1
ECO
DELLE VALLI VALDESI
Sig. FEYROT Arturo
IVia C. Cabella 22/5
16122 GENOVA
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 108 - Niim. 23 ABBQNAMENTI j L. 3.000 per rìnterno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 TORRE PELLICE - 4 Giui,mo 1971
Una copia Lire 80 L. 4.000 per Testerò Cambio di indirizzo Lire 100 1 Amm. ; Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/'33t)94
UNA TESTIMONIANZA DI FEDE
UNA REALTÀ AMBIGUA, DA PRECISARE
Dio non duò rnoriPG chiesa interclassista
B Come si diceva la scorsa settimana- che in questo caso resti molto discuti
® ^ J ^ „ —- :i „ 1 -, Tvilc» mo /-»ì-iii v’o f tr*! oto /niionrlr^ Ir^ Cl
E' nota la battuta detta da un personaggio di un’opera letteraria moderna:
« Gli atei mi annoiano: parlano sempre
di Dio ». L’osservazione è spiritosa ma
anche acuta, e per contrasto ne richiama un’altra: gli atei parlano sempre di
Dio e i cristiani, in compenso, ne parlano sempre meno.
E’ vero: gli atei parlano sempre di
Dio. Come potrebbero negarlo senza
parlarne? Finché bisogna negare Dio,
occorre parlarne. Ma parlandone, non
10 si aiuta in qualche modo a sopravvivere? In un senso, si; tanto che, ad
esempio, la posizione spirituale conclusiva dell’umanità, secondo Marx, non è
l’ateismo ma la scomparsa dell’ateismo, perché Dio potrà dirsi definitivamente cancellato dalla coscienza umana solo quando non sarà più necessario
essere atei. L’ateismo, proprio per quel
tanto di affermazione di Dio che la sua
negazione comporta, è solo una tappa.
La meta sarà raggiunta quando Dio
non sarà più oggetto né di affermazione né di negazione. Non siamo ancora
giunti a tanto: oggi occorre ancora
parlare di Dio per negarlo. Così gli atei
convinti parlano di Dio più e non di rado meglio di tanti tiepidi credenti.
Sui fronte cristiano sta accadendo il
contrario. C’è una generale diffidenza
per i discorsi su Dio. I teologi _ della
« morte di Dio » non intendono più parlare di Dio ma solo di Gesù. Intorno a
Dio, secondo loro, è meglio tacere.
Secondo loro soltanto? Si direbbe di
no. Molti cristiani ortodossi, inclusi
non pochi teologi, esitano oggi a volgere un discorso sistematico su Dio, e
comunque non si sentono più di parlarne come se ne è parlato nei secoli
passati. Non tanto la fede in Dio quanto l’idea di Dio si è come annebbiata
nella coscienza cristiana contemporanea. Membri di chiesa da lunga data
hanno oggi la sensazione che Dio sfugga loro del tutto e sia diventato impossibile farne una qualche esperienza. A tutti pare difficile coniugare la
realtà di Dio con la realtà del mondo, e
viceversa. Così il discorso cristiano su
Dio si fa reticente, timido, imbarazzato. Si avvicina forse il giorno in cui assisteremo a una singolare e paradossale inversione di ruoli: gli atei parleranno di Dio (per negarlo) e i cristiani
taceranno su Dio (per affermarlo?).
Ma può il silenzio essere una testimonianza verace sull’Iddio che ha scelto la Parola per rivelarsi? Una Chiesa
muta su Dio non è forse necessariamente una Chiesa sorda alla Parola di Dio;
Certo, è preferibile il silenzio piuttosto
che una parola inautentica e insincera.
Ma perché dovrebbe essere impossibile
parlar bene di Dio nel nostro tempo?
Il filosofo e teologo israelita Martin
Buber ha scritto una bella pagina sulla
necessità di parlare di Dio: « Dio è di
tutti i nomi umani quello più compromesso. Nessun nome è stato tanto insudiciato e lacerato. È proprio per questo che non posso rinunciarvi. Le generazioni umane hanno riversato su
questo nome il peso della loro vita angosciata e lo hanno premuto contro il
suolo: esso giace nella polvere e porta
tutti i loro fardelli. Le generazioni umane con le loro divisioni religiose
hanno lacerato questo nome; per esso
hanno ucciso e sono morte; esso reca
11 segno di tutte le loro dita e le tracce del loro sangue. Dove troverò un nome simile a questo per designare VAI
tissimo?... Dobbiamo rispettare quelli
che lo condannano perché si ribellano
all’ingiustizia e allo scandalo di coloro
che tanto volentieri si appellano all’autorità di "Dio”: ma non possiamo
abbandonarlo... Non possiamo ripulire il nome “Dio”, e non possiamo restaurarlo; ma macchiato e lacerato com’è, possiamo sollevarlo da terra e
collocarlo al di sopra di un’ora di grande inquietudine ».
La condizione cristiana odierna riguardo al problema di Dio è dunque
caratterizzata da un lato da un crescente imbarazzo a parlare di Dio ripetendo le formule tradizionali, d'altro lato
dall’impossibilità di tacere il nome di
Dio senza rinunciare a un aspetto essenziale del proprio mandalo, e infine,
come logica conseguenza, dalla necessità di parlare di Dio in modo nuovo.
Parlare di Dio in modo nuovo: ecco
uno dei compiti principali della teologia e della fede nel nostro tempo. Vi
sarà chi lo nega e giudicherà inesi.stente o irrilevante il problema qui sollevato. Pensiamo invece che si tratti di un
problema vero, il cui pe.so è avvertito
da molti. Non ci si può accontentare
di soluzioni mediocri e d’altra parte
non basta ricorrere alle grandi formulazioni antiche della fede in Dio. Due
millenni di meditazione cristiana su
Dio non ci esimono dal compito di elaborare un discorso nuovo su Dio: Dio
certo è lo stesso ieri, oggi e in eterno,
ma l’uomo no. Bisogna avere l’umiltà,
la pazienza e il coraggio di ricominciare da capo, come del resto è accaduto
altre volte nella storia della Chiesa. I
discorsi su Dio di ieri e avant’ieri non
sono più immediatamente utilizzabili.
Occorre uno sforzo nuovo: gli antichi
l’han fatto per il loro tempo, noi dobbiam farlo per il nostro.
L’ultimo libro del teologo protestante tedesco H. Zahrnt, Dio non può morire (è uscita recentemente anche la
versione francese), è un ampio preludio all’opera ardua, rischiosa ma inderogabile, di riformulazione della dottrina cristiana di Dio. Per dare almeno
una pallida idea del genere di ripensamento qui proposto citeremo, a titolo
di esempio, il cambiamento di nome
che l’Autore suggerisce al termine del
paragrafo dedicato al Dio personale.
Tradizionalmente, e biblicamente, la
persona di Dio viene individuata col
nome di « Padre ». Ma si osserva: « La
immagine di Dio Padre proviene dall’epoca dell’ordine sociale patriarcale
che ora si sta concludendo e non ci
sembra più molto convincente per noi
che viviamo in una “società senza padre”. Questa immagine non ha più una
“posizione sociale” nella nostra vita e
quindi è sospetta di ideologia. Ma forse scopriremo di nuovo la personalità
di Dio se chiamassimo Dio il nostro
“Amico”... L’amico sta tra la prossimità e la distanz.a, tra Veteronomia
e l’autonomia ed evoca in tal modo la
teonomia ». Così l’autore propone di sostituire il « Padi'e » con 1’« Amico ». Anziché dire: Padre nostro che sei nei
cieli, dovremmo dire: Amico nostro
che sei nei cieli.
Ci sarà naturalmente da chiedersi se
dicendo oggi «.Amico» diciamo veramente la stessa cosa detta da Gesù con
« Padre ». Ma bisogna anche chiedersi
se dicendo oggi « Padre » diciamo la
stessa cosa detta da Gesù quando pronunciava, duemila anni fa, questa stessa parola. Paolo Ricca
iiiiiiiMiiiiMiimiiMiMiiiiiiiiiiiiMiiiiiMiiiiiiiiiiiimiiiiiiMiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiniiimmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiimi
Le Chiese e il socialismo
Tokyo (soepi) — Una « partecipazione universale » di tutte le Chiese cristiane alla Federazione Luterana Mondiale (FLM) è stata proposta come
mezzo per dare maggior indipendenza
alle giovani Chiese d’Asia e d’Africa,
creando nello stesso tempo sotto una
nuova forma una fraternità maggiormente reale fra tutte le Chiese.
La proposta ha raccolto l’approvazione unanime dei partecipanti al colloquio che è stato organizzato sotto gli
auspici del Dipartimento per la cooperazione fra le Chiese della FLM che si
è tenuta e conclusa a Tokyo il 7 maggio
scorso.
La grande preoccupazione sovente espressa nel corso della conferenza è
stata quella sul modo di poter affermare la fede cristiana fra i non cristiani.
A questo proposito, le Chiese asiatiche
e africane paiono provare un crescente
imbarazzo. Esse chiedono anche alle
Chiese d’Europa e del Nord America di
definire la separazione fra la missione
cristiana autentica e gli elementi occidentali - e di conseguenza estranei - che
la tradizione ha sempre trasmesso al
Terzo Mondo sotto la copertura del cristianesimo.
I 150 partecipanti al colloquio, provenienti da 32 paesi, hanno tutti testimoniato una grande apertura verso la
Cina. La FLM ha incaricato il suo Dipartimento Studi di svolgere un’inchiesta su scala mondi le sulle conseguenze per la missione dell’incontro col socialismo - specie quello maoista - incontro che avviene dappertutto, compresi Europa e Stati Uniti.
Le regioni industrializzate e urbanizzate sono state designate come il « nuovo fronte » della missione cristiana, dopo un’approfondita discussione sul crescente isolamento in cui viene a trovarsi la persona in quelle zone. Tokyo
è stata citata come un esempio concreto della disintegrazione della vita in comune, come la si constata in tutte le
più grandi città del mondo.
Come si diceva la scorsa settimanariflettendo sul documento con il quale
l’episcopato italiano si è disimpegnato,
senza sconfessarla, dall’attività delle
ACLI - la chiesa è una realtà interclassista, è un corpo che raccoglie in sé uomini e donne di classi sociali diverse
(e più o meno antagoniste). Così è stato fin dal principio, anche se fin dal
principio, di fatto, si è potuta fare la
constatazione che l’apostolo Paolo scrive alla chiesa di Corinto: « Non vi sono fra voi molti savi secondo la carne,
non molti potenti, non molti nobili »
(1 Cor. 1,26). Non molti. Qualcuno però c’era, poteva esserci; e potevano sedersi gli uni accanto agli altri. Non vi
era un’impossibilità assoluta, di fondo,
teologica, infrangendo la quale si snaturasse la chiesa; si constatava che, di
fatto, erano pochi, quelli di un certo ceto sociale, fra i discepoli di Gesù.
Qualcuno c’era, anche se è difficile
sapere quale fosse di fatto il censo di
piccoli proprietari come i pescatori
(con lavoranti) sulle rive del Mar di
Galilea; quale fosse l’agiatezza di famiglie come quella di Lazzaro, Marta e
Maria, a Betania (una famiglia comunque abbastanza in vista, a leggere il capitolo 10 delTEvangelo secondo Giovanni); o la ricchezza di persone come Giovanna, moglie di Cuza amministratore
di Erode, la quale con un gruppo di altre donne « assistevano Gesù e i suoi
con i loro beni » (Luca 8: 3), o come
Giuseppe di Arimatea che offrì la sua
tomba tagliata di fresco per deporvi il
corpo di Gesù (Matt. 27: 57 ss.). Né
mancano certo, nel racconto degli Atti
e nelle lettere apostoliche, figure di
gente abbiente, proprietari, « borghesi », uomini dell’apparato, da Giuseppe
Barnaba (Atti 4: 36) a Cornelio (Atti
10), a Filemone: la loro presenza nella chiesa non pare costituire di per sé
un problema.
Una minoranza, senza dubbio, probabilmente un’esigua minoranza, ma non
una minoranza spuria, fuori posto, non
una periferia di discepoli dubbi. Lo
stesso Paolo era un intellettuale di estrazione borghese, diremmo oggi. Vi
sono anzi molti, fuori e dentro la chiesa, che ritengono di poter liquidare o
per lo meno mettere sotto giudizio la
sua teologia, condizionandola a questa
sua « macchia d’origine ». Un ragionamento, questo, che non stupisce quand’è fatto da non credenti, sebbene an
iiiiiiiiiiiriiiiiiiiUMiiiiMiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiimimiiiiiiiiiiiiiiinmiiiiiMiiMiiiiiii
Al centro della X Conferenza della Chiesa Metodista d’Italia
La ricerca di
per portare
un campo d'azione
nel mondo
e di strutture
testimonianza
adoguato
efficace
La ricerca di un « campo d’azione »
e di strutture adeguate per portare
una testimonianza efficace nel mondo:
questa è sembrata essere la preoccupazione maggiore della decima Conferenza Metodista, che ha concluso i
suoi lavori domenica 23 u. s., dopo
una settimana « piena » di discussioni,
dibattiti, prese di posizione e, naturalmente, anche di rendiconti. In effetti,
indipendentemente dai problemi finanziari a tutti i livelli (sia delle opere
che dei circuiti che, più in generale,
dell’intera organizzazione ecclesiastica), la preoccupazione di questa decima Conferenza è sembrata risiedere
proprio nella ricerca di rendere funzionale uno strumento quale la Federazione delle Chiese Evangeliche e, ancor più apertamente, nella conclusione del dialogo con la Chiesa Valdese.
La decima Conferenza si è aperta lunedì 17 maggio, con le sedute preliminari, per arrivare al suo culmine mercoledì, giornata dedicata quasi interamente alla sessione pastorale, nel cor,so della quale sono stati decisi questi
trasferimenti: il candidato pastore
Gianmaria Grimaldi da Villa San Sebastiano a Carrara, l’anziano evangelista Giuseppe Anziani da Alessandria
e diaspora a Piacenza-Cremona (con
sede Cremona), l’anziano evangelista
Giovanni Anziani da Rapolla alla diaspora adriatica (con sede a Palombaro), il candidalo evangelista Arcangelo
Pino a Rapolla e Venosa (con residenza Rapolla) ed il candidato evangelista
Aldo Visco Gilardi alla diaspora di Milano e a Luino (con residenza Sesto
San Giovanni).
In serata di mercoledì, quindi, l’inaugurazione della seduta plenaria della
Conferenza, cui erano presenti una settantina di rappresentanti dei 3.500 metodisti d’Italia. Membri della Conferenza anche il delegato della Conferenza britannica Gordon Rupp e, con voce
consultiva, il past. Emanuele Santi,
della Conferenza di New York, e la
delegazione della Chiesa Valdese, rappresentata quest’anno dal moderatore
Neri Giampiccoli, dal past. Giorgio
Bouchard, da Giovanni Ribet e dal
prof. Franco Duprè.
Un ordine del giorno piuttosto intenso, ma subito si è avuta l’impressione che l'assemblea — e la stessa,
presidenza, cui sedevano il presidente
past. Mario ’Sbaffi, il vicepresidente
Giampaolo Ricco ed il segretario past.
Sergio Aquilante — intendesse porsi
prioritariamente il problema dei rapporti con la Chiesa Valdese e, particolarmente, il problema della tanto discussa fusione tra le due Chiese. Vaidesi e metodisti hanno in comune numerose commissioni di studio, hanno
già avuto un sinodo congiunto ed un
secondo sinodo comune è previsto per
il prossimo anno: ma il rapporto, è
stato subito notato, deve essere rafforzato e concretizzato ulteriormente. Ha
cominciato il Comitato permanente
(che ha in un certo senso alcune funzioni simili a quelle della Tavola), nel
suo rapporto annuale, a sollecitare
questo problema, accanto all’altro, assai importante, della maggiore funzionalizzazione della Federazione. « Non
possiamo non registrare — si legge
nel documento — che nell’ambito delle
denominazioni evangeliche la stessa
coscienza del compito della chiesa nel
mondo appare sempre più diffusa e come di essa si faccia portavoce l’organismo unitario che ci siamo dati, la
Federazione, il quale si manifesta e, a
nostro avviso deve manifestarsi, in maniera sempre più accentuata, come un
indispensabile strumento di testimonianza e di servizio. Questa consapevolezza di una comune vocazione non potrà non affrettare quel processo di integrazione al quale la nostra Chiesa
ha dato un largo contributo e che dà
buoni frutti nei rapporti sempre più
stretti con la Chiesa Valdese. In questa direzione, a nostro avviso, la nostra Chiesa deve camminare senza
tentennamenti, certa di assolvere così,
all’interno dell’evangelismo italiano,
ad un importante compito che le è
stato assegnato e del quale siamo tutti
responsabili ».
Su questo argomento — Federazione
e rapporti con la Chiesa Valdese ■— si
è poi discusso in un capitolo a parte:
una discussione interessante, cui è intervenuto anche il past. Neri Giampiccoli. Su questi argomenti sono quindi
stati redatti e successivamente approvati all’unanimità due ordini del giorno. Eccone il testo:
« La X Conferenza della Chiesa Evangelica Metodista d’Italia, riunita ad
Ecumene dal 19 al 22 maggio 1971,
riconosce, alla luce delle esperienze
degli ultimi quattro anni, che la Federazione delle Chiese Evangeliche in
Italia è ormai una realtà in progrediente sviluppo;
conferma la sua convinzione che la
Federazione, nella sua forma attuale,
sia solo una. tappa verso l’attuazione
di una unità dell’evangelismo italiano,
intesa non solo come fine a se stessa
ma come strumento per l’annuncio del
Giovanni Ribet
(continua a pag. 4)
che in questo caso resti molto discutibile, ma che rattrista quando lo si ode
fare da cristiani i quali, accostandosi
al suo messaggio con presupposti ideologici così condizionanti, si precludono
quel rapporto «da fede a fede» (Rom.
1,17) che è essenziale e insostituibile
affinché TE vangelo sia ricevuto in tutta la sua portata. Il fatto che Paolo abbia, in vari casi e momenti, provveduto
con il proprio lavoro artigianale al proprio mantenimento, non va interpretato come una rottura « ideologica » con
la sua condizione sociale, bensì in base
alla sua preoccupazione che sulla predicazione delTEvangelo non pesasse
ombra d’un sospetto d’interesse personale, di « mestiere »; e sono due cose
ben diverse.
Dunque, secondo il Nuovo Testamento la chiesa primitiva era costituita per
lo più da gente modesta (in particolare
nelle comunità sorte fuori dalla Palestina, molti schiavi si riunirono accanto ai liberi), e da una minoranza di persone abbienti, talvolta appartenenti alle classi dominanti (Dionigi TAeropagita non costituisce un « problema », in
Atti 17, così come il problema di Nicodemo non era certo quello della posizione sociale, in Giov. 3). Le considerazioni che precedono possono parere ovvie, a chi conosce il Nuovo Testamento;
ma forse era opportuno ricordarle,
ad affermare che esso riflette una situazione inter-classista alTinterno della
chiesa. La sforzo - quale pertinace tensione, anche se la riuscita resta sempre
problematica - lo sforzo di obiettività
che uno storico come Qscar Cullmann
non si stanca di raccomandare a chi si
accosta ai documenti neotestamentari,
dovrebbe permetterci di prendere atto
di quella situazione, senza caricarla di
tutto il peso deformante che la ben diversa situazione attuale rischia di proiettarle e cosi spesso in effetti le proietta sopra.
Non è comunque una situazione statica, quella che si riflette nel Nuovo Testamento, ma piuttosto di dinamica
tensione. Al centro sta l’affermazione:
Cristo non vi è più né schiavo né libero. Alla dura, onnipresente realtà della divisione di classe viene contrapposto l’annuncio di una realtà nuova, apparsa e affermatasi « in Cristo ». Dalla
prima generazione cristiana e finché lo
schema di questo mondo non sarà totalmente e definitivamente passato, i
cristiani sono stati, sono e saranno alle
prese con questo rovente « in Cristo »,
che racchiude in sé Tirrompere del
mondo nuovo nel nostro mondo vecchio, e il sussistere - chiesa, credenti
inclusi - del vecchio mondo che ha crocifisso, crocifigge e continuerà o crocifiggere Gesù, proprio lui, Gesù di Nazareth, non una sua più o meno simbolica reincarnazione nei poveri e negli
oppressi.
Da questa dinamica tensione — ci attesta il Nuovo Testamento — scaturiscono decisioni, gesti: « segni », il cui
peso viene tutto dalla realtà indicata,
mentre risultano episodici e velleitari
per qualunque programma rivoluzionario che miri al rovesciamento delle
strutture; pur tuttavia decisioni, gesti
reali che contrastano con l’ordine esistente, con le leggi correnti. Dalla
svolta, nella vita del pubblicano Zaccheo, al tentativo di comunanza di beni
nella comunità di Gerusalemme, al modo di affrontare in profondità, fra credenti, il rapporto schiavo-padrone prima, ma soprattutto padrone-schiavo,
così come affiora vigoroso dall’Epistola Filemone - il Nuovo Testamento attesta che alTinterno della chiesa primitiva la divisione di classe non era coperta o ignorata, ma al contrario dibattuta e vissuta, sofferta e affrontata; però in un modo tutto particolare,
secondo un’ottica inconfondibile con
qualsiasi altro tipo di approccio al problema.
Decisioni, gesti che erano come .scampoli del Regno, tentativi allusivi, parlanti anche quando fallivano, modeste
erosioni sulla realtà vecchia ma sempre così vivace, umili ma reali caparre
di un mondo nuovo, di rapporti umani
nuovi; frutti dello Spirito, opere di una
fede condivisa, che vuol comunicarsi e
vuol dare al messaggio del Regno un
recipiente che resta di coccio ma che
non sia troppo difforme o soffocante
rispetto al contenuto. « Solo » questo.
Il dramma della chiesa odierna, e la
sua colpa, è duplice: da un lato non
cerca e non compie questo, dall’altro
non si accontenta di solo questo.
Una parte della chiesa recalcitra di
fronte a decisioni e a gesti come quelli che il Nuovo Testamento ci esemplifica, non offre al mondo di questi se
Gino Conte
(continua a pag. 6)
2
pag. 2
N. 23 — 4 giugno 1971
Quando lutto cambia
(Forse però la preghiera che il Signore ci
conceda il suo Spirito si è fatta rara, fra noi)
Vi son tre momenti rilevanti Vi saranno quelli che dicono,
nella vita dei discepoli di Gesù beffandosi, « son pieni di vino dol
ce », ma è anche vero che la sola
Il primo, quando lo seguono rivoluzione è entrata nel
per la Galilea e la Giudea fino al rnondo.
Getzemani. Ascoltano il Signore Mi pare che noi siamo in uno
e o seguono, o aniano e si rimet- jgj niomenti succitati. Nel miono m u o ne a Sua parola, ma gliore dei casi pensiamo come Pienon comprendono m realta m che tro alla istituzione (Atti 1: 21-22),
senso g l sia 1 Messia e quale sia siamo ora trascinati alla
Il Suo Regno. Questa mcompren- profezia, alle visioni ed ai sogni
sione e evidente m ogni pagina che irrompono nella saviezza umaeg 1 evange i e risalta piu che j-ia per rivelarla vuota com'essa è.
Come reagirono agli avvenimenti europei del 1921?
Le Valli Valdesi, cinquant’anni fa
mai quando Cristo comincia a
parlare delle Sue sofferenze e della Sua morte. Egli rimase per loro sempre il Messia secondo le
malgrado tutto il suo orgoglio.
Continuiamo a discutere « come
fare » o « da dove si deve cominciare », ma la paura di non esser
1 . . • 1 1 , , , , Ilici Ad uai
o rme e tempo, re che (deve graditi alla gente, o il desiderio di
non ® ristabdire la gloria del conservarci la situazione raggiunregno di Davide. Cosi Cristo mori- ta ci trattiene dalla pazzia deira so o, non compreso dai suoi. l’Evangelo confidatoci perché quell secondo è dopo la resurrez- sto nostro mondo abbia direzione
zione. Allora scoprono veramente £ vita.
in Lui il Salvatore del mondo e
comprendono l’essenza e la natura
del Suo Regno. Hanno il mandato
di portare questo annuncio al popolo. . .ma non ne hanno la capacità e, diremo noi oggi, non sanno
da dove cominciare. Così li trovia
È necessario che il Signore venga fra noi col Suo Spirito. Forse la preghiera che Iddio ce lo conceda si è fatta rara. Siamo nella carniera alta, ma sonnacchiosi come
nel Getzemani, anche se logorati
Tullio Vin.ay
'' ^ C, V_/vJol 11 LlUVld“ J 11^ • Ai. • X* J*
mo riuniti fra loro in meditazione ¿all angoscia caratteristica di
e preghiera. Sono un centinaio,
ma assemblea più o meno chiusa
che non penetra la città. Prevale
la paura di uscire e di parlare.
Il terzo momento è la Pentecoste. Come il Signore aveva promesso, non li ha lasciati orfani,
ma ha mandato il Suo Spirito e
con esso è tornato con loro. Qui
tutto cambia. Il discorso non è
più « come fare » o « da dove cominciare », né la paura li blocca.
Entrano subito nella vita della città, affrontano autorità e masse ed
a tutti rivolgono il discorso che in
quel momento doveva esser detto.
Si è avverato quel che aveva scritto il profeta;
« spanderò il mio Spirito sopra Chiese. Mentre il movimento ecumeni
Ogni carne; e i vostri figliuoli e le co è dato dall'insieme di istanze e di
vostre figliuole profeteranno, e i iniziative che sospingono le chiese a
vostri giovani vedranno delle vi- scuotersi dall’immobilismo denomina
Per il lettore (se c’è)
PREAMBOLO I
Dobbiamo giustificare il titolo di
queste cronache o noterelle che dir si
voglia. « Noterelle di storia valdese »
sarebbe forse il titolo più acconcio;
ma per molti lettori esso potrebbe
sembrare del tutto inadatto proprio
sul piano della storia in genere e della
storia valdese in particolare. È forse
possibile, o lecito parlare di « storia »
con riferimento agli avvenimenti di 50
anni fa? Non sarebbe più opportuno
aspettare ancora altri 50 anni, prima
di tentare delle sintesi, o trinciare dei
giudizi che una migliore conoscenza
dei fatti potrebbe svuotare della loro
obiettività, poiché, in sostanza, scrivere di storia significa tendere alla obiettività, esporre i fatti con obiettività?
Poiché il mito della obiettività storica è tuttora tenace, ci si consentano
due citazioni demitizzatrici.
R. Bultmann: « Interrogare la storia
non consiste nell’informar si in maniera neutra su avvenimenti oggettivamente constatabili e appartenenti al
passato, ma al contrario consiste nell’essere preoccupati della questione di
sapere come noi, che S’amo noi stessi
trascinati dal movimento della storia,
possiamo pervenire alla comprensione della nostra esistenza, ossia come
possiamo essere illuminati sulle possib'liià e sulle necessità della nostra
volontà ».
Italo Mancini (in Oltre Bultmann):
« Non c’è nella storia una vera oggettività sul tipo di quella che si può risrontrnre nelle indagini naturali [...]
perché l’uomo è condiz’onato dalla
storia stessa, e non è mai uno spettatore neutro; e poi il messaggio della
storia non è qualcosa di “valore eterno", ma è qualcosa che scende da ciò
che l’uomo ha voluto vedervi; la sua
scelta è ineliminabile ».
Queste noterelle di storia valdese
vogliono quindi semplicemente interrogare il 1921 nelle Valli Valdesi.
PREAMBOLO II
Perché « Le Valli Valdesi » e non
« La Chiesa Valdese »? Qui il discorso
rischia di farsi lungo, per la tenace
sopravvivenza dell’altro mito; la Chiesa-Popolo.
Se ne è già tanto parlato e discusso che non lo riprenderemo in esame,
per farne l’oggetto di una premessa —
diversamente da quanto abbiamo fatto per l’oggettività storica —; anche
perché interrogando il 1921 potrà sorgere la possibilità di gettare qualche
luce su questo rapporto fra Chiesa e
Popolo.
IN GERMANIA
(Per gl’immemori e gl’ignari).
L’anno 1921 è un anno cruciale nella storia d’Europa in generale, e d’Italia in particolare.
L’edificio della pace faticosamente
costruito dagli Alleati vittoriosi cade
in rovina.
In Germania .Adolf Hitler diventa,
di fatto, il capo di un nuovo partito
(N.S.D.A.P.) (Partito nazional socialista dei lavoratori), organizza le S.A.
(reparti d’assalto, formazioni paramilitari come si potrebbero chiamare
nel 1971) e dà ai suoi seguaci un simbolo singolare che fa la sua prima apparizione fatale: la croce uncinata, la
bandiera con la croce uncinata al centro di un disco bianco in campo rosso. E Adolf dà l’interpretazione miti
iiiiinMimiMiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiimiiiiiimiimiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiMiiiiiiiiiiMiiiiiiii iiiiiiiiiiiiMiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiimiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiii
Significato di una mozione dell’Assem.blea della Chiesa di Torre Pellice
Suirìngresso delia Chiesa cattolica reeiana nel C. E. C.
L’Assemblea della Chiesa Valdese di
Torre Pellice ha espresso in una breve
mozione il suo pensiero circa l’eventualità della richiesta della Chiesa cattolica romana di entrare nel Consiglio
Ecumenico delle Chiese. La brevità del
documento richiede che si precisino le
considerazioni che hanno portato alla
votazione unanime del medesimo.
È necessario, anzitutto, tener presente la distinzione tra il movimento ecumenico e il Consiglio Ecumenico delle
sioni, e i vostri vecchi sogneranno
dei sogni ». (Atti 2-17)
iiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiimiiiiiii
Fra le riviste
II
ri
Christianisme Social
diventa
“Parole et Société"
Nel n° 1-2/1971 di cc Christianisme Social »
Teditoriale annuncia che la rivista del Movimento del Cristianesimo Sociale muterà testata e uscirà prossimamente con quella di « Parole et Société ». “Al tempo stesso chiaro e ambiguo. limpido e opaco, savio e folle. « Parole
et Société » situa i confini del campo operativo nel quale vuole intervenire il Cristianesimo Sociale. Parola: la Parola, il discorso, la
apostrofe, il grido. Società: l’ambiente di vita,
il mondo politico, l’ambiente umano, la vita
sociale, il mondo della cultura. Collegati, i
due termini illustrano nel modo migliore i
propositi di una rivista del Cristianesimo Sociale, in un titolo accessibile e percepibile a
lettori diversi".
Sarebbe incauto, superficiale e poco fraterno anticipare un giudizio su cosi esile annuncio; ma non sarebbe schietto, da parte nostra,
nascondere le più vive perplessità nei confronti del modo con cui viene presentato il primo di questa coppia di termini: di quale Parola si tratta? Quale ne è la molla? Si ha fiducia che. non per virtù nostra, possa essere una
affermazione? 0 la si riduce a interrogazione,
apostrofe, grido?
Chi parlerà, insomma ; Dio, come e quando
vorrà, o l’uomo? Non sono domande retoriche. Dalla risposta dipende anche il .secondo
termine del programma : la riflessione, in prospettiva evangelica, sulla società odierna e
l'azione che ne deriva.
Dal sommario «li questo numero: Marc Boegner. un politique méconnu (J. Beaumont,
G. Casalis) - Paroles d'un Président (G. Heinemann). il testo di un discorso che il presidente della Rep. Fed. Tedesca ha tenuto alla
televisione tedesca in occasione del centenario
della fondazione, a Versailles, delTImpcro Tedesco da parte di Guglielmo I, un discorso
fortemente critico, anche nei confronti del
passato luterano, sul quale sarà interessante e
utile ritornare più ampiamente - Un dossier:
Regime pénitencier et greve de la faim - Cronache hihliografiche e la consueta ricca e vivace rubrica di corrispondenze c documenti,
che costituisce si>esso la parte ¡ùù interessante dei fascicoli.
zionale, in vista di una profonda riforma sulla norma della Parola di Dio, il
Consiglio Ecumenico delle Chiese è
soltanto un poderoso strumento, mediante il quale il movimento ecumenico
si è proposto di facilitare e sviluppare
rincontro e il confronto tra le chiese
cristiane. Per sua stessa natura il CEC
è aperto a tutte le chiese che si inseriscono nel movimento ecumenico, accettando la base, la struttura e le finalità del Consiglio stesso.
L’ultimo decennio ha segnato l’apertura della Chiesa cattolica romana al
movimento ecumenico. Infatti, dopo
un lungo periodo nel quale la Curia romana aveva imposto un atteggiamento
di radicale opposizione al movimento
ecumenico, nel corso del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica ha dichiarato di sentirsi implicata in esso. Respingendo la proposta curiale di raffigurare un « ecumenismo cattolico », il
Concilio Vaticano II ha riconosciuto
che l’istanza ecumenica è unica per tutte le chiese e si è limitato a formulare
i « principi cattolici delTecumenismo »,
nella Costituzione conciliare Unitatis
Redìntegratio.
Le linee teologiche ed ecclesiologiche
emerse dal Concilio Vaticano II e gli
sviluppi successivi hanno messo in evidenza" ima dialettica interna, in forza
della quale, mentre a livello della Curia romana e della teologia ad essa ispirata continua a prevalere il centralismo
autoritario dei Concili di Trento e Vaticano I, molte correnti teologiche di
notevole rilievo presentano un’autentica sensibilità ecumenica ed evangelica.
Numerose sono anche le correnti — comunemente definite del « dissenso » —
le quali compiono questo confronto in
modo deciso e redicale.
Questa concreta situazione della Chiesa cattolica romana fa ritenere che il
suo ingresso nel CEC sia auspicabile.
Se verrebbe co.sì aumentato il peso delle correnti ufficialmente «cattoliche»,
il movimento ecumenico potrebbe anche essere arricchito dall’apporto teologico e operativo delle correnti cattoliche aperte alla riforma delle chiese.
Sarebbe veramente dannoso che il movimento ecumenico non entrasse in
contatto diretto con il parallelo movimento che si sviluppa nella chiesa cattolica o lo dovesse fare soltanto indirettamente, attraverso l’opera dei comitati misti.
La più grave difficoltà è rappresentata dalla struttura dogmatica e politica
del papato romano. La configurazione
dogmatica del papato potrebbe essere
considerata una questione interna della Chiesa cattolica romana, tanto più
che la interpretazione della Costituzione Pastor .Aeternus con la quale il Concilio Vaticano I sancì il « primato » del
L’Assemblea della Chiesa Valdese di Torre Pellice, nella sua
seduta del 16 maggio 1971, a conclusione dello studio sul problema dell’eventuale richiesta della
Chiesa cattolica romana di entrare nel Consiglio Ecumenico delle
Chiese, considerando che il CEC,
per la sua natura e le sue finalità ■
è aperto a tutte le chiese cristiane che ne condividono la base, la
struttura e le finalità, concorda
nei seguenti punti.
1. La situazione attuale della
Chiesa cattolica romana si presenta estremamente dialettica.
Mentre il potere centrale rivela
forti tendenze di Controriforma,
alla base si esprimono e operano
movimenti di chiara ispirazione
evangelica ed ecumenica che vanno presi in seria considerazione
e il cui apporto può essere valido
per tutto il movimento ecumenico e per lo stesso CEC.
2. L’ostacolo di fondo è rappresentato dalla configurazione
di potere del papato romano. Se
la dottrina del « primato » può
riguardare direttamente la sola
Chiesa cattolica romana, la configurazione del papato come potenza politica, operante sul piano
delle potenze politiche, mediante
rappresentanti diplomatici e accordi con i poteri costituiti, interessa tutte le Chiese cristiane e
può rappresentare per il CEC una
tentazione e un pericolo.
3. Conseguentemente l’Assemblea:
■— rileva le necessità di dare impulso sempre nuovo al movimento ecumenico, soprattutto
sviluppando iniziative interconfessionali di base;
— auspica la ricerca di una formula che permetta l’ingresso
della base cattolica nel CEC al
livello di chiese nazionali e di
gruppi qualificati;
— ritiene che l’eventuale ingresso della Chiesa cattolica romana nel CEC debba avvenire
sulla base di un preciso accordo che escluda chiaramente
ogni possibilità non solo di riconoscimento, ma anche di indiretta accettazione della
struttura politico-diplomatica
del Vaticano.
papa, non è ora univoca neppure all’interno della Chiesa cattolica romana.
Al contrario, la struttura politica del
papato romano non può non suscitare
le più gravi perplessità, anche per un
dialogo, nel quale le divergenze teologiche sono considerate come il punto,
di partenza. Infatti tale struttura rende perennemente equivoca la realtà
stessa della Chiesa cattolica romana;
infatti, mentre essa si presenta dogmaticamente come una comunione di chiese locali (o regionali) convergenti nel
vescovo di Roma, la configurazione politica del papato presenta lo stesso vescovo di Roma come un « sovrano » assoluto, secondo lo schema del potere
politico. Esso non si limita ad esercitare una « missione » sulla base di un
consenso di fede, ma svolge il suo potere attraverso canali diplomatici, me
diante convenzioni politiche (concordati), richiedendo anche l’intervento
dei poteri politici contro le stesse comunità cattoliche.
Quanto mai sconcertanti sono episodi come quello ancora in atto della comunità cattolica deirisolotto di Firenze, nel quale l’autenticità dell’assemblea comunitaria è stata di fatto decisa dalla polizia e dalla magistratura italiana la quale ha sottoposto a giudizio alcuni sacerdoti e membri della comunità pél" un atto compiuto liberamente da una intera comunità. Il fatto
che un vescovo prevalga su una comunità intera e solleciti o almeno accetti
l’intervento del potere politico là dove
si tratta della vita interna di una comunità credente, denota il persistere
di una mentalità e di una volontà che e
all’opposto della più elementare sensibilità ecumenica, per non fare riferimento all’Evangelo.
Questa configurazione del papato romano non può essere considerata come
un affare interno della Chiesa cattolica
romana, ma grava con tutta la sua equivocità su tutte le chiese e può costituire per il CEC stesso una tentazione e
una minaccia. Pertanto l’eventuale ingresso della Chiesa cattolica romana
nel CEC dovrebbe chiaramente escludere ogni sospetto non solo di riconoscimento, ma anche di indiretta accettazione della configurazione politica
del Vaticano.
Un altro chiarimento dovrebbe avvenire nei rapporti già esistenti tra il
CEC e la Chiesa cattolica romana. Attualmente questi rapporti si svolgono
prevalentemente sulla base di consultazioni a livello di comitati paritetici.
Questa forma di contatti rappresentò
all’inizio un progresso nei confronti della situazione precedente di totale rifiuto da parte della Curia romana. Tuttavia non si vede come essi possano prolungarsi ulteriormente, senza snaturare lo stesso CEC e creare una abitudine al centralismo e alla burocratizzazione. Il CEC è strumento di dialogo e chi
vuol dialogare entra nel CEC e tratta
alla pari e alla luce del giorno. Le trattative in segreto, con stile diplomatico,
non convengono alle chiese di Cristo.
Perciò è auspicabile che si giunga ad
una soluzione chiara e definitiva.
L’esigenza di una soluzione chiara
e definitiva richiede che si trovino soluzioni tecniche le quali permettano di
risolvere le due opposte istanze: dire
di si alla Chiesa cattolica romana e
dire di no alla struttura di potere del
papato romano. Una linea di soluzione
potrebbe trovarsi nella proposta che la
Chiesa cattolica romana entri nel CEC
a livello di chiese nazionali, garantendo
adeguato spazio ai movimenti di base
che vanno sotto il nome di « dissenso
cattolico », tanto più che il CEC non
raccoglie le grandi famiglie confessionali, ma le singole chiese.
In attesa che un progetto concreto
sia presentato all’esame delle chiese
membro del CEC, è necessario che il
movimento ecumenico si sviluppi a livello di comunità e di gruppi di base e
che lo stesso CEC operi sotto la spinta
del movimento ecumenico, non prestandosi in alcun modo a diventare strumento di vertici ecclesiastici per rallentare o snaturare le istanze della
base.
Alfredo Sonei.h
ca ed autentica per i suoi fedeli. « Nel
rosso vediamo la concezione sociale
del movimento, nel bianco quella nazionalistica, nella croce uncinata la
missione di combattere per la vittoria
dell’uomo ariano e al tempo stesso la
vittoria dell’idea del lavoro creativo,
che sempre fu e sarà antisemita ».
Accanto a lui sono i fedelissimi della prima ora, che acquisteranno fama
sinistra nei decenni a venire: Alfred
Rosenberg (il teorico del Mito del ventesimo secolo), Rudolf Hess (il viceFuhrer), Hans Frank (nel 1941 « celierà sull’identità tra ebrei e pidocchi»;
spietato governatore in Boemia).
La situazione economica è disastrosa. La delusione e l’amarezza della
sconfitta è sempre più grande. I partiti democratici sono dilaniati da lotte
intestine.
Ma la Germania è veramente stata
sconfitta o non piuttosto tradita?
Nell’ombra si tessono trame, si congiura, si preparano colpi di stato. La
nostra stampa valdese ignora tutto,
ma è forse la sola?
IN ITALIA
Il 1921 apre con la liquidazione dell’avventura fiumana di D’Annunzio. 11
poeta-soldato saluta la fine e congeda
i suoi legionari con una delle sue magniloquenti orazioni: « ...La martire
Fiume, simile a quella sua donna che
da ferro italiano ebbe tronche le sue
braccia di fatica e non fece lamento,
si solleva su i suoi piedi piagati e col
moncherino sanguinante scrive nella
muraglia funebre; “Credo nella patria
futura e mi prometto alla Patria futura” ».
Questo finale incandescente è diversarnente valutato nelle Valli Valdesi.
L’Echo des Vallées, organo più o
rneno ufficiale della Chiesa Valdese (lo
dirige il pastore Giovanni Bonnet, ne
è magna pars il professore Giovanni
Cdisson — lo spirito irenico del pastore e l’ironia del professore si completano egregiamente) dà una valutazione severa, ma sostanzialmente giusta
nella sua acuta ed arguta formulazione: si tratta della fine « d’un cauchemar » (di un incubo). Ritorni pure il
poeta alla sua poesia e lasci l’avventui'a politica. Dalla sua politica l’Italia è stata screditata sul piano morale, e danneggiata sul piano economico.
Il settimanale laico delle Valli Vaidesi è L’Avvisatore Alpino, che in quell’anno si è unito in un matrimonio alquanto ibrido con II Pellice (conservatore e progressista uniti in un infecondo connubio che durerà un anno
solamente); è di fatto la voce del lai
cato (popolo?) valdese (lo dirige un
altro professore del Collegio Valdese,
Attilio Jalla) ed è l’espressione di un
gruppo politico costituitosi come « liberale-democratico », in cui confluiscono gli interessi, le speranze e le
delusioni degli intellettuali locali, della piccola e media borghesia; gli excombattenti, bene organizzati nella
Valpellice dal geom. Rostagno, vi trovano spazio per comunicati delle sezioni ed interventi politici apolitici. I
Mazzo:TÌs vi sono di casa.
La valutazione che A. J. su questo
settimanale dà dell’impresa fiumana è
molto diversa da quella deU’Echo: è
appassionatamente in chiave lirica.
Nessun migliore auspicio per l’anno
nuovo che la poesia politica del combattente monocolo.
E Tanno nuovo si apre anche con
un altro avvenimento.
Il Popolo d’Italia annunzia la nascita di Gerarchia, la nuova rivista fascista: « La gerarchia costituisce l’ossatura di ogni società possibile. Non
vi è civiltà umana all’infuori dell’ordine gerarchico. Qualunque partito voglia muoversi sul terreno della realtà
deve riconoscere l’esigenza della gerarchia sociale; volere abolire la gerarchia allo scopo di emancipare l’individuo ed accelerare la corsa del progresso sarebbe uguale follia come se
si rompessero le ossa di un fanciullo
per renderlo più agile, o se per aumentare la velocità di un treno si divellesse il binario ».
A Torino, il 24 gennaio, come reazione all’occupazione delle fabbriche,
il Fascio di Combattimento locale proclama che la sua attività è volta « al
bene delle masse ed alla loro redenzione »; e questa azione sfocia nella
costituzione del sindacato fascista.
Su questo piano sindacale, in una
adunata « trionfale » (non ancora
« oceanica ») Mussolini reclama che
« lo Stato renda al più presto i Sindacati compartecipi del potere legislativo nel campo dei problemi del lavoro, unico mezzo acciocché le masse
organizzate aderiscano allo Stato naZ.ionale ». Ravvisa parimenti la « necessità di una immediata opera di decentramento amministrativo che permetta alle singole regioni lo sviluppo
di tutte le loro peculiari attività onde
agevolare lo svolgimento dell attività
politica dello Stato, senza compromettere runità nazionale ».
Queste enunciaz''oni di principio non
preoccupano la stampa valdese, che
non se ne occupa. Anche Mario Falchi
che dirige La Luce, non vi trova motivo di un particolare interesse, che i
Valdesi trovano invece in altre enunciazioni: regime, ordine, tattica elettorale, problemi economici, Chiesa e
Stato, sui quali ci soffermeremo, se il
nostro Direttore non lo riterrà del tutto inutile.
L. A. Vatmai,
3
4 giugno 1971
N. 23
pag. 3
Abbiamo chiesto tre pareri sull'Octogésima adveniens,
la nuova enciclica sociale di Paolo VI
Dietro un discorso generico un prooramma aliarmante
J^ppena pubblicata la nuova enciclica sociale di Paolo VI ne
avevamo dato una prima lettura e avanzato un nostro commento. Desiderando approfondire e allargare l’esame di questo
documento pontifìcio, che oggettivamente riveste una importanza considerevole e che di riflesso ripropone anche a noi molti
problemi, abbiamo chiesto a Pierluigi dalla, Mario Miegge e Luigi Santini di commentare il documento; siamo vivamente grati
per i contributi che ci hanno dato. red.
Per gli ottant'anni della Rerum Novantm papa Paolo VT ha indirizzato
una lettera al cardinale presidente della commissione ’Justitia et Pax' (clr.
Osservatore Romano, 15.5.1971). A lettura finita, e tenendo d’occhio talune
leazioni di parte cattolico-romana, torna alla mente l'osservazione sconsolata del teologo H. Kiing: « più il papa
cerca di prendere sul serio il suo magistero, più questo sembra avvenire a
spese della credibilità di questo stesso magistero e della coesione interna
della chiesa » romana.
A un qualsiasi cittadino di questo
mondo, perfino a un semplice cristiano, è lecito rimasticare dei luoghi comuni, ripetere succintamente cose che
da trent’anni si leggono ormai su tutti i giornali, ma a un papa no. Qualcuno « che rappresenta Cristo », (come Paolo VI non ha esitato a dire in
S. Pietro domenica 17 maggio), o ha
veramente da dire una parola autentica, illuminante come profezia evangelica, oppure tace prudentemente.
Paolo VI invece sembra stretto tra il
dovere che sente di intervenire e la
mancanza di presa su di una società
che è sempre più avanzata dei suo discorso. È forse questa mancanza di
tempestività a dare una sorta di disagio invece che di conforto in chi
legge che il papa intende « riprendere e prolungare l’insegnamento dei
nostri predecessori » (par. 1 ).
Da Leone XIII...
Cerchiamo di capire in cosa abbia
consistenza la continuità a cui fa riferimento Paolo VI. La enciclica Rerum Novarum fu promulgata da Leone XIII (1878-1903) nel periodo centrale di un pontificato che valorizzava sagacemente l’opera di Pio IX. Papa Mastai fu senza dubbio un flagello per
, la «cattolicità» della chiesa romana,
ma 1 iorganizzò splendidamente il sistema: addomesticò la gerarchia ecclesiastica riducendola a docile macchina burocratica, romanizzò senza
remissione la chiesa con un rigido
centralismo che aveva al vertice l’autocrazia del pontefice,' inaugurò una
abile strategìa di massa con le devozioni, i pellegrinaggi, il culto della persona de! papa 'prigioniero'. LeoneXIII,
.su questa base, sviluppò un disegno
politico-sociale ad ampio raggio.
La Reriim Novarum (1891) poggia s i
una ecclesiologia fissata dal pontifio
to di Pio TX (e perviene all’annunzio
trionfalistico della chiesa romana « societas genere et jure perfecta »); essa
segna il passaggio da una fase di contenimento della pressione esercitata
dai ceti borghesi e dalie crescenti
masse popolari, a una fase positiva di
attacco e riconquista.
Dal Sillabo (1864) di Pio IX alla Rerum Novarum non vi è un progresso,
un approfondimento teologico, ma un
mutamento di strategia: Leone XIII
dà una piattaforma che permette la
immissione ufficiosa dei cattolici italiani nella lotta sociale. La dottrina ò
programmaticamente statica, in ritan
do sul discorso sociale che si sta svolgendo anche nel nostro paese, tende
a incanalare e strumentalizzare le
masse cattoliche politicizzate; e di
questo bene si avvidero pochi anni
dopo Romolo Murri e compagni, quando l'Opera dei Congressi registrò la
sua prima crisi.
Comunque, i cattolici 'fedeli al papa', frustrati dal lungo pontificato reazionario del Mastai, trovarono in quella enciclica se non delle « cose nuove » almeno un'apertura su fatti e
problemi che riguardavano tutti e sui
quali 'gli altri’ si impegnavano liberamente: si aggrapparono alla Rerum
Novarum con la stessa patetica tenacia con cui oggi fanno appello ai detti di papa Giovanni e ai decreti consiliari.
.. a Paolo VI
Oggi, a ottant’anni di distanza!, -i
riprende il discorso come se in sostanza nulla fosse accaduto. Dice
Paolo VI: « Spetta alle comunità crisliane individuare — con l'assistenza
dello Spirito Santo, in comunione coi
vescovi responsabili, e in dialogo con
gli altri fratelli cristiani e con tutti
gli uomini di buona volontà — le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si
palesano urgenti » (par. 4).
Alcune osservazioni: « le comunità
cristiane » alle quali « spetta » questo
compito sono per priorità quelle catlolico-romane, sembra, ma fanno già
capolino i vescovi; questi poi dilagheranno col paragrafo 6, quando si dirà
che il loro prossimo sinodo avrà anche il compito di orientare ravvenire
degli uomini. Siamo in sostanza sempre sul piano di una pretesa guida del
gruppo di potere ecclesiastico, una
pretesa che non tiene conto del fatto
che l’umanità è in cammino, non ha
aspettalo né aspetta le indicazioni dei
vescovi per fare le sue scelte. Gli stessi cattolici, nonostante l’accenno alle
« comunità cristiane », sono accantonati per fare largo all’episcopato, come se anche essi non vadano già svolgendo in tutti i paesi un discorso sociale inserito nelle situazioni concrete.
Ma Paolo VI, come del resto Leo
ne XIII, guarda particolarmente all’Italia, questa nostra nazione ch’è vittima designata del centro di potere
vaticano. E qui la lettera pontificia ha
un curioso andamento, un colpo al
cerchio e uno alla botte: « funzione
importante dei sindacati », ma meno
scioperi; ottimi i mezzi di comunicazione di massa, ma attenti a chi detiene « questo potere »; libertà di parola, di stampa, ecc., ma « evitare, mediante opportune misure, che si propaghi quanto può intaccare il comune patrimonio dei valori »; eguaglianza fra gli uomini, ma « una affermazione eccessiva di eguaglianza» fa
male.
Da tutta una serie di sic et non affiora un disegno politico che è davvero sulla linea della Rerum Novarum:
visto che delle direttrici di marcia
della società non sono eliminabili, ci
si adatta, e si tenta un’azione di arginamento, di contenimento. Tutta
questa antologia di opinioni pontificie potrebbe andare bene per la generalità dei cristiani, forse, se non fosse viziata all’origine, se non si compendiasse cioè in un disegno politico
in sostanza conservatore (del potere
clericale). L’altro ieri si bruciavano i
libri eretici e chi li aveva scritti, ieri
si tuonava contro la libertà di stampa, oggi si invocano « opportune misure », e sempre proponendosi alla
povera gente come portavoce di Cristo.
Una proposta ambigua
Se lo scopo di Paolo VI fosse solo
di « attirare l’attenzione » su questioni come l’urbanesimo, i conflitti fra le
generazioni, il posto della donna, la
emigrazione, e l’inquinamento della
natura, non ci sarebbe da allarmarsi:
sono luoghi comuni sui quali perfino
nelle scuole medie fanno il tema. Ma
ai par. 20-21 dice cose gravi
loro ambiguità allarmano.
Egli scrive sui mezzi di comunicazione sociale, sottolinea il loro valore,
il loro potere formativo e la responsabilità di chi detiene « questo potere ». Fin qui tutto va liscio, ma il discorso cambia quando si sottolinea
che « naturalmente i poteri pubblici
non possono ignorare » questi mezzi
di comunicazione: « essi pertanto sono chiamati ad assolvere positivamente la loro funzione di servizio al bene
comune, dando il loro incoraggiamento » a ciò che è costruttivo, ma « d'altro canto essi si adopereranno per
evitare, mediante opportune misure,
che si propaghi quanto può intaccare
il comune patrimonio dei valori sui
quali si fonda il genuino progresso
della società ».
Le domande si fanno fitte: cosa significa « assolvere positivamente »? e
questo « incoraggiamento » è privilegiato? questo « comune patrimonio
dei valori » in cosa consiste? e il « genuino progresso » come lo si intende?
In un paese come l’Italia, nel quale
vige ancora il misfatto clerico-fascista
del 1929, quando si parla di una revisione del Concordato, espressioni come quelle usate dal pontefice non possono che allarmare gli eguali, cioè i
cittadini che vedono manomessa la libertà comune ogni qualvolta il potere religioso e quello civile si alleano
per incoraggiare qualcuno e per scoraggiare altri. Queste sollecitazioni, e
altre disseminate per il documento,
possono anche essere accolte da dei
credenti come larvati richiami a intervenir-e in precise direzioni, e facilmente non cadranno nel vuoto: il nostro è il paese nel quale contano i piùeguali, i quali ci tengono naturalmente a conservare la loro eguaglianza
privilegiata.
Luigi Santini
che nella llimilllllMlllllllllll tllllilllllllllllllllllliiiiiiiiiiiiiiiiiiiilillllllllllllllllllllllllllll llllllllllllllllllliilllllllimilliilllllllllllh
Pluralismo sotto materna tutela
Dietro la presentazione minuziosa di cose abbastanza
ovvie, la riaffermazione degli interessi della Chiesa
Paolo 'VI ha « confidato » i suoi pensieri sulla società contemporanea al
Cardinale Maurizio Roy, in una lettera
che occupa varie pagine de « L’Qsservatore Romano ».
Senonchè, più che di una lettera, si
tratta di una enciclopedia, che parla
un poco di lutto, dall’urbanesimo a!
al conflitto delle generazioni, dal posto della donna nella società al diritto
alla emigrazione, dai mezzi di comunicazione di massa alle scienze moderne,
dalla politica alla economia.
Ed è, purtroppo, una enciclopedia di
cose note: la città è alienante, ma offre anche delle possibilità insperate; la
donna deve avere gli stessi diritti dell’uomo, ma non deve perdere di vista
la sua vocazione particolare; la gioventù è portatrice di aspirazioni, ma
anche di insicurezze; l’aborto e la limitazione delle nascite sono deprecabili per cui bisogna offrire nuove possibilità di impiego alla crescente popolazione, e così via.
Tante constatazioni, ma poca ricerca
delle cause per cui tali cose avvengono. Per esempio, parlando di emigrazione, si dice che occorre superare 1
nazionalismi, integrare gli emigrati, offrire loro abitazioni convenienti, ma
nulla è detto del perché la gente debba
emigrare, e del perché l’emigrazione
avvenga nel modo caotico e inumano
che sappiamo. Non sarebbe stato più
utile identificare le motivazioni profonde dei mali che affliggono la socie
„„111,1111,111111111 iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii III......... ................................................................................ni..........................................mi...........
Nei confronti dei socialismo
la condanna cede il passo
e del marxismo
al consiglio
La « Lettera apostolica » pubblicata
il 15 maggio 1971 dalla Santa Sede in
occasione dell’ottantesimo anniversario
della enciclica Rerum novarum di Leone XIII è un documento di grande interesse per valutare i mutamenti sopravvenuti nell’atteggiamento e nella
dottrina sociale della Chiesa romana a
partire dal Consiglio Vaticano IL Indubbiamente, se si confrontano i contenuti e le enunciazioni della Lettera
con i termini della discussione ideologica e politica che si vien svolgendo
fuori delle Chiese o nei gruppi del « dissenso », si può dire che il discorso non
è originale e neppure incisivo. Ma il
confronto va fatto innanzi tutto con la
serie delle encicliche sociali papali,
aperta per l’appunto dalla Rerum novarum di Leone XIII.
Il ridimensionamento della « dottrina
sociale » cattolica.
La « dottrina sociale » cattolica si è
venuta elaborando, dalla fine del secolo scorso, secondo schemi teorici e
finalità pratiche ben definiti: la Chiesa
romana è depositaria della Verità divina; la conoscenza deWordine della
Creazione e della Rivelazione le fornisce i criteri per valutare la realtà sociale e politica e per regolare la condotta dei credenti in questo campo.
Questo « magistero » inoltre si riferiva
direttamente alle nuove organizzazioni
attraverso le quali i cattolici dovevano
entrare in azione in prima persona nel
campo sociale e politico (associazioni
di Azione Cattolica, sindacati « bianchi » e, successivamente, partiti politici
di ispirazione cattolica). Infine, anche
se la Rerum novarum e altre encicliche
dei pontefici successivi intendevano affrontare la « questione sociale », l’obietlivo polemico, 1’« errore » che principalmenle veniva denuncialo e doveva essere combattuto era il « socialismo
ateo »: le organizzazioni dei cattolici
militanti sorgevano in concorrenza con
le organizzazioni sindacali e politiche
« rosse » della classe operaia.
Nell’ultimo documento della Santa
Sede questi schemi di pensiero e di
azione appaiono chiaramente in crisi:
messo da parte il termine stesso di
« dottrina sociale cristiana », la Letter.i del 15 maggio non procede più per
via deduttiva ma, all’opposto, si limita
a illustrare una serie di problemi sociali, ideologici e politici, utilizzando per
lo più il linguaggio secolarizzato delle
scienze sociali. Le enunciazioni teologiche non rappresentano più i « principi »
da cui si deduce una visione globale
della società e la norma delTazione politica unitaria dei cattolici, ma piuttosto un termine di riferimento e di confronto critico.
E, sotto rinlluenza del nuovo biblicismo conciliare, sono enunciazioni molt ) più vicine ai discorsi usuali nelle
chiese protestanti che alle tradizionali
formule della teologia naturale e del
giuridismo romano. Si legge per esempio, al paragrafo 46 della Lettera:
« La politica è una maniera esigente — ma non è la sola — di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri (...). Pur riconoscendo l’autonomia della realtà politica, i cristiani sollecitati a entrare in questo
campo di azione, si sforzeranno di
raggiungere una coerenza tra le loro
opzioni e il Vangelo e di dare, pur in
mezzo ad un legittimo pluralismo,
una testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede
mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini ».
Come distinguere ormai queste affermazioni da ciò che possiamo leggere continuamente nei documenti del
Consiglio Ecumenico, nella stampa
evangelica o negli scrini della teologia
protestante ufficiale, all’estero come in
Italia?
Aggiungiamo, anzi, che la stessa visione teologica della storia che compariva ancora nella Populoriiin progressio di Paolo VI (e di cui a suo tempo
abbiamo rilevato il carattere piuttosto
trionfalistico e ideologico) appare qui
fortemente ridimensionata (si veda il
paragrafo 41 sulla « ambiguità del progresso»). A questo mutamento del rapporto tra teologia e politica corrisponde anche un diverso atteggiamento nei
confronti dell’antico avversario: il movimento socialista e il marxismo. È
stato peraltro notato (per es. nell’articolo di commento alla Lettera sul « Manifesto » del 15 maggio) che, rispetto
alla serena apertura della Pacem in terris di papa Giovanni, le considerazioni
della Octogésima adveniens rappresentano un arretramento difensivo. La differenza indubbiamente c’è, e mette in
luce i ben diversi livelli di libertà cristiana e di linearità d’azione che caratterizzano i pontificati di Giovanni XXIII
e di Paolo VI. Ma non si tratta soltanto
di questo, bensì del fatto che nel frattempo la situazione è mutata all’interno stesso del « mondo cristiano »: infatti, quando si parla nella Lettera di
socialismo e di marxismo, non si parla
più soltanto di un fenomeno esterno
ben.sì delle diverse posizioni che vengono assunte nei confronti del socialismo e del marxismo da parte di cristiani piuttosto emancipati dall’« insegnamento sociale» di Roma. E quanto più
si accentuano le differenze, le tensioni
e i dissensi interni tanto più la condanna deve cedere il passo al «consiglio»...
Si può tuttavia osservare che, nella discussione sul marxismo odierno (par.
30-34, 36-37), gli esperti che hanno partecipato alla elaborazione e alla redazione della Lettera pontificia rivelano
un livello di informazione c una articolazione di giudizio notevolrnente superiore a quelli di non pochi discorsi
comparsi negli ultimi temi sulla nostra
stampa evangelica (e fra l’altro anche
su! recente numero di « Protestantesimo » pubblicato in occasione del 25“
anniversario della rivista).
La lettera, comunque, sembra ratificare la crisi della «unità politica dei
cattolici » e la fine della rigida dipen
denza del laicato dalle direttive politiche della gerarchia (§ 50). In effetti, in
questo campo, la svolta non è avvenuta
ora, ma con il pontificato di Giovanni
e con la costituzione conciliare Gaudium et spes. (La DC peraltro è sussistita fino al dì d’oggi: il che significa
che la potenza di questo partito non riposa sulle sole « armi spirituali »...).
Le trappole dell’ideologia nascosta.
Queste considerazioni largamente positive non possono celare i gravi limiti
e gli inevitabili dissensi nei confronti
del discorso della Lettera. Ma diventa
anche sempre più chiaro che il dissenso
non può più essere motivato semplicemente con una contrapposizione protestantesimo-cattolicesimo, se è vero (e ci
sembra che si possa difficilmente dimostrare il contrario) che, per quanto
concerne i rapporti tra « teologia » e
« politica », appaiono sempre più tenui
le differenze tra Ginevra e Roma e anche tra chi sta al di qua e chi sta al di
là del Tevere.
Non abbiamo qui lo spazio per un discorso critico sufficiente, che dovrà però essere sviluppato. Limitiamoci dunque ad alcune osservazioni.
1. Intanto è abbastanza palese nella Lettera di Paolo VI il difetto (pressoché abituale nei documenti delle
Chiese sulla vita sociale e politica) di
un discorso che sembra pronunziato da
esseri che esservano dall’alto le vicende del nostro mondo, sia pure con benevolenza e « sensibilità rafforzata da
una volontà disinteressata di servizio
e dall’attenzione ai più poveri » (§ 42).
Soltanto dopo 47 paragrafi si trova un
riconoscimento esplicito del fatto che i
cristiani non sono poi l’equipaggio di
una civiltà extraterrestre in visita sul
pianeta: là dove è detto, giustamente,
che « è troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se
non si è convinti allo stesso tempo che
ciascuno vi partecipa... » (§ 48). Ma se
questo riconoscimento della implicazione storica delle chiese nelle « ingiustizie » del mondo fosse il punto di partenza del discorso, esso dovrebbe sicuramente assumere una forma e un contenuto molto diversi.
2. Si è fatto cenno al tentativo di
valutare con maggiore ponderazione e
articolazione 1’« antico avversario » rosso. Nonostante ciò, sotto il tono prevalentemente "liberal” (nel senso anglosassone del termine) della Lettera,
permangono pur sempre due pesi e
due misure: in effetti mentre il socialismo è nominato più volte, il capitalismo è nominato apertamente una sola
volta (e ancora con la limitazione dell'aggettivo tecnocratico »...). I mali
che comunque sono da attribuire al capitalismo (ancorché non nominato), appaiono generalmente deformazioni possibili, quasi che fossero più una minaccia che una realtà: per esempio nel
par. 44, dove si parla delle grandi im
Marto Miegge
(conlimui a pag. 6)
tà contemporanea per cercare di cambiarla?
L’attenzione dei commentatori si ò
infatti fermata sull’unica parte alquanto originale del documento, quella politica. E’ un esame che inizia con due
osservazioni singolari. Secondo l’Autore, da una parte le ideologie sarebbero in regresso, il che aprirebbe la via
sia alla trascendenza cristiana che al
neo-positivismo; dall’altra, però, da
queste ideologie occorre guardarsi attentamente. E viene precisato che nè
10 Stato nè i partiti hanno il diritto di
presentarne alcuna: loro compito è la
politica, la quale « deve poggiare su un
progetto di società, coerente nei suoi
mezzi concreti e nella sua ispirazione,
alimentata a una concezione totale dell'uomo ».
Qra, a parte il fatto che anche il positivismo è una ideologia e a parte i
dubbi che si possono avere sul loro
supposto regresso, ci si deve domandare che cosa sia questa « concezione totale », se non è una ideologia. Ma l’affermazione è strumentale; infatti si apprende che « le convinzioni ultime sulla natura, l’origine e il fine dell’uomo
e della società » sono invece compito
dei « raggruppamenti culturali e religiosi ». Cioè, se abbiamo capito bene,
stato e partiti dovrebbero organizzare
la società sulla base teorica fornita dai
« raggrupamenti » citati, che, in definitiva, sono la Chiesa cattolica intesa come Mater et Magistra universale.
Ma ecco che « ci sono dei cristiani
che si lasciano attirare dalle correnti
socaliste ». E qui bisogna sapere che
esistono non solo vari socialismi e vari comuniSmi, ma altresì vari livelli di
socialismo e di comunismo. 'Vi è un iiyello, diciamo, pragmatico, consistente
in una aspirazione ad una società più
giusta o in una prassi attiva della lotta di classe; ve ne è uno politico, consistente in movimenti storici tendenti
all’esercizio del potere sotto la direzione del partito unico; vi è infine un livello dottrinale che è l’ideologia basata sul materialismo storico e sulla negazione di ogni trascendenza. E, come
nella censura cinematografica, il primo livello è sconsigliato (perché rischia di essere legato agli altri), ma
non espressamente vietato, il secondo
livello è molto sconsigliato e il terzo,
infine, è assolutamente vietato. Ne consegue che nei riguardi dei socialismi,
come delle altre forme politiche, il cristiano può e deve partecipare all’azione pratica (lotta di classe compresa?)
ma badando bene di farlo nel quadro
della ideologia della Chiesa.
Tutto ciò è stato assai riassunto e
semplificato, per cui occorre domandarsi come il fedele, esecutore del testo originale di questa lettera, che è
una Enciclica vera e propria, riesca a
dipanarsi in mezzo a tanti «distinguo».
E può allora nascere il sospetto che
proprio la collocazione dei « distinguo » siano l’espressione della politica
aggiornata della Chiesa cattolica. Risalendo infatti alle Encicliche dei Pontefici precedenti, si vede che l’ideologia socialista, da una parte, e quella liberale, dall’altra, sono sempre state
condannale. Ma Leone XIII nella « Rerum Novarum» applicava 1 «distinguo » al liberalismo c infatti, il partito cattolico del tempo se ne è largamente servito; Pio XI, per fare un altro esempio, nella « Divini Redemptoris » del 193'7, li applicava al fascismo;
oggi, in tempo di apertura conciliare,
si applicano al socialismo, mentre il
liberalismo è tutto condannato e tutto cattivo. Sia come sia, l’osservazione
di fondo è una altra. Il pontefice dice,
a un certo punto, che « non basta proferire denunce profetiche », e sul fatto
che non basti siamo d’accordo. Ma non
sarebbe, appunto, il compito del capo
di una Chiesa cristiana il ricercare profelicamcnle il senso della storia, l’annunciare il regno di Dio « sub contraria specie », l’invitare gli uomini a
quella conversione di fondo alla quale
11 chiamava l’Apostolo Pietro c senza
la quale non vi è, nè vi sarà, società
giusta?
Non sarebbe compito di un pastore
il denunciare lo cause dei mali sociali,
la volontà di potenza che è aH’origine
di essi c la violenza morale e materiale che tie consegue, affinchè gli uomini, come tiel giorno della Pentecoste,
« siano cotnpunti nel cuore e si ravvedano »? E non sarebbe giusto lasciare
alle istanze sociali e politiche, a delle
istanze nelle quali Pinfima minoranza
costituita dai credenti può tuttavia agire come lievito di autentica novità,
non sarebbe giusto lasciare a loro un
più ampio margine di scelta, poiché si
parla di pluralismo di opzioni?
Abbiamo invece l’impressione che,
ancora una volta, ci siano stale minuziosamente dette delle cose ovvie e che,
altrettanto ovviamente, ci siano stati
presentati gli interessi della Chiesa intesa come potenza terrena, anziché come follia di Dio.
Ptt;RLUiGi Jalea
4
pag. 4
N. 23 — 4 giugno 1971
Notiziario Evangelico Italiano
Assemblee
ilei Fratelli
Dui-ante tutto l’anno i Fratelli cercano di propagare la Parola di Dio,
ma i mesi estivi — essi dicono — offrono maggiori possibilità per compiere campagne evangelistiche. Essi
hanno in Italia cinque tende che sono
un ottimo mezzo per diffondere l’Evangelo, specialmente quando collaborano i giovani.
Questa evangelizzazione mediante la
tenda è chiamata opera della Tenda
Azzurra.
Essi quest’anno iniziano l’opera della Tenda Azzurra invitando tutti i Fratelli, giovani e meno giovani, a collaborare, dando almeno una settimana
del loro tempo a favore delle varie
campagne che si svolgeranno a Torino in giugno, a Foligno in luglio e agosto. Una tenda sarà alzata anche in
Sardegna, a Sassari città e spiaggia.
A Roma un gruppo di Neozelandesi
svolge un’opera di evangelizzazione,
coadiuvando l’Assemblea di Via Prenestina.
Istituto Comandi (Firenze). — Gian
Nunzio e Elda Artini, che dirigono l’Istituto, scrivono tra l’altro. « Noi chiediamo al Signore di operare ogni giorno in modo che noi, sia che laviamo
un pavimento o curiamo un vestito e
il cibo di un ragazzo, o lucidiamo delle scarpe, o mettiamo in ordine delle
carte o spieghiamo un brano del Vangelo, possiamo realizzare che quello
che facciamo è fatto tutto alla gloria
di Dio ».
Chiesa Apostolica
in Italia
Il Pastore dott. Mario Affuso ha tenuto, presso l’Istituto Teologico Salesiano di Castellamare di Stabia, due
conferenze alla presenza di numerosi
rappresentanti del clero docente. Egli
ha precisato di rappresentare l’ala
teologica evangelico-fondamentalista,
ed ha affrontato il tema in una visuale « completamente disancorata dal
protestantesimo riformato e suoi derivati ».
Il pastore Affuso ha esaminato alcuni punti del Decreto Conciliare sulTEcumenismo e sull’unità fra le chiese e ha messo in evidenza che l’ecumenismo romano si basa pur sempre
sul presunto legittimo primato della
Chiesa di Roma rispetto alle altre
chiese. La chiesa romana si ritiene la
vera chiesa di Cristo ed in lei devono
rifugiarsi le altre chiese che vogliano
raggiungere la perfezione. Un piccolo
passo è stato fatto dalla Roma dell’ecumenismo, ma sempre « sulTinfìdo
terreno del costantiniano trionfalismo
romano ».
Mario Affuso ha auspicato una maggior apertura verso un dialogo onesto
che valorizzi il meglio che c’è in ogni
chiesa per la causa dell’unità in Cristo.
Le conferenze sono state seguite da
dibattiti vivaci.
La Chiesa di Grosseto inaugura in
questo mese il nuovo Centro Nazionale Apostolico. Essa si rallegra inoltre
perché lo Spirito ha visitato particolarmente la gioventù dell’Assemblea
distribuendo doni carismatici di lingue c di profezia. In seguito a rivelazione profetica sono stat' consacrati
tre evangelisti che già stanno esplicando una viva attività nella Toscana.
La Chiesa di Napoli ha compiuto
una « missione » a Foggia con culti e
predicazione e un’agape fraterna. La
Comunità ha dibattuto inoltre un tema molto scottante per un ambiente
fondamentalista: « Il credente e l’impegno politico », guidata dal Pastore
Affuso.
Chiesa Metodista
Un convegno sulla Scuola domenicale è stato tenuto il 21 marzo a Savona
nella sede della chiesa Metodista, e vi
sono convenuti monitori, pastori e genitori da buona parte della Liguria.
« La scuola domenicale è uno dei
mezzi che la Comunità ha a sua disposizione per educare e guidare i giovani a scoprire il loro posto e la loro
vocazione nel quadro di un preciso
impegno nella Chiesa e nel mondo »,
Questo è stato l’argomento centrale
della relazione del Past. Valdo Benecchi della chiesa di Bologna, Egli è il
.segretario del Consiglio Nazionale delle Scuole domenicali c con lui era anche il pastore valdese T. Soggin, membro del Consiglio.
« Voce Metodista » riserva la terza
pagina del suo numero di aprile alle
Attività Femminili Metodiste. La pagina è stala curata dal gruppo di Villa S. Sebastiano, uno dei tanti villaggi della Marsica, che è una zona in
provincia dell’Aquila.
11 gruppo femminile di Villa (18 donne sulle 48 della Comunità) opera in
due direzioni: un lavoro pratico, per
dare un contributo finanziario alla
chiesa, e un lavoro di ricerca e di riflessione, che Tha portato a meditare
sui problemi delia donna in quella
non facile zona e in altri paesi del
mondo, sul ruolo della donna nella famiglia e nella società, sulla scuola, sull’occupazione che è il dramma della
Marsica e sul rapporto tra la fede c
il contributo che la donna può dare alla vita del villaggio, sul compito della
Comunità cristiana.
A Ecumene, dal 19 al 23 maggio i
Metodisti hanno tenuta la X Conferenza annuale.
Fra le ridenti colline dell’Astigiano
sorge, a S. Marzano Oliveto, una Casa
Evangelica sede di incontri frequenti
e di soggiorni estivi. Il comitato direttivo, « ringraziando il Signore del Suo
continuo aiuto, è lieto di comunicare
che dal 27 giugno al 29 agosto avrà luogo pure quest’anno il periodo di vacanze estive » cui sono invitati amici vecchi e nuovi. Ecco il programma: « Allo
scopo di rendere il soggiorno degli ospiti sempre più sereno e anche di edificazione spirituale, sono previste serate
dedicate alla conversazione fraterna, alla proiezione di interessanti diapositive,
all’audizione di buona musica, a trattenimenti sereni e fraterni. Saranno inoltre organizzate gite nei dintorni in autopullman, a prezzi limitati ». A. S. Marzano Qliveto vi è una piccola comunità
metodista, sempre lieta di accogliere
fratelli evangelici provenienti da vicino
e lontano e di celebrare con loro il culto domenicale, e di unirsi, compatibilmente con i lavori agricoli, ai loro incontri. I posti sono limitati, e si consiglia di inviare al più presto le domande
di soggiorno al direttore, past. Giuseppe Anziani, Piazza Bini 2, 15100 Alessandria, tei. (0131) 52.378; oppure a: Andrea Anziani, Piazza Istria 2, 20125 Milano, tei. (02) 67.60.39.
Esercito
della Salvezza
Un campo biblico è stato tenuto in
aprile a Forio d’Ischia, composto da
un buon numero di sorelle provenienti da varie parti di Italia e diretto
dalla signora Ten. Col. D’Angelo. Gli
studi biblici sono stati tenuti dalla signora Col. Fivaz ed erano centrati sul
« ritorno di Cristo ». Le giornate sono
trascorse in una gioiosa comunione
fraterna, alternando la riflessione biblica con attività distensive.
Il Segretario generale Ten. Col. D’Angelo fa parte del Comitato promotore
per la possibilità di una crociata evangelistica di Billy Graham nella città di
Roma. A questo proposito si è avuto
un incontro di alcuni rappresentanti
delle chiese evangeliche della capitale,
insieme a esponenti stranieri, per concretare questo progetto.
Per il 75o anniversario del movimento dei Cadetti di Corpo vi sarà
un Campo internazionale a Bonn. Sei
delegati rappresenteranno i Salutisti
d’Italia.
istituto Biblico
Evangelico
L’Istituto Biblico Evangelico di Roma, nel suo Bollettino di marzo co
munica che la scuola estiva sarà tenuta dal 18 luglio al 13 agosto. Le materie insegnate nelle prime due settimane saranno: il Pentateuco e le Epistole cattoliche. Nelle ultime due settimane si studieranno i Libri Poetici e
TQmiletica.
La scuola estiva ha dei cicli di cinque anni. Quest’anno inizia un nuovo
ciclo. Per ulteriori informazioni rivolgersi al fratello Edmondo Caes che dirige quest’anno la scuola.
Scrive Royal Peck, direttore delri.B.E.: « Qui alTI.B.E. più che offrire
un insegnamento sterile del Vangelo,
vogliamo viverlo. Preghiamo reciprocamente che quest’anno il Signore faccia germogliare molto frutto in noi,
affinché abbiamo il privilegio durante
il 1971 di condurre qualche anima a
Gesù ».
Inda Ade
l (¡oiil’ei’eiiza della fliiesa Melodista d'Italia
(segue da pag. 1 )
rEvangelo e la testimonianza del Regno;
si interroga, confortata dai risultati
ormai raggiunti net campo della gioventù e delle scuole domenicali, se
non sia giunto il momento per le Chiese facenti parte della Federazione di
porsi obbiettivi più avanzati e scadenze più concrete per il raggiungimento
della mèta finale, sia pure con ogni
necessario gradualismo e nel rispetto
delle peculiarità dottrinali, delle tradiz.ioni storiche e delle esigenze amministrative delle singole denominazioni;
rivolge pertanto un caldo appello alle altre denominazioni evangeliche perché esprimano il loro avviso circa l'opportunità di iniziare uno studio del
problema anzidetto;
auspica nel contempo un impegno
comune verso una sempre maggiore
vitalità operativa della Federazione ■>.
Ed ecco il documento « gemello »
relativo ai rapporti con la chiesa valdese:
« La X Conferenza della Chiesa Evangelica Metodista d'Italia, riunita ad
Ecumene dal 19 al 22 maggio 1971, preso atto dei risultati positivi già conseguiti dall'integrazione con la Chiesa
valdese,
auspica che la sessione congiunta
della Conferenza Metodista e del Sinodo Valdese diventi ormai stabilmente il centro della vita ecclesiastica delle due denominazioni, riservando a sessioni separate della Conferenza e del
Sinodo solo la trattazione di materie
strettamente relative alla gestione di
una singola chiesa;
auspica altresì che vengano fissate
scadenze realistiche per la attuazione
Cronaca delle Valli
ProMeini della scuola nella Val Geimanasca
li - La Scuola Media
Esistono problemi comuni a tutte
le zone di montagna e problemi specifici della Val Germanasca ed in particolare della Scuola Media di Perrero.
Val forse la pena di dare uno sguardo
anche ai primi.
Innanzitutto è chiaro che il sistema
scolastico sbagliato, per consenso unanime anche se non tutti gli rimproverano gli stessi errori, che vige in Italia è più sbagliato ancora per la montagna che per la città, in cui, bene o
male, si trova la piccola e media borghesia per la quale è fatta la scuola
italiana.
Intanto non esiste, a nostra conoscenza, menzione dei problemi specifici della montagna nei programmi
della scuola delTobbligo, né nei testi
di geografia, di solito inneggianti al
progresso industriale del dopoguerra,
ma noncuranti dello spopolamento
che ha prodotto sulle montagne. Al
massimo c’è un’idealizzazione delle
bellezze della montagna e della necessità di conservarle (con la relativa festa degli alberi e l’immancabile tema
elegantemente detto di « argomento
silvano » che quasi ogni anno, salvo
dimenticanza, il Ministero invita le
scuole a svolgere). Non si dice mai,
però, chi deve conservarle; che cosa
bisogna fare perché qualcuno possa
farlo; e raramente di chi è la colpa
se non lo si fa.
Non è ancora del tutto tramontata
l’ora in cui si trova nei testi un elogio
di maniera del cervello dei montanari, presentati più come astuti che come intelligenti, ricalcando lo schema
vecchio di quattro secoli e sottilmente razzista dell'intramontabile Bertoldo. Né mancano i testi in cui l’elogio
è invece inserito in un contesto militarista e presenta i montanari come la
razza forte e robusta, disposta al sacrificio, che fornisce alla Patria il corpo degli alpini.
Ma, come nei programmi non si parla in modo costruttivo della montagna, così nelle strutture .scolastiche
mancano gli strumenti perché la montagna possa essere conservata. Non
esistono tipi di scuole — salvo che per
maestri di sci — in vista di un lavoro
in montagna. Se anche si costruiscono
sedi meno scomode per chi vi abita,
sono sempre sedi di scuole in vista
del l’emigrazione. La stessa scuola media è vista da chi la frequenta come
il primo pas.so che renderà possibile
una vita meno grama di quella dei
genitori.
Mentre l’agricoltura si sta ristrutturando e nel giro dei prossimi dieci anni resteranno in montagna solo aziende silvo-pastorali, a parte ogni giudizio su questa scelta da un punto di
vista politico e umano, non esistono
scuole in grado di preparare ad un’efficace conduzione di un simile tipo di
aziende.
Le Scuole Alberghiere sono poche c
lontane; inoltre sono impostate in vista di un turismo di lus,so e non di
un turismo di massa, unica possibilità per la Val Germanasca, a parte
Piali.
Mancano ugualmente le scuole di
artigianato specializzato, mentre la
produzione di un simile tipo di attività va a ruba.
E l’elenco potrebbe continuare.
Oltre a questi problemi, che colpiscono tutte le scuole di montagna, c’è
un certo numero di difficoltà contingenti che è bene far conoscere, anche
se è possibile superarle per qualche
via.
Innanzitutto il problema dei finanziamenti. Le scuole ne ricevono per
l’acquisto di materiale didattico, tuttavia ne sono sempre informate poco
prima del termine ultimo entro il
quale si devono fare le ordinazioni.
Nel caso che i fondi siano dati per libri delle biblioteche, di solito, ne hanno notizia alcune case editrici prima
della scuola stessa. E allora che cosa
capita? Tempestano coi loro cataloghi i bibliotecari, i quali, dovendo fare le proprie ordinazioni entro pochi
giorni, sono costretti a dare i propri
ordini a quelle case editrici, che non
sono sempre le migliori e le più libere. È vero che da un po’ di tempo
molte si sono messe a stampare anche libri pregevoli, ma dai cataloghi,
se non li si conosce in precedenza, non
sempre è dato di identificarli. Quali
manovre stiano sotto un simile modo
di procedere è facile capire.
Poi vi sono finanziamenti per l’assistenza agli alunni, soprattutto per lo
acquisto dei libri di testo. Però i canali di distribuzione sono almeno tre:
i Patronati Scolastici; i « buoni-libri »
e le Casse Scolastiche. Quale disordine derivi da questo è facile a immaginarsi. Razionalizzando la distribuzione e riducendo adeguatamente i
profitti enormi che sono realizzati a
vari livelli sui libri di testo, sarebbe
possibile rendere gratuita la loro fornitura nelle Scuole Medie come già
avviene nelle Elementari, e si metterebbe in pratica Tart. 34 della Costituzione, secondo cui « L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni,
è obbligatoria e gratuita ».
Mancano, invece, i finanziamenti per
attività complementari da svolgersi
durante il doposcuola: persino se vogliono giocare al pallone, i ragazzi devono comprarselo. Questo può anche
essere positivo, ma assai meno positiva è la mancanza di materiale per lavori di tipo artigianale, per la valorizzazione della cultura locale (patois,
ma anche usi e costumi, storia locale: tutte cose che si vanno perdendo
per rappiattimento portato dai mezzi
di comunicazione di massa. Tutti sanno le canzoni di S. Remo, ma non
quelle che cantavano i nonni. Non che
fossero sempre più valide, ma comunque c’erano).
Non arrivano in tempo, come si è
detto altre volte, i finanziamenti dello
sfato per il trasporto alunni.
Un problema che sembra risolto nelle piccole scuole è quello dei locali:
qui, niente doppi turni, niente sovraffollamento delle aule, nessuno dei problemi tanto angosciosi per le scuole
di città. Eppure anche a Ferrerò la
scuola è stata costruita con una palestra insufficiente; manca un’aula di
musica, una di disegno; quella di
scienze è quest’anno occupata da una
classe; il laboratorio di applicazioni
tecniche maschili è al buio; il cortile
aspetta da ben cinque anni una sistemazione, come pure le rifiniture delle
scale di accesso. La sistemazione della scuola è irrazionale, essendoci l’ingresso a oriente e due aule a occidente, anziché viceversa, in modo che siano queste ultime a prendere il più sole possibile. A volte anche la costruzione di locali nuovi è fatta in modo
irrazionale ed esigerebbe progettisti
più competenti nel ramo specifico.
Un lungo discorso esigerebbe anche
il ritardo delle nomine degli insegnanti, derivante da un’impostazione burocratica che renda possibile i giochetti
clientelari, che una semplice circolare
ministeriale basterebbe a risolvere. Il
perdurare di questa situazione lascia
capire che l’ostilità verso la cultura
popolare non è un fatto dei reazionari dell’800: è la precisa scelta politica
democristiana — poiché mai si è dato, se non andiamo errati, un ministro
della P. I. di altro partito nella nostra
Repubblica —. Un lungo discorso andrebbe anche fatto sui libri di testo:
strumento sempre più costoso e sempre meno adeguato, malgrado un certo miglioramento nella produzione, alle esigenze della scuola. Forse non è
lontano il giorno in cui si dovrà abbandonare il manuale precostituito e
la classe stessa costruirà il suo libro
di lesto, sulla base delle ricerche condotte coi metodi usati da qualunque
studioso. Qggi lo studio scolastico si
basa essenzialmente sul ricordo; domani è facile che si basi sempre più
sulla consultazione. Così è dello studio ad alto livello e non si vede bene
perché debba essere altrimenti a livello di scuola dell’obbligo.
Qualcuno penserà che così i ragazzi usciranno dalla scuola sempre più
ignoranti e la scuola sarà sempre più
facile. In realtà se usciranno dalla
scuola essendo in grado di reperire
nel più breve tempo possibile tutte le
notizie che occorreranno loro nella
vita non sarà poco. E poi, è proprio
vero che si impara sempre meno nella scuola? Non bisogna dimenticare
che oggi i ragazzi fanno le medie alla
età a cui i loro nonni facevano quarta
elementare un’ennesima volta dato
che non avevano la possibilità di proseguire oltre. Inoltre la scuola è sempre meno il canale specifico della trasmissione della cultura. I ragazzi apprendono attraverso molti altri canali, come la televisione ed i giornali, e
la scuola, quindi, è ormai solo uno dei
canali, accanto agli altri. A questa sua
nuova situazione la scuola deve adeguarsi e finirà forse, col tempo, col
non aver altro che una funzione critica nei confronti degli altri canali di
istruzione perché la storia, la geografia, le scienze, forse persino la matematica e la letteratura, i ragazzi le
avranno già imparate altrove.
Ci.AiiDTO Tron
di provvedimenti per l'integrazione dei
servizi amministrativi tali da consentire sollecite economie ad ambedue le
denominazioni ».
* * *
Sulla traccia di queste indicazioni
anche gli altri due ordini del giorno
approvati dalla Conferenza. Il primo
relativo allo scioglimento del segretariato della gioventù (GEM) sulla traccia di quanto già aveva fatto a suo
tempo la FUV, scioglimento deciso in
base alle deliberazioni del Congresso
di Ecumene della EGEI, cui aderiranno tutti i gruppi giovanili metodisti.
Interessante anche l’ultimo documento approvato, proposto dalla relazione
della Commissione per i Ministeri. In
esso si « afferma il principio che chiunque sia chiamato a presiedere il culto
possa anche celebrare la Santa Cena ».
A questo proposito, un impegno ai
componenti metodisti « della competente commissione mista valdo-metodista a farsi portatori e sostenitori di
tale principio in vista di una definizione unitaria della materia ».
Ma naturalmente la Conferenza ha
pensato anche al resto: una analisi approfondita dell’attività e della situazione finanziaria degli otto Circuiti c
delle diverse attività ed opere della
Chiesa Metodista, sui quali sono state
ascoltate dettagliate relazioni da parte
dei diversi segretari, per approvare,
infine, il loro operato e per procedere
alla rielezione dei membri delle diverse commissioni che avevano affiancato
la presidenza ed il comitato permanente nel loro lavoro.
Infine, il solito, scottante problema
tipico di tutte le Chiese evangeliche
italiane: i bilanci e le difficoltà di chiudere soddisfacentemente i conti. Sabato sera, infine, le elezioni. Dopo aver
proceduto alla riconferma del past.
Mario Sbaffi alla carica di presidente
anche per l’anno ecclesiastico ’72-’73,
è stato eletto alla vicepresidenza per
lo stesso anno il laico Paolo Forma.
Infine la Conferenza ha proceduto al
rinnovo delle cariche del Comitato
permanente, che risulta così composto: pastori Aurelio Sbaffi, Vezio Incelli (riconfermati) e Massimo Tara,
laici Sergio De Ambrosi, Pietro Trotta (riconfermati) e Giovanni Vezzosi.
Per scadenza del mandato non sono
stati riconfermati alla carica il past.
Ivo Bellacchini e il dr. Niso De Michelis.
Domenica 23, infine, nel tempio di
via XX Settembre, il culto di chiusura,
presieduto dal presidente Mario Sbaffi, mentre il sermone è stato tenuto
dal past. Sergio Carile. Nel corso del
culto di santa cena, è stato consacrato
al ministerio pastorale Alfonso Manocchio. Giovanni Ribet
miiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiimiiiimiiiiimiiii
I campi estivi 1971
//
Adelf
la
f/
1-10 luglio: Campo Cadetti (età: dai 12 ai
17 anni). Quota complessiva L. 8.000, pili
L. 1.000 per iscrizione. Direttore del Campo:
Sergio Ribet. tema: Che cos’è la disobbedieii’
zu civile.
14-22 luglio : Campo teologico. Quota coni
plessiva L. 8.000, più L. 1.000 per iscrizione
Direttore del Campo: Jean Jacques Peyronel
Tema: Vera e falsa profezia (nelTAnlico Te
stamento e nelle conseguenze eliche e teologi
che di oggi).
24-31 luglio: Campo politico. Quota complessiva L. 8.000, più L. 1.000 per iscrizione.
Direttore del Campo: Luciano Griso. Tema:
Momenti di lotta nel meridione di oggi (loti?
bracciantili. Avola, Battipaglia, Reggio Calabria, ecc.).
A tutti i campi è prevista la partecipazione
di esperti.
Chi desidera partecipare ai campi è pregato
di darne comunicazione a: Enrico Trobia, ^ ia
Garibaldi, 60 - 97019 Vittoria (RG) inviando, possibilmente, L. 1.000 di iscrizione.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiitmiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiti
PREGATE PER LE TRASMISSIONI
RADIO
E' stala istituita anche quest’anno una giornata in cui tutto il mondo cristiano prega in
modo particolare e unanime per Tevangelizzazione attraverso le radio e la televisione. Se
desiderate veramente che molte anime vengano alla conoscenza del Salvatore, pregate il
Signore, il giorno 13 Giugno prossimo venturo. uniti a tutti coloro che in quel giorno supplicheranno a questo scopo.
Ascoltate le trasmissioni di: VOCIi DEìJìA
BIBBIA
da Radio TWR Montecarlo:
ONDE MEDIE mt. 205 (Kc. 1466)
VITA ABBONDANTE - ogni sabato ore 24
ONDE CORTE mt. 49 (Kc. 5950)
PROGRAMMA PER TUTTI - ogni sabato
ore 13,20
PROGRAMMA PER RAGAZZI - ogni domenica ore 13,35
(f Voce della Bibbia » casella postale 580.
41100 Modena.
Illtlllllllllllllllllllllllllllllllltlllllllltlllllllllltlllllllltimil
PERSONAUA
A Pinerolo si sono .sposati Ermanno
Geme e Kdthi Erni. I più fraterni auguri a questa giovane coppia pastorale
che inizierà prossimamente il suo ministero a Torre Pellice.
5
4 giugno 1971 — N. 23
pag. 5
J lettori ci scrivono
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
|] problema delle nostre
Assemblee di Chiesa
Un collaboratore, da Torre Pellice:
Caro clirellore.
un membro della Chiesa di Torre Pellice ha espresso il suo disappunto perché
nelle elezioni del dejiutato al Sinodo e dei
deputati alla Conferenza Distrettuale per
la Chiesa di Torre Pellice nessun candidato dei giovani è stato eletto. La situazione è stata questa. Assemblea di 69 membri : i giovani (cioè coloro che sono impegnati nelle varie attività dei gruppi giovanili: Unioni. Cadetti, équipes di monitori e di catechisti, gruppi di servizio e di
studio, ecc.) hanno proposto due loro candidati. uno per il Sinodo e uno per la
Conferenza Distrettuale. I giovani presenti
sono una ventina : il loro candidato al Sinodo ottiene 26 voti contro i 39 del candidato concorrente. I giovani sperano che
venga volato almeno il loro candidato per
la Conferenza Distrettuale, dato che Torre Pellice ne elegge 3. La maggioranza
precostituita non prende in considerazione
la loro richiesta : nessuno viene eletto. Il
fatto non è grave ma è sintomatico. Non si
tratta di dare un giudìzio negativo su coloro che sono stali eletti, in genere seriamente impegnati in attività della Chiesa,
ma si è constatato con amarezza che la
maggioranza costituitasi non ha saputo
aprirsi ad una istanza diversa dalla loro.
È stata una maggioranza di (c corrente »,
preoccupata di una sola istanza (l’istanza
della conservazione, intesa nel senso positivo, che ha certamente il suo valore). Visione. tuttavia, parziale della vita di una
comunità, che si rifletterà certamente sìa
nella Conferenza Distrettuale, sia al Sinodo.
Qui appare il problema di fondo delle
nostre Assemblee di Chiesa, indipendentemente dal fatto contingente da cui siamo
partiti.
I nostri regolamenti richiedono per le
chiese autonome che almeno il 30% dei
membri comunicanti siano « membri elettori ». Sarebbe bene chiederci quale è lo
spìrito del regolamento e potrà essere fatto
in altra occasione. In forza di questa legge
una chiesa come Torre Pellice che conta
circa 1600 membri comunicanti deve aver
circa 500 membri elettori. Di fatto le nostre Assemblee oscillano su una media di
circa 50 presenze.
La reale carenza dei nostri regolamenti
è data dal fatto che — mentre si chiede
che gli elettori siano almeno un terzo dei
membri di chiesa — non viene stabilito il
minimo di presenze per avere una Assemblea valida. Soltanto per la elezione del pastore è richiesta la presenza della maggioranza dei membri elettori, quasi che
quell'atto fosse Punico importante per la
vita della chiesa e tutti gli altri fossero
trascurabili.
La conseguenza è che di per sé una Assemblea di una ventina di membri può decidere a nome dì tutta la chiesa. Ognuno
può rendersi conto della deformazione che
le nostre comunità possono subire nelle
loro rappresentanze.
II discorso comunemente fatto (abbastanza accomodante) è questo: la colpa è dei
memi)ri di chiesa che non vengono alla
Assemblea: chi è assente ha sempre torto!
Questo è fondato su una errata visione della comunità (o almeno di grandi comunità
come quella di Torre Pellice).
Le nostre chiese non possono essere viste secondo lo schema amministrativo dei
nostri Comuni e in una astratta uniformità. La chiesa è costituita di fatto da un insieme di piccole comunità aventi in una
certa misura vita autonoma. Per es. i quartieri montani trovano il loro centro di incontro nelle riunioni quartierali : là si sentono comunità, si conoscono, hanno un
linguaggio e dei problemi comuni, benché
sentano la solidarietà col rimanente della
comunità. Altre istanze creano una più
stretta vita comunitaria: attività giovanili,
attività femminili, ecc.
Le nostre comunità risultano dalPinsieme di queste realtà vive e dal confronto
delle loro istanze, per cui Pidea di avere
un'Assemblea di Chiesa che abbia presente
la vera maggioranza della comunità e rappresenti le istanze di fondo in una sessione
unica si rivela del tutto fantasiosa e l’attuale struttura della nostra società la rende ancora più illusoria, tra Paltro per la
estrema difficoltà di trovare un momento
di convocazione che vada bene almeno per
la maggioranza. Ma anche se fosse possibile riunire 250 persone (la metà dei 500
membri elettori prescritti); come si potrebbe stal)ilire un dialogo efficace in un
tempo ridotto?
Da una parte non si può continuare
Iranquillamente con Assemblee di Chiesa
che riuniscono soltanto il 10% o meno dei
membri elettori: dalPaltra è impossibile
riunire regolarmente il 50% + 1. Una
soluzione potrebbe essere di discutere i
problemi nelle assemblee quartierali e settoriali. con autentiche delibere ottenendo così
un consenso rilevante sia dal punto di vista delle istanze che si svolgono nella comunità. sia dal punto di vista del numero
dei memliri dì chiesa clic vi partecipano
attivamente.
La crisi attuale delle nostre Assemblee è
po.sitìva. perché è importante che non ci
sì accontenti dì una « fictio juris », ma si
desideri che la chiesa sia una comunità
vivente e. quindi, varia nei suoi impegni e
nelle sue istanze. Lasciare che le cose continuino così può causare delle amare sorprese. quando ci si dovesse rendere conto
che coloro, che non vengono interessati alle decisioni, lentamente non si interesseranno più della chiesa e non si sentiranno
più <( chiesa ». Cresce sempre più il numero dei nostri membri dì chiesa impegnati in una autentica testimonianza dell’Evangelo, ma che non vengono a quella
che oggi è chiamata « TAssemblea di Chiesa » e che il gruppo che viene alla Assemblea ignora del tutto. La linea della conservazione è importante ed è un elemento
valido nella dinamica ed è quindi necessario che — proprio per la sua preoccupazione di mantenere e sviluppare le linee
tradizionali — prenda atto e dia spazio alle
altre istanze, specialmente a quelle giovanili, altrimenti perderemo un’occasione
forse unica per svolgere nell’ora presente il
servizio di testimonianza dell’Evangelo. La
parabola dei talenti ci può suggerire qualcosa in proposito.
Alfredo Sonelli
Dove va la fede?
Un lettore, da Aosta:
Quale credente incondizionatamente in
Dio e nella Sua parola Cristo Gesù
e, per conseguenza logica, nella sacra bibbia che ne è l’espressione fedele (e per me
indiscutibile!) vorrei richiamare l’attenzione della redazione e (se possibile) dei lettori di questo giornale, sul contenuto e sul
valore spirituale dell’articolo apparso nel
n. 19 del 7 c. m. a firma di Paolo Ricca,
sotto il titolo: Dove va la Fede?
In questo articolo viene posto in evidenza il nuovo modo di credere che sta
prendendo piede in alcuni (ormai troppi,
dico io) gruppi giovanili, sorgenti da non
so quale scuola teologica; ì quali vorrebbero imbottire i cervelli dei credenti con
teorie nuove circa il modo di interpretare
le scritture, sulla scia di una fede rivoluzionaria, tendente a imporre ai credenti un
nuovo credo, cioè : sarà l’uomo, e non Dio
per mezzo di Cristo Gesù.a sistemare ogni
cosa per il meglio dell’umanità, e ciò avverrà quando l’uomo (ben elaborato dai
nuovi messia...) avrà rivoluzionato tutto il
vigente sistema etico, politico e filosofico
fino a cambiarne completamente la mentalità e raggiungere così la perfezione indispensabile per un vivere felice e pacìfico;
naturalmente, stando alle teorìe (io le chiamo utopie) di questi vari nuovi profeti, la
scienza umana darà a tutti i mezzi per
vincere ogni male, compresi quelli fisici e
psichici (magari!) fino a produrre una sana
longevità.
Ma, dico io, la morte sarà anch’essa debellata dall’umanità?... E della parola di
Gesù : « Senza di me non potete nulla »,
che ne diciamo? e della bibbia tutta, con
le sue profezie (in parte già avverate) e la
visione apocalittica di Giovanni, che ne facciamo? E poi, stando cosi le cose, aspetteremo ancora noi il ritorno di Cristo? Cosa
verrebbe Egli a fare se avrà già fatto tutto
l’uomo?
A questo punto credo non sia il caso di
andare oltre con le obiezioni, ma permettetemi di formulare ancora una domanda,
e cioè : La Parola di Dio non è immutabile
e non sussisterà in eterno? Io dico di sì, e
mi chiedo se non siate di questo avviso, visto che nel nostro periodico si dà ricetto a
delle utopistiche teorie che di cristiano
hanno ben poco, e di logico, nel senso
biblico, niente affatto!?
Penso inoltre che chi si vuole chiamare
cristiano, deve credere e agire esclusivamente secondo i dettami della parola di
Cristo.
« Chi aggiunge o toglie una sola parola a questo Evangelo, sia anatema », non
dice così Paolo?
Con osservanza, il vostro devotissimo abbonato, speranzoso di essere pubblicato.
Silvio Rossotti
Redigendo l'articolo Dove va la fede? il
mio intento era espositivo più che critico.
Mi premeva documentare i lettori su posizioni teologiche in parte nuove, che non
è affatto indispensabile condividere ma
che, per qualche verso almeno, non è inutile meditare o almeno conoscere. Del resto,
non son pochi i cristiani che si riallacciano, s'intende con diverse sfumature, alle
posizioni sommariamente descritte nell’articolo. Il nostro compito è di esaminare ogni
cosa e ritenere il bene (se ce n’èl). In generale si può dire che la nuova teologia, come anche viene chiamata, non nasce tanto
da una « fede rivoluzionaria », come suppone il fratello Rossotti, quanto da una
fede in ricerca, che ha abbandonato le posizioni teologiche acquisite e (troppo?) sicure e s’è avventurata in un impresa rischiosa ma. pensiamo, non senza promessa.
Paolo Ricca
AVVISI ECONOMICI
CERCASI signora o signorina disposta a seguire famiglia al mare 1-14 agosto per custodia l)ambino nie.si nove. Telef. Torino 53.68.09.
UN GIOVANE valdese piemontese relazionerebl>e scopo matrimonio massimo vcntiseieiine. Scrivere: carta d’identità n. 33844183.
Fermo Posta. 10064 Roletto (Torino).
Vacanze al mare
Pensioni familiari e
alberghi confortevoli
Bassa stagione da L. 1.800-2.000
Alta stagione da L. 2.300-2.900
Informazioni: Revel Egidio
Hôtel Elite
47045 Miramare di Rimini
Incontro di Pentecoste a Pinerolo
Cattolici e valdesi di fronte al problema
della testimonianza cristiana nel mondo
Pramollo
Un gruppo di cattolici e valdesi che
si riunisce a Torre Pellice da qualche
mese, ha deciso di invitare le comunità del Pinerolese a una riflessione
comune nel giorno di Pentecoste, 30
maggio 1971.
L’iniziativa non era esente da pericoli. Dopo la svolta in senso ufficiale
e trionfalistico presa dall'ecumenismo
neH'ultimo decennio, c’era da temere
che l’incontro venisse ad aggiungersi
all’ormai imponente serie di manifestazioni inutili, come certe preghiere
per l’unità a cui non segue nessun impegno e nessun cambiamento nella vita delle chiese.
D’altra parte la delusione ecumenica
che molti provano non deve portare
aH’inerzia ecumenica, in cui ognuno
torna a rinchiudersi nella propria confessione. Se abbiamo sbagliato strada,
nulla ci impedisce di ritornare al punto di partenza e ritentare; questo poteva essere il primo significato di un incontro nel giorno di Pentecoste.
L’incontro, tenutosi nella sala della
Chiesa Valdese di Pinerolo, è durato
dalle tre del pomeriggio alle sei. Nella
prima parte sono stati letti e discussi
tre testi biblici; poiché l’ascolto della
Parola non può essere separato dalTinvocazione dello Spirito, si sono cantati
degli inni e ci si è uniti in una preghiera in cui molti hanno espresso delle
richieste, tutte riferite, in fondo, al tema centrale dell’incontro: Lo Spirito
Santo e la riforma delle nostre Comunità.
Nella seconda parte si è svolto un
lavoro di gruppo, da cui è emersa la
proposta di tenere degli incontri anche
a Pinerolo, senza interrompere quelli
già avviati a Torre Pellice; i due gruppi si dovrebbero tenere in contatto e
in autunno si potrebbe tenere un altro
incontro generale.
Circa un centinaio di partecipanti
può rappresentare una cifra ben modesta in confronto al numero dei membri delle comunità del pinerolese. Ma
se si pensa che la partecipazione è stata molto più attiva che nei culti ordinari, che da tutti è stata affermata la
necessità di un lavoro continuo, basato su un attento studio biblico e inse
rito nella realtà locale, si può concludere che si è aperta qui una nuova
occasione di testimonianza, da cui, per
il momento, i pericoli dell’ecumenismo
ufficiale sembrano essere lontani.
b. r.
miiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
A.I.C.E.
Congresso latino a Madrid
L’Associazione Insegnanti Cristiani
Evangelici partecipa al biennale Campo Latino, organizzato in collaborazione con la Fédération Protestante de
l’Enseignement di Parigi.
La sede per il 1971 è quella di Madrid (Collegio El Porvenir); la durata,
dal 24 al 31 luglio p. v.; il tema: « Gli
insegnanti ed il problema dello sviluppo, con particolare riferimento ai fenomeni dell’immigrazione e della presenza del Terzo Mondo ».
Nel ’68, a Strasburgo, è stato affrontato lo scottante argomento della contestazione; ora, sollecitati da interrogativi non molto dissimili, si vuole approfondire alla luce dell’Evangelo il
significato dell’urto fra cultura del
Terzo Mondo e cultura occidentale
fortemente tecnologicizzata; constatare e denunciare il pericolo di sentirsi
detentori di una cultura superiore o
comunque di appartenere ad una civiltà migliore; studiare la problematica umana e educativa dell’inserimento
degli immigrati in un contesto socioculturale nuovo e talvolta alienante.
Alcuni oratori qualificati introdurranno con brevi relazioni i lavori dì
gruppo, che costituiscono l’aspetto essenziale del Campo. La lingua ufficiale è il francese; partecipano ai lavori
insegnanti francesi, spagnoli e naturalmente italiani.
A fianco del Congresso, si svolgeranno alcune escursioni (a Toledo, L’Escoriai, Aranjuez) e la visita al Museo del
Prado.
Per le iscrizioni, chiuse improrogabilmente entro il 15 giugno p. v., rivolgersi a Roberto Eynard - Torre Pellice (Viale Dante 18).
iiiiiiiiiHiiiiiiiimmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiii'iiiiiiimiiiiimiiiiiii
Bordighera - Vallecrosia - Ventimiglia
Il culto del 25 aprile nel tempio di Bordighera è stato aUietato dalla presenza di un
folto gruppo di fratelli e soprattutto sorelle
della Chiesa di Bobbio Pellice guidato dal pastore Bruno Bellion e dalla sua Signora. Il
poco tempo a disposizione dei visitatori non
ha permesso un ulteriore incontro con la Comunità locale, ma lo scambio di saluti al termine del culto è stato particolarmente cor
II Comitato della Casa Valdese di Vallecrosia si è riunito in seduta il 23 aprile ed ha
preso in esame l’andamento di quell’opera. Si
è preso atto della ultimazione degli imponenti
lavori all’impianto di riscaldamento e si è avuto uno scambio di idee sulTattività recettiva
del prossimo esercizio. Undici gruppi soprattutto dall’estero si sono prenotati per un soggiorno più o meno lungo neH’arco di tempo
tra giugno e ottobre. Il mese dì luglio sarà
riservato alla Colonia per i bambini con 110
iscritti più una trentina di cadetti. Altri bambini potranno essere accolti nel mese di settembre. Molti volontari già hanno offerto la
loro collaborazione di assistenza e di aiuto vario con spirito di fraterna collaborazione.
Non è un compilo facile e chi ne ha la responsabilità ha bisogno della simpatia di tutti.
Torre Pellice
L’assemblea di Chiesa del 16 Maggio
71, considerando i nuovi sviluppi per
l’ingresso della Chiesa Cattolica nel
OCE, ha deciso di annullare una mozione precedentemente presa in esame
ed ha preso in considerazione una delle due mozioni presentate dal Pastore
Sonelli (v. a pag. 2).
Dopo un valido scambio d’idee su
questo argomento, il Cassiere ha presentalo una sintesi del rendiconto della
Cassa 1970/1971. Si sono raggiunte tutte le somme richieste per la Cassa Culto, Collegio e Stampa, grazie anche a
notevole aumento di doni e delle collette dei Culti. I presenti hanno dimostrato la loro sensibilità per la richiesta di un aumento per la Cassa Culto,
presentata dalla Tavola con una circolare del Moderatore ed hanno incaricato i deputati di presentare il preventivo di aumento alla prossima Conferenza Distrettuale, secondo le indicazioni
dell’ultimo Sinodo, sottolineando però
la decisione di non intervenire una seconda volta per coprire eventuali carenze contributive di altre Comunità.
Si osserva, rivolgendo un appello a tutti i membri di Chiesa, che se tutti facessero il loro dovere secondo le proprie
possibilità, non solo si potrebbe raggiungere facilmente la somma richiesta, ma si potrebbe procedere anche alla riparazione di molti stabili senza
nessuna difficoltà.
L’assemblea ha eletto deputato al
prossimo Sinodo Giorgio Mathieu e
supplente Giovanni Mourglia. Augusto
Armand-Hugon, Luigi Peyronel, Edgardo Paschetto sono stati eletti deputati
alla Conferenza Distrettuale.
Battesimi: Bruna Cougn e Andrea
Malan. Bruno Ribotta, Pier Enrico Pasquet, Malvina Eynard e Walter Cogno
durante il Culto di Confermazione. Il
Signore li benedica e li guardi.
Matrimoni: Si sono sposati: Paolo
Caviglia (Finale Ligure) e Renata Costantino (Borgio Verezzi); Elio Danna
e Wanda Janavel; Sergio Filippone e
Franca Charbonnier; Fabio Lorenzato
Callegari (Piossasco) e Renza Rostagnol; Enzo Plavan e Violetta Rivoir
(Angrogna). A questi cari giovani il nostro vivo augurio di ogni bene.
Funerali: Ci hanno lasciati in attesa
della resurrezione: Emma Mark ved.
Laurenti, Maria Giovanna Vola, Umberto Morel, Renato Arnoulet, Margherita
Maurin ved. Braun, Anna Jourdan ved.
Giordan, Alberto Federico Malan.
A tutte le famiglie in lutto esprimiamo la viva simpatia della Comunità.
Lina Varese
Domenica 9 maggio l’Unione Femminile e
la Scuola Domenicale si sono recate ad Ivrea
dove sono state fraternamente accolte dalla locale comunità, insieme alla quale abbiamo partecipato al culto. Favoriti dal bel tempo, dopo,
aver consumato il pranzo nelle vicinanze del
lago Sirio, insieme alla Signora ed al Pastore
Rostau abbiamo poi attraversato la Serra spingendoci fin sulle colline di Biella. La nostra
viva gratitudine alla chiesa di Ivrea ed in
particolare alla sua Unione Femminile, alla
Signora ed al Pastore E. Rostan per tutto ciò
che hanno voluto fare per noi.
La stessa domenica il culto a Pramollo è
stato presieduto dal Sig. U. Rovara di Luserna
San Giovanni, che ringraziamo sentitamente
per la sua preziosa collaborazione e per il messaggio rivolto alla comunità nel nome del
Signore.
Giovedì 20, Ascensione, membri della Chiesa di Pramollo e di San Germano hanno effettuato una gita fino a Portofino.
Domenica 23 l’Assemblea di Chiesa, dopo
aver discusso la relazione del Concistoro, ha
provveduto a nominare quale deputato al Sinodo il Signor Longo Amedeo (Ciotti) e a supplente il Sig. Long Livio (Pellenchi); per la
Conferenza Distrettuale i Sigg. Bleynat Marcello e Jahier Edvico (Rosi) e revisori dei conti
i Sigg. Longo Dante (Ciotti) e Menusan Valdo (Pellenchi).
T. P.
Prarostino
Nel pomeriggio dì domenica 2 maggio si è
svolto il consueto Bazar, co una buona partecipazione da parte delle comunità.
In questo periodo si sono svolte due gite. Il
1® maggio i neo-confermati hanno trascorso la
giornata a Vallecrosia, accompagnati dal Pastore e da numerosi altri giovani. Giovedì 20
maggio c’è stata la gita dell’Unione delle
mamme, a Luino sul lago Maggiore.
La Scuola Domenicale ha concluso, per
quest’anno, la sua attività, con la festa di canto dei bambini di domenica 23 maggio, a
Pinerolo. Questo è stato, per la Scuola Domenicale, un anno di prova, in cui è stato « sperimentato » un nuovo metodo di studio con i
bambini. Ci si fermava due ore, dalle 9,30 alle
11,30: durante la prima ora il Pastore teneva
un breve culto per i bambini, con un ripasso
della lezione giornaliera; la seconda ora era a
disposizione dei bambini perché esprimessero
come volevano (con un disegno, un collage, o
la plastilina) quello che avevano capito della
lezione quotidiana. Abbiamo incontrato parecchie difficoltà perché sia per noi monitrici che
per i bambini era un esperimento del tutto
nuovo. Possiamo comunque dire che i risultati sono stati soddisfacenti e che speriamo di
intraprendere un lavoro analogo e migliore
l’anno prossimo.
Domenica 9 maggio la nostra corale si è
ritrovata con le corali della Val Chisone a Villar Perosa, per la festa di canto.
Il gruppo di studio e discussione biblica ha
terminato, per quest’anno, la sua attività. Dai
nostri incontri sono scaturite diverse proposte
di impegni pratici : fra gli altri quello di corrispondere mensilmente con questo giornale.
Il gruppo rivolge un’esortazione alla comunità
perché altri si aggiungano, in modo che si possa meglio realizzare i nostri obiettivi.
Domenica 23 maggio si sono tenute le elezioni per il rinnovo del mandato al Pastore,
Marco Ayassot. La sua riaffermazione è stata
schiacciante. Su 250 membri elettori presenti
si sono avuti 248 « si » e 2 « no ». Anche la
percentuale di membri elettori presenti è stata
notevole: 250 su 306; coloro che mancavano
avevano buoni motivi per farlo : malattie, o
assenza dal paese, e così via. Il nostro Pastore,
ìnsomma, ha avuto una calorosissima manifestazione di simpatia e affetto.
Concludendo, questo è un periodo di chiusura delle attività, di cui però possiamo dirci nel
complesso soddisfatti.
Ringraziamo dell’ospitalità, se sarà possibile concedercela, sui vostro (e in fondo anche nostro) giornale.
Nella Godino, Roberto Romano E Gloria Rostaing
N.d.r. : un cordiale e grato benvenuto a
questi nuovi corrispondenti!
iiiiiiMiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiihiMiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinHiiiiiiiimiiiiiiiiimimiiimii
Una conferenza - dibattito a Torre Pellice
La resistenza dei Baschi
TORRE PELLICE
Dal 1 luglio al 15 settembre
sarà aperto
L’ASILO INFANTILE VALDESE
ESTIVO
che riceverà anche i bambini
dei villeggianti
Per le iscrizioni rivolgersi presso
la Direzione - Vha Beckwith, 5
Lunedì 24 maggio a Torre Pellice ha avuto
luogo un dibattito sul tema : Chi sono e che
cosa vogliono i Baschi.
Ha introdotto l’argomento uno degli organizzatori dell’ETA (movimento di resistenza
ha.sea), condannalo a 30 anni dal regime di
Franco e da tempo all'e.stero come rifugiato
politico.
I popoli baschi (750.000 abitanti in Spagna.
200.000 in Francia) abitano la regione NordOccidentale della Spagna e sono caratterizzati
da una lingua particolare, Yeuskera. non indoeuropea, che si fa risalire a popolazioni preromane.
Dopo la li guerra mondiale le provincie ba.sche, grazie ai giacimenti di ferro, .sono diventate le più industrializzate e economicamente più ricche della Spagna.
La resistenza contro il governo centrale spagnolo e la rivendicazione deirautonomia hanno sempre caratterizzato la storia di queste
popolazioni, fin dal 1792 quando furono incorporate politicamente nella Spagna.
L'autonomia fu concessa loro solo nel 1936
dal governo repubblicano, ma con la vittoria
di Franco tale autonomia fu revocala e si
ordinò la chiusura delle scuole di lingua basca.
L'attuale movimento di resistenza. PETA.
h.T come obiettivo principale quello di strappare le provincie basche al controllo del regime franchista per realizzare, una volta ottenu
ta rindipendenza, una società nuova, libera
dallo sfruttamento dell’uomo sull'uomo, una
società socialista.
L’oratore ha ribadito più volte che la fase
nazionalistica della lotta (che va intesa come
liberazione della dittatura fascista) è preliminare alla lotta per la società socialista : in questo il popolo basco prende ad esempio le lotte
di liberazione del Terzo Mondo, in particolar
modo la lotta del FLN vietnamita.
L'autonomia significherà per i baschi liberazione dallo sfruttamento economico, dall’opprcssione politica e culturale, sarà sostanzialmente autodeterminazione, potere di decidere
per una società nuova .senza classi.
Nella discu.ssione sono emer.si due tipi di
valutaz.ione : uno. che, in accordo con l’oratore, affermava la priorità del fattore etnico
nell'attuale fa.se di lotta, l'altro che ne sottolineava i limiti, trovando carente la solidarietà
con gli altri movimenti di resistenza, .soprattutto con quello .spagnolo.
E. B. R.
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (Torino)
6
pag. 6
N. 23 — 4 giugno 1971
I NOSTRI GIORNI
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
La pena di morte
Il recente efferato assassinio della
giovane Milena Sutter, che ha destato
unanimi reazioni di orrore, di sgomento e anche di viva preoccupazione da
parte di tanti genitori circa i pericoli
cui possono andare incontro i loro figlioli, ha di nuovo fortemente alimentato la corrente di coloro che auspicano un ritorno alla pena di morte per
certi delitti.
I giornali si affrettano a dire che si
tratta di reazioni comprensibili perché
dettate da un senso altamente emotivo
di indignazione per determinati fatti
di sangue o di perversione sessuale. Il
fatto è che si tratta di un atteggiamento che si va sempre più estendendo,
anche (lo diciamo con amarezza) nel
nostro ambiente.
Ci pare di star facendo, su questo
argomento, un discorso molto ovvio,
ma è vero che alle volte certi discorsi,
perché troppa pvvii, finiscono per non
esser fatti. C| limitiamo solo a ribadire che, se siamo veramente dei credenti quali diciamo di essere, non potremo mai sottoscrivere una simile richiesta, per quanti ed efferati delitti possano venir compiuti: non aggiungiamo
questa nuo9a infedeltà alle già tante
altre nostre quotidiane.
Una' cosa che colpisce nelle dimostrazioni inscenate e nelle lettere inviate ai giornali a favore del ripristino
della pena di morte è che le persone
che lo richiedono si dichiarano rette,
oneste e buoni cittadini e non pensano
invece che, per lo stesso fatto di desiderare la morte di un’altra persona —
sia pure un omicida o un bruto —
peccano, se credenti, e comunque commettono un gravissimo attentato contro il rispetto che l’uomo deve alla vita umana.
Perché in genere la gente non cerca
invece di risalire alle origini e di chiedersi il perché di tanti delitti? Perché
la gente non vuole ammettere che —
ad esempio — questa nostra civiltà
consumistica ha delle gravissime responsabilità, quando nel far presa con
la sua pubblicità (ora anche pomografica) ossessiva e martellante sulle persone più sprovvedute e più soggette a
farsi « plagiare », spinge un mucchio
di individui a prendere le «scorciatoie»
per raggiungere un determinato benessere, un certo « prestigio »? Perché
tanti genitori non vogliono ammettere
di essere proprio loro i primi, coi loro falliti ménages familiari o colla
loro chiusura verso i figli a creare dei
potenziali e reali delinquenti?
Ma un altro argomento dovrebbe
convincere i fautori della pena di morte a recedere dalla loro richiesta, se
la vogliono considerare una « giusta »
punizione e non una vendetta: il fatto
cioè che nei paesi dove tuttora vige,
essa non costituisce per niente un deterrente, un elemento dissuasivo.
Negli Stati Uniti, ad esempio, i delitti di ogni tipo aumentano di anno in
anno. Secondo il Federai Bureau of Investigation (F.B.I.) — fonte ineccepibile quindi — i crimini col ricorso alla
Il patto russo-egiziano
Fra Unione Sovietica ed Egitto, a
conclusione della recente visita di Podgorni al Cairo, è stato firmato un trattato di amicizia che avrà la durata di
quindici anni. Esso contiene fra l’altro il reciproco impegno di una stretta
collaborazione nei campi politico, economico, culturale, tecnico-scientifico e
militare.
Per l’Unione Sovietica si tratta senza dubbio di un patto del tutto eccezionale, tenuto conto che esso non è stato stipulato con un paese-satellite. È
un patto che può influenzare assai profondamente la nazione egiziana. Da
varie parti sono già iniziate delle campagne per denunciare allarmisticamente una « sovietizzazione » dell’Egitio.
Indubbiamente esso è una conseguenza della inesorabile politica dei
blocchi e delle sfere di influenza. Ma
quale e quanta responsabilità hanno in
questo la politica americana e l’ostinato e scoraggiante atteggiamento di
Israele nei riguardi della crisi del
Medio Oriente?
Concludendo: « no » alla pena di
morte, ma pene severe e certe, non interrotte a ogni piè sospinto da amnistie di borbonica o fascistica memoria. Auguriamoci che in occasione della prossima elezione del presidente della repubblica, egli, nella sua qualità
di capo della magistratura, abbia il
coraggio di rinunciare una volta per
sempre ad una misura tanto demagogica quanto socialmente dannosa.
I marxisti italiani
“bocciati,, a Praga
Si è concluso nei giorni scorsi il congresso del partito comunista cecoslovacco, congresso che ha visto la sua
piena e definitiva « normalizzazione »,
peraltro già scontata, dopo le precedenti dichiarazioni dei dirigenti e dello stesso presidente Svoboda.
Quello che però desideriamo rilevare a proposito del suddetto congresso è il fatto che è stato negato il diritto alla parola ai rappresentanti italiani del partito comunista e del
p.s.i.u.p.
Il delegato del p.c.i., che è anche
membro del comitato centrale e responsabile della sezione esteri, avrebbe dovuto leggere un messaggio, in
precedenza concordato e approvato
dalla direzione del partito, messaggio
nel quale veniva affermato che per
perseguire una effettiva unità internazionalista occorre riconoscere le divei'sità che segnano per ogni paese la via
da percorrere verso il socialismo. 11
messaggio confermava anche che ogni
partito comunista e ogni stato deve
basarsi sul fondamento essenziale del
l'indipendenza e della sovranità. Ancora una volta esso respingeva con
franchezza l’intervento militare in Cecoslovacchia, ritenendo che eventuali
pericoli debbano « essere superati con
l’aperto appello ai comunisti e alla
classe operaia del paese ».
Analoga sorte ha avuto il messaggio
del p.s.i.u.p. che, secondo un comunicato del partito stesso, « la presidenza
del congresso non ha ritenuto di dover accettare » e che certamente ricalcava la presa di posizione comunista.
Ritornando ancora al messaggio comunista, pochi giorni prima lo stesso
Luigi Longo, segretario del p.c.i., in occasione di un’intervista dedicata al
congresso del p. c. cecoslovacco, aveva dichiarato che esso avrebbe ancora una volta « chiaramente illustrato »
la posizione dei comunisti italiani sugli avvenimenti in Cecoslovacchia.
Assistiamo così ad un curioso fenomeno: mentre nel mondo occidentale
si vanno via via maggiormente rinsaldando varie complicità che rendono
sempre più fitte le maglie dell’« internazionalismo capitalista », vediamo
che viene negato, nel mondo socialista, quel reale internazionalismo volto
a dare ad ogni paése, e coll’attiva partecipazione delle popolazioni interessate, la sua dignità, la sua sovranità.
Esso viene negato dal « centralismo
democratico » e dal concetto della
« sovranità limitata », che ad un sistema retto sul danaro, sulla frenetica
produzione e sullo sfruttamento, oppone un altro sistema basato sull’autoritarismo e su un malinteso prestigio.
Roberto Peyrot
iimiiiiiiiiiiiimiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiii
Nei confronti del socialismo e del marxismo
la condanna cede il passo al consiglio
babilmente in gioco la stessa sopravvivenza della specie umana e della vita
su questo pianeta. Sembra talvolta che
i depositari di una tradizione pur ricca
di visioni apocalittiche siano diventati
incapaci di discernere le estremità dei
tempi. Mario Miegge
lllllllllllllllllllllllllliiiiiilllllillillliii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
La Chiesa interclassista
violenza sono passati, dal 1960 al 1969,
da 282 mila a 660 mila, con un aumento di quasi due volte e mezzo, ad un
ritmo di incremento dieci volte superiore a quello della popolazione. In
modo particolare, gli assassinii sono
aumentati del 66 per cento, le violenze carnali del 11.5%, i furti del 180% e
le rapine del 103%.
Anche l’Unione Sovietica, che possiede una legislazione penale fra le più
severe, contempla la pena di morte per
una vasta gamma di reati, fra cui crimini a sfondo sessuale e uccisioni « a
fini di teppismo ». Pur essendo assai
diffìcile l’accesso ai dati statistici, anche in relazione al fatto che la Russia,
in quanto « stato-guida » del socialismo, tende a nascondere le proprie
magagne, tuttavia un giornalista italiano, in occasione di un suo recente
viaggio a Mosca, ha potuto sapere in
via confidenziale che il ministero della Giustizia ha condotto un’ampia indagine sulla delinquenza giovanile. Ne
è risultato che la criminalità è in continuo aumento fra i giovani e che la
maggior parte dei delitti viene appunto commessa a fini sessuali e per mero
teppismo.
(segue da pag. 3 j
prese multinazionali (che sono attualmente i soggetti privilegiati dello
sfruttamento imperialistico del Terzo
Mondo), è detto che « questi organismi
privati possono condurre [il corsivo è
nostro] a una nuova forma abusiva di
dominio economico sul piano sociale,
culturale e anche politico »! Ma quando si parla dei mali delle società rivoluzionarie deviate, il modo condizionale cede senz’altro il campo al modo
indicativo: i « nuovi padroni sì circondano di privilegi, limitano le libertà,
ecc. » (par. 45). II capitalismo mantiene dunque il privilegio del verbo
“posse” che è negato al socialismo!
3. In realtà, dimesse in larga misura le antiche categorie dottrinali, la
Chiesa di Roma, non diversamente dalle Chiese protestanti, compone il suo
discorso sociale con materiali presi in
prestito a quella sociologia corrente
che è un tipico prodotto culturale del
Basso Impero capitalistico in cui ci troviamo a vivere: una sociologia che parla apparentemente di realtà concrete
(urbanesimo, ricchezza e povertà, sviluppo, ecc.), ma in effetti spiega tali
realtà in base ad entità astratte come
l’Industria (cfr. par. 9), la Tecnologia,
la Scienza, ecc. le quali celano la forze
in gioco e i loro conflitti. A questo tipo
di astrazione se ne aggiunge poi un altro, caro alla filosofia liberale e alla morale cristiana moderna: il parlare dell’uomo come individuo che porta in sé
« inclinazioni al male » e « aspirazioni
al bene », dotato di libertà di scelta e
destinatario delle prediche e degli appelli. Ciò che in questo duplice modo
di vedere sfugge (o viene censurato) è
per l’appunto la realtà storica: che non
è fatta di entità generalissime come
l’Industria, la Scienza, ecc. e non è neppure la vicenda di una somma di « singoli » o « persone », ma è viceversa storia di gruppi sociali definiti dalla loro
posizione di classe, di uomini ben determinati dalla loro collocazione e dai
loro ruoli entro un sistema di divisione
del lavoro, entro un ordinamento diseguale di dominio o sudditanza.
L’incapacità (o il rifiuto) di cogliere
a questo livello la realtà del mondo
odierno è, a parer mio, quella che toglie incisività ed efficacia al discorso
della Octogésima adveniens. Perché
guardando le cose in quel modo non si
riesce neppure a vedere l’aspetto drammatico e decisivo delle contraddizioni
e dei conflitti odierni: i « mali » dell’umanità si appiattiscono allora in «difetti » che si possono curare con un
«di più» («una più grande giustizia
nella ripartizione dei beni », par. 43;
« una più diffusa partecipazione al formarsi delle decisioni », par. 47) e
non sembrano richiedere un capovolgimento dell’attuale senso di marcia
(o, se si preferisce, dell’attuale tipo di
« sviluppo »).
Preoccupata di non limitarsi a « proferire denunce profetiche» (par. 48), la
Chiesa finisce per non vedere o per non
dire che nei conflitti storici di questi
ultimi decenni del secolo XX, e in particolare nello scontro tra le forze distruttive degli imperialismi armati della più
alta tecnologia e le rivoluzioni di quei
popoli (prevalentemente non bianchi,
ed esterni all’antica area cristiana) che
hanno saputo ricollocare « la politica
al primo posto » (come vorrebbe anche
a modo suo la Lettera di Paolo VI,
cfr. par. 46), in questo scontro è pro
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
(segue da pag. 1 )
gni che sono schiaffi alle sue leggi, vegeta comoda, senza fantasia d’amore,
e già si irrita, spesso, quando le .si
propone di ricercare nella comunione
dei fratelli — anche e soprattutto dei
fratelli dissimili — che cosa il Signore voglia dai suoi, nella situazione attuale, che è anche di lotta di classe.
Così, nel silenzio e spesso nell’ignoranza, nella pigrizia si stratificano, in una
coesistenza che non è comunione, le
chiese di classe.
Un’altra parte della chiesa scalpita
impaziente dì fronte aH’inefñcacia politica e sociale di questi « segni ». O sarebbe più giusto dire: dei discorsi sui
« segni »? Vorrei poterlo dire, ma credo che in molti casi non corrisponderebbe alla realtà. Una certa contestazione non rifiuta soltanto una chiesa
che non dà questi « segni », ma anche
una chiesa che si limiti a dare questi
« segni ». Vuole di più; e formula (almeno a tavolino) le ipotesi settarie che
a una chiesa di classe contrappongono
un’altra chiesa di classe.
Nell’un caso come nell’altro, la chiesa rifiuta o elude l’Evangelo; pretende
meno dell’Evangelo, o più di esso; lo
trova troppo impegnativo, o non abbastanza efficace; e naturalmente, nell’un caso come nell’altro, adatta l’Evangelo al caso suo, decurtandolo di
una delle sue dimensioni. Così facendo, pur appellandosi a Cristo essa finisce per dire quel che dice il mondo
(a più voci), fa quel che fa il mondo
(secondo prassi diverse), spera speranze diverse, ma come le spera il mondo; ed è divisa, come il mondo.
Quando ricominceremo, tutti, a prendere sul serio il nostro essere chiesa
del Signor Gesù Cristo? Quando sarà
Pentecoste?
Gino Conte
P. S. - Non vorrei si pensasse che, alla fin fine, il mio discorso porta al disimpegno politico. Vi sono cristiani
che seguono questa linea: li rispetto,
ma non condivido la loro posizione, c
tutto il nostro lavoro redazionale sta
a mostrarlo. I « segni » del Regno devono innestarsi nella situazione sociale reale, e questo presuppone uno sforzo onesto e perseverante di informazione, di riflessione, di ricerca. Uno
sforzo faticoso, di cui anche questi
modesti articoli sono manifestazione;
una ricerca laboriosa di chiarificazione, che va continuata, perché siamo
lontani, non dico dalla mèta, ma da
una tappa che permetta un momento
di sosta. Dovremo dunque ancora chiederci: che significa e come si deve manifestare, in una chiesa interclassista
che sia comunità di fratelli e non calderone, la sua responsabilità politica?
Come si presenterà, nel necessario pluralismo politico, questo umile ma serio servizio quotidiano dei credenti,
nel quale, quando c come vuole, lo Spirito può innestare uno dei suoi frutti
in noi, segno del Regno? G. C.
SULLA QUESTIONE
PALESTINESE
★ Un gruppo d’intellettuali (fra cui
molti di origine ebraica) di numerosi
paesi, ha pubblicato, sulla questione,
un appello che si esprime nelle seguenti nove tesi.
«l) La colonizzazione sionista in
Palestina ha condotto al risultato (del
resto inevitabile e prevedibile) della
spoliazione del popolo arabo palestinese. Questo popolo oggi rifiuta la
condizione di profugo e rivendica (anche se i metodi impiegati possono essere in parte non condivisi da taluno)
la propria identità nazionale. Questo
rifiuto e questa rivendicazione sono
totalmente legittimi e meritano d’esser sostenuti.
2) Il riconoscimento dell’identità nazionale del popolo palestinese... s’impone, oggigiorno, come un preliminare assoluto. Pertanto noi sosteniamo
quella parte del popolo israeliano che
auspica sinceramente la pace e la coesistenza su basi di eguaglianza, e si
batte (all’interno di quella comunità)
per far accettare l’evacuazione dei territori occupati. È questo, infatti, il
primo passo da fare su tale strada.
3) Anche se è vero che Israele si manifesta come una proiezione del mondo occidentale sviluppato in seno al
Terzo Mondo; anche se è vero che la
politica israeliana è strettamente dipendente dalle risorse e dalla strategia deU'imperialismo occidentale, non
è detto che tale situazione sia destinata necessariamente a perpetuarsi.
L’imperialismo americano dispone di
altre carte da giocare nel Medio Oriente oltre a quella israeliana. E inversamente l’attuale conflitto pone i popoH
e i governi arabi in una condizione di
dipendenza dalle grandi potenze (per
il momento essenzialmente dall’URSS),
i cui obiettivi principali non sono la
loro emancipazione nazionale e sociale.
4) Gl’Israeliani si ritengono parte di
quello ch’essi definiscono il popolo
ebraico, e considerano il loro insedia
merito in Palestina non come una colonizzazione, ma come un ritorno. Se
è compito delle menti più lucide tener conto delle aspirazioni che si esprimono, in maniera molto discutibile,
in questa angoscia vissuta nei fatti,
essa non può essere comunque usata
come argomento da opporre ai popoli
arabi. D’altra parte è evidente che, a
lungo andare, tale posizione è pericolosa sia per gl’israeliani (che sono così portati a dipendere dalla comunità
ebraica più ricca, quella degli USA)
che per gli ebrei della diaspora (portati a dipendere psicologicamente da
uno Stato, sulle cui decisioni la maggior parte di loro non sono in grado
di esercitare il minimo controllo).
5) Il popolo israeliano, sorto da un
processo di tipo coloniale, ha cionondimeno acquisito un’indiscutibile realtà nazionale; non può, quindi, esser
confuso con stati-fantoccio come quello del Sud-Vietnam. Tuttavia la nazione israeliana è minacciata, altrettanto
e più che dalla “minaccia” araba, dal
pericolo di un’evoluzione che potrebbe
condurla ad una struttura di tipo sudafricano o simile a quella dell’Algeria
di prima del 1962. È necessario dire
chiaramente che la logica dell’attuale
evoluzione porta ad una realtà di questo tipo; poiché un numero sempre
maggiore di palestinesi viene integrato a un livello inferiore in seno alla
economia Israeliana.
6) La resistenza palestinese ha imposto la realtà del popolo palestinese
a settori sempre più yasti dell’opinione pubblica mondiale. Tuttavia non
riteniamo che l’ideologia della guerriglia pura (come viene diffusa in numerosi ambienti arabi ed anche occidentali) permetta di cogliere le realtà
concrete del conflitto.
7) Le correnti più consistenti della
resistenza palestinese e gli Stati arabi non hanno riconosciuto, pubblicamente ed esplicitamente, sino ad ora,
la realtà nazionale israeliana, anche se
poi nei fatti sono portati a tener conto della sua esistenza. Questo nonriconoscimento ha colpito l’opinione
occidentale, che non ha invece tenuto
conto del non-riconoscimento “teorico
e pratico” del popolo palestinese da
parte degl’israeliani, se si escludono
alcuni gruppi per ora estremamente
limitati. Per gli Stati arabi il non-riconoscimento della realtà israeliana è
stata l’arma più importante d’tina politica che, almeno a breve scadenza,
non ha avuto succes.so. La resistenza
palestinese ritiene che quanto l’oppone a Israele non è un semplice conflitto di delimitazione territoriale. Essa mette in questione la .struttura di
Israele come Stato sionista e, nella
sua maggioranza, non ha proposto, fino ad ora, soluzioni che tengano conto delle aspirazioni degli Israeliani ad
essere una nazione con tutti i diritti
che questo implica.
Ma se scartiamo le “soluzioni” che
consisterebbero, da una parte, nella
espulsione della maggioranza degli
Israeliani (mentre gli altri diverrebbero arabi d’una particolare confessione) e, dall’altra, nella sottomissione o in un’ulteriore espulsione di Pa
lestinesi, rimane proprio la necessità
di far coesistere in Palestina due comunità nazionali. Una coesistenza tollerabile esige l’uguaglianza completa
tra i due gruppi etnici (com’è ampiamente dimostrato dall’esempio dell’Ulster); essa implica che debbano
scomparire le condizioni storiche che
hanno portato alla costituzione di una
nazione dominante e di una nazione
esiliata.
8) Nel lanciare quest’appello il nostro scopo non è quello di giudicare
“imparzialmente” tra le parti in causa,
né di stabilire tra loro un’impossibile
simmetria. Riteniamo semplicemente
che esso non sarà stato totalmente
inutile, se avrà fatto avanzare nella
opinione pubblica l’idea che lo riassume: il riconoscimento, da parte degli
Israeliani e di coloro che sostengono
Israele, dell’esistenza inalienabile della nazione araba palestinese resta la
condizione preliminare minima per il
riconoscimento, da parte dei Palestinesi e degli altri paesi arabi, del fatto
nazionale israeliano. Tale mutuo riconoscimento domina tutte le altre questioni, comprese quelle delle strutture
statali, in quanto esse esprimeranno
la coesistenza egualitaria dei popoli.
9) Lo scontro armato del settembre
1970, che ha opposto tra loro l’esercito
reale giordano e i fedayn palestinesi,
ha posto in evidenza le profonde divergenze d’interessi esistenti tra la
maggior parte dei regimi arabi e le
organizzazioni palestinesi. L’unità araba di facciata, che era stata esibita
per quasi tre anni, ha rivelato le sue
anibiguità dopo l’annuncio del “piano
Rogers” e durante la crisi giordana. Il
regolantento cui desiderano giungere
sia gli USA che l’URSS, non tiene conto,^ a tutt’oggi, del problema “nazionale” palestinese. Dopo il recente scontro armato, risulta tuttavia evidente
che la realtà nazionale palestinese à
al centro d’ogni tipo di soluzione. Una
tale soluzione, anche senza essere interamente soddisfacente per tutti, non
potrebbe comunque realizzarsi senza
la creazione d’uno Stato nazionale palestinese dotato d’uno statuto che ne
garantisca la piena sovranità, uno Stato la cui necessità è dimostrata dalla
lotta armata del popolo palestinese ».
Riportiamo anche testualmente la
dichiarazione che i firmatari (fra i
quali segnaliamo alcuni scienziati di
fama mondiale, per es. il linguista N.
Chomsky e il matematico L. Schwartz)
premettono all’appello:
« Le tesi non sono delle proposte di
pace, le quali non potrebbero venir
avanzate che dai popoli interessati, e
la cui realizzazione dipende dai rapporti di forze fra gl’immediati belligeranti e fra le grandi potenze, com’è
stato ampiamente dimostrato dalle discussioni che hanno fatto seguito al
“piano Rogers”. Esse hanno soltanto
lo scopo di chiarire il dibattito a noi
stessi e agli altri ».
La direzione de « L’Astrolabio » (del
21.3.’71), dal quale togliamo quanto sopra, dichiara di non condividere l’appello, pur giudicandolo « interessante
ed originale ». La cosa ci sorprende:
perché « L’Astrolabio » non lo condivide? Forse perché l’appello non propone nessun programma d’azione? Ma
i firmatari stessi dicono esplicitamente (l’abbiamo visto) che non è qUesta
la loro intenzione. Forse per il carattere troppo intellettualistico dell’appello, o perché esso è, per così dire, troppo « distaccato » dalla vera contesa,
cioè non impegnato a fondo né per gli
israeliani, né per gli arabi?
Tutto ciò può essere. Ma noi che, come credenti in Gesù Cristo, riteniamo
nostro dovere tenerci lontani da ogni
e qualsiasi fanatismo (v. Matt. 5: 9),
ci sentiamo personalmente d’accordo
con quest’appello, fatta eccezione di
qualche dettaglio che qui non merita
rilevare.
Chi volesse aderire all’appello, può
scrivere al Sig. Giuseppe Damasceni
(via S. Erasmo 12, Roma), oppure al
Sig. Alberto Benzoni (via Donatello 67,
Roma).
SUD-AFRICA
ANDATA E RITORNO
È stato più volte denunciato, su
queste colonne, lo scandalo del traffico d’armi che le nazioni cosiddette cristiane, o cosiddette civili, tengono col
Sud-Africa. Si è trattato sempre di armi fornite al Sud-Africa. Ma siffatti
traffici seguono talvolta vie più complicate, come apprendiamo da « Le
Monde» del 23-24.5.’71:
« La commissione dell’QNU sull’“apartheid" ha informato il Consiglio di
sicurezza del fatto che la mitragliatrice israeliana “Uz.i” viene fabbricata nel
Sud-Africa con licenza belga. Allora il
sig. Edouard Longerstary, rappresentante del Belgio all’QNU, ha informato a sua volta il Consiglio che la licenza in questione è stata concessa al
Sud-Africa da una ditta belga nel 1960
(cioè alcuni anni prima della decisione di “embargo” presa dal Consiglio
di sicurezza). Il delegato belga ha aggiunto che, dopo aver preso quella decisione, il Belgio non ha più esportato armi nel Sud-Africa, né ha più venduto a quella nazione alcun’altra licenza di fabbricazione ».