Dio in mezzo al fragore e alle convulsioni della
storia umana e potrebbe proferire parole illuminanti e orientatrici. Ma dove
sono i nostri profeti? La chiesa d’oggi
manca di profeti più ancora che di pastori e in particolare siamo molto carenti sul piano della profezia politica,
che pure è un momento fondamentale
della testimonianza della chiesa. In
mancanza di profeti si fanno avanti gli
scribi, quali noi siamo: scrutatori e
commentatori della Scrittura vi cerchiamo a fatica la parola di Dio, con
speranza ma anche con rischio. Il rischio è di scambiare le nostre parole,
i nostri pensieri, i nostri giudizi con
le parole, i pensieri e i giudizi di Dio:
rischio sempre presente, ma tanto più
quando si cerca di dire una parola
evangelica in rapporto ad avvenimenti
della storia contemporanea, cioè quando si cerca di fare opera di profeta
senza esserlo.
A questo punto qualcuno penserà:
Ma se è così rischioso parlare, non
converrebbe tacere? Perché non calare
un sipario di muto dolore di fronte al
fatto di Monaco, che proprio per la
sua atrocità ci sgomenta e ammutolisce e che preferiremmo poter presto
dimenticare e passare oltre? Certo,
fratelli, potremmo tacere. Ma cosa
vorrebbe dire? Cosa diremmo tacendo? Che non c’è una parola evangelica
da pronunciare in rapporto a eventi
come quelli di Monaco? È questo che
pensiamo? È questo che vogliamo che
si pensi: che non solo noi ma anche
Dio ammutolisce davanti a certi fatti?
Possiamo davvero contare su un silenzio di Dio che, solo, potrebbe giustificare il nostro? O nÒn dobbiamo invece
contare sulla parola di Dio? E quindi,
malgrado tutto, « parlare e non tacere » (Atti 18: 9)?
Noi dunque parleremo, nella speranza di udire la parola di Dio come Gesù
ce l’annuncia in questa sua parabola:
= Or quando lo spirito immon
= do è uscito da un uomo, va at
= torno per luoghi aridi, cercan
^ do riposo e non lo trova. Allo-.
E ra dice : Ritornerò nella mia ca
E sa donde sono uscito ; e giunto
§ vi latrova vuota, spazzata e
1 adorna. Allora va e prende se
I co altri sette spiriti peggiori di
E lui, i quali, entrati, prendon
E quivi dimora ; e l'ultima condi
E zione di cotest'uomo divien
E peggiore della prima. Così av
E verrà anche a questa malvagia
= generazione. .
= (Matteo 12; 43-45).
Gesù parla di « questa malvagia generazione » che dà larga ospitalità ai
diavoli; parla di diavoli che vanno e
vengono e si moltiplicano con un crescendo impressionante sia di numero
(all’inizio è uno, poi sono sette) che di
malvagità (i sette spiriti sono peggiori di quello, pure « immondo », che li
ha evocati). Di solito pensiamo che i
diavoli stanno all’inferno; Gesù ci insegna che sono sulla terra. Perciò la
nostra generazione è in pericolo: perché contro l’avvertimento evangelico
di « non far posto al diavolo » (Efesini
4: 27) essa lo accoglie; la nostra generazione è aperta ai diavoli che si muovono liberamente in mezzo a noi, senza incontrare resistenza. La casa è
vuota: i diavoli occupano il vuoto della
nostra generazione. C’è molto vuoto
dentro di essa e molto vuoto significa
molti diavoli: il vuoto è lo spazio prediletto del diavolo, anzi l’unico spazio
che può avere — ma appunto nella
nostra generazione di vuoto ce n’è
molto. E qui comprendiamo bene, per
contrasto, il senso profondo dell’esorttazione apostolica a essere « ripieni
dello Spirito» (Efesini 5: 18): la casa
vuota, se non diventa tempio dello Spirito santo, diventa dimora di diavoli.
Il pericolo che incombe sulla nostra
generazione e di cui Gesù oggi ci avverte è che essa sia posseduta da un
numero sempre maggiore di diavoli,
cosicché la sua condizione diventi sempre peggiore: non staremmo quindi
andando di bene in meglio ma, se continuiamo così, di male in peggio. Che
fare, se vogliamo evitare che la nostra
condizione, continuando a peggiorare,
diventi irrimediabile? Che fare con
tro i diavoli? L’Evangelo e Gesù stesso
sono espliciti al riguardo: i diavoli bisogna combatterli e cacciarli, cacciarli nel deserto (nei « luoghi aridi ») dove non ci sono uomini e quindi non
possono far nulla di male (perciò «non
trova riposo ») perché senza la complicità dell’uomo i diavoli sono impotenti. Ma per combattere e cacciare i
diavoli bisogna prima smascherarli.
Impresa molto difficile, perché sovente « Satana si traveste da angelo di
luce» (2 Corinzi 11: 14).
Chi sono i diavoli? Per qualcuno, anzi per molti, l’identificazione è stata
facile: i diavoli son i guerriglieri di
« Settembre nero ». Uno dei più quotati giornali inglesi, 1’« Economist », li
ha appunto definiti « la nuova comunità internazionale degli indemoniati ».
Ma considerando tutto quello che è
accaduto a Monaco questa identificazione appare parziale e semplicistica.
Iddio ci conceda un discernimento
maggiore di quello dell’« Economist ».
Dicono ’’Pace”
mentre pace non c’è
I. - Tutti sanno che dietro la tragedia di Monaco c’è quella dei profughi palestinesi. Questo non significa
che dietro « Settembre nero » ci siano
davvero i profughi palestinesi: c’è ad
esempio chi sostiene che dietro « Settembre nero » ci sono gli sceicchi arabi e i loro governi reazionari il cui Tero obiettivo non è affatto di affermare
i diritti dei palestinesi ma di difendere i loro antichi privilegi di tipo feudale. Non lo sappiamo. Sappiamo invece che la tragedia dei profughi palestinesi esiste, ma è una tragedia dimenticata ed è dimenticata perché i profughi palestinesi politicamente non contano nulla (non hanno territorio proprio, non hanno governo, non hanno
ovviamente un posto all’ONU o altrove, non hanno altro che la loro miseria e la loro disperazione). I diritti di
chi non conta politicamente contano
anch’essi poco e sono i primi a essere
conculcati. La situazione dei profughi
palestinesi è tragica in sé ma lo è
soprattutto perché nessuno li vuole,
nessuno vuole difendere la loro causa,
né in Oriente né in Occidente, perché
è una causa che non rende e nel nostro mondo si fa soltanto ciò che conviene politicamente, non ciò che è giusto. La causa dei profughi palestinesi è
una causa di poveri, perciò politicamente non conviene e nessuna potenza grande o piccola la prende in mano.
A difendere i poveri non ci si guadagna mai.
I guerriglieri hanno messo violentemente davanti agli occhi del mondo
intento a giocare e a veder giocare la
tragedia dimenticata del loro popolo.
Essi hanno turbato la cosiddetta « pace olimpica » e molti lo hanno deplorato. Ma quanti hanno parlato in favore della « pace olimpica » era chiaro che non difendevano la pace ma solo la loro pace. La « pace olimpica » i
palestinesi non la conoscono, ne sono
esclusi: ma una pace dalla quale qualcuno è escluso non è più pace. A chi
parla di « pace olimpica » ben s’addice la parola di Geremia: « Dicono:
“Pace, pace", mentre pace non c’è»
(Ger. 6: 14). A ben guardare, parlando
di pace olimpica ci muoviamo tra ingenuità e ipocrisia e restiamo lontani
dala verità.
Ecco dunque trasparire la natura di
uno « spirito immondo » che ha preso
dimora nella nostra generazione: è lo
spirito che ci fa dimenticare la tragedia palestinese in quanto tragedia di
poveri che non contano e di cui quindi nessuno si fa portavoce; è lo spirito
che servendosi di molti mezzi — dall’alienazione sportiva al calcolo diplomatico — ci fa dire "Pace, pace” mentre, pace non c'è.
Il tiro a segno
della polizia
IL - Ma c’è un secondo « spirito
immondo » che si è scatenato a Monaco ma imperversa ogni giorno in tutto il mondo: è lo spirito immondo
dell’omicidio, il dèmone di Caino « che
era dal maligno e uccise il suo fratello » (I Giovanni 3: 12). L’impresa dei
guerriglieri si è subito colorata di
sangue: due ostaggi israeliani, che opponevano resistenza, sono stati assassinati. Il sangue corre presto quando
si gioca con la vita degli altri. Così il
dèmone di Caino si è impossessato dei
gueriglieri. Ma poi si è impossessato
in maniera ancora più completa del
governo e della polizia, e si è giunti
all’eccidio freddamente calcolato ed
eseguito, si è giunti alla pianificazione
dell'omicidio. In tutta la vicenda, il fatto più allucinante e demoniaco resta
il tiro a segno della polizia voluto dai
governi, anche a costo di causare un
massacro come poi è avvenuto. La facilità con cui si uccido l’uomo e ci si
attribuisce « licenza di uccidere » è la
manifestazione tipica di un mondo e
di un potere indemoniati. L’uomo è ri
dotto a bersaglio su cui si esercita la
perizia dei cecchini: abbiamo qui la
misura della nostra alienazione; è difficile immaginare qualcosa di più aberrante. Se è vero che non c’è amore più
grande che dare la propria vita per gli
altri (Giovanni 15: 13), è anche vero
che non c’è delitto più grande che
prendere la vita degli altri. Il fatto è
che l’immagine dell’uomo agonizza in
noi, non si vede più l’uomo ma solo il
nemico, non l’uomo ma l’arabo, non
l’uomo ma l’ebreo, non l’uomo ma il
negro. La vita dell’uomo non conta più
nulla; tutto il resto, anche le cose più
futili, hanno ormai più valore della vita umana; così si uccide e addirittura
si premedita e organizza l’omicidio sistematico come ha fatto la polizia.
L’uomo muore intorno a noi perché è
già morto dentro di noi. Il mondo si
svuota di uomini e si popola di diavoli. Tale è l’opera dell’antico e così
moderno dèmone di Caino.
III. - Vi è un terzo « spirito imdo » che ha preso dimora stabile nella
nostra generazione e che a Monaco è
stato molto attivo: è il dèmone della
menzogna e di quella particolare forma di menzogna che è la menzogna
politica. Tutti sanno che nella tragica
notte dell'eccidio le autorità di Monaco sia del governo che della polizia
hanno detto un monte di bugie: prima
hanno mentito ai guerriglieri per tendere loro un agguato, che è poi fallito, poi hanno mentito al mondo dicendo che gli ostaggi erano salvi mentre
invece erano morti. Ora Gesù stesso
definisce il diavolo « bugiardo e padre
della menzogna » (Giovanni 8: 44): chi
mente è posseduto dal diavolo, dove
c’è menzogna il diavolo è all’opera. Ci
sono molti modi di mentire e il più sicuro è di eliminare tutti quelli che
potrebbero dire la verità. A Monaco
è forse accaduto qualcosa del genere?
Non lo si può affermare con certezza
rna c’è chi lo sospetta. Un coraggioso
giornalista della nostra televisione, alla domanda sulle ragioni per le quali
un guerrigliero scampato in un primo
tempo all’eccidio è stato poi ucciso anziché catturato, ha risposto così:
« Sembrerebbe che nessuno dovesse
uscire vivo da questa vicenda ». Così
nessuno la può più raccontare. Ma a
parte questo, resta l’incredibile serie
di bugie consapevolmente diffuse prima che venisse a galla la verità. L’uso
della menzogna è così diffuso, anche
proprio da parte delle autorità politiche, che molto spesso quando sentiamo parlare di « versione ufficiale dei
fatti » pensiamo subito che le cose devono essere andate diversamente: la
versione ufficiale dei fatti di solito non
è quella vera. La menzogna si. è istituzionalizzata: questo dèmone ha veramente preso dimora nella nostra struttura mentale e sociale.
I diavoli di Monaco
Ecco dunque i diavoli di Monaco e
di tanti altri posti, i diavoli di casa
nostra: la nostra tendenza a coprire le
ingiustizie che non ci toccano, soprattutto quelle di cui sono vittime coloro che non contano e non possono difendersi, e a coprirle nel nome di una
« pace » egoista, sia essa sportiva, tattica o diplomatica; la, facilità con cui
ci riconosciamo « licenza di uccidere »
e ci mettiamo dalla parte di Caino contro Abele, trattando l’uomo come bersaglio per cecchini; la menzogna politica che sovente proprio le fonti ufficiali diffondono, non per informare ma
per ingannare. Questi diavoli, e altri
ancora, sono penetrati nella casa
« spazzata e adorna » delle Olimpiadi
e ne hanno rotto l’incanto, rivelando il
risvolto indemoniato di un mondo apparentemente così amichevole, giocondo ed armonioso.
Che dire concludendo? Bisogna dire
quel che l’Evangelo attesta, e cioè che
Gesù allontana gli spiriti immondi dall’uomo, perché essi in fondo sono
estranei all’uomo, l’uomo non è fatto
per loro ma per Dio; Gesù rivendica
l’uomo a Dio sottraendolo al dominio
abusivo dei demoni e cacciandoli restituisce l’uomo a se stesso. Questa
lotta contro i dèmoni continua e siamo chiamati a combatterla (Efesini 6:
11-13). Come si combattono i dèmoni?
Non col mitra, questo è certo: non si
combatte Satana con Satana perché
in tal modo la catena del male non si
spezza ma si allunga. Non col mitra si
combattono i diavoli, ma con lo spirito e la parola di Cristo, e qualcuno
soltanto « con la preghiera » (Marco
9: 29). In particolare, combattere i
diavoli di Monaco, come abbiamo cercato di individuarli, con lo spirito e
la parola di Cristo significa combatterli con la « giustizia sulla terra » (Geremia 9: 24), con la fraternità evangelica e con la verità. Amen.
* Paolo Ricca
(*) Testo della predicazione tenuta il 10
settembre 1972 nel Tempio di Corso Principe
Oddone, a Torino. Lo schema interpretativo
di Matteo 12: 43-45 è stato suggerito da una
predicazione di H. J. Iwand pronunciata a
Dortmund tra il 1947 e il 1950.
3
15 settembre 1972 — N. 37
pag. 3
I lavori del Comitato Centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese
Rapporto
del presidente :
II
Sottoponi! opi toologio e ogni politico allo disciplina dell'Eifaniiela"
Desidero parlare di come sono posti, nei grandi settori d’attività del
Consiglio, con intensità particolare, i
problemi della fede e della natura della comunità fraterna al servizio della
quale siamo impegnati. La nostra nuova ricettività verso i problemi dell’insieme della comunità umana e il nostro impegno attivo nei loro confronti
ci portano a riscoprire la fede, fondamento del nostro impegno comune.
Ne risulta una nuova presa di coscienza della necessità di ridefinire la
nostra fede comune in rapporto ai
problemi odierni, e il nostro impegno
al riguardo. L’interesse dimostrato
dalle Chiese in tutto il mondo per lo
studio su « La salvezza oggi », destinato alla futura riunione, a Bangkok,
della Commissione per la missione e
l’evangelizzazione, la decisione presa
a Lovanio, nel 1971, di intraprendere
un vasto studio sul tema « Rendere
ragione della speranza che è in noi »
nel mondo contemporaneo, e l’immenso interesse che scienziati e tecnologi,
medici e pedagoghi hanno per la riformulazione dei problemi essenziali costituiti dalla relazione fra la natura,
l’uomo e Dio — ecco altrettanti segni
di quella ricerca di punti di riferimento, che oggi caratterizza la situazione
ecumenica.
È questo desiderio di ricerca che ci
ha spinti a scegliere come tema della
nostra sessione « Impegnati al servizio
della comunità fraterna ». Quali sono
la natura e lo scopo della comunità
fraterna al servizio della quale le Chiese si sono impegnate nel movimento
ecumenico? E quali sono il fondamento e la portata dell’impegno delle Chiese membro nei confronti della comunità ecumenica costituita dal Consiglio?
COME SI PUÒ’ PREFIGURARE
IL REGNO DI DIO NELLA STORIA?
Dal rnio punto di vista di ’laico’, i
dibattiti di Lovanio su questa « escatologia che ha per centro l'eucaristia »,
aeterminati dal prof. Jean Meyendorfl;
e dal documento di Fede e Costituzione, « Al di là deirintercomunione —
Verso una comunione eucaristica »
hanno colto il senso della comunità
eucaristica e ’secolare’, nella relazione
che le unisce nel contesto della nostra
esperienza del regno escatologico e
della prefigurazione di questo regno.
Per il prof. Meyendorfr il regno escatologico è prefigurato « in modo unico
e fondamentale nella comunità locale », e la comunità dei credenti, che ha
come centro l’eucaristia, è il luogo in
cui l’uomo si libera del mondo secolare dei conflitti, dei determinismi e delle ideologie; è pure la fonte dell’unità
di questi credenti « nella loro qualità
di concittadini, per anticipazione, del
Regno di Dio avvenire ». In questo contesto il prof. MeyéndorfE pensa che
« la nostra responsabilità primaria » è
ia costituzione di « una Chiesa che ha
per centro l’eucaristia », mentre la nostra preoccupazione di creare una società migliore, per quanto giustificato
e valido, è « secondario rispetto all’essenza della fede cristiana, che è il destino ultimo ed eterno dell’uomo ». Le
discussioni nelle sezioni di Lovanio
hanno aperto più vaste prospettive,
correggendo o ampliando questo contesto.
Se è necessario porre l’accento sulla realtà del male demoniaco, di fronte al trionfalismo secolare, il prof. Miguez Bonino fa osservare molto giustamente che le comunità eucaristiche
non sfuggono a questa realtà; sappiamo benissimo che l’esclusivismo e le
idolatrie collegate al gruppo .etnico, alla casta, alla classe, alla razza e alla
ideologia pervertono queste comunità.
D’altro canto non c’è ragione di pensare che la società secolare è incapace di ricevere, attraverso l’apertura a
Cristo e alla comunità eucaristica, le
primizie del regno escatologico dell’amore. Anche la libertà cristiana non
è puramente escatologica, ma si esprime anche nella storia secolare; come
dice John Gatu, « la libertà cristiana
dev’essere vista dall’angolo visuale della trascendenza e al tempo stesso considerata come il mezzo effettivo per
porre fine all’oppressione con cui l’uomo schiaccia il proprio simile. La liberazione dev’essere quindi al tempo
stesso spirituale e fisica. Ciò presuppone una politica di giustizia che tenda verso il regno escatologico, di cui
per altro non può dare che un riflesso
imperfetto ».
Il documento « Al di là deirintercomunione » va anche più lontano. Vi si
parla della lotta condotta per la comunità secolare, le quali danno una portata nuova « alle intenzioni espresse
da tempo dalle celebrazioni dell’eucaristia » e che sono « ricche di simbolismo e di contenuto eucaristici ».
In qual misura la stretta relazione
fra le trasformazioni sociali e l’essenza della Chiesa dovrebbe trovare
espressione concreta nei programmi
del CEC relativi allo sviluppo, alla lotta contro il razzismo, agli affari internazionali e al servizio mondiale? In
qual misura dovremmo preoccuparci
essenzialmente della partecipazione
della Chiesa a quei nostri programmi
che fanno appello « a tutti gli uomini
di buona volontà »? Il problema non è
tanto sapere se e come le Chiese o il
CEC dovrebbero attribuirsi il merito
di questi programmi (gloriola per il
nostro egoismo), ma determinare in
■ qual misura la dimensione sacramentale di queste attività umane, il loro
rapporto con la nostra confessione di
Cristo dovrebbe precisarsi negli obiettivi e nelle strategie dei programmi
stessi.
Questa discussione, sull’insieme di
problemi Chiesa-Missione-Servizio, è in
corso da tempo. Si ravviva oggi in modo particolare e in forma nuova ed è
parte integrante del nostro esame sulla natura della nostra comunità fraterna in seno al CEC. Se tali programmi seno inerenti alla confessione della
nostra fede in seno a una comunità
fraterna di Chiese, la relazione fra la
fede, i programmi mediante i quali
confessiamo questa fede, e le ideologie
della giustizia e del servizio, necessari
a un’azione comune nella società secolare, varieranno da una situazione all’altra, ma potremmo sempre affermare che questi tre elementi dovrebbero
presentarsi in rapporto dialettico in
tutti i nostri programmi volti a promuovere la comunità secolare.
FEDE E IDEOLOGIE
Altro dibattito importante, quello
sulla natura della nostra comunità fraterna: relazione fra fede e ideologia,
fra unità di fede e conflitti ideologici.
Ai tempi della guerra fredda fra il comunismo e la democrazia capitalista,
la comunità fraterna del CEC si situava oltre le due parti, senza parteggiare, lavorava alla riconciliazione. Attraverso la CCAI cercava una sorta di
coesistenza pacifica internazionale fra
i due sistemi, e attraverso Chiesa e Società si sforzava di definire un criterio di società responsabile che permettesse di giudicarli entrambi.
Questo è del resto tuttora lo stile
che meglio si addice alla CCAI, com’è
dimostrato dal grande successo dei negoziati nel Sudan e dalla sua incapacità anche solo a tentare un approccio
al conflitto del Bengala orientale. Qggi però il CEC si preoccupa della lotta
che gli sfavoriti conducono per la giustizia, e in questa lotta deve prendere
partito in nome della nuova umanità
in Cristo. Quali ripercussioni ha, questo, sulla nostra comunità fraterna?
La dichiarazione di Addis Abeba,
che sollecitava il pieno appoggio delle
Chiese membro al Programma di lotta
contro il razzismo afferma chiaramente che « le Chiese devono sempre sostenere la liberazione degli oppressi ».
Ma a livello dell’ideologia che analizza
una sibjazione e assegna ai movimenti politici strategie e scopi ad hoc, il
CEC « non s’identifica e non può identificarsi completamente con un qualsiasi movimento politico ». Che cosa
implica quest’identificazione parziale?
Suppongo voglia dire, ad es. nel caso della discussione su violenza e nonviolenza, avutasi a Addis Abeba, che si
riconoscono visioni diverse e contradittorie in seno alla comunità fraterna
costituita dal Consiglio; ovvero potrebbe significare, in certe situazioni, un
impegno comune nei confronti di un
movimento politico di liberazione, impegno che non gli attribuisce però un
valore assoluto, sì che resti soggetto
al giudizio e al rinnovamento dell’Evangelo. Nell’un caso e nell’altro ciò
implica che la comunità di fede si situa al di là di tutte le politiche e le
ideologie, ed è quindi capace di impedire che gli impegni teologici e politici diventino progetti farisaici di salvezza, sottopenendoli alla disciplina
dell’Evangelo e della giustificazione
per la fede nel divino perdono in
Cristo.
Oggi però si va elaborando un altro
modo d’approccio, che bisogna prendere sul serio. Esso vede il ministero
la realtà, ma sono considerati strumenti necessari al servizio dell’uomo
che cerca di comprendere e forgiare
la realtà in modo creativo.
La teologia della liberazione umana
e della speranza, che oggi si diffondono un po’ dovunque, hanno prolungato l’idea secondo cui una visione utopica è intrinseca a ogni profezia e un
interesse ideologico è intrinseco a ogni
teologia. Negano che la teologia possa
essere ideologicamente neutra e sospettano che il dibattito sulla trascendenza e sulla riconciliazione non sia altro che un’apologià dello statu quo. Le
teologie si sforzano o di giustificare le
strutture di potere esistenti, che asservono l’uomo, o a giustificare la loro
trasformazione in vista della liberazione dell’uomo; vi sono teologie dei
ricchi e potenti, devono pure esservi
teologie dei poveri e senza-potere. Ta
Ph. Potter, al centro, accetta l’incarico; è fra i presidenti del C.E.C.
profetico della Chiesa nel suo ruolo di
« difensore e portavoce di una visione
utopica », cioè nella speranza che sia
storicamente possibile una nuova umanità liberata dall’oppressione; vede la
teologia come un mezzo per contribuire a tradurre questa visione in un’ideologia realista e in un movimento politico di liberazione, in ciascuna situazione.
La Conferenza Chiesa, e Società
(1966) ha concepito la teologia come
una inter-azione fra l’Evangelo e la
concezione che l’uomo ha di se stesso,
con le sue speranze e aspirazioni nelle
situazioni specifiche. Oggi i termini
utopia ,e ideologia hanno acquistato
una certa rispettabilità a livello teologico, in seguito agii studi intrapresi
dal CEC suH’avvenire dell’uomo e della società. Non sono più utilizzati nel
senso di ideali e immagini lontane dal
le motivazione è dominante nelle teologie della liberazione, quali quelle dell’America latina e la teologia nera.
A Lima Miguez Bonino ha dichiarato che ciò che ha chiamato « la riscoperta della Parola di Dio ( teologia barthiana) che ci ha liberato dal soggettivismo e dall’individualismo pietisti,
il ricordo ancora vivo della mostruosa ideologia della fede nel nazismo e
la lotta della Chiesa confessante, la
lotta recente contro un cattolicesimo
politico di destra (e i pericolosi cortocircuiti di un clericalismo cattolico di
sinistra, che costituiscono una minaccia costante),», può rendere diffìcile
una « accettazione piena » del nuovo
procedimento; ne ha però sottolineato
la « legittimità », notando che può diventare una teologia « veramente evangelica », e l’esigenza che il movimento
ecumenico se ne occupi.
Il modo d’approccio utopico e ideologico centrato sulla situazione trova
l’appoggio solido nella filosofia della
educazione,in vista della coscientizzazione, elaborata dal celebre pedagogista del CEC, Paulo Freire. Il rapporto
del colloquio di Bergen sull’educazione contiene un’esposizione della filosofia dell’educazione di P. Freire, « testimonianza della liberazione » nel quadro di una teologia della profezia.
LIBERAZIONE E PROFEZIA
In tutti questi dibattiti, il problema
fondamentale è il modo di comprendere, nella comunità fraterna delle
Chiese e del movimento ecumenico,
quello che è stato definito il ministero
sacerdotale della riconciliazione liberatrice e il ministero profetico del conflitto liberatore. Come possiamo essere, al tempo stesso, « i messaggeri della pace in un mondo di lotta e i messaggeri della lotta in un mondo di pace fittizia », senza frammentare la comunità fraterna in messaggeri di lotta
e senza dividere la struttura del Consiglio in strumenti di provocazione e
di conflitti, d’altro lato.
Secondo me la separazione dai gruppi profetici radicali e la formazione
di nuove sette potrebbero diventare
inevitabili se le Chiese costituite si
chiudono troppo nelle strutture di potere dello statu quo e si mostrano intolleranti nei confronti di questi gruppi, ovvero se questi gruppi danno al
proprio atteggiamento ideologico-politico un valore assoluto. Uno dei compiti della nostra comunità ecumenica
dovrebbe essere appunto quello di assicurare un dialogo fra i ministeri sacerdotale e profetico e fra i gruppi che
si rifanno all’uno e all’altro.
Il Colloquio che ha riunito a Ginevra, nel 1971, i dirigenti dei consigli
cristiani ha pregato i consigli di assumere un atteggiamento positivo verso
i gruppi cristiani e i movimenti di rinnovamento profetico radicali, i quali
* parlano spesso a nome di coloro che
non hanno la possibilità di esprimersi ». Le Chiese costituite hanno bisogno di questi gruppi per essere sensibilizzate ai problemi dei poveri e dei
senza-potere, così come questi gruppi
hanno bisogno delle Chiese per acquisire un senso più vivo delle loro responsabilità.
La stessa esigenza di dialogo si fa
sentire fra i vari gruppi radicali, talvolta meno tolleranti gli uni verso gli
altri di quanto lo siano le Chiese nei
loro confronti. La comunità ecumenica a servizio della quale siamo impegnati può essere il luogo in cui avvengono questi vari dialoghi?
M. M. Thomas
presidente del Comitato centrale
Le principali decisioni del Comilaio Cenlrale
Utrecht (soepi) — « In queste giornate abbiamo potuto constatare che la
nostra comunità fraterna si è rafforzata » — affermava il 23 agosto il presidente del Comitato centrale del CEC,
M. Thomas, nel corso della conferenza stampa a chiusura della 25“ sessione del Comitato centrale del CEC. Anche le controversie persistenti contribuiscono « a fortificarci piuttosto che
a indebolirci » nella comune ricerca,
una unità di fondo che è emersa nella
unanimità con cui è stato eletto il nuovo segretario generale, Philip Potter.
LA COMUNIONE ECUMENICA
Il tema della sessione, « Impegnati
al servizio della comunità fraterna », è
stato lungamente studiato, quindi
esplicitato in una lettera che sarà inviata prossimamente a tutte le Chiese
Al Centro dei Congressi di Utrecht, ascoltando il messaggio
di saluto di Beatrice d’Olanda.
membro del CEC: « Abbiamo potuto
constatare i segni del nuovo clima di
fiducia instauratosi grazie ai numerosi
colloqui bilaterali interconfessionali ».
Sebbene la Chiesa cattolica romana
non sia ancora membro, « siamo obbligatoriamente portati a considerare
in una prospettiva nuova la forma delle nostre relazioni ». Il compito consiste nel trovare insieme le vie che conducono alla koinonia e « a compiere la
nostra vocazione comune ». Pur avendo come scopo la costituzione di una
unica comunità di credenti, sul fondamento solido della « vittoria della Croce di Cristo », la comprensione reciproca deve tuttavia permettere a ogni
comunità umana « di sviluppare e di
esprimere la sua autentica identità nel
quadro della vita della Chiesa ».
La lettera fa notare alle Chiese membro che la migliore preparazione per
giungere a un concilio autenticamente
universale era di « trasformare la vita
delle nostre comunità locali, dei nostri sinodi e delle nostre assemblee ».
In questo quadro possono realizzarsi
unioni di Chiese e- forgiarsi atteggiamenti che permetteranno infine al
CEC di « trascendere i limiti che oggi
conosciamo ». L’attenzione andrà ora
rivolta alla preparazione della quinta
Assemblea del CEC.
GIAKARTA 1975:
QUINTA ASSEMBLEA
Essa si terrà dal 20 luglio al 10 agosto a Giakarta, in Indonesia. Sarà
composta da circa 800 delegati; tuttavia ■ la suddivisione dei seggi fra le
Chiese membro potrà essere ulteriormente rivista dal Comitato esecutivo.
Il tema centrale, che sarà sottoposto
in precedenza alle Chiese per invitarle a formulare le
òro proposte, gravita attorno a due
nozioni di libei-azione e di libertà.
Un gruppo preparatorio consultivo
sarà incaricato di
riflettere più a fondo sulle implicazioni di questo tema.
È stato chiesto che
l’Assemblea si riunisca nelle condizioni di massima
semplicità, compatibili con l’assolvimento dei suoi
compiti.
Il Comitato centrale raccomanda
che le Chiese membro siano incoraggiate a partecipare alla preparazione
dell’Assemblea di Bangkok, sul tema
« La Salvezza oggi ». Raccomanda inoltre che lo studio di questo tema sia
strettamente connesso a quello degli
altri due temi, « Rendere ragione della speranza che è in noi » e « L’avvenire dell’uomo e della società in un mondo tecnologico ».
LA CHIESA CATTOLICA ROMANA
Riguardo ai rapporti con la Chiesa
cattolica romana, il Comitato centrale
approva il nuovo orientamento dato
alla collaborazione nel settore della
società, dello sviluppo e della pace
(SQDEPAX), che fungerà da organo di
collegamento fra la Commissione pontificia Justitia et Pax di Roma e la
Commissione di partecipazione delle
Chiese allo sviluppo. Non dovendosi
attendere una candidatura in un prossimo futuro, si tratterà di trovare le
migliori forme di collaborazione possibili, per i prossimi anni. Il Comitato centrale incoraggia il Gruppo misto
di lavoro a esaminare questo problema.
Un’importante consultazione sul ruolo della Chiesa nell’educazione è previsto per il 1974, fra il Segretariato
vaticano per l’unità e la Commissione
del CEC per l’educazione.
LOTTA CONTRO IL RAZZISMO
Uno dei punti all’ordine del giorno
del Comitato centrale che ha suscitato
più lunghi dibattiti è stato quello degli investimenti. Presentato dal programma di lotta contro il razzismo
(PLR) e raccomandato dalla commissione d’esame, ha raccolto una larghissima approvazione. E stato deciso che
il CEC venda immediatamente le azioni che detiene, e cessi di investire in
società che investono direttamente o
commerciano in Africa del sud, Namibia, Angola, Mozambico, Zimbabwe
(Rhodesia) e Guinea-Bissau. Si è inoltre deciso « di non depositare alcun
fondo nelle banche che effettuano depositi bancari in questi paesi ». Inoltre le Chiese membro del CEC, come
pure le istituzioni cristiane e i cristiani in particolare, sono chiamati a
« usare tutta la loro influenza (...) per
incitare le società pubbliche e private
a ritirare i loro investimenti da questi paesi e a cessare ogni commercio
con loro ».
D’altra parte il Fondo speciale di
lotta contro il razzismo è stato portato da 500.000 a 1 milione di dollari.
Questo Fondo ha attribuito finora circa 380.000 dollari a organizzazioni a fini umanitari sostenendo gli oppressi
in Africa e in altre parti del mondo.
Sono poi state approvate varie raccomandazioni e dichiarazioni concernenti gli affari internazionali.
VIETNAM
Preoccupato per la situazione in Indocina, il Comitato centrale ha invitato espressamente il presidente degli
Stati Uniti a mettere fine a qualsiasi
bombardamento e a ritirare tutte le
truppe, entro il 31 dicembre 1972. Ha
sostenuto inoltre la presa di posizione del segretario generale Eugene Carson Blake, di condanna per i bombardamenti delle dighe nordvietnamite.
Ha invitato i governi di Hanoi, di Saigon e del Vietcong a liberare i prigic>
nieri di guerra e i prigionieri politici.
Si è inoltre deciso di creare un Fondo
speciale di ricostruzione e di riconciliazione nel Laos, in Cambogia e nel
Vietnam. L’ammontare di questo Fondo è stato fissato in un milione di dollari.
La Commissione delle Chiese per gli
affari internazionali (CCAI) è stata incoraggiata dal Comitato centrale a intervenire senza pregiudizio ideologico
là dove i diritti dell’uomo non sono
garantiti. Una consultazione avrà luogo, al riguardo, nel corso del 1974:
avrà quale compito principale di esaminare come conciliare i criteri dei
diritti dell’uomo e le condizioni culturali socio-economiche e politiche nel
mondo, prestando attenzione particolare alla libertà religiosa.
UGANDA
La dichiarazione relativa alla situazione allarmante determinatasi nell’Uganda è stata votata poco prima della
chiusura della sessione. È stata presentata da un gruppo di delegati afroasiatici, e votata all’unanimità. Essa
chiede al governo delTUganda di astenersi da « ogni decisione tendente ad
attentare alla cittadinanza degli Ugandesi di origine asiatica o a rifiutarla
loro ». Membri del personale del CEC
si recheranno in loco per valutare la
situazione.
NUOVI MEMBRI
In occasione di questa sessione del
Comitato, la comunità fraterna è stata rafforzata daU’ammissione di 8 nuove Chiese in seno al CEC: la Chiesa
dell’India del nord, la Chiesa presbiteriana dello Zaire, la Chiesa Evangelica Internazionale (n.d.r.: su questa
piccola chiesa italiana, di orientamento pentecostale, si è avuta nei mesi
scorsi una polemica; sinceramente, è
spiacevole che il personale del CEC
non abbia preso maggiormente sul serio le riserve motivate avanzate dalle
due Chiese italiane membri del CEC),
la Chiesa di Nias (Indonesia), la Chiesa protestante metodista nel DahomayTogo, l’Iglesia Evangélica Metodista
en las Filipinas, la Chiesa Luterana in
Liberia, l’Igreja Reformada Latinoamericana e la Chiesa Metodista del Perù.
La « Arbeitsgemeinschaft christlicher
Kirchen in der DDR » (la « Comunità
di lavoro fra Chiese cristiane nella
Germania est ») è stata accolta quale
consiglio associato. Il numero delle
Chiese membro del CEC è così giunto
a 261.
4
pag. 4
N. 37 — 15 settembre 1972
LA CHIESA |NEL MONDO
letitra aperta
ai rappresentanti degii iigonetti in Sudafrica
La « lettera » che pubblichiamo qui
sotto è stata indirizzata da alcuni
membri del Comitato francese contro
¿'apartheid ai rappresentanti delle associazioni ugonotte che si apprestano
a recarsi in Francia, per partecipare
alle celebrazióni commemorative del
massacro degli ugonotti di quattro secoli fa, celebrazioni che avranno luogo alla fine di ottobre. Si tratta di una
« lettera » di interesse generale e la
proponiamo all’attenzione e alla riflessione dei lettori. È apparsa sul n. 445
del b.i.p. r. p.
Signori, abbiamo appreso che state
per venire in Francia per celebrare il
ricordo degli ugonotti che, nel XVI secolo, vennero perseguitati per aver
preferito « obbedire a Dio piuttosto
che agli uomini ».
Noi siamo tuttavia turbati al pensiero che le chiese riformate cui appartenete sono attualmente divise su di
una base razziale e che esse danno un
sostegno teologico alla tesi « cristiananazionale » di una « missione » della
minoranza bianca sudafricana, missione di tutela e di dominazione, imposta ai vostri compatrioti di colore.
Questo concetto di « missione nazionale » di una minoranza razziale non
ci pare solo un errore politico e úna
colpa morale: è molto grave che esso
si vesta di una interpretazione religiosa che costitmsce — ai nostri occhi —
una perversione dell’autentica fede
cristiana.
Con questo, non facciamo che riaffermare ciò che 78 teologi del vostro
paese hanno detto, nel 1968, ai loro
compatrioti, nel dichiarare solennemente Tincompatibilità délVapartheid
colla fede cristiana.
Vogliamo dirvi che per noi la voce
di quei teologi costituisce la voce autentica della Chiesa di Gesù Cristo in
Sudafrica. E la riconosciamo anche
nei vescovi luterani della Namibia (regione dell’Africa sud-occidentale illegalmente « amministrata » dal Sudafrica, n.d.r.) che testimoniano per il loro
popolo, nel prete cattolico Cosma Desmond internato e condannato al silenzio per aver pubblicamente denunciato i rimpatrii forzati di africani « improduttivi », nei membri dell’« Istituto cristiano del Sudafrica », dell’Istituto Sudafricano delle relazioni razziali », stroncati dalla polizia di sicurezza, negli studenti africani, indiani,
meticci e bianchi che manifestano contro l’oppressione.
Il temibile privilegio del Sudafrica
è che, lungi dall’essere un « caso a
parte », esso presenta al giorno d’oggi
sotto una forma dilatata, evidenziata
— dato che la discriminazione vi prende una forma «legale» — i problemi
odierni del nostro mondo bianco occidentale cristiano, che giustifica ancora troppo facilmente la perpetuazione
dei rapporti di dominazione, sotto forma diretta o indiretta, militare, culturale, economica, su centinaia di milioni di uomini « di colore » e di poveri;
sappiamo bene che il « giudizio » che
diamo snlVapartheid è anche il giudizio che diamo su noi stessi.
Ecco perché l’appello al pentimento
e ad un cambiamento radicale non deve essere un’accusa che vi rivolgiamo,
ma è una parola di speranza che gli
uni e gli altri dobbiamo ascoltare da
Dio. Al di fuori della Parola di Dio e
dell’obbedienza della fede, quale la
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Pubblicata in inglese e tedesco
un’opera attesa e importante
L’AUTOBIOGRAFIA
di W. A. Vissert’ Hooft
Con una prefazione di H. Lilje è
uscita recentemente l’edizione tede
sca dell’autobiografia del primo se
gretario generale del Consiglio Ecu
menico delle Chiese, il pastore ri
formato Willem A. Visser’t Hooft
senz’altro una delle figure eminent
della Chiesa del nostro secolo. S
può immaginare l’interesse dell’ope
ra che è praticamente una retrospet
tiva su mezzo secolo di lavoro ecu
menico, vissuto in prima persona e
sempre da posizioni di grande responsabilità. Ma siccome il movimento ecumenico è vissuto e si è
sviluppato in stretto rapporto con la
storia politica d’Europa in particolare, molte pagine dell’autobiografia di Visser’t Hooft descrivono l’incidenza del lavoro ecumenico in particolari situazioni politiche: speciale attenzione è dedic^ata al rapporto
tra movimento ecumenico e resistenza tedesca sotto il nazismo. Questa
opera di Visser’t Hooft (il cui titolo
è: Il momio è stato la mia comunità) sembra destinata a diventare un
classico della letteratura ecumenica,
dato che, come giustamente osserva
H. Lilje, (c la biografia di Visser’t
Hooft è per lunghi tratti identica
con la storia del movimento ecumenico ».
scorgiamo oggi presso la minoranza
cristiana perseguitata del Sudafrica,
qualsiasi celebrazione dei testimoni
esiliati, perseguitati, accusati di « sovversione », quali furono gli Ugonotti,
non è ai nostri occhi che derisione e
« spazzatura ».
« Anzi, guardo a tutte le cose come
a un danno, di fronte alla eccellenza
della conoscenza di Gesù Cristo, mio
Signore, per il quale ho rinunciato a
tutte queste cose e le reputo tanta
spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, avendo
non una giustizia mia, derivante dalla
legge, ma quella che si ottiene mediante la fede in Cristo » (Filippesi 3: 8).
A. Marie Goguel, insegnante
M. Henaiet, pastore
Per il programma
di latta al razziamo
del CEC
Come i lettori certo ricordano, il
recente Sinodo ha votato un ordine del
giorno che invita le chiese — oltre a
dibatt ere e ad approfondire l’argomento razziale — a contribuire in modo
regolare con sottoscrizioni in danaro
al programma contro il razzismo del
C.E.C.
Per parte nostra ricordiamo ancora
una volta che attualmente il « fondo
di solidarietà » del giornale è destinato a questo programma e che le relative offerte vanno inviate al conto corr.
postale 2/39878 intestato a Roberto
Peyrot, corso Moncalieri 70, Torino.
Un grosso problema morale
Crescita allarmante
della richiesta di droga
in Svezia
(e.p.d.) La richiesta di droga rischia
di diventare, in Svezia, una vera epidemia. Ancora nel 1968 ufficialmente
si contavano al massimo ducento consumatori di stupefacenti (essenzialrnente personale d’ospedale e pazienti), oltre a un centinaio dj persone appartenenti a gruppuscoli'sub-culturali.
Quest’anno nella sola Stoccolma sono
stati rilevati 500 consumatori regolari
di stupefacenti, 300 a Göteborg, 150 a
Malmö (in quest’ultima città, ancora
nel 1971 si conosceva un unico caso
di morfinomane). È caratteristico che
l’abuso cresca nelle grandi città, che
raggiunga livelli d’età sempre inferiori, fra gli adolescenti, e che si concentri su tipi sempre più violenti di droga. Sono già stati comunicati casi mor
JAMES BALDWIN mette a nudo il problema dei negri americani
Cara sarai la Angela
È stata resa nota la lettera inviata dallo
scrittore James Baldwin a Angela Davis guando quest’ultima era rinchiusa nelle carceri di
California. La pubblichiamo integralmente.
« Cara sorella,
fino a questo momento si è molto sperato
che la vista di catene suUa pelle nera, anzi di
catene in generale, potesse essere per il popolo
americano uno spettacolo orrendo, collegato a
insopportabili ricordi; si è sperato che si sollevasse tutto insieme, seguendo un impulso interno, per spezzare queste catene. Ma neanche
per sogno, anzi sembra gloriarsi di queste catene. Diventa evidente più che mai con quanta importanza esso misuri il grado della sua
sicurezza col metro delle catene e dei cadaveri. Il « Newsweek », difensore degli indifendibili tenta di annegarti in un mare di lacrime
di coccodrillo e ti fa apparire sulla pagina della copertina in catene! Sembri sola e sperduta; così sola, paragonabile soltanto ad una
massaia ebrea in un carro di bestiame sulla via
di Dachau o a qualunque dei nostri antenati,
incatenato nel nome di Cristo sul suo cammino verso un paese cristiano.
Sono più vecchio di te di circa venti anni
e appartengo dunque a quella generazione della quale George Jackson ebbe a dire : « Non vi
è alcun fratello sano tra loro, neppure uno ».
In questo momento non vedo in me nessuna
possibilità di controbattere questa affermazione, perché so fin troppo bene che cosa voleva
dire con questa frase. Anche il mio stato è, in
fin dei conti, abbastanza vacillante. Considerando il tuo caso, e ripenso a Huey, George e
Jonathan Jackson, ho cominciato a capire
quale era il vostro pensiero, allorché parlavate
di mettere a profitto le esperienze del tempo
della schiavitù. Ora mi è chiaro che, per
esprimerlo in modo più semplice, tutta una
nuova generazione ha valorizzato da sola la
sua storia incorporandola con questo titanico tentativo si è liberata del peso proprio di
questa società, per non essere mai più la sua
vittima. Ciò potrebbe apparire esagerato, falsamente impertinente, soprattutto se lo si dice
a una sorella che si trova in carcere e deve
lottare per la sua vita, per la vita di tutti noi!
E tuttavia, malgrado tutto mi prendo l’ardire
di dirlo, poiché penso che forse tu non mi
fraintenderai, e infine non parlo da spettatore
passivo.
Ciò che cerco di esprimere è che tu — per
esempio — non sembri essere allo stesso modo
di tuo padre, come io sono figlio di mio padre.
In fondo le aspettative che mio padre o io,
la sua generazione o la mia potevano avere
dalla vita erano le stesse. Né la grande differenza di età, né il passaggio dal sud del nostro
paese verso il nord potevano cambiare in qualche modo queste aspettative o rendere la nostra vita più degna di essere vissuta. Poiché
utilizzando la rude espressione di qual tempo
— un’espressione della più intrinseca disperazione — egli era solo un "Nigger” — un pastore "Nigger", per lavoratori “Nigger”, e tale
ero anch’io. Per me riuscii a togliermi le catene di dosso, ma ciò è in questo contesto secondario, cosi come è secondario che alcuni
pochi poveri spagnoli siano diventati ricchi
toreri, o alcuni pochi poveri negri abbiano
raggiunto la ricchezza con il pugilato. Che
qualcosa del genere possa essersi addirittura
verificata, ciò può anche aver aiutato il nc^stro
popolo di tanto in tanto a dar sfogo ai suoi
sentimenti repressi, tuttavia non voglio essere
per questo motivo troppo presuntuoso. Ma
quando Cassius Clay cambiò il suo nome in
Mohammed Ali e quindi si rifiutò di indossare
quell’uniforme, ciò ebbe una ripercussione del
tutto diversa sul popolo, e incominciò cosi
una specie di liberazione totalmente differente.
Il trionfo americano — ogni trionfo ha incluso in sé la tragedia americana — ha insegnato ai negri a disprezzarsi.
Quando ero bambino ho disprezzato me
stesso perché non conoscevo altra alternativa.
E ciò significava che io, sebbene incoscientemente ma sicuramente contro la mia volontà
o risentendo di grandi dolori, disprezzavo
anche mio padre, mia madre, i miei fratelli e
le mie sorelle. Quando divenni grande, ricordo che ogni sabato sera i negri si uccidevano nella Lennox Avenue e nessuno ci fece capire che ciò che avveniva era progettato; che
ci dovevamo ammazzare; che eravamo ammucchiati li come bestie, affinché avessimo di
noi il concetto di essere peggiori delle bestie.
Cosi eravamo preparati ad essere trattati come schiavi. In questo modo, quando incominciò il terrore umano, si era pronti ad inchinarsi davanti a un Dio bianco e ad invocare
la salvezza di Gesù — davanti a quel Dio
bianco che non fu capace di sollevare nemmeno un dito per aiutare in un’occasione
così banale, come quella di pagare l’affitto per
salvare un bambino. Naturalmente ogni quadro contiene molto di più di quello che vi si
può scorgere passandovi davanti. Con tutti i
sospiri e i lamenti, con lo stare in agguato e
calcolare, con tutti gli scherzi, con tutta la
volontà di sopravvivere e ingannare, malgrado tutto fu forgiata una forza immane che
è oggi una parte della nostra eredità. Ma questa speciale parte del nostro viaggio comincia
già a far parte del nostro passato, non è più
un segreto: anche noi siamo umani!
Ma la chiara e aperta confessione di questo
segreto ha spaventato a morte la nazione. Vorrei poter dire a "vita”, ma ciò vuol dire chiedere troppo da un ammasso di persone le più
differenti, spaesate che cantando “Onward
Christian Soldier” credono ancora di essere
sempre sul grande treno. La nazione, se pure
l’America si può chiamare una nazione, non è
minimamente preparata a questo giorno. È
un giorno che gli americani sperano che non
arrivi e non si aspettano? Un modo per misurare la salute di una nazione è quello di
considerare gli uomini che la nazione elegge
per la sua protezione e rappresentanza. Un
solo sguardo agli attuali governanti americani (non si dovrebbe piuttosto chiamarli fantocci?) e ci si accorge che l’America si trova
sull’orlo del caos e ci si accorge allo stesso tempo incontro a quale destino gli interessi americani di gruppo sono pronti a mandare i
negri (basta uno sguardo retrospettivo al nostro passato a dimostrarlo chiaramente). È abbastanza evidente che per la maggior parte dei
nostri (solo di nome) concittadini siamo superflui. E i signori Nixon, Agnew, Mitchell e
Hoover, senza parlare del vittorioso Ronnie
Reaga, essi tutti non esiteranno neppure un
momento a porre in atto ciò che secondo loro
è la volontà del popolo.
Ma che cos’è in America la volontà del popolo? E chi è il popolo per i summenzionati?
Da sempre la volontà del popolo ad usare grazia e misericordia è stata esposta ad un’incertezza non solo fenomenale, ma quasi di impressione santa, e inoltre solennemente curata;
soltanto grazie a questa incertezza questo popolo poté essere sfruttato dalla nostra rapace
eeonomia che macella e sacrifica democraticamente bianehi e negri. Pur tuttavia la maggior parte degli americani bianchi non osano
riconoscerlo (sebbene lo sospettino). Già soltanto questo fatto contiene un pericolo mortale per noi negri e una tragedia per la nazione.
Mi esprimo diversamente : finché gli americani bianchi si trincerano dietro la loro pel
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll
Libri per ragazzi
SEGNALAZIONI
Ines Belski Lagazzi, La storia di Lam Tahn
Ed. Le stelle (1971), pp. 212, L. 1.300.
E’ la storia di un bambino vietnamita che
la guerra ha trascinato in straordinarie avventure, che ha vissuto drammatiche esperienze. Tuttavia non è una storia triste per.
ché Lam Than, cosi si chiama il bambino,
dopo il dolore, la solitudine, la paura, incontra l’amore.
Antoine Reboul, Tu non ucciderai - E, Le
stelle (1971), pp. 162, L. 1.300.
Tra un ragazzo egiziano di quattordici anni ed una ragazza ebrea della sua età, sperduti nel cuore del deserto del Sinai, minacciati dalla sete, dall’isolamento e dalla rivalità degli uomini, nasce un’amicizia solida
che nulla potrà distruggere.
Maria Pitzalis Acciaro, Sarai uomo domani - Ed. Le stelle (1972), pp. 201,
L. 1.300.
Da un sequestro di persona accaduto in
Sardegna e di cui furono vittime un bambino e suo padre, l’A. ha tratto spunto per
questo avvincente romanzo.
lé bianca, — finché essi non riusciranno a liberarsi da questa trappola delle più mostruose
— essi continueranno a permettersi che milioni di uomini vengano massacrati nel suo
nome. Essi si lasceranno trascinare in una
guerra razziale, che credono di potere ancora
giustificare davanti ai loro occhi. Fino a che la
loro condizione di bianchi interporrà una dannosa distanza tra le loro proprie esperienze e
le esperienze degli altri, essi non saranno mai
abbastanza umani da valutare altamente la
loro propria dignità umana, da poter prendere
delle loro stesse mani la responsabilità verso
loro stessi, verso i governanti, la loro patria, i
loro figli e il loro destino. Essi periranno dei
loro stessi peccati (come avemmo ad esprimerlo una volta nella nostra Chiesa nera), del
loro stesso accecamento. E ciò si verifica, è
quasi inutile dirlo, già adesso e tutto intorno
a noi.
Soltanto una manciata di uomini tra i milioni di abitanti di questo immenso paese
comprende che la sorte destinata a te, sorella
Angela Davis, al fratello Jackson e agli innumerevoli altri prigionieri dei nostri campi di
concentramento (che altro non sono) divorerà
loro stessi. Per le forze che governano questo
paese, una vita bianca non è più sacra di una
nera e questo lo scoprono gli studenti in numero sempre maggiore, e lo dimostrano i cadaveri dei bianchi nel Vietnam. Se nemmeno
gli americani riescono ad imporsi contro i
governanti che essi stessi hanno eletto, al fine
di salvare la loro vita di quella dei loro figli
— come lo possiamo noi negri, che siamo respinti per la maggior parte da tutti i figli
dell’Occidente, che ci aspettiamo dalla loro
mano anche soltanto il più piccolo aiuto? Ma
questo in fondo non è niente di nuovo. ■ Ciò
che gli americani non riconoscono è il fatto
che una guerra tra fratelli nelle stesse città,
nello stesso paese, non è una guerra razziale,
bensì una guerra civile. Essi si illudono quando affermano che i loro fratelli sono tutti
bianchi e che tutti i bianchi sono i loro fratelli.
Cosi stanno le cose. Noi non siamo in grado di svegliare questi dormienti e Dio sa se
non abbiamo tentato di farlo. Noi dobbiamo
fare tutto quello che è in nostro potere per
sorreggerci e per salvarci — non affoghiamo
nella apatica autocompassione, noi riconosciamo in noi stessi abbastanza valore per dare
battaglia anche alle forze più spietate, al fine
di mutare il destino nostro e dei nostri figli e
l’attuale stato del mondo. Noi sappiamo che
l’uomo non è soltanto una cosa lasciata senza
volontà al suo destino. Noi sappiamo che l’aria
e l’acqua sono patrimonio di tutta l’umanità e
non soltanto degli industrializzati? Noi sappiamo che un bambino non viene al mondo per
servire da strumento di profitto degli altri.
Noi sappiamo che democrazia non vuol dire
costringere tutti ad una mediocrità mortale e
infame, significa bensi libertà per ognuno di
mirare ad un miglioramento di se stesso e del
mondo.
Sappiamo che noi, i negri (e non solo noi)
siamo le vittime di un sistema il cui nutrimento è la cupidigia e il cui Dio è il profitto.
Sappiamo che i frutti di questo sistema sono
l’incertezza, la disperazione e la morte, sappiamo però che questo sistema è condannato
a scomparire, poiché il mondo non se lo può
permettere più a lungo, seppure se lo sia
potuto mai permettere nel passato. E noi sappiamo che tutti fummo trattati brutalmente
per la sicurezza di questo sistema; niente altro che bugie ci hanno raccontato, bugie su
noi stessi e sulla nostra progenie e sul nostro
passato e sull’amore, la vita e la morte.
L’immane rivoluzione nella coscienza dei
negri, sorta mia cara sorella, durante la tua
generazione, vuol dire la fine o l’inizio dell’America. Alcuni tra di noi, bianchi e negri,
sanno quale grande prezzo è stato pagato per
creare una nuova nazione senza precedenti. Se
noi siamo coscienti di tutto questo e non facciamo niente allora siamo peggiori di tutti gli
assassini ingaggiati nel nostro nome. Se noi
sappiamo tutto questo, allora dobbiamo lottare
per tutta la tua vita come se fosse la nostra
propria vita — ciò che in effetti è pure — e
rendere impercorribile con i nostri eorpì il
cammino per la camera a gas. Poiché se vengono a prelevarti di mattina, la prossima notte
essi verranno da noi.
tali. Cresce dunque l’abuso regolare,
intensivo della droga, e diminuisce
quello occasionale.
Il fatto che la Svezia sia diventata
un mercato della droga si spiega perché il più rigoroso controllo di frontiera, negli USA, ha dirottato gli spacciatori verso altri lidi. Al parlamento
svedese è stato presentato un progetto di legge che commina pene più gravi per lo spaccio e l’abuso di stupefacenti. Il governo programma una vasta
campagna d’informazione; al riguardo l’opposizione critica il fatto che le
conseguenze dell’abuso dell’alcool, del
tabacco e degli stupefacenti sono presi in mazzo, come se si trattasse di
problemi simili, mentre è necessaria
una campagna d’informazione specifica a proposito degli stupefacenti. Governo e opposizione sono comunque
d’accordo che la tossicomania crescente in misura inquietante è un fatto
nuovo, in Svezia, e rischia di marchiare la giovane generazione, quindi il futuro della nazione.
...e nella
Germania occidentale
Almeno il 25-30% delle giovani viventi nella Repubblica federale tedesca hanno sperimentato la droga, secondo la Centrale tedesca contro i rischi della ricerca di stupefacenti. Con
« una probabilità che sfiora la certezza », si devono calcolare 150-200.000
giovani consumatori cronici di droga.
Lettera aperta
a R. Peyrot
« È strano; le Sue prese di posizione sulle colonne di questo
giornale non mi piacevano, ed
ecco che ora, parimenti, mi spiace il Suo commiato. Dipenderà
forse dal fatto che neppure la linea dei Suoi oppositori mi convinceva, non so; certo è che a
Lei mi accomunava la convinzione che occorra comunque sferzare senza tregua lo stato di cose che ci circonda (e di cui viviamo). A questo punto però
sorgono i dubbi: chi colpire?
Lei è riuscito a fare una scelta
precisa. O perlomeno a guardare
le cose da un punto particolare
di osservazione. Per me invece
“i buoni e i cattivi” — a parte
il fatto che non so bene quali
siano gli uni e quali gli altri —
mi pare di scorgerli equamente
distribuiti fra tutte le parti in
gioco; non solo, ma che fra “il
potere” e coloro che lo avversano ci sia un passo troppo breve
per rendere credibile un rinnovamento totale. Neutrale? Non è
mio compito definirmi; d'altra
parte io credo che si possa esserlo senza parteggiare per il più
forte e quindi senza favorire lo
status quo esistente. Un’ultima
osservazioni: In “Uomini, Fatti
e Situazioni” mi pare che tenesse poco conto del punto e delle
posizioni da cui le azioni umane prendono l’avvio.
Ma il discorso sta allungandosi troppo.
Mi creda Suo sinceramente »
Ezio Pinarfii
Perciò: pace.
SCUOLA LATINA
L’inaugurazione dell’anno scolastico
avrà luogo domenica 1« ottobre alle
ore 15 nel teatro del Convitto.
Tutti sono cordialmente invitati.
La Direzione
AVVISI ECONOMICI
VENDESI casa di abitazione vicinanze Torre Pellice. Telefonare 90285.
Giovanni e Wanda .Peyrot, con Luca, Roberta ed i nonni Peyrot e Meynet annunciano il ritorno a Dio, dopo solo quindici giorni, dì
Andrea Enrico
Un ringraziamento particolare al
Dr. E. Pasque!, al Personale dell’Ospedale di Bagnolo ed ai Pastori R. Jahier ed A. Taccia.
La presente servie di partecipazione
e di ringraziamento a tutti coloro che
hanno dimostrato la loro simpatia.
Luserna S- Giov., 9 settembre 1972.
Tuo fratello James v.
5
15 settembre 1972 — N. 37
pag. 5
IN MARGINE AL SINODO DEL 1972
I Valdesi e la società
NonzE MUI nei
Pachino
Il XII Convegno storico di Torre Peiiice
Note di una “storia inciviie"
Nella seduta della Società di Studi Valdesi (perché non ha ripreso il nome di Società
di Storia Valdese?) durante la tavola rotonda sui valdesi, il protestantesimo italiano e
rinternazionalismo, sono apparse ancora una
volta due concezioni tipiche, che spero di non
tradire mentre ne parlo. Per Giorgio Tourn
il valdese non può essere completamente italiano. Se parla da un punto di vista etnico
del valdese delle Valli, avrà ragione. Ma se
guarda l’aspetto religioso egli mi pare vittima di un superimpegno, cioè di un impegno
che arriva dove non deve e gli fa prendere
abbaglio. La sua tesi contiene del vero, come
un paradosso, ma così semplicemente non è
vera. Parte dal presupposto di una comunità
fortemente integrata in cui il protestantesimo entra come una forza estranea. Può darsi che il protestantesimo entri dovunque come forza estranea, e può darsi che dovunque
abbia radici, anche in Italia, come non solo
cercò di dimostrare Emilio Comba, pare oggi
con qualche forzatura, ma come si continua a
studiare nelle Giornate Storiche che la stessa
SSV organizza dopo il Sinodo. Ma che significa completamente italiano (e se non completamente un’altra espressione equivalente)?
Un valdese, un protestante possono essere italiani tanto quanto la maggioranza degli altri
italiani.
Possono, ma non necessariamente debbono. E poi uguali non significa identici. In una
comunità tutti entrano naturalmente e volontariamente portando il loro contributo, che
può anche venire da altre comunità e ad esse legare. Qui c’è un legame tra l’oggi tanto
deprecato individualismo e il comunitarismo.
Non preoccupiamoci tanto se siamo abbastanza italiani. Non subordiniamoci. Cerchiamo
di agire bene nelle comunità via via più
larghe di cui facciamo parte, una delle quali
è oggi conosciuta come Repubblica Italiana.
Ma non concepiamo questa comunità come
qualcosa di monolitico. Questo vale per un libero pensatore come per un valdese, per un
protestante; per un fiorentino e per un siciliano. Valdesi, non fatevi affascinare dal rapporto valdesi-italiani, non esagerate in questo
impegno. Di questi tempi c’è un risveglio di
nazionalismi e di movimenti etnici, con la
tendenza a cambiar di segno ; eran di destra,
diventan di sinistra. Questo fenomeno non
nasce nuovo, né è tutto limpido. Sappiamo
fare la parte a ogni cosa, e forse ci troveremo facilmente d’accordo.
Un partecipante alle successive Giornate
storiche della SSV, il prof. Sossio Pezzelal,
richiamerà più tardi l’attenzione suH’humus
cattolico dell’Italia, con cui dovrebbe sempre
fare i conti la storia delle eresie, del protestantesimo ecc., e questo in relazione con il
cattolicesimo del dissenso. È ovvio che in Italia ci sono dei cattolici, e che non si può far
storia senza saperlo. Ma se con zelo, come
potrei chiamarlo?, comunisto-ecumenico si
vuol subordinare la storia delle eresie e del
protestantesimo italiano alla storia, alla sociologia, alle proteste interne del cattolicesimo italiano, è un’altra storia. Sarebbe bene
chiarire.
Il mio dissenso è maggiore dall’altra posizione emersa nella tavola rotonda. Per Augusto Armand-Hugon non c’è più dubbio che
i valdesi siano italiani, ma a parte ciò la sua
concezione è disincarnata: i valdesi non facevano politica, penso intenda almeno non
in quanto tali. Lasciando da parte una discussione sul significato della parola politica
non sarebbe bene interrogarsi su qualche periodo della storia valdese, anche lasciando da
parte i più recenti?
Lesdiguières (non solo i valdesi, ma anche
altri abitanti delle Valli lo accettarono), i
tempi della Rivoluzione Francese, e in mezzo i tempi di Cromwell e di Guglielmo
d’Orange. Il comportamento dei valdesi in*
Programma di educazione
alimentare e sanitaria
nelle scuole materne di Pinerolo
Nel quadro degli interventi promozionali
attuati nella città di Pinerolo dal « Consorzio
per lo sviluppo socio-culturale delle comunità » (già C.S.O.S.) nei settori sanitario, assistenziale, scolastico, si colloca il « programma di educazione alimentare e sanitaria »
che prenderà Tavvio dalle Scuole Materne
per estendersi progressivamente alle Scuole
dell’arco dell'obbligo.
L’iniziativa fa seguito ad una « ricerca sulle abitudini alimentari dei minori dai 3 ai
14 anni » condotta a Pinerolo dal C.S.O.S.
con la collaborazione della A.A.I.
La prima fase del programma consisterà
nella attuazione di un « Corso di aggiornamento » che si attuerà dal 18 al 23 settembre p’ v’ e che sarà rivolto al personale educativo e di cucina delle Scuole Materne pubbliche e private della città.
Con il Corso, alla cui attuazione è direttamente impegnato l’A.A.I. che ha fornito l’assistenza tecnica di una dietologa, si intende
fornire un aiuto tecnico agli eperatori della
Scuola Materna per un’esatta interpretazione
ed applicazione dei concetti base di tipo
scientifico inerenti l’alimentazione e per la
preparazione ai succesivi interventi nei confronti degli alunni e delle famiglie.
L’Amministrazione Comunale di Pinerolo
ha accolto con favore anche questa iniziativa
promossa dal « Consorzio Prov.le per lo Sviluppo Socio-culturale delle comunità » e dall’A.A.I. e ne ha assunto il patrocinio, unitamente all’Ispettore Scolastico della città.
Il Corso si terrà nei locali del Patronato
Scolastico (v. Brignone), gentilmente me.ssi a
disposizione.
vestiva solo la sfera religiosa? Può darsi che
venisse subordinato alla Fede, ma ne venivano delle conseguenze politiche. Non mi convince l’affermazione che ho udita ripetuta
fin da bambino dei valdesi leali sudditi eco. E
che significa così semplicemente leali sudditi? Quali erano i doveri dei leali sudditi?
Nei fatti e non solo nelle parole. Ai valdesi,
o a molti per loro, interessava di più la Fede che il Duca di Savoia o il Re di Francia.
D’accordo. Ma non vedevano nelle vittorie
degli eserciti e nella politica degli Stati protestanti qualcosa come quel che vedevano
venti e più anni fa i comunisti italiani nelle
vittorie delle armate sovietiche e nella politica dell’URSS? E con questo quando mai i
comunisti italiani han dichiarato di non essere leali cittadini italiani o di volere un
pronto assorbimento dell’Italia neU’URSS?
Se i valdesi hau simpatizzato per le Potenze
protestanti non c’è da vergognarsene. Credo
che avessero molta ragione.
Un intreccio di motivi religiosi con motivi politici, economici, sociali non giustifica
però la sicurezza con cui Ercole Brocchieri
suìVOsservatore Romano del 28 luglio, dopo
aver pseudo-salomonkamente diviso le colpe
del passato fra valdesi e cattolici, diceva
senz’altro che i valdesi si batterono per difendere le famiglie e le terre. Sarebbe stata
ragione sufficente, ma non fu così. Bastava
che si facessero cattolici, e non avevan più
bisogno di battersi per le famiglie e le terre.
Nella misura in cui queste considerazioni
sono giuste, e ad alcuni sembreranno false e
ad altri ovvie, bisogna tentare di cercare quali siano le origini di così diverse concezioni e
si vedrà forse che esse almeno in parte sono
comuni. I valdesi, come molti protestanti,
dau più peso alla società che alla politica. La
politica (e quella che chiamano la sporca
politica) è più cosa da cattolici, da mediterranei, da popoli come l’italiano urbani ed urbanisti, con le conseguenze che poi si vedono... E qui avrà ragione Tourn se vede una
differenza tra i valdesi e gli italiani in genere. È la politica sentita come centralismo, cesaropapismo, chiacchiere. « Qui non si parla
di politica », imponeva e irrideva il fascismo,
che non aveva il senso dell’umorismo ma solo quello dello scherno, e faceva la sua politica, cui dava un consenso a parole, e tentato
la gran maggioranza degli italiani, che oggi,
dopo una drastica vaccinazione, da’ un’altissima percentuale di voti nelle elezioni, esaurendo in questo sforzo il suo impegno politico. Il comportamento dei valdesi delle Valli
si presenta oggi atipico? Anche qui cerchiamo di non cedere nell’idolatria del monolite,
di far la parte alle cose, e dì vedere se e come l’inquietudine che rode oggi tanti valdesi,
e protestanti italiani, è diversa da quella che
rode tanti italiani.
Giorgio Spini, parlando successivamente
nella seduta della SSV, ha parlato della ribellione dei giovani verso la sua generazione barthiana e di quella della sua generazione verso la precedente « liberale ». Mi sono chiesto più volte se i giovani di oggi non si riattacchino, forse senza saperlo, ai nonni, e anche ad antenati più in là. Il vecchio protestantesimo non ha dato soltanto il modello
democratico-liberale, con le sue degenerazioni. Si ricordi che i quattro maggiori comunisti dei tempi moderni — come mi pare di ricordare da una lettura di Edmund Wilson .—
avevano un’origine almeno parzialmente protestante : Babeuf (padre), Marx (padre), Engels (padre), Lenin (madre). Non è infrequente una dicotomia che porta da una parte alla reazione e dall’altra al progresso? Non è
successo che dai democratici politicamente
molto impegnati sian venuti da una parte
ferventi fascisti o dall’altra accesi antifa^isti? E qui richiamo l’attenzione di Tourn su
una singolarità dei valdesi. Mentre altri protestanti italiani si dividono politicamente secondo linee più comuni, da una parte di tendenza socialista-comunista e daH’altra (minoritaria) diciamo fascista, nei valdesi la sinistra, indipendentemente dal voto, ha iquietudini extra-parlamentari, mentre la destra (relativamente forte) si rifà a tradizioni conservatrici-liberali, dove non nego la frequente
buona fede, mentre constato che in Italia in
materia c’è poco di buono da conservare.
Morale? Le due posizioni che ho cercato di
delineare portano a una forza : apparentemente avanti, di lato, o indietro. Naturalmente
queste osservazioni non vogliono portare a un
giudizio assoluto. Non nego molto di buono
nel pensiero e nell’azione che a loro si attaccano, né che questi problemi si pongono anche agli italiani in generale. Anzi proprio per
questo ci può essere una funzione di « modello » o esemplare che spetta ai valdesi, e ai
protestanti italiani, anche se a loro non piace.
IL COLLEGIO
E QUALCHE ALTRA ISTITUZIONE
Bisogna costruire e ricostruire pazientemente dal basso e affrontare il problema scottante dei rapporti tra la socetà civile e la società religiosa. Non c’è « Vaticano valdese » che
tenga, bisogna affrontarlo alle Valli. Nelle
Valli Valdesi, che non sono solo dei valdesi.
Ma che sono le Valli Valdesi.
Mi pare che il Sinodo di quest’anno abbia
voluto essere irenico e costruttivo. Ma che fastidio quando si arriva al Collegio, alla scuola media, agli ospedali, eoe. La sinistra svende alla destra. Et voila! O mi sbaglio?
Ora non si deve trattare né di una appropriazione della società civile da parte della
società religiosa (e potrebbe anche essere il
contrario), né di un disinteresse. Funzioni che
un tempo erano della Chiesa debbono distinguersene, e la società religiosa può e deve essere una levatrice. In questo caso non pare
lecito fare degli aborti. E i valdesi, i protestanti, non rifuggano, scettici, da una concreta, costruttiva, responsabile polìtica locale. È
un autonomista che parla. Nel discorso che ho
fatto molte parole possono essere mutate.
Spero che il senso sia chiaro.
Gustavo Malan
È morto improvvisamente, il 4 settembre,
il nostro fratello Salvatore Cultrera: la nostra
comunità è gravemente turbata e rattristata
per questa morte inattesa, per la grave perdita subita.
Salvatore Coltrerà aveva quarantatre anni,
essendo nato il 10 novembre del 1929; allievo
del Collegio Valdese di Torre Pellice, che ricordava con gratitudine, era membro di chiesa dal 1947; emigrato con la famiglia in
Argentina, rientrò a Pachino dopo i primi
anni di matrimonio, lasciando in Argentina
padre, madre, fratelli. Due fratelli minori sono ora predicatori delTevangelo in Sud America, al servizio della chiesa battista.
Il padre e la madre, emigrati da un ventennio, erano rientrati appena da quattro
mesi a Pechino per un periodo di riposo :
non immaginavano certo di venire ad assistere agli ultimi mesi divìta del figlio.
La chiesa perde in lui un uotno vivamente impegnato nell’opera, un fratello partecipe
in prima persona dei tentativi di evangelizzazione nel polo industriale siracusano, ad Avola e a Priolo, un predicatore laico qualificato
ed appassionato, un membro fedele del Consiglio di Chiesa, nel quale serviva fin dal
1957, un militante attivo nella vita civile
pachinese, in cui sentiva di dover essere presente in obbedienza alla sua particolare comprensione dell’E vangelo.
Come non nascondeva il suo credo politico socialdemocratico tra i fratelli, così era
sempre pronto a parlare della sua fede tra i
compagni di partito : era per lui una questione di testimonianza, vissuta con coerenza ma
senza dogmatismo.
Come ha rieordato il dottor Vittorio Trobia a nome dei compagni di partito nell’ultimo saluto, egli era amico di tutti, pur nella
fermezza della sua fede politica e del suo
credo religioso.
Avrebbe voluto che la sua ansia di testimonianza fosse condivisa con più entusiasmo
e più attivismo dai suo fratelli di chiesa, per
poter portare l’evangelo in tutti gli ambienti
pachinesi, sul lavoro, tra gli intellettuali, tra
gli uomini del popolo, negli ambienti ecumenici, con una speranza che non veniva
darottimismo sulla società, o sull’uomo, ma
dalla certezza che Dio è fedele.
Ai funerali, uomini di ogni partito, fede,
età, si sono trovati riuniti nell’ascolto della
predicazione di Romani 8: 11: « Se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi. Colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri
corpi mortali per mezzo del suo Spirito che
abita in voi ».
Vi erano tutti gli ambienti cui egli aveva
portato la sua testimonianza : la comunità
valdese, l’ambiente politico cittadino, il commissario straordinario regionale, l’anziano
della Chiesa dei fratelli, i coUeghi del dazio,
alcuni religiosi cattolici, molti intellettuali, e
soprattutto gli uomini del popolo, a cui in
particolare egli si era rivolto.
Questa sentita e imponente manifestazione
di solidarietà umana ai parenti, ai genitori,
alla sposa, ai quattro figliuoli che restano,
Carmelo, Maria, Daniele, Francesca, non ci
restituisce quel che ci è stato tolto.
Nella chiesa, se pure la fede ci dice che
una vita è compiuta, è bella, se è stata spesa al servizio del Signore, ci resta una dolorosa sensazione di incompiutezza, di prematura assenza, e il compito che ci è dato, umanamente impossibile, e solo cristianamente
comprensibile, è di essere capaci di offrire
a chi resta una solidarietà tale da colmare
un vuoto incolmabile.
Sergio Ribet
Venezia
Da quando, nel 1957, fu lanciato il
primo esperimento di « Convegno di
studi sulla Riforma e i movimenti religiosi in Italia », l’iniziativa ha sempre
avuto un buon successo, sia dal punto
di vista del livello scientifico delle comunicazioni sia per la familiarità dell’ambiente che vi si veniva stabilendo.
Anche quest’anno, nei giorni 29, 30
e 31 agosto, ha avuto luogo il dodicesimo della serie, forse uno dei meglio
riusciti per la qualità e l’interesse delle relazioni presentate, seguite come
sempre da vivaci ed utilissime discussioni.
Le due prime comunicazioni concernevano il movimento valdese: Giovanni Gönnet illustrava le posizioni del
Valdismo medievale di fronte alla donazione di Costantino, mentre Valdo
Vinay, attraverso un documento fin
qui non sfruttato, metteva in luce
Torientamente teologico dei Valdesi
negli anni che precedono il sinodo di
Chanforan (1532).
Il famoso libriccino « Il Beneficio di
Cristo », che tanta influenza ha avuto
nella religiosità cinquecentesca in Italia, era poi oggetto di una relazione in
« tandem » di A. Prosperi e di C. Ginzburg: la derivazione calviniana o valdesiana dell’opera, la sua esatta cronologia, la sua immediata influenza sono ancora elementi di ricerca e di discussione tra gli studiosi, nonostante
la mole di lavori già dedicati al problema.
Un « pamphlet » del 1556, anticlericale, è stato presentato dal prof. Meylan
di Losanna, mentre Luigi Firpo comunicava a sua volta le ultime novità sull’eretico F. Pucci, e Bietenholz puntualizzava alcuni elementi biografici di
Mino Celsi da Siena.
La discussione fu abbastanza appassionante a seguito della comunicazione di A. Biondi, relativa a Guillaume
Portei ed Annio da Viterbo: essa si
soffermò in particolare sulla diffusione
deirinteresse per l’Antico Testamento
nel ’500 e sugli studi ebraici, e sui filoni di pensiero e sulla circolazione
delle idee di quel periodo.
Valerio Marchetti, noto per i suoi
apporti alla storia dei Socino, ha avuto la ventura di mettere le mani sui
documenti delTInquisizione a Siena
nella seconda metà del ’500: essi erano andati a finire tra carte notarili,
dove nessuno le aveva scoperte. Si
tratta di una vera e propria rivelazione, che fornirà una interessantissima
documentazione, sul cui segreto gli
archivi vaticani non hanno finora sofferto nessuna incrinatura.
La visione della S. Bartolomeo
(1582) e delle vicende di Francia in un
trattatello inedito cattolico, sono state
l’oggetto della comunicazione di Alain
Dufour, di Ginevra; e Giuseppe Ricuperati presentava ancora la situazione
dei raporti tra Stato e Chiesa in Sicilia all’inizio del ’7(X), quando le pretese
della chiesa cominciarono ad urtare
nella sempre più consapevole autonomia dello stato, e si preannunciavano
i primi sintomi di una visione laica
del potere civile. In questo quadro, la
comunicazione di A. Rotondò sulla censura ecclesiastica nello stesso periodo,
sottolineava il perpetuarsi del controllo della chiesa da una parte ed il fervore di idee nuove ed aperte dall’altra
nel secolo che ha iniziato l’età moderna.
La mattinata del giovedì è stata consacrata alle vicende deU’evangelismo
italiano, con una serie di relazioni e
di precisazioni guidate da Giorgio Spini: si sono così avute interessanti notizie sui rapporti tra massoneria ed
evangelismo all’inizio del ’900 (G. Gamberini), sulla storia della chiesa avventista {De Meo), sulla figura di Matilde
Calandrinì, fondatrice di asili e filantropa {D. Ronco), sui problemi della
ricerca attuale relativa ai movimenti
religiosi in Italia {Pezzetta), sulla storia della comunità dei fratelli {Maselli), sulle vicende dei pentecostali {Castiglione e Turettino).
È stata questa una carrellata, che vo^
leva sottolineare la vastità, ed anche la
difficoltà, degli studi su una storia ancora recente, e che non è soltanto storia di minoranze religiose, ma anche
storia sociale dell’Italia contemporanea; anzi « storia incivile » come s’è
detto accennando all’atteggiamento
ostile o vessatorio delle autorità davanti al problema della libertà religiosa.
Nel complesso, si è trattato di tre
giornate intense, fervide di lavoro e
ricche di interesse, a cui i partecipanti hanno contribuito con il solito apporto di osservazioni e di interventi.
Ci siamo salutati col solito arrivederci
all’anno prossimo.
A. Armand-Hugon
Durante l’estate, come avviene ogni anno,
le attività della nostra comunità si riducono
al solo culto domenicale, scarsamente frequentato dai nostri membri di chiesa, per lo più
assenti, ma con discreta partecipazione di turisti di passaggio.
Nella ricorrenza del Ferragosto abbiamo
avuto una intensa giornata di testimonianza
evangelica nella Diaspora; infatti in quel giorno il nostro pastore ha dovuto recarsi a Tramonti di Sopra, dove ha battezzato i bambini
Andrea e Rafael Zigon, figli di membri di
quella comunità. È stata una giornata insolita
poter avere un culto durante la settimana,
celebrato dal pastore di Venezia. Per l’occasione il piccolo tempio era gremito oltre che
di evangelici anche di parenti cattolici del
luogo, ai presenti è stata annunziata la Parola di salvezza in Gesù Cristo.
Nel pomeriggio il pastore, accompagnato
da alcuni fratelli provenienti da Venezia, ha
raggiunto a Caerano S. Marco la casa del
fratello Guido Velo, deceduto il giorno prima all’età di 84 anni. È stata portata la consolazione della fede nel Signore ai familiari
presenti. Non essendovi alcun luogo di culto
evangelico nel paese, il parroco gentilmente
ha messo a disposizione nostra, la sua chiesa.
Il cav. Guido Velo era molto ben conosciuto
nel paese di Caerano S. Marco per la sua fede evangelica, per la sua rettitudine ed onestà. Nel passato era stato Sindaco e Assessore,
perciò larga è stata la partecipazione di popolo al suo funerale. Nella chiesa vi saranno
state più di trecento persone, noi evangelici
saremo stati poco più di una dozzina. Il pastore ha presieduto il culto; il sermone appropriato all’occasione ha confortato i presenti nella luce della speranza in Cristo; il testo era : « Ora, mio Signore, tu lasci andare
in pace il tuo servo, secondo la tua parola;
gli occhi miei hanno veduto la tua salvezza ».
Il pubblico presente ha seguito con molta attenzione e rispetto ogni parte del culto. Il
parroco ha detto alcune parole per motivare
con spirito ecumenico e fraterno l’ospitalità
data a noi evangelici nella sua chiesa per
questa circostanza.
Così nello stesso giorno di Ferragosto nella
Diaspora Veneta abbiamo avuto occasione di
annunziare il Vangelo in circostanze e luoghi diversi.
A. M. Busetto
Una nuova iniziativa per la
preparazione ai ministeri e il lavoro teologico
Ud progetto e eoa sperooza
Una nuova iniziativa nel campo della preparazione ai ministeri e della formazione teologica
prenderà il via, a Dio piacendo,
il 14-15 ottobre p. v. I sottoscritti sono stati incaricati di presentare le linee essenziali del progetto e la sua struttura organizzativa di massima.
Il progetto nasce per rispondere a due esigenze fondamentali, che sembrano largamente
condivise nella chiesa, almeno
in certi suoi settori. La prima è
la necessità inderogabile di fornire una preparazione adeguata
a coloro che esercitano o intendono esercitare un ministero. Finora molte sono state le iniziative in questo campo, e talune
anche pregevoli, ma tutte caratterizzate da una certa discontinuità e disorganicità. Il progetto che presentiamo vorrebbe ovviare a questi inconvenienti. L’idea è di dare una formazione
teologica e tecnica essenziale ma
completa, in modo che il ministero possa essere svolto nelle
migliori condizioni possibili. Si
vorrebbe così colmare il dislivello di preparazione teologica
oggi esistente tra il ministero
pastorale e tutti gli altri e nello
stesso tempo si comincerebbe a
muoversi verso i quadri comunitari di domani per i quah si prevede un certo incremento di persone disposte a svolgere un ministero nella chiesa insieme ad
altri, a tempo parziale. In questo senso il progetto si situa nella linea della proposta, accolta
dal Sinodo di quest’anno, di istituire delle « scuole catechetiche »
per il lavoro teologico nelle comunità.
La seconda esigenza che è all’origine del progetto è anch’essa affiorata ripetutamente nel
dibattito sinodale di quest’anno
e può essere così formulata; tentare una riflessione teologica
svolta a partire dai problemi e
dalle difficoltà incontrate dai credenti nella loro testimonianza
quotidiana. Non è detto che ci
si riesca, l’impresa è tutt’altro
che facile. Ma il tentativo va
fatto, perché molti fratelli che
hanno a cuore la testimonianza
evangelica nel mondo auspicano
un discorso teologico ancorato
alla problematica che essi affrontano nella loro esperienza di vita e di lavoro: un discorso teo
logico in cui la concretezza della parola di Dio sia congiunta alla concretezza della situazione
umana.
La struttura organizzativa —
concordata con un gruppo di
persone in un incontro avvenuto a Pinerolo il 10 settembre
scorso — è a grandi linee la seguente:
— il ciclo di studio e lavoro
pratico comprende tre anni e
ogni anno è suddiviso in tre periodi (ottobre-dicembre, gennaiomarzo, aprile-giugno);
— ci si incontra nei week-end
(dal sabato pomeriggio alla domenica sera) al ritmo di un
week-end su tre (quindi un incontro ogni tre settimane);
— il programma consiste essenzialmente in lavoro biblico e
lavoro teologico;
— nel corso del week-end il lavoro si articola grosso modo come segue; sabato pomeriggio:
lavoro biblico; sabato sera: tecnica esegetica; domenica mattina: partecipazione al culto e alle attività della chiesa locale;
domenica pomeriggio; lavoro
teologico.
Si è anche parlato dell’eventuale nome da dare al gruppo
che si costituirà. Una proposta
era di chiamarlo « collettivo
Bonhoeffer ». Una decisione definitiva non è stata presa; la prenderà il gruppo stesso, una volta
che si sarà costituito.
Chiunque può partecipare. I
corsi sono gratuiti.
L’appuntamento è per sabato
14 ottobre alle ore il II luogo
del primo incontro sarà comunicato prossimamente.
Per motivi logistici (per i pasti e il pernottamento tra il sabato e la domenica) è necessario
sapere più o meno quanti saremo; perciò si chiede agli interessati di comunicare la loro
partecipazione a uno dei sottoscritti (i cui indirizzi sono rispettivamente: viale Piazza d’Armi 21 - 10064 Pinerolo; c.so Sommeiller, 21 - 10128 Torino).
Le spese di vitto e alloggio, a
carico dei partecipanti, saranno
contenute al minimo. Ulteriori
dettagli al riguardo e sul progetto in generale saranno dati nei
prossimi numeri del giornale.
Giorgio Tourn - Paolo Ricca
6
pag. 6
N. 3/ — 15 settembre 1972
Il rapporto dol Sogrotario E. C. Blako
(segue da pag. 1)
ma attuale, quel rapporto non è che
un apporto alla discussione delle nostre relazioni reciproche, ed espone le
implicazioni di un'adesione eventuale.
Spero che questo rapporto sarà studiato seriamente sia in campo cattolico romano sia dalle Chiese membro
del Consiglio ecumenico.
Tra CEC e Chiesa cattolica
la situazione resta anormale
Per l’avvenire immediato, però, dobbiamo arrenderci all’evidenza: la situazione anormale attuale — la piena
collaborazione tra una sola Chiesa non
membro e un Consiglio di Chiese non
legate da obblighi di membri — si prolungherà. Possiamo proseguire la forma di collaborazione attuale senza modificarla? Non dobbiamo riesaminare
la struttura del Gruppo misto di lavoro, che è sempre stato concepito come
un passo, una tappa verso la collaborazione, e non come un organo permanente? Il Gruppo misto di lavoro deve
continuare la sua attività, se non troviamo insieme uno strumento migUore per assicurare una comunità fraterna e una cooperazione crescenti.
Questo rapporto sembrerà forse
troppo negativo agli ottimisti dell’ecumenismo. Non vorrei essere così frainteso. Un decennio è un periodo davvero troppo breve per riparare i danni
e sanare le ferite causati da secoli di
conflitto e di ostilità reciproche. Al
principio di giugno i miei due colleghi principali del Gruppo misto e io
stesso siamo stati ricevuti in udienza
privata dal papa Paolo VI; abbiamo
potuto discutere in piena serenità e
franchezza i problemi sollevati dai nostri rapporti. Come sempre, siamo stati accolti con benevolenza e sua santità ci ha manifestato un vivo interesse. Ma il più importante è che sua
santità ci ha assicurato di lavorare
con il card. Willebrands al miglioramento e al rafforzamento dei nostri
vari programmi di collaborazione, in
specie la partecipazione cattolica romana alla preparazione della quinta
Assemblea, e all’Assemblea stessa. Spero che questo Comitato centrale continuerà, nella linea della nostra migliore tradizione ecumenica, a sostenere tutti gli sforzi solidali tendenti a
rafforzare la nostra collaborazione con
la Chiesa cattolica romana a tutti i
livelli della vita della Chiesa, afiìnché
i cristiani formino un’unità visibile
conforme alla preghiera di Gesù, « affinché il mondo creda ».
È impossibile rendere in inglese, mia
lingua materna, la pienezza del termine greco kairòs. Accompagnato da aggettivi, è usato nel Nuovo Testamento
per designare un momento o un periodo che può essere fecondo, difficile,
un tempo di salvezza, un momento favorevole, ima data fissata e perfino, in
termini escatologici, gli ultimi tempi
del giudizio e della consumazione. Credo che il momento presente della vita
del movimento ecumenico è un kairòs
in varie accezioni del termine. Lo uso
soprattutto per ricordarci qual è la
nostra responsabilità, oggi. Tutti, gli
uni dopo gli altri, abbiamo le nostre
occasioni, che ci si presentano; e quando raggiungiamo l’età del ritiro o della morte, il nostro tempo è concluso.
Sebbene la nostra fede cristiana in
Dio ci permetta di inserire il nostro
tempo e i tempi nel contesto dell’eternità, è evidente che questa fede non
dev’essere utilizzata per schivare l’appello che Dio ci rivolge oggi o per soffocare la risposta attesa dal nostro
spirito o dal nostro cuore. Questa riunione è la 25*^ del Comitato centrale.
Ce ne sarà una 50‘‘? Anzi, ce ne sarà
una 16“? Né Luna né l’altra sono automatiche. Per noi che formiamo il Comitato centrale quest’estate a Utrecht
è il nostro kairòs. Permettetemi, concludendo, di enumerare brevemente le
occasioni maggiori che ci si offrono. E
cominciamo dalla più importante.
Migliorata la situazione finanziaria
Da vari anni l’apporto finanziario
delle Chiese membro non basta a sostenere i programmi che avete approvato e che, secondo me, l’Evangelo e
i tempi esigono. Sono lieto di annunciarvi che, grazie a una buona amministrazione, a una gestione abile, ai
doni generosi e ai nuovi fondi ricevuti, promessi o previsti a titolo eccezionale, non siamo, per ciò che concerne il bilancio generale, alle prese
con una crisi finanziaria grave come
era stata prevista a Auckland in febbraio o ancora solo due mesi fa, quando si riunì a Ginevra il Sottocomitato
per le priorità del Comitato esecutivo. Numerose Chiese hanno aumentato, quest’anno, le loro offerte, come
aveva chiesto loro l’ultimo Comitato
centrale.
Mi pare quindi che siamo in grado
di prendere decisioni audaci senza che
sia necessario ridurre il volume del
lavoro per ovviare a una crisi finanziaria. Se gli sforzi avviati dalle Chiese membro sono proseguiti con successo, il nuovo segretario generale e
i suoi colleghi saranno in condizione
di eseguire un programma creativo ed
elastico negli anni cruciali che ci separano dalla prossima Assemblea.
Alla fine di quest’anno avrà luogo a
Bangkok, in Thailandia, un convegno
mondiale sulla missione, organizzato
sotto gli auspici della Commissione
per la missione e l’evangelizzazione,
nella linea della grande tradizione di
Edimburgo 1910, di Gerusalemme 1928
e di Tambaran (Madras) 1938. Questa
conferenza, che è stata ben preparata,
costituisce una grande occasione. Il
suo tema, « La salvezza oggi », è d’importanza centrale per la missione della Chiesa nel suo insieme come pure
per le Chiese in ogni luogo dei sei continenti.
La conferenza di Bangkok esaminerà le ripercussioni che questa concezione può avere suH’impegno pratico
delle Chiese e degli organismi missionari nella missione di Dio. Dobbiamo
sostenere questo sforzo con le nostre
preghiere, chiedendo in particolare che
i partecipanti a Bangkok superino lo
stadio della comprensione e dell’accettazione reciproche e prendano coscienza che comprendere e accettare persone diverse da loro per esperienza e per
tendenze teologiche fi porterà a una
conoscenza migliore del pensiero di
Cristo e a un impegno al tempo stesso più risoluto e più cosciente a servirlo e a servire il prossimo.
Iniziando ho definito la tensione esistente fra movimento e struttura ecclesiastica. Durante i miei anni di segretario generale, ho dedicato tutta la
mia energia a tentare di dare a questa polarizzazione assai netta un carattere creativo anziché distruttivo.
Quale antico « ierarca » di una Chiesa
membro, ho cercato di mettere a frutto quell’esperienza per convincere i dirigenti del CEC che occupano anch’essi posizioni importanti nelle Chiese ufficiali a sostenere, tramite il CEC, i
movimenti di cui avevano paura e che
talvolta sembravano loro scrollare i
fondamenti stessi delle loro strutture
ecclesiastiche. In questo mondo in decadenza noi che dirigiamo le Chiese
non dobbiamo tanto, mi pare, temere
l’eresia, lo scisma e l’anarchia, quanto
concentrarci sulle nostre decisioni affinché, nella misura in cui ciò dipende
da noi, le strutture e la comunità fraterna delle nostre Chiese inglobino tutti coloro che a modo loro, forse per
noi sconcertante, invocano e servono
il Signor Gesù.
La Comunione necessaria
E poi, il kairòs di ogni Chiesa ihenibro e del CEC stesso poggia sulla liturgia e sulla mensa santa della comunione. Non mi piacciono gli insulti
alla disciplina della Chiesa. Ma mi piace meno ancora che non prendiamo
nessuna misura rilevante per affrontare, sul piano teologico, canonico e
pragmatico, lo scandalo della divisione della Chiesa sul sacramento centrale dell’unità. Ne va della credibilità
della nostra predicazione dell’Evangelo. Ne va, per la Chiesa, della possibile perdita dei migliori dirigenti di una
intera generazione. Altrimenti, perché
il numero delle vocazioni al ministero
e la frequenza nelle chiese sarebbero
in regresso? Se non prendiamo sul serio questo kairòs, i cristiani, specie i
giovani cristiani abbandoneranno i nostri altari e le nostre tavole per sedersi ad altre tavole e inchinarsi ad altri
altari.
Il carattere urgente di questo problema sacramentale deriva da ciò che
Dio ha compiuto nel mondo sotto i
nostri occhi ciechi. Nel corso dell’ultimo decennio ha raccolto, in tutto il
mondo, uomini e donne, giovani e vecchi, anche se i giovani più numerosi
degli adulti, in piccole comunità di
sofferenza e di servizio. Vi sono oggi
veri martiri. Imprigionati e torturati,
esiliati e giustiziati, si sono trovati l’un
l’altro e hanno trovato Gesù Cristo, al
tempo stesso, nella loro identificazione con i poveri che soffrono e con gli
oppressi che sono torturati. Hanno respinto le ipocrisie sia del materialismo
occidentale che del socialismo orientale. E, con sorpresa di tutte le istituzioni, Gesù ha saziato direttamente la
loro fame spirituale, più spesso di noi
che, di fatto o in teoria, conduciamo
il popolo del Pastore.
La via ecumenica è la via
dell’ubbidienza alla parola di Dio
Queste pecore affamate, all’interno
dei nostri ovili e all’esterno, si volgono a noi per vedere se rifletteremo la
immagine del nostro sommo pastore,
nelle nostre discussioni e decisioni relative a ciò che faremo ufficialmente
nelle nostre Chiese e nel Consiglio, sul
piano dei programmi destinati a servire gli uomini di ogni razza e nazione. Rispetteremo la loro dignità e le
loro diverse identità, e combatteremo
il principe di questo mondo e le strutture che servono lui anziché il Principe dell’amore e della pace? Sì, è un
kairòs. Lo éschaton si avvicina? Oseremo affrontare la consumazione della
storia umana? Senza un’obbedienza
rinnovata e più fedele, il mondo e la
Chiesa si precipitano verso le tenebre
e corrono al disastro.
Ma per concludere, ecco una parola
fondata sulla fede e sulla speranza cristiana: Gesù Cristo è il Signore e la
via ecumenica è la via dell’ubbidienza
alla sua parola. Al termine del mio
mandato nel Consiglio ecumenico, sono altrettanto pieno di speranza e di
gratitudine quanto lo ero all’inizio. Lascerò presto il vostro servizio e il personale del CEC, ma non mi separerò
dalla vostra comunità fraterna in
Cristo.
EugenE Carson Blake
segretario generale del CEC
Indagine sul problema futuro delV umanità
Un numio modo di pdomi?
Nell’affrontare il problema dei limiti
dello sviluppo economico del mondo
ci rimangono da esaminare l’andamento della produzione degli alimenti, le
possibilità future circa lo sfruttamento delle risorse naturali e cosa ci prospetta il domani in fatto di inquinamento. Come sempre ci faremo condurre in questo sguardo nel futuro dal
rapporto del M.I.T. sui dilemmi dell’umanità.
PRODUZIONE ALIMENTI — Oggi
un terzo della popolazione mondiale è
sottoalimentato e, per quanto solo metà della terra coltivabile venga sfruttata, « JO o 20 milioni di morti all’anno possono essere attribuiti direttamente o indirettamente alla sottoalimentazione ». Se non v’è dubbio che
molte di queste morti vanno attribuite a insufficienze sociali piuttosto che
ai limiti materiali della terra, tuttavia
esiste chiaramente un limite fisico alla produzione di alimenti che aggrava il problema sociale in quanto la
terra non sfruttata potrebbe essere
coltivata solo con un altissimo costo
per cui sarebbe « in molti casi più vantaggioso intensificare lo sfruttamento
delle terre già coltivate ». La conclusione del rapporto del M.I.T. sul problema della produzione di alimenti è
che « non si può dire esattamente a
quante persone la terra possa dare nutrimento, giacché la risposta dipende
dalle scelte che la società opera tra le
molte alternative possibili. C’è un legame diretto tra lo scegliere di produrre più alimenti piuttosto che altri
beni e servizi necessari o voluttuari;
e la domanda per questi altri beni e
servizi cresce col crescere della popolazione, per cui l’esigenza di una scelta
si fa sempre più manifesta e sempre
più difficile da soddisfare. Ma anche
supponendo che la produzione di generi alimentari divenisse l’obiettivo
principale, in breve tempo la crescita
della popolazione e la legge dei costi
crescenti provocherebbero una situazione tale per cui tutte le risorse della terra dovrebbero essere impegnate
per produrre alimenti, senza ulteriori
possibilità di espansione ».
SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE
NATURALI — Ancor più preoccupanti
le conclusioni per le risorse minerali.
« La cresta terrestre contiene abbondanti quantitativi di quelle materie
prime che l’uomo ha imparato a estrarre e trasformare; ma per quanto abbondanti, le riserve non sono certamente inesauribili. Al ritmo di consu
LA SPIRALE
DELLA
VIOLENZA
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
La strage di
Monaco, come pure (e forse ancor più) la rappresaglia,
o meglio la vendetta, la perversa e
stupida vendetta d’Israele sui concentramenti e i paesi abitati da misere
popolazioni di palestinesi, ci riempiono d’orrore.
« Di quelle incredibili ventiquattro
ore (5-6 settembre), vissute nell’incoerenza e nella menzogna, occorre anzitutto ricordare le peripezie (scrive
Jean Lacouture su "Le Monde” del
7 c.). Queste hanno dimostrato non solo fino a che punto può condurre la
disperazione, ma anche come può comportarsi una società addormentata nella soddisfazione del proprio benessere
e nelle proprie illusioni, quando venga repentinamente messa a confronto
con una passione divorante e scatenata; hanno messo in evidenza la spaventosa incomunicabilità fra l’abbondanza da un lato, e lo smarrimento che
attanaglia chi geme nell’abisso del dolore dall’altro.
La tragedia del 5 settembre non e
cominciata all’alba di quel giorno. Essa ha origini più lontane, anche se ci
si vuol limitare alla considerazione delle premesse immediate. Essa è nata
dall’interferenza di due antecedenti:
1) l’attentato ch’ebbe luogo a Monaco
(la prima capitale del nazismo, della
quale Dachau è un sobborgol), due anni fa nell’aeroporto di Riem, l’atteritato che già mise in conflitto la polizia
bavarese e i fedayin palestinesi, scatenando la terribile vendetta annunziata
dai capi di “Settembre nero" dopo
l’episodio dell’aereo della Sabena; 2) la
venuta a Monaco d’una delegazione
israeliana che, a dispetto delle sue reiterate domande, s’era vista negare la
speciale protezione desiderata. Se inoltre si tien conto della formidabile concentrazione degli organi della stampa
richiamati a Monaco dai Giuochi Olimpici, e della certezza che anche il più
piccolo avvenimento, in quella sede,
era destinato ad esser carpito dalle
camere televisive e dato quindi in. pasto alla curiosità di quasi un miliardo
di spettatori, si constata retrospettivamente che ivi era stato innalzato un
castello in equilibrio instabile ».
Nell’articolo citato vengono poi elencate le seguenti domande. « Perché gli
israeliani che, già prima della loro partenza da Tel Aviv, avevano richiesto
particolari mezzi di protezione, ebbero
la sorpresa d’arrivare con un aereo della Lufthansa per il quale nessuna misura di controllo era stata presa, né
alla partenza né all’arrivo? Perché la
delegazione israeliana non ottenne le
guardie richieste intorno alla sua residenza nella città olimpica? Perché l’ingresso nella città olimpica era diventato come un giuoco di fanciulli per chi
possedeva un po’ di furberia? Perché
il disordine gradualmente creatosi nella città di Monaco, non aveva indotto
le autorità a prendere misure di sicurezza suplementari? E perché, infine,
la polizia di Monaco, che un anno prima aveva già dato spettacolo di sé uccidendo un ostaggio nel corso d’un’operazione condotta contro un gruppo di
gangstsers, aveva osato affrontare i rischi di quella manovra che era destinata ad esibire vergognosamente la
sua incapacità? ».
Noi crediamo che, fin tanto che non
si saprà rispondere con certezza a queste domande (e forse ad altre ancora,
di tal genere), sarà impossibile arrivare ad un giudizio preciso e conclusivo
sui tragici fatti di Monaco. Quanto alla vendetta d’Israele, stentiamo a trovar parole per qualificarla: ci limitiamo perciò alla seguente valutazione
politica, che stralciamo dall’articolo di
testa de "Le Monde” del 10-11 c.
«La reazione d’Israele è uria reazione di passione, non una reazione politica. Infatti i “comandos" palestinesi
sono stati colpiti dalle incursioni aeree, meno di quanto non lo siano stati
i profughi insieme coi quali essi vivono: e affatto colpiti sono stati i terroristi di “Settembre nero", i quali agiscono (come s’è visto) a migliaia di
chilometri dal teatro delle operazioni
belliche, e si preoccupano ben poco
d’attaccare le basi del loro nemico. Gerusalemme non può considerare i palestinesi dei campi di profughi, come altrettanti ostaggi la cui vita dovrebbe
ripagare della vita degli ostaggi israeliani catturati dai fedayin. Una tale
considerazione condurrebbe, in ogni
caso, a fare il giuoco degli estremisti
di “Settembre nero”, i quali si fanno
beffe delle vite umane (persino delle
proprie!) e cercano precisamente di
esacerbare la tensione fra Israele e i
suoi vicini ».
Perciò noi simpatizziamo vivamente
con l’istraeliano Igal Alton il quale, in
un’allocuzione pronunciata nel corso
della cerimonia funebre tenuta all’aerodromo di Lod (presso Tel Aviv, il 7
c.), ha dato una prova di grande coraggio cercando di « dissuadere i propri
compatrioti dal ricorrere a rappresaglie estremiste per vendicare la morte
degli atleti israeliani, ed ha aggiunto
testualmente: “i dirigenti israeliani responsabili si domandano senza
dubbio, se delle incursioni aeree, a
scopo di rappresaglia, potranno risolvere i veri problemi" ». (Da "Le Monde” del 9-9-’72).
L’ESULTANTE GIUSTIFICAZIONE
DEL POTERE
« La violenza sta vittoriosamente
dilagando per tutto il mondo, nonostante che la sua sterilità sia stata più
di una volta dimostrata e provata nella storia. E vorrei dire di più: ñon è
solo il potere brutale che trionfa; ma
la sua esultante giustificazione. Il mondo è inondato dalla convinzione che il
potere può far tutto, la giustizia niente. 1 demoni di Dostojevsky (apparentemente una fantasia provinciale del
secolo scorso) hanno inondato il mondo e infestato Paesi dove prima non
li avrebbero neppure sognati. E con i
dirottamenti aerei, i rapimenti, gli attentati e gl’incendi dolosi degli ultimi
anni, essi annunciano la propria determinazione di scuotere e distruggere la
civiltà! E può darsi che ci riescano. I
giovani in un’età in cui non hanno nessuna esperienza tranne quella sessuale,
non hanno ancora alle spalle anni di
sofferenza e di comprensione personale, continuano a ripetere gli errori che
noi russi abbiamo fatto nel XIX secolo, pensando di scoprire il nuovo ».
(Dal discorso che Alexander Solgenizin avrebbe dovuto pronunciare ricevendo' il Premio Nobel per la letteratura assegnatogli nel 1971. « Il Solgenizin non ottenne però dal governo sovietico il visto per recarsi in Svezia alla cerimonia di consegna del Premio.
Lo stesso discorso Solgenizin avrebbe
dovuto pronunciarlo il giorno di Pasqua dello scorso anno, quando era
previsto che la cerimonia si svolgesse
in una casa privata di Mosca, alla presenza del segretario dell’Accademia di
letteratura svedese, Karl Ragnar Gierow: ma le autorità sovietiche non
concessero al Gierow l’autorizzazione
ad entrare nel Paese ». II discorso non
è stato pertanto mai pronunciato: il
suo testo è, di recente, pervenuto clandestinamente in Svezia. La sua traduzione italiana si trova pubblicata integralmente nel settimanale "Tempo”, n.
36 del 10.9.’72).
Se abbiamo ben capito il significato
di quanto l’illustre scrittore dice dei
giovani, ci sembra di poterlo semplicemente riassumere in una proporzione:
« l’azione dei giovani sta oggi al potere
costituito, conte l’azione di noi russi
(o d’una certa categoria di noi russi)
stava nel sec. XIX al potere zarista ».
mo attuale, prevedibilmente destinato
a crescere, la grande maggioranza delle rnaterie prime non rinnovabili di
impiego più comune raggiungerà costì
proibitivi nel giro di un centinaio di
anni ». Il futuro è inoltre complicato
dalla distribuzione di queste risorse
prevalentemente al difuori dei paesi
che le utilizzano in modo che lo sviluppo dell’industrializzazione dipende
non solo dal fattore economico ma anche da quello politico delle relazioni
internazionali. Prescindendo da queste
possibili complicazioni inizia qui il discorso sul « diverso modo di produrre », imparando a recuperare e reimpiegare i materiali già utilizzati, imparando nuove tecniche che consentano
di prolungare la durata dei prodotti in
modo da ridurre il consumo attuale
anche se con procedimenti oggi ritenuti antieconomici; inizia qui il discorso sulla possibilità di modificare gli
indirizzi in campo economico e sociale
« scegliendo dei modelli di sviluppo
che soddisfino le esigenze dei cittadini
rendendo minima, anziché massima, la
quantità di beni materiali che ognuno
di essi consuma ». Al discorso dello
sfruttamento delle risorse naturali si
allaccia inoltre quello dell’inquinamento perché « i rifiuti della civiltà industriale cominciano ad accumularsi in
maniera visibile, fastidiosa, sovente
nociva » ed occorre quindi inventare
un processo di produzione a ciclo integrale.
INQUINAMENTQ — Anche se dire
— come fa il M.I.T. riprendendo una
pubblicazione apparsa su Scientific
American del 1970 — che gli organismi
viventi potranno abitare sulla crosta
terrestre solo più per un numero di
anni misurabile in decenni può sembrare una tesi eccessivamente azzardata e quasi artificiosamente esagerata, il problema ecologico ha senza dubbio assunto rilevanza enorme (ed è stato anche enormemente distorto). Sulla
Conferenza ecologica di Stoccolma si
è già ampiamente parlato su queste
pagine per cui preferiamo non inoltrarci, per il momento, nell’argomento.
Sia sufficiente ricordare che, « anche
se non conosciamo il limite superiore
che la natura impone all’inquinamento, specialmente se dovuto all’azione
simultanea di agenti diversi, sappiamo
che un limite esiste ».
UN MONDO FINITO — « Come si è
visto, il problema della produzione dì
alimenti, quello del consumo di materie prime, quello della crescita dell’inquinamento e della sua neutralizzazione, comportano una serie di scelte molto difficili e impegnative: dovrebbe
però essere ormai chiaro che tutte
queste difficoltà scaturiscono da una
.sola, semplice circostanza: la Terra ha
dimensioni finite ».
Renato Balma
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
L’Associazione
intemazionale
per la libertà religiosa
Heidelberg (sepd) - Dal 18 al 25 agosto si
è riunita in Heidelberg Tassemblea deirAssodazione internazionale per la libertà religiosa (lARF); i partecipanti erano circa 500, dei
quali 120 delegati ufficiali. Sono stati affrontati temi religiosi, culturali, economici, polilici e sociali.
L’IARF è una delle pia antiche associazioni ecumeniche, prolungamento di un Consiglio unitariano fondato a Boston nel 1900.
L’IARF sì distingue dal CEC per sue caratteristiche dogmatiche : le organizzazionimembro rifiutano il dogma trinitario e rappresentano una religiosità che racchiude elementi cristiani ma anche islamici, buddisti e
induisti. L’Associazione raccoglie persone di
ogni nazione, razza e religione, unite nella
convinzione che solo una vita vissuta in responsabilità religiosa corrisponde alla dignità
deU’uomo.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiim
Sessantamila americani
chiedono la separazione
fra Stato e Chiesa
(sepd) Con una raccolta di firme,
60.000 americani hanno protestato contro il fatto che lo Stato sostenga finanziariamente scuole confessionali. Nella dichiarazione, presentata alla Casa
Bianca dall’Associazione per la separazione fra Stato e Chiesa, si rimprovera al governo americano il disprezzo dell’interesse pubblico, quando dà
denaro alle scuole ecclesiastiche. Secondo i rappresentanti di questo movimento, l’assegnazione di fondi
tratti dalle pubbliche tasse — a istituti ecclesiastici comporta Timmissione della « religione nella politica » e
« ferisce il diritto di ogni cittadino di
sostenere soltanto l’istituzione religiosa da lui liberamente scelta ». Nel corso del mese di settembre vengono raccolte altre firme, che saranno presentate al presidente americano.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino^